Spdc - Gruppo “conversazione” nel Servizio Psichiatrico (Grosseto 23/10/14)

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GRUPPO MULTIFAMILIARE E ASSOCIAZIONISMO DEGLI UTENTI IN SPDC RAFFAELE BARONE GROSSETO 23/10/2014 SITO RAFFAELEBARONE.IT GLI SPDC NO RESTRAINT NELLA RETE DEI SERVIZI DI SALUTE MENTALE

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GRUPPO MULTIFAMILIARE E ASSOCIAZIONISMO DEGLI UTENTI IN

SPDCRAFFAELE BARONE

GROSSETO 23 /10 /2014SITO RAFFAELEBARONE.IT

GLI SPDCNO RESTRAINT

NELLA RETE DEI SERVIZIDI SALUTE MENTALE

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Gruppo “conversazione” nel Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura di Caltagirone

Nel Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura di Caltagirone si tiene un incontro di gruppo a cui partecipano i pazienti ricoverati, gli operatori interessati, i familiari, i tirocinanti, pazienti che in precedenza sono stati ricoverati, i componenti dell’Associazione degli utenti “La crisalide” di Caltagirone.

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Il luogo in cui si svolgono gli incontri di gruppo

E’ la stanza dove lo psichiatria di turno riceve utenti e familiari, tale stanza è ubicata dietro una grande porta che separa il reparto SPDC da tutto ciò che sta fuori.

Tale stanza è uno spazio di ascolto e dialogo, che sta al limite, al confine tra il dentro e il fuori. E’ possibile associare il luogo, dove si svolgono gli incontri di gruppo, ad uno “spazio senza” protetto,dove potere guardare la propria sofferenza , il suo significato soprattutto tramite gli occhi e il contributo degli altri partecipanti all’incontro.

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Uno “spazio transizionale”

Dove dare voce al proprio mondo interno, alle proprie angosce, contraddizioni, deliri, allucinazioni, rabbia, sofferenza il cui attraversamento potrebbe condurre ad una maggiore consapevolezza di alcune parti di sé, ad una maggiore assertività nei confronti della propria malattia e cura, della propria vita in genere.

Il gruppo vuole essere uno spazio dove le emozioni invasive, distruttive, incapaci di essere assimilate e contenute trovano un luogo e un contenitore che le accoglie. Esso fornisce un “riparo” ma anche la possibilità di riflettere su se stessi, di ritrovare la capacità di rimettersi in cammino.

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Ogni incontro di gruppo ha una vita a sé

Tutto si svolge in 1 ora ( un incontro che potrà anche essere l’unico per quel paziente), un “abbozzo di disegno” che è già un quadro fatto di colori, ombre e frammenti di storie da raccontare, macchie difficili a volte da ricondurre ad una forma, ad un senso da condividere.

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Processo di gruppo

Bisogna attendere la fine dell’incontro per potere riconoscere una gestalt, dare una restituzione completa al gruppo; una restituzione che è di fondamentale importanza per contenere la frammentazione e la mancanza di senso che galleggia in quello spazio, difficile a volte da abitare, una restituzione non solo gruppale ma anche individuale, importante per chiudere e contenere le trame psicologiche e relazionali soggettive aperte in ciascuno dei partecipanti

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Sono “incontri” di storie diverse

di personalità diverse, accomunante non solo dal loro malessere e dal loro essere in reparto. Un reparto che viene vissuto non solo dai “malati”ma anche da altri “i sani”, psichiatri, infermieri, operatori osa, volontari, tirocinanti, familiari questi “altri” è necessario che si incontrino tra di loro al fine di costruire un senso di comunità importante nel processo di cura dei beneficiari. La comunità prende corpo nel gruppo, attraverso il mettersi in gioco con la parola, avvolte con un abbraccio, uno sguardo comprensivo, un attenzione gratuità e “donativa”.

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Finalità degli incontri di gruppo in SPDC

Osservazione diagnostica in un contesto gruppale, al fine di avere una visione più complessa del paziente .

Intervento psicologico sulla crisi. Diminuire l’isolamento dei pazienti del reparto, ma anche degli

operatori. Creare un clima di maggiore dialogo in reparto. Stimolare il paziente ad avviare un processo di empowerment

anche del proprio processo di cura. Favorire l’insorgenze di fenomeni tipici gruppali (appartenenza,

risonanza,empatia, rispecchiamento, condivisione emotiva e cognitiva dell’esperienza, processi di identificazione)

Creare un spazio dove esprimere i propri problemi e riconoscerli, con la possibilità di una presa di coscienza.

Restituzione e scoperta di significati che accomunano i partecipanti al gruppo.

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La conduzione

E’facilitante il dialogo e finalizzata a promuovere coesione come fattore terapeutico, di garantire a ciascuno uno spazio di parola e ascolto, si favorisce lo scambio relazionale tra i suoi membri, incoraggiando a parlare affinché tutti siano inclusi.

Questo tipo di conduzione, connotata da diverse specificità relative al contesto istituzionale e alla tipologia di utenza, sembra svolgere all’interno del gruppo la funzione di facilitatore della comunicazione delle intense emozioni vissute nel qui e ora. Si tratta di recepire le comunicazioni del paziente, di comprenderle e di restituirle al gruppo in modo metabolizzato, digerito e quindi più facilmente pensabile per ciascun membro

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Quattro regole base dell’incontro

All’inizio del gruppo il conduttore comunica quattro regole base dell’incontro: il segreto professionale, parlare senza giudicare, ascoltare ed accogliere. Dopo di che ogni partecipante fa una breve presentazione di se, dopo si può parlare di qualsiasi cosa ogni componente del gruppo pensa e decide di comunicare. La presentazione è importante in quanto il paziente che arriva in reparto spesso è disorientato. Pensa che tranne lui tutti gli altri pazienti sono “pazzi” e invece scopre e conosce persone che come lui condividono un momento difficile della propria vicenda umana. Questo rito di presentazione crea subito un “clima di condivisione”. Il conduttore nel favorire la libera comunicazione aiuta il gruppo alla ricerca di un senso di ciò che si dice e di ciò va succedendo nel qui e ora

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Il gruppo come possibilità di sperimentare una crescita

Di iniziare a pensare ad una possibilità di “cambiamento” che si rende possibile in un luogo - contenitore- sufficientemente buono e accogliente.

Importante risulta essere, nella specificità di tale conduzione , evidenziare anche nell’intervento più distruttivo e dissociato un significato positivo e utile, in modo da far sentire il paziente importante per il gruppo nell’aver donato una parte significativa di sé.

Così come sollecitare la partecipazione e le relazioni tra i partecipanti all’incontro di gruppo, avendo cura di riconoscere, far circolare i segnali affettivi che si presentano nello spazio relazionale.

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Alla fine del gruppo il conduttore

aiuta il gruppo a rintracciare un senso sia del contenuto delle comunicazioni e/o di ciò che è accaduto. Nello stesso tempo lavora alla chiusura e restituzione di senso di vissuti, contenuti ed emozioni “forti” emerse. Una sorta di medicazione e chiusura di ferite aperte durante l’incontro. Ogni partecipante esprime una parola, una emozione che si porta via, o ha preso nel qui e ora dal gruppo.

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Alcune riflessioni sulla esperienza

I temi generali sono di forte intensità emotiva con una significativa risonanza nel vissuto degli operatori.

- La vita nelle sue forme più estreme (abusi, maltrattamenti, profonde incomprensione, desideri delusi ma anche speranza, spiritualità, voglia di guarigione, bisogno di ascolto empatico..

La morte (lutti non elaborati, tentativi di suicidio, auto distruttività, aggressività, violenza distruttiva).

-La follia ( sensi di colpa, i deliri, il diavolo, i persecutori ,le allucinazioni ,la difficoltà di dare senso a vicende della propria vita, la difficoltà o impossibilità di vivere una vita che vale la pena vivere ma anche la ricerca di senso, la possibilità di raccontarsi, di condividere il dolore e la sofferenza, dare senso ai TSO comprenderne le ragioni o sfogarsi quanto ritenuti ingiusti o incomprensibili).

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Alcune riflessioni sulla esperienza

La estraneità e l’alterità. Si scopre l’altro da se ci si confronta spesso per la prima volta su temi e vissuti che hanno segnato la vita personale. L’altro diventa specchio per comprendere la propria personale vicenda dolorosa. Spesso gli stranieri si fidano di più degli altri pazienti ritenuti solidali e nella stessa barca.

-La crisi. Questo forse è l’aspetto più importante delle fase del ricovero. Comprendere il senso della crisi, la possibilità di darne una spiegazione, un significato rispetto alla storia e alla vicenda umana di quella persona in quel momento. Riflettere insieme ad altri sul pericolo in quanto può essere una esperienza che può fare sprofondare la persona ricoverata nella malattia senza speranza di un futuro migliore o ancora peggio confermare che essendo “pazzo” merita questo ed altri ricoveri. Invece può rappresentare una occasione di cambiamento e l’inizio di un percorso di guarigione recuperando il senso profondo del ricovero dando un significato e senso a questa fase della vita del paziente recuperando una possibilità evolutiva.

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La formazione degli operatori

Dopo l’incontro avviene uno scambio di opinioni e vissuti emotivi fra gli operatori nel cosiddetto post-gruppo. Gli operatori scoprono l’umanità sofferente dei pazienti, sono in grado di capire meglio la diagnosi, il senso della cura e soprattutto il senso della sofferenza per quella persona specifica. Questo tipo di esperienza a contribuito non poco a creare un clima emotivo più tollerante e più pieno di ascolto empatico e un atteggiamento meno difensivo verso la malattia mentale in genere e più comprensivo per quella persona specifica recuperano la propria dimensione di umanità solidale che il ritmo, “la pesantezza” del lavoro e le dinamiche istituzionali irrigidiscono e inaridiscono. Apprendere attraverso il vissuto emotivo ed esperienziale.

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- Le famiglie

Il gruppo è aperto alla partecipazione dei familiari che vengono invitati liberamente a partecipare. La presenza dei familiare si è dimostrata molto utile in quanto come teorizzato da G; Badaracco in gruppo multifamiliare le crisi si affrontano in maniera più efficace e più rapidamente. E’ possibile rendere evidente e lavorare sulle relazioni simbiotiche, sulle comunicazioni implicite dentro la famiglia, sui doppi legami soprattutto sulla riflessione di una possibile cura condivisa. In presenza della famiglia il gruppo spontaneamente dedica un tempo ad aprire un “dialogo” fra i familiari e il paziente mirato alla risoluzione della crisi. Esempio: un padre che non parla a casa da anni con il figlio ricominciano a parlarsi e spiegarsi sulle incomprensioni. La funzione degli “altri” soprattutto utenti che hanno una esperienza vissuta di malattia è fondamentale.

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L’Associazione degli utenti “La Crisalide”

Nel gruppo è nata la necessità e il desiderio di costituire una associazione di utenti.

Rappresentanti dell’associazione sono sempre presenti all’incontro di gruppo in SPDC.

Da questa esperienza il gruppo si è aperto a far partecipare non solo chi è stato ricoverato ma anche chi, attraverso l’associazione, ne sente il bisogno. Le persone che dimessi partecipano per un determinato periodo al gruppo sono soprattutto chi ha fatto l’esperienza del tentato suicidio. Ritornare al gruppo ha una forte funzione “contenitiva”.

La partecipazione degli utenti dell’associazione al gruppo e quindi alla vita del reparto, ha aperto un serrato “incontro- scontro” soprattutto con alcuni infermieri che hanno sentito invaso il “loro territorio”

ma di chi è l’SPDC? La risposta è molto complessa. La dialettica è aperta e molto vivace. La dinamica attuale sembra essere, che qualcuno debba cedere potere e qualcun altro lo deve acquisire. Qualcuno ha delle competenze ma qualcun altro ha l’esperienza diretta della malattia. L’esempio degli utenti dell’associazione è fondamentale per risvegliare la fiducia e la speranza e nel poter pensare a un percorso di recovery.

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La conversazione continua nelle ore e nei giorni successivi

Sia fra i pazienti che con gli operatori. Magari qualcuno dei pazienti ha regalato una caffettiera al reparto e diventa la scusa per fare il caffè insieme. Ci si appropria di sé e dello spazio vitale e si condivide una esperienza forte e dolorose con altre persone che non sono solo i propri familiari. Alcuni pazienti sono venuti a festeggiare il compleanno in reparto. Dopo il gruppo la conversazione si sviluppo molto fra i componenti l’associazione e i ricoverati e i loro familiari presenti.

Quanto pesa il senso di smarrimento dei familiari durante la crisi e quanto è importante confrontarsi sia con gli operatori ma anche con chi ha vissuto e in parte ha superato tale esperienza?

E soprattutto quanto pesa il senso di solitudine degli utenti e degli operatori e quanto, alcune volte, ci si sente soli nell’attraversare l’esperienza del lavoro o di essere ricoverato in SPDC?

Il lavoro di gruppo in SPDC apre il “dialogo” e ogni “atto” diventa oggetto di conversazione e quindi trasparente.

Il legame relazionale ed etico, la pertecipazione degli utenti e familiari, le pratiche trasparenti, il lavoro di gruppo come pratiche no restraint in SPDC

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Bibliografia

Psicoterapia di comunità Di R. Barone, V. Bellia, S. Bruschetta FrancoAngeli Editore 2010La ricerca sui gruppi comunitari in salute

mentaleDi S. Bruschetta R. Barone, A. FrascaFrancoAngeli Editore 2014Sito www raffaelebarone.it