Speciale Rifugiati. La Vita Dietro Ogni Numero_Giugno 2013

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    Editoriale

    LA VITA DIETRO OGNINUMEROItalia

    LITALIA DEI RIFUGIATI:UNEMERGENZA INFINITA

    ItaliaINTERVISTA A R.,

    RIFUGIATO POLITICO IN ITALIAItalia

    MINORI IN TRANSITO:

    LA SOSTA ITALIANA DEI PICCOLI AFGHANI INVISIBILISaharawiQUARANTANNI DI ESILIO

    NEL DESERTOTunisia

    DUE ANNI DOPO,IL TEMPO CHE RESTA AI RIFUGIATI DI CHOUCHA

    20 GIUGNO 2013GIORNATA MONDIALEDEI RIFUGIATI

    IsraeleDOVE LACCOGLIENZA DIVENTA UNA

    PRIGIONE NEL DESERTO

    LibanoI PROFUGHI DIMENTICATI

    (E DANNATI)Siria

    I RIFUGIATI DELLA CELLANUMERO TRE

    PalestinaLASSISTENZA UMANITARIACHE NON SOSTITUISCE LA POLITICA

    TurchiaPROFUGHI:

    SE SALE LA TENSIONE

    SiriaDUE MILIONI DI RIFUGIATI:

    LALTRA FACCIA DEL CONFLITTO SIRIANO

    YemenMAR ROSSO:

    UNA FERITA APERTA

    SiriaLA STORIA DI SALMA,

    RIFUGIATA SUO MALGRADO

    ItaliaRACCONTARE LA FUGA:

    STORIE DI RIFUGIATI

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    Testata giornalistica registrata - Autorizzazione Tribunale di Roma n. 49 del 14-2-2008.

    Foto di copertina:Fabio Cimaglia

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    Secondo lultimo rapporto

    dellAlto Commissariato delle Nazioni

    Unite per i Rifugiati (UNHCR) nel

    2012 ci sono stati 7,6 milioni di nuovi

    sfollati in tutto il mondo a causa di

    conflitti o persecuzioni politiche. Unamedia giornaliera di 23 mila persone

    che ogni giorno, durante lo scorso

    anno, sono state costrette a lasciare

    le proprie case per cercare rifugio

    altrove.

    Il Medio Oriente non fa

    eccezione, con lattuale conflitto in

    Siria che tra i pi sanguinosi di

    sempre nella regione - ha gi prodottoin due anni quasi 2 milioni di profughi.

    Di conseguenza aumentano

    anche le persone la cui tutela affidata

    allUNHCR, dal momento che il 50% di

    loro vive con circa 10 dollari al giorno.

    Nel 2012 queste persone sono andate a

    formare il secondo numero pi grande

    di sempre: 35,8 milioni (il record si

    era toccato nel 2009); ma soltanto 10,5

    milioni di cui il 48% rappresentato

    da donne e il 46% da minori - riescono

    alla fine a vedersi riconosciuto lo status

    di rifugiato. Tutti gli altri restano

    in attesa, nella maggior parte dei

    casi in condizioni che non soddisfano

    quegli standard internazionali che

    prevederebbero per tutti una struttura

    abitativa, unassicurazione sanitaria

    e un sussidio monetario minimo. La

    realt spesso fatta di enormi campiprofughi che accolgono un numero

    di persone superiore al consentito, o

    20 GIUGNO 2013GIORNATA MONDIALE

    DEI RIFUGIATI

    LA VITA DIETROOGNI NUMERO

    http://unhcr.org/globaltrendsjune2013/http://www.osservatorioiraq.it/http://www.osservatorioiraq.it/http://www.osservatorioiraq.it/http://www.osservatorioiraq.it/http://unhcr.org/globaltrendsjune2013/
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    di vere e proprie prigioni che si nascondono dietro alle mura dei centri di identificazione o di

    accoglienza.

    In altri casi, invece, la lunga attesa di una risposta davanti alla richiesta di asilo viene vissuta

    ai margini della societ, raggiunti perch si fugge da condizioni troppo spesso lontane dal rispetto

    della dignit umana, ma dove la ricerca di una vita migliore si imbatte con il contesto di illegalit in

    cui si rischia di cadere.

    E il caso di Mohamud Mohamed Guled, ragazzo somalo di 31 anni che lo scorso 13 giugno si

    gettato dal quarto piano di un edificio occupato a Firenze.

    Arrivato in Italia nel 2011, Guled era stato ospitato in un centro di accoglienza per richiedenti

    asilo e rifugiati di Pisa gestito dalla Croce Rossa. L era rimasto fino al 28 febbraio, quando ilgoverno italiano aveva deciso che strutture del genere, sorte nellambito del progetto Emergenza

    Nord Africa avviato nel 2011, non ricoprivano pi alcuna funzione di pubblica utilit. Alle persone

    che da un giorno allaltro si ritrovavano, di fatto, senza quella che per loro era diventata una casa,

    il governo ha proposto 500 euro di buona uscita. Oppure il nulla, nel caso in cui insistessero per

    restare allinterno della struttura come occupanti.

    Guled aveva optato per il contributo economico ma, ritrovandosi senza un posto dove stare

    o amici che lo potessero ospitare, ha deciso insieme ad altri ragazzi somali che si trovavano nelle

    sue stesse condizioni di occupare un palazzo a Firenze. Qui per non poteva pi essere seguito dai

    medici del Santa Chiara di Pisa, perch con la chiusura del centro era terminata anche lassistenza

    sanitaria. Guled aveva bisogno di cure quotidiane, perch affetto da depressione e disturbi psicologiciche negli ultimi tempi si erano aggravati ulteriormente.

    Senza un lavoro stabile, in una casa non sua, considerato dalla societ un illegale e con un

    passato fatto di sofferenze e persecuzioni, Guled non si sentiva accettato. Non si sentiva pi bene

    con se stesso, ricordano i suoi connazionali.

    Eppure, in maggio, era arrivata anche una risposta positiva da parte della commissione territoriale

    incaricata di vagliare il suo caso, che aveva deciso di concedergli lo status di rifugiato, riconoscendo le

    persecuzioni subite nel suo paese di origine. Neanche questa notizia lo ha fermato, forse perch il punto

    di non ritorno era gi stato raggiunto. Avere o non avere quel documento, oramai, era la stessa cosa.

    In un comunicato stampa alcune associazioni toscane hanno scritto che Guled

    morto di disamore e di indifferenza. Schiacciato dai traumi di un passato violento, e svuotato

    dallarroganza e dallignoranza di un paese che non ha mai saputo riconoscerlo come uomo.

    Lidea di questo specialenasce proprio dai diritti.

    Perch dietro i dati e le statistiche che la

    Giornata Mondiale del Rifugiato ci ricorda

    ogni anno sono innumerevoli le storie di

    uomini e donne che una volta costretti a

    lasciare le proprie terre di origine non riescono a trovare altrove un contesto di umanit che

    basterebbe da solo a rappresentare una nuova casa.

    La storia di Guled era una di queste e la sua morte un grido di allarme lanciato da milioni di

    esseri umani che chiedono aiuto e protezione in tutto il mondo.

    http://www.gonews.it/articolo_205831_Morte-di-Mohamud-Mohamed-Guled-la-reazione-delle-associazioni-Ha-radici-pi-profonde-di-una-depressione.htmlhttp://www.gonews.it/articolo_205831_Morte-di-Mohamud-Mohamed-Guled-la-reazione-delle-associazioni-Ha-radici-pi-profonde-di-una-depressione.html
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    INDICE

    ItaliaINTERVISTA A R.,

    RIFUGIATO POLITICO IN ITALIAdi Valentina Marconi

    ItaliaMINORI IN TRANSITO:

    LA SOSTA ITALIANA DEI PICCOLI AFGHANI INVISIBILIdi Anna Toro

    SaharawiQUARANTANNI DI ESILIO

    NEL DESERTOdi Christian Tasso

    TunisiaDUE ANNI DOPO,

    IL TEMPO CHE RESTA AI RIFUGIATI DI CHOUCHAdi Jacopo Granci

    IsraeleDOVE LACCOGLIENZA DIVENTA

    UNA PRIGIONE NEL DESERTOdi Stefano Nanni

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    27

    31

    ItaliaLITALIA DEI RIFUGIATI:

    UNEMERGENZA INFINITAdi Maria Letizia Perugini

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    PalestinaLASSISTENZA UMANITARIA CHENON SOSTITUISCE LA POLITICA

    di Stefano Nanni

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    SiriaI RIFUGIATI DELLA CELLA

    NUMERO TREdi Monica G. Prieto per Periodismo Humano

    SiriaDUE MILIONI DI RIFUGIATI:

    LALTRA FACCIA DEL CONFLITTO SIRIANOdi Focus on Syria

    SiriaLA STORIA DI SALMA,

    RIFUGIATA SUO MALGRADOdi Focus on Syria

    TurchiaPROFUGHI:

    SE SALE LA TENSIONEdi Giacomo Cuscun

    YemenMAR ROSSO:

    UNA FERITA APERTAdi Maria Letizia Perugini

    ItaliaRACCONTARE LA FUGA:

    STORIE DI RIFUGIATIdi Marta Ghezzi

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    LibanoI PROFUGHI DIMENTICATI

    (E DANNATI)di Marco Di Donato

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    EuroMed

    ITALIALITALIA DEI RIFUGIATI:UNEMERGENZA INFINITA

    di Maria Letizia Perugini

    Nel nostro paese prevaleancora un approccio

    emergenziale allamigrazione, come accaduto

    con lultimo esodo dal NordAfrica nella primavera del

    2011. Ne abbiamo parlato conGianfranco Schiavone, del

    direttivo nazionale dellASGI(Associazione Studi Giuridici

    sullImmigrazione).

    Nonostante la sua posizione ge-ografica strategica, lItalia non ancora ai livelli di ricezione deigrandi paesi dellUnione Europea.Se ad esempio si analizzano i datidellanno appena trascorso, laFrancia conta pi di 60 mila riche-ste di asilo, la Germania oltre 70mila, mentre lItalia solo 15.700.

    Numeri inferiori ma costanti, e si-curamente maggiori alle capacitdi accoglienza che il nostro paesemette in campo. cos che qualsia-si lieve aumento del flusso mandain tilt il sistema, come avvenutonella primavera del 2011, quandole proteste del Nord Africa hannoprovocato un aumento degli sbar-chi sulle nostre coste tale da co-stringere le autorit a dichiararelo stato demergenza nazionale.

    Quellanno le domande presenta-te in Italia furono 37 mila, di pocosuperiori a quelle del 2008, quan-

    do le richieste si fermarono a 31mila.

    Per capire la natura di questaemergenza e le difficolt del si-stema Italia in materia di dirittodasilo abbiamo parlato con Gian-franco Schiavone, componentedel direttivo nazionale dellASGIed esperto della questione.

    Quale la situazione generale delnostro paese in materia di dirittidei richiedenti asilo e dei rifugia-ti?

    LItalia viene da una storia recentemolto buia in tema di asilo perchprima degli obblighi comunita-ri derivanti dal ricevimento delledirettive (direttiva accoglienzaintrodotta nel 2005 e direttivaqualifiche 2007, e direttiva pro-cedure, 2008) il nostro paese non

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    aveva una legislazione in materiadi diritto di asilo. La situazione eraincredibile. Prima di allora linterosistema si basava su un solo artico-lo, il numero 1 della legge 39 del1990, la cosiddetta Legge Martelli.Quindi siamo passati nel giro dipochissimo tempo da una totaleconfusione regnate in materia aun corpus legislativo di esclusivaderivazione europea.

    Questo ha avuto e ha tuttora del-le conseguenze pratiche, nel sen-so che lesperienza della pubblica

    amministrazione nellapplicazio-ne della legge cos come lattivitgiurisprudenziale su questa mate-ria sono recentissime.

    Quindi quanto fatto a partire dal2005 mantiene unimpronta eu-ropea e si attesta sugli standarddellUnione?

    S, e diciamo anche che in alcunicasi il nostro paese ha introdottodiverse disposizioni che sono pifavorevoli rispetto agli standardminimi indicati dalle direttive eu-ropee. Faccio due esempi concreti.La disposizione sullaccesso al la-voro per i richiedenti asilo da noi fissata al termine di soli 6 mesi,mentre in molti altri paesi di unanno. Oppure, lItalia non applicala nozione di possibile protezio-ne interna nel paese di origine,

    che una delle strettoie pi usa-te, e direi abusate, della diretti-va europea sulle qualifiche per ildiniego delle richieste. O ancoranel nostro paese si riscontra unuso piuttosto limitato della deten-zione dei richiedenti asilo che, senon in mancanza dei documenti diidentit, non vengono mai dete-nuti nei CIE, salvo casi eccezionali.

    Detto questo per, sono molti gli

    aspetti negativi del nostro siste-ma. Dal punto di vista legislativogli interventi sono scarsamentecoordinati tra loro, e si avverte

    una grande frammentazione dellanormativa, oltre ad una mancanzadi organicit e soprattuto la pre-senza di alcuni vuoti. Il punto pidelicato di tutta la vicenda italia-na sullasilo non riguarda tanto laprocedura per la richiesta, quan-to piuttosto ci che accade dopo.In Italia manca completamente oquasi un programma di supportoallintegrazione sociale dei rifu-giati.

    Quello che esiste limitato allapossibilit - per un numero asso-

    lutamente ridotto di persone - diusufruire di un percorso di acco-glienza allinterno del Sistema diprotezione per richiedenti asilo erifugiati, lo SPRAR. Nel limite incui ci siano posti diponibili, un ri-fugiato pu entrare nel program-ma di protezione e usufruire diun percorso di accoglienza, tuttosommato anche ben organizzato,successivo al riconoscimento delproprio status. Ma questa solo

    uneventualit che non riguardatutti.

    E chi non riesce ad accedere alloSPRAR?

    Per queste persone c un teoricoaccesso allassistenza sociale. Lapersona che esce dal CARA (Cen-tro di accoglienza per i richieden-ti asilo) con il proprio documento

    in tasca gode in teoria degli stessidiritti di un cittadino italiano. Maun po per la carenza del nostrosistema di welfare, oserei dire ra-refatto rispetto a quello di altriStati, un po perch queste perso-ne hanno esigenze molto diverserispetto a quelle di un cittadinoitaliano che si rivolge ai servizi so-ciali, di fatto vengono abbando-nati a se stessi.

    I rifugiati avrebbero bisogno diun intero programma di start up:dovrebbero imparare la lingua,essere orientati al lavoro e cercare

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    unabitazione. Nessun servizio so-ciale di nessun comune in gradodi farsi carico di queste persone.Chi improvvisamente si trova fuo-ri dal CARA, senza casa n lavoroe senza accesso allo SPRAR, entrain un vortice di esclusione socialeche si traduce - ad esempio - nelleoccupazioni di case abbandonate.Molti vagano da un dormitorioallaltro, in giro per le varie cittdItalia, concentrandosi in partico-lar modo nelle aree metropolita-ne: una realt documentata inmoltissimi rapporti, anche inter-

    nazionali.

    Nel 2011 stato pubblicato unostudio dal titolo Il diritto allaprotezione, finanziato dal fon-do europeo per i rifugiati, il picompleto condotto fino ad oggiin Italia. Dai dati emerge che lapercentuale dei rifugiati che dopoil riconoscimento dello status nonhanno avuto accesso alla secon-da accoglienza pari al 70%. Se

    dovessi individuare il principaleproblema del sistema italiano intema di richiedenti asilo e rifugia-ti, al di l di tutte le carenze le-gislative che comunque ci sono,direi senza dubbio che la man-canza di un programma dintegra-zione sociale.

    Esistono prospettive di migliora-mento, partendo dallampliamen-

    to dellofferta disponibile?

    Per quanto riguarda lo SPRAR variconosciuto che questo miglio-ramento c stato, nel senso chenellultimo anno ha raggiunto unlivello di offerta pari a 5.000 posti,un buon risultato rispetto ai 3.400di un paio di anni fa. Effettiva-mente sempre andato allargan-dosi nel corso degli anni. Il punto che laumento delle disponibili-

    t troppo lento rispetto alle esi-genze. Quello che non si compren-de per quale ragione un modellofortemente collaudato - parliamo

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    di 10 anni di esperienza - ed estre-mamente efficiente per quello cheriguarda sia il rispetto dei dirittidelle persone che il contenimentodei costi, non debba essere sfrut-tato e implementato. Non si capi-sce quale sia la scelta politica allabase di questa gestione. comese si volesse mantenere il sistemasempre al di sotto delle sue poten-zialit.

    Una scelta politica?

    A mio avviso s, ma le ragioni nonsono chiare. Se sia una volontimplicita o solamente unincapa-cit programmatica sinceramenteancora non sono riuscito a capirlodopo tutti questi anni. Molto pro-babilmente dovuto a una gran-de disattenzione, dal momentoche lasilo non materia di dibat-tito pubblico n di approfondi-mento da parte di nessun partito

    politico. come se lItalia ancorarifugisse dalla programmazionesperando che si tratti di fenomeniche non si ripeteranno. Questo faparte della fatica che il paese an-cora fa nel percepirsi come metadi destinazione di rifugiati. laprogettazione di lungo periodoche manca, tutti i provvedimentipresi sono per oggi o addiritturaper ieri, nessuno guarda al doma-ni. Prevale dunque un approccioemergenziale, come abbiamo vi-

    sto con la cosiddetta emergenzaNord Africa nel 2011.

    Una vera emergenza?

    No. Non si trattava di emergenza,ma di un numero di presenze asso-lutamente gestibile. Gli eventualiprovvedimenti straordinari pote-vano riguardare gli arrivi, che sono

    stati effettivamente molto con-centrati sia geograficamente chetemporalmente. Questo potevacreare difficolt gestionali, come

    infatti stato, ma superata que-sta fase no, impossibile parlaredi emergenza. Eravamo di frontea una situazione di mancanza diposti, questo s. Ma si tratta di unproblema strutturale del sistemaitaliano. Una qualsiasi ragionevo-le analisi dei dati degli ultimi annidovrebbe indurre lamministrazio-ne pubblica a programmare unnumero di posti superiore a quelliesistenti.

    Il governo ha reagito a questocortocircuito del sistema varandolo stato di emergenza nazionale...

    S, alla fine il governo si messo areperire posti da qualsiasi parte ein ogni luogo, senza andare moltoper il sottile, visto che si trattavadi unemergenza. Le personeche avevano fatto domanda diprotezione sono state mandatenegli alberghi, nei campeggi, incase private...tutto questo ha ge-nerato un meccanismo speculati-vo. Moltissimi privati hanno fattograndi affari. Bastava essere pro-prietario di una qualsiasi strutturaattrezzata, magari un piccolo al-bergo, per poter chiamare la Pre-fettura dicendo di avere dei postia disposizione. Chiunque si facevaavanti si vedeva sottoscrivere laconvenzione.

    Perch naturalmente i fondi eranoconsistenti...

    Molto consistenti. Lassistenza stata pagata in media 42 euro algiorno pro-capite, contro una me-dia del sistema di protezione di 35euro, che pure offre servizi decisa-mente superiori rispetto a quelliforniti dallemergenza Nord Africa.

    Sembra la dimostrazione che, vo-lendo, i soldi per i rifugiati si tro-vano.

    Assolutamente. LemergenzaNord Africa stata unoperazionedissipativa impressionante. La spe-sa effettuata stata gigantesca sesi pensa che questi 42 euro sonostati dati a ogni rifugiato ospita-to dalla primavera 2011 alla finedi febbraio 2013. Ma perch? Perstrutturare un nuovo sistema diaccoglienza? Assolutamente no.Questo il punto: stata persalennesima occasione per crearenuove realt utili per il futuro,magari coinvolgendo enti localiche non erano ancora stati inseriti

    nello SPRAR, facendo formazioneai funzionari pubblici e alle asso-ciazioni. Tutto questo non statofatto. Il numero di posti per lac-coglienza attualmente lo stessoche cera prima dellemergenza.

    Quindi la gestione del soggiornodei richiedenti asilo non stataaffidata a chi aveva esperienza inquesto campo.

    No, tutte le attivit sono stateaffidate alla Protezione civile,quindi la gestione stata assolu-tamente emergenziale sotto tuttigli aspetti. Devo dire che con iltempo stata la stessa Protezionecivile ad ammettere di essere sta-ta chiamata a svolgere dei com-piti che non le spettavano. Dallaprogrammazione dei servizi allaqualit dellorientamento sociale

    e legale, sono tutti ambiti scono-sciuti a chi generelamente si oc-cupa di gestire emergenze comei terremoti. Dopo qualche mesequesta impreparazione emersa,ma la Protezione civile non avevastrumenti particolari per migliora-re il suo intervento, che alla fine si tradotto in mero albergaggio.

    Naturalmente nessun controllava iservizi offerti da questi privati, ese si chiedeva dellassistenza lega-le, era normale sentirsi risponderemio cugino fa lavvocato. Ecco,era questo il livello.

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    E dal punto di vista legale?

    Alla fine lItalia ha rilasciato a tuttiil permesso per motivi umanitari,la terza forma di protezione conla quale si pu concludere la do-manda di asilo, prevista dallart 5,VI comma del Testo unico sullim-migrazione. Una protezione subase nazionale molto frequentenel nostro paese: se si guardanoi dati lItalia vanta una media dirisposta positiva alle domande diasilo del 50%, ma togliendo quel-le in cui la richiesta viene accolta

    con la concessione di questo par-ticolare permesso, allora i numeridiminuiscono vertiginosamente.

    Questo permesso lhanno ricevu-to tutte le persone arrivate allin-domani della primavera del 2011?

    Per la maggior parte s, possiamoparlare di un 90%. Per tantissimo

    tempo per le domande di asilo sisono concluse con un diniego. Poila situazione si fatta pi tesa a li-vello sociale e rischiava di degene-rare anche sotto il profilo dellor-dine pubblico. Sia per queste ra-gioni che per la pressione delleassociazioni e dellAlto commissa-riato per i rifugiati, il governo unanno e mezzo dopo ha fatto quel-lo che avrebbe dovuto fare subito:riconoscere a tutti la protezioneumanitaria.

    Intanto le persone sono state te-nute ferme in questi luoghi, dan-do effettivamente luogo a feno-meni di assistenzialismo. Nel pe-riodo di attesa la maggior parte diloro non ha fatto niente, personearrivate due anni prima non sa-pevano ancora litaliano. E il pa-radosso che nel momento in cui stata riconosciuta la protezione,sono state scaricate. A ottobre

    del 2012, quando quasi tutti i ri-chiedenti avevano conquistato ilpermesso di protezione umanita-ria della durata di un anno, fini-

    va lemergenza Nord Africa... Si trattato di un vero e proprio ba-ratto: lasciare i luoghi in cui risie-devano (perch finita lemergenzafinivano anche i soldi per assister-le) in cambio del permesso a resta-re un altro anno in Italia.

    Una politica sconsiderata che hafatto s che queste persone sianofinite in strada con il permesso permotivi umanitari ma senza saperedove andare e cosa fare. La mag-gior parte ha lasciato il nostro pa-ese. Chi rimasto o aveva contatti

    precedenti, o rimasto allo sban-do. Quando poi, a febbraio, sta-ta dichiarata la fine della emer-genza, ai titolari di protezionesono stati donati 500 euro, facen-doli uscire dai centri che li aveva-no accolti fino a quel momento.

    Questo ha provocato malumorianche in Europa.

    S, c stato un contributo allu-scita molto generico, ed chia-ro che molti lhanno interpretatocome un biglietto per andare via.Anche se non risparmio critiche alnostro sistema, trovo particolar-mente irritanti le dichiarazioni dialcuni paesi europei - in partico-lar modo della Germania - perchnon tengono in considerazioneil fatto che le persone in Europasono libere di muoversi come vo-

    gliono ed inutile far finta di nonrendersi conto di quanto sia pro-fonda la disparit economica e so-ciale allinterno dellUnione.

    chiaro che se anche lItalia aves-se avuto un programma dintegra-zione migliore, molte di questepersone avrebbero comunque cer-cato un modo per andarsene, pertrovare una miglior qualit di ser-vizi sociali e migliori possibilit la-

    vorative altrove. Come fa la mag-gior parte dei richiedenti asilo unavolta ottenuto lo status. FOTO:

    Sara Rosselli

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    voci dal campo

    ITALIAINTERVISTA A R.,RIFUGIATO POLITICO IN ITALIA

    di Valentina Marconi

    Come iniziato il tuo viaggio?

    Sono partito dalla Siria nel 2011. Intre settimane ho attraversato Iraqe Turchia. Poi per sono rimastobloccato in Grecia per undici mesi,aspettando loccasione giusta perattraversare il mare illegalmente earrivare in Italia.

    Dopo quasi un anno ci sonoriuscito a bordo di una piccolaimbarcazione. In prossimit dellacosta per, le autorit italianeci hanno fermato, pensando chefossimo trafficanti di droga.

    E poi cosa successo?

    Quando si sono resi conto cheeravamo migranti, ci hanno portato

    a Lecce. L, abbiamo trascorso lanotte e il mattino seguente lapolizia ha preso le nostre improntedigitali.

    Il giorno dopo siamo stati trasferitinel CARA (Centro di accoglienzaper richiedenti asilo) di Bari.

    Era il giugno del 2011.

    Alcuni dei ragazzi che erano conme hanno deciso di lasciare lItaliae andare in altri paesi. Io invece hopreferito restare qui perch nonvolevo che i tempi si allungasseroinutilmente e poi pensavo - che sefossi fuggito alla fine mi avrebberocomunque deportato nuovamentein Italia.

    Quando hai fatto richiesta perottenere lo status di rifugiato?

    Nel luglio del 2011. Sono rimasto

    nel CARA di Bari per circa un annomentre sbrigavo tutte le procedureburocratiche del caso. Ho ottenutolasilo nel febbraio del 2012.

    Il racconto di R., che nelfebbraio 2012 ha ottenuto lo

    status di rifugiato politicoin Italia. Tra pericoli e

    peripezie, unodissea umanache fa luce sulle storie di

    tanti altri richiedenti asilo.

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    Che cosa prevede la procedura perlottenimento dellasilo?

    Devi presentarti davanti aduna Commissione territoriale eraccontargli la tua storia. Lorodecidono se assegnarti lo statusdi rifugiato o meno. Stare davantiai membri di questa Commissione(che assomiglia molto a una Corte) stato molto difficile.

    Mi sentivo sotto pressione e avevopaura.

    Adesso che hai ottenuto lasilopolitico, che tipo di aiuto ti offre loStato italiano?

    Per ottenere aiuto dallo Stato devirivolgerti allo SPRAR (Sistema diProtezione per Richiedenti Asiloe Rifugiati). Gli enti che ne fannoparte si occupano di fornire vitto ealloggio.

    Inoltre, con lasilo politico arrivail permesso di soggiorno che tipermette di lavorare e fare quasitutto liberamente: lunica cosa chenon hai il diritto di voto.

    Ma se vuoi svolgere unattivitlavorativa allestero, hai bisognodel permesso delle autorit italianee, in realt, quasi nessuno riesce aottenerlo.

    E tu? Che piani hai per il futuro?

    Vorrei restare in Italia, nonostantenon sia soddisfatto di come vannole cose.

    Come mai non hai chiesto lasilopolitico in Grecia?

    L la procedura per il conferimentodellasilo politico lunghissimae spesso non viene concesso.

    Possono passare anche dieci anniprima di ottenere una rispostadalle autorit.

    Molte persone decidono dichiedere lasilo politico in Italiaperch qui relativamente pifacile ottenerlo rispetto ad altripaesi europei.

    Restare in Grecia, invece, avrebbesignificato rimanere intrappolatoin una grande prigione a cieloaperto. Infatti, mentre aspettila risposta dalle autorit, non

    puoi fare niente. N viaggiare inun altro paese, n lavorare. Nonhai un documento didentit edevi continuamente rinnovare ilpermesso di soggiorno.

    A pi di un anno dallottenimentodellasilo politico, di cosa ti occupi?

    In questo momento mi trovo di

    nuovo in Grecia. Sto lavorandocome interprete con un teamdi medici che si occupano diimmigrazione e diritti umani.

    Essere tornato qui un po difficile.Ci sono tanti ricordi che mi leganoa questo posto.

    R. iracheno. E fuggito dal suopaese nel 2000 e ha ottenuto asilo

    politico in Siria. Nel 2011 scappatoin direzione dellEuropa. Oggi vivein Italia.

    FOTO:Fabio Cimaglia

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    ITALIAMINORI IN TRANSITO: LA SOSTA ITALIANADEI PICCOLI AFGHANI INVISIBILI

    di Anna Toro

    migrando

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    Prima si nascondevanoagli occhi della societnella tristemente nota

    tendopoli del binario 15.Poi nel 2011, per i minorenni

    afghani non accompagnatisi sono aperte le porte

    del rifugio A28. LodovicoMariani, responsabile del

    centro, racconta le sfidee le difficolt di questo

    importante progetto.

    A28, un centro notturno a bassasoglia. Cosa significa?

    Significa facile accessibilit,accoglienza, discrezione. Unascelta obbligata per il tipo dipersone che abbiamo deciso diospitare e assistere. E labbiamofatto semplicemente perch nonera pi tollerabile che, in una delle

    capitali pi importanti dEuropa,dei minorenni passassero le nottialladdiaccio, in un ambientepoco sicuro come pu esserlo unastazione e in balia di chiunque.Cos lassociazione Intersos, con ilpaternariato di Save the ChildrenItalia e la collaborazione di CivicoZero cooperativa sociale, ha datovita nel 2011 a un centro chepotesse fungere da rifugio dopo iltramonto, in cui i ragazzi potesserorimettersi in sesto, dopo un viaggio

    che definire pericoloso dire poco,e decidere con calma se restare orimettersi in cammino. Quasi tuttiscelgono la seconda alternativa.

    Dunque un luogo di sosta, pi chedi arrivo.

    Esatto. LItalia per loro solo unatappa. Gi prima della partenzasanno bene dove vogliono arrivaree quasi nessuno chiede di rimanerequi. E per questo che noi lichiamiamo minori transitanti:sono adolescenti in viaggio, partiti

    da paesi terzi (Afghanistan, Iran)e diretti per lo pi verso gli statidel centro-nord Europa, comeGermania, Inghilterra, Norvegia esoprattutto Svezia, dove esiste unacomunit afghana ben strutturatae vige un sistema di welfaremolto pi tutelante rispetto alnostro. Quando arrivano da noi spontaneamente tramite ilpassa-parola, oppure intercettatie indirizzati dalle unit di stradadi Civico Zero, Medu, o Un Albero

    per la Vita il loro chiodo fisso quello di ripartire al pi presto.Noi per diamo loro anchetutte le informazioni necessarie

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    nelleventualit che decidanoinvece di restare.

    E in quel caso cosa accade?

    Li accompagniamo dalle autoritdove si procede alla loroidentificazione. A quel punto, ilsindaco diventa obbligatoriamenteil tutore del ragazzo, ne legalmente responsabile, comese fosse suo padre. Il problema che a quel punto, secondo il

    noto articolo 6 del regolamentointernazionale di Dublino, ilragazzino deve restare in Italiae iniziare qui il percorso verso lostatus di rifugiato. Ma, come hodetto prima, la maggior partevuole andarsene nel pi brevetempo possibile e chiede di nonessere segnalata. In pratica, direstare invisibile.

    In attesa di ripartire dopounodissea che la maggiorparte di noi non pu nemmenoimmaginare.

    Let media dei ragazzi cheospitiamo di 15 anni, main genere il loro viaggiodallAfghanistan o dallIran finoallItalia cominciato anche unoo due anni prima. Spesso partonoche sono piccolissimi. Litinerario

    uguale a quello degli adulti ed pazzesco, con lattraversamentodella pericolosa frontiera turco-iraniana, o la tappa greca, dovela violenza contro gli stranieriva peggiorando, i viaggi sotto ipianali dei tir o nelle sale macchinedelle navi, lattraversamentodellAdriatico nei gommoni. Nontutti, come sappiamo, arrivano vivi.Altri vengono respinti e devonoricominciare il percorso da capo,magari con altre modalit, altri

    ancora devono fermarsi a lavorareper racimolare il resto dei soldi dadare ai trafficanti. Che si fannopagare profumatamente: il viaggio

    complessivo costa in genere tra i 7e i 10 mila dollari.

    Al centro A28 possono tirare unsospiro di sollievo.

    Quando arrivano da noi portanofisicamente e a volte anchepsicologicamente i segni delviaggio. Sono confusi, dato che sitrovano in un paese sconosciuto,di cui non conoscono la lingua. Eallora noi semplicemente creiamo

    un ambiente nel quale possanosentirsi tutelati, al sicuro. Ilcentro apre alle 10 di sera, e qui iragazzi trovano 4 camere con 6letti ciascuna, lenzuola e copertepulite, lavatrici e asciugatrici, unpo di vestiti di ricambio, bagnie docce, e una sala comune conuna piccola cucina. Ad accoglierlici sono sempre un educatore e unmediatore culturale afghano. Aquel punto gli ospiti si rilassano,mangiano, stanno insieme e si

    raccontano le loro esperienze.Dopo lenormit che hanno vissuto,puoi quasi vederli mentre tornanofinalmente ad essere dei ragazzini,si divertono, a volte mettono lamusica indiana e ballano comematti. E leffetto che fa il sentirsisicuri e protetti dopo tantotempo passato nel pericolo e nellaprecariet. A questo si aggiunge ilfatto che da noi la porta sempreaperta e i ragazzi possono entrare

    e uscire quando vogliono.

    Passata la notte cosa succede?

    Verso le 8 si trasferiscono alcentro diurno Civico Zero, vicinoa Termini, dove i minori trovano,oltre ai servizi essenziali, ancheattivit ricreative, internet point,informazioni e consulenze varie.Inutile dire, per, che spesso e

    volentieri tornano allOstiense allaricerca di informazioni e contatti,trafficanti compresi. Dopotutto,il loro unico pensiero rimettersi

    in viaggio. Le loro parole dordinesono: restare sani, non farsiidentificare e ripartire.

    Quali i numeri?

    Nei primi 12 mesi di attivit A28ha offerto protezione a pi di600 minori, con un tempo dipermanenza media di 9 giorni.In realt una parte cospicua siferma ancora meno, da 1 a 5 notti,mentre ve n unaltra altrettanto

    consistente il cui periodo dipermanenza pi ampio, tra i 9 ei 15 giorni: sono i minori che nonriescono a partire e che talvoltarimangono bloccati in attesa che iparenti inviino loro i soldi necessariper andarsene.

    Un ricambio continuo e silenzioso...

    S, ma c una cosa da dire: il nostro

    un intervento emergenziale chenon ha sostenibilit. Assistiamodei minori che restano invisibiliperch ci siamo presi limpegnoetico e umanitario di non lasciarliper strada (sono minori!). Macosa succede una volta che esconodal nostro centro? Non sono pitutelati. C in questo un grandevuoto normativo.

    Anche perch per le istituzioni,come abbiamo detto, sonoinvisibili.

    Proprio per questo noi e le altreassociazioni con cui abbiamocostituito questa rete di lavoroe di solidariet informale,facciamo pressione affinch cisi prenda cura di questi ragazzi,e lavoriamo continuamente perportare allattenzione istituzionale

    il fenomeno. La legislazionenazionale sullimmigrazionee quella internazionale suirichiedenti asilo (il Regolamento di

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    Dublino 2) non contemplano questacasistica dei minori transitanti, diconseguenza nella pianificazionedei servizi di accoglienza eprotezione operata dagli enti localii bisogni espressi da questi minorinon sono considerati. Se nonfosse per le nostre reti, che pure ilcomune ha mezzo riconosciuto conun finanziamento per lemergenzafreddo, starebbero in strada.

    Soprattutto bisognerebberipensare i Trattati di Dublino,ma per farlo dovrebbero attivarsi

    gli stati europei, tutti insieme.Parliamoci chiaro: se un minoreha uno zio in Svezia disposto aprendersi cura di lui, perch maidovrebbe fermarsi per forza inItalia dove non ha nessuno, seppureidentificato? Questi casi non sonopresi in considerazione dallalegislazione, cos lunica stradaper il minore restare invisibile,per poi comparire magicamentein Svezia e ricominciare a mettereinsieme i pezzi della propria vita e

    del proprio futuro.

    Un po paradossale. E successoche qualche ragazzo sia rimastobloccato da noi?

    A questo proposito, la storia diAhmed esemplare. Arrivato inItalia come minore transitante, stato fermato dalle autorit, lequali gli hanno preso le impronte

    registrandolo tra laltro comemaggiorenne (non lo era). Poiper non stato bloccato, nchiuso in un Cie, nulla. Cos,Ahmed ha ripreso la sua stradafino allagognata Svezia, dove stato ospitato in una casa famiglia,ha iniziato a imparare lo svedese,e gi iniziava a intravedere unfuturo nel paese che aveva scelto.

    Ma...?

    Passato un po di tempo, a un certopunto qualcuno si accorge delle

    impronte e Ahmed viene rimandatoin Italia. Finisce da noi allA28,dove gli diciamo che purtroppo ilpercorso per lo status lo deve farequi. Ma le volont di questi ragazzisono fortissime: Ahmed aveva givisto cosa poteva avere l, e cosainvece gli offriva il nostro paese.Una sera non rientrato al centro.Due giornalisti svedesi con cui erain contatto mentre era in Italia,ad agosto ci hanno fatto sapereche il ragazzo aveva fatto ritornoin Svezia. Poi pi nulla, fino a unmese fa, quando i due giornalisti mi

    hanno ricontattato per informarmiche il caso di Ahmed in Svezia siera chiuso positivamente. Con ilpretesto di essere stato trattato inmodo non consono dai funzionarisvedesi, ha avuto la possibilit difare richiesta per ottenere lo statusdi rifugiato in Svezia.

    Insomma, un modo per aggirare iTrattati di Dublino c.

    Esatto, ma dipende dalla volontdel secondo Stato, e non certola regola. Intanto, qui a Romanoi li proteggiamo e li assistiamoil pi possibile, finch voglionorimanere.

    Un momento di tranquillit inattesa delle incognite del futuro.

    E sempre cos?In genere non abbiamo tumulti,e pure le divisioni etnichevengono per un po dimenticatedi fronte alla comune esperienzae al territorio neutro. In realti ragazzi non parlano quasi maidel loro paese, non solo perch doloroso, ma perch, essendogiovanissimi, sono tutti proiettativerso il futuro. Anche con i viciniromani nessun problema, tra laltro

    la nostra una zona di uffici e alle10 di sera, quando apriamo, c ildeserto. A questo si aggiunge ilfatto che i nostri ragazzi vogliono

    FOTO:Intersos

    farsi notare il meno possibile, sonosilenziosissimi e tendenzialmentemolto educati (non vorrei caderein banali clich ma cos). Moltiquando vanno via ci restituisconoi vestiti che abbiamo loro prestato,sempre lavati e ben piegati. Cidicono: Saranno utili a chi arrivadopo di noi.

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    Quella del popolo saharawi una storia tormentata. Dopo

    la colonizzazione spagnola, nel1975, gli abitanti del SaharaOccidentale furono costretti

    a lasciare le proprie case e lapropria terra in seguito alla

    penetrazione, militare e civile,delle forze marocchine, chetuttora detengono il controllo

    della zona.

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    SAHARAWIQUARANTANNI DI ESILIO NELDESERTO

    testi e foto di Christian Tasso

    fotogallery

    Campo profughi di Dakhla, Algeria. La preghiera dellAid al-Adha, la festa del sacrificio.

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    Fu il Fronte Polisario a tentare di

    resistere allinvasione di Rabat.LAlgeria diede il proprio aiuto,non solo militare, permettendo aicirca 200 mila profughi di stanziar-si in una porzione di territorio en-tro i propri confini (nella prefettu-ra di Tindouf, storicamente abitatada trib saharawi).

    Si tratta per di una delle areepi inospitali della terra, il desertodellHammada conosciuto come ilgiardino del diavolo, dove lescur-sione termica tra il giorno e la not-te sfiora i trenta gradi e lacqua,reperibile a breve profondit, cos salina da essere imbevibile allostato naturale.

    Qui furono poste le basi dellaR.A.S.D. (Repubblica Araba Saha-rawi Democratica) - che controllasolo una piccola parte del SaharaOccidentale (il 20% dellex colonia,prevalentemente desertico) - at-

    tualmente membro dellOUA (Or-ganizzazione dellUnit Africana)e riconosciuta politicamente da 73Stati nel mondo.

    Molti saharawi (circa 50 mila) tut-

    tavia vivono ancora oggi nei terri-tori amministrati dal Marocco, chetrae profitto dalle risorse naturaliofferte dalla zona (fosfati, pesca).Le famiglie si sono trovate improv-visamente divise, senza possibilit

    di avere notizie n di rimanere in

    contatto con i propri cari: durantei combattimenti, infatti, solo unaparte della popolazione riusc adaffrontare la traversata del desertosotto i bombardamenti.

    Sopra: campo profughi di Smara, Algeria. Si stima che sia il campo saharawi pi grande e popoloso, con circa trentamila abitanti.

    Sopra: Campo profughi di Dakhla, Algeria. Paesaggio.

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    Sopra: campo profughi di Auserd, Algeria. TumannaMohamed Lamin in un piccolo negozio di generi

    alimentari. affetta da anemia e per questo motivo, grazieallintervento dellagenzia Onu per i rifugiati, allet di

    10 anni ha potuto trasferirsi in Italia per curarsi. Nel 2001,appena tornata in Algeria per fare visita alla sua famiglia,

    si vista rifiutare per motivi burocratici il rinnovo delpassaporto scaduto. E rimasta nel campo di Auserd fino al

    2011 vivendo a casa delle cugine e lavorando come guidaed interprete per le organizzazioni italiane presenti in loco.I suoi familiari, invece, hanno dovuto trasferirsi nei territoriliberati dal Fronte Polisario a causa delle cattive condizioni

    di salute del padre. Nel 2012 riuscita a tornare in Italia,dove ora vive e lavora.

    In alto: campo profughi di Smara, Algeria. Distributore dibenzina al tramonto.

    In basso: campo profughi di Smara, Algeria. Piccolonegozio di generi alimentari nelle vie del mercato.

    Con lavanzare del conflitto - interrotto nel 1991 conun cessate il fuoco sotto la supervisione ONU, in attesadi un referendum per lattribuzione del territorio con-

    teso, mai realizzato - il Marocco ha costruito un murodi sabbia lungo 2700 km, protetto da milioni di mineantipersona a salvaguardia delle proprie conquiste.

    Cos la divisione diventata permanente.

    Una guerra ha separato un popolo. Un muro divide lefamiglie. Ma trentotto anni di lontananza non hannointaccato la speranza del ricongiungimento, aspettan-do una soluzione che tarda ad arrivare. Fotoreportagedai campi profughi saharawi in territorio algerino.

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    Sopra a sinistra: campo profughi di Smara, Algeria. Fatimeto Salama Hamdi ritratta di fronte alla sua tenda. La sua storia raccontacome la mancanza di unassistenza sanitaria efficiente nei campi profughi peggiori ulteriormente le condizioni di vita del popolo

    saharawi. Le cause della sua cecit sono da attribuirsi a traumi infantili: da bambina si fer accidentalmente agli occhi provocandosiacute infezioni. E stata accompagnata due volte in Spagna per sottoporsi a cure specifiche, rivelatesi inutili. In seguito stata

    costretta a trasferirsi con la famiglia dal campo di Dakhla a quello di Smara, pi attrezzato dal punto di vista medico e dove vi lapossibilit di iscriversi a una scuola per ciechi. Sfortunatamente i migliori trattamenti cui ci si pu sottoporre in un campo profughi

    rappresentano in ogni caso un ripiego e sono spesso inefficaci. Visto lo stato di avanzamento della sua menomazione, nemmenolintervento da parte della Rio de Oro, con nuove trasferte in Italia, riuscito a farle recuperare la vista. La vita di Fatimeto scorre oggi

    monotona nel campo profughi di Smara. Al mattino unauto la passa a prendere per accompagnarla a scuola, mentre il pomeriggio consumato nellozio, interrotto di tanto in tanto dal rituale del t. La sua cecit non totale, Fatimeto, seppure a fatica, riesce adistinguere sagome in controluce, ma ci non sufficiente a renderla autonoma, n sar utile ad evitarle un futuro di solitudine.

    Sopra a destra: campo profughi di Smara, Algeria. Salamu Mohamed Alamin venuto al mondo affetto da una paralisi cerebralenfantile irreversibile. Riesce a muovere unicamente il collo e le braccia, se sollecitato a lungo sorride e segue con lo sguardo le persone

    che lo circondano, ma totalmente incapace di interagire e di condurre una vita anche solo in parte autonoma. Non consapevoledelle sue azioni e per questo costretto a tenere le mani fasciate con delle bende, altrimenti le morderebbe. La sua famiglia si occupadi lui tutto il giorno, accudendolo, lavandolo e dandogli da mangiare. Nelle ore in cui il sole picchia pi forte Salamu viene trasportato

    in una casa di mattoni di sabbia dove, protetto da un velo blu, pu ripararsi dagli insetti e dal caldo. Vivere in una condizione similenon mai facile, ma in un campo profughi i problemi si moltiplicano. Per poter acquistare i pannolini necessari al bambino, i suoi

    fratelli sono stati costretti a trovare lavoro lontano, al fronte, e la famiglia si dovuta trasferire in unabitazione adiacente, in mododa lasciare spazio alle esigenze del figlio. Ormai non ci sono speranze che Salamu possa migliorare. Se i campi saharawi fossero

    provvisti di unassistenza sanitaria migliore probabilmente casi come questo verrebbero curati in tempo o, almeno, si eviterebbe dibbandonare le famiglie alla solitudine di fronte alla malattia. Di casi come quello di Salamu ce ne sono tanti nel deserto. Le condizioniigieniche in cui le donne sono costrette a partorire, la scarsa informazione e la cultura arcaica in cui vive la popolazione determinano

    non soltanto unalta natalit, ma anche una lunga maternit, col rischio poi che i bambini nascano affetti da gravi malattie.

    Sopra: campo profughi di Auserd, Algeria. Mabruca Abd-Raman ritratta nella sua abitazione mentre chiude gli occhi pensando allafamiglia lontana, che non vede ormai da pi di trenta anni. Quando scoppi la guerra aveva solo 16 anni e viveva con i suoi cari. Fu

    costretta a fuggire in fretta, senza capire bene cosa stesse accadendo e senza riuscire a portare con s n cibo n acqua. I suoi familiarisono rimasti dallaltra parte del muro e ormai sono trascorsi trentotto anni dallultima volta che li ha visti. I momenti di terrore che havissuto non le hanno permesso di ragionare su quello che stava facendo, ha solo deciso di scappare perch intorno vedeva conoscentie amici morire sotto lattacco dellesercito marocchino. Insieme a lei molti altri hanno preso la via della fuga. Si sono ritrovati in mezzo

    al deserto senza viveri, in gravi condizioni di salute. Molti sono morti durante lesodo e tanti bambini sono rimasti orfani.

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    Sopra: campo profughi di El Ayoun, Algeria: cisterne utilizzate per la distribuzione dellacqua nei campi profughi.

    Sotto: campo profughi di Smara, Algeria: donne in attesa della distribuzione di aiuti da parte dellassociazione umanitaria Rio de Oroonlus (Nata nel 2000, si fa carico di parte degli interventi sanitari nei campi profughi saharawi)

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    In alto a sinistra: campo profughi di Auserd, Algeria. Un

    ragazzo prega di fronte ad uno degli ultimi alberi rimastinella zona; un posto dove i giovani saharawi si ritrovanocon gioia a sorseggiare il the.

    In alto a destra: campo profughi di Dakhla, Algeria. Unastanza dellospedale civile.

    Accanto: campo profughi di Smara, Algeria. Trasportodellacqua.

    Sotto: Campo profughi di Smara, Algeria: una ragazza siprende cura di due agnelli, gli unici animali su cui potr

    contare la famiglia per sfamarsi.

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    Sopra: Campo profughi di Dakhla, Algeria: pranzo nel giorno dellAid al-Adha (la festa del sacrificio).

    Sotto: Campo profughi di Dakhla, Algeria: un uomo e suo figlio cercano di domare un cammello colpito da una malattia della pelle.

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    Accanto, in alto: campo profughi di Smara,Algeria. Il rituale del the allinterno di

    una haima saharawi, la tipica tenda nellaquale si vive nei campi profughi. Il the

    oltre ad essere un rito tradizionale ancheun forte collante sociale. In mancanza di

    altre distrazioni, non raro che i giovani siritrovino allinterno di qualche tenda per

    passare il tempo insieme mentre eseguonoquesto rituale.

    Accanto, in basso: campo profughi diAuserd, Algeria. Mohamed Lamin prega

    insieme ai suoi familiari nella tenda delpadre malato.

    Sotto: campo profughi di Auserd, Algeria.

    Cartoline provenienti dallaltra parte delmuro eretto dalle forze marocchine. Ifamiliari erano soliti inviarsi fotografie con

    dietro scritti i nomi dei parenti, per far siche potessero riconoscersi a distanza di

    anni e rassicurarsi sulle buone condizioni disalute.

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    Sopra: campo profughi di Smara, Algeria: una donna porta in braccio suo figlio, affetto da paralisi cerebrale infantile irreversibile.

    Sotto: campo profughi di Smara, Algeria: una giovane saharawi durante lattesa per la distribuzione degli aiuti umanitari.

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    In alto: campo profughi di Smara, Algeria. Ritratto.

    Al centro, a destra: campo profughi di Auserd, Algeria. Ritratto.

    Al centro, a sinistra: campo di Rabouni, Algeria. Alcuni giovanimanifestano impugnando le bandiere della R.A.S.D.

    Accanto: Campi profughi di Smara. Veduta aerea del desertodellHammada, uno dei territori pi inospitali della terra, dove

    sono allestiti i campi profughi.

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    TUNISIADUE ANNI DOPO, IL TEMPO CHE RESTAAI RIFUGIATI DI CHOUCHA

    di Jacopo Granci

    cultura e dintorni

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    Il campo di accoglienzasituato nel sud del paese

    chiuder i battenti ilprossimo 30 giugno.

    Allestita ad inizio 2011,la struttura ospita ancora

    diverse centinaia disfollati. Torniamo su una

    vicenda in cui lo slancio digenerosa solidariet degliinizi sembra aver lasciatoil posto alle fredde logiche

    di esternalizzazione delcontrollo dei flussi migratori.

    LA STORIA, IL FILM

    Il campo di Choucha, assiemead altri centri di accoglienzacostruiti nel sud tunisino ed oggismantellati, era stato allestitodallAlto commissariato ONU peri rifugiati (UNHCR) nel febbraio2011, dopo linizio della guerra inLibia (con relativi bombardamenti

    NATO sulla Tripolitania) e larrivoalla frontiera di Ras Jdir delle primeondate di profughi.

    Secondo le stime fornite dalleNazioni Unite, oltre 200 milapersone provenienti dal paesevicino - di circa cento nazionalitdiverse - sono transitate nelletende e nei container di Chouchanel corso del 2011. Diciotto mila ilnumero massimo di ospiti presenticontemporaneamente nel campo,

    nella maggior parte dei casilavoratori e migranti sub-saharianie asiatici considerati dagli insorticome dei protetti del regime di

    Gheddafi e per questo oggettodi ritorsioni, oltre che vittime deidanni collaterali del conflitto.

    Pi discreta, invece, la presenza(e soprattutto la permanenza)a Choucha dei libici in fuga daTripoli, Misurata, Sirte, BeniWalid e Yefren, in genere accoltinegli hotel di Tunisi o in grado di

    pagarsi una migliore sistemazionein altre citt del paese, in attesadel passaggio del fronte o dellafine degli scontri e del ritorno inpatria.

    Nelle prime fasi della crisi, datala gravit della situazione, lAltocommissario Antonio Guterresaveva adottato per loccasioneun procedimento eccezionale,invitando gli Stati occidentalimeglio equipaggiati a farsi carico

    dei profughi e ad accoglierli conlo status di rifugiati. Ovviando cosanche al buco legislativo tunisinoin materia di diritto dasilo.

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    La storia di questa emergenzae della solidariet che in queimesi di febbrile accoglienza hacontraddistinto in primis i cittadinitunisini, appena liberatisi deldittatore locale, stata raccontatadal documentario Babylon,premiato nel luglio 2012 con il GrandPrix del festival internazionale delcinema di Marsiglia.

    Due ore di pellicola che restituisconola vita di Choucha, non solo deisuoi abitanti ma di tutto luniversoche vi ruota attorno: la genesi

    dei lavori, larrivo delle ong e deimedia internazionali, la presenzadellesercito e della popolazionelocale, e poi la natura che fa dasfondo ad un contesto in continuatrasformazione. Due ore in cui lospettatore abbandonato allasola polifonia delle immagini e allasua diretta interpretazione, senzasottotitoli o voce narrante a fareda filtro (clicca qui per vedere unbreve estratto).

    A parlare bastano i colori - laluminosit accecante del soleche sembra poter cancellare lerughe dai volti dei rifugiati, ilverde militare che si confonde conquello dei sacchi di spazzaturaabbandonati ai lati del campo - e isuoni, come il vociare dei gruppettivicino alle tende, il rumore delvento che agita i teloni o quellodelle ruote che slittano sullasabbia.

    E la primavera del 2011 quandotre giovani registi tunisini - Ismael,Youssef Chebbi e Ala Eddine Slim,autori fino a quel momento dicortometraggi e video sperimentali,riuniti nella casa di produzioneindipendente Exit - decidono discendere a sud, dove si stannocostruendo i primi accampamentialle porte del deserto, per viveree filmare lesperienza.

    I tre non arrivano a Choucha percoprire levento - secondo il gergodel reportage - ma per scoprire

    quello che sta accadendo. Si lascianotravolgere dalla quotidianit diuna realt in divenire, frastornati,quasi come i profughi chetransitano e popolano il luogo,apparentemente inospitale ma viavia impregnato dumanit.

    Al centro del film non sono irifugiati intesi come un corpusomogeneo, n le loro storie di vita.E il campo, punto di incontro edi scontro, di partecipazione e diconflitto, di angoscia ed euforia, adessere protagonista. In Babylon

    la citt a raccontare i suoi abitantie non linverso: un accampamentoprovvisorio, cresciuto velocementein mezzo al nulla, dove i profughicercano di trovare una normalitnonostante il carattere effimerodella struttura.

    Essendo pensata come zona dipassaggio, a Choucha sembradifficile - almeno nei primi tempi -riuscire a tessere legami solidi tra le

    varie componenti. Altro leitmotivdel documentario infatti lacontinua tensione, lambivalenza,tra unincomunicabilit difondo che regna tra i profughi- di nazionalit, lingua e culturadifferenti - e il comune sentimentodi appartenenza, anche da partedegli autori, ad una cittadinanzauniversale; quasi si trattasse diun mosaico in cui, seppur condifficolt, ogni tessera riesce ad

    incastrarsi.Lopera, dal punto di vista dellastruttura, si divide in cinquemomenti. Il primo restituiscelo spazio di accoglienza primadellarrivo massiccio dei rifugiati,il secondo descrive il progressivopopolamento del campo, poilorganizzazione della vita edella socialit, prima di lasciareaperto lobiettivo sulla criticitdei rapporti al suo interno.

    Lultimo spaccato si concentra suitrasferimenti e le prime partenzeda Choucha: le tende cominciano a

    svuotarsi, il traffico della strutturasi riduce e una domanda aleggiasullo sfondo. Cosa ne sar di questoluogo quando lemergenza sarconclusa?

    LINCERTEZZA DEL FUTURO

    La risposta arrivata qualche mesefa dal governo tunisino. Choucha,la cui funzionalit gi ridotta datempo, chiuder definitivamente ibattenti il prossimo 30 giugno. Tra

    dieci giorni gli ultimi abitanti delcampo, circa 900 persone, sarannoprobabilmente abbandonati alloro destino. Chi sono?

    Tra le migliaia di profughi finitiin questo centro dallapertura nel2011, oltre ai libici ed ai migrantiche hanno deciso di proseguireil viaggio verso lEuropa osono rientrati in patria, vi sonodei richiedenti asilo - in largamaggioranza provenienti dalle

    regioni sub-sahariane - chehanno provato a beneficiare dellemisure eccezionali concesse perloccasione dallAlto commissarioONU (4 mila domande presentate,di cui oltre la met accolte).

    Di fronte a loro si sonomaterializzati tre scenari distinti:alcuni sono stati accolti comerifugiati in un paese terzo(essenzialmente Stati Uniti e paesiscandinavi); altri, che si sono vistiaccettare la domanda dasilo, sonostati riconosciuti come rifugiatima nessuno Stato si dichiaratopronto a riceverli ed hanno comemiglior prospettiva lintegrazionein Tunisia; altri ancora, i dbouts,hanno visto la loro richiestarespinta dallUNHCR ma rifiutanoil rimpatrio volontario assistitoprospettato dallagenzia (conpagamento del viaggio di ritorno eun piccolo bonus di uscita).

    Due anni dopo liniziodellemergenza e a pochi giornidalla chiusura di Choucha, sono

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    http://http//www.film-documentaire.fr/films/affiche_video.php?id=2768http://http//www.film-documentaire.fr/films/affiche_video.php?id=2768
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    queste ultime due categorie adalimentare la polemica e adopporsi allo smantellamento delcampo, vista lincertezza che gravasul loro futuro.

    Delle 900 persone circa ancorainsediate negli accampamentiprovvisori, ve ne sono 700 con lostatus di rifugiato riconosciuto- di cui una met destinatateoricamente a partire versoun paese terzo e laltra metin attesa di essere integratain territorio tunisino - e 200

    dbouts, confinati nel settoreE della struttura, allesterno delperimetro di Choucha.

    Avendo rifiutato la soluzioneproposta dallAlto commissariato,questi non-rifugiati hannoperduto dallottobre scorsoil diritto allassistenza daparte dellUNHCR. Nientepi distribuzione di viveri nmedicinali, sopravvivono in tendelacerate dal vento e rattoppatea fatica, con la sola possibilit diaccedere al rubinetto dellacquapotabile - quando non rotto- situato ai margini del campo.Hanno imparato a conviverecon le frequenti tempeste disabbia e a tenersi alla larga dauna popolazione locale che conil passare del tempo sembraaver esaurito liniziale slancio disolidariet, sostituito - sempre pispesso - da reazioni insofferenti

    quando non apertamenteintolleranti.

    Tornare nei loro paesi di origine,con leventualit di subireritorsioni e abusi da cui eranostati costretti a fuggire, fuoridiscussione per questa gente. Cosane sar dopo il 30 giugno? Unabuona domanda, commentaun cooperante di stanza nelsud tunisino. Le alternativeproposte dallUNHCR sono ilrimpatrio o laccompagnamentooltrefrontiera, in quella stessaLibia da cui sono scappati. Forse

    ingrosseranno le fila dei migrantiin attesa della traversata versoLampedusa.

    Di certo non scompariremo inmezzo al deserto, dichiaravauno di loro allinviato della rivistaon-line Regards, autore di uneccellente reportage da Chouchapubblicato nelle scorse settimane.Perch allora non aver tentatoprima la traversata, come hannofatto altri nella stessa situazione?

    Perch per partire servono soldi.

    Per Lampedusa almeno 1000dinari [circa 500 euro, ndr] eadesso riesco appena a mangiareuna volta al giorno.

    La mancanza di assistenzadellagenzia ONU ovviatacon piccoli espedienti - qualchelavoretto sottopagato in zona -e grazie allintervento di alcuneong locali, come il Forum tunisiendes droits conomiques et sociaux(FTDES) e il Centre de Tunis pour

    la migration et lasile (CeTuMA).Le stesse che stanno facendopressioni sul governo affinchattivi - anche per questa categoriadi profughi - un programmadi accoglienza nazionale. Malo status giuridico di dboutssembra impedire una soluzione inquesto senso.

    Le proteste contro le agenzieinternazionali che hanno gestitolemergenza in Tunisia (UNHCR,

    OIM - Organizzazione mondialeper le migrazioni) arrivano ancheda quei rifugiati che, seppurufficialmente riconosciuti, si sonovisti negare il trasferimento in unpaese terzo.

    Per loro, il programma diintegrazione nel territorio tunisino ingiusto e preoccupante,dal momento che li espone adiscriminazioni gi patite inquesto contesto e li priva di undiritto - lambita ricollocazione inEuropa o negli Stati Uniti - di cuialtri in condizione analoga hanno

    potuto beneficiare.

    A complicare il tutto c poi

    la grave crisi economica chesta attraversando la Tunisia.La carenza di impiego einvestimenti la rende un contestopoco credibile rispetto allepromesse di accompagnamentonellinserimento professionalefatte dalle autorit e sostenute- con ingenti programmi difinanziamento - dagli ufficidi cooperazione di alcuniStati europei. Un esempio

    emblematico: la regione diMedenine, in cui si trova il campodi Choucha, quella con il pialto tasso di disoccupazione,perfino tra i giovani laureati.Tra laltro, linserimento nelmercato del lavoro locale dinuova manodopera - con ogniprobabilit a basso costo - mentrei disoccupati affollano le agenziedi collocamento, mal vista dallapopolazione, che la considerauna sorta di concorrenzasleale, aumentandone cos ilrisentimento.

    Dal canto loro le autorittunisine, secondo alcuni spintesoprattutto dagli accordi diesternalizzazione gi siglati (o inprocinto di) con lEuropa (Italia inprimis), ribadiscono la volont dimodificare la propria legislazioneper divenire a tutti gli effetti unpaese di accoglienza, a cominciare

    dallarticolo sul diritto dasilo chedovrebbe comparire nel nuovotesto costituzionale in attesa difinalizzazione.

    di questo parere il professorHassan Boubakri, presidentedellorganizzazione CeTuMA.Il campo di Choucha unaconseguenza diretta del conflittolibico - dichiarava laccademico alsito Regards -. E quindi la NATO- non la Tunisia - che dovrebbefarsi carico delle vittime, o megliodei rifugiati, provocati da questaguerra, a maggior ragione dopo la

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    chiusura del campo.

    Intendiamoci, siamo favorevoli

    alladozione di un articolo suldiritto dasilo nella costituzionee vogliamo che il nostro paeseadempia agli impegni dovuti nellaregione. Ma allo stesso temponon siamo stupidi. La parabola diChoucha sintomatica.

    la dimostrazione che i paesioccidentali non vogliono assumersile loro responsabilit, nemmenoquando innescano direttamente

    una crisi intervenendo in unconflitto. E anche la confermadel processo di esternalizzazionein atto nella gestione dei flussimigratori.

    FOTO:FTDES (Forum tunisien des droits

    conomiques et sociaux)

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    ISRAELEDOVE LACCOGLIENZA DIVENTAUNA PRIGIONE NEL DESERTO

    di Stefano Nanni

    approfondimenti

    Ricevere asilo politico inIsraele per un migrante quasi impossibile. Per

    gli oltre 2mila tra eritreie sudanesi rinchiusi in

    una prigione nel profondosud del Negev il sogno

    di una vita migliore si interrotto ancora prima di

    iniziare. Quando sono staticonsiderati criminali, a

    prescindere dalla loro storia.

    Zero su diciassette. A tantoequivale il numero di richiestedi asilo che Israele ha accordatonelle ultime due settimane. Apresentarle, dei cittadini eritreifuggiti dal loro paese di origine,nella maggior parte dei casi perdiserzione dallesercito. Ma,secondo il Comitato per gli affaridei rifugiati del ministero degli

    Interni, questa ragione non sufficiente a soddisfare i criteriprevisti dalla Convenzione delleNazioni Unite sullo status deirifugiati alla quale Israele aderisce.

    Il comitato ha sottolineato chela diserzione dagli obblighi delservizio militare non pu essereritenuta una valida causa affinchil caso possa essere consideratouna persecuzione politica.

    Daltronde questa posizionerispecchia la previsione fatta duesettimane fa dal pubblico ministeroYochi Gnessin, rappresentante

    dello stato di fronte alla Cortesuprema durante laudizione di unricorso presentato da un gruppo diassociazioni per la difesa dei dirittidei migranti a nome di 5 cittadinieritrei (tra i quali un bambino di15 mesi): Probabilmente la quasitotalit delle richieste di asilo sarbocciata, aveva affermato inquelloccasione, dal momento

    che provengono tutte dai detenutidel centro di Saharonim.

    Contro gli infiltrati

    Il centro in questione in realtuna vera e propria prigione nelprofondo sud del deserto delNegev, dove sono costretti a vivereoltre 2.400 migranti africani,principalmente di nazionalit

    eritrea e sudanese.Composto da 700 edifici, costatioltre 50 milioni di NIS (shekel), pu

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    http://www.haaretz.com/news/national/israel-begins-sweeping-rejection-of-eritrean-asylum-claims.premium-1.530332http://www.acri.org.il/en/2013/06/04/anti-infiltration-hearing/http://www.acri.org.il/en/2013/06/04/anti-infiltration-hearing/http://www.acri.org.il/en/2013/06/04/anti-infiltration-hearing/http://www.haaretz.com/news/national/israel-begins-sweeping-rejection-of-eritrean-asylum-claims.premium-1.530332
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    ospitare fino a 4.000 prigionieri.Si trova a 3 chilometri da Nitzana,villaggio israeliano al confine conlEgitto. Un confine lungo il qualecorre limpressionante barrieradi filo spinato che, nel giro di unanno, ha praticamente risoltoil problema dellimmigrazioneclandestina.

    Ma anzich immigrazione, secondoil linguaggio legislativo israelianosarebbe pi corretto utilizzareil termine infiltrazione. Lanormativa che regola lingresso di

    stranieri e tutte le procedure perrichiedere permessi di residenza oasilo, infatti, si chiama Legge diprevenzione dellInfiltrazione.In vigore dal 1954, era stataoriginariamente concepita percontrastare e prevenire lingressoillegale da parte dei nemici arabi considerati appunto infiltrati che, una volta messo piede interritorio israeliano, venivanoimmediatamente espulsi.

    Se si esclude questo fenomeno,Israele non mai stato oggetto disignificativi ingressi di migrantieconomici, coloro cio cheprovengono da paesi interessatida situazioni di povert e conflittoe che migrano per migliorare leproprie condizioni di vita. Questoalmeno fino alla met del decennioscorso quando dal confine conlEgitto si inizi a registrare unconsiderevole aumento nellarrivo

    di cittadini africani, il pi dellevolte senza documenti. I numerisono chiari: dalle poche centinaiadel 2001 si passati agli oltre55.000 del 2011 (dati estrapolatida articoli diHaaretz, +972mag eNew York Times).

    Non accogliendo la maggiorparte delle loro richieste di asiloed accordando, per contro,un permesso temporaneo diprotezione che consente

    quantomeno di lavorare,laumento della presenza africanasi concretizzato nei sobborghidi Tel Aviv e nelle citt portuali

    di Eilat e Ashdod, dove i migrantisono stati invitati a trasferirsi.

    Una presenza che per si scontrata con la diffidenzadella popolazione locale, subitofomentata da movimenti e partitidi estrema destra al punto dacausare scontri e attacchi anti-africani che hanno avuto luogoa partire dallaprile del 2012,moltiplicandosi anche nei mesisuccessivi (maggio, giugno-luglioe agosto-ottobre).

    Per questa ragione il precedentegoverno, che nel dicembre 2011aveva dato il via alla costruzionedella barriera al confine conlEgitto, proponeva e facevaapprovare con un voto dimaggioranza, nel giugno delloscorso anno, un emendamentoalla legge di prevenzionedellinfiltrazione.

    Sulla base di argomentazioni comela lotta allillegalit e la difesa

    dei principi fondanti di ebraicite democrazia di Israele, le nuovemisure prevedevano larrestoimmediato dei migranti illegali (dicui si reiterava la denominazionedi infiltrati) per un periodo dialmeno tre anni, in attesa di unarisposta alle richieste di asilo,avanzate quasi da tutti una voltaarrivati.

    Di conseguenza, nel giro di unanno i detenuti della prigione di

    Saharonim, in funzione gi dal2007 per la residenza temporaneadei migranti in attesa del permessodi protezione, sono passati dapoche centinaia agli oltre 2.400attuali.

    Migranti criminalizzati per ilsolo fatto di essere entrati senzadocumenti in seguito a viaggifatti in condizioni gravissime perloro incolumit, dato che pocoprima di mettere piede in Israele

    attraversano lastateless zone deldeserto del Sinai. Nella pratica, unreato di clandestinit a tutti glieffetti.

    Diverse agenzie internazionali perla difesa dei diritti umani, e nellospecifico dei rifugiati - come HumanRights Watch (HRW) e UNHCR -richiesero immediatamente chequellemendamento fosse rimosso,in quanto palesemente contrarioalla Convezione sullo status deirifugiati. In primo luogo perch,come ricorda HRW, larresto di unrichiedente asilo non pu essereconsiderato uno strumento diprotezione a meno che la leggedello Stato non preveda per casieccezionali un periodo massimo

    di detenzione. Lemendamento inquestione parlava di almeno treanni.

    Inoltre, in questi casi, lo Statoha lobbligo di provvedere a unavvocato per ogni detenuto,e anche questa condizionerisulta inadempiuta in quantoad occuparsi delle questionilegali della maggior parte deimigranti sono principalmenteorganizzazioni non governativeisraeliane come Hotline forMigrant Workers e ACRI.

    Tuttavia il nuovo governo sembravoler mantenere la stessa, ferma,posizione del precedente, ancheperch la coalizione attuale, oltreal Likud di Netanyahu e a IsraelBeyteinu di Lieberman, includeal suo interno un altro partito didestra, Habayit Hayehudi (LaCasa Ebraica), che ha fatto della

    lotta allimmigrazione il suocavallo di battaglia nella scorsacampagna elettorale.

    Lattuale esecutivo non solo nonha rimosso lemendamento, maanzi ne ha aggiunto altri cheinaspriscono le condizioni deimigranti.

    Dna e merce di scambio

    Il fatto di non considerare ladiserzione dallesercito comeragione valida per garantire a un

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    http://www.davidsheen.com/racism/proto.htmhttp://www.davidsheen.com/racism/proto.htmhttp://storify.com/davidsheen/afrikristallnachthttp://www.davidsheen.com/racism/2months.htmhttp://www.davidsheen.com/racism/5months.htmhttp://www.nytimes.com/2011/12/12/world/middleeast/israel-steps-up-efforts-to-stop-illegal-immigration-from-africa.html?_r=0http://www.haaretz.com/print-edition/opinion/israel-s-anti-infiltration-law-is-a-disgrace-1.406653http://www.hrw.org/news/2012/06/10/israel-amend-anti-infiltration-lawhttp://www.hotline.org.il/http://www.hotline.org.il/http://www.acri.org.il/enhttp://www.acri.org.il/enhttp://www.hotline.org.il/http://www.hotline.org.il/http://www.hrw.org/news/2012/06/10/israel-amend-anti-infiltration-lawhttp://www.haaretz.com/print-edition/opinion/israel-s-anti-infiltration-law-is-a-disgrace-1.406653http://www.nytimes.com/2011/12/12/world/middleeast/israel-steps-up-efforts-to-stop-illegal-immigration-from-africa.html?_r=0http://www.davidsheen.com/racism/5months.htmhttp://www.davidsheen.com/racism/2months.htmhttp://storify.com/davidsheen/afrikristallnachthttp://www.davidsheen.com/racism/proto.htm
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    migrante lo status di rifugiatosembra anchessa in contraddizionecon gli standard internazionali.

    Lo ricorda un articolo di Haaretzche il 17 giugno riporta la notiziadellesito negativo delle 17domande di richiesta di asilo,citando la posizione assuntadallUNHCR nei confronti deimigranti eritrei nel 2011.

    Questa infatti sottolineava che lamaggior parte delle persecuzionipolitiche in Eritrea avviene

    allinterno dellesercito, dove idissidenti vengono torturati osottoposti a disumane condizionidi prigionia. Pertanto, secondoquesta interpretazione, coloroche rientrano in questi casirappresentano il 74% del totaledei migranti eritrei ai quali vieneaccordato lo status di rifugiato intutto il mondo.

    Tranne in Israele, dove adistanza di pochi giorni dal suo

    insediamento, il nuovo esecutivoha dato il via libera alle proprieforze di sicurezza per rimpatriarecirca 1.000 detenuti sudanesi senzainformare lUNHCR, dichiarandoufficialmente che il tutto avvenivasulla base di decisioni volontarieda parte dei migranti.

    Lo scorso 10 maggio, invece, ivertici della polizia israelianahanno ammesso di aver raccolto

    negli ultimi mesi alcuni campioni diDna di altrettanti migranti africanidopo aver ricevuto il permessodal procuratore generale, YehudaWeinstein.

    Questultimo, inoltre, mentre laCorte suprema esaminava il ricorsopresentato contro le legge sullaprevenzione dellinfiltrazione,comunicava le nuove linee guidache lo stato dovrebbe seguire pergestire i rimpatri volontari dei

    detenuti africani.

    Nello specifico una volta appuratoche il detenuto non ricever asilo

    politico in Israele, le autoritdovranno proporgli due possibilit:rimanere in carcere o esserevolontariamente rimpatriato,firmando un documento ufficialein cui viene espressa esplicitamentela volont del migrante di volertornare nel proprio paese diorigine.

    Il governo, intanto, in linea conqueste direttive, annunciava duesettimane fa di aver trovato unaccordo con uno Stato senzaspecificare quale per lo scambio

    di infiltrati, che riceverannounadeguata formazione intecniche agricole in cambio di8.000 dollari per persona.

    Come se non bastasse, la Knesset haapprovato un altro emendamentoalla stessa legge che stabilivale modalit attraverso cui imigranti con regolare permessodi protezione possono inviaresoldi allestero. Presentato daNetanyahu come lultimo passoche segna il successo del governonel combattere limmigrazioneclandestina, il provvedimentoprevede che i migranti non possanoinviare denaro in patria fin quandoresteranno sul territorio israeliano.Non solo.

    Al momento del ritorno, potrannoportare con s nel paese di origineuna somma massima equivalente alsalario minimo mensile moltiplicato

    per i mesi di permanenza. In caso diviolazione di questa disposizione,le autorit doganali dovrannosequestrare leventualesurplus cheaffluir nelle casse del ministerodelle Finanze.

    Elencare queste misure recenti sufficiente a spiegare come, nelgiro di un solo anno solare, lacondizione dei migranti in Israelesia gradualmente peggiorata,fino ad arrivare alla situazione

    attuale. Una questione, quelladellimmigrazione, praticamenterisolta, secondo le parole diNetanyahu.

    Oggi un migrante sudanese oeritreo che decida di abbandonarela sua terra per persecuzionipolitiche subite o per sperare inun futuro migliore consideratoun criminale prima ancora dimettere piede in Israele. Unavolta attraversato indenne lareadel Sinai - ammesso che riesca asuperare la barriera di filo spinato -passer almeno tre anni in carcere.Intanto per potr avanzare unarichiesta di asilo che, una volta nonconcessa, si tramuter in una sceltatra continuare a sopravvivere nella

    prigione di Saharonim oppurescegliere di tornare da dove eracominciato.

    FOTO:Cecilia Dalla Negra/Andrea Camboni

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    http://www.haaretz.com/news/national/israel-begins-sweeping-rejection-of-eritrean-asylum-claims.premium-1.530332http://www.haaretz.com/news/diplomacy-defense/israel-secretly-repatriated-1-000-to-sudan-without-informing-un.premium-1.505806http://www.haaretz.com/news/national/israel-has-collected-some-1-000-dna-samples-from-african-migrants-but-denies-creating-database-1.519892http://www.haaretz.com/news/national/israel-s-ag-to-draw-up-guidelines-for-voluntary-repatriation-of-jailed-eritrean-sudanese-migrants.premium-1.523675http://www.timesofisrael.com/israel-offered-cash-for-migrants-deal-to-unnamed-african-state/http://www.haaretz.com/news/diplomacy-defense/knesset-approves-law-barring-infiltrators-from-transferring-money-abroad-1.527706http://www.haaretz.com/news/diplomacy-defense/knesset-approves-law-barring-infiltrators-from-transferring-money-abroad-1.527706http://www.timesofisrael.com/israel-offered-cash-for-migrants-deal-to-unnamed-african-state/http://www.haaretz.com/news/national/israel-s-ag-to-draw-up-guidelines-for-voluntary-repatriation-of-jailed-eritrean-sudanese-migrants.premium-1.523675http://www.haaretz.com/news/national/israel-has-collected-some-1-000-dna-samples-from-african-migrants-but-denies-creating-database-1.519892http://www.haaretz.com/news/diplomacy-defense/israel-secretly-repatriated-1-000-to-sudan-without-informing-un.premium-1.505806http://www.haaretz.com/news/national/israel-begins-sweeping-rejection-of-eritrean-asylum-claims.premium-1.530332
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    LASSISTENZA UMANITARIACHE NON SOSTITUISCE LA POLITICA

    di Stefano Nanni

    approfondimenti

    Criticata da pi parti,sotto-finanziata da 20 anni,lUnrwa ha in Palestina un

    ruolo mai assunto da nessunaltro organo dellOnu. Forse

    anche per questo finisceper diventare il simbolo di

    unassistenza umanitariache non pu sostituire la

    soluzione politica necessaria.Lo dimostrano le recenti

    proteste a Gaza.

    Le strutture dellUnrwa nella Stri-scia di Gaza hanno riaperto rego-larmente il 9 aprile. Ha ripreso ilsuo corso ordinario la distribuzio-ne di cibo e beni di prima neces-sit per 800mila persone, dopo lasospensione della scorsa settima-na, allorigine di accese tensioni.

    Grazie alle rassicurazioni ricevu-te lUnrwa ha deciso di riprenderele sue attivit, ha annunciato conun comunicato lagenzia delle Na-zioni Unite che si occupa dei rifu-giati palestinesi dal 1949.

    Rassicurazioni che sono state for-nite in particolare da Hamas, col-pevole secondo il direttore delleoperazioni, Robert Turner, di nonaver garantito adeguata sicurezza

    ai funzionari Onu durante le ma-nifestazioni che hanno avuto luo-go la scorsa settimana.

    Non la prima volta che lUnrwasi trova al centro delle proteste.

    Unagenzia unica nel suo gene-re allinterno delsistema-Onu, inparte frutto delle politiche con-traddittorie che la comunit inter-nazionale ha attuato nel contestoisraelo-palestinese, e in crisi finan-ziaria da quasi 20 anni.

    Pane, non giochi

    Le recenti proteste sono il sintomodi una crisi di consenso, iniziatamolto tempo fa ma inasprita dal-la recente decisione dellagenziadi sostituire i servizi di cash assi-stance (distribuzione mensile disomme di denaro per famiglie in

    povert) con programmi per lacreazione di posti di lavoro.

    PALESTINA

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    http://www.unrwa.org/etemplate.php?id=1707http://www.unrwa.org/etemplate.php?id=1707
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    A causa delle continue penuriebudgetarie, che consistono in undeficit pari a 67,2 milioni di dolla-ri, lUnrwa ha ritenuto necessariauninversione di rotta nella suapolitica: utilizzare le poche risor-se a disposizione per programmiche siano in grado di garantire lamaggiore sostenibilit possibilenel medio-lungo termine.

    Ma la decisione ha incontrato ildissenso non solo delle personedirettamente interessate dalla ri-duzione dei programmi. Perch,come riportaMiddle East Moni-tor, in tanti hanno manifestatonei giorni scorsi circondando il suoquartier generale a Gaza City, conslogan di protesta che la accusava-no di ridurre il sostegno al dirittoal ritorno dei profughi palestine-si con le nuove politiche.

    Non siamo mendicanti, ma perso-ne titolari di pieni diritti, scandi-va la folla. Non vogliamo giochi,ma pane e servizi, recitavano in-vece alcuni cartelli, con un chiaroriferimento alle attivit ricreativeche lUnrwa organizza per giovanie bambini della Striscia.

    Il 4 aprile dunque, vista la dram-matica escalation delle proteste,lagenzia annuncia linterruzio-ne di tutte le attivit per proteg-gere lincolumit dei propri fun-zionari, compresa la distribuzio-

    ne di cibo di cui beneficia un terzodella popolazione della Striscia.

    Una decisione che ha inaspritogli umori dei gazawi costretti neicampi profughi, scesi nuovamen-te in piazza nei giorni successivi.Il comportamento delUnrwarappresenta solo la prima fase diuna chiusura pianificata gi datempo ha affermato Moein Okal,membro del Popular Committee

    for Refugees, tra gli animatoridelle proteste.

    Lirreversibile crisi del Blue State

    Quella dellagenzia, infatti, sem-bra una crisi senza fine. Che ini-zia nel 1993 quando, allindomanidella sigla degli Accordi di Oslo, lacomunit internazionale inizia aridurre progressivamente i fondi asua disposizione.

    La ragione principalmente eco-nomica.

    Da Oslo nasce infatti lembrionedel futuro Stato palestinese, quel-la Autorit Nazionale (ANP) che,prima di acquisire capacit auto-nome, doveva essere adeguata-mente finanziata e sostenuta, ini-ziando ad occuparsi di quelle atti-vit tipiche di uno Stato moderno:infrastrutture, educazione, sanit,welfare.

    Settori che erano per gi presen-ti e attivi nei Territori Occupatigrazie al lavoro dellUnrwa, chenegli anni aveva costruito scuole,ospedali, centri ricreativi e posti dilavoro, attraverso una composizio-ne del personale inedita: su 29.602dipendenti, il 99% erano e sonoancora - rifugiati palestinesi.

    Nei 65 anni trascorsi dalla risolu-zione 194 delle Nazioni unite, chenel 48 riconosceva il diritto al ri-torno dei rifugiati, niente cam-biato. Israele non ha mai ricono-

    sciuto questo diritto, e la comuni-t internazionale lha progressiva-mente considerato impraticabile.

    I rifugiati sono rimasti tali, passan-do dai 750mila del 1950 agli attua-li 5 milioni, secondo le stime uffi-ciali.

    Anche per questo, e data la porta-ta dei servizi forniti, lagenzia hafinito per essere un punto di rife-

    rimento tale da renderla, nel co-mune sentire, una sorta di Stato.

    Blue State era il nome con cuiveniva chiamata dai rifugiati: lescuole, gli edifici, le tende, i mezzidi trasporto, tutto ci che avevauna bandiera blu ha finito per di-ventare sinonimo di quella strut-tura statale assente suo malgrado,in Palestina.

    Frequentare le scuole dellUnwra,negli anni, ha reso inoltre possibi-le la formazione e lacquisizionedi posizioni socio-economiche al-trimenti incompatibili con lo sta-tus di rifugiati attribuito a partedella popolazione palestinese.

    La formazione acquisita daglistudenti ha generato unoffertadi forza-lavoro qualificata che andata a colmare la crescente do-manda delle economie arabe che,tra gli anni 70 e 80, assistevanoagli effetti della nazionalizzazio-ne del petrolio.

    Ma, con Oslo, la rotta si brusca-mente invertita.

    Continuare a finanziare due orga-ni con funzioni parastatali, per lacomunit internazionale, era dive-nuto impossibile: toccava allANPadesso occuparsi di educazione,sanit, servizi pubblici. Di contro,lamministrazione dei campi pro-fughi non poteva passare nellemani di un organo che non ave-va le competenze acquisite negli

    anni dallUnrwa.

    Il compromesso fu trovato nel-la permanenza dellagenzia, macon fondi notevolmente ridotti,nellottica di un graduale passag-gio delle sue attivit alle autoritgovernative palestinesi.

    Dal 1993 ad oggi lUnrwa statacostretta a ridurre drasticamen-te i suoi servizi: molte scuole e

    ospedali hanno chiuso i battenti,e quellempatia costruita con lapopolazione andata scemando,

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  • 7/22/2019 Speciale Rifugiati. La Vita Dietro Ogni Numero_Giugno 2013

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    per lasciare il posto a proteste,manifestazioni e scioperi che, daallora, non hanno fatto altro chemoltiplicarsi.

    Le critiche israeliane, la comunitinternazionale

    Una costante, come le critiche cheIsraele le ha mosso dal 1948 adoggi, accusandola di aver assun-to un ruolo sempre pi politico (esempre meno umanitario), diven-tando parte attiva nel conflittoe, in definitiva, un ostacolo allapace.

    Per due ragioni. La prima che sa-rebbe proprio lei, nellottica di TelAviv, a tenere in vita la questionedel diritto al ritorno.

    LUnrwa simboleggia la protra-zione del problema dei profughi,senza risolverlo, ha recentemen-te dichiaratola deputata EinatWilf (Labor). Siamo di fronteallunica organizzazione delle Na-zioni Unite che conferisce lo sta-tus di profugo in modo ereditario.Tutto questo non pi sostenibi-le.

    Inoltre, allagenzia viene conte-stato anche il fatto che non abbiaabbandonato le sue attivit e lapopolazione a Gaza dove ope-ra da oltre 60 anni dopo la pre-

    sa del potere da parte di Hamas,considerata una organizzazioneterroristica da gran parte dellacomunit internazionale.

    Accuse che non sono nuove,come testimoniano numerosi ar-ticoli delJewish Policy Centerodel Middle East Forum, due fra itanti think- tank della comunitebraica presenti negli Stati Uni-ti, secondo cui lUnrwa starebbe

    insidiando la strategia politicaoccidentale di indebolimento diHamas fornendo tutti quei servizi

    di cui il negligente governo diGaza non capace di farsi cari-co.

    Ma fuori dalla retorica delle di-chiarazioni il rapporto tra il BlueState e Israele di natura preva-lentemente tecnica, e i suoi mag-giori finanziatori restano gli stessiche sono anche i pi importantipartner strategici e commerciali diTel Aviv: Stati Uniti e Unione Eu-ropea.Tra crisi finanziaria interna, pres-sioni esterne e una situazione distallo politico regionale, lUnrwaha finito per diventare, suo mal-grado, il simbolo di quelle politi-che incongruenti e contradditto-rie proprie della comunit inter-nazionale nei confronti del conte-sto israelo-palestinese.

    E la sua sede, accerchiata da ma-nifestazioni sintomo di un disagiocrescente, quello di un assisten-zialismo umanitario complesso efragile, che non pu sostituirsi auna soluzione politica sempre pilontana.

    Manifestare a Gaza City comefarlo a New York, Washington oBruxelles: significa lanciare len-nesimo grido di allarme, che con-tinua a non ricevere risposte.

    Articolo apparso su OsservatorioIraq in data 11 Aprile 2013

    FOTO:Fabio Cimaglia

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    http://www.jpost.com/Diplomacy-and-Politics/Wilf-to-ambassadors-UNRWA-an-obstacle-to-peacehttp://www.meforum.org/3370/unrwa-agendahttp://osservatorioiraq.it/approfondimenti/palestina-l%E2%80%99assistenza-umanitaria-che-non-sostituiscehttp://osservatorioiraq.it/approfondimenti/palestina-l%E2%80%99assistenza-umanitaria-che-non-sostituiscehttp://osservatorioiraq.it/approfondimenti/palestina-l%E2%80%99assistenza-umanitaria-che-non-sostituiscehttp://osservatorioiraq.it/approfondimenti/palestina-l%E2%80%99assistenza-umanitaria-che-non-sostituiscehttp://www.meforum.org/3370/unrwa-agendahttp://www.jpost.com/Diplomacy-and-Politics/Wilf-to-ambassadors-UNRWA-an-obstacle-to-peace
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    I PROFUGHI DIMENTICATI(E DANNATI)

    di Marco Di Donato

    approfondimenti

    Siriani, palestinesi eiracheni. A loro sonodestinati progetti di

    assistenza umanitaria egran parte dellattenzione

    mediatica. Tuttaviaesiste anche un girone di

    dannati: sono i rifugiati orichiedenti asilo che vengono

    dallAfrica sub-sahariana ein particolare dal Sudan.

    I rifugiati sudanesi, etiopi e somalisono registrati sotto la dicituravari, dal momento che il loronumero, sulle tabelle dellUNHCR,sembra talmente irrisorio dapotersene non occupare. Che pesopossono mai avere 160 rifugiatisudanesi (dati ufficiali relativi agennaio 2013) rispetto agli 8 milairacheni e ai 120 mila siriani?

    Molti potrebbero pensare cheil flusso proveniente dalla Siriaabbia distratto le agenzieinternazionali rispetto a questaquestione, ma in realt i sudanesisono invisibili da molto pi tempo.Mai come in questo caso inoltre, lecifre nascondono altre migliaia diirregolari presenti allinterno delpaese. Senza contare che, ancormeno visibili dei sudanesi, ci sonoinoltre alcune centinaia di somali

    e una similare presenza di cittadinidella Sierra Leone.

    Ai 160 rifugiati assistiti dallUNHCR

    se ne aggiungono altri 490 cheinvece sono riconosciuti richiedentiasilo.

    Quasi tutti, lo rivela un articolodel 2012 di al-Jazeera, sono senzadocumenti e sono scappati dalloro paese in quanto perseguitati.Le procedure per ottenere ladocumentazione necessaria

    lunga, ostica, e nel frattempolascia centinaia di persone in unpericolosissimo limbo di illegalited incertezza.

    Un limbo burocratico certo, maforse anche e soprattutto sociale.

    Basti pensare che nella legislazionelibanese, secondo i rilievi diMohamed Kamel Dorai ed OlivierClochard, il termine rifugiatoappare solo accanto alla parola

    palestinese o, in alternativa,menzionato allinterno di unalegge del 10 luglio 1962.

    LIBANO