Sotto la lente - Ministero della Difesa
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Sotto la lente Angelina Iannotti
Osservatorio Strategico 2018– Anno XX n. I 90
Analisi storico concettuale dall’avvento dell’Islam ai nostri giorni
Introduzione
Per capire a fondo i contenuti dell' Islām (in traduzione sottomissione, abbandono alla volontà
di Dio, dalla radice “salima” essere in stato di sicurezza, rimanere sano e salvo) si rende necessario
illustrare, sia pur brevemente, gli avvenimenti che caratterizzarono il mondo arabo-musulmano ai
suoi esordi, ricordando che con il termine “Paesi Arabi” si fa riferimento agli Stati in cui si parla l’arabo
come lingua ufficiale - talora anche a fianco di altri idiomi - e che sono riuniti nella Lega Araba1, e
con “Musulmani” si intendono invece i Paesi per lo più abitati da musulmani - cioè da coloro che
hanno abbracciato l’Islām -, che aderiscono agli insegnamenti dell’Islām ma che non sono
arabofoni2.
Geograficamente parlando, teatro dei primi avvenimenti della storia dell’Islām è la Penisola
Araba, un esteso sub continente confinante a Nord con il Deserto Siriano, a Ovest con il Mar Rosso,
a Sud con l’Oceano Indiano e a Est con il Golfo Persico. Essa è oggi3 divisa politicamente nel Regno
di Arabia Saudita, Yemen, Sultanato dell’Omān, Emirati Arabi Uniti, Qaṭar, Baḥrayn e Emirato del
Kuwayt.
La città che diede i natali al Profeta dell’Islām è La Mecca, la prima per rilevanza religiosa per
i musulmani, seguita da Medina - dove è sepolto il Profeta, sempre in Arabia Saudita - e da
Gerusalemme.
Nascita e sviluppo della Shīʿa
Alla morte di Muḥammad4, nell’undicesimo anno dell’egira5, 632 d.C., fu necessaria la
designazione di una guida per la comunità musulmana rimasta priva del suo Profeta; occorreva un
vicario che, senza poter ereditare le intrasmissibili prerogative religiose e le rivendicazioni di qualità
profetiche (giacché la profezia era stata ormai definitivamente sigillata e non ci sarebbe stato più
nessun messaggero sino alla fine dei tempi) rappresentasse un punto di riferimento per la
neoformata comunità dei credenti, la ‘umma, il cui vero “Capo” sarebbe rimasto sempre solo Allāh.
1 La Lega, costituita il 22 marzo 1945 a Il Cairo da alcuni stati arabi, attualmente è composta da 22 stati membri: Algeria,
Arabia Saudita, Baḥrayn, Isole Comore, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Gibuti, Giordania, Irāq, Kuwayt, Libano, Libia,
Marocco, Mauritania, Omān, Palestina, Qaṭar, Siria (sospesa nel 2011), Somalia, Sūdān, Tunisia, Yemen.
2 Tra cui, per citarne alcuni, l’Iran, la Turchia, l’Afghanistan.
3 Molte di queste regioni sono ricche soprattutto di risorse naturali e la loro economia, oggigiorno, risulta essere
fortemente dipendente dalle riserve di petrolio. L'Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio, OPEC, fondata nel
1960, comprende dodici Paesi associatisi per negoziare con le compagnie petrolifere gli aspetti relativi alla produzione
del petrolio, ai prezzi e alle concessioni. Attualmente i Paesi che vi aderiscono sono 12 e sono: Algeria, Angola,
Ecuador, Iran, Irāq, Kuwayt, Libia, Nigeria, Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Venezuela. I membri OPEC
controllano la gran parte delle riserve mondiali di petrolio e la metà circa di quelle di gas naturale. L'Organizzazione
dei Paesi Arabi Esportatori di Petrolio, OAPEC, è invece l’organizzazione internazionale, fondata nel 1968 con sede in
Kuwait, che coordina le politiche energetiche sul petrolio tra i paesi arabi. Ne fanno parte gli E.A.U., il Bahrain, l’Algeria,
l’Arabia Saudita, la Siria, l’Irāq, il Qatar, il Kuwayt, la Libia e l’Egitto.
Le recenti crisi economiche mondiali e l’andamento del prezzo del petrolio stanno spingendo alcuni di questi storici Paesi
produttori ed esportatori alla diversificazione dell’economia, per garantire nuovi flussi di reddito e essere all’avanguardia
nello sviluppo economico e sociale
4 Il rasūl Allāh, il Messaggero di Dio.
5 Hijra: Emigrazione di Muḥammad verso Medina avvenuta nell’anno 622. Nel mondo arabo si seguono due calendari:
uno è quello solare, usato anche nei Paesi europei, l’altro è quello lunare, adottato dalla liturgia islamica e che segue
il ciclo della luna. Quest’ultimo calendario comprende, in un anno, dodici mesi di 30 o 29 giorni, per un totale di 354
giorni; inoltre calcola il tempo a partire dall’anno dell’egira, la migrazione di Muḥammad dalla Mecca a Medina appunto,
che si compì nel 622 d. C. Per passare da un calendario all’altro occorre usare apposite tabelle, poiché i mesi dell’anno
solare non corrispondono a quelli dell’anno lunare.
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All’interno di quelli che erano stati i Compagni, Ṣaḥāba, che lo avevano personalmente
conosciuto e che avevano a vario titolo e con ruoli diversi assistito con Muḥammad al trionfo della
nuova fede, tre partiti si contesero la successione come Califfo6: la famiglia, ‘al bayt, con ʿAlī, cugino
e genero del profeta; i sostenitori-ausiliari medinesi, ‘al Anṣār che gli avevano dato assistenza e si
erano convertiti all'Islām subito dopo la sua emigrazione a Medina; gli emigranti meccani, ’al
Muhāǵirūn, i più antichi fedeli del Profeta che avevano partecipato all' egira.
Questi ultimi, i Muhājirūn, ebbero la meglio e alla guida politica e spirituale della comunità
islamica universale fu eletto Abū Bakr, un coetaneo ed amico d’infanzia di Muḥammad, e primo
convertito all’Islām di sesso maschile, maggiorenne e padre della sposa prediletta del Profeta,
ʿĀʾisha7. La sua elezione a Vicario, o Luogotenente dell’Inviato di Dio, ebbe luogo in Medina anche
grazie all’appoggio di un altro dei grandi Compagni di Muḥammad, ʿUmar ibn al-Khaṭṭāb, che
sarebbe poi divenuto il secondo califfo.
La figura del Califfo è complessa: egli non è propriamente il successore di Muḥammad, che è
suggello dei profeti, ma colui che si impegna ad applicare e a far rispettare la legge coranica. L’Islām
aveva, infatti, sostituito i vecchi legami di sangue e di appartenenze tribali con il vincolo di fratellanza
nella fede, a cui andavano sacrificati i particolarismi e gli interessi personali.
Con l'elezione di Abū Bakr si stabilì il principio che il califfato dovesse restare nella stirpe
meccana dei Quraishiti8, da cui proveniva Muḥammad, e che il Califfo dovesse essere scelto per
“elezione”, come era stato per il sayyid, il capo tribù preislamico. Questo doppio principio - quraishita
e elezione formale - restò acquisito nell’Islām ortodosso per tutta la sua storia e quando molti secoli
dopo, già estintosi di fatto il califfato, i sultani ottomani cercarono di arrogarselo, quella doppia
norma9 ne infirmò, per il diritto musulmano, la pretesa. Questo titolo avrebbe comunque ingombrato
la storia araba fino al 1924, quando l‘ultimo califfo della linea dinastica del casato ottomano venne
dichiarato decaduto ad Ankara da Mustafa Kemal Atatürk primo presidente della Turchia moderna10.
In tempi recenti, il 29 giugno 2014, è stata annunciata la fondazione di un “Califfato”, guidato dal
“Califfo” Abū Bakr al-Baghdādī, non riconosciuto però come tale in nessuna istanza ufficiale del
mondo islamico11.
6 Khalīfa rasūl allāh cioè Vicario dell’inviato di Allāh, termine ridotto in Califfo.
7 Lo avevano preceduto nella conversione la prima moglie del Profeta, Khadija e il minorenne cugino ʿAlī ibn Abī Ṭālib.
8 Tribù araba stanziata alla Mecca già dalla fine del 5° sec. d.C., detentrice della supremazia sociale e politica soprattutto
grazie alla proficua attività commerciale. Dal ramo quraishita dei Banū Hāshim nacque il Profeta.
9 A partire da un preciso momento storico, ed esattamente con la dinastia degli Omayyadi (di cui parleremo in seguito),
l’essere eletto non fu più principio necessario.
10 L’ultimo grande impero della storia musulmana fu quello Ottomano (1299-1922), coprotagonista per oltre tre secoli -
dopo l’occupazione dei Balcani in seguito all’invasione dell’Ungheria del 1526 - della vita mediterranea con le potenze
europee e cristiane. Per quanto concerne il mondo musulmano gli Ottomani raggiunsero una supremazia globale nel
Vicino Oriente, abbracciando tutti i territori della civiltà classica arabo-islamica e risultando, nella teoria come nella
prassi dell’esercizio del potere, l’erede del califfato arabo. L’attuale presidente della Turchia, Erdoğan, ha fatto
riferimento agli ottomani durante la campagna elettorale e in altre occasioni, fatto da molti sentito come un insulto
all'istituzione repubblicana presente in Turchia che egli stesso oggi regge come Presidente e che si rifà alla tradizione
inaugurata da Atatürk. E’ storia attuale gli attentati che hanno sconvolto città come Istanbul e Ankara ai giorni nostri,
rivendicati in alcuni casi dal gruppo “cosiddetto” Stato islamico, dopo che la Turchia si è unita alla coalizione militare
contro il gruppo jihadista in Siria e Irāq, e in altri casi da gruppi radicali curdi, in risposta ai bombardamenti che il
governo turco ha lanciato nelle regioni curde al confine con la Siria. Ricordiamo anche il fallito colpo di Stato del 15
luglio 2016, intentato in Turchia da parte dei militari dell'esercito contro il governo di Erdoğan con l'intento di rimuoverlo
dalla sua carica di Presidente della Repubblica.
11 Attivo in Siria e Irāq, dapprima alleato di Al-Qāʿida se ne è definitivamente distaccato nel febbraio 2014. “Province”
affiliate del sedicente “Stato Islamico” (o ISIL, “Stato Islamico dell’Iraq e del Levante” o ISIS, “Stato Islamico dell’Iraq e
della Siria”) sono presenti nella regione egiziana del Sinai e in alcune zone della Libia. Riguardo al termine da usare
per fare riferimento alla suddetta organizzazione alcuni sostengono che il nome "Stato Islamico" non sia adeguato
perché il gruppo "non è né islamico, né uno Stato”, per cui si preferiscono altre espressioni. Una delle principali autorità
islamiche egiziane ha consigliato ai musulmani di non chiamare il gruppo “Stato Islamico” ma di riferirsi a esso come
Separatisti di al-Qāʿida in Irāq e Siria o QSIS, dato il carattere non-islamico dell'organizzazione.
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I primi quattro Califfi", cioè Abū Bakr (632-634), ʿUmar ibn al-Khattāb (634-644), ʿUthmān b.
ʿAffān (644-656) e ʿAlī b. Abi Tālib (656-661), ressero la ‘umma nel trentennio circa che andò dal
632 al 661, regnando da Medina (fatta eccezione del trasferimento a Kūfa in Irāq della residenza da
parte di ʿAlī).
Durante il loro califfato venne occupato, rapidamente e in maniera durevole, un vasto territorio
che comprendeva il Nord Africa (a partire dalla Tripolitania, in Libia) e il Vicino e Medio Oriente fino
all’Iran, riuscendo a sconfiggere eserciti storici come quello bizantino e persiano12.
Una conquista così rapida e vasta si dovette certamente anche alla stanchezza delle
popolazioni locali vessate dalla rapacità del precedente dominio bizantino. Gli arabi infatti offrivano
paradossalmente una maggiore libertà religiosa ai cristiani "eretici" del Vicino e Medio Oriente13 e
richiedevano il pagamento di un tributo che era più leggero della tassazione imperiale.
Alle cosiddette "Genti del Libro”14 cioè quelle popolazioni monoteiste non musulmane che
possedevano già una parte della Rivelazione grazie all’adozione delle Sacre Scritture, si offriva di
esercitare liberamente la propria fede nei territori dell'Islām, purché ne accettassero la superiorità,
una certa disciplina e il pagamento di tributi. I convertiti ottenevano i pieni diritti civili ed erano tenuti
al solo versamento del tributo legale appunto.
La lingua del califfato era l'arabo, lingua della preghiera e del testo sacro “il Corano”15,
inizialmente diffuso solo oralmente non avendo il Profeta lasciato scritti.
Esso, che per gli islamici non è un testo ispirato da Dio ma è una vera e propria trascrizione
alla lettera della parola divina, veniva infatti dapprima recitato dai Qurrā’, i cosiddetti “recitatori”.
12 Partendo dal cuore originario della civiltà musulmana, la Penisola Araba, si distinguono le seguenti aree di diffusione:
la Mezzaluna Fertile, ossia Siria, Palestina e la Mesopotamia del mondo antico; l’Egitto, che per ragioni economiche,
geografiche e storiche ha comunque spesso mantenuto, per molti aspetti, caratteristiche autonome proprie; il Maghreb,
le terre dell’Occidente, cioè il Nord Africa tra Marocco e Egitto, oltre che, per quasi otto secoli, la Spagna (Andalusia),
ricordando che gli arabi nel IX secolo si spinsero fino alla Sicilia, giungendo anche in Puglia; l’Altopiano Iranico dove
oggi troviamo stati come l’Iran, l’Afghanistan, il Pakistan, l’India e altri.
A questo che possiamo considerare il nucleo originario del mondo musulmano e che si formò in pochi decenni dalla
morte del Profeta, si aggiunsero, a partire dal XVI secolo, altre aree come l’Anatolia con i Balcani, l’Asia sud-orientale
fino all’Indonesia e infine l’Africa subsahariana. Ai nostri giorni, in seguito soprattutto a guerre e stravolgimenti politici-
economici-sociali, attiva è l’emigrazione di gente musulmana verso le regioni più ricche, come Europa, Stati Uniti,
Australia etc., in un panorama del tutto mutato rispetto ai secoli o decenni scorsi.
13 Le eresie monofisita (secondo la quale la natura umana di Gesù era assorbita da quella divina e dunque in lui era
presente solo la natura divina) e nestoriana (che afferma la totale separazione delle due nature del Cristo, umana e
divina, per cui in Gesù Cristo convivevano due distinte persone, l'Uomo e il Dio) duramente avversate da Bisanzio.
14 “Musulmani, Giudei, Cristiani e Sabei, tutti coloro che credono in Dio ed avranno operato bene, avranno la giusta
ricompensa”; Sura 2°,59
15 Il Corano è il libro sacro dell’Islām, dettato a Maometto dall’Arcangelo Gabriele. Il terzo Califfo, ʿUthmān, ne curò la
prima edizione scritta all’incirca nel 650 (H 28). Con il Califfo omayyade ‘Abd al Malik alla fine del VII secolo, e nel
corso dell’VIII, ne fu fissata in maniera più rigorosa la scrittura. Esso è costituito da 114 capitoli, sūre, divisi a sua volta
in circa 6230 versetti, gli āyyāt. Novanta sūre appartengono al periodo meccano e sono per lo più brevi ed incisive:
temi favoriti ne sono l’unicità di Allāh, i suoi attributi, i doveri etici e la ricompensa nell’aldilà. Le sūre di Medina, le altre
ventiquattro, sono lunghe e ricche di norme legislative: contengono dogmi teologici e norme cerimoniali sull’istituzione
della preghiera pubblica, del digiuno, del pellegrinaggio e dei mesi sacri; inoltre contengono leggi che proibiscono, ad
esempio, il vino, la carne di maiale o che regolamentano il matrimonio, il divorzio, l’eredità e così via. Molte narrazioni
storiche del Corano hanno un riscontro biblico e vi figurano personaggi del Vecchio Testamento come Adamo, Noè,
Abramo, Ismaele etc. e del Nuovo Testamento, soprattutto Gesù e la Madre Maria, alla quale è dedicata un’intera sura,
la diciannovesima. Dunque il Corano è un libro di teologia, ma contiene anche norme legislative, e con la sunna - la
tradizione - e poi con l’Ijmāʿ- il consenso- e il qiyās - l’analogia- partecipa alla formazione della sharīʿa, la legge sacra
musulmana (vedi nota 16).
L’influenza religiosa che esercita, come fondamento dell’Islām e come autorità suprema in questioni spirituali ed etiche,
è solo uno dei suoi aspetti; inoltre poiché la teologia, la giurisprudenza e la scienze sono considerate aspetti diversi di
un tutto unico, esso è il manuale scientifico, il libro di testo per acquisire un’istruzione liberale. Il Corano è il libro più
letto anche perché è quello dove ogni musulmano impara a leggere l’arabo ed è grazie ad esso che si è costituita
un’unica lingua letteraria comune a tutti i Paesi di cultura araba
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Soltanto con ʿUthmān, il terzo Califfo, ci fu la codificazione di un primo testo scritto ad opera di una
commissione di saggi da egli stesso nominata.
Fu così che, nel periodo dei primi quattro Califfi, assunse una grande importanza l’opinione
delle generazioni contemporanee del Profeta, soprattutto quella degli amici fedeli, ma anche delle
mogli che lo videro nell’intimità della casa perché vicine al suo insegnamento e quindi affidabili nel
riferire lo stesso attraverso i detti e le azioni del Profeta.
Queste persone ebbero dunque un ruolo determinante nelle prime formalizzazioni delle
confessioni e del culto islamico: ad essi si riferivano i credenti per avere spiegazioni in materia rituale,
sul significato del Corano e su tanti altri aspetti relativi alla vita quotidiana. La società musulmana si
modellò così, in quel periodo, sugli insegnamenti del Profeta visti attraverso i ricordi di chi gli era
stato in qualche modo vicino. Tali aspetti sono definiti come Sunna, ovvero “la tradizione”, “l’esempio
del Profeta”, da cui il termine “Sunnismo” per definire la confessione maggioritaria dell‘Islām.
Il processo di formazione della Sunna impiegò secoli, ma le sue linee direttrici furono di certo
tracciate nei primi decenni dell’Islām, cercando appunto di modulare gli aspetti materiali e spirituali
della vita dei credenti secondo l’insegnamento di Muḥammad e delle opinioni delle generazioni a lui
prossime.
La parola di Dio contenuta nel Corano, l’insegnamento del Profeta riferito alla tradizione e il
consenso o accordo dei saggi, saranno tre delle fonti principali nell’elaborazione della dottrina
sunnita e l’origine di questo modo di procedere, che le generazioni successive cercarono di rendere
applicabile anche in un Islām più articolato e complesso, va certamente attribuito ad Abū Bakr16.
Alla morte del Profeta, però, secondo alcuni dei musulmani, la dignità di successore di
Muḥammad sarebbe dovuta essere di ʿAlī - appoggiato dalla “famiglia” -, sostenendo un criterio di
scelta restrittivo basato sulla diretta discendenza del Profeta. Si obiettò che l’elezione fosse avvenuta
senza la presenza di alcuni tra i familiari stretti del Profeta, impegnati nel lutto e nei preparativi della
cerimonia funebre.
Da questa corrente di pensiero trasse origine la Shīʿa, prima come partito politico generato
dallo scontento per la mancata elezione di ʿAlī dopo la morte di Muḥammad e poi come autentico
scisma religioso.
16 Il Corano, la Sunna (ovvero gli ʾaḥādīth del Profeta), il consenso dei dotti (ijmāʿ) e l'analogia giuridica (qiyās) sono
generalmente considerate le fonti della legge islamica. Le prime due sono alla base della legge sacra, la sharīʿa, in
quanto divinamente prodotte o ispirate. La parola araba "Sunnah" indica " la pratica", " la linea di condotta" e si riferisce,
in particolare, alle pratiche del Profeta, quelle azioni nel suo comportamento che i musulmani dovevano seguire;
"ḥadīth" significa la "tradizione" nella sua trasmissione orale della notizia di un detto, di un atto, di un fatto. Queste due
parole sono dunque usate per indicare la linea di condotta islamica del Profeta Muḥammad, trasmessa di generazione
in generazione, oralmente, mediante una catena di persone degne di fede il cui primo anello è un testimone diretto
visivo o di ascolto, appartenente alla cerchia dei seguaci del Profeta.
Corano e Sunna lasciavano però qualche problema insoluto, e i pareri degli ʿulamāʾ (esegeti riconosciuti del Corano)
non avevano forza sufficiente ad integrare la parola di Dio. Ma ecco che una tradizione della Sunna afferma che, se la
comunità dei giuristi - teologi dà il suo consenso generale ad una teoria, questa non può essere errata e questo
consenso (ijmā) è inteso come il consenso dei giurisperiti più autorevoli, di numero ragionevolmente grande e il loro
parere chiaramente formulato. Il qiyās è invece una fonte specificamente giuridica; l'uso dell'analogia fu oggetto di gravi
controversie nella soluzione di casi giudiziari, perché si riteneva empio usare la ragione umana per colmare
un'apparente lacuna divina. L'analogia penetrò nel pensiero islamico attraverso le conquiste dei paesi di cultura irano-
ellenistica e fiorì sotto la dinastia degli Abbàsidi periodo in cui il diritto islamico assunse la sua forma odierna e si
cristallizzò: il diritto sacro, il fikh era ormai fissato.
Ma l'estensione delle conquiste islamiche rese, nei tempi, indispensabile integrare di fatto il sistema classico delle fonti
con altri strumenti, legati a una più sviluppata attività legislativa e giudiziaria, e a particolari tradizioni locali. Queste
fonti non canoniche non fanno parte delle fonti classiche islamiche sopra elencate e tra esse sono: l’ ’Urf, la
consuetudine, legata a situazioni anteriori all'islamizzazione di un certo territorio; il Qànùn, il decreto del Sovrano, la
formazione di Parlamenti che generarono il decreto del Sovrano del singolo paese, introducendo così una duplice
giurisdizione: il qāḍī, giudice monocratico religioso, che continuava ad applicare la legge sacra, e i tribunali laici che
applicavano il Qànùn. A questi va aggiunto il pubblico interesse, inteso in senso lato, a cui si fa ricorso in tempi recenti
per quelle questioni che oltre a essere contrarie ai dettami coranici, sono contrarie anche al pubblico interesse appunto.
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L’origine dello sciismo è pertanto da attribuire proprio al mancato riconoscimento di ʿAlī quale
immediato successore del Profeta. Secondo tale corrente di pensiero, il Califfo avrebbe dovuto
avere anche altre attribuzioni - rispetto alla definizione Sunnita -, come quella di interpretare il
Corano, essendo l’erede spirituale di Muḥammad. E ʿAlī, infatti, riteneva di poter dare delle
spiegazioni su versetti oscuri del Corano, chiarificazioni che altri non erano in grado di fornire e i
suoi fautori sostenevano che la volontà del Profeta a tale riguardo era stata più volte espressa e che
era stata dichiarata addirittura in alcuni ʼaḥādīth17.
Dunque il comando spirituale e temporaneo della comunità e i più profondi segreti della
Rivelazione sarebbero stati trasmessi ai discendenti diretti del Profeta, per via genealogica,
attraverso l’Imām, la guida del gruppo dei fedeli, dalla preghiera alla ‘umma universale. La figura e
le caratteristiche ereditarie dell’Imām saranno il tratto essenziale dello sciismo che lo distingueranno
dal sunnismo, preferendo così l’utilizzo del termine Imām a quello di Califfo.
La conoscenza e comprensione delle vicende storiche e politiche dei primi quattro califfi
diventa quindi determinante per comprendere le ragioni che portarono alla divisione tra sciiti e
sunniti, dicotomia che è attualmente presente nel mondo musulmano.
Abū Bakr fu il primo Khalīfat Rasūl Allāh; a lui si dovette l‘avvio delle campagne militari di
conquista ed espansione18. Domate infatti, dopo la morte del Profeta, le rivolte locali all’interno della
penisola araba, la cosiddetta Ridda - nell’affermazione dell’universalità dell’Islām -, durante il suo
califfato partirono le prime spedizioni contro i possedimenti bizantini, principalmente in Siria e Irāq,
inaugurando così il piano delle grandi conquiste islamiche proseguito e perfezionato poi dai suoi
successori e in particolare da ‘Umar. E fu Abū Bakr stesso a designare ʿUmar b. al-Khaṭṭāb suo
successore, lasciando disattese per la seconda volta le speranze di ʿAlī.
Il nuovo Califfo governò per dieci anni, morendo assassinato nel 644 da uno schiavo per una
questione personale. ʿUmar non proveniva da una famiglia ricca, ed è ricordato come una persona
molto retta, piena di fede, convertitosi grazie alla sorella che egli stesso voleva dissuadere da
l’abbracciare la nuova religione; al contrario, il destino volle che rimanesse affascinato dal Corano
per sempre. Da uomo posato ed intelligente governò le popolazioni conquistate e l’esercito.
Tra i suoi meriti l'aver tentato di riordinare il Corano con la Sunna “la consuetudine avita” e
l'aver ideato il Calendario arabo, basato sulla data dall'egira (622). Edificò, inoltre, un efficiente
sistema di tassazione e pose l'apparato militare sotto il diretto controllo dell'autorità califfale, ma,
17 ̓Aḥādīth è il plurale della parola ḥadīth. Poiché non esisteva un'opinione unitaria e concorde su quali ʼaḥādīth fossero
da ritenere attendibili, nel IX secolo si cominciarono a preparare raccolte di ʼaḥādīth sù i comportamenti, i detti e anche
i silenzi del Profeta. Si rese ben presto necessaria l'adozione di rigidi criteri di esame per la verifica della loro autenticità
e gradualmente, al fine proprio di verificare l'autenticità stessa delle tradizioni, si formò una categoria di studiosi che
diede vita ad una originale branca della scienza religiosa: la Scienza degli ʼAḥādīth. Essi sono stati divisi soprattutto
in 3 gruppi principali: ṣaḥīḥ, cioè degno di fiducia e attendibile; ḥasan, buono; ḍaʻīf, debole. Ci sono, inoltre, degli
ʼaḥādīth il cui carattere è incerto.
18 Alla conquista della Mesopotamia Abū Bakr mandò il suo generale più forte e valoroso, Khālid b. al-Walīd, considerato
il miglior uomo d'armi del periodo islamico classico, tanto da essere ricordato come la "Spada dell'Islām" (Sayf al-
Islām). Entrato in Irāq con il suo esercito di 18.000 uomini, Khālid vinse quattro battaglie consecutive. Dopo aver fatto
riposare le sue truppe, i successi continuarono fino a quando quasi l'intera Mesopotamia fu in mano islamica. Khālid si
spostò poi nel settentrione arabo, per soccorrere il comandante arabo musulmano 'Iyad ibn Ghanm, rimasto
intrappolato da alcune tribù ribelli: giunto a Dumat al-Jandal sconfisse i rivoltosi nell’agosto del 633. Tornando
dall'Arabia, ebbe notizia del raduno di un numeroso esercito persiano; nel giro di poche settimane decise di affrontarlo
e lo sconfisse in una serie di battaglie separate, evitando così di restare in inferiorità numerica. Le varie sconfitte
devastanti persiane misero fine al controllo sasanide della Mesopotamia. Dopo tali conquiste, Khālid lasciò la
Mesopotamia per guidare le forze islamiche nella Campagna di Siria contro i Bizantini. Qui conseguì una serie di vittorie
e di fruttuosi accordi che gli spalancarono le porte della regione e di tante città, compiendosi così la definitiva sconfitta
bizantina e la conquista dell'intera Siria.
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soprattutto, fondò un dīwān19, in cui si teneva puntuale memoria delle entrate e delle uscite
pubbliche: il pagamento dei militari, le spese pubbliche, le pensioni elargite a personalità di spicco
del primissimo Islām, alle vedove dei caduti in guerra e ai loro orfani (pratica quest’ultima troppo
esosa che finì con il Califfo abbaside al-Muʿtaṣim), come pure degli introiti delle tasse.
Prima di morire, ʿUmar decretò l'istituzione di un consiglio, la Shūrā, di sei persone, tutte notabili
(‘Uthmān b. ‘Affān, ʿAlī b. Abī Tālib, Talha b. ‘Ubayd Allāh, al-Zubayr b. al-‘Awwām, Sa‘d b. Abī
Waqqās e ‘Abd al-Rahmān b. ‘Awf.), incaricati di decidere chi fosse stato al suo interno il prossimo
califfo: fu così che alla morte di ‘Umar, scalzando ancora una volta ‘Alī, venne elettoʿUthmān.
Questi apparteneva all'importante e ricco clan omayyade dei Quraysh, ed era genero di Muḥammad
per averne sposato le figlie Ruqayya e Umm Kulthūm. ʿUthmān fu Califfo per dodici anni, nella
seconda metà dei quali dovette fronteggiare una crescente opposizione, favorita forse anche dai
seguaci di ʿ Alī. Il suo califfato fu segnato dal nepotismo, di cui fu accusato, ma anche dall'espansione
araba verso l'Atlantico, proseguendo nelle azioni militari. L’esercito califfale conquistò gran parte del
Nord Africa, a danno dei Bizantini, e compì le prime incursioni nella Spagna visigotica, raggiungendo
anche le isole di Rodi, della Sicilia e di Cipro, dove però non realizzò una stabile occupazione dei
territori. Le frontiere orientali giungevano fino al basso corso del fiume Indo, anche se le guarnigioni
non furono in verità mantenute a lungo in quei luoghi
La situazione che egli si trovò a dover fronteggiare divenne presto molto complessa.
Continuava l’espansione territoriale ma al tempo stesso le casse dello stato erano vuote e la società,
nel suo complesso, in crescita con nuove esigenze. Per la prima volta, in un grave momento di crisi,
ʿUthmān decise la divisione delle terre fra i più meritevoli, creando una sorta di feudo che in verità
non era assolutamente ereditario. Si opposero a questo suo provvedimento soprattutto i Qurrah
(coloro i quali sapevano a memoria il Corano) che si erano stabiliti in alcune zone abbandonate dai
Sassanidi e a cui ʿUthmān era divenuto inviso soprattutto in seguito al suo ordine di trascrivere la
prima stesura del Corano (questione a riguardo della quale, secondo i Qurrah, il Califfo non aveva
nessun diritto di disporre).Le riforme che egli portò avanti incontrarono così, di fatto, molti sfavori.
Su consiglio della Shūrā fu costretto ad imporre nuove tasse che soprattutto dagli Egiziani non
potevano essere accettate per la profonda crisi in cui il paese versava20.
Una delegazione di uomini venne mandata a parlare con il Califfo per spiegare la difficile
situazione in cui si trovavano. Fu così che ebbe inizio da parte di ribelli Egiziani e Kūfani21 l'assedio
alla residenza califfale a Medina, ove ottennero, in un primo momento, delle promesse. Il Califfo
autorizzò i contestatori egiziani e kūfani a rimuovere dalle cariche i loro governatori, ma quando essi
erano già sulla via del ritorno in patria, fu intercettato un messo califfale che portava una lettera,
diretta proprio ai governatori di Fusṭāṭ e Kūfa, nella quale si autorizzava la messa a morte dei loro
avversari. Ecco quindi che infuriati per la doppiezza del Califfo, gli Egiziani e i Kūfani tornarono
indietro a Medina e posero assedio alla residenza califfale. Di lì a poco alcuni di loro irruppero
all'interno della residenza del Califfo e lo uccisero, indifeso, mentre, si raccontava, stesse leggendo
una copia del Corano da lui fatto mettere per iscritto e macchiando col suo sangue le pagine
pergamenacee del testo sacro.
Dopo l'assassinio di ʿUthmān, a Medina, su consiglio della Shūrā e con l’appoggio degli Ansar,
veniva eletto Califfo il cugino, genero e figlio adottivo di Muḥammad: ʿAlī ibn Abī Ṭālib.
19 Questo termine, dīwān, che in poesia indica la raccolta dei versi e dei componimenti sopravvissuti di un poeta,
nell’accezione amministrativa del termine, andò ad indicare una sorta di luogo, registro, dove tenere appunto i registri
e tutti gli atti scritti per conservare e mantenere nel tempo la memoria storica e coerente delle azioni amministrative.
20 I Bizantini, grossi commercianti e possidenti, si erano portati via tutto quello che avevano potuto, soprattutto denaro
liquido.
21 I malcontenti verso il nepotismo del Califfo trovarono crescente espressione a Kūfa, principale campo militare della
regione irachena, e specialmente ad opera dei “lettori del Corano” che rappresentavano una delle costituenti più pure
dello spirito religioso dell’Islām. Segni di dissidenza si svilupparono in Egitto, nella stessa Siria e in Arabia.
Analisi storico concettuale dall’avvento dell’Islam ai nostri giorni
Osservatorio Strategico 2018– Anno XX n. I 96
Egli dovette subito fronteggiare il moto indipendentista dei ribelli e, prima ancora, l'opposizione
di due Compagni del Profeta, Ṭalḥa b. ʿUbayd Allāh e al-Zubayr b. al-ʿAwwām, che inizialmente
avevano riconosciuto la sua designazione. Questi due, con l’appoggio della vedova del Profeta,
ʿĀʾisha bt. Abī Bakr, si ribellarono apertamente ad ʿAlī e si scontrarono con lui nella cosiddetta
battaglia del Cammello (656), avvenuta nei pressi di Bassora, in Irāq, nella quale essi trovarono la
morte.
Nell'ottobre 656 il Califfo, non sentendosi sicuro, abbandonò Medina - per non rientrarvi mai
più - e trasferì la sua residenza a Kūfa, in Irāq, che divenne così la nuova capitale del califfato arabo.
Ma ancora un ben più grande problema attendeva ‘Alī: dopo la sua elezione fu incolpato di
non intervento a riguardo dell’uccisione del Califfo precedente. Molti musulmani pretendevano
vendetta per quanto accaduto, sobillati, e guidati poi, dal cugino del terzo califfo, Muʿāwiya b. Abī
Sufyān, il quale da circa venti anni governava egregiamente la Siria da Damasco, dove si era quasi
costituito un esercito personale, pagando molto bene le sue truppe.
La camicia insanguinata di ʿUthmān fu dunque spedita a Damasco, a Mu'awya, il quale sentì
subito il dovere di vendicare il cugino, armi alla mano, “giustizia per il parente ucciso”, in ciò
applicando un diritto alla vendetta di stampo pre-islamico, e configurandosi così come un ribelle alla
suprema autorità califfale.
Mu'awya ritenne che ʿAlī e i suoi partigiani fossero stati, anche se solo moralmente, in parte
responsabili dell’uccisione del Califfo; così si passò al conflitto aperto, che avrebbe poi portato alla
guerra fratricida e allo scisma.
Lo scontro fra gli eserciti delle due parti avvenne a Ṣiffīn, sul medio Eufrate, nel 657. Si narra
che la battaglia fosse da poco cominciata e che gli Alidi stessero per vincere quando Muʿāwiya fece
issare sulle armi delle truppe, sulla punta delle lance, dei pezzetti del Corano, volendo così ricordare
che in fin dei conti erano tutti Musulmani, e invocando il giudizio del Libro e quindi di Dio. Con o
senza dubbi su questa versione dei fatti, certo è che molti combattenti, in entrambe le fazioni, furono
titubanti a continuare lo scontro dall’esito incerto che avrebbe provocato il sacrificio di molti credenti.
Si arrivò così ad un arbitrato, con due arbitri, per decidere sulle ragioni del conflitto: Mu'awya era
riuscito a giungere al tavolo delle trattative e i rappresentanti delle due parti cominciarono ad
incontrarsi. L'arbitrato ebbe esiti inconcludenti (pare fosse stato favorito il partito di Mu'awya) ma,
soprattutto, si palesò lo scontento di alcuni combattenti secondo i quali il Califfo aveva commesso
l’errore politico di “giungere alla trattazione”.
Alcuni di essi, nel momento in cui fu fermata la battaglia e scelta la via diplomatica, si pentirono
di non aver continuato la lotta armata, l’unica che ritenevano potesse manifestare il vero volere di
Dio, qualunque ne fosse stato l’esito. Loro, i kharigiti, ritennero così sia di “uscire” (Kharaja vuol dire
uscire) dall’esercito di ʿAlī, sia di “uscire” di nuovo in battaglia.
Ma invano cercarono di convincere il quarto Califfo a riprendere le armi, e, di fronte alla sua
arrendevolezza, non gli riconobbero più nessun diritto di essere il loro “capo” legittimo. Come forza
politica e militare il movimento dei Kharigiti non ebbe vita lunga: ʿAlī nel 658 affrontò e annientò i
secessionisti. Sconfitto sul campo esso continuò ad esistere, con diverse diramazioni, e a far sentire
la propria voce a lungo, con la sua dottrina il cui cardine principale era che l’unica guida accettabile
dovesse essere quella del miglior musulmano, di qualsiasi origine fosse, e non per successione ma
per merito. Anche se sunnismo e sciismo al tempo della battaglia tra ʿAlī e Muʿāwiya non si erano
ancora formati come tali, fu contro le loro tendenze rispettive che i Kharigiti propagandarono un
Islām puro e rigoroso che obbedisse a un capo giusto, di qualsiasi provenienza fosse, pronto a
dimettersi qualora si fosse macchiato di una qualche colpa.
Sotto la lente
Osservatorio Strategico 2018– Anno XX n. I 97
Oggigiorno gli unici loro sopravvissuti (molto moderati tanto da non essere distinguibili dagli
altri musulmani se non nel richiamo particolare alla preghiera, l’adhān22) sono gli Ibaditi, presenti in
numero ristretto in zone come la Tripolitania, l’Algeria meridionale, in Oman e Zanzibar.
Proprio da un Kharigita, tale Ibn Mulǧam - che volle così vendicare l'eccidio dei suoi
correligionari perpetrato dal Califfo a Nahrawān- ʿAlī venne ammazzato, mentre era intento a
pregare nella moschea cittadina di Kūfa.
Saliva così al potere il quinto califfo legittimo, Muʿāwiya, e la dinastia degli Omayyadi (661-
750) con sede a Damasco, segnando il trionfo politico definitivo dell’Islām, e anche della lingua
araba, al di fuori dell’Arabia, pur restando il controllo di Mecca e Medina - luoghi di assoluta valenza
religiosa - un fondamento dell’autorità califfale.
La morte di ʿAlī23 e la proclamazione di Muʿāwiya non placarono le lotte tra la famiglia del
Profeta e gli Omayyadi; anzi proprio durante questa dinastia accadde, a Karbalāʾ, in ‘Irāq un episodio
di grande rilievo che incise profondamente sulla storia della Shīʿa anche successiva. Alla morte di
Muʿāwiya il califfato passò, non più per elezione, al figlio di questi, Yazīd; il figlio minore di ʿAlī,
Ḥusayn (a capo della famiglia dopo la morte del fratello maggiore che aveva rinunciato ad ogni
pretesa sul califfato) rifiutò di riconoscere questa successione, riaccendendo così le speranze degli
sciiti. Con un esiguo numero di sostenitori egli si diresse verso Kūfa per raggiungere i simpatizzanti
iraqeni, ma a Karbalāʾ, appunto, fu fermato dagli Omayyadi, numericamente molto superiori, e
ucciso insieme alla gran parte dei suoi familiari. Era il 10 ottobre 680, il 10 muḥarram 61 dell’egira.
L’eccidio di membri appartenenti alla famiglia del profeta rimase uno dei fatti più traumatici
della storia islamica, provocando scalpore anche nella parte avversa24.
Dopo questo eccidio, e per diverse generazioni, i discendenti del Profeta non diedero forma a
nessuna opposizione politica. Furono gli Abbasidi (749-1258) a risvegliare (anche per porre fine alla
dinastia Omayyade) i malcontenti sciiti, in nome della restaurazione dei diritti della famiglia del
Profeta. Una volta giunti al potere, però, essi inaugurarono una propria dinastia, con capitale
Baghdād, naufragando così, ancora una volta, tutti i progetti e le speranze degli Sciiti, i quali
divennero, addirittura, dei sorvegliati speciali, per paura di eventuali nuovi moti di ribellione.
Ma proprio durante la dinastia degli Abbasidi si affermò la maggiore delle correnti (che
andremo ad esaminare nel corso di questa trattazione) degli sciiti, quella che riconosce dodici Imām
nella linea di discendenza del Profeta, considerando Muḥammad al-Mahdī, figlio sconosciuto a tutti
dell’undicesimo Imām, il dodicesimo successore, tenuto nascosto per motivi di sicurezza e per
sfuggire alla sorveglianza abbaside.
La teoria della scomparsa o occultamento dell’'Imām sarà una delle caratteristiche peculiari
del movimento sciita, in base alla quale l’'Imām, il mahd, cioè il guidato, come il suo stesso nome
rivela, diverrà l’atteso, figura apocalittica di colui che alla fine dei tempi riporterà l’ordine cosmico.
Il X secolo fu quello della definitiva fissazione della dogmatica imamita, mentre nei secoli
successivi, con il definitivo tramonto degli Abbasidi e l’affermazione dei Turchi sunniti, i Selgiuchidi
prima e gli Ottomani dopo, l’imamismo, pur nell’ombra politicamente parlando, fu vivo
nell’elaborazione dogmatica, sempre pronto a cogliere l’occasione per affermare la propria
presenza.
22 Nei paesi musulmani l’orario d’inizio di ogni preghiera obbligatoria viene scandito dall’adhān’, l’appello che richiama i
fedeli al compimento di esse, affidato ad un esperto il Muʾadhdhin, muezzin, che è appunto colui che compie l’adhān’.
23 Sepolto a Najaf (anche se qualcuno ipotizza che egli sia sepolto in Afghanistan) città centro di pellegrinaggio per la
moschea dell'Imām appunto e per, nelle vicinanze, il Wādī al-Salām, che si dice sia il più ampio cimitero del mondo
islamico, dove sono conservate le le tombe di numerosi profeti.
24 La commemorazione del martirio dell'Imām al-Ḥusayn e dei suoi seguaci ad opera delle truppe del Califfo omayyade
Yazid I è ricordata con l’ʿĀshūrāʾ. Il lutto per l'evento, presso gli sciiti, dura quaranta giorni. Il centro principale delle
celebrazioni sciite è la città di Karbalāʾ dove si trovano le tombe dell'Imām e dei suoi seguaci e dove ogni anno centinaia
di migliaia di pellegrini si recano per celebrare il lutto e piangere l'Imām.
Analisi storico concettuale dall’avvento dell’Islam ai nostri giorni
Osservatorio Strategico 2018– Anno XX n. I 98
Verso la fine del XV secolo un esponente della famiglia turcomanna dei Safavidi, Ismāʿīl,
coltivò l’ambizione di una grande rinascita dello sciismo, trovando terreno fertile soprattutto in Iran.
Fu qui che, grazie ai successi militari, nel 1501 egli si proclamò re dell’Iran, assumendo il titolo
persiano di shàh25, dando così allo sciismo imamita l’occasione di creare un proprio Stato, retto dalla
dinastia in nome dell’'Imām nascosto, e facendo abbracciare ad un’area così importante del mondo
musulmano lo scisma alide.
Anche dopo la caduta della dinastia safavide nel 1722, lo sciismo rimase la confessione
ufficiale di tutti i successivi sovrani, decretando così la definitiva separazione dell’Iran dal mondo
sunnita.
Dopo numerosi conflitti che videro la presa del potere prima da parte della dinastia degli Afshar
di origine turca e poi Zand di origine Afghana, l’Iran ritrovò i fasti con la dinastia Qajar che affrontò il
difficile cammino verso una monarchia costituzionale che si concluse agli inizi del XX secolo con
l’arrivo al potere dei Pahlavi (1924-1979).
Ma le attese escatologiche nell’arrivo del mahdī, in un Paese dove gli sciiti avevano raggiunto
il successo terreno con la presa del potere, potevano esplodere in rivolte e vere e proprie rivoluzioni
politiche con modi di dissidenza non più rivolti contro i secolari nemici sunniti ma all’interno dello
stesso imamismo, volti a purificare la società da quelle contaminazioni che avrebbero apportate una
classe “sciita” soltanto di nome.
E la storia contemporanea ci ha narrato la sollevazione popolare contro la dinastia Pahlavi,
sotto la guida dell’Ayatollah Khomeyni (1979-1989): presentatosi come Imām nel senso di guida di
tutta la comunità di fedeli e di guida della lotta di liberazione, con connotati dunque sia religiosi che
politici, impostò il suo governo su un approccio di tipo fondamentalista e il regime da lui instaurato
inaugurò in Iran una linea di potere definita "teocratica" che sopravvive tuttora.
Dottrine e Pratiche della Shīʿa
Esaminiamo ora quali sono le caratteristiche specifiche del credo sciita.
L’Islām è la seconda religione al mondo per numero di aderenti, con circa un miliardo e 800
milioni di adepti, preceduta dalla religione cristiana, circa 2 miliardi e 100 milioni (all’interno della
quale dobbiamo però annoverare le varie divisioni tra cui il cattolicesimo, con circa 1 miliardo e 254
milioni di fedeli, l’ortodossia orientale, il protestantesimo e le altre).
Nell’Islām la maggior parte dei credenti è di credo sunnita, circa il 90%, mentre gli sciiti sono
circa il 10% (per la maggiore soprattutto in Iran, Bahrein e poi Irāq, Siria, Libano, Yemen del Nord e
altri Paesi) e per la restante una piccola minoranza appartenente ad altre sette.
Abbiamo visto che l’origine dell’Islām sciita risale agli anni che seguirono la morte di
Muḥammad e che gli sciiti derivano dall’essere stati un partito a sostegno di ʿAlī nel suo diritto a
“succedere” al Profeta come guida della neonata comunità di credenti.
I fautori di ʿAlī avevano sostenuto che la volontà di Muḥammad era stata a tal riguardo diverse
volte espressa e che la maggioranza della comunità avesse volutamente ignorato o diversamente
interpretato tale indicazioni.
Addirittura pare che vi fosse un ḥadīth, ignorato dai sunniti, l’ḥadīth al-thaqalayn, il detto dei
due beni preziosi, secondo il quale il Profeta avrebbe affermato che lasciava due beni preziosi: il
Corano e le Genti della sua Casa. Inoltre, episodio ancor più significativo per gli sciiti è quello che
narra che Muḥammad di ritorno dal suo ultimo Pellegrinaggio, presso lo stagno di Khumm, avrebbe
formalizzato chiaramente l’investitura di suo cugino e della sua discendenza.
Qualunque sia la realtà di questi avvenimenti, è condivisibile che alcuni membri della famiglia
del profeta siano rimasti perplessi al momento della elezione di Abū Bakr, anche se la posizione
25 Ricordiamo che la lingua dell’Iran non è l’arabo ma il fārsī, il persiano appunto.
Sotto la lente
Osservatorio Strategico 2018– Anno XX n. I 99
sunnita successiva ha ridimensionato gli attriti fra i più autorevoli Compagni di Muḥammad e che
essi si fossero comunque ben presto ricomposti in uno spirito di riconoscimento fraterno dei rispettivi
meriti.
Premesso questo cenno storico-politico, ricordiamo che:
tutti i musulmani concordano sul fatto che Allāh sia l’unico dio e che Muḥammad sia il suo profeta;
condividono un libro sacro, il Corano (che per gli sciiti ha sostanzialmente lo stesso valore che gli
attribuiscono i sunniti, pur se con delle differenze, dando i primi molto più spazio alla
interpretazione simbolica del testo, con il ta’wìl, cioè quel costante ricondurre il senso letterale del
testo sacro ai suoi significati più reali e spirituali);
osservano i cinque cosiddetti pilastri dell’Islām (dagli sciiti definiti “obblighi di fede”) racchiusi nel
fondamentale terzo ḥadīth che recita così:
“Abu Abdulrahman Abdullah figlio di Omar ibn al-Khattab (DCL26) riferisce: Ho sentito dire dal
Messaggero di Allāh (SLPBD): L'Islām poggia su cinque pilastri: la testimonianza che non c'è
altro Dio che Allāh e che Muḥammad è il Messaggero di Dio, il compimento della preghiera rituale,
il versamento della Zakat, il pellegrinaggio alla Casa e il digiuno nel mese di Ramaḍān”.
Ḥadith riferito da al-Bukhari e Mushm.
Dunque l’Islām, come ogni altra fede religiosa, ha dei codici di comportamento e degli obblighi
fondamentali che riguardano sia i singoli credenti che le società di cui essi sono parte e i cinque
pilastri sono riconosciuti come pratiche obbligatorie per il fedele. Il primo di questi fondamenti, la
shahāda, è la testimonianza di fede, con cui ogni credente riafferma la propria accettazione
dell’Islām, e che racchiude il dogma teologico dell’Islām stesso, cioè l’unicità assoluta di Dio e il
riconoscimento della missione del Profeta (questa formula, in arabo, è riportata sulla tristemente
nota bandiera nera del sedicente “Califfato” o ISIL/ISIS).
Di notevole importanza per la vita pratica del credente è il secondo “pilastro”, quello della ṣalāt,
la preghiera, da compiere obbligatoriamente quotidianamente cinque volte al giorno27: all’alba, a
mezzogiorno, al pomeriggio, al tramonto e di notte, seguendo un cerimoniale immutabile. Il richiamo
alla preghiera viene fatto dai Muʾadhdhin (anche se oggi si ricorre spesso a registrazioni diffuse da
altoparlanti) che dall’alto dei Minareti invitano i credenti al compimento della stessa. Bisogna
sottolineare che tale preghiera riguarda ciascun singolo fedele, uomo o donna, e che si è tenuti a
compierla da soli, in relazione diretta con Dio.
Ogni buon musulmano dovrebbe almeno una volta nella vita compiere l’ḥajj, il pellegrinaggio
alla Mecca, durante i primi giorni del mese lunare chiamato dhu’l-ḥijja. Questa città dell’Arabia
Saudita, verso la quale i musulmani si rivolgono durante la preghiera e alla quale tutto il mondo
islamico guarda, ogni anno si ritrova mediamente ad accogliere oltre due milioni di pellegrini che
accorrono da ogni angolo del mondo per visitare i luoghi del loro culto (ricordiamo che già prima
dell’Islām gli Arabi si recavano in pellegrinaggio alla Ka’aba). Anche in questo caso il rituale è fisso
e prevede abluzioni, il taglio dei capelli e delle unghie, la vestizione con abbigliamento composto da
due semplici teli bianchi, cerimonie come la circumambulazione per sette volte della Ka’aba, la corsa
tra due piccole alture, il lancio di sassi contro dei cippi che rappresentano il demonio. Di solito l’ḥajji
si conclude con una visita alla tomba del Profeta a Medina.
26 Eulogia, cioè espressione di massimo rispetto, per persone di eccezionale levatura religiosa e morale, che sta per Dio
si compiaccia di lui. Al rigo successivo SLPBD altra eulogia che accompagna il nome del Profeta e che è resa con su
di lui pace e benedizione di Dio.
27 Oltre alle preghiere obbligatorie giornaliere, i musulmani si raccolgono settimanalmente - il venerdì - nella moschea,
per pregare sotto la guida dell’Imām (che ricordiamo non ha alcuna valenza sacerdotale - ma soltanto rispondente a
dei requisiti - ed è colui che per primo esegue i movimenti e le recitazioni prescritte, seguito dai fedeli schierati dietro
di lui).
Analisi storico concettuale dall’avvento dell’Islam ai nostri giorni
Osservatorio Strategico 2018– Anno XX n. I 100
Nel decimo giorno del mese del pellegrinaggio si festeggia l’Aid al- Adha, conosciuta anche
come Festa del Sacrificio o Aid al-Kabir (Festa Maggiore) che è sicuramente la festa più importante
dell’Islām, celebrato in tutto il mondo anche dai musulmani che non hanno potuto prendere parte
diretta al pellegrinaggio.
Un altro “pilastro” è l’astinenza durante le ore di luce nel mese di Ramaḍān. Il credente deve
rinunciare, all’incirca dall’alba al tramonto, a cibi e bevande e a qualsiasi altra cosa che possa
contaminarlo, dal sesso al fumo. Questa privazione che dura tutto il mese (solo durante le ore diurne
però) non rappresenta una mortificazione del credente ma piuttosto una sua purificazione rituale.
Alla fine del mese di Ramaḍān, e il primo giorno del mese successivo, si festeggia la Aid al-Saghir
o Aid al-Fitr (cioè si celebra la "rottura", il termine del periodo di digiuno): nel giorno di festa si
indossano vestiti nuovi, si scambiano dolciumi e si fanno gli auguri. Le scuole restano chiuse per tre
giorni.
“Pilastro” dell’Islām è anche la zakāt, una tassa di matrice religiosa di cui è più volte fatta
espressa menzione nel Corano, citando le categorie che hanno il diritto di usufruirne e dove è
stabilito che grava solo su chi supera un certo imponibile28.
Dunque se gli sciiti sono i partigiani di ‘Alī, i sunniti sono coloro che seguono la “tradizione”, la
sunna, ma le differenze dottrinarie appaiono relative.
Fra cinque elementi considerati fondamentali dal credo sciita (l’unicità di Dio Tawḥīd, la
giustizia di dio ʿAdl, la profezia Nubuwwa, l’escatologia Maʿād e l’imamato Imāma) gran parte di
essi, anche se non perfettamente corrispondenti, si differenziano dalle analoghe dottrine elaborate
dal sunnismo essenzialmente “per dettagli”.
La differenza sostanziale sta invece nella teoria dell’Imamato, considerato dagli sciiti articolo
di fede, poiché la figura “della guida della comunità” ha assunto valori più propriamente religiosi,
sovrastando spesso quelli politici, e andando a costituire l’essenza della dottrina stessa.
Ai requisiti che l’ortodossia sunnita ritenne necessari per la scelta del Califfo, o Imām, gli sciiti
aggiungono la discendenza da ‘Alī, negando il principio dell’elezione: l’autorità viene da Dio ed è
impossibile, secondo essi, che il Profeta non abbia designato il suo successore, quasi ad
abbandonare a se stessa la comunità dei fedeli.
L’Imām sciita, oltre ad avere le funzioni di quelle del Califfo sunnita in quanto guida e custode
della legge, assume dunque valenze spirituali che oltrepassano quelle temporali. Egli è il solo
conoscitore del senso intimo dell’Islām, comunicato ad ʿAlī, e da questi ai suoi discendenti, e ha
l’autorità docente nell’interpretazione del Corano e della Sunna, perché a seguire la Sunna non sono
solo i sunniti, come il nome potrebbe far credere, ma anche gli sciiti.
La differenza sta in primo luogo nelle fonti di tale Sunna; i sunniti ne privilegiano alcune, gli
sciiti talora altre. I primi considerano sunna anche le integrazioni apportate dai primi Califfi, e gli sciiti
duodecimani fanno altrettanto con le integrazioni apportate invece dai primi dodici Imām (sette per
gli Ismailiti). Così alcuni trasmettitori usati dagli uni sono considerati inaffidabili dagli altri e
viceversa29.
All’'Imām aspetta anche l’infallibilità e impeccabilità.
28 Nell’Islām, oltre a questa forma di tassazione, esiste anche un’analoga elemosina volontaria, la ṣadaqa, molto simile a
quell’aiuto spontaneo al prossimo bisognoso che è la “carità” Cristiana.
29 All’interno dello sciismo si distinguono numerose correnti tra cui gli Zayditi - che riconoscono cinque Imām visibili -, gli
Ismailiti che ne riconoscono sette e gli Imamiti o Duodecimani i quali ne riconoscono dodici (altri gruppi marginali sono
i Qarmati, i Nizari e altri minori). Oggi la maggior parte degli sciiti seguono la corrente Duodecimana diffusa in
Afghanistan, India, Pakistan, Libano, Irāq e soprattutto in Iran dove è religione di stato. Il dodicesimo Imām, come già
detto nel corso di questa trattazione, non sarebbe morto ma solo scomparso nell’874 e vivrebbe in occultamento per
tornare come messia alla fine dei tempi, per restaurare la pace e la giustizia. Durante questo periodo di “grande
occultamento” la gestione della comunità dei fedeli è affidata agli esperti religiosi che hanno il compito di controllare
chi detiene il potere.
Sotto la lente
Osservatorio Strategico 2018– Anno XX n. I 101
L'infallibilità è dovuta al fatto che egli trae la sua autorità da Dio, per cui non può impartire
insegnamenti che abbiano un minimo dubbio di errore. L'insegnamento fluisce dall'Imām per il
tramite dei religiosi di più elevata dottrina e qualità morali, ispirati da lui. Secondo gli sciiti la prassi
religiosa non è fissata per l’eternità in tutti i suoi particolari, per cui l'interpretazione, ijtihād, resta
aperta e problemi nuovi possono essere risolti con nuove soluzioni. L’infallibilità dell’Imām come
interprete del Corano si esplica in particolar modo nel fatto che egli, dopo il Profeta, sia l’unico
depositario della scienza del Libro Sacro.
Nel mondo sciita, dunque, ‘Alī è un personaggio esclusivo. Assieme a lui assume un carattere
sacro la “Sacra Famiglia”, i cosiddetti “Cinque Puri”: Muḥammad, sua figlia Fāṭimah, ‘Alī appunto, e
i due figli di Fatimah e ‘Alī, Ḥasan e Ḥusayn.
Mentre per i sunniti questa devozione si deve mantenere nei limiti della misura, i “Cinque Puri”
e l’Imām hanno nello sciismo un’ulteriore importante funzione: la mediazione presso Dio.
Il personaggio più potente in questo ruolo di intercessione è Ḥusayn, ucciso, come già detto a
Karbalāʾ, dagli Omayyadi, fatto che ha reso il nipote del Profeta un eroe - anche per i sunniti lo è -
capace di un estremo sacrificio per la salvezza dei musulmani e la cui celebrazione si svolge ogni
anno con processioni di flagellanti, drammi religiosi popolari e lunghe lamentazioni.
Da queste rievocazioni emerge un altro elemento introdotto nell’Islām sciita (che lo distingue
ancora una volta dalla religiosità dal resto del mondo dell’Islām e che sembra quasi in questo aspetto
avvicinarlo a tratti al cristianesimo) e cioè la rivalutazione della sofferenza, del martirio, e del dolore,
che assumono un carattere quasi redentivo.
Principio fondamentale inoltre, accennato precedentemente, della imamologia sciita è quella
della scomparsa o occultamento dell’Imām: per la maggior parte delle sette il dodicesimo e ultimo
Imām è nascosto - pur presente in questo mondo - ma celato a tutti, indistintamente, e un giorno egli
“l’atteso” riapparirà per compiere la volontà divina. Sviluppatasi sotto gli Abbasidi quasi come
espediente per minacciare i regnanti di quel tempo con la presenza di un oppositore occulto, questa
teoria divenne in breve un dogma teologico, sul quale si sovrappose quello del mahdī “il ben guidato”
escatologico che nella shī’a è identificato con l’Imām nascosto appunto, in un’idea quasi messianica
che potrebbe rivelare radici ebraico-cristiane.
Un altro caposaldo dottrinale di tutte le correnti sciite è la cosiddetta dissimulazione, taqiyya
(timore, cautela): imposta ai fedeli dalle persecuzioni delle quali sono stati fatti oggetti nei secoli,
essa permette di nascondere le proprie credenze in caso di pericolo e di danno per la comunità,
comportandosi esteriormente con la prudenza che le condizioni del momento potrebbero richiedere.
In quanto alla preghiera canonica, nel mondo sciita rientrano preghiere speciali per ‘Alī e
Fāṭimah e alcuni Imām. Altre differenze minori riguardano le modalità dell’appello alla preghiera
stessa, dell’orazione funebre e altri dettagli dei riti; caratteristico del diritto matrimoniale sciita è,
inoltre, ad esempio, il matrimonio temporaneo, cioè limitato nel tempo, pratica considerata
estremamente illecita dai sunniti.
Sono altresì da menzionare i pellegrinaggi presso le varie tombe degli Imām, il cui omaggio
non sostituisce il pellegrinaggio alla Mecca che resta per tutti i musulmani la visita più importante da
compiere almeno una volta nella vita.
Diversi elementi del culto sciita hanno indotto i sunniti ad accusarli di eresia, mentre gli sciiti
sottolineano come il dogmatismo sunnita abbia dato vita a sette estremiste, come i puritani wahabiti;
ma è anche vero che spesso sunniti e sciiti si trovano a compiere insieme gli obblighi prescritti, come
avviene ad esempio durante il Pellegrinaggio proprio.
Ciò che continua a separare le due parti, oltre agli aspetti politici, è l’atteggiamento nei riguardi
del fatto religioso, vissuto in maniera diversa, come se Sunna e Shīʿa non fossero mai riusciti a
colmare il solco che li ha divisi agli albori della loro storia.
Analisi storico concettuale dall’avvento dell’Islam ai nostri giorni
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E ancora oggi in alcuni Paesi del mondo musulmano i rapporti tra le due comunità di credenti
variano in genere dall’indifferenza alla faida secolare o si moltiplicano gli scontri tra le due correnti
dell’Islām, in un potente miscuglio di religione e politica che ne acuisce le divisioni e favorisce la lotta
secolare ed è difficile capire dove sia realmente il confine tra la disputa religiosa e quella politica.