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20123 Milano
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L’elaborazione dei testi, anche se curata con scrupolosa attenzione, non può comportare specifiche responsabilità per eventuali involontari errori o inesattezze. Prima edizione gennaio 2018
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Indice
Prefazione.................................................................................... 7
Governance e board digitale ..................................................... 11
Cosa manca al pensiero strategico ........................................... 21
La forza disruptive del Board ................................................... 29
Digital Champion ....................................................................... 37
Il nuovo, grande, obiettivo nazionale ...................................... 45
La lingua del futuro ................................................................... 49
Che cos’è il capitale digitale...................................................... 57
La grande chance del talento digitale ...................................... 65
La corsa all’oro digitale ..................................................................... 73
Così si costruisce la leadership digitale .................................... 79
Il simulatore organizzativo ....................................................... 87
Più preventive e meno detective ............................................. 91
Verso un rinascimento digitale ................................................. 97
Bibliografia .............................................................................. 105
7
Prefazione1
Una delle cause del ritardo di innovazione digitale del
Paese risieda ancora oggi nella leadership delle nostre
imprese.
Un problema questo che ho posto come centrale fin
dall’inizio della mia presidenza di Confindustria
Digitale. La digitalizzazione, infatti, prima che una
questione tecnologica, è un tema di visione e di
strategie che innovano completamente il modo di
fare impresa e di lavorare, i modelli di business, le
competenze. I cambiamenti nel modo di concepire la
produzione, di creare i prodotti e i servizi, di offrirli ai
clienti, di espandersi verso nuovi mercati, chiamano
direttamente in causa le responsabilità della
leadership aziendale, che deve essere in grado di
vedere nell’innovazione tecnologica non un
argomento da affidare ai tecnici, ma l’elemento
1 Catania E., Prefazione alla survey “La digital transformation”,
Governance Advisors, giugno 2017.
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chiave di cui occuparsi in prima persona per
ridisegnare il futuro della propria impresa.
Certo, le peculiarità del tessuto produttivo italiano
rendono più complessi i processi d’innovazione. A
differenza di altri paesi, giocano a sfavore sia la
scarsità di grandi imprese che, invece hanno un ruolo
di traino fondamentale nella trasformazione
dell’indotto, che la prevalenza delle piccole imprese le
cui caratteristiche dimensionali non facilitano lo
sviluppo di capacità e visione necessaria per cavalcare
in proprio l’innovazione. Ma qualcosa sta cambiando
negli ultimi mesi. Il Piano Industria 4.0, grazie al lavoro
collaborativo fra Confindustria e il Governo, è stato
concepito proprio per aiutare le imprese italiane a
superare questi limiti.
Come sistema delle imprese siamo impegnati
attivamente per raggiungere la più ampia platea di
PMI e sostenerle concretamente nel percorso di
trasformazione competitiva digitale. Il senso
dell’urgenza e dell’execution della trasformazione
digitale deve essere alla base del lavoro delle
leadership aziendali. Per questo stiamo costruendo la
rete nazionale dei Digital Innovation Hub (“DIH”),
arrivati già a venti. Allocati presso le sezioni territoriali
di Confindustria, i DIH aiuteranno gli imprenditori a
“contaminarsi di digitale”. Sono concepiti come
oggetti giuridici snelli ma efficaci, con alla guida
esperti che conoscono i business prevalenti nel
territorio e le tecnologie migliori per aumentare la
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competitività delle imprese. Dovranno inoltre
coordinare i diversi attori dell’ecosistema territoriale
dell’innovazione, superando il modello classico di
trasferimento tecnologico in modo da fare breccia
nelle piccole imprese italiane.
Sappiamo che con la penetrazione del digitale
nell’economia e nella societ{ nei prossimi anni il 50%
delle mansioni cambierà. E ciò significa
riqualificazione dei lavoratori e programmi di
formazione continua. Puntiamo, per questo, alla
realizzazione di corsi specifici attraverso i Fondi
interprofessionali - Fondimpresa e Fondirigenti –
proprio per colmare lo skill gap presente in tutti i
settori aziendali, non solo a quelli attualmente a
maggior valore aggiunto. Infine, siamo impegnati alla
sensibilizzazione diretta degli imprenditori titolari
d’impresa e dei consigli di amministrazione, a quali
proporremo apposite Linee Guida (o un Codice di
Autodisciplina) in cui viene raccomandato
l’inserimento di almeno un consigliere esperto digitale
nei CdA (una sorta di “quote digitali”) e di una sezione
su innovazione digitale nella relazione di bilancio,
nonché specifiche raccomandazioni per i CdA sulla
privacy e cybersecurity.
Elio Catania
Presidente Confindustria Digitale
11
Governance e board digitale2
Introduzione La digitalizzazione apre nuove prospettive al-
l’industria, in particolare a quella manifatturiera
italiana. I paradigmi produttivi consolidati sono messi
in discussione da nuove tecnologie che offrono grandi
opportunità, a patto di avere la visione e le com-
petenze per poterle cogliere. Il consiglio di am-
ministrazione, l’organo che definisce la strategia
aziendale, si trova davanti alla responsabilità di
trasformare se stesso per interpretare una nuova era
industriale.
La produzione industriale:
dall’artigianato all’industria
La produzione industriale italiana è basata sul know
how sviluppato per secoli dagli artigiani di tutta Italia,.
In grado di fabbricare pezzi unici di altissima qualità e
pregio. Il volume di produzione, invece,, è sempre
stato limitato dalla velocità con cui il singolo artigiano
2 Modena S., 2017, in “Crescita additiva. Manuale operativo per introdurre la manifattura additiva in azienda” A. Aparo von Flüe, Numanova, prima edizione, luglio 2017.
12
poteva completare ogni articolo.
Questa barriera è venuta meno con l’avvento
dell’industria. Gli artigiani sono stati in grado di
attrezzarsi per produrre in serie, aumentando
infinitamente il numero di pezzi disponibili, tutti
uguali e di alta qualità. Questa evoluzione è avvenuta
in tutti i settori, ma sono stati la moda e il lusso quelli
che meglio hanno espresso la capacità di diffondersi
in tutto il mondo degli imprenditori italiani. Nel corso
dei decenni abbiamo assistito a una lotta sempre più
spinta sui prezzi, che ha portato a delocalizzare
fabbriche, laddove i costi di manodopera, ambientali e
fiscali, erano minori.
Nuove tecnologie
e nuove opportunità
La digitalizzazione offre nuove opportunità per
cambiare i paradigmi produttivi che hanno retto
l’industria fino ad oggi. La possibilit{ di utilizzare
stampanti 3D per ridurre i tempi ed i costi della
realizzazione di prototipi, la localizzazione della
produzione, e in certi casi anche lo spostamento in
capo ai clienti, la virtualizzazione di prove distruttive,
l’integrazione di tecnologie di comunicazione, solo
per citarne alcune di facile individuazione, aprono una
strada ancora tutta da esplorare. Infatti, le tecnologie
digitali devono ancora entrare a pieno titolo
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nell’industria. Non solo in quella innovativa, ma
soprattutto in quella tradizionale. Il limite al loro
utilizzo è posto dalla fantasia, che per fortuna non è
mai mancata ai nostri imprenditori.
“Artigianalizzare” l’industria
L’unicit{ dei pezzi prodotti dagli artigiani italiani,
sacrificato sull’altare della produzione in serie, può e
deve essere ripreso attraverso le nuove tecnologie. La
sfida è quella di creare un’infinit{ di pezzi unici,
pensati su misura per ogni singolo cliente. Un sogno?
Sicuramente no! Già oggi moltissimi modelli di
automobili permettono di configurare un’auto con
innumerevoli elementi scelti dallo stesso cliente al
momento dell’acquisto. Cosa può impedire che ciò
avvenga per un vestito, un paio di scarpe o una
macchina utensile? L’industria italiana deve
raccogliere la sfida della “artigianalizzazione” per
conquistare un ruolo predominante nel panorama
manifatturiero internazionale. La tecnologia è
disponibile anche per i concorrenti, ma il vantaggio
competitivo italiano è culturale. Per una volta
l’individualismo che ci contraddistingue può diventare
l’asso nella manica per conquistare una posizione di
dominanza nel panorama industriale mondiale.
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Il ruolo del consiglio
di amministrazione L’abitudine ci porta a pensare all’azienda come un
organismo dotato di vita propria. Certamente sistemi,
procedure, burocrazia, abitudine, fanno sì, che molte
attività procedano per inerzia. Ma la vera domanda è:
come entrano le novità in azienda? Spesso si pensa
all’imprenditore, a volte ai tecnici, a ricercatori,
perfino ai fornitori che propongono novità ai loro
clienti. Capire l’impatto delle nuove tecnologie su
processi e i prodotti richiede visione globale, arrivare
alla decisione di investire può essere un percorso
molto lungo. Il tempo è più che mai una risorsa scarsa,
quella su cui si gioca l’acquisizione del famoso
vantaggio competitivo. Il consiglio di amministrazione
è responsabile delle scelte strategiche, dalla sua
capacità di vedere quali tecnologie possono essere
applicate alla propria realtà, dipende la velocità con la
quale le novità entrano nei processi produttivi e
l’azienda si trasforma.
La digitalizzazione del consiglio
di amministrazione
Quando ci immaginiamo un consiglio di ammi-
nistrazione di un’azienda industriale, magari di grandi
dimensioni, facilmente pensiamo a signori, e magari
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anche qualche signora, di una certa età. Persone colte
e certamente competenti. Probabilmente ognuna con
il suo tablet e smartphone, non fosse altro che per lo
status symbol che rappresentano. Tranne che per
certe realtà tecnologiche, spesso particolarmente
giovani, si fatica a pensare ai consiglieri di ammi-
nistrazione come ad esperti di realtà aumentata o
internet of things. La digitalizzazione del board è un
tema chiave, per l’acquisizione ai massimi livelli di
competenze che permettano di aumentare la capacità
di vedere come e dove applicare le nuove tecnologie
ai prodotti e ai processi. La sinapsi è basata sulla
conoscenza, solo così persone colte e competenti po-
tranno avere anche idee brillanti e innovative.
Le competenze digitali
Nei CV dei consiglieri di amministrazione le
competenze e le conoscenze digitali non compaiono
mai, e già questo è un buon indizio per capire in che
conto vengano tenute. Mentre è intuitivo definire le
competenze di un avvocato, un commercialista, un
ingegnere, stabilire cosa bisogna sapere per potersi
dire “esperti di digitale” non è ancora molto chiaro,
così come è difficile definirne il grado di conoscenza.
Non ci sono né, corsi né test omologati o termini di
paragone, ma solo esperienze personali in continua
evoluzione. Esistono però delle predisposizioni che
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fanno sì che, a tutte le età e in ogni contesto, alcune
persone si avvicinino alle nuove tecnologie con
maggiore facilità. Nella selezione dei consiglieri
dovranno essere sviluppate sensibilità, capacità e
metriche per valutare in modo quanto più oggettivo il
grado di digitalizzazione.
Il Digital Champion aziendale
L’Unione Europea, riconoscendo, l’importanza delle
digitalizzazione per la competitività e lo sviluppo, nel
2012 ha istituito la carica del Digital Champion. Ogni
Paese ha poi nominato il proprio Digital Champion, un
ambasciatore dell’innovazione che ha il compito di
rendere i propri cittadini “digitali”. In Italia il progetto
prevede di individuare un Digital Champion per ogni
Comune. Dal riconoscimento da parte del Vertice
aziendale del valore strategico dell’evoluzione digitale
può, infatti, prendere l’avvio la trasformazione
dell’impresa. Sarebbe una buona idea creare questa
figura anche all’interno di ogni azienda, partendo
proprio dal consiglio di amministrazione. Il
“Consigliere Digitale” deve avere le competenze per
poter analizzare in profondità le opportunità offerte
dall’applicazione delle nuove tecnologie e doti di
leadership e comunicazione che gli permettano di
rendere partecipe tutto il consiglio. Se non si vuole
che questo tema diventi di competenza solo dei
Responsabili IT o Produzione, non ci sono alternative.
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Governance e organizzazione
digitale
In estrema sintesi possiamo pensare ad una
governance che preveda al vertice un Consigliere
Digitale e, nei casi più complessi e sofisticati, anche un
Comitato per la digitalizzazione. Il loro compito deve
essere quello di valutare l’applicabilit{ di tecnologie
digitali in tutti gli ambiti aziendali, individuando
potenziali vantaggi competitivi. Il lavoro del
Consigliere e del Comitato deve essere condiviso con
il consiglio di amministrazione per creare quel
substrato culturale che rende l’azienda attenta e
curiosa alle novità che possono influire
significativamente sui risultati. Alla governance deve
essere collegata una organizzazione altrettanto
efficiente. Un gruppo operativo dovrebbe includere
tutte le funzioni e i diversi livelli dell’organizzazione, in
modo da raccogliere problematiche e apportare idee,
sviluppando creatività e concretezza, alla ricerca di
soluzioni innovative. Sicuramente si tratterà di un
investimento importante, in termini di tempo e sforzi,
ma i cui risultati potranno essere misurati da un
significativo salto di competitività.
Non solo start up
Fino ad ora i temi della digitalizzazione sono stati visti
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come qualche cosa riguardante le start up. Piccoli
geni capaci di intuire le potenzialità delle nuove
tecnologie e costruire delle storie di successo. Si parla
di oltre 20.000 addetti e circa 4.000 nuove aziende,
sicuramente un risultato da non sottovalutare. Ma ci
si può accontentare di aziende di 5 persone?
Sicuramente cresceranno e il loro contributo sarà
fondamentale, ma ciò a cui bisogna puntare è una
rapida digitalizzazione di tutto il sistema produttivo.
Qui c’è l’occasione di creare centinaia di migliaia di
nuovi impieghi di alta qualità, e allo stesso tempo di
acquisire posizioni dominati in tutti i settori e mercati.
Conclusioni
La digitalizzazione si pone come un magnifico prato
verde sul quale costruire duraturi vantaggi competitivi
basati sulla cultura e il know how produttivo italiano.
Una sfida da cogliere per risollevare le sorti del nostro
Paese, dare fiducia ai giovani neolaureati, più di altri,
portatori della conoscenza delle nuove tecnologie e
delle loro infinite possibilità di impiego. Un progetto
che permette a diverse generazioni di collaborare per
un’idea comune, il “Rinascimento Digitale”.
Un obiettivo che può essere raggiunto grazie
all’intelligenza e alla lungimiranza di chi ricopre
posizioni di responsabilità che, con grande visione,
19
saprà porre le condizioni di governance e
organizzazione in grado di sprigionare la creatività e
l’innovazione. Il consiglio di amministrazione è
chiamato a trasformarsi in “Board Digitale”, un
organo capace di capire le trasformazioni
tecnologiche in atto e diventare il motore del
cambiamento. Non si tratta di una possibilità, ma
dell’unica scelta per restare competitivi.
21
Cosa manca al pensiero strategico3
La tecnologia è connaturata ad ogni prodotto, non si
possono, quindi, pensare aziende e settori industriali,
senza considerare l’impatto che, in qualsiasi momento,
può avere l’innovazione sulle sorti di ogni impresa. La
velocità con cui i cambiamenti si susseguono è sempre
maggiore e le trasformazioni sono sempre più
multisettoriali. Nessun business è al riparo dai mutamenti
che si possono manifestare dovunque e nel giro di
pochissimo tempo, provocando un impatto significativo
su tutto il mercato. Difficile dire quando sia cominciata
questa evoluzione, ma sicuramente non si è mai fermata.
Nel corso dei secoli la superiorità tecnologica,
soprattutto applicata al campo militare, ha permesso il
dominio incontrastato di alcuni popoli su altri, la
conquista e sottomissione di per secoli. Attualmente la
velocità con cui le nuove tecnologie si espandono al
livello mondiale e vengono superate, è sempre maggiore;
nessuna azienda che voglia avere una prospettiva di
3 Modena S., 2016, “Cosa manca la pensiero strategico”, in L’Impresa, N. 5,
maggio, 60-62.
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lungo periodo può permettersi di rimanere indietro.
Il consiglio di amministrazione è l’organo che ha il
compito di definire le linee strategiche dell’azienda. Fra
tutte le attività che è chiamato a svolgere, è quella meno
normata, ma sicuramente la più importante. Il fine ultimo
è infatti quello di definire il ruolo dell’azienda
nell’ambiente circostante. I bisogni che vengono
soddisfatti, i mercati in cui si opera, i clienti che si
servono, devono essere sempre ben chiari all’organo
amministrativo. Possiamo dire che il consiglio di
amministrazione deve interpretare il mondo alla luce
della propria attività, intuendo e studiando i continui
cambiamenti per intercettare nuove possibilità di
business, facendo evolvere l’offerta in funzione dei
continui mutamenti esterni. Per quanto possa risultare
evidente, a questo aspetto le aziende dedicano molto
meno tempo del necessario. Gli sforzi sono più
facilmente indirizzati verso la messa a punto di
miglioramenti incrementali, l’ottimizzazione dei costi,
tralasciando troppo spesso di analizzare i nuovi bisogni, il
cambiamento delle necessità dei clienti finché non è
tropo tardi per reagire.
La capacità di pensiero strategico del consiglio di
amministrazione è fortemente influenzata dalla sua
composizione. Si tratta di un tema che è stato affrontato
di recente, in particolare in concomitanza con
l’introduzione delle quote di genere. Diversi studi hanno
infatti dimostrato che i consigli di amministrazione
formati da persone che apportano diverse culture, valori
23
e conoscenze, riescono a sviluppare idee migliori e in
quantità maggiore. La composizione del consiglio di
amministrazione, quindi, non è neutra rispetto ai risultati
aziendali, ma non può essere lasciata al caso. Genere,
età, formazione, provenienza e anche numero devono
essere dosati rispetto alla situazione competitiva
dell’azienda in modo da dare all’organo di gestione tutte
le competenze di cui ha bisogno. Individuare la giusta
composizione è un compito difficile che spetta agli
azionisti, a cui però gli amministratori possono
contribuire in modo significativo fornendo indicazioni
motivate all’assemblea e, a volte, proponendo nominativi
ritenuti particolarmente calzanti all’azienda.
Avere un buon consiglio non basta. Gli amministratori
vengono normalmente scelti tra persone di alto profilo e
cultura, sono esperti o leader e quindi, anche se inclini al
dibattito e al confronto, contribuiscono con difficoltà allo
sviluppo di un’idea diversa dalla propria. Le dinamiche
che si instaurano nel gruppo portano facilmente
qualcuno, spesso l’amministratore delegato, a fare una
proposta e altri ad approvarla, magari discutendola, ma
senza contribuire significativamente con un proprio
punto di vista a migliorarla. Ciò costituisce un grande
limite allo sviluppo di idee originali che portino l’impronta
delle esperienze di ogni amministratore. E’ compito del
presidente far si che la discussione sia produttiva e, in
particolare sugli aspetti strategici, ci sia un contributo di
tutti e una sintesi condivisa.
L’innovazione consente di ridisegnare i paradigmi
24
produttivi riducendo i costi e i tempi con ricadute sui
volumi e la situazione competitiva complessiva. Per
quanto l’idea sia semplice e neanche nuova, nella pratica
la sua applicazione è piena di insidie e difficoltà. In primo
luogo bisogna distinguere tra l’innovazione prodotta
internamente e quella prodotta esternamente. Nel primo
caso può essere goduta e difesa per un tempo maggiore,
ma ha spesso considerevoli costi di produzione. Nel
secondo caso non vi è differenza rispetto alla facilità con
cui le nuove tecnologie possono essere acquisite rispetto
ai concorrenti, per cui è necessario uno sforzo di
adattamento e personalizzazione, oltre ad una
tempistica anticipatrice che massimizzi i tempi per lo
sfruttamento esclusivo. Inoltre, in questi casi, non
adeguarsi immediatamente ai cambiamenti, porta
velocemente all’obsolescenza e quindi alla perdita di
quote di mercato.
Realtà aumentata, internet of things, internet of
everything, i-cloud, additive manufacturing, industry 4.0
... Vogliamo continuare? Le nuove tecnologie sono in
continua evoluzione ed è molto facile rimanere indietro,
basta chiedersi quanti saprebbero definire alcuni
strumenti come quelli sopra citati. La conoscenza di
queste e altre novità è ormai un requisito indispensabile
per qualunque amministratore che voglia veramente
contribuire all’indirizzo strategico della societ{. La
padronanza della materia è un requisito necessario per
apportare idee che possano creare quella discontinuità
che crea un vantaggio competitivo duraturo, anche
25
ridefinendo i paradigmi produttivi del settore.
Il consiglio di amministrazione ha un ruolo fondamentale
nell’evoluzione aziendale basata sulla tecnologia. Infatti,
a seconda della profondità delle conoscenze
tecnologiche e della propensione all’innovazione,
possiamo distinguere 4 diverse categorie (Figura 1), la cui
capacità di generare livelli di reddito superiori alla media,
appare segnata a prima vista.
Figura 1.
Le società Statiche sono destinate a scomparire, la
velocità del loro declino dipende solo dal grado di
Conoscenza nuove tecnologie
Pro
pen
sio
ne
all’i
nn
ova
zio
ne
AltaBassa
Bas
saA
lta
FollowerStatica
Innovativa Rule Breaker
26
innovazione dello specifico settore. Quelle Innovative
sprecano parte del tempo in cui potrebbero essere
leader per mancanza di adeguate conoscenze che
consentono di anticipare l’uscita di nuovi prodotti. Le
aziende Follower, invece, perdono l’occasione di
trasformarsi in leader per la lentezza con cui trasformano
le loro conoscenze in risultati. Naturalmente solo le Rule
breaker riescono ad imporre nuovi modelli di business.
L’approccio all’evoluzione digitale non dovrebbe essere,
aprioristicamente, molto diversa da quella di altri tipi di
innovazione. Di fatto c’è un forte rischio che venga
percepita come qualcosa che riguarda solo l’Information
Technology, mentre interessa tutte le funzioni sia
operative che di staff. I cambiamenti, in realtà sono
molto vasti, trasversali e culturali, di natura organizzativa
e produttiva. Il principale limite della trasformazione
aziendale, da questo punto di vista, risiede nella difficoltà
di immaginare un futuro nuovo e diverso. L’inerzia e la
resistenza al cambiamento, invece, costituiscono i
principali ostacoli.
Un modo pratico di affrontare questo tema è la
formazione dei consiglieri. Il tema delle competenze
digitali è solo agli albori e non è ancora stato affrontato
in modo strutturato. La consapevolezza rispetto alla
digitalizzazione deve ancora crescere e della conoscenza
incremento di questi temi da parte del consiglio di
amministrazione è anche più necessaria di quella dei
manager. Le alternative non mancano. Si può ricorrere a
seminari, corsi, consulenti ai quali dare specifici mandati
27
sul tema, ma è necessario che chi siede in consiglio abbia
un alto grado di competenza sul digitale per stimolare la
discussione e la creatività. I contenuti devono
comprendere la conoscenza tecnica, le possibili
applicazioni, esempi pratici di implementazioni in altri
settori, in modo da creare negli amministratori una
mappa mentale che possa costituire il riferimento per
trasferire l’innovazione nella propria azienda. L’apporto
di esperienze realizzate in altri contesti da amministratori
che siedono anche in altri consigli, soprattutto in settori
diversi, può spingere in modo significativo la crescita
della cultura digitale del consiglio di amministrazione.
Da un giusto mix di competenze si sviluppa l’ambiente
adeguato per la trasformazione digitale. La creatività,
come sempre, deve essere indirizzata attraverso tecniche
di ricerca, che permettano di far evolvere il portafoglio
dei prodotti in modo strutturato. La ricerca sistematica
deve comprendere più variabili. Prodotti, processi,
applicazioni e anche mercati devono essere incrociati,
anche attraverso analisi pluridimensionali, per
identificare potenziali novità in grado di potenziare la
capacità competitiva.
In conclusione, le nuove tecnologie possono essere una
opportunità o una minaccia, ma sono sicuramente una
parte della concorrenza tra aziende. La digitalizzazione,
in particolare, offre ora una possibilità di discontinuità
che, se colta per tempo, può migliorare sensibilmente la
posizione competitiva dell’azienda. Si tratta di
un’occasione che può essere colta solo se il consiglio di
28
amministrazione, che deve essere adeguatamente
composto e cosciente del proprio ruolo, si attiva per
essere aggiornato sulle possibilità offerte dal digitale e si
adopera la sua implementazione in azienda.
29
La forza disruptive del Board4
La consapevolezza degli amministratori dell’importanza
della trasformazione digitale è basilare per dare un
prospettiva di futuro all’azienda. L’importanza che i
mutamenti in atto avranno sui prodotti, sui clienti e sui
mercati di riferimento di molte società, non
necessariamente digitali, è ancora largamente sotto-
valutata e costituisce un enorme rischio per il
mantenimento della competitività nel lungo periodo. Per
quanto se ne parli già da tempo, non è stato ancora
elaborato un quadro di riferimento comunemente
accettato su come affrontare questo cambiamento.
Sembra invece certo che la finestra temporale che si apre
ora, offrirà grandi opportunità alle imprese più
lungimiranti che, cominciando ad utilizzare le tecnologie
già disponibili a costi accessibili, saranno in grado di fare
prima delle altre un salto culturale inevitabile. Non si
tratta di una moda né di un fenomeno circoscritto a
4 Modena S., 2016, “La forza disruptive del board”, in L’Impresa, N. 6,
giugno, 63-64.
30
settori più esposti ai cambiamenti tecnologici. Per
convincersene basta pensare alle sperimentazioni in
corso per costruire automobili che non abbiano bisogno
del guidatore o, addirittura, insegnare ai robot a fare la
pizza! Il messaggio di fondo è che nessun prodotto e
nessuna attività sono al riparo dal cambiamento o, in
positivo, che ci saranno grandi possibilità per chi avrà più
fantasia e riuscirà a sviluppare le idee più innovative. Ne
consegue la necessit{ di dotare l’organo preposto
all’individuazione della strategia aziendale, il consiglio di
amministrazione, delle conoscenze che gli permettano di
essere creativo e di immaginare il futuro.
La prima difficoltà in cui ci si imbatte quando si affronta il
tema delle competenze digitali, è proprio la sua
definizione. I confini sono labili e permeabili, la parola è di
moda, e quindi non c’è ancora una formulazione
concettuale condivisa dalla business community e dal
mondo accademico. Fra le tante che si possono trovare,
riteniamo che ce ne sia una particolarmente completa e
alla quale si può fare utilmente riferimento: “la
competenza digitale consiste nel saper esplorare e
affrontare in modo flessibile situazioni tecnologiche
nuove, nel saper analizzare, selezionare e valutare
criticamente dati e informazioni, nel sapersi avvalere del
potenziale delle tecnologie per la rappresentazione e la
soluzione dei problemi e per la costruzione condivisa e
collaborativa della conoscenza, mantenendo la
consapevolezza della responsabilità personale, del
confine tra sé e gli altri e del rispetto dei diritti/doveri
31
reciproci5”. Questa enunciazione è stata data nel 2008 da
Calvani, Cartelli, Fini e Ranieri, e copre tutte le aree
possibili della conoscenza e del suo utilizzo. E’
interessante notare come sia particolarmente articolata e
non faccia riferimento a nessuna specifica tecnologia. Si
tratta di una definizione e quindi le conferisce la capacità
di affrontare la sfida del tempo. Per capire come possa
essere applicata all’attivit{ del consiglio di ammi-
nistrazione, bisogna soffermarsi sui diversi aspetti che
prende in considerazione. Di fatto le competenze digitali
vengono individuate su quattro diversi piani, collegati tra
di loro, riconducibili a un unico concetto (Figura 2).
Analizzati separatamente, essi forniscono le basi delle
competenze digitali di cui devono essere in possesso gli
amministratori, singolarmente e come gruppo.
“Saper esplorare e affrontare in modo flessibile
situazioni tecnologiche nuove” significa avere un
atteggiamento mentale aperto al cambiamento, alla
possibilità che in futuro le cose si possano fare in modo
diverso perché ci sono tecnologie che consentono
qualcosa che nel passato non era neanche immaginabile,
a costi estremamente competitivi. Ancora più importante
è considerare il loro utilizzo in ogni ambito dell’attivit{
aziendale: il marketing, le vendite, la produzione, la
finanza, l’organizzazione… in qualunque contesto
impresariale le applicazioni possono essere molteplici.
5 Calvani A., Cartelli .A, Fini A. e Ranieri M., 2008, “Modelli e strumenti per
la valutazione della competenza digitale nella scuola”, Journal of e-Learning
and Knowledge Society — Vol. 4, n. 3, settembre, 119 - 128
32
Inoltre, gli impatti possono essere interconnessi con un
significativo effetto moltiplicatore. Per esempio, piccole
modifiche nella produzione sono in grado di generare
importanti ricadute sulla qualità, con cambiamenti
sostanziali sul posizionamento e quindi sull’utilizzo delle
variabili di marketing e grandi impatti sui volumi di
vendita e sui margini.
Figura 2.
“Saper analizzare, selezionare e valutare criticamente
dati e informazioni” implica lo sviluppo di superiori
capacità critiche e di sintesi. La disponibilità pressoché
infinita di elementi a disposizione rischia, infatti, di
generare una paralisi decisionale ed errori, se non
33
vengono considerati i dati corretti. Bisogna essere in
grado di discernere ciò che veramente è importante,
accantonando ciò che rischia di confondere e portare
solo confusione. L’eccesso di informazioni porta a
scoprire errori e contraddizioni con la conseguente
necessità di stabilire cosa considerare e cosa scartare. Le
implicazioni, come si vede, sono enormi, poiché interi
scenari possono essere messi in dubbio in quanto basati
su presupposti non corretti o coerenti con le decisioni da
prendere.
“Sapersi avvalere del potenziale delle tecnologie” vuol
dire sviluppare la parte più creativa su come utilizzare il
potenziale tecnologico. Il presupposto è l’ottima
conoscenza dell’azienda, ossia dei prodotti, clienti,
mercati, ma anche dell’organizzazione e dei processi.
Infatti, in molti casi le innovazioni possono incidere su
cosa si offre al mercato e sulla sua definizione. In altri
casi, invece, i cambiamenti possono colpire l’efficienza
interna dell’azienda e rendere più efficiente e veloce la
risposta a sollecitazioni interne ed esterne.
Comunque sia, resta il fatto fondamentale, che un vertice
capace di vedere le potenzialità delle nuove tecnologie
può dare quell’impulso in grado di mobilizzare le migliori
risorse dell’azienda in un progetto di ampio respiro, in
fondo l’unico modo per continuare ad essere competitivi,
ritagliandosi uno spazio nel panorama industriale.
“Mantenere la consapevolezza della responsabilit{
personale, del confine tra sé e gli altri e del rispetto dei
diritti/doveri reciproci” sottintende un alto profilo
34
morale, che deve essere sempre presente nelle
interazioni sociali che si creano, anche in ambito
aziendale, nel sistema di comunicazione. La facilità con
cui le notizie possono essere diffuse, consente di causare
enormi danni ai concorrenti, o essere oggetto di
campagne negative che non possono essere bloccate e
per le quali non basta una smentita ufficiale.
L’interazione, inoltre, è sempre più spesso con i clienti,
con il pubblico in senso lato, che crea e distrugge fama e
prestigio.
La trasparenza diventa, allora, l’unico valore al quale
ispirarsi per mantenere la propria reputazione.
Un’ultima considerazione va fatta sulla peculiarit{ di
queste capacità, che sono soprattutto di natura culturale.
Non bisogna essere, infatti, esperti conoscitori di ogni
nascente tecnologia, ma avere la capacità di vedere
come queste si possano combinare e applicare ai propri
prodotti, clienti, mercati, organizzazione e processi.
Una volta chiarito che il futuro dell’azienda passer{ per la
sua trasformazione digitale, è palese la necessità di
valutare le competenze degli amministratori per
affrontare questa sfida e misurare la loro preparazione. Si
tratta, ancora una volta, di un problema irrisolto proprio
a causa della mancanza di un quadro di riferimento chiaro
è condiviso, che può essere affrontato facendo
riferimento alla definizione data in questa sede. La
metodologia si può utilizzare con un questionario o,
ancora meglio, con un’intervista strutturata, condotta da
uno specialista di assessment. Il processo è volto a
35
indagare tre aree: conoscere, progettare, realizzare. La
conoscenza delle tecnologie non deve essere
necessariamente approfondita, ma deve essere
sicuramente ampia. È necessario, infatti, essere
continuamente aggiornati sui progressi, in quanto a ogni
sviluppo si possono associare molte possibilità di utilizzo
pratico. Deve quindi essere fatta una ricognizione su ciò
che è conosciuto e sulla grado di padronanza. La seconda
area da valutare è relativa alla progettazione, ovvero alla
capacità di applicare le soluzioni tecnologiche note alla
realtà aziendale. Il punto di fondo è capire la propensione
a utilizzare le possibilità messe a disposizione
dall’innovazione per affrontare vecchi problemi e
sviluppare nuovi vantaggi competitivi. L’ultima area si
riferisce alla realizzazione, ovvero alla capacità già
espressa di utilizzare praticamente le conoscenze, dando
ai problemi risposte concrete basate sulle nuove
tecnologie. Complessivamente l’analisi di queste tre aree
consente di misurare in termini assoluti le competenze
digitali di ogni amministratore, quelle relative di ognuno
di loro e, complessivamente, di tutto il consiglio di
amministrazione. Inoltre, in prospettiva, la condivisione
di questa metodologia può consentire anche il raffronto
tra diversi consigli, e la correlazione con i risultati.
La trasformazione digitale è un fenomeno ineluttabile
con il quale tutte le aziende di qualsiasi settore dovranno
fare i conti. È ancora possibile anticipare il fenomeno
implementando nuove tecnologie che consentiranno di
migliorare la posizione competitiva. Per ottenere questo
36
risultato, necessario alla sopravvivenza dell’azienda,
occorre legare in modo chiaro le potenzialità di sviluppo
aziendale con le nuove tecnologie, dando al consiglio di
amministrazione un ruolo di traino. Il quadro di
riferimento proposto permette di valutare la capacità del
consiglio di amministrazione, integrando l’attivit{ di
guida strategica con un importante sforzo di
aggiornamento che consenta un approccio olistico.
37
Digital Champion6
La trasformazione digitale è il tema strategico più
rilevante che l’azienda si trova ad affrontare in questo
momento storico. Oltre alla visione e alle competenze
specifiche in materia, per misurarsi con successo con
questa sfida, devono essere messi a punto efficaci
meccanismi di funzionamento, sia del consiglio di
amministrazione che dell’intera struttura organizzativa.
Solo in questo modo, infatti, è possibile coordinare e
convogliare gli sforzi verso l’obiettivo dell’acquisizione
del vantaggio competitivo digitale che può assicurare
sviluppo e prosperità.
Caratteristiche del CdA
Per conseguire questo risultato è necessario che
l’azienda sia condotta da un consiglio di amministrazione
dotato di un mix di caratteristiche che ne facciano uno
strumento capace di potenziarne la conduzione. La
“Stella del Consiglio” (Figura 3)racchiude questi attributi,
6 Modena S., 2016, “Digital Champion”, in L’Impresa, N. 7-8, luglio-agosto,
38
che devono essere correttamente dosati, per ottenere i
migliori risultati.
Figura 3.
Composizione. La prima punta della “Stella” è
costituita dalla Composizione, ossia il mix di
genere, età, formazione, sensibilità e competenza
del consiglio di amministrazione. È evidente che la
varietà permette al gruppo di avere una
percezione della realtà molto più avanzata e
completa di quanto non possa avere il singolo,
trasformando la visione soggettiva e settoriale in
una panoramica molto più ampia e completa. Non
si tratta di avere molti consiglieri, ma di comporre
67-68.
Co
mp
osi
zio
ne
ComprensioneControllo
39
un mosaico che unisca caratteristiche diverse tra
loro.
Comprensione. L’insieme organizzato e fruibile di
conoscenze delle diverse aree del Sapere è
variamente definito in modo convenzionale, al fine
di facilitarne la sistematizzazione e lo studio. In
realtà ogni argomento può essere affrontato da
molti punti di vista. Maggiore è il mix di
competenze attraverso il quale ogni problema
viene esaminato, superiore sarà la capacità di
Comprensione di fenomeni circostanti che sarà
possibile conseguire.
Consapevolezza. Il consiglio di amministrazione è
chiamato ad esprimere le linee strategiche dello
sviluppo aziendale, un compito di grandissima
responsabilità. Gli amministratori, infatti, con le
loro decisioni, possono portare l’impresa al
successo o alla rovina, e con essa tutti gli
stakeholders. L’impatto di un errore è quasi
sempre irreversibile, per cui la Consapevolezza
dell’importanza delle scelte che compiono, deve
essere massima.
Credibilità. Vista la rilevanza delle conseguenze, gli
amministratori devono godere della massima
Credibilità, sia per quanto riguarda i singoli, che il
consiglio nel suo complesso. Essi devono ottenere
la fiducia del management, degli investitori e del
mercato e la credibilità è tanto più necessaria
40
quante più le decisioni sono frutto dell’intuito, e
quindi difficili da spiegare. Il confine tra i visionari e
gli scellerati è molto sottile e una valutazione
oggettiva è possibile solo ex post. La credibilità,
quindi, è fondamentale.
Controllo. Il consiglio di amministrazione deve
avere il pieno controllo dell’azienda, conoscere il
business e i meccanismi che la governano.
Sebbene le decisioni strategiche attengano ai
rapporti con l’ambiente esterno, la loro
implementazione dipende dalle risorse interne,
soprattutto di natura manageriale e organizzativa.
Il Controllo definisce l’attitudine a trasformare
ogni scelta in una serie di azioni coordinate,
tempestive e corrette.
Per dotare l’azienda di una governance digitale è
necessario che venga formalmente riconosciuto il valore
strategico della trasformazione digitale. Si tratta di un
atto con importanti implicazioni perché presuppone che
il consiglio di amministrazione abbia affrontato il tema,
sia dal punto di vista strategico che dal punto di vista
operativo e abbia interiorizzato la necessità di
approcciare la sfida tecnologica in modo strutturato. Ma
ancora più importanti sono le conseguenze, perché
impongono una serie di cambiamenti sia nei meccanismi
di funzionamento dell’organo decisionale che nella
struttura organizzativa aziendale. Come sta avvenendo in
altri contesti, l’azienda si deve dotare di un Digital
41
Champion, un amministratore che con competenze
proprie, doti di leadership e capacità di comunicazione si
ponga alla testa del processo di digitalizzazione. Non si
tratta, quindi, di qualcuno destinato a lavorare da solo,
ma di un leader che illumini la strada che deve essere
percorsa da tutto il Consiglio.
Il Comitato per la digitalizzazione
Il Digital Champion deve guidare un Comitato che, al pari
degli altri Comitati, permetta di approfondire rischi e
opportunit{ per l’azienda, valuti quali nuove tecnologie
possono essere applicate in azienda, sia nella produzione
che nei processi che la fanno funzionare. Il Comitato
deve guardare costantemente all’evoluzione
dell’ambiente circostante, in modo particolare all’attivit{
dei concorrenti. L’altro nodo cruciale è, infatti,
l’individuazione del momento in cui i cambiamenti
devono essere implementati. Lanciare novità sul mercato
e impegnarsi in investimenti troppo presto può avere
effetti tanto dannosi quanto perdere il momento giusto.
Il Comitato deve, inoltre, avere tra i suoi obiettivi lo
sviluppo culturale, infatti, la trasformazione digitale può
avere successo solo se interessa tutta l’azienda.
L’attenzione verso le novit{ deve essere massima, in
modo da cogliere fin dall’inizio le potenzialit{ di ciò che di
nuovo si sta sviluppando, ma soprattutto far
comprendere che ogni aspetto dell’attivit{ è soggetto a
42
potenziali discontinuità che possono portare enormi
miglioramenti.
Il Chief Digital Officer
Il coinvolgimento deve quindi essere totale e permeare
capillarmente tutta l’azienda. L’organizzazione deve
trovare un proprio punto di riferimento, in grado di
stimolare, ascoltare e gestire gli input provenienti da
ogni livello: il Chief Digital Officer. Non si tratta di un IT
Director evoluto, ma di un profilo completamente
diverso. La parte più rilevante del profilo, infatti, non
sono le competenze tecniche, ma la capacità di leggere
l’azienda in chiave digitale. L’apertura mentale, l’intuito,
la capacità di uscire dagli schemi, la leadership e la
comunicazione costituiscono le principali caratteristiche
di un manager che deve seminare dubbi per raccogliere
proposte innovative. Deve avere come interlocutore ogni
area e ogni livello dell’azienda e stimolare nuove idee.
Queste attività non possono essere fini a se stesse, e
quindi si devono trasformare in proposte concrete che,
una volta valutate insieme al Comitato e approvate dal
Consiglio di Amministrazione, devono diventare progetti,
prodotti.
È necessario passare rapidamente dall’idea alla realiz-
zazione di soluzioni innovative in grado di migliorare la
situazione competitiva.
Organizzazione e conduzione
dei lavori
43
Un progetto di cambiamento culturale di questa portata,
per avere successo, deve essere affrontato con adeguati
strumenti manageriali. Si pretendono risultati significativi
e devono essere allocate risorse appropriate. Il Digital
Champion deve convocare il Comitato frequentemente,
in modo da stimolare la generazione di idee e progetti. Il
Chief Digital Officer deve predisporre un fitto calendario
di incontri, sia per sviluppare le linee di ricerca che i test
di nuove soluzioni. Inoltre deve implementare i progetti
che hanno passato la fase di prova, e che quindi possono
entrare in produzione a pieno titolo. Tra i maggiori
pericoli per la riuscita di questo progetto ci sono
l’ostruzionismo, la sfiducia e la resistenza al
cambiamento, elementi negativi da combattere con la
celebrazione dei risultati, la premiazione delle migliori
idee e il riconoscimento del merito ai responsabili.
Dopo anni di tagli e ridimensionamenti siamo finalmente
davanti alla possibilità della rinascita, un’occasione che
può essere colta da tutto il sistema produttivo, senza
distinzioni di settori o tecnologie. La governance digitale
è il modo per affrontare un futuro che può portare un
nuova epoca di crescita e benessere. Il mix di elementi
personali, tecnici e culturali costituiscono il collante per
creare occasioni di innovazione, capaci di trasformarsi in
business di successo.
45
Il nuovo, grande, obiettivo nazionale7
La trasformazione digitale è sicuramente la più grande
sfida del sistema produttivo italiano dagli anni ’60. In
quel periodo la grandi opere infrastrutturali, come le
autostrade o la telefonia, furono trainanti nello sviluppo
del Paese, contribuendo in modo determinante al
progresso tecnologico di tutta l’industria. Il lungo
periodo di bassa crescita che ha contraddistinto almeno
gli ultimi venti anni, ed in particolare la crisi dell’ultimo
decennio, ci riconsegnano un Paese sfiduciato e troppo
poco attento alle opportunità. I dati medi, infatti,
nascondono il grande incremento delle nuove
tecnologie, un settore che offre prospettive di crescita
per l’intero sistema economico. Globalizzazione e
superamento dei vecchi paradigmi possono portare un
nuovo ciclo espansivo, a patto di sapere interpretare e
gestire il cambiamento. Deve essere comunicato un
grande obiettivo di portata nazionale capace di
coinvolgere e far convergere sforzi pubblici e privati e il
7 Modena S., 2016, “Il nuovo grande obiettivo nazionale”, in L’Impresa ,N. 9
settembre, 66.
46
digitale costituisce il settore in cui fare gli investimenti
infrastrutturali trainanti. Dal canto loro le aziende
devono cogliere l’opportunit{ e dare vita ad una
discontinuità che le porti nel futuro. La novità rispetto al
passato sta nei termini dei cambiamenti da affrontare,
che si deve sviluppare su tre dimensioni: i prodotti, i
processi, le competenze. Un insieme sempre più vasto di
tecnologie che evolvono a grande velocità, stanno infatti
modificando radicalmente valori, abitudini e necessità. Il
triplo salto che devono fare le aziende deve essere capito
e studiato prima ancora che implementato. Le aziende,
grandi e piccole, con la loro inerzia e struttura sono, in
genere, in grado di gestire la quotidianità, ma non di
affrontare il cambiamento, che è la principale attività di
cui si deve occupare il consiglio di amministrazione. Il
fattore abilitante per vincere la sfida della crescita è la
costruzione di strutture capaci di interpretare e guidare il
cambiamento cioè, la governance. Da questo punto di
vista l’et{ media colloca gli amministratori nel segmento
di popolazione meno adatto a gestire questo delicato
passaggio. L’ancoraggio a esperienze passate, i fallimenti
precedenti, lo scetticismo di chi ne ha già viste tante,
costituiscono una zavorra che limita prima ancora che
l’azione di cambiamento, la percezione della sua
necessità. Kodak, che ha visto sparire il, proprio mercato
con l’avvento delle macchine fotografiche digitali e le
agenzie di viaggio spazzate via dalla disintermediazione
causata da internet, sono esempi lampanti di quello che
succede quando si pensa che i paradigmi di business
47
siano immutabili. Ogni prodotto, ogni azienda sono a
rischio, e tocca ai consigli di amministrazione aprire la
strada verso il futuro. Ne discende la necessità di
adottare un modello interpretativo che sviluppi le
capacità logiche, di business e di pensiero strategico. In
questa direzione si sta muovendo Confindustria Digitale,
che sta portando ai propri associati, e all’intero sistema
industriale, dati e schemi pratici per la trasformazione
digitale.
49
La lingua del futuro8
Le parole sono la chiave d’accesso ai contenuti che
sottendono, per comunicare è necessario che le parti
coinvolte ne condividano il significato. Le parole
onomatopeiche semplificano la capacità di trasmettere
concetti avvicinando il senso al suono che le rappresenta.
In altri casi, invece, per capirsi è necessario conoscere
preventivamente il significato. Le parole nascono, si
modificano, invecchiano e a volte muoiono. I neologismi,
vengono coniati in continuazione per indicare qualcosa
che le parole già esistenti non sono in grado di esprimere,
e finché non diventano di uso comune creano una
barriera tra chi le conosce e chi no. In molti casi, però,
vengono utilizzate senza conoscerne la definizione
esatta sulla base di interpretazioni personali. La
trasformazione digitale è basata su nuove tecnologie che
vengono definite dagli inventori e dagli esperti, a volte
attraverso sigle, quasi sempre in inglese. Si crea così un
problema di comprensione che rende difficoltoso il
dialogo, impedendo quei salti in avanti che si potrebbero
8 Modena S., 2016, “La lingua del futuro”, in L’Impresa, N. 11, novembre,
83-84.
50
realizzare. Sapere il significato delle parole rende
possibile il dialogo e orienta verso l’evoluzione dei
prodotti, processi, comportamenti, basandosi sull’utilizzo
delle nuove tecnologie. Molte parole cominciano ad
entrare nel lessico quotidiano, e quindi diventa urgente
diffonderne il significato. Certamente la comunicazione è
il primo obiettivo, ma in realtà la conoscenza di cui
parliamo è solo il primo passo verso la creazione di
sinapsi, il cui fine è di trovare il modo di sfruttare nuove
possibilità per creare un vantaggio competitivo. Ciò è
vero e particolarmente importante per i tecnici, ma lo è
altrettanto per il Vertice dell’azienda che è spesso, un po’
per scetticismo e un po’ per ignoranza, l’ostacolo più
grande alla crescita. Le parole vanno conosciute per i
contenuti che esprimono, ma vanno anche utilizzate in
modo proattivo. Ogni amministratore e ogni manager
dovrebbe chiedersi “Come cambierà il mio business?
Come posso trarre vantaggio da queste nuove
possibilit{?”. Imparare il digitale non solo permette di
capire gli interlocutori più tecnici o innovativi e di parlare
con cognizione di causa, ma soprattutto di far crescere
l’azienda.
Additive Manufacturing. Comunemente noto come
stampa 3D, il sistema, nato negli anni 80, permette di
produrre oggetti attraverso la deposizione successiva di
strati di materiale. È utilizzato per produrre prototipi,
ricostruire elementi danneggiati, o stampi.
51
Advance Human Machine Interface (AdvanceHMI).
Nuove interfacce uomo/macchina per l’acquisizione e la
trasmissione di dati in forma vocale, visuale e tattile. Si
basa su strumenti quali i display touch o gli scanner 3D
per la memorizzazione dei gesti.
Advance Machine Learning. Software in grado di
apprendere attraverso l’interpretazione di fenomeni
complessi. Basati su reti neuronali, simulano l’intelligenza
umana e vengono impiegati per l’automazione, le analisi
di dati attraverso sistemi predittivi.
Bitcoin. Moneta elettronica, al cambio pari a circa 580€9,
utilizzabile per effettuare pagamenti istantanei, basata
su una tecnologia peer to peer in grado di operare senza
una autorit{ centrale. L’emissione di moneta e le
transazioni sono eseguite dalla rete attraverso la
tecnologa blockchain.
Big Data. Algoritmi capaci di trattare un alto numero di
variabili in modo molto veloce, e con poche risorse di
calcolo. Permettono di collegare molteplici informazioni
per visualizzare i dati attraverso modelli di
interpretazione.
Blockchain. Tecnologia per la gestione delle transazioni
attraverso un unico registro globale, pubblico e
decentralizzato, in cui vengono trascritti i trasferimenti di
52
valore senza l’intervento di una autorit{ centrale. Viene
utilizzata per la gestione dei bitcoin e potrà essere
utilizzata anche per gestire accordi (smartcontract) o
identità digitali.
Business intelligence. Trasformazione dei dati e delle
informazioni in conoscenza, attraverso l’utilizzo di
software in grado di elaborare dati provenienti da diverse
fonti e produrre report e grafici personalizzabili
dall'utente. Consente di prendere decisioni strategiche
sulla base di molteplici informazioni aggiornate e
significative.
BYOD - Bring Your Own Device. Utilizzo autorizzato di
dispositivi personali sul posto di lavoro da utilizzare per
accedere alle informazioni aziendali e alle loro
applicazioni. Consente di creare ambienti separati, per
uso aziendale e personale sullo stesso device.
Cloud. Tradotto in italiano con il temine di “Nuvola”,
indica una modalità di fruizione delle risorse informatiche
(elaborazione, trasmissione dati, archiviazione) a
richiesta utilizzando internet sulla base di risorse
preesistenti e configurabili.
Cybersecurity. Insieme di tecnologie, processi e
procedure atte a proteggere reti, computer, programmi
e dati da accessi non autorizzati o attacchi esterni.
99
Quotazione novembre 2016
53
Collaborative Robotics. Nuova generazione di robot
dotati di sensoristica, capaci di svolgere azioni e
interagire con gli esseri umani, grazie alla potenza di
calcolo e sofisticati sistemi di intelligenza artificiale.
CDO – Chief Data Officer. Responsabile della gestione e
dell’utilizzo strategico dei dati a fini strategici. Ha come
obiettivo l’incremento della qualit{ delle informazioni
disponibili dettando le policy per la loro raccolta, analisi,
elaborazione e archiviazione.
FabLab. Laboratori dotati di infrastrutture digitali che
consentono l’accesso agli strumenti di invenzione a
chiunque li richieda. Hanno avuto origine Center for Bits
and Atoms (CBA) dell’MIT di Boston e si sono estesi fino
a diventare una rete collaborativa globale.
Fintech. Tecnologie dell’informazione che stanno
rivoluzionando i modelli di business della finanza.
Le Fintech sono in grado di gestire in modo innovativo,
veloce ed economico i servizi finanziari tradizionali come
i sistemi di pagamento, i finanziamenti e gli investimenti.
Inoltre sono utilizzate per la creazione di nuove valute
elettroniche come i Bitcoin.
Industry 4.0. Termine coniato dal programma del Governo
tedesco per la digitalizzazione della manifattura, che segue
la prima rivoluzione, dovuta alla macchina a vapore, la
54
seconda, legata alla produzione in serie, e la terza, prodotta
dall’avvento dei computer. Complessivamente indica il
cambiamento portato dall’insieme delle tecnologie digitali.
IoT – Internet of Things. Neologismo che indica la
connessione attraverso Internet delle cose, una
tecnologia che consente di interfacciare singoli oggetti
abilitando uno scambio dinamico di dati e consentire il
governo e l’autoregolazione di sistemi complessi, anche
distanti tra di loro, grazie allo scambio di dati.
Mobile Business. Applicazioni e servizi utilizzati per
sviluppare rapporti basati su strumenti di utilizzo in
mobilità, come gli smartphone. Si sviluppa in azienda
grazie alle tendenze di lavoro basate sulla flessibilità e
l’autonomia dei collaboratori.
Smart Manufacturing. Produzione caratterizzata
dall’adozione di tecnologie digitali in grado di aumentare
l’interconnessione e la cooperazione tra macchine
persone e dati, sia all’interno che all’esterno dei luoghi di
produzione.
Virtual and Augmented Reality. Simulazione (Virtual) di
esperienze sensoriali o aumento (Augmented) delle
percezioni dei cinque sensi.
Wearable Device. Dispositivi da indossare interconnessi,
attraverso applicazioni mobili, a persone e aziende,
55
capaci di interagire con Internet of Things.
Sharing Economy. Nuovo modello economico alternativo
al consumismo basato sullo scambio la condivisione di
beni, servizi e conoscenze, volto alla riduzione dei costi e
dell’impatto sull'ambiente.
Zettabyte. Unità di misura della quantità di dati, derivato
dalla unione del prefisso “zetta” con “byte”, espresso
dal simbolo ZB. Zetta deriva dal greco “sept” e indica la
settima potenza di 1.000, equivale a 1021 , ovvero un
triliardo di byte.
57
Che cos’è il capitale digitale10
Con il passaggio dall’economia fondata sull’agricoltura
dominata dall’aristocrazia, a quella industriale basata
sull’industria controllata dalla borghesia, nasce la
necessità di definire il concetto di capitale.
La teoria economica classica lo include come uno dei tre
fattori di produzione insieme alla terra e al lavoro.
Caratteristiche del capitale sono: la possibilità di utilizzo
nella manifattura di altri beni, l’essere prodotto
dall’uomo, contrariamente alle risorse naturali, e non
poter essere usato direttamente nei processi
manifatturieri.
La sua definizione ci consente di introdurre un altro
elemento fondamentale, l’accumulazione del capitale,
cioè la capacità di creare un valore maggiore rispetto a
quello iniziale.
La teoria economica classica ci porta a tradurre il capitale
10
Modena S., 2016, “Che cos’è il capitale digitale” in L’Impresa. N. 12,
dicembre 2016, 90-91.
58
in immobilizzazioni per la fabbricazione di beni, facendoci
immaginare le filande, le macchine a vapore, un mondo
ottocentesco in cui, grazie all’investimento di capitale in
mezzi di produzione, viene creata e accumulata la
ricchezza.
Forse prendendo le mosse dalle correlate lotte operaie
per il miglioramento delle condizioni di vita negli opifici,
successivamente, altri economisti hanno via via ampliato
il concetto, includendovi gli investimenti per l’aumento
dell’istruzione e della conoscenza, introducendo, infine,
la nozione di capitale umano. In questo modo, quindi, si è
aperta la strada per considerare altre accezioni di
capitale: sociale, individuale, relazionale, organizzativo,
naturale, infrastrutturale; in questo filone può, ad ogni
buon conto, ascriversi anche il capitale digitale.
L’attuale momento economico si caratterizza per
l’abbondanza di risorse finanziarie, energetiche e
intellettuali a basso costo, rispetto al passato.
La disponibilità di tecnologie di nuova generazione rende
possibili forti discontinuità in molti settori, promuovendo
rapidi cambiamenti nella definizione dei mercati e nei
modelli di business.Il capitale digitale contribuisce alla
disgregazione di posizioni di rendita e vantaggi
competitivi dati per acquisiti. Ecco quindi l’impellente
necessità di definirlo e cercare di misurarlo, sia per
continuare a competere sviluppandolo, che per valutarlo.
In primo luogo, quindi, seguendo la teoria classica, il
capitale digitale può essere visto come un altro fattore di
59
produzione.
Elementi distintivi che lo caratterizzano sono (Figura 4):
l’elaborazione di grandi masse di dati in tempi
velocissimi;
l’interconnessione tra persone e macchine;
l’utilizzo di algoritmi personalizzati;
la geolocalizzazione di persone e oggetti;
la capacità evoluta di analizzare i feedback
ricevuti.
In quest’ottica possiamo vedere il valore digitale degli
smartphone, delle piattaforme - come facebook,Uber,
Airbnb- dei roboadvisor e tutti di tutti quei prodotti e
servizi che consentono di superare le modalità classiche
di rapporto con i clienti.
Figura 4.
60
La stessa cosa vale per la segmentazione del mercato,la
personalizzazione dei prodotti, nonché la manifattura di
beni, ad esempio attraverso l’additive manufacturing. Ma
ciò che più distingue il capitale digitale è l’enorme
quantità di dati che è in grado di generare. È questo che
crea, come nella teoria classica, un valore superiore a
quello di partenza, in quanto gli stessi dati permettono di
migliorare la profilazione degli utenti, accrescendo il
valore dell’informazione.
L’integrazione di diverse tecnologie, la raccolta e la
strutturazione di input e output, con il risultato di una
conoscenza personalizzata e automatizzata di ogni
singolo cliente, e non solo del cluster a cui appartiene. La
creazione di un intermediario silente ma sempre
presente e onnisciente, allarga i limiti classici di fruizione
dei dati per avvicinarsi sempre più attivamente ad ogni
consumatore.
Tralasciando per un momento le implicazioni di controllo
e predizione dei comportamenti individuali, un tema
estremamente scottante e ancora, nonostante tutto,
molto sottovalutato, si possono cogliere qui le
conseguenze nella ridefinizione nei mercati e nei modelli
di business, che si intrecciano e si confondono. Il capitale
digitale, in prospettiva, è quello che permette di definire
facebook un editore, ma potenzialmente anche una
banca, e Amazon una libreria ma, al contempo, una
catena di negozi.
Uno dei più comuni errori delle aziende, è di guardare
molto al proprio interno, poco alla concorrenza e quasi
61
per niente al resto del mondo, almeno finché non è
troppo tardi. Oggi,più che mai, osservare cosa sta
succedendo è vitale, per non ritrovarsi fuori mercato.
Una delle caratteristiche delle trasformazioni a cui stiamo
assistendo è il fiorire di aziende che sviluppano nuovi
modelli di business in concorrenza con i player storici.
Le start up che nascono nei garage possono in gran parte
essere destinate al fallimento o rimanere piccole imprese
di nicchia, ma tra di esse qualcuna, fosse solo per la legge
dei grandi numeri, sarà in grado di rivoluzionare interi
mercati.
Le società che non sono in grado di creare da sole
innovazioni dirompenti devono guardare a queste realtà
e puntare ad acquisire quelle che possono aiutarle a
velocizzare i loro processi di trasformazione.
Il compito di avere questa visione spetta inevitabilmente
al Consiglio di Amministrazione, che deve tracciare la
strategia e condurre l’azienda verso il futuro.
La governance della società deve essere quindi adeguata,
scegliendo amministratori in grado di capire l’impatto
della trasformazione digitale e implementare sistemi di
governo che premino l’innovazione.
Nei prossimi anni si vedranno sicuramente passare di
mano pacchetti di controllo di neonate attività che
promettono un brillante futuro, ma il Consiglio di
Amministrazione, a cui spetta anche il compito di
approvare gli investimenti e le acquisizioni, dovrà aver
ben chiare le modalità di valutazione.
Bisognerà evitare di ripetere gli sbagli del passato, in cui
62
le start up sono state spesso strapagate.
L’individuazione di un corretto criterio di determinazione
del prezzo è un altro aspetto cruciale della definizione
del capitale digitale. I principi a cui ispirarsi sono gli stessi
gi{ in uso: l’obiettivit{, la razionalit{, la stabilit{ e la
neutralità. In pratica è necessario creare un sistema che
permetta di costruire un ragionamento economico logico
e condivisibile, in cui diversi valutatori, partendo da
differenti basi, possano arrivare alle stesse conclusioni.
La prassi aziendale ha sviluppato una molteplicità di
metodi di calcolo: diretti indiretti, semplici e complessi,
tutti validi in specifiche circostanze.
Nel nostro caso la principale difficoltà risiede nello
sconto delle aspettative, fondate sull’evoluzione sempre
più veloce del mercato. Infatti, si tratta di un dato molto
soggettivo che può far variare significativamente il
prezzo.
Pur non potendo dare una regola, possiamo comunque
rimarcare come un allontanamento dai valori individuati
con metodi tradizionali, costituisca un grande rischio e
vada guardato con il dovuto sospetto. Non tutto ciò che
è digitale, infatti, è necessariamente utile. Era già
successo all’epoca delle “.com”, ma con il tempo certe
lezioni si tendono a dimenticare, invece che a tenerle ben
presenti.
La dote più importante delle innovazioni digitali, risiede
nella capacità di trasformazione del business, nel
miglioramento dell’efficienza dei processi, nella
diminuzione del costo dei prodotti e nell’incremento di
63
utilit{ per i consumatori. Saranno concetti “analogici”,
ma valgono tutt’ora! La visione, l’assunzione del rischio,
insieme a una buona dose di realismo, costituiscono,
come sempre, il mix giusto per le decisioni difficili.
Le imprese, e i loro Consigli di Amministrazione, devono
promuovere attività di formazione per migliorare la
comprensione di questo nuovo e travolgente fenomeno,
e creare il terreno adatto per accrescere il capitale
digitale aziendale. Il valore, infatti, risiede nel far fruttare
ciò che si ha, combinando idee e tecnologie. Finché non è
stato inventato il motore a scoppio il petrolio non valeva
praticamente niente. In definitiva, sono le idee che
rendono utili le tecnologie e possibile la creazione della
ricchezza.
65
La grande chance del talento digitale11
Il talento, come molte altre cose, ci fa capire quanto poco
si sia evoluto l’uomo negli ultimi 4000 anni. Con un salto
nel tempo, ci riporta ai sumeri, che lo utilizzavano come
unità di misura del peso dei metalli preziosi. Dopo di loro
anche i babilonesi, gli ebrei gli egiziani e i greci prima dei
romani lo hanno impiegato per i loro commerci.
L’odierno talento viene dal latino talentum, che ha
origine dal greco talanton, che significava scala, bilancia.
Certo, nel tempo allo stesso termine si sono associati pesi
diversi: per i greci erano 26 kg, per gli egiziani 27 kg, per i
babilonesi 30 kg, per i romani 32 kg Per gli ebrei al tempo
del Nuovo Testamento il talento equivaleva a quasi 60
kg. In comune, però c’era sempre un grande valore. Al
prezzo odierno dell’oro, un talento equivarrebbe a oltre 2
milioni di euro!
Nel Vangelo secondo Matteo, è narrata la parabola dei
11
Modena S., 2017, “La grande chance del talento digitale” in L’Impresa N. 1
gennaio, 67-68.
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talenti, in cui un uomo in partenza per un viaggio affida ai
suoi tre servi il suo patrimonio, una pratica molto diffusa
quando il ritorno era incerto. Al primo lascia cinque
talenti, al secondo due talenti, al terzo un talento. I primi
due impiegano i talenti raddoppiando la somma ricevuta,
il terzo lo sotterra per conservarlo. Al suo ritorno il
padrone elogia il comportamento dei primi due,
biasimando quello del terzo. Trattandosi di una parabola,
dobbiamo pensare che la disapprovazione fosse relativa
al mancato utilizzo di qualcosa di prezioso ricevuto in
dono, appunto il talento.
Così, con il tempo, il termine talento ha assunto il
significato di dono, capacità. Un’inclinazione naturale che
deve essere valorizzata, perché è riprovevole che vada
sprecata. Il talento, però, non si materializza da solo,
deve essere scoperto e ha bisogno di un’opportunit{ per
esprimersi e, soprattutto, di molta applicazione per
emergere. Pur essendoci diverse scuole di pensiero, non
ci sono dubbi che il talento vada coltivato con impegno e
con molto lavoro. Da solo il talento non basta, se non è
messo a frutto con ore e ore di studio, allenamento,
prove, ripetizione maniacale fino ad arrivare alla
scioltezza della perfezione.
Nelle aziende ben gestite e lungimiranti, il talento
dovrebbe essere individuato e catalogato fin dal
momento dell’assunzione, in modo da poterlo sviluppare
nel corso del tempo, a seconda delle necessità,
investendo correttamente sulle persone giuste. La
persona talentuosa, rispetto a chi ha semplici capacità
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tecniche, ha quel qualcosa in più, in termini di intuizione,
velocità e capacità di realizzazione, che fa la differenza
rispetto agli altri. Le aziende, fatte di persone, troppo
spesso dimenticano che il loro successo è legato alla
somma dei singoli, e che tutti insieme costituiscono
quell’entit{ che compete sul mercato per il successo.
Così, succede che le persone vengano utilizzate per
compiere attività non automatizzate, ma con un basso
contenuto intellettuale e creativo. È una modalità di
lavoro ben conosciuta che implica che tutto sia già stato
previsto e strutturato prima. Il grande limite,
ammettendo che il lavoro affidato sia stato ben
concepito, è che non tiene conto di quanto muti
velocemente la realtà. Il talento, quindi, emerge come
l’arma vincente nei contesti, come quelli della
trasformazione digitale, in cui sono necessari contributi
innovativi. Un tema così importante, che deve essere
trattato dal Consiglio di Amministrazione come uno di
quelli chiave nella strategia dell’azienda. L’organo di
gestione deve dare le linee guida per la definizione della
struttura organizzativa, il riconoscimento del talento e
l’offerta di opportunit{ per farlo emergere.
Il talento digitale è uno degli asset strategici, le aziende
devono essere in grado di riconoscerlo e utilizzarlo al
meglio. Per molte start up è quasi intrinseco alla loro
natura, poiché nella maggior parte dei casi è l’elemento
essenziale e distintivo della loro nascita. Spesso coincide
con le skill dei fondatori, ed è implicito nella realizzazione
del prodotto che viene proposto al mercato. È proprio
68
dalla sua espressione che nasce una nuova azienda,
grazie alle infinite ore di lavoro passate dai fondatori a
mettere a punto prodotti innovativi. Visto l’effetto
positivo sul business, il talento digitale deve essere
ricercato da tutte le aziende per rimanere competitive e
al passo con le nuove tecnologie. Se facciamo un salto
nel medio evo, troviamo Giotto. Si dice che la sua bravura
fosse stata notata da Cimabue mentre disegnava a
carbone delle pecore su un sasso (Figura 5).
Figura 5.
Egli entrò cosi nella bottega dove trovò l’ambiente giusto
per esprimersi compiutamente. Ritornando ai nostri
69
giorni, dobbiamo chiederci dov’è il nostro “Cimabue”
aziendale e quali sono le “pecore” che il “Giotto” che
stiamo cercando sta disegnando. Per scoprire il talento è
necessario definire una griglia delle capacità di cui
l’azienda ha bisogno. Per quanto riguarda le capacità
tecniche esistono strumenti, come lo European e-
Competence Framework, che permettono di valutare le
skill tecniche di coloro che operano in ambito IT. Una
metodologia che può essere replicata per stilare le
competenze digitali da ricercare in tutte le funzioni
aziendali. Invece, per quanto riguarda “Cimabue”, ossia
chi deve scoprire il talento, bisogna ispirarsi alle start up.
Non è un compito che possa essere affidato ad un
responsabile, ma il frutto di una cultura aziendale in cui
tutti, capi e collaboratori, sono allineati su un progetto
strategico e ognuno possa proporre e sfidare chiunque a
mettere a frutto il proprio talento. Per questo sono
necessarie tecniche di gestione sofisticate delle risorse
umane, una funzione che ha istituzionalmente questo
ruolo. Da questo punto di vista, l’inerzia delle grandi
società costituisce un handicap che può essere superato
con specifici spin off o acquisizioni di nuove società, in
modo da rimuovere le resistenze del pensiero
prevalente.
Benché di talent management si parli da almeno 25 anni,
la ricerca del talento digitale assume connotati molto
diversi nella situazione attuale. La congiuntura negativa,
infatti, ha contratto gli interventi in questa direzione,
riducendo anche la capacità competitiva prospettica. In
70
ogni azienda è comunque possibile lanciare un
programma, che per sua stessa natura possa essere
definito un “investimento strategico”. Questo significa
che i ritorni attesi devono essere significativamente
superiori ad impieghi alternativi delle risorse, e che la loro
riuscita possa portare ad un duraturo vantaggio
competitivo. Il vertice aziendale deve dare l’opportunit{
di “disegnare pecore”, cioè la possibilit{ di proporre
progetti, tra cui selezionarne un certo numero da portare
avanti. Sarebbe auspicabile che fossero raccolte
proposte per la realizzazione di prodotti, applicazioni,
processi, basati sulle nuove tecnologie. Le proposte
dovrebbero, quindi, essere vagliate con la strategia
aziendale per investire su quelle in grado di far fare
all’azienda un salto in avanti rispetto ai concorrenti.
Il successo è anche frutto della perseveranza, e anche il
talento digitale va aiutato con l’applicazione continua.
Sui progetti prescelti deve essere imposto il ritmo,
esercitata la supervisione, verificato lo stato di
avanzamento, e questo è compatibile solo con un
impegno completo. I risultati sono funzione e del tempo
dedicato, un’equazione che non va dimenticata quando si
tratta di allocare i carichi di lavoro.
Tutto ciò potrebbe sembrare utopistico e costoso. Ma si
tratta di costo o opportunità? Il talento digitale consente
di fare il salto nel futuro di cui molte aziende italiane,
soprattutto quelle che più hanno sentito la crisi di questi
anni, hanno bisogno per ritrovare la competitività che ha
ridotto i loro margini. A ben vedere, il costo sta più nella
71
mancanza di visione e di presa di coscienza dei
cambiamenti, nella vana speranza che le condizioni
competitive e di mercato ritornino quelle di un florido
passato, che nella ricerca di nuovi modi di avere un ruolo.
Un’opportunit{ unica per sradicare quelle inefficienze
consolidate che tendono ad annidarsi in tutte le
organizzazioni.
Davanti alla sfida del cambiamento, non c’è mai modo di
restare ancorati ai vecchi schemi, e la trasformazione
digitale sta rompendo i paradigmi consolidati di molti
settori. Il talento costituisce un dono inaspettato che
deve essere riconosciuto e valorizzato. Seppellire i propri
talenti costituisce uno spreco di risorse che nessuna
azienda può permettersi, senza pagarne presto le
conseguenze.
73
La corsa all’oro digitale12
Nel 1848 si scatenò negli Stati Uniti la prima corsa all’oro,
una vera e propria migrazione di migliaia di persone che,
con il sogno di fare fortuna, abbandonarono le loro case
per dirigersi a ovest, in California. Seguirono il Nevada, il
Colorado, il Montana, il Klondike, l’Alaska e i Monti
Appalachi. La corsa all’oro, in realt{, fu un fenomeno
globale, infatti coinvolse anche l’Australia, la Nuova
Zelanda e il Sud Africa. Tra il 1848 e il 1915 contagiò anche
l’Italia, in particolare sul Monte Rosa e nel biellese.
L’epopea, anche se in modo frammentario, ci è ben nota
attraverso film, libri e perfino fumetti: chi non ricorda che
Zio Paperone ha guadagnato il suo primo milione di
dollari cercando oro nel Klondike! Sappiamo così che solo
pochi, tra tutti coloro che si riversarono nei luoghi della
promessa ricchezza ebbero successo. La maggior parte
spese propri risparmi nella ricerca, conducendo una vita
di stenti, difficile e pericolosa, da cui riuscì a ricavare solo
il minimo indispensabile per una misera sussistenza. Si
arricchirono invece tutti coloro che vivevano dell’indotto
e che fornivano servizi e strumenti ai cercatori d’oro. Una
12
Modena S., 2017, “La corsa all’oro digitale”, in L’Impresa, N. 2, febbraio,
91-92.
74
lezione che non bisogna dimenticare nella corsa all’oro
digitale che si è diffusa in tutto il mondo.
La trasformazione digitale promette grandi risultati,
quindi è necessario conoscere e adottare le ultime
tecnologie per sfruttarne al massimo i vantaggi. Cum
grano salis. Quando si è diffuso il commercio elettronico
all’inizio del 2000, sembrava che non si potesse vivere se
non facendo gli ordini on line, dal PC. In gran parte dei
casi quello che arrivava era un fax, che si mescolava con
tutti gli altri senza nessun vero vantaggio né per il
fornitore né per il cliente. Su questi problemi si sono
consumati veri e propri drammi, soprattutto sotto
Natale, con aziende incapaci di consegnare i regali per
tempo, bambini delusi e clienti inferociti. Tutto ciò non ha
evitato che l’e-commerce abbia preso piede e si sia
diffuso a tutti i livelli, anche se, ovviamente, alcuni ne
hanno avuto maggiori vantaggi, e interi settori hanno
visto modificare le loro modalità di acquisto e
d’interazione con i clienti.
Le vaste praterie digitali offrono eccellenti prospettive a
due tipologie di imprenditori: gli startupper e gli
innovatori. I primi reinventano vecchi prodotti con nuove
tecnologie, o meglio ancora, propongono nuovi prodotti
basati su nuove tecnologie; i secondi utilizzano
potenzialità offerte dai nuovi sistemi per adeguare il loro
ruolo sul mercato alle mutate condizioni dell’ambiente
circostante. Entrambi, però, vanno incontro a temibili
pericoli. Le start up, quelle vere, per definizione
esplorano l’ignoto e si basano su intuizioni.
75
Di fronte hanno il grande rischio di non essere capite, il
problema di cambiare le abitudini consolidate e perfino
l’incognita dell’adeguatezza delle tecnologie ancillari che
possono limitare, rendere costose o inefficienti le nuove
invenzioni. Incertezze cha hanno dovuto affrontare
prodotti come il fax, il computer o gli apparecchi per la
videoconferenza. La grande scommessa di questi
imprenditori è di cambiare il mondo e diventare ricchi,
una forza enorme che genera ottimismo e trasformazioni
epocali. Ma anche le aziende più strutturate devono
affrontare i cambiamenti per mantenere la loro
leadership, avendo cura di creare valore e non seguire
mode effimere. Nei grandi gruppi i dibattiti su questioni
del genere sono sempre all’ordine del giorno.
Coinvolgono le linee che vedono in nuovi investimenti la
soluzione ai loro problemi, i CFO che cercano di trovare
formule che rendano oggettivi i risultati attesi, e il
Consiglio di Amministrazione, che spesso deve
scommettere su cosa funzionerà e cosa no, senza che sia
possibile ottenere adeguate informazioni per decidere. I
risultati sono spesso catastrofici e non sempre facilmente
prevedibili.
I sogni degli imprenditori, che poi diventano la vision
delle aziende che investono nella propria identità
diffondendo lungo tutta l’organizzazione i propri ideali,
sono il faro delle decisioni strategiche. Ancorché
confortate da analisi economico finanziarie, è il desiderio
di creare qualcosa di originale che spinge le imprese a
cimentarsi con l’innovazione. La frase se avessi chiesto
76
alla gente cosa voleva, mi avrebbe detto “cavalli più
veloci”, non “un’automobile”, attribuita a Henry Ford, fa
giustizia sul fatto che sono i visionari a creare le
discontinuità che variano per sempre la vita delle
industrie e delle persone. Nella trasformazione digitale ci
troviamo, quindi, di fronte alla difficoltà di capire per
tempo se il mercato, la tecnologia e i clienti sono pronti
per un nuovo prodotto, se l’organizzazione sapr{
adattarsi a un nuovo processo, se le persone
adegueranno il loro profilo di competenze, perché
questo ne determinerà il successo o il rifiuto, e con essa
le sorti dell’azienda. Questo non vuole certo dire agire in
difesa, ma piuttosto essere coscienti che non tutto andrà
bene e che gli investimenti devono essere basati sulla
capacità di sopportare un certo numero di fallimenti,
piuttosto che sulla spasmodica ricerca del solo risultato
positivo. Una decisione che può essere presa solo da un
vertice aziendale in sintonia con il proprio mercato e
consapevole del grado di rischio accettabile per
l’azienda. Una tipica competenza da consiglio di
amministrazione attento e preparato.
In ogni azienda si annidano di continuo pepite digitali,
ossia la possibilità di ottenere risultati significativi con
investimenti, in fondo, contenuti. L’approccio deve
essere proprio quello dei cercatori d’oro, armati di batea
(Figura 6) , la tipica padella per setacciare le acque dei
fiumi, e pazienza. L’approfondita conoscenza del
mercato, dei processi e delle tecnologie, permette di
individuare le innovazioni dalle grandi potenzialità. In
77
questi casi, inoltre, i rischi di un flop sono limitati e non
possono precludere la buona salute dell’azienda.
Una caratteristica delle pepite è di non essere isolate, ma
di trovarsi nei giacimenti auriferi. Trovata la prima non
resta che continuare l’opera per far diventare i processi
sempre più fluidi, efficienti e di prodotti sempre più
personalizzati, utili e economici. Una vera e propria
miniera, fatta di piccoli e grandi miglioramenti, sostenuti
da molte tecnologie in continuo mutamento. In questo
modo si unisce la conduzione del consiglio di
amministrazione, focalizzata sulla strategia di lungo
periodo, incline a valutare le potenziali discontinuità, con
la gestione del management delle attività correnti,
attenta al miglioramento incrementale. Il digitale di oggi
è un vero e proprio giacimento per le aziende che
devono essere pronte e attente a sfruttare ogni
opportunità per acquisire vantaggi competitivi duraturi.
Quanto più la tecnologia è pervasiva e complessa, tanto
più diventa importante il lato umano per poterla capire e
gestire. La base del successo, infatti, sta nella capacità
culturale di leggere l’accettazione e il rifiuto delle novit{
da parte di una società che usa strumenti moderni senza
conoscerli. Si sente la necessità di un approfondimento
della formazione intellettuale che permetta di mettere in
comune il ruolo, la scienza e l’arte, dove quest’ultima
contiene tutta l’umanit{ e la fragilit{ delle persone. Ne
consegue che spesso gli imprenditori e le aziende sono
innamorati del loro prodotto, senza però riuscire a
vederne l’integrazione nella realtà circostante. Queste
78
considerazioni portano a dire che bisogna affrontare il
futuro con ottimismo ma consci del fatto che,
inevitabilmente, solo pochi avranno un trionfo
planetario. In ogni caso il terreno sul quale ci muoviamo è
quello che dà maggiori prospettive di crescita e sul quale
si possono cimentare con maggiori possibilità di successo
gli spiriti più liberi e intraprendenti. Anche quelli che non
diventeranno ricchi saranno sicuramente ricompensati,
dando un senso superiore al loro lavoro e al loro sforzo di
contribuire ad un mondo migliore.
Figura 6.
79
Così si costruisce la leadership digitale13
Due distinti signori inglesi si incontrano davanti alla porta
del club in cui stanno entrando. Molto cortesemente uno
esclama “prego!”, lasciando il passo all’altro, che a sua
volta risponde “prima lei!”, restando sulla porta. I due
continuano: “si figuri, passi pure!”. “Ma no, entri lei!”. La
cosa va avanti per un po’ finché uno dice“please, lead the
way!”. L’altro, investito della responsabilità, varca la
soglia e la situazione si sblocca.
Questo aneddoto riassume il concetto di leader, ovvero
quello che deve aprire la strada, affrontare per primo
l’ignoto e guidare verso l’obiettivo, dando la sicurezza di
sapere dove sta andando in modo da avere compatti
dietro di se gli altri.
Sappiamo che essere dei buoni leader non è facile, anche
perché, per quanti tentativi siano stati fatti, è molto
difficile imparare, ma anche insegnare.
13
Modena S., 2017, “Così si costruisce la leadership digitale” in
L’Impresa N. 3 marzo 2017, 92-94.
80
Sono state condotte innumerevoli ricerche
sull’argomento, cercati i tratti che accumunano i leader,
sintetizzate tecniche e ricette, ma alla fine sembra che
una cosa sola funzioni: l’autenticit{. I leader riescono a
fare naturalmente cose che fatte da altri sarebbero
ridicole o assurde. Hanno delle doti naturali, ma
soprattutto sanno sfruttarle. Magari non sono in grado di
razionalizzare perché, ma hanno un seguito, ed è questo
che li trasforma in leader. Non sono dei capi, anche se i
ruoli possono coincidere, perché la loro influenza non
viene dall’autorità, ma dalla fiducia che gli altri ripongono
in loro. Partendo da questa base possiamo dire che la
leadership consiste proprio nell’attivit{ svolta dal leader
per trascinare i suoi seguaci verso l’obiettivo.
In questa sede ci interessa in particolare l’aspetto legato
alla guida verso l’ignoto, perché la digital transformation
è un cammino quasi sconosciuto, in cui mancano punti di
riferimento, dove servono a poco le esperienze passate
ed è facile sbagliare, ma che offre incredibili opportunità.
Un approccio strutturato deve affrontare due tipi di
problemi: da un lato individuare il leader in grado di
guidare le persone, dall’altro definire una strategia
dell’azienda rispetto a questo cambiamento epocale. In
pratica parliamo di leadership aziendale e leadership
personale.
Non sono questioni che possono essere lasciate al caso o
alla buona volontà dei singoli, devono essere frutto di
precise decisioni prese dal vertice, che per primo deve
essere formato culturalmente per affrontare questo tipo
81
di problemi.
Il pericolo più grosso è che venga sottovalutato l’impatto
di queste novità, lasciando così, che la concorrenza più
agguerrita e attenta riesca a trarne maggior vantaggio. Il
primo versante della leadership digitale, è quello
aziendale, che attiene alla posizione relativa dell’azienda
sul mercato. I pilastri sono la profonda conoscenza del
mercato e della concorrenza, la capacità di orientare e
interpretare i bisogni futuri dei clienti, la sensibilità
rispetto alla tecnologia disponibile e le sue possibili
applicazioni. Queste aziende sono quelle che assumono
la leadership e diventano il benchmark per tutte le altre.
Anche se potrebbe sembrare una banale questione di
classifica, in realt{ in gioco c’è la capacit{ di soddisfare i
clienti e ottenere risultati economici superiori alla media
del settore di appartenenza.
Oltre alla soddisfazione di creare valore per gli azionisti, e
presumibilmente ottenere significativi incentivi per il
management, ne deriva la possibilità di generare risorse
per ricerca, investimenti, acquisizioni e formazione. In
pratica tutto ciò che serve per un equilibrio dinamico
sostenibile nel lungo termine.
Gli ingredienti fondamentali per raggiungere questa
situazione ideale, sono sostanzialmente due: la visone
strategica e un leader che la implementi con decisione. La
prima discende dalla capacità del Consiglio di
Amministrazione di interpretare i segnali esterni e
anticipare il futuro. Un compito non facile e spesso
soggetto ad errori, verso il quale ci si può porre in due
82
modi: facendo la prima mossa oppure attendendo che si
faccia chiarezza sulla direzione da prendere. In entrambe
le ipotesi si incorre in grandi rischi: nel primo caso si
potrebbe imboccare una che si può rivelare sbagliata e
onerosa, nel secondo caso, di arrivare tardi e perdendo i
vantaggi di essere i primi. La soluzione del problema è in
mano agli azionisti. A loro, infatti, spetta la responsabilità
e il diritto di nominare il consiglio di amministrazione,
l’organo cui è demandato l’indirizzo strategico
all’azienda. In questo consesso si devono ritrovare le
competenze e la capacità di lavorare insieme, la capacità
di prendere decisioni sulla base di informazioni
incomplete, assumendosi un certo grado di rischio.
La trasformazione digitale, nell’attuale fase storica, può
essere come un macigno che può schiacciare l’azienda, o
essere il carburante della discontinuità, in grado di
proiettarla in un futuro di successo. Tra le decisioni,
fondamentale è l’identificazione della persona a cui
affidare il compito di guidare il delicato processo di
trasformazione.
Un possibile approccio parte dall’individuazione del
leader e all’assegnazione formale di questo ruolo. Questo
metodo è largamente condiviso e utilizzato, anche se le
critiche sulla sua adeguatezza ed efficienza non
mancano. Di fatto si tratta di individuare e nominare
formalmente il Digital Champion.
L’indiscusso vantaggio è di inserirsi nell’alveo di concetti
già noti, ma proprio per questo può comportare il rischio
di proporre una soluzione che può essere percepita come
83
poco tarata sulle esigenze specifiche.
Un’alternativa, che sta emergendo nella pratica, è la
nomina del Chief Digital Officer (CDO). Una figura che non
ha ancora trovato una propria identità definita, anche se
testimonia l’attenzione alla trasformazione digitale. In
questo caso bisogna fare attenzione a non cambiare solo
il job title del capo dell’IT senza che ne derivi un
cambiamento di contenuto del suo lavoro, o peggio, di
indirizzare le attività esclusivamente sul versante
tecnologico, quando la sfida è soprattutto culturale e
organizzativa.
In ogni caso, affinché possa portare significativi risultati,
è necessario individuare correttamente le caratteristiche
che deve avere la persona prescelta.
Si tratta naturalmente di individuare tratti della
personalità e comportamentali, ecco quindi emergere il
profilo di una persona professionalmente competente su
questi temi, ed insieme capace di esprimere i tratti del
leader.
La teoria ha dato diversi significati di leadership, basate
sulla preminenza degli aspetti considerati, che ci danno la
possibilit{ di tracciarne l’identkit.
Si tratta di una persona che emerge all’interno di un
gruppo, un protagonista capace polarizzare su di se
l’attenzione degli altri componenti.
L’empatia, la capacit{ di ascolto e di sostenere le proprie
idee e posizioni ne accrescono il rispetto e gli
permettono di creare un ampio consenso e persuadere
anche i più scettici, mantenendo un clima positivo e
84
collaborativo nel gruppo.
Con il suo comportamento riesce a stimolare e motivare
gli altri, ottenendone ascolto e collaborazione. Purtroppo
in azienda non sempre ci sono persone con tali
caratteristiche, e di fronte a questo problema si pongono
diverse possibili soluzioni: la prima, trovare all’esterno la
persona giusta; ciò implica grande chiarezza di idee e
coinvolgimento del vertice.
La seconda, è selezionare e far crescere dall’interno il
leader di cui l’azienda ha bisogno, sempre che ce ne sia
effettivamente il tempo.
Da ultimo, la soluzione meno efficiente, anche se
possibile, affidare il ruolo ad una persona del vertice, alla
quale molte delle caratteristiche richieste sono
naturalmente riconosciute per la posizione ricoperta.
La leadership digitale, quindi, va costruita un passo alla
volta, con una visione chiara degli obiettivi e seguendo
un percorso ben definito (Figura 7).
Gli elementi chiave sono: la conoscenza delle tecnologie
disponibili, la scelta di amministratori dotati di specifiche
competenze e capacità di lavorare con altre persone in
condizioni di pressione. Da qui deve discendere la
definizione da parte del consiglio di amministrazione
della visione di una leadership aziendale e la capacità di
selezionare un leader dotato delle caratteristiche
personali adeguate per affrontare la sfida.
87
Il simulatore organizzativo14
In tempi di trasformazione digitale ci si sorprende di
quante cose, sostanzialmente, non si siano evolute per
niente. Tra queste possiamo sicuramente annoverare le
modalità con le quali le persone vengono scelte, ma
soprattutto, come vengono messe a lavorare insieme.
Tralasciando le patologie (nepotismo, raccomandazioni,
fedeltà al capo) le aziende tendono a selezionare i singoli
individui, magari anche talentuosi, ignorando il quadro
complessivo che ne deriva. La causa va ricercata nella
difficoltà di trovare strumenti e modelli affidabili per
predire il grado di affiatamento di un gruppo. Che si parli
di una squadra sportiva, del management team di
un’azienda o del suo consiglio di amministrazione, dal
punto di vista delle dinamiche interattive ci troviamo
nella stessa situazione. La capacità di capire come ogni
membro si relazionerà con gli altri sta tutta nella fiuto del
Commissario Tecnico, dell’Amministratore Delegato o
dell’Azionista, di vedere oltre le competenze individuali.
Le scienze manageriali hanno sempre dato peso alle
14
Modena S., 2016, “Il simulatore organizzativo” in Harvard Business
Review Italia, N. 12, dicembre, 112.
88
competenze, considerate facilmente intercambiabili,
lasciando sullo sfondo l’individuo.
Gli head hunter si preoccupano molto anche del track
record del nuovo arrivato, forse di cosa troverà in
azienda, ma non di come si integrerà con gli altri. Ma non
si potrebbe sapere prima quale sarà la performance di
un’organizzazione? Sicuramente eviterebbe molti e
costosi errori, permetterebbe di mettere a confronto
alternative e scegliere le persone, massimizzando i
risultati. Se pensiamo ad altri contesti i “simulatori” sono
molto comuni e affidabili. I piloti imparano a volare senza
alzarsi da terra, i conducenti di autobus vanno in strada
dopo aver virtualmente guidato molte volte in diverse
condizioni di traffico e tempo sulla stessa via. Soluzioni
tecniche per nuove automobili vengono provate senza
costruire nemmeno un pezzo, solo vedendo su un
simulatore come si comporterebbero se fossero montate
su una vettura.
Se ci fosse un “simulatore organizzativo” saremmo in
grado di valutare l’efficienza di un’organizzazione prima
di averla vista all’opera e averne constato i problemi.
Fantascienza? No, solo un’applicazione di studi
piscologici e algoritmi di analisi comportamentali. Il
gruppo, infatti, può essere descritto come un campo, in
cui le forze si attraggono e si respingono creando un
equilibrio quasi stazionario. Le forze sono sia di natura
soggettiva, frutto di vissuti affettivi, che oggettiva,
basate sulle strutture di potere e la gerarchia.
L’incontro tra l’individuo e il suo ambiente determina un
89
campo che si struttura a partire da una serie di attrazioni
e repulsioni. In questo contesto un certo grado di
conflitto è fisiologico, ma la possibilità di misurarlo lo
rende oggettivo e confrontabile con soluzioni
organizzative alternative composte da altri individui.
L’obiettivo di ogni azionista, imprenditore o
amministratore delegato, per quanto riguarda
l’organizzazione, può essere sintetizzato nella creazione
di un team affiatato. La coesione, infatti, è strettamente
correlata con la performance, ma quest’ultima può
essere ridotta significativamente se i membri devono
spendere troppe energie per integrare competenze e
attitudini difformi o comportamenti eterogenei. Essa è
un costrutto multidimensionale risultante da tutte le
forze che agiscono sull’individuo per stare all’interno del
gruppo. La cosa più interessante, però, è che queste
forze si possono rappresentare graficamente.
I sociogrammi permettono di visualizzare con delle
90
semplici linee, l’affinit{ e l’antagonismo tra gli individui, le
strutture e le forme di relazione (a catena, a stella, isola
etc.) e il ruolo di ogni membro. Soprattutto permettono
di identificare la persona centrale, cioè colui che ha
maggiori relazioni con gli altri membri del gruppo. La
disponibilità di software in grado di analizzare
informazioni e dati sui comportamenti aumentano
significativamente le capacità di analisi. Il simulatore
organizzativo si pone a pieno titolo tra le novità della
trasformazione digitale, il suo utilizzo può influenzare
significativamente le nomine dei consigli di
amministrazione, superando rigide logiche di
appartenenza, le modalità con cui si formano i gruppi di
lavoro chiamati a gestire processi di integrazione
successivi a fusioni e acquisizioni. Il loro impatto può
essere molto significativo anche nella gestione delle
risorse umane in condizioni normali, focalizzando
l’attenzione sulle attivit{ di formazione necessarie a
superare i conflitti per creare squadre più competitive di
quelle dei concorrenti.
91
Più preventive e meno detective15
Un nuovo argomento si sta affermando nel dibattito sulla
competitività del sistema produttivo, la trasformazione
digitale. Si tratta di un processo di cambiamento che
riguarda sia i prodotti che i processi aziendali, e che
coinvolge tutti i settori.
Nelle società industriali i mutamenti sono legati alla
produzione, e sono comunemente definiti “Industry
4.0”, ma riguardano anche il servizi finanziari, dove dalla
fusione tra finanza e nuove tecnologie nascono le
“Fintech”. Più in generale abbracciano tutte le funzioni
aziendali in ogni attività. È intuitivo, quindi, che anche
l’Internal Auditing si deve adeguare al nuovo scenario.
La situazione attuale della professione è caratterizzata da
una stretta collaborazione con il Vertice aziendale, in
particolare in tutte quelle realtà in cui, seguendo il codice
di autodisciplina, il CAE16 dipende dal Consiglio di
Amministrazione. Un ruolo di rilievo contraddistinto da
un importante impegno sui temi della governance, con
15
Modena S., 2017, “Più preventive meno detective” in Internal Audit N. 93
aprile-giugno 2017, 11-13 16
Chief Audit Executive
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un focus particolare sulla compliance e l’assurance, ben
lontano dal clichè obsoleto di analista di procedure, o
peggio ancora di ispettore amministrativo.
In alcune aziende si rileva la grande importanza data
all’attivit{ di analisi, in molti casi al limite del controllo di
gestione, con incarichi e lavori finalizzati a fare luce su
fenomeni organizzativi e di spesa, spesso con l’obiettivo
di ridurre i costi. In altri, invece, le capacità tecniche, in
particolare sulla valutazione dei rischi fanno sì che il CAE
venga coinvolto in attività di risk management.
In ogni caso, ciò che accomuna la maggior parte delle
funzioni di Internal Audit, è la scarsità delle risorse in
relazione alle attività richieste. La difficoltà di
rendicontazione del valore aggiunto prodotto è motivo
di frequente insoddisfazione dei responsabili, e di frizioni
con il Vertice.
Le funzioni di verifica e controllo, spesso imposte da
leggi e regolamenti, sono vissute in azienda come costi
inutili, e quindi da minimizzare. La riduzione di personale
e la conseguente perdita di esperienza limita la possibilità
di impiegare risorse nello svolgimento di lavori
particolarmente utili. Un problema in parte risolto
ricorrendo a società di consulenza in grado di fornire
flessibilità e competenze, a costi competitivi.
Per Davide Moroni, Responsabile Internal Audit di OVS,
“è innegabile che la trasformazione digitale delle aziende
pone l’Internal auditor di fronte a nuove sfide. Da un lato
sono richieste competenze e professionalità in linea con i
nuovi modelli di business (anche nei settori tradizionali),
93
dall'altro lato disponibilità di dati potenzialmente infiniti e
di nuovi strumenti integrati nei modelli di controllo
aumenteranno significativamente la performance dei team
di audit. Nel nuovo contesto, il contributo del CAE nella
valutazione e gestione dei rischi di business è per ruolo,
posizione organizzativa e competenze un valore aggiunto
per le aziende e una opportunità per la valorizzazione della
professione.”
La trasformazione digitale implica una serie di
cambiamenti con cui anche l’Internal Audit si deve
confrontare, che riguardano gli strumenti, le modalità di
lavoro, gli obiettivi e la formazione.
Il buon vecchio blocco e la matita sono già stati sostituiti
da applicativi su PC e data base. Dalla tecnologia dei big
data c’è sicuramente da attendersi ulteriori novit{ per
quanto riguarda la capacità di selezionare campioni,
individuare transazioni anomale basandosi sull’analisi dei
trend comportamentali degli utenti, la cui rischiosità
potrà essere profilata con sempre maggiore accuratezza.
La possibilità di accedere a enormi quantità di dati da
remoto cambierà ancora di più il lavoro sul campo.
Sicuramente una grande comodità, che permetterà di
superare i problemi dovuti alla distanza tipici delle grandi
realtà multinazionali, ma che imporrà una revisione delle
modalità di interazione con le singole funzioni aziendali.
Anche gli obiettivi del CAE dovranno essere rivisti.
La verifica ex post perderà gran parte della sua utilità è il
monitoraggio si sposterà sempre più sul presente, magari
direttamente on line, e così l’attivit{ di vaglio e
94
segnalazione di transazioni o criticità potrà assumere
contorni molto ampi.
Questi cambiamenti faranno sì che anche la formazione
del CAE dovrà essere molto diversa da quella attuale. Un
focus significativo dovrà essere rivolto ai sistemi
informativi. Sarà necessario approfondire quegli spazi
borderline, che rappresentano la parte più insidiosa di
generazione di malpractice, per l’opportunit{ che
offrono di aggirare i controlli e le difficoltà di verifica.
Andrea Pizzoli, CAE di Fiera Milano dice: “L'Internal Audit
ha di fronte a sé una sfida importante, che va affrontata
con un grosso sforzo non solo formativo, perché è chiaro
che il bagaglio professionale dell'auditor va arricchito di
nuove competenze, ma soprattutto culturale, in quanto
non solo ci viene chiesto un approccio più “preventive” che
“detective”, ma in questo nuovo scenario dobbiamo anche
essere in grado di utilizzare al meglio nuovi strumenti di
audit, quali quelli basati sui big data. Anche dal punto di
vista del metodo, l'Internal Audit, quale funzione terza e
indipendente, può aiutare il CIO e il CDO a strutturare la
mission e la governance delle loro funzioni in maniera da
rispondere adeguatamente rispetto alle sfide della “digital
transformation”. Ciò che non cambia, e non deve
cambiare, è l'obiettivo ultimo del nostro lavoro: creare
valore per la nostra organizzazione."
Il CAE deve reagire anticipando i cambiamenti e
acquisendo nuovo know-how tecnico, necessario per
svolgere in modo sempre più efficiente i compiti attuali,
sia per approcciare alcune tematiche del tutto nuove: i
95
cyber-risk, l’Industry 4.0 e la trasformazione digitale dei
processi aziendali. I cyber-risk sono un fenomeno nuovo
che non è stato ancora ben inquadrato. In molti casi è
visto come un problema tecnico che deve essere risolto
dall’IT. In realtà è almeno un problema culturale, poiché
per evitare o minimizzare gli effetti di un di un attacco è
necessario investire su processi intrinsecamente sicuri,
occorre rivalutare di continuo la rischiosit{ e l’efficacia
dei sistemi di protezione.
Questa attivit{ deve essere svolta insieme all’HR, all’IT e
al Risk Management, ma le capacità tecniche mettono
l’Internal Audit a pieno titolo all’interno di questo
processo. L’implementazione dei progetti Industry 4.0,
apre ampi spazi di crescita. Diventano infatti tracciabili e
sensibili innumerevoli transazioni legate alla produzione,
che devono essere monitorate.
Senza venir meno al proprio ruolo, il CAE deve farsi
portatore della necessità di impostare i processi
produttivi sicuri, contribuendo alla creazione di una
cultura che valuti positivamente l’attivit{ di audit.
Un’altra opportunit{ è relativa alla trasformazione
digitale dei processi aziendali. L’integrazione, infatti,
rende necessaria un’espansione dell’attivit{ del CAE, in
quanto nei processi complessi non è possibile limitare
l’ambito di analisi. “La trasformazione digitale deve essere
colta dalla funzione Internal Audit come una grande
opportunità di evoluzione, attraverso lo sviluppo di nuove
competenze, per divenire sempre più rilevante per il
vertice aziendale e i propri stakeholders.”Massimo Ferrari,
96
CAE di Barilla Group crede che “Computer Assisted Audit
Techniques, Data Analytics Tools, Information System
Security, dovranno essere elementi essenziali del bagaglio
di competenze professionali di ciascun auditor e potranno
contribuire ad una più efficace protezione e creazione del
valore aziendale. In un mondo digitalizzato, dove persone e
cose saranno sempre più connesse tra loro, l’Internal Audit
dovrà saper analizzare e interpretare sia il linguaggio delle
“macchine” (dati e nuove tecnologie) che quello delle
persone (nuovi comportamenti e cultura).”
In definitiva, la trasformazione digitale sta già cambiando
la professione e il dibattito deve portare a creare un
orientamento condiviso che permetta di incentrare la
discussione sul valore per l’azienda creato dall’Internal
Audit. Know-how, approccio e metodologie
costituiscono asset che devono essere integrati nelle
relazioni con le altre funzioni, per riportare al Vertice
risultati tangibili.
Nel continuo divenire dell’attivit{ del CAE, la capacit{ di
interpretare i cambiamenti per adeguare il ruolo è tanto
importante quanto l’esecuzione del lavoro. Il Piano
Annuale di Audit costituisce, sotto questo profilo, uno
strumento di comunicazione, che deve consentire di
indirizzare l’attivit{ del CAE.
97
Verso un rinascimento digitale17
La trasformazione digitale è un processo in rapida
evoluzione che, sta modificando radicalmente la vita di
persone e aziende. Si tratta della principale opportunità
per lo sviluppo delle imprese di ogni settore e
dimensione e, allo stesso tempo, rappresenta il fattore di
maggior rischio per la loro continuità nel lungo periodo. I
cambiamenti nei paradigmi di business vedono la nascita
di nuove società in grado di crescere a ritmi vertiginosi-
sconvolgendo, in taluni casi, anche le dinamiche di
mercato - e mettono in evidenza come le imprese
debbano necessariamente ripensare alla propria attività.
Non si tratta certo di una novità; sulla superiorità
tecnologica si sono sempre giocate partite fondamentali,
sia tra nazioni che tra aziende. Quello che sorprende è la
velocità del mutamento, che avviene a livello globale e
nel giro di pochi trimestri. Nessuna impresa può
considerarsi esclusa da questo fenomeno.
Paradossalmente, proprio per quelle più tradizionali si
presentano maggiori opportunità, ma anche i rischi.
Occorre ripensare il modello di business alla luce delle
nuove tecnologie e individuare i trend emergenti, solo
17
Modena S., 2017, “Verso un rinascimento digitale” in L’Impresa N. 7-8,
luglio-agosto,65-67.
98
così i player più veloci riusciranno ad acquisire un
significativo vantaggio competitivo. Per gli altri ci sarà
un’affannosa rincorsa per rimanere sul mercato,
affrontando una prova di resistenza che, a medio
termine, li condurrà al tramonto. La trasformazione
digitale rappresenta la chiave della continuità: lo sviluppo
tecnologico, il miglioramento organizzativo, la
globalizzazione sono gli aspetti sui quali si può fondare
quel salto culturale di cui il sistema industriale italiano ha
bisogno per aumentare la propria competitivit{. E’ un
tema complesso e, fino ad ora, è stato approcciato
soprattutto nella sua componente produttiva,
denominata Industry 4.0.
Pur essendo una parte fondamentale della digital
trasformation non esaurisce, tuttavia, il profondo
significato delle dinamiche innovative. La prima sfida è
definire un Modello in grado di sintetizzare la capacità
del Vertice aziendale di affrontare il tema nella sua
interezza, e, in seguito, lavorare sui prodotti e l’attivit{
manifatturiera, ma anche su tutti gli altri processi
aziendali (marketing, commerciale, finanza,
organizzazione, ecc.) e sulle competenze, necessarie in
primo luogo al consiglio di amministrazione, per
affrontare un mondo sostanzialmente nuovo.
Su quest’ultimo aspetto, in particolare, si concentra la
battaglia culturale: novità imposte da offerte tecnologie
sempre più potenti ed evolute o vecchi concetti che
soccomberanno sotto il peso della loro inefficienza?
99
Governance Advisors, ha condotto una ricerca18 volta a
misurare e verificare “sul campo” il grado di
digitalizzazione delle imprese e, dall’altro, proporre un
Modello per affrontare la trasformazione digitale,
individuando gli spazi di miglioramento che le singole
aziende, e il l’industria italiana nel suo complesso, hanno
a disposizione per la crescita. L’intento è stato di
contribuire in modo concreto a quella riprogettazione
necessaria per abbandonare i bassissimi indici di crescita
degli ultimi anni e trovare gli strumenti in grado di
valorizzare idee e progettualità. Competenze e
imprenditorialità non mancano, ma devono essere
convogliate verso il “Rinascimento Digitale”, una nuova
era capace di declinare tutto il sapere di cui è intrisa la
nostra cultura in un futuro di ripresa competitiva, in
grado di mobilitare la parte più attiva e combattiva del
Paese. Un’opportunit{ a portata di mano, che riguarda
tutti. Il quadro che emerge dalla Survey mette in chiara
evidenza alcuni fenomeni sui quali le aziende devono
riflettere con capacità progettuale, se vogliono
ricominciare a crescere a ritmi significativi. Dal punto di
vista della Governance (Figura 8) i dati rivelano che la
trasformazione digitale è un argomento che non viene
trattato con continuità dai consigli di amministrazione
(44%), gli amministratori non hanno una preparazione
adeguata (55%) anche se l’atteggiamento verso questo
tema è generalmente positivo (66%).
18
La versione completa della ricerca “La digital transformation” è disponibile sul sito www.governanceadvisors.it
100
Figura 8.
La leadership di questo processo è affidata a figure
specifiche (49%) mentre i cyber risk sono considerati
soprattutto un problema tecnico, invece che culturale.
Quindi, si può dire che metà del campione non ha ancora
sviluppato un approccio strutturato alla trasformazione
digitale, valutandola pienamente in termini di
opportunità e minacce. Una carenza grave, che va
affrontata immediatamente per dare alle aziende
maggiori chance di crescita e capacità competitiva.
In relazione ai Prodotti (Figura 9), l’impiego di novit{
tecnologiche legate alla digitalizzazione è ancora basso
in termini di Autoapprendimento (26%), Sensoristica
(33%), Geolocalizzazione (35%), mentre sono
significativamente più elevate le componenti di
Personalizzazione (51%) e Interconnessione (65%).
Pur considerando quanto sia variegato il campione in
28%
11%
17%
18%
26%
0% 5% 10% 15% 20% 25% 30%
Mai trattato in CdA
Annulamente
Semestralmente
Trimestralmente
Ad ogni Consiglio
101
termini di settori, sono evidenti ampi spazi di crescita.
Figura 9.
Sui Processi aziendali si rilevano stati di avanzamento
della digitalizzazione (Figura 10). I più evoluti sono quelli
di Marketing, è in particolare l’utilizzo dei siti web (83%) ,
dei Social network (68%) e l’elaborazione sistematica dei
dati aziendali (55%), unitamente ai processi di
Amministrazione e Finanza (68%).
Anche le Risorse Umane denotano un significativo
interesse, visto che sono attive sia sul fronte della Cultura
(50%) che della Formazione digitale (63%).
Meno sviluppata appare invece l’area Commerciale, sia
per quando riguarda le vendite on line (38%) che quelle in
mobilità (30%).
I valori più bassi si registrano nei processi di produzione,
nell’utilizzo dell’additive manufacturing (11%), dei robot e
26%
52%
35%
33%
65%
0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70%
Autoapprendimento
Personalizzazione
Geolocalizzazione
Sensoristica
Interconnessione
102
cobot (16%) e di sistemi di logistici di consegna immediata
della merce (18%), mentre più avanzata appare invece
l’Internet of Things (35%).
Figura 10.
Se ne può dedurre che il Marketing e le Risorse umane si
stanno muovendo velocemente per cogliere le
opportunità e formare il personale, mentre i processi di
amministrazione finanza e controllo hanno già
cominciato da tempo un processo di evoluzione che li ha
resi più veloci ed efficienti. D’altro canto c’è ancora
parecchio da fare per quanto riguarda le aree
commerciale e, soprattutto, produttiva e logistica, in cui
le nuove tecnologie non sono ancora abbastanza
utilizzate. Sul versante Competenze (Figura 12), la
situazione si presenta positiva per quanto riguarda
l’attenzione alle novit{ (64%), alla ricerca tecnologica per
30%
38%
68%
55%
83%
0% 20% 40% 60% 80% 100%
Shop on line
(Mobile)
Shop on line
(Desktop)
Social network
Big data
Web site
103
l’innovazione del modello di business (65%) e
l’applicazione del potenziale tecnologico (70%). Un po’
meno, invece, la capacità di selezionare le informazioni
rilevanti (51%) e di analizzare i dati disponibili per
migliorare l’efficienza aziendale.
Figura 11.
Le competenze digitali sono la chiave fondamentale nel
processo di trasformazione digitale, in quanto
consentono di generare il pensiero strategico. I dati che
emergono dalla Survey lasciano sperare che le azienda
saranno in grado di sviluppare le sinapsi che consentano
di vedere e cogliere le opportunità di mercato. La Survey
fotografa una situazione che offre molte possibilità di
miglioramento, soprattutto, nella parte produttiva, dove
11%
34%
16%
18%
0% 5% 10% 15% 20% 25% 30% 35% 40%
Instant Delivery
Internet of Thinghs (IoT)
Robot/Cobot
Additive manufacturing (3D)
104
non si sono ancora dispiegate le potenzialità legate
all’Industry 4.0. Per ottenere questo risultato è
necessario che i consigli di amministrazione prendano
coscienza dell’importanza che il processo di
trasformazione digitale ha per l’azienda, e ne diventi il
motore, anche con apposite strutture di governo
societario.
Figura 12.
Raccomandabile, sotto questo profilo, sono la
costituzione di un Comitato per la trasformazione
digitale e l’individuazione di un Digital Champion per
esercitare una forte leadership. Questo processo deve
essere sostenuto da analoghi interventi della Pubblica
Amministrazione, la cui trasformazione digitale può
liberare risorse e migliorare la propria efficienza, oltre
che agevolare il cambiamento culturale, soprattutto delle
realtà più piccole.
64%
52%
59%
70%
65%
0% 20% 40% 60% 80%
Novità tecnologiche
Selezione informazioni
Analisi dati
Utilizzo potenziale tecnologico
Ricerca tecnologica
105
Bibliografia
Catania E., Prefazione alla survey “La digital transformation”, Governance Advisors, giugno 2017.
Modena S., 2017, in “Crescita additiva. Manuale operativo per introdurre la manifattura additiva in azienda” A. Aparo von Flüe, Numanova, prima edizione, luglio 2017.
Modena S., 2016, “Cosa manca la pensiero strategico”, in L’Impresa, N. 5, maggio, 60-62.
Modena S., 2016, “La forza disruptive del board”, in L’Impresa, N. 6, giugno, 63-64.
Modena S., 2016, “Digital Champion”, in L’Impresa, N. 7-8, luglio-agosto, 67-68.
Modena S., 2016, “Il nuovo grande obiettivo nazionale”, in L’Impresa ,N. 9 settembre, 66.
Modena S., 2016, “La lingua del futuro”, in L’Impresa, N. 11, novembre, 83-84.
Modena S., 2016, “Che cos’è il capitale digitale” in L’Impresa. N. 12, dicembre 2016, 90-91
Modena S., 2017, “La grande chance del talento digitale” in L’Impresa N. 1 gennaio, 67-68. 1 Modena S., 2017, “La corsa all’oro digitale”, in L’Impresa, N. 2, febbraio, 91-92.
Modena S., 2017, “Così si costruisce la leadership digitale” in L’Impresa N. 3 marzo 2017, 92-94.
Modena S., 2016, “Il nuovo grande obiettivo nazionale” in Harvard Business Review Italia, N. 12, dicembre, 112.
Modena S., 2017, “Più preventive meno detective” in
106
Internal Audit N. 93 aprile-giugno 2017, 11-13
Modena S., 2017, “verso il rinascimento digitale” in L’Impresa N. 7-8, luglio-agosto,65-67.
108
Stefano Modena
Governance per la trasformazione
digitale
Laureato in Economia Aziendale all’Universit{ Bocconi di
Milano, è commercialista e revisore contabile.
Managing Partner di Governance Advisors, si occupa di
consulenza di corporate governance, e in particolare di
board assessment, compensation, risk management,
sistemi di controllo interno e trasformazione digitale.
Collabora con Harvard Business Review, L’Impresa,
Internal Audit, è autore di numerosi articoli sul governo
societario e la trasformazione digitale.