Sogna Ragazzo SOGNA

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Periodico della Fondazione Officina Solidale n.0

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Editoriale

Tutto inizia, tutto finisce. Vivevamo nel limbo dei sogni, con una realtà sufficientemente tranquilla con una discreta attività amministrativa in ge-nerale, con ritmi di vita forse conven-zionali, ma con effervescenze e tonicità che offrivano a tutti, quasi tutti, la pro-pria sorte di benessere e di finta o ap-pagata felicità. C’erano le classi sociali, c’era più denaro, più ricchezza e forse anche un minimo di qualità della vita. Improvvisamente, a partire da un ven-tennio a questa parte, il livello di vita è inspiegabilmente crollato, con gra-vi problemi sull’economia nazionale, europea e innanzitutto delle zone più depresse. Forse eravamo abituati bene o troppo bene…Siamo nel momento più delicato della seconda Repubbli-ca… e mezza con un rancore misto ad invidia che circolano orizzontalmente e in modo impietoso. Privilegiati che temono l’irruzione dei nuovi poveri nei cui confronti nutrono rancore forse perché minacciati nei loro ridotti beni conquistati o ereditati. Benestanti che mal sopportano chi sta male perché rappresentano un rischio, una sorta di attentato alla propria egoista sicurezza. Sembrano tanti americani nel senso capitalistico del termine, che hanno dimenticato le proprie origini, quelle delle tribù, e temono i tanti invisibi-li, la gente comune, che a parer loro mettono in pericolo le loro certezze e in particolare gli auspici. Per questo motivo, grazie alla sapiente intuizio-ne della Fondazione Officina Solidale Onlus, la prima nel Sud per l’idea sulla partecipazione, nasce la rivista e il sito online Tusinatinitaly. All’insegna dello slogan, “A noi piace il Sud”, con una giovane redazione supportata dalla vi-talità delle esperienze dei tanti che

popolano il nostro territorio e delle province limitrofe, ci proponiamo di alimentare un piccolo grande labora-torio culturale per non dimenticare la nostra memoria e il nostro futuro. Ini-ziando dalle Storie dei tanti che offro-no squarci di solidarietà e alimentando quella speranza nei giovani che non va delusa ma stimolata e incoraggiata. In queste modeste pagine, credo che dobbiamo essere fieri della felicità del nuovo vento che inizia a spirare, come non dobbiamo sottovalutare le inade-guatezze della politica forse distratta e impreparata nella risoluzione delle molteplici situazioni , ad iniziare dal lavoro che non c’è, lo sviluppo che non decolla, all’offerta dei servizi essenziali alla persona in campo sociale e sanita-rio. Dai giovani, nonostante il pessimi-smo che avanza, occorre far nascere , attraverso le persone libere e dalle loro legittime aspirazioni, la ripresa dell’u-guaglianza, della dignità, solidarietà, amore, passioni e innanzitutto futuro. Siamo convinti, come i nostri saggi ge-nitori, che davvero basta poco per esse-re felici. Per questo occorre rimboccar-ci le maniche, senza vittimismo e con la fronte alta, alimentando nuovi oriz-zonti e nuove soluzioni. L’intelligenza della cooperazione attraverso i mecca-nismi della solidarietà e della rete tra la gente offre l’opportunità di iniziare a ritrovare la normalità come elemento caratterizzante del vivere comune. So-gna ragazzo SOGNA, perché si può e si deve essere diversi dai tanti che con la maleducata intemperanza, in alcuni casi, ringhiosa e incontrollata, tentano di dividere un Paese solido per la sua Storia e le sue Testimonianze, ma debo-le quando si negano diritti conquistati o quando si tenta di lasciarci sprofondare

nell’immondizia morale e purtroppo anche reale. Le Storie dei tanti che non hanno mai rinnegato le umili origini, dei talenti sparsi in ogni parte del glo-bo impegnati nell’agire quotidiano, i nostri paesi così virtuosi nella bellezza delle mani callose e dell’architettura di un tempo, sono le tracce e la strada da perseguire per non dimenticare. Riap-propriandoci delle buone maniere, in tutti i sensi, come indicatori del livello di civilizzazione di una classe dirigente e di un popolo, rendendo chiare e leggibili le procedure, la convivenza, il vivere ci-vile. A noi piace il Sud anche per questo motivo, avendo la consapevolezza che in molti casi è nobile nel saper vivere la sfera delle emozioni, del rispetto di sé e degli altri senza avere l’egemonia dei toni gridati. Siamo pertanto contro co-loro che in termini culturali, esprimono risentimento in molti casi violento e di sopraffazione nei confronti di chi non si adegua, di chi non accetta le loro scel-lerate convenzioni e di chi pervade le nostre vite, alimentando sospetto e dif-fidenza, mortificando gli indifesi, e dei pochi che in tempi di multiculturalismo ci portano più indietro delle conquiste romane, ossequiando e corteggiando oltre misura i potenti per espropriarci della bellezza comune del sentire del fare e del vivere. Alla volgarità dell’effimero occorre rispondere con la bellezza dei sentimenti e delle Storie vere, fatta di gente, di bagagli in molti casi legati con lo spago, sacrifici, amore per la Patria, per il proprio paese e per la difesa intel-ligente del campanile. Mai arrendersi, mai perdere la speranza. Sognare è lecito perché… tutto inizia, tutto finisce. E’ la storia antica dei vinti e vincitori…poi si ricomincia.

di Antonio Porcelli

Sommario

Un Problema etnico o una questione raziale

pagina 7

pagina 11

L’Italia? ... perde le teste

pagina 21Terroni ... la storia reale e… capovolta del Sud di Aprile

 

pagina 35

Tagli, Tagli, Tagli ...

L’Italia che cerco

pagina 38

Progetto Giada: L’ Irpinia Solidale

pagina 42

Ariano Iprino, terra di Sol Levante

pagina 46

pagina 48

pagina 54

Pertosa e Auletta... felicità i terna lorda

Ieri e oggi: sempre Charles

pagina 68“Perchè basta anche un niente per essere felici”

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Sommario

TuSiNatInItaly Periodico della Fondazione Officina Solidale Onlus

Anno I n.0 - Agosto 2011Autorizzazione n. 3/011 del 8 aprile 2011del Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi

Direttore ResponsabileAntonio Porcelli

Si ringraziono in particolare:Antonietta Ciotta

Gerardina GiammarinoAntonella Spagnoletti

Maria StancoI collaboratori degli articoli pubblicati,

Paola De Rosa, Alfonsina PorcielloFranca Molinaro, Antonio Lavanga,

Giulia Graziano Paola Liloia, Giancarlo Giarnese, Stefano Ventura,

Franco Arminio, gli inserzionisti,il GAL Irpinia, Biogem

le Associazioni, i comuni di Lioni,Rocca San Felice, Ariano Irpino, Molinara (Bn)

Graphic DesignerClaudio Zitola

Foto Flavio Garofalo

Direzione e redazioneCorso Umberto I, 61

83057 Lioni (AV)Tel. 0827-224975

[email protected]

Stampa Azzurra Printvia Calore, 10

83051 Nusco (AV)

Le opinioni espresse negli articoli appartengono alla redazione e agli autori dei quali si intende rispetta-re la piena libertà di giudizi. La collaborazione alla

rivista avviene solo per invito La riproduzione totale o parziale degli articoli non è

vietata purchè siano citati la fonte e gli autori.

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Contrasti

Un problema

Affinché il tempo non sminuisca il pathos e tramuti in nostalgici ricordi la tragicità di un momento storico è bene affrontare con crudo realismo un argomento tanto spinoso quanto delicato. Per tener fede a questo pro-posito è indispensabile dissotterrare i fantasmi che inevitabilmente ap-pariranno sconvenienti per la nostra reputazione e dolorosi perché ognu-no di noi vi è implicato. Così, nella riesumazione dei fatti, si sveleranno

...L’odio razziale ac-cecava le folle che si muovevano a schiera; un esempio: nel 1895 a Washington morirono sei Italiani per reati non commessi...

etnico o una questione razziale?

di Franca Molinaro

episodi dimenticati o volutamen-te sepolti nell’oblio, perché troppo crudo è il ricordo e inaccettabile alla ragione risulta il vissuto. E’ dunque indispensabile raccontare ciò che sembrerebbe meglio dimenticare per comprendere a fondo l’uomo e le sue vicende, i suoi sentimenti, la sua naturale propensione ad abusare del prossimo. Per quanti credono nell’a-more - io prima di tutti - sarà delu-dente scoprire che la razza umana

... in America... la cer-tificazione dei nuovi arrivati, scritta su due libri diversi, uno per il Nord l’altro per il Sud, veniva stabilita secon-do i caratteri somatici e non dedotta dai documenti...

tende a far prevalere il male sul bene e il migliore degli individui è soggio-gato da questo eterno dualismo.Tra le popolazioni del Sud del mondo e quelle del Nord c’è una ruggine an-tica, stratificata, costruita su pregiu-dizi e differenti tradizioni, ma anche sulla differente morfologia fisica. Fu proprio la differenziazione somatica l’argomento che spinse l’etnologo Giuseppe Sergi a elaborare una cata-logazione abbinando caratteristiche umorali a caratteri somatici e regioni geografiche. Successivamente, Cesare Lombroso - il più noto criminologo del Sud - imperniò, sull’argomento, una teoria che ancor oggi influenza il pensiero scientifico. Gli etnologi italiani Giuseppe Sergi e Luigi Pigorini si trovarono ad essere d’accordo su una questione che pro-vocò ulteriori problemi agli Italiani nel mondo. Secondo la teoria dei due studiosi, gli Italiani del Nord - cioè quelli oltre il Po - appartenevano alla razza Aria, il resto della gente italica discendeva da un’antica stirpe prove-niente dal cuore dell’Africa. Si disse, insomma, all’epoca, che nelle vene italiane scorreva sangue nero. Questa teoria fu accolta dai razzisti america-ni come una ragione in più per ac-cendere l’odio xenofobo già dilagante in ogni parte degli States. Al Congresso di Antropologia di Mo-sca di fine Ottocento, il Sergi, perse-guendo un’accurata analisi delle etnie presenti in Italia, si trovò con altri ad essere d’accordo sulle caratteristi-che negative dei popoli del Sud. Dal carattere individuale alla vita sociale,

gli Italiani - in particolar modo quel-li del Sud - vennero descritti come i peggiori abitanti del pianeta.Il governo post-unitario aveva sac-cheggiato e sacrificato il Sud, lo ave-va oltraggiato nelle sue sacralità. Poi, più ricco con i beni recuperati, pun-tava al futuro, a società moderne che si basano sull’organizzazione e lo spi-rito di socialità, come spiegava il Ser-gi, in cui la genialità individuale pre-sente nelle popolazioni meridionali, non è adatta. La giunta parlamentare d’inchiesta sulla Sicilia fa ancora ri-ferimento al carattere dei fratelli del Sud; nella conclusione della relazione del 1876 è scritto: in Sicilia vi è san-gue caldo, volontà imperiosa, com-mozione d’animo rapida e violenta.

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Contrasti

Intanto, in America, su suggerimento dello scrittore americano Henry Pratt Fairchild, ad Ellis Island la certifica-zione dei nuovi arrivati, scritta su due libri diversi, uno per il Nord l’altro per il Sud, veniva stabilita secondo i caratteri somatici e non dedotta dai documenti. Il rapporto della Com-missione sull’emigrazione nel Dictio-nary of Races and Peoples, stabilì che la frontiera tra Nord e Sud Italia era nel 45° parallelo Nord, parallelo che solca la Pianura Padana e taglia To-rino per metà. Una simile divisione non favoriva nemmeno le province dell’arco alpino perché, in America, quel piccolo lembo di regioni passava inosservato, oltre l’oceano gli Italiani erano tutti uguali: delinquenti, as-

Nella foto: The STaTue of LiberTy and eLLiS iSLand in new york harborT

Nella foto: The STaTue of LiberTy and eLLiS iSLand in new york harborT

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Contrasti

sassini, ladri e puttane. L’Australian Star, in un articolo chiamò gli Italiani Cinesi d’Europa; per gli Australiani gli Italiani erano dings, cani selvati-ci. Per Winston Churchill gli Italiani erano suonatori d’organetto e l’Italia la puttana d’Europa. La letteratura straniera contribuì a dare un quadro dell’Italia dell’epoca a dir poco allu-cinante, Sodoma e Gomorra sfigura-vano a cospetto delle più belle città italiane dove la corruzione e il vizio, la lussuria, secondo la letteratura, su-peravano di gran lunga le città bibli-che. Charles Baldwin definì Venezia il bordello d’Europa, e Montesquieu nei resoconti spiegò che a Roma v’e-rano solo due classi sociali le puttane e i servi. Charles Dickens ne le Vi-

furono braccati come belve feroci e su di loro si accanirono anche dopo la morte con gli attrezzi più impensa-ti. L’Italia non si costituì parte civile, anzi si scusò per i disordini causati dai connazionali.Nel 1924, il rappor-to di Hewrman Feldman sui fattori razziali nell’industria, spiega che gli Italiani erano i più maltrattati di tut-ti gli stranieri. Li chiamavano wops che foneticamente evocava guappo e significava “senza passaporto”, per la ragione che i più di essi erano clan-destini. La miseria spingeva gli Italia-ni ad una partenza senza speranza, i primi risparmi venivano loro estorti da organizzazioni di truffatori che si occupavano dell’alloggio in topaie fatiscenti, prima dell’imbarco, qui potevano trascorrere anche mesi in attesa. Viaggiavano in condizioni che oggi non sono ammesse nemmeno alle bestie ed arrivavano in bocca ad altre organizzazioni che provvedeva-no allo smercio secondo le richieste. Finivano per abitare bidonville nau-seanti di sporcizia e sovraffollamento. Ettore Scola nel film Trevico Torino solo andata, mostra i cartelli con su scritto: non si affitta agli emigranti. Non avevano altri mezzi per sosten-tarsi se non il lavoro, salute permet-tendo, erano costretti ad adattarsi alle più squallide situazioni. Racconta E., emigrato in Venezuela negli anni quaranta, che i topi camminavano indisturbati sul tavolo dove con-sumavano il frugale pasto. Un suo compagno li catturava, li scuoiava e li arrostiva, sembra che i topi arrosto emanino un ottimo profumo…

sioni d’Italia conferma tutto quanto scritto dai viaggiatori precedenti che, vuoi per volontà di stupire, vuoi per un degrado realmente constatato, avevano disegnato quegli stereoti-pi che ci siamo portati addosso per molto tempo. I nostri connazionali erano derisi ovunque; gli stessi Ita ani sul molo di New York accoglie-vano i compaesani allo sbarco e gli insegnavano a dire: I’ am a son of a bitch, probabilmente non avevano madri in comune. Arrigo Petacco in Petrosino, racconta di aver ritrovato, nell’Archivio Storico del Ministero degli Esteri, centinaia di fascicoli re-lativi ai linciaggi degli Italiani negli States, linciaggi per colpa presunta. L’odio razziale accecava le folle che si muovevano a schiera; un esempio: nel 1895 a Washington morirono sei Italiani per reati non commessi. Ma questo non solo negli States, in Ar-gentina nel 1872 l’odio razziale anni-dato nei cuori dei latifondisti fece uso dei gauchos per sferrare un attacco agli immigrati in nome della religiòn. Un fanatico partigiano sconfitto, si reclutò come santone con l’intento di sterminare tutti gli stranieri portatori di valori moderni che avrebbero sna-turato il mondo e la buona religiosi-tà primitiva. In Australia, nel 1934, a seguito della morte di un capo dei pompieri causata involontariamente da Claudio Mattaboni, barista che si rifiutò di dar da bere a credito, si scatenò la follia xenofoba contro cir-ca 500 Italiani residenti a Kalgoorlie e a Boulder. In Francia nelle saline di Aigues Mortes i nostri connazionali

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Potrebbe essere considerata una nuo-va forma di emigrazione oppure una piaga sociale certamente è un proble-ma per un’Italia sempre più…in fuga. I cosiddetti Brains on the run dello Stivale sono circa 35mila su 300mila laureati, amara statistica che racchiu-de però una considerazione carica di significato, ben descritta dalle parole del rettore dell’ Università di Torino Ezio Pelizzetti nella sua lettera de-stinata al Presidente Berlusconi ”Se

l’Italia si priva di intelli-genze di eccezionale valo-re mentre elargisce gene-rosamente ogni anno circa 20 miliardi di euro a...

ogni anno 35.000 laureati e dottori di ricerca italiani trovano impiego in centri di ricerca prestigiosi degli Stati Uniti e dell’Europa ciò significa che il livello di alta formazione espresso dall’Università italiana è fra i più ele-vati al mondo”. Niente di più vero. Tutto ciò però ci riporta ad un nuovo interrogativo riguardante il perché di tali fughe. E’ presto detto. “I 35.000 cervelli annualmente in uscita- con-tinua il Rettore- a cui corrisponde

L’Italia? ... perde le teste

Contrasti

di Maria Stanco

un flusso in entrata di soli 4000 laureati e dottori di ricerca stranieri, sono costati allo stato e alle famiglie per la formazio-ne circa 600 mila euro ciascuno: il che significa che l’Italia si priva di intelligen-ze di eccezionale valore mentre elargisce generosamente ogni anno circa 20 mi-liardi di euro a Stati non certo bisognosi come gli Usa, l’Inghilterra, la Germania e la Francia. Se a ciò si aggiunge che dei 15 miliardi di euro di contributi Ue per l’alta formazione pagati ogni anno dal nostro Paese ne ritornano soltanto 9, arriviamo a un totale di 26 miliardi di euro perduti ogni anno: uno spreco che grida vendetta”.

Complessa la questione delle par-tenze proibitiva quella dei rientri ”Più di metà dei laureati italiani che vivono e lavorano con successo all’e-stero- si legge nel rapporto curato dalla Fondazione Mi non considerano come probabilità concreta quella di torna-re nel Belpaese. Con il trascorrere del tempo, infatti, l’ipotesi di un rientro di-venta sempre meno probabile. Anzi, a 5 anni dalla laurea sono 52 su 100 i lau-reati occupati all’estero che considerano questa possibilità molto improbabile”.

Fughe d’èlite

Quali sono le lauree più richieste, dunque, tali allontanamenti di qua-li specialisti ci privano? Le lauree più ricorrenti tra quanti lavorano all’e-stero sono quelle del ramo letterario, linguistico, ingegneristico ed econo-mico-statistico. La laurea in giuri-sprudenza, invece, è maggiormente fina-lizzata alle esigenze del contesto italiano.

Inutile sottolineare che gli emigrati sono giovani. Tra chi ha meno di 35 anni, 3 su 10 sono minorenni (606 mila), ol-tre 2 su 5 hanno fra i 18 e 24 anni. La maggior parte dei giovani è concentrata in Europa (1,2 milioni, il 60,6% del to-tale, circa 3 su 5).

Si va ma non si torna!

Solo in apparenza il problema riguarda la fuga dei cervelli, in realtà la questione più spinosa si riferisce al mancato rien-tro degli stessi. Fare un’esperienza all’e-stero, che sia anche di anni, può solo giovare al curriculum e alla formazione professionale dei giovani che sfortuna-tamente però tendono a rimanere lon-tani dall’Italia non avendo a disposizione

Tra chi ha meno di 35 anni, 3 su 10 sono minorenni (606 mila), oltre 2 su 5 hanno fra i 18 e 24 anni....

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Contrasti

Dott. Pezzulli, nel suo “In Fuga dal Sud” ha proposto una visione nuova del fenomeno dei cervelli in fuga vista dagli occhi di un so-ciologo. Cosa ha dedotto dalla sua analisi?

Che i soggetti, i migranti, sono cre-sciuti immensamente di più delle reti politico clientelari che governano il mercato del lavoro locale. Partono perché non sono disponibili a restare imbrigliati nelle reti di potere sociale dei contesti nei quali sono cresciuti e che conoscono bene. La tesi centra-le del libro recita che le migrazioni qualificate si basano sullo scarto tra la crescita soggettiva dei migranti e l’arretratezza delle reti sociali e pro-fessionali nei quali sono coinvolti nei contesti di provenienza. In altri ter-mini sono cresciuti meglio del con-

le condizioni favorevoli per il rientro. Da quest’anno però un provvedimento bipartisan potrebbe tamponare il pro-blema. L’aula del Senato ha approvato definitivamente la legge, con il solo voto contrario di Fli e l’astensione dei Radicali. I cittadini Ue, nati dopo il primo gennaio 1969, laureati e con al-meno due anni di residenza nel nostro Paese, una volta ritornati a lavorare in Italia otterranno fino al 31 dicembre 2013 uno sconto fiscale dell’80% se donne e del 70% se uomini. I benefici decadranno se il lavoratore non resterà in Italia almeno cinque anni. In questo caso, lo Stato provvederà al recupero dei benefici già fruiti, con applicazione del-le relative sanzioni ed interessi.

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In fuga dal Sud,

Le storie

l’analisi, la scelta, le aspettative,l’opinione

testo che li ha formati; il quale, dal punto di vista economico politico, è rimasto bloccato dalle clientele che hanno proliferato in questi lunghi decenni sull’economia pubblica ed alle spalle dell’intera società meri-dionale. Questo, in estrema sintesi, è il rilievo sociologico della ricerca. Ovviamente se lei chiede ad un eco-nomista o demografo del perché di

Francesco Maria Pezzulli cosentino classe ‘71. Sociologo. Laureatosi a Roma nel 1996 ha continuato a lavorare presso la Facoltà di Sociologia dove ha ricoperto il ruolo di Professore a contratto e Assegnista di Ricerca. Collabora alle Riviste scientifiche “Sociologia e Ricerca Sociale” e “Dedalus. Rivista di Storia e scienze sociali”. Prima di “In fuga dal Sud” ha pubblicato soprattutto articoli e saggi su riviste accademiche di sociologia: utili esercizi di analisi e ricerca sul campo che gli hanno permesso successivamente di scrivere sui migranti qualificati ed i poteri locali del Mezzogiorno. Di seguito l’intervista realizzata nell’ambito delle iniziative del Presidio del Libro Alta Irpinia.

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Le storie

questi flussi crescenti le risponderà in altra maniera, le dirà che le migra-zioni, sono la conseguenza necessaria della pressione demografica dei con-testi di provenienza e del maggior be-nessere dei contesti di destinazione, cioè i laureati meridionali sono trop-pi e non c’è lavoro per tutti. Bene, ma è una spiegazione dall’alto, che funziona per tutti i periodi storici ed in tutti i posti, una spiegazione nel-la quale i migranti in carne ed ossa, le loro scelte soggettive e relazionali, scompaiono. Con il mio lavoro, ho cercato di risalire dagli aspetti sog-gettivi e relazionali dei migranti nei contesti di provenienza alle motiva-zioni dei trasferimenti. Senza questa ricostruzione ritengo che ogni spie-gazione “scientifica” è parziale.

Nitti diceva che gli spostati erano “il peggior pericolo rivoluzionario dell’Italia”; oggi, se consideriamo spostati i ragazzi che protestano in piazza per il lavoro e contro il precariato o per le riforme che non condividono, si può ancora dire come faceva Nitti, che sono le pro-teste dei giovani a smuovere le sorti dell’Italia?

Io mi sento molto vicino alle proteste dei giovani e credo, che possano es-sere loro a smuovere le sorti dell’Ita-lia. Mi sembra inoltre che non siano proteste semplicemente rivendicati-ve. Ad esempio, il movimento degli studenti di questi ultimi anni non ha solo evidenziato le criticità del-le riforme che si sono succedute da Berlinguer alla Gelmini, non ha sola-mente lottato per contrastare e bloc-

care quanto stava accadendo contro di loro e contro l’università in gene-rale, ma si è anche posto il problema di mantenere in vita un sapere critico che, è il caso di ricordarlo, è l’unico sapere - come insegnano i classici - che permette alla scienza di avanzare. Le esperienze di autoformazione pro-liferate nelle università dai primi del duemila ad oggi sono un segnale co-stituente che stanno portando avanti gli studenti, e bisogna esserne felici e sperare che l’autoformazione si esten-da sempre più, perché un’università senza sapere critico e senza il prota-gonismo degli studenti è qualcosa di abominevole, una sorta di grande Cepu a servizio dell’impresa di turno. Potremmo allargare il discorso anche ad altri soggetti come, ad esempio, a coloro i quali hanno dato vita, dopo la grande manifestazione della FIOM del 16 ottobre 2010, al movimento di Uniti contro la crisi, oppure ai pre-cari che si sono riuniti dietro il sacro-santo slogan “il nostro tempo è ades-so, la vita non aspetta”. Come dicevo anche queste esperienze non solo rivendicano qualcosa (non aspettano che gli venga promesso o concesso qualche lavoro, magari ad alto tasso di sfruttamento) ma hanno delle pro-poste concrete per uscire dalla crisi, si mettono in rete e lottano con una co-gnizione precisa di quello che gli sta accadendo intorno. E’ da questi sog-getti collettivi che possiamo aspettar-ci qualcosa che riesca a cambiare lo stato di cose presente.

Nel fenomeno dei cervelli in fuga si trovano anche degli spunti positi-vi, dai quali si comprende quanto

l’università italiana formi intelli-genze appetibili all’estero. Quali sono dunque, anche in base alla sua esperienza di docente, i punti di forza e i punti deboli del nostro sistema universitario? L’università italiana, per come l’ho conosciuta e la conosco, è stata una ottima università sotto numerosi punti di vista. Ricordo, da studen-te, che quando gli Erasmus appro-davano alla Sapienza restavano di stucco per come i nostri Corsi fos-sero approfonditi e specialistici, ave-vano non poche difficoltà a stare al passo con l’università italiana… ma erano felici di questo, si trovavano inseriti in un contesto accademico high come amavano definirlo. Allo stesso modo ricordo miei amici che passavano sei mesi o un anno fuori

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Le storie

Il Sud risulta da lunghi decenni il fanalino di coda dell’Italia, croce e delizia di una nazione già in grossa difficoltà. Da dove, secondo Lei, si può ripartire per sperare in una ri-nascita?

Mi fa una domanda da un milione di dollari. È difficile poter rispondere allo stato dell’arte attuale: abbiamo dei partiti politici archeologici, ar-roccati in logiche perverse, intenti a costruire artificiosamente opinione e distanti anni luce dai problemi reali e dalle condizioni d’esistenza dei citta-dini. Abbiamo dei sindacati che non si sono accorti che il mondo è cam-biato e non hanno nessuna strategia per affrontare le sfide che la precarie-tà impone. Abbiamo delle imprese che sono cresciute a suon di econo-mia pubblica e degli imprenditori

dall’Italia, in un’altra università, e che tornavano con più esami supe-rati ed immancabilmente dicevano che “era stato uno spasso”. In questo senso sono d’accordo con lei, le intel-ligenze italiane sono appetibili all’e-stero, come peraltro dimostra il caso dei ricercatori che ho affrontato in “In fuga dal Sud”. Quello che temo è che tale tendenza stia lievemente scivolando, nel senso che i racconti degli Erasmus risalgono ai primi anni novanta, all’incirca venti anni dopo possiamo registrare un vero e proprio disastro nell’università italiana. Mi viene difficile dire quali siano, oggi, i punti di forza, probabilmente è un mio limite. Di converso mi viene fa-cile identificare alcuni dei principali punti di debolezza: baronie, cricche accademiche, clientele concorsuali, autoreferenzialità dei dipartimenti.

che hanno dovuto svolgere il ruolo di collettori di voti nella speranza di poter fruire di trasferimenti… certo non è tutto cosi, qualcosa di buono si può trovare sia nel campo della politica che in quello dell’economia, ma ormai è un dato acquisito che lo sviluppo del Mezzogiorno è stato sa-crificato di volta in volta alla stabilità elettorale del Centro politico ed agli interessi economici delle imprese set-tentrionali. Una volta si diceva duali-smo, oggi si ripete neodualismo, ma la sostanza del discorso non cambia: l’arretratezza relativa del Mezzogior-no è enorme. Ciò non toglie che bisogna resistere e non arrendersi. Con una risposta a mò di slogan potrei dire che la rina-scita partirà dai giovani, che bisogna puntare su di loro per intraprendere finalmente un processo di sviluppo auto propulsivo duraturo. E credo che questo possa essere vero. Biso-gna però prima di tutto domandarsi come faranno questi giovani a non cadere nelle trappole del clientelismo disseminate in tutto il Mezzogiorno, come riusciranno a sottrarsi ai “favo-ri” che ti rendono suddito, come po-tranno dichiararsi indisponibili alle relazioni che gli verranno proposte dai politici e padrini di turno. Do-mande non da poco… con una vec-chia fraseologia mi viene da dire che la rinascita del Mezzogiorno potrà ve-nire dai giovani quando questi riusci-ranno a costruire una loro autonoma dimensione collettiva ed inizieranno a discutere di organizzazione, in altri termini quando esprimeranno una soggettività politica nuova.

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Marylinda Famiglietti 27 anni di Sturno ha scelto di partire dopo aver conseguito presso l’Università degli Studi Roma Tre, una laurea in scienze Biologiche e dopo aver svolto attività di ricerca sul virus HIV . Pochi mesi dopo la laurea si è trasferita negli Stati Uniti.

Perchè hai fatto questa scelta?

Dopo la mia laurea ho inviato curricu-la ovunque in Italia, ad ogni industria farmaceutica presente sul territorio, da Nord a Sud. L’unica chiamata l’ho ricevuta a luglio da un’azienda che mi offriva uno stage di 6 mesi a 400 euro mensili. Mi è stato spiegato che il mio lavoro sarebbe consistito nell’archiviare in un database i prodotti in entrata e in uscita. Dopo quell’intervista sapevo che avrei rifiutato qualora mi avesse-ro richiamata e sapevo anche che non sarei stata ricontattata. Ho iniziato a guardarmi intorno e ho scoperto che nell’Università dello Utah c’era un laboratorio dove si studiava l’HIV. Ho contattato il professore, sono stata intervistata via-skype, mi è stato pro-posto un contratto di un anno da in-ternista e sono partita nell’autunno di quello stesso anno. Successivamente ho

Le Storie - l’Intervista

partecipato al concorso per Dottorato Internazionale presso l’Istituo San Raf-faele di Milano. Sono risultata vincitri-ce e da gennaio 2011 sono dottoranda immatricolata al San Raffaele, ma svol-go la mia attività di ricerca sempre qui negli Stati Uniti. Nello specifico, nel mio laboratorio si studiano i meccani-smi virali e cellulari che permettono al virus HIV di resistere alle terapie che si sono rese disponibili in questi anni. La mia ricerca è volta alla caratterizza-zione della funzione di una proteina dell’HIV nel promuovere la riattivazio-ne del virus “silente”.

Com’è la tua vita negli States?

Lavorativamente mi trovo benissimo. Appena arrivata sono saltati all’oc-chio piccoli particolari che fanno la differenza: nel mio laboratorio siamo in tutto 10 ragazzi, metà americani, metà provenienti da Europa e Brasi-le, abbiamo un laboratorio immenso, ognuno ha i suoi spazi, non manca mai materiale per lavorare, se c’è bisogno di programmare un esperimento che presuppone reagenti costosi il profes-sore è sempre disponibile all’acquisto, purchè l’esperimento che si vuole fare

abbia senso e sia scientificamente giu-stificato. Insomma, è l’ambiente ideale soprattutto per chi come me ha vissu-to la realtà della ricerca in Italia (anche se, credo, non è corretto generalizzare), dove la mancanza di fondi ti fa spesso lavorare con lo stesso paio di guanti per diversi giorni o devi andare nel labora-torio accanto a chiedere questo o quel reagente. Per quanto riguarda la vita di tutti i giorni, la gente qui è particolare. All’apparenza e superficialmente sono tutti molto gentili, ma appena cerchi di varcare la soglia e provare ad appro-fondire le amicizie trovi tante difficol-tà. Culturalmente gli americani non sono come noi, non vivono a casa con mamma e papà oltre i 18 anni, si scon-volgono nel sentire che ogni mattina io parlo con mia madre su skype mentre faccio colazione. Ciò che forse mi pia-ce di più della mia vita qui è la facilità con cui puoi fare tutto. Sono funzio-nali in tutto, efficienti, non si perdono mai in lungaggini burocratiche. Non devi tornare nello stesso ufficio cento volte prima che la tua richiesta venga soddisfatta.Quindi, complessivamente, qui la vita è più facile, meno stressante forse...ma per me l’Italia è l’Italia!

Hai voglia di tornare in Italia?

E sì, la voglia di tornare definitivamen-te c’è sempre, insieme alla speranza che si possa tornare per fare il lavoro che mi piace fare. Guardo sempre all’Italia come il posto in cui vorrei poter vivere per sempre. Appena partita ero dell’o-pinione: un giorno tornerò in Italia a tutti i costi. Oggi sono del parere: che un giorno tornerò almeno in Europa.

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in Italia ne sentirei la mancanza.

Alla giustizia ci si abitua subito dunque? Proprio così, se penso che quando vive-vo in Italia consideravo il clientelismo quasi come un male incurabile oggi penso che non potrei più tollerarlo.

Alla luce di questa sua bella esperien-za cosa cambierebbe in Italia?

Faccio prima a dire quello che salverei: le bellezze artistiche e culturali che non hanno eguali nel mondo, il cibo ma tutto il resto è da rifare!

Le Storie - l’Intervista

Ma in Italia la non pari opportunità si respira da quando si nasce in tutti gli ingranaggi della società . Molte volte i giovani meritevoli sono già rassegnati e non ci provano neppure a emergere, preferiscono partire subito come ho fat-to io.

Quindi ha deciso di non tornare in Italia?

Le possibilità di tornare a casa ci sono state e anche più di una: ma le scarse opportunità di carriera e la precarie-tà lavorativa mi hanno fatto decidere di rimanere definitivamente in questo paese. Lo stile di vita americano mi piace talmente tanto che sicuramente

Michela Garofalo, nata a Lioni e laureatasi presso l’università Federico secondo di Napoli in Scienze Biologi-che, vive e lavora a Columbus nello stato dell’Ohio (Usa) da più di cinque anni.

Dottoressa Garofalo qual’è la sua oc-cupazione?

Sono ricercatrice scientifica presso Ohio State University. Studio i meccanismi molecolari che sono all’origine del can-cro del fegato e del polmone.

Come è riuscita ad ottenere questo incarico?

Nel campo della ricerca l’esperienza all’estero è quasi un obbligo ed io sono partita un po’ all’avventura e per rima-nere negli Stati Uniti un solo anno . Ho lavorato sodo ed ho ottenuto eccellenti traguardi per cui ho deciso di rimanere.Oramai sono cinque anni che vivo negli States e ho ottenuto delle grandi soddi-sfazioni personali che in Italia mi sarei solo potuta sognare. Come mai?

Le università statunitensi sono struttu-rate così bene che consentono di svol-gere efficacemente il proprio lavoro. Inoltre qui vige la meritocrazia, che in Italia non esiste. Se ti impegni e meriti qui ti viene tutto riconosciuto non pre-vale certo la raccomandazione politica che assicura posti di rilievo a persone poco qualificate.

Devo dedurre che in Italia ha vissuto delle brutte esperienze?

Albergo

e del benessere

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Ortensio Zecchino Ha svolto da giovanissimo intensa attività politica. E’ stato Ministro in tre governi, senatore in quattro legislature (ha presieduto la commissione Giustizia; in due legislature la Commissione Istruzione e Cultu-ra; la Commissione per gli Affari Europei; nella XIII legislatura ha fatto partr della Commissione Bicamerale per la Riforma Costituzionale), parlamentare europeo (1979-1984), consigliere regionale della Campania in due legislature (1970-1979), amministratore locale (1964-1970). Docente di Storia delle Istituzioni medievali nell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli (studi attività accademica e scientifica) Presidente del Centro Europeo di Studi Nor-manni (CESN), un sodalizio che ha fondato 20 anni fa con colleghi italiani, francesi e inglesi. Presidente di Biogem un istituto di ricerche genetiche, al cui interno si svolge anche attività di formazione accademica (corso di laurea magistrale in genetica, dottorati di ricerca, master) (BIOGEM)

I nostri laureati fanno un percorso formativo duro che però li prepara in modo esemplare ad af-frontare il mondo del la-voro e della ricerca.

“Che voglia essere considerato un ele-mento di vanto o una piaga, quello della fuga dei cervelli all’estero, per l’Italia è certamente un problema o quanto meno uno stimolo per una profonda riflessione sulla condizione giovanile nella nostra Nazione” paro-la del Sen. Ortensio Zecchino fauto-re, quando occupava la poltrona del Ministero della Pubblica Istruzione, di una legge per il rientro del cervelli. Nel 2001 l’allora ministro Ortensio Zecchino aveva previsto un fondo per finanziare i ricercatori che operava-no all’estero e volevano trasferirsi nel nostro Paese. In pratica le università assumevano con contratti a tempo

La Fuga dei cervelli?è una mancanza di risorse!

Le storie - L’opinione

determinato studiosi che venivano a svolgere attività didattica in Italia. Il programma in 5 anni è stato utilizzato da 466 tra ricercatori e professori. La metà delle domande sono state pre-sentate da studiosi italiani che sono così rientrati in patria e l’altra metà da stranieri. Le discipline maggior-mente coinvolte erano quelle tecnico-scientifiche. “Ogni anno abbiamo fi-nanziato il ritorno in Italia di circa 50 cervelli”, spiegano al ministero. Oltre trenta università hanno usufruito del programma per “importare” cervelli., fino al 28 marzo, quando il governo ha congelato il progetto.

Sen. Zecchino, perché secondo Lei la fuga dei cervelli può essere considera-ta, un motivo di vanto per la nostra nazione?

“E’ presto detto, vedere quanto siano produttivi e quanto siano apprezzati i nostri giovani all’estero ci da la giusta misura di quanto evidentemente sia efficace il nostro sistema universita-rio. I nostri laureati fanno un percorso formativo duro che però li prepara in modo esemplare ad affrontare il mon-do del lavoro e della ricerca. Se i giovani laureati italiani vengono richiesti ed ac-cettati all’estero evidentemente è perché sono validi e ben preparati”.

Quale crede che sia il maggiore pro-blema legato al fenomeno del brain drain?

“A parte tutte le considerazioni credo che comunque quello della fuga dei cervelli all’estero sia un grosso problemaper la nostra nazione, legato non tanto

alla partenza quanto al mancato ritorno degli stessi. Mandare un giovane a for-marsi all’estero, per poi favorirne il rien-tro ed applicare la conoscenza acquisita altrove nel proprio paese d’origine, sa-rebbe una cosa ottimale che favorirebbe lo sviluppo della Nazione”.Perché questo in Italia non accade?

“Il punto debole del nostro sistema è certamente la mancanza di risorse, è questa la ragione principale per cui i giovani laureati sono costretti ad andare via e a rimanere lontani dall’Italia. L’or-ganizzazione delle strutture è irrigidita dalla burocrazia e questo limita le possi-bilità d’azione delle nuove generazioni”.

Esistono secondo Lei delle soluzioni?

“Dovremmo imparare a scommettere di più sull’inventiva. Siamo in crisi e gli imprenditori non sono ben propensi a mettere in gioco un capitale di rischio che coinvolga i giovani, magari con progetti innovativi. D’altra parte esiste

ancora il mito del posto fisso che da un certo punto di vista crea appiattimento. I giovani ricercatori però devono aver fiducia”.

Biogem, il Centro di ricerca di cui Lei è presidente fornisce delle soluzioni al problema?

“Biogem è un fiore all’occhiello per la ricerca scientifica, in Italia, in Irpinia e nel mondo. Gli studi che sta portando avanti coinvolgono ragazzi di tutte le nazioni, favoriamo il rientro dei ricer-catori italiani dall’estero ma allo stesso tempo intercettiamo le migliori menti e le portiamo da noi per sviluppare pro-getti d’eccellenza. I principali contatti li abbiamo con alcuni scienziati del Qa-tar con i quali dal 2009 collaboriamo attivamente per progetti di ricerca e formazione. Molti studenti laureati del Qatar hanno seguito dei master presso Biogem, questo consentirà ad italiani e stranieri di lavorare fianco a fianco per raggiungere obiettivi comuni”.

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Le storie - L’opinione

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Le Verità nasCoste

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Ha capovolto l’Italia, iniziando dalla copertina del suo libro e reinventan-do, almeno graficamente la Sicilia a Nord. Il leit motiv è il Sud, affron-tando il tema dei Terroni, e presen-tandosi al pubblico con la consueta versatilità e la grinta di sempre. Pino Aprile, non ha bisogno di presenta-zioni anche se per i suoi…avversari, alcuni colleghi, vale la pena ricorda-re che è un giornalista pugliese, ed è stato vice direttore di Oggi, diretto

re di Gente, collaboratore del Tg1 e di innumerevoli riviste. Oggi è uno scrittore di successo e sulla cresta dell’onda per un best seller tra i più provocatori e criticati degli ultimi tempi. Terroni è il risultato di una lettura personale su come è nata e si è evoluta la situazione socio-economi-ca del Meridione, e di come il Sud sia diventato un problema nazionale. Il libro, frutto di studi e ricerche appro-fondite, propone una lettura generale

Terroni: la storia reale e… capovolta del Sud di Aprile

l’intervista con Pino Aprile

...I vivi si festeggiano, i morti si celebrano, ebbe-ne l’Unità d’Italia è morta di parto 150 anni fa...

del meridionalismo e della situazio-ne del sud dall’unità d’Italia ai giorni nostri.

Abbiamo da poco festeggiato i 150 anni dell’Unità Nazionale: che senso ha questa festa mentre l’Ita-lia appare sempre più spaccata da Nord a Sud?

Inizio col precisare che ciò che abbia-mo fatto non è stato festeggiare ma celebrare. I vivi si festeggiano, i mor-ti si celebrano, ebbene l’Unità d’Italia è morta di parto 150 anni fa. Parlia-mo di una cosa che nella realtà non si è mai realizzata effettivamente, una cosa che è costata vite, per la quale si è pagato un altissimo prezzo di san-gue soprattutto tra i meridionali, tra chi ha combattuto per le strade.

fucilati, delle centinaia di case incen-diate, dei paesi rasi al suolo. Prima di diventare eroe pluridecorato, fu mercenario nella Legione straniera in Portogallo e Spagna. Uccideva i suoi simili a pagamento. Parliamo di uno che bombardò Gaeta dopo la resa. Ho paragonato i Piemontesi ai Nazi-sti? Ebbene, se pensate che siano stati Hitler o Stalin ad inventare i campi di concentramento e di sterminio do-vete ricredervi perché il primo lager è nato a Fenestrelle in Italia all’indo-mani dell’ Unità d’Italia, campo di sterminio per italiani, meridionali per la precisione, la cui fortezza rap-presenta la testimonianza più cruda.

Qual è secondo lei il peggior male del Sud?

Il male peggiore del Sud è il vittimi-smo. Il meridione non si ribella agli insulti, non si oppone alle ingiusti-zie perché ha maturato una sorta di accettazione psico-sociale per cui ha imparato a tollerare ed ingoiare il rospo.Il Sud deve comprendere che il suo disagio deriva solo ed esclusi-vamente da questioni ambientali. L’efficienza dei luoghi è decisiva per lo sviluppo delle potenzialità umane, per lo svolgimento di compiti, per l’attuazione di programmi. Tra Nord e Sud ovviamente non esiste una dif-ferenza genetica o altro, si tratta solo di considerare che chi abita al Sud vive giornalmente in una condizio-ne di disagio e inadeguatezza dovute alla mancanza di strutture e risorse. Quando un meridionale si sposta al-trove diventa incredibilmente opera-tivo e produttivo.

Le Verità nasCoste

L’unità d’Italia deve essere festeggiata poiché è un’occasione per rileggereed analizzare la storia,

Da dove arriva l’idea di Terroni? Il suo deve essere considerato il frutto di uno studio approfondito oppure è un più provocatorio tentativo di smuovere le coscienze?

Terroni è la risposta ad alcune do-mande che mi ero posto. Conosce-vo la storia così come me l’avevano sempre presentata, ad un certo punto mi è venuto in mente di approfon-dire alcuni punti che mi sembravano oscuri o quanto meno incompleti. Il meridione è sempre stato il fana-lino di coda dell’Italia? Cosa spinse il sud a ribellarsi contro i piemontesi acclamati invece come i portatori di libertà ? Erano davvero pacifici que-sti piemontesi? E allo stesso modo, i Briganti, additati come criminali, lo erano davvero? Queste erano le mie domande di partenza, da lì ho scova-to molte altre verità….

“Terroni” di Pino Aprile da una parte, “Viva l’ Italia” di Cazzullo dell’altra. Il suo collega la accusa di aver esagerato citando invano Mar-zabotto, paragonando i piemontesi ai nazisti. Non si rischia in questo modo di inasprire la polemica tra nord e sud?

Cazzullo critica testi che non ha let-to, l’ho sentito citare il generale En-rico Cialdini, deputato e senatore del Regno, come un eroe del Ri-sorgimento. Forse non sa che era un macellaio che si vantava del numero di meridionali

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territorio

Economia, più ombre che luci

Non si può più aspettare. Servo-no provvedimenti urgenti. Questo il monito di tutte le associazioni di categoria presenti alla nona Gior-nata dell’Economia promossa dalla Camera di Commercio di Avellino: l’occasione per fare il punto sullo sta-to di salute dell’economia provinciale ed analizzare l’evoluzione del siste-ma produttivo attraverso la lettura di molteplici dati della Camera di Commercio, elaborati in collabora-zione con Unioncamere nazionale.

Dati che dimostrano come sta con-tinuando la traversata nel deserto dell’economia irpina, avendo, la cri-si, reso evidenti i ritardi strutturali, oltre che congiunturali, del tessuto economico imprenditoriale della no-stra provincia. I dati dell’Osservato-rio economico della Provincia pre-sentano per l’Irpinia una situazione piuttosto complessa, in cui i segnali incoraggianti forniti dal rinnovato dinamismo imprenditoriale e dalla crescente capacità di competere sui

di Antonio Lavanga

Dal quadro degli indica-tori si rileva che il 2010 è stato per l’economia irpi-na un anno recessivo sul fronte della crescita...

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...La ricchezza pro-capite si è ridotta ed è il 66% della me-dia nazionale e nella gra-duatoria nazionale Avellino perde ulteriori otto posizio-ni....

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mercati esteri da parte delle filiere produttive di punta non trovano im-mediata corrispondenza nei princi-pali aggregati macroeconomici ossia il valore aggiunto e soprattutto l’oc-cupazione, scontando gli effetti di un mercato interno ancora piuttosto ri-stagnante. Dal quadro degli indicato-ri si rileva in primo luogo che il 2010 è stato per l’economia irpina un anno recessivo sul fronte della crescita: la ricchezza prodotta, pari a 6.679 mi-lioni di euro, si è contratta rispetto al precedente anno dell’1%, facendo anche peggio del pur non confortan-te risultato registrato a livello regio-nale (-0,3%): rispetto all’andamento nazionale, emerge ancora una volta il divario territoriale che attraversa la nostra penisola in termini di fattori di sviluppo. Di conseguenza, anche la ricchezza pro-capite pari a 17.062 euro si è ridotta ed è il 66% di quel-la media nazionale: tra l’altro nella graduatoria nazionale Avellino perde ulteriori otto posizioni occupando il 91° posto sulle 107 province italiane.Al di là degli effetti congiunturali sca-turiti dalla debolezza della domanda interna, l’economia provinciale pre-

senta diversi elementi strutturali di bassa competitività (scarsa dotazione infrastrutturale, criticità demografi-che, dimensione delle unità produt-tive e bassa propensione all’aggrega-zione, filiere produttive tradizionali posizionate su mercati maturi) che frenano la corsa delle imprese irpine, pur non arrestandone la voglia d’in-traprendere.Ma nell’analisi dei vari indicatori non mancano elementi per alimentare la speranza di una ripresa dell’Irpinia.

Imprese

A fronte della grave crisi del 2009 nel corso del 2010 cominciano a farsi strada alcuni segnali positivi che te-stimoniano una lieve ripresa dell’eco-nomia provinciale anche per il mon-do imprenditoriale. Il potale delle imprese registrate nella provincia di Avellino ammonta a 44.591 unità, facendo segnare un tasso di crescita pari al 1,2%, che può essere in parte messo in relazione con le corrispon-denti difficoltà sul mercato del lavo-ro, nel senso che molti di quelli che nel 2009 hanno perso l’occupazione a causa delle chiusure di stabilimenti produttivi, una volta esaurita la fase di assistenza governativa, hanno scel-to la via del lavoro autonomo. Dal punto di vista dei settori di attività delle nuove imprese si possono evi-denziare tassi di sviluppo positivi per le attività dei Servizi di informazione e comunicazione (+1,8%), per le al-tre attività di servizi (+0,5%) e per le costruzioni (+0,1%), mentre hanno valori negativi le aziende del settore trasporti (-2,3%), del manifatturiero

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(-2,1%), del commercio (-1,1%), del turismo (-0,8%) e dell’agricoltura (-0,6%).In definitiva prevale sempre nell’e-conomia provinciale il peso delle aziende agricole che è pari al 27,1% - in discesa rispetto al 2009 (27,6%) - seguito dalle imprese del Com-mercio che costituiscono al 2010 il 23,6% del totale (nel 2009 erano il 24%). Il terzo settore per importanza numerica è quello delle costruzioni con l’11,9% delle imprese provincia-li (leggermente in aumento al dato 2009 pari al 11,6%).

Commercio Internazionale

Anche negli scambi con l’estero si colgono segnali ottimistici. Le im-portazioni hanno toccato valori del 50% maggiori all’anno scorso, pari a 1.664 milioni di euro: segno di una forte ripresa della produzione irpina, essendo i prodotti importati soprat-tutto semilavorati e materie prime (i valori evidenziano un aumento esponenziale delle importazioni di metallo pari al 102,7%.). Nell’export con una variazione positiva del 9,5% il sistema produttivo irpino si posi-ziona al terzo posto rispetto alle altre economie provinciali. Analizzando le performance delle imprese irpine sui mercati esteri negli ultimi cin-que anni si può notare la perdita di quota della provincia di Avellino sul totale esportazioni a livello regionale: dal 14% nel 2006 si passa, infatti, al 10% nel 2009 che si mantiene valo-re costante anche nel 2010. Analiz-zando le esportazioni per settori di attività economica risulta evidente

unità con un incremento di quasi il 50% rispetto al precedente anno. Di conseguenza anche il tasso di di-soccupazione fa un balzo in avanti raggiungendo il livello dell’11,6%. D’altro canto diminuisce il tasso di occupazione pari al 49,2% (49,5% nel 2009). Elevata la disoccupazione giovanile (15-24 anni) pari al 31% in media – anche se è la più bassa in Campania - più in linea con il dato nazionale (27,8%) che con quello re-gionale (41,9%). Come quella fem-minile pari al 15.5%.

Turismo

Il turismo fa registrare l’ennesimo andamento deludente in termini di flussi arrivati in provincia: sono sta-ti circa 116 mila gli arrivi in Irpinia di cui l’87% da parte di Italiani e il 13% stranieri, per un totale com-plessivo di poco più di 261 mila presenze. Rispetto alla precedente rilevazione si registra una flessio-ne sia degli arrivi che delle presenze

che tutto il comparto agroalimentare diventa la prima voce dell’export pro-vinciale con una quota pari al 29,3%. Anche il settore moda chiude il 2010 in positivo: il distretto conciario e tutta l’industria tessile e delle con-fezioni rilevano un incremento del 23,5% passando da 119 a 147 milio-ni di euro che costituisce il secondo settore in termini di quota export pari al 16,8%. Lo stesso non si può sicuramente affermare per il compar-to automotive che fa segnare un calo del 27,9%.

Occupazione e Disoccupazione

Anche in provincia di Avellino, così come a livello regionale e nazionale, non si sono avuti segnali di ripresa nel 2010 sul fronte dell’occupazione: gli occupati hanno fatto registrare una flessione di circa 500 occupati e -0,3 in percentuale, più lieve ri-spetto a quella regionale e nazionale, mentre cresce moltissimo il numero dei disoccupati da 12.900 a 19.000

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IRPINIA

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Sogna Ragazzo Sogna ...

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C’era una volta una promessa di sviluppo industriale. La vertenza Irisbus ci insegna che sono proprio le favole a cominciare così e ad oggi è una favola ciò che rimane. Con buona probabilità lo stabilimento Irisbus di Valle Ufita, unico produttore di autobus in Italia ed unico vero polo industriale della zona chiuderà e lo farà portando con sé le speranze di ripresa economica del territorio nel quale sorge, il lavoro di 800 operai e la tranquillità di altrettante famiglie. Non c’è colpevole o meglio, non ce n’è uno solo. Colpevoli sono la Fiat e Marchionne attori protagonisti che hanno puntato i piedi insistendo su quell’ottica del profitto tanto cara alla globalizzazione, “Un’azienda i cui costi superano i ricavi, chiude”, leggi economiche che non tengono conto delle vite della gente. Colpevole è la Regione Campania, che non ha i fondi per acquistare autobus e rinnovare così un parco macchine che oramai è lo stesso da trent’anni. Colpevole è il governo assente, nella persona del Ministro per lo sviluppo economico Romani, che una volta per tutte dovrà spiegare cosa farà del suo ministero quando di sviluppo non ce ne sarà più. Colpevoli sono i sindacati, perché, come si vocifera intorno allo stabilimento, “pare davvero assurdo che nessuno sapesse

Un Bus chiamato speranzaquando le scelte aziendali mortificano la dignità del lavoro

dell’intenzione di Fiat di dismette-re uno stabilimento di tale portata”. Colpevole è la DeRisio, acquiren-te quasi certo dell’azienda, accusata per operare quei licenziamenti che Fiat, mantenendo il candore del suo nome, non potrebbe mai fare. Se non si conoscono i colpevoli di que-sta storia, sono ben note le vittime. Sono operai, mogli di operai e figli di operai, gente che, grazie a quello stabilimento, sceso come una man-na dal cielo più di trenta anni fa, ha rinunciato ad emigrare ed è rimasto nella propria terra convinto che un giorno quella stessa azienda, avreb-be dato vigore e indipendenza ad un’Irpinia straziata dal sisma dell’80. Se la ‘classe operaia va in Paradiso’, ci andrà passando dall’inferno. Un inferno fatto di attese, di risposte che

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INCHIESTA

confini locali la loro rabbia. Se là eco che è arrivata a Roma non ha colpito la classe politica ha certamente rag-giunto Benedetto XVI che ha rivolto un saluto alla “ rappresentanza degli operai dell’azienda Iribus di Flumeri, con il fervido auspicio di una posi-tiva soluzione dei problemi che ne rendono precaria l’attività lavorati-va”, ci sarebbe da dire che ormai ci si affida alle preghiere…ma non è così, gli operai non mollano “ L’Iri-sbus è nostra” tuonano a gran voce, sui manifesti, amplificati dai megafo-ni. Devono saperlo tutti, soprattutto chi, a inizio mandato ha giurato su una costituzione il cui primo articolo recita che “ L’Italia è una repubblica democratica, fondata sul lavoro” e si sa che se le fondamenta cedono, la casa crolla.

non arrivano e, c’è chi dice, anche di mancata riconoscenza, da parte di un’azienda che ha fatto dell’eleganza e della serietà un marchio, c’è da cre-dere a chi predica che queste erano caratteristiche che sono morte con l’Avvocato… Se qualcosa di buono si può veder in questa storia è che, per la prima volta, grazie alla Verten-za Irisbus l’Irpinia ha visto allo stes-so tavolo i sindaci dei 29 paesi della valle dell’Ufita, tutte le sigle sindacali e i maggiori esponenti politici locali uniti dalla condivisione di scopi e di intenti. Miracoli della lotta opera-ia… Loro, intanto, gli operai, sono scesi in piazza, hanno occupato auto-strade, case comunali, sono in presi-dio permanente davanti alla fabbrica, fanno squadra, rilasciano interviste, alzano la voce per far sentire oltre i

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Ridimensionamento, riconversione, inglobamento e chiusura. Chi vive in Alta Irpinia, in particolare tra Sant’Angelo dei Lombardi e Bisaccia ha avuto modo di ascoltare spesso, negli ultimi tempi queste parole. Contestualizzando c’è da chiarire che non sono mai, purtroppo, riferite ad una azienda o ad un negozio, ma incredibilmente a due delle locali strutture ospedaliere. Il Criscuoli di Sant’Angelo dei Lombardi e il Di Guglielmo di Bisaccia sono due ospedali destinati l’uno alla chiusura l’altro ad una ormai mitologica riconversione. Perché? Ovvio che sia una questione di costi, di sprechi, di tagli… è altrettanto ovvio chiedersi quale sia il ruolo dei cittadini in questa storia e quanto valga il diritto alla salute. “Nessuno tocchi l’ospedale” è il motto di chi, gente comune, sindaci e pazienti in questi mesi si è mobilitato in difesa degli ospedali, che, come la storia insegna, sorgono in una zona fortemente sismica che in caso di emergenza avrebbe bisogno di strutture eccezionalmente ricettive e particolari. Tra attori e comparse questa storia ha molti protagonisti, la cui voce è stata spesso ammutolita dai decreti. I commissari straordinari sempre più spesso padri padroni del destino di una comunità ed ovviamente i cittadini coloro i quali, come sempre accade, subiranno il peso delle decisioni politiche. Più che un percorso, una Via Crucis quella nel quale il popolo altirpino, costituitosi in un comitato ad hoc per la questione, si è impegnato, riunioni, richieste, documenti: fiumi di parole si cantava qualche tempo fa, risultati nulli. Se di costi si tratta allora, bisognerebbe capire quanto vale un diritto. Dovrebbero rispondere i politici che hanno fatto dell’argomento uno scudo per la campagna elettorale e delle ASL un ufficio di colloca-mento, “ Eredità della precedente amministrazione” è la risposta che va per la maggiore. E’ indubbio che si tratti di

Sanità in Alta Irpinia, quanto costa un diritto?

una cattiva gestione ma è altrettanto vero che rispetto ai costi della sanità napoletana e del suo interland quella irpina impallidisce. Forse troppi gli interessi economici che girano intor-no alla questione per ascoltare le ra-gioni della gente e per comprendere pienamente quale rischio si corra pri-vando una così vasta zona del servizio di pronto soccorso. Quali sono i ter-mini della questione è presto detto: la delibera in questione è la numero 74 del 24 gennaio 2011 e ha per og-getto il piano attuativo ospedaliero aziendale. Per il Di Guglielmo di Bi-saccia il piano prevede la dismissione

del Reparto di Chirurgia, dell’Unità Operativa di Medicina Generale, del laboratorio di analisi, della Lungode-genza, del Reparto di salute mentale e l’attivazione dell’elisoccorso. Per il Criscuoli di Sant’Angelo dei Lom-bardi, invece, il piano prevede la di-smissione del Pronto Soccorso e l’at-tivazione dello Psaut, la dismissione del Reparto di Chirurgia. Assurdo e beffardo che le ragioni del Commis-sario straordinario Florio, firmatario della decisione, facciano riferimento all’articolo 32 della Costituzione Ita-liana «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’indi-

viduo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigen-ti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La leg-ge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della per-sona umana”. Come per asserire che la malattia sia proprio nella cura.

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Campania Felix la chiamavano i la-tini per i suoi luoghi ameni e le sue fertilissime pianure. L’urbanizzazio-ne disordinata e dilagante, l’inqui-namento dei mari, dei fiumi e dei terreni agricoli hanno stravolto non solo l’antico aspetto ma anche l’im-magine di una terra favorita dagli dei. La società dei consumi, sempre più sinonimo degli usa e getta, ha incre-

Il grande rifiuto: non scherzate sul Formicoso

mentato vertiginosamente la produ-zione di rifiuti e lo smaltimento è diventato problematico ovunque, ma in Campania ci ha dato il colpo di grazia. Anni di emergenza, cumuli di spazzatura abbandonati sui suggestivi lungomare o sulle strade di accesso dei siti archeologici più visitati al mondo, liquami tossici inzuppati in stracci e sparsi ovunque nella cam-

pagna vesuviana, hanno scavato una ferita profondissima che fa orrore e che difficilmente si rimarginerà. Tut-to questo in meno di un secolo. Un tempo, come ci ha insegnato Ein-stein, relativamente lungo o breve, ma sicuramente un battito d’ali se confrontato con la storia della terra. In tutti noi si percepisce la disillusio-ne per un grande amore perduto e

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di Antonella Spagnoletti

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l’anelito di riscatto da tanto squallore ci induce ad una solidarietà forte e, in un altro contesto, con altre mo-tivazioni avremmo anche potuto af-frontare l’immenso dolore di vedere le nostre terre ancora vergini ingoiare tonnellate di rifiuti indifferenziati. Ma se un pacchetto di sigarette di-sperso nell’ambiente ha un tempo di degradazione di 3/ 4 anni, un sac-chetto di plastica pesante di 20/50 anni, una bottiglia di vetro di un mi-lione di anni, mentre una bottiglia di plastica dura all’infinito, come si può immaginare, visto la grande mole di

imballaggi che ogni giorno compria-mo e paghiamo per mantenere in pie-di la nostra economia, di risolvere il problema dei rifiuti costruendo mega discariche? Fino a quando troveremo luoghi da massacrare? Avremo sem-pre più bisogno di territori in cui il futuro è legato proprio alla salubrità ambientale. Per il Formicoso questa è l’unica ricchezza e per i nostri pa-esi presepi è l’unico futuro. L’altro aspetto è legato alla fiducia: come ci si può fidare di una classe dirigente che non ha saputo o voluto risolvere il problema in tanti anni e anche le indagini della magistratura indicano solo nella voracità di ditte appalta-trici, finanziate con denaro pubbli-co, l’unico vero motivo tecnico per la costruzione di mega discariche di rifiuti tal quale? La sensazione più diffusa rimane quella che l’altopiano del Formicoso non servirà solo per l’emergenza e non si smetterà più di sversare rifiuti fino all’esaurimento. La triste pagina della discarica di Di-fesa Grande è un forte monito. Inoltre il rischio per il nostro terri-torio di ingoiare rifiuti tossici è alto: basta vedere quanti camion, in dire-zione della discarica di Pustarza, sono stati fermati perchè contenenti ma-teriali non idonei e, visto il modo di fare di noi italiani, siamo quasi certi che i controlli non siano stati fatti proprio a tappeto. E’ ormai risapu-to che la politica sempre più spesso si concentra sul presente e l’esigenza di governare problemi di grande im-mediatezza mal si sposa con la pro-grammazione a lungo termine. Pur tuttavia ancora oggi non riusciamo a comprendere come un disastro così

grande e annunziato non sia stato per lo meno limitato. Cosa costava o cosa si è opposto a contattare perso-nale esperto che in altre zone di Ita-lia e di Europa hanno fatto del ciclo virtuoso dei rifiuti una voce del PIL? Ci si è voluti giustificare adducendo una sorta di incapacità genetica dei campani a fare la raccolta differen-ziata e dando la colpa alla sindrome nimby ( perché proprio qui?), che colpisce le popolazioni che si vedo-no localizzare impianti utili ma inde-siderati come ad es. gli inceneritori. Ma come può una classe dirigente non capire che è impossibile adot-tare provvedimenti poco desiderabili per un territorio senza una qualche forma di consenso da parte delle co-munità ospitanti e che tale consen-so non può essere ottenuto se non attraverso una loro partecipazione attiva al processo decisionale? Un re-ale progresso in questo senso si potrà avere solo se la questione ambientale si trasformi in una questione etica all’interno di un sistema condiviso di regole precise. Il decisionismo spicca-to che si riscontra da parte degli espo-nenti di governo verso la costruzione di mega discariche, se fosse stato in-dirizzato, verso la risoluzione defini-tiva del problema rifiuti, alimentan-do il senso di corresponsabilità dei singoli e del sistema economico nei confronti della questione ambienta-le, limitando a monte la produzio-ne dei rifiuti ed esigendo la raccolta differenziata a valle, forse avrebbe potuto ricostruire quella fiducia che ogni cittadino ha bisogno di avere nei confronti dell’ordine costituito.

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Tagli, Tagli, Tagli ...

La fragilità del tessuto produttivo, gli elevati tassi di disoccupazione, l’af-fermazione delle nuove povertà sono alcune delle emergenze con le quali il nostro Paese deve fare i conti, in un quadro di riferimento istituzio-nale che non riconosce centralità alle politiche sociali. Di fronte a questo scenario si torna, sempre più spesso, a discutere della necessità di ridurre i costi quanto non anche i servizi, con una politica tesa alla privatizzazione dei beni comuni, mentre i tagli alla spesa, presentati come un inevitabi-le tributo alla crisi, rischiano di tra-

volgere le già fragili politiche pub-bliche. È’ una deriva che coinvolge l’intero Paese ma che al Sud ed in Campania è particolarmente grave, perché la crisi sta mettendo a dura prova davvero tutte le fasce sociali.L’emergenza economica e sociale che stiamo attraversando non è solo un momento di difficoltà o una con-giuntura, è una crisi che sta mettendo in discussione diritti fondamentali. Di qui la necessità di riportare que-sti temi al centro dell’attenzione, per produrre proposte alternative alla po-litica dei tagli indiscriminati, evitan-

Sogna Ragazzo Sogna ...

di Alfonsina Porciello

Il Fondo per le politiche sociali è passato dai 584 milioni del 2009 ai 435 del 2010 e arriverà nel 2013 ad appena 44 milioni...

do di rispondere alla crisi generando nuove emergenze.La situazione è ora aggravata dai drastici tagli ai servizi e al Fondo per le politiche sociali di-sposti dal governo nazionale e regio-nale. Si sta così compromettendo il futuro del paese: il sistema di welfare è uno strumento decisivo per affron-tare le nuove sfide economiche e so-ciali che l’Italia ha di fronte. Il Fondo per le politiche sociali, per esempio, è passato dai 584 milioni del 2009 ai 435 del 2010 e arriverà nel 2013 ad appena 44 milioni. Il Fondo per la famiglia è passato dai 346,5 mi-lioni del 2008 ai 52,5 milioni attuali (il taglio è del 71,3%). Scomparso il “piano straordinario di intervento per lo sviluppo del sistema territo-riale dei servizi socio-educativi per la prima infanzia”, che aveva avuto 446 milioni nel triennio 2007-2009. Stessa sorte per il “Fondo per l’inclu-sione sociale degli immigrati” e per il “Fondo per la non autosufficienza”.Nei territori ciò sta determinando ri-duzioni e chiusure di servizi, perdita del lavoro per gli operatori sociali e per tante persone svantaggiate e as-senza di servizi fondamentali come l’ assistenza domiciliare anziani e disa-bili e servizi per le famiglie, su cui torna a scaricarsi per intero il peso dei problemi. “Con i tagli lineari e reiterati - hanno scritto in un docu-mento gli operatori sociali di Lega coop - non si affrontano gli spre-chi, non si riducono le inefficienze, piuttosto si impoverisce il welfare in modo sostanziale, in primo luogo to-gliendo risorse e futuro proprio sul versante dei servizi a sostegno delle persone e delle famiglie, che già in

Italia è sottodimensionato sia rispetto alle medie europee, che alle obiettive necessità di un Paese in cui si esten-dono le situazioni di impoverimento e si crea marginalizzazione, e cresce la sofferenza sociale”. Eppure bastava fare in modo che proprio nella crisi si facessero investimenti sul welfare, come condizione per la stessa crescita economica, che è impensabile senza adeguati livelli di coesione sociale, senza un concreto sostegno al reddito di persone e famiglie più esposte alle minacce della crisi. A dieci anni dal varo della legge nazionale 328 sul si-stema integrato di interventi e servizi sociali, possiamo fare una prima ri-flessione su quanto realizzato e sulla strada ancora da fare per costruire un sistema di welfare moderno e real-mente rispondente ai mutati bisogni dei cittadini. Si è concluso, infatti, un periodo troppo lungo di speri-mentazione, tra criticità, contraddi-zioni e non poche iniziative virtuose. L’applicazione della legge di riforma, il suo impatto su una realtà ancora

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Allo stato attuale in Cam-pania esiste una situazio-ne a “macchia di leopar-do” in cui permangono resistenze e localismi, in-sieme a situazioni più evolute...

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attuale in Campania esiste una situa-zione a “macchia di leopardo” in cui permangono resistenze e localismi, insieme a situazioni più evolute che hanno voluto e saputo cogliere le in-numerevoli opportunità fornite dalla gestione associata, quali la possibilità di spendere i fondi europei, di guada-gnare premialità, di attuare risparmi.Altro elemento molto significativo per un primo bilancio del processo è rappresentato dalle sorti della in-tegrazione sociosanitaria, che resta un problema irrisolto nella nostra, come in molte altre Regioni, nono-stante qualche lieve progresso sia da registrarsi anche in questo campo così sensibile. La Regione Campania ha avuto alcuni grandi meriti: la più grande riforma sociale con l’applica-zione della Legge 328/00 e la legge 11/2007 sulla dignità e cittadinan-za sociale. Oggi se non si finanzia la Legge 11 perdiamo un’occasione straordinaria. Purtroppo il governo ha già accentuato l’iniquità con la manovra finanziaria delle scorse setti-

arretrata, ha attivato, infatti, un pro-cesso di complessiva trasformazione culturale, metodologica e organizza-tiva del modo di intendere le politi-che sociali. Il percorso della riforma in Campania ha iniziato ad incidere sui ruoli degli attori coinvolti, solle-citando salti culturali, superando re-sistenze ed inefficienze organizzative, I piani sociali di zona in questi primi anni hanno offerto risposte ai biso-gni sociali, integrando responsabilità e risorse, facilitando la collaborazione istituzionale, sociale, dell’associazio-nismo e del volontariato. Il primo ri-sultato conseguito è stato certamente quello di aver promosso un ampio coinvolgimento di tutte le istituzio-ni interessate, garantendo un buon livello di coesione, trasformando le attività di concertazione in occasioni aperte di dialogo e di confronto tra i diversi attori locali. Naturalmen-te gli obiettivi posti sono stati rag-giunti parzialmente, e la velocità dei territori nell’intraprendere il nuovo processo è stata diseguale. Allo stato

mane con il taglio del 20 per cento ai presidi essenziali del welfare. Tagliare così significa tagliare ciò che riguar-da la famiglia, la scuola, le persone che hanno difficoltà, le agevolazioni per la ristrutturazione delle case. E se si pensa all’entrata in vigore dei ticket sulla diagnostica ambulato-riale il risultato è che non si agevola il pubblico, ma il privato, e questo ovviamente speculando sul diritto alla salute. E’ una manovra iniqua perchè colpisce i cittadini, i lavora-tori e i pensionati e lascia invece in-tatte le rendite e i grandi patrimoni.Per questo occorre una svolta radicale nell’indirizzo di politica economica e sociale, ispirato ad una visione del welfare come fattore fondamentale di sviluppo civile, democratico e di cre-scita economica. Ma, per rispondere alle nuove sfide, è necessario ripensare alle politiche sociali anche se dovran-no misurarsi col problema della limi-tatezza delle risorse e con i vincoli di finanza pubblica della nostra Regione.Al centro del nuovo welfare deve es-serci la persona come soggetto, ossia come cittadino inserito in una rete di relazioni sociali e di responsabilità individuali e collettive. E perché esso sia davvero inclusivo, è necessario che le istituzioni lavorino per la valorizza-zione dei territori, perché ci sia inte-grazione tra politiche sociali, sanita-rie, formative ed abitative. Ed infine si pretenda la professionalizzazione degli operatori, la qualità degli inter-venti e la garanzia dei livelli essenziali di assistenza. E’ una questione di de-mocrazia. E’ una questione di civiltà.

L’Italia che cercodi Franco Arminio

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L’Italia che cerco ogni giorno è an-nidata nei paesi più sperduti, l’Italia che resiste dove c’è poca gente, dove ci sono alberi, erbacce, cardi, l’Italia che vive ancora solo dove è più di-messa, che non crede alla pagliacciata del progresso, l’Italia dei cani randagi, dei vecchi seduti sulle scale, delle case di pietra incollate in lunghe file che si attorcigliano. Questa Italia vive an-

cora solo nel sud interno ma bisogna andare a cercarla. Ci vuole che non ci sia città, che non ci sia pianura, ci vuole che non ci sia l’industria o l’industria dell’agricoltura, ci vuole che non ci siano uffici e grandi scuole e strade dritte e mare e serre e nani nei giardini. L’Italia che amo ha più di ottant’anni e rughe non lisciate, è una tribù di reumi e bastoni, è ugual-

mente lontana dall’Europa calvinista e dall’Africa animista, è una terra di magie arrangiate, di cimiteri sempre ampliati, di piazze livide e rancorose. Io voglio frugare tutta la vita in questa Italia fino a quando scompare, voglio restare tutta la vita dentro i suoi paesi rotti e malandati. Sono un guardiano della più solitaria disperazione. Sono vivo nei paesi invernali quando passa un funerale, sono vivo quando nevi-ca e nei giorni più ventosi, nelle case dove i ragni fanno i nidi nelle dami-giane, nei bar degli scapoli. Sono vivo ad Aquilonia, a Roscigno, a Conza, ad Apice. L’Italia che amo è quella che appare a lampi su strade periferiche, un’Italia rimasta viva per sbaglio, per le amnesie della politica, per i man-camenti del progresso. Amo i salti, le crepe, i vuoti che ancora allignano tra un luogo e l’altro. In certe zone il mondo sembra un panno di biliar-do e anche dove è scosso e scosceso tutto è comunque in qualche modo omogeneo. Amo questa residua den-sità del nostro passato che ti viene in-contro all’improvviso con una faccia, con un muro. Mi piace vivere in un paese spaiato, un paese che somiglia a un calzino rotto appeso a un ramo in un giorno di vento. Mi piace un’I-talia felicemente sconclusionata, mai

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compita, sempre un po’ indisciplinata ai doveri dell’epoca. Forse per questo dell’Italia mi piace più il sud, ma solo quando non si dà arie che non sono sue, solo quando il sud pensa se stes-so, non si fa pensare da altri. Mi piace l’Italia che trovo all’inizio di certi pae-si, un paese in pigiama o in pantofole, un paese che non si è lavato i denti, senza moine pubblicitarie, un paese indisposto e indisponibile in cui è an-cora bello viverci perché la vita tiene ancora un suo sapore, una dolcezza da consumare senza colpe, perché da-vanti a noi c’è sempre un paesaggio, un lenzuolo aperto tra le tempie. Noi siamo qui, tra alture e colline che ci danno uno spazio, un confine. Qui erano le corse infantili, il pallone che rotolava in ogni luogo, gli asini che risalivano dai sentieri, i maiali davanti alle porte delle case. Adesso a un altro secolo si apre il libro dei paesi e tutti abitiamo in una sostanza senza letizia e senza dramma: il limbo di una vita passata a vagare intorno al cerchio in cui non si entra. In una società che ha sempre coltivato una sua fastidiosa e compiaciuta allergia al futuro, il lento metabolismo degli individui non po-teva non produrre una maggioranza bradicardica, priva di guizzi creativi, murata in una muta, letargica rumi-nazione delle proprie debolezze. Or-mai può dirsi compiuta la mutazione dalle miserie della civiltà contadina alle ricchezze di una modernità inci-vile. Ogni cosa sembra alludere all’e-pilogo della sua forma più che alla sua aurora. Perso e vivente è il nostro pas-sato, è una lingua che perde pezzi se

non viene detta, è lo spreco di chi non si pronuncia e consuma i miraggi che ci propone il mondo dell’economia, gigantesca fossa comune dello spirito. Eppure un’aura resiste, e certi pome-riggi hanno il polso leggero. Nei più nascosti luoghi, nei nidi del silenzio e della luce, qualcosa ancora si proten-de verso di noi, ma come se fosse con-sapevole del suo non potersi mostra-re. Inutile camminare sopra il vetro del disincanto, inutile stabilirsi nel vuoto d’anguria che c’è altrove. L’im-portante è andare e venire, guardare e divagare. Queste sono le quattro ruo-te motrici per attraversare la “palude definitiva”, l’isteria, l’arroganza di chi si comporta con il mondo come un

adulto verso un bambino. In realtà, il mondo è più grande di noi e più incomprensibile. È necessario che ognuno scriva il suo romanzo civile, fatto di sogno e ragione. Basta anda-re dietro il paesaggio, misurarne con calma le luci e le ombre. Non c’è bi-sogno di alcun giudizio preordinato. Le cose si riveleranno per quello che sono. Forse niente può darci riparo una volta per sempre, ma possiamo costruire una comunità degli affetti per salvare un alone di noi stessi e de-gli altri e quello che resta del nostro paesaggio, la sua bellezza senza orna-menti, il suo petto che sa di ginestre adolescenti, il suo mento reso aguzzo dal vento.

neLLa foTo : MonTeverde

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La Fondazione

Potrebbe essere il titolo di una can-zone… non lo è… La Fondazione Officina Solidale è davvero nata sot-to il segno dei pesci: esattamente il 3 marzo 2010. Creare una rete di collaborazioni tra pubblico e pri-vato a favore di un miglioramento del territorio. È questo il principale obiettivo che la Fondazione si è po-sta fin dall’inizio, quando quaranta persone si sono riunite intorno ad un tavolo e, spinte da un forte senso di riscatto della propria terra, han-no reso concreta un’idea… l’idea di avviare un processo di crescita della provincia di Avellino e non solo, ol-tre che a livello economico, soprat-tutto a livello sociale, civile, cultura-le e… solidale. Oggi la Fondazione può contare su circa cento soci che hanno riconosciuto in essa la possi-bilità di un cambiamento e hanno voluto appoggiare, di volta in volta, le attività promosse. La sua struttura di Fondazione di Partecipazione, prima nel Sud Ita-lia, ha permesso di coinvolgere tutti indistintamente: semplici cittadini, Enti locali, scuole, associazioni, im-prese e soggetti privati hanno aderi-to all’invito della Presidente a con-tribuire e supportare questa nuova

realtà, condividendo come la solida-rietà possa essere utile allo sviluppo di un territorio.Ad oggi le sedi della Fondazione di-slocate sul territorio sono tante, grazie anche all’attenzione di alcuneAmministrazioni: Avellino (Via F.lli Bisogno, 61 - Sede Legale), Lioni (Via corso Umberto I – Sede Am-ministrativa e Redazione di Tusina-tinitaly), Ariano Irpino, Rocca San Felice (Contrada Santa Felicita) Conza della Campania (via Ronza, Parco Archeologico di Conza della Campania).E’ difficile raccontare in poche parole le attività della Fondazione; proviamo a farlo con l’aiuto di alcune parole chiave.

SolidarietàE’ la parola chiave che ha accompa-gnato tutte le attività della Fondazio-ne. Natale in solidarietà è stata una delle iniziative destinate a finalità solidaristiche legate alle singole co-munità (Sant’Angelo dei Lombar-di, Lioni, Frigento, Bagnoli Irpino, Castelvetere sul Calore) che ha visto la collaborazione di operatori econo-mici locali per la raccolta fondi. Le uova della solidarietà è stato un al-

tro esempio di coinvolgimento attivo della gente; la raccolta fondi è stata indirizzata ai giovani di questa terra e ad un caso particolare che richiedeva la vicinanza ed il supporto di tutti.

Ricerca Un settore a cui la Fondazione è mol-to legata, proiettandosi verso un reale sviluppo del territorio. Lo studio e la ricerca diventano gli strumenti neces-sari per avviare qualsiasi tipo di attivi-tà e per avere un’attenzione privilegia-ta sui reali bisogni del territorio. Sono state avviate ad oggi sei borse di studio e di ricerca sui temi quali: La cooperazione sociale, La cura edu-cativa: la sfida dei “giovani-adulti”, La disabilità: Integrazione ed inte-razioni, Gli emigranti e il territorio di riferimento, I nuovi canali della comunicazione. Nell’imminente è prevista la pubblicazione di ulteriori bandi.

Comunicazione Un’attenzione particolare è stata data alla comunicazione riferita soprattut-to agli emigranti. Conservare un lega-me con il territorio di origine non è sempre facile; per questo si è pensato ad un giornale on-line www.tusina-

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LS Fondazione

tinitaly.it e alla versione cartacea, la stessa sulla quale pubblichiamo que-sto articolo. Il diffondersi delle infor-mazioni, il tramandarsi della cultura, il recuperare le radici con il proprio paese di origine, l’assaporare le espe-rienze dei tanti cervelli in fuga in giro per il mondo, sono alcuni de-gli elementi cardini che hanno spinto la Fondazione a promuovere questo progetto.

Territorio Altro obiettivo della Fondazione: promuovere il territorio di riferimen-to, fare da ponte tra i tanti desiderosi di conoscere i territori della provincia di Avellino e le strutture del territo-rio, riscoprire e riappropriarsi delle tradizioni locali di cui la nostra terra è ricca. Su questa strada è stato propo-sto un progetto di promozione e valo-rizzazione della cultura e dell’arte, fis-sando come prima tappa residenziale l’Irpinia. L’ultima settimana di set-tembre sarà nostro ospite un gruppo di argentini che, affascinati dal nostro territorio, hanno mostrato un forte interesse per la Provincia di Avellino e la Campania in generale.

Cultura

Settore non sempre facile da affron-tare e da sostenere, a cui la Fonda-zione ha voluto orientare la propria attenzione collaborando e promuo-vendo le iniziative del Presidio del Libro dell’Alta Irpinia, ritenendo la promozione della lettura e il con-fronto culturale interessi da coltivare e promuovere tra piccoli e grandi. Molti sono stati gli appuntamen-ti che la Fondazione ha sostenuto: nelle scuole, per i più piccoli e i più giovani, condividendo l’idea di do-ver stimolare i ragazzi ad un contatto diretto con i testi, non solo didattici; negli spazi messi a disposizione dai Comuni aderenti all’iniziativa, da librerie e associazioni culturali, of-frendo ai più grandi la possibilità di trovare un luogo, oltre che di ascol-to, anche e soprattutto di confron-to. Tanti sono stati gli autori locali e nazionali (Pino Aprile, Gianfranco Viesti, Gianfranco Pasquino, An-tonio Caprarica, Francesco Maria Pezzulli, etc. ) che hanno accettato l’invito di promuovere il loro libro e di parlare con i lettori offrendo loro possibilità di analisi, di confronto, di dialogo. In autunno previsti ulteriori appuntamenti con altri autori: Mi-chela Murgia, Agata Reitano.

Integrazione Altra parola chiave attorno alla qua-le sono state organizzate molte delle attività della Fondazione. Progetto Giada è oggi un fiore all’occhiello della Fondazione, un sogno concre-tizzato con l’apertura a Rocca San Fe-lice del Centro Giada per i disabili del territorio, grazie alla solidarietà e all’impegno delle famiglie dei ragaz-zi, di tanti volontari, di imprenditori locali, di cittadini. Per la particolarità delle attività realizzate e il coinvolgi-mento delle persone, abbiamo pensa-to di dedicare uno spazio speciale in questo numero con le parole di Pa-ola De Rosa. Dietro tutto questo c’è sicuramente tanta buona volontà di tanti soggetti che, se pur appartenenti a mondi diversi, lavorativo, religioso, economico, politico, sociale… sono tutti orientati a progettare e costruire solide fondamenta, concentrandosi su aspetti particolari del territorio, ma, nello stesso tempo, allargando oltre lo sguardo, consapevoli che la parte-cipazione, ultima parola chiave, di-venta l’unica forma di vera correspon-sabilità di autentici cittadini attivi. Per questo, la Fondazione è aperta a quanti volessero dare il loro contribu-to: invito chiaramente rivolto a tutti!

Sant’Angelo dei Lombardi, Istituto Comprensivo “ V. Criscuoli”, è lì che si svolgono principalmente i labora-tori del progetto Giada ed è proprio in quelle aule che sono diretta. Non so bene dove andare ma lascio che a guidarmi sia il chiacchiericcio che sento in lontananza. Mi viene incon-tro un ragazzino, per nulla meravi-gliato dalla mia presenza, anzi, ben contento di avere un nuovo ospite in quel corridoio. Mi porge la mano e si presenta: “Piacere C.A.” presen-tazione impeccabile, pochi ragazzini della sua età sarebbero stati più edu-

“Talvolta le parole non servono, bastano le emozioni”

cati. Gli sorrido, gli stringo la mano e mi presento a mia volta, gli chiedo di condurmi dagli altri ragazzi. In re-altà cerco mio fratello, è per lui che sono qui. “ Quando vieni a trovarmi a scuola?” Continuava a ripetermelo da giorni, reclamando la mia presen-za con un entusiasmo che non avver-tivo da tempo. Non sa che sono qui, decido di non farmi vedere e osservo da una finestra, di nascosto. Parla con due ragazzi, indicando lo schermo di un computer, gesticolando e sor-ridendo con una spontaneità e una tranquillità che per troppi mesi ho

solo sperato di vedere.iL LaboraTorio di inTe-GraZione.Continuo a rimanere in disparte e faccio un po’ di domande. “Il progetto Giada – mi spiegano Michelangelo Fischetti e Antonio Imbriale, docenti di questa speciale summer school – è stato fortemen-te voluto dalla Fondazione Officina Solidale che, con questa iniziativa, ha voluto avviare e favorire una serie di attività formative dirette ai ragaz-zi diversamente abili che necessitano di attenzione e risposte specifiche. Si è realizzato un percorso comuni-

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Progetto Giada: L’ Irpinia Solidale di Paola De Rosa

“Talvolta le parole non servono, bastano le emozioni”

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cativo che potesse aiutare a vincere le paure e la solitudine, a contenere e orientare le emozioni, per arrivare ad un miglioramento delle relazio-ni interpersonali. Questa esperienza ha avuto la durata di un mese – ha continuato Fischetti – le attività sono ufficialmente partite il 20 giugno di quest’anno con i laboratori di lavora-zione dell’argilla e i laboratori musi-cali che hanno costituito importanti momenti di aggregazione e di alle-gria, per stimolare la manualità e la creatività dei partecipanti”.Chissà come avranno fatto a convin-cere mio fratello a toccare l’argilla, lui odia sporcarsi le mani, penso intan-to io e sorrido fra me e me pensan-do alla pazienza che queste persone meravigliose possiedono. I ragazzi sono stati seguiti oltre che dai due docenti menzionati, anche da opera-tori OSA ed educatori specializzati, tutte persone attente e competenti. “Non sono mancate le gite sul terri-torio irpino, alla scoperta dei paesi e luoghi in cui i ragazzi vivono. Queste attività li fanno sentire parte di un gruppo, creano legami forti, rapporti di fiducia con gli operatori, regalano momenti di gioia – ha concluso Fi-schetti”. Attività come queste sono di grande arricchimento per i ragazzi e nello stesso tempo di grande soste-gno per le famiglie. La diversità, la disabilità, spesso conducono a situa-zioni di disagio relazionale e sociale che le famiglie da sole non possono arginare. L’ostacolo più grande con cui ci si trova a combattere è la so-litudine, ne parlo con cognizione. Terminata la scuola, centro fonda-mentale per l’arricchimento culturale

e per l’aggregazione e la costruzione delle relazioni interpersonali, non ci sono grandi occasioni di svago, di di-vertimento o di contatto per i nostri ragazzi, né possibilità di continuare con attività formative mirate che li accompagnino nella crescita. La fa-miglia da sola non basta. Per quanto amore incondizionato si possa rega-lare, c’è bisogno di un confronto con realtà differenti. Ma poi perché mai questi ragazzi dovrebbero limitarsi a vivere in famiglia? Mio fratello mi ha sempre fatto comprendere la sua vo-glia di indipendenza, di avere anche lui una dimensione sua, indifferente alle decisioni che io potevo ritenere più giuste per lui. Questo è il mo-tivo per cui esperienze come questa realizzata da Officina Solidale, in cui sono privilegiati gli aspetti educativi e l’elemento relazionale, vanno sup-portate. “Ancora una volta il popolo irpino si è fatto trovare pronto alla nostra chiamata – mi ha detto con entusiasmo e grande soddisfazione la presidente della Fondazione, Ro-sanna Repole – il progetto è stato fi-nanziato con la vendita dei calendari e con due spettacoli teatrali allestiti nella stagione invernale, “Miseria e nobiltà” interpretato dai Liberi Com-medianti di Caposele e “A’ figliata” della Compagnia Instabile e Trabal-lante del Rione Sanità”.Per quanto riguarda me, parlo del progetto Giada con l’emozione di chi ha una consapevolezza e una cono-scenza diretta della disabilità e con la voce di chi ha la necessità di riportare l’importanza di iniziative come que-sta nella nostra Irpinia. Ho visto con i miei occhi il cambiamento di mio

fratello, ne sono testimone e narra-trice. La mia speranza coincide con le ambizioni e le sfide future della Fondazione, far continuare questo progetto oltre la stagione estiva.“Ad agosto sono previste due giorna-te di mercatini destinate alla vendita dei prodotti realizzati dai ragazzi du-rante i laboratori ed è prevista l’inau-gurazione a Rocca San Felice di un Centro che accoglierà vecchi e nuovi partecipanti e li seguirà durante tutto l’anno, tanto da poter diventare un vero e prorpio punto di riferimen-to per le famiglie e per i ragazzi con disabilità del territorio – ha aggiun-to con orgoglio la dott.ssa Repole”. Continuo ad osservare, non un viso imbronciato, solo tanta allegria e umanità davanti a me. Mio fratello si accorge della mia presenza e viene ad accogliermi da bravo “padrone di casa”, si muove a suo agio tra quel-le persone, con libertà e naturalezza. Ora davvero lo riconosco, così logor-roico e gioviale come un tempo. Sa-luto tutti, li guardo ancora per un po’ e provo un gran senso di benessere. Questi ragazzi mi hanno comunicato tutta la loro gioia. “Hai visto? Hai conosciuto i miei amici!” Mi guarda e mi sorride mio fratello, con quel sorriso che non mi capita più spesso di vedere, orgoglioso e fiero di quella sua nuova realtà in cui si sente prota-gonista e di aver portato me per una volta nel suo straordinario mondo. Annuisco e gli do un pizzicotto sulla guancia. Talvolta le parole non ser-vono, bastano le emozioni.

La SoLidaRietà

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La SoLidaRietà

Conza della CampaniaUna scuola estiva sulle memorie e narrazioni

Dalla collaborazione tra la Fondazio-ne Officina Solidale, l’AISO – Asso-ciazione Italiana di Storia Orale- e il Dipartimento di Sociologia dell’Uni-versità di Napoli Federico II prende il via la scuola estiva di Conza della Campania. La location in cui sono svolte le tre giornate di studio, è il Parco storico e archeologico di Con-za, sito su di una collina che domina per un lungo tratto l’Ofanto. Recu-perare la memoria storica post-terre-moto è il filo conduttore della ma-nifestazione e l’obiettivo è quello di acquisire una documentazione orale per “ricostruire”una memoria del luogo e degli eventi che hanno cam-biato la morfologia e la cultura del territorio campano.“Ricordare è anche appartenere e la memoria si alimenta di ricordi. Or-mai gli storici utilizzano la memoria per tutto, è diventata una categoria multidisciplinare ed ha vari livelli: individuale, collettivo,pubblico”. Commento della professoressa Ga-briella Gribaudi della Facoltà di So-ciologia dell’Università degli Studi Federico II di Napoli e Presidente dell’AISO, associazione che dal 2008 propone corsi di approfondimento metodologico sulle attività proprie del “trattamento” delle fonti orali, fonti ormai indissolubilmente legate alla loro forma audiovisiva.Dopo i saluti e i ringraziamenti del-le autorità locali, si sono susseguite delle vere e proprie lezioni tenute da: la professoressa Gsbriella Gribaudi (Memoria e storia orale, dalla profes-soressa Elisabetta Sonia Perone (l’ap-

proccio biografico nella ricerca socia-le) e dal giornalista Edoardo Scotti (Media e memoria). Nel pomeriggio presentato il laboratorio “Esercizi con la memoria” condotto dal profes-sore Pietro Cavallari dell’Istituto per i beni sonori e audiovisivi, mentre la Professoressa Anna Maria Zaccaria e il dott. Stefano Ventura hanno pro-seguito il ciclo di lezioni esponendo i vantaggi, i limiti e le precauzioni nel trattamento delle fonti e ricor-dando l’importanza della memoria dei luoghi. Gli incontri sono prose-guiti con gli interventi della dotto-ressa Antonella Fischetti, del dott.

Piero Cavallari, dei dottori Luciano D’Aleo e Francesco Baldi, per poi concludersi nella mattinata di sabato con l’esposizione del dott. Alessan-dro Cattunar dell’Istituto di Scienza Umane (Firenze-Napoli) e del dott.Paolo Ranieri – Studio Ennezerotre di Milano-. Ogni modulo formativo, nell’impostazione generale, è stato tagliato sulla realtà in cui si è svolto e la frequentazione dei seminari ha permesso, agli studenti delle lauree magistrali della facoltà di Sociologia dell’Università di Napoli Federico II, di ottenere il riconoscimento di due crediti formativi nelle attività libere.

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La SoLidaRietà - L’ integRazione

Un segno dei tempi che cambiano, dei popoli che s’incontrano, dei costumi che si mischiano è senz’altro lo spic-chio di Giappone che si è insediato sulle rive del Cervaro. Laddove soltan-to vent’anni fa non si andava oltre la “minestra maritata e quando si parla-va di estero ci si riferiva alla Svizzera, oggi si mangia il sushi e si ringrazia dicendo arigatò. La signora Emi Ko-bayashi è nata a Tokio, è minuta ed ha lo sguardo sveglio e serio che ti aspet-ti in un giapponese. Parla un italiano cantilenato e quando la guardi cuci-nare pensi subito a Tampopo che pre-para il ramen nel film di Juzò Itami. Il figlio Francesco ha lo stesso sguardo della madre ma più furbo. Lui è nato in Italia e del Giappone conserva sol-tanto gli occhi a mandorla, per il resto è un arianese a tutto tondo: parla da arianese, gesticola da arianese, è alle-gro come tutti gli arianesi. La figlia Sabrina ha un anno. Anche lei, al pari del fratello, è italiana di un’Italia nuo-va, multietnica e multiculturale come pretendono i tempi moderni. Ad aiu-tare la signora Emi nella conduzione del ristorante c’è il marito Massimo

Ariano Irpino, terra di Sol Levantedi Giancarlo Giarnese

 

che si occupa della gestione della sala e del management. Massimo cerca di entrare in cucina il meno possibile, quello è il regno di Emi, luogo di si-lenzi millenari, terra di sol levante.

Emi, come sei arrivata ad Ariano Irpino?

La risposta non potrebbe essere più scontata, mi trovo ad Ariano Irpino per amore. Ho seguito mio marito. Noi ci siamo conosciuti in un college di Bratford, in Inghilterra, nel 2000. Ci siamo innamorati e mi sono trasfe-rita con lui a Bologna dove lavorava. Poi, quattro anni dopo, all’epoca della mia prima gravidanza, abbiamo deci-so di trasferirci qui, nella casa paterna di Massimo.

Com’è nata l’idea del ristorante?

La mia passione per la ristorazione è ereditaria, i miei genitori a Tokio ave-vano un il corrispondente giapponese delle vostre osterie. Mio marito, da buon italiano, ha sempre avuto il pal-lino per l’arte culinaria così è nato “il

Rifugio degli Artisti”, il nostro risto-rante.Gli arianesi apprezzano il cibo giapponese?

All’inizio c’era molto scetticismo. Gli italiani sono conservatori in fatto di cucina, credono che si mangi solo in Italia, tant’è che noi abbiamo anche uno chef italiano. Adesso, però, vedo che molta gente viene proprio per mangiare giapponese, cominciano ad adattarsi. I piatti preferiti sono quelli classici della cucina del mio paese: il

 

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La SoLidaRietà - L’ integRazione

sushi , che è universalmente conosciu-to, e la tempura che è una frittura di pesce e verdure.

Che rapporto hai con il cibo arianese?

Dopo essermi innamorata di un aria-nese mi sono innamorata anche della cucina arianese. Mia suocera mi ha insegnato a cucinare “pipilli e patane” ed i “cicatielli” con sugo di coniglio. Mio figlio mangerebbe cicatielli anche a colazione.

Qual è la differenza più evidente tra la cucina arianese e quella giapponese?

La nostra cucina conosce un ingre-diente base, che è il riso, il quale viene cotto generalmente al vapore.Attorno al riso si costruiscono i vari piatti, accompagnandolo sapiente-mente con pesce o verdure, fritte o grigliate, condite quasi sempre con salsa di soia ed olio di sesamo.La cucina arianese è più varia. Ci sono tutti i piatti di pasta e tutti i piatti di carne e la verdura, cotta o condita a crudo. Poi c’è il pane. Che da noi è essenzialmente un dolce, cucinato con le mandorle o la frutta candita, men-tre da voi è tutto: il re della tavola.

E la differenza più evidente tra i giapponesi e gli italiani?

Mettiamola in questi termini, noi pri-ma di impegnarci in qualcosa pensia-mo se si può fare, poi la esponiamo e quindi ci impegniamo seriamente a realizzarla. Voi prima parlate e poi si vede. Basta così?

Qual è la cosa in cui gli italiani ed i giapponesi si assomigliano?

Il senso della famiglia è la cosa che più li accomuna. C’è una cultura patriar-cale di fondo in entrambi i paesi. In Giappone i ricercatori hanno ri-scontrato una vera e propria malat-tia che hanno chiamato Karosci, una sorta di troppo lavoro che porta allo sfinimento.

Secondo te gli italiani possono

morire di Karosci?

(Ridendo) No, non esiste proprio.Com’è vivere ad Ariano Irpino?Bello, l’ambiente è pulito e senza pre-occupazioni. L’ideale per i bambini. La gente è tranquilla e gentile. Non cambierei Ariano con nessuna città italiana o giapponese che sia. E poi i ristoranti sono eccellenti specie quel-li… giapponesi.Ti consideri integrata?

Mah, se devo dire la verità mi sento ancora una straniera. E’ una questio-ne di tratti somatici, gli arianesi sono abituati alle russe, alle rumene, alle ucraine ma una donna giapponese viene sempre guardata con curiosità. A me non importa, ci sono abituata. Un po’ di fastidio lo provo quando quella stessa curiosità è rivolta ai miei figli, loro sono nati e cresciuti in Italia, sono italiani e non capiscono perché, qualche volta, devono essere conside-rati quasi come degli estranei in casa loro.

Ti manca il Giappone?

Si, sempre. Mi manca l’aria del Giap-pone, i suoi odori, i suoi gusti. Mi manca il traffico ordinato. Mi manca la mia lingua. Mi manca la mia gen-te. Mi manca l’armonia del Giappo-ne. Sono otto anni che ci manco e, a volte, mi viene una nostalgia indescri-vibile. Forse è questa nostalgia che ha spinto Emi a far conoscere un po’ del suo paese a noi arianesi, per aiutarci a capire che i tempi che cambiano devo-no cambiare per davvero.

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Dal 25 al 27 agosto a Pertosa e Au-letta (Salerno) si terrà il Festival Fe-licità interna lorda – Sentimento dei Luoghi, organizzato dalla Fondazio-ne MIdA (Musei integrati dell’Am-biente) e dall’Osservatorio Perma-nente sul Doposisma. Nel corso delle giornate ci saranno dibattiti, cene, presentazioni di libri e nelle serate si potrà assistere ai concerti del Negro Festival davanti all’antro delle Grot-te di Pertosa, con ospiti, tra gli altri, Goran Bregovic, Mannarino, Il Par-to delle Nuvole Pesanti e il gruppo persiano degli Yalda. Il programma dettagliato è presente sul sito www.felicitainternalorda.it. I dibattiti avranno lo scopo di pre-

Pertosa e Auletta... felicità interna lorda

sentare e discutere i lavori di ricerca che l’Osservatorio sul Doposisma ha portato avanti nel 2011. Saranno presentate due ricerche: uno studio sull’impatto economico dei disastri a livello globale, dal titolo “Una scossa al sistema; come ricostruire”, cura-ta dall’Area Research del Monte dei Paschi di Siena, e una ricerca antro-pologica sulla comunità di Caposele (Un popolo da ricostruire) curata da Teresa Caruso dell’Università di Ber-gamo.I due lavori, insieme a un’intervista all’economista Gianfranco Viesti e ad un contributo sulla situazione attuale delle aree industriali irpine e lucane, compongono il rapporto

2011 dell’Osservatorio, intitolato “La fabbrica del terremoto. Come i soldi affamano il Sud” . Tra i dati più significati del rapporto ci sono il nu-mero di aziende attive e il numero di addetti che, nel 2011, lavorano nelle aree industriali create dalla legge 219. A discutere di questi e altri temi in-terverranno, tra gli altri, i governatori Caldoro, Di Filippo, Marini e Ton-do, il sindaco dell’Aquila Cialente e di Bari, Emiliano, il viceministro Mi-siti, giornalisti, professori universitari e scrittori come Sergio Rizzo, Franco Arminio, Gianfranco Viesti e Marco Panara.Nel corso del Festival sarà premiata la vignetta vincitrice del concorso-

di Stefano Ventura Coordinatore Osservatorio Permanente sul Doposisma

“Un festival per riconoscere il sentimento dei luoghi”

“Un festival per riconoscere il sentimento dei luoghi”

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La SoLidaRietà

mostra “La satira investe nella ri-costruzione”, nel quale gli artisti si sono cimentati nel disegnare una vignetta, da inserire ipoteticamen-te nella moneta da 1 euro, sul tema della gestione dei fondi stanziati per le ricostruzioni.L’Osservatorio Per-manente sul Doposisma ha come motivo fondativo primario quello di promuovere e diffondere la ricerca applicata. Le attività dell’Osservato-rio, nato per iniziativa della Fonda-zione MIdA e di Antonello Caporale di Repubblica, sono partite nel gen-naio 2010 con la costituzione di un gruppo di lavoro formato da giovani ricercatori, giornalisti, organizzatori di eventi e mostre, video maker, che ha pensato e iniziato ad attuare un programma triennale di lavori con l’obiettivo di indagare e approfondire il passato per meglio leggere il pre-sente e per non disperdere quel patri-monio impagabile che è la memoria collettiva.

Questa struttura di ricerca oltre a cu-stodire il valore della memoria, gene-ra, di anno in anno, temi di discus-sione, elementi capaci di sviluppare dibattito a livello nazionale, indagini tese a esplorare il “nuovo mai inda-gato”, facendo della ricerca un work in progress che si alimenta giorno per giorno grazie al recupero delle fonti scritte e orali e promuoven-do l’approfondimento giornalistico e il dibattito anche attraverso il suo sito (www.osservatoriosuldoposisma.com). Ad aprile, in seguito all’esodo dei migranti dai paesi nordafricani, sul sito dell’Osservatorio è stato pub-blicato un dossier sulla questione e sull’idea di accogliere i migranti nei paesi delle aree interne campane. La questione dello spopolamento e le ipotesi possibili per invertire la rot-ta, del resto, sono una delle domande sostanziali che animano il rapporto di prossima pubblicazione.Lo scorso anno sono stati avviati e conclusi alcuni studi sulla gestione dell’emergenza, in ottica compara-ta, nei terremoti italiani degli ultimi trent’anni, studi che sono illustrati nel rapporto 2010 dell’Osservatorio (Le macerie invisibili). Partendo dai primissimi soccorsi fino ad arrivare alle sistemazioni provvisorie, sono stati analizzati i dodici mesi successi-vi ai terremoti avvenuti in Campania e Basilicata nel 1980, in Umbria e Marche nel 1997, in Molise nel 2002 e in Abruzzo nel 2009. La ricerca ha dimostrato che, nonostante la fragili-tà del territorio italiano, ognuno dei casi presi in esame si è caratterizzato per una gestione diversa, decisa dai governi in carica di volta in volta e

in cui anche la Protezione Civile ha mutato la sua funzione. Ciò è con-fermato anche dal dato economico relativo alla spesa procapite relativa ai quattro terremoti: nel 2002 in Mo-lise sono stati spesi 27.027 euro per senzatetto in un anno, in Abruzzo, nel 2009, 23.718 euro, nel 1980 in Campania e Basilicata 7.889 euro e nel 1997 in Umbria e Marche 4.810 euro. Al rapporto 2010 era allegato anche un video documentario (Anno 30 D.T.: dopo il terremoto, dietro il terremoto) girato in alcuni comuni campani e lucani per raccontare 30 anni di doposisma.L’anniversario da cifra tonda, il tren-tennale, è passato da poco, ma è forte la sensazione che i conti con la me-moria del terremoto siano ancora difficili da fare, soprattutto per chi quell’evento l’ha vissuto con tutte le sue implicazioni dolorose e anche po-lemiche. Le istituzioni hanno preferi-to una sorta di obbligo istituzionale delle commemorazioni, realizzando una frammentata serie di eventi e celebrazioni, piuttosto che compiere operazioni di ampio respiro quali, ad esempio, la creazione di musei, archi-vi e istituti di ricerca sul terremoto in Irpinia e Basilicata.E’ forte quindi l’esigenza di creare una rete di soggetti sensibili, di fondazio-ni, di istituti, di persone e di luoghi che abbia come obiettivo principale la tutela, la conservazione e la tra-smissione di una memoria vera e non strumentale del terremoto. L’Osser-vatorio sul Doposisma può essere un polo propulsivo e il festival “Senti-mento dei luoghi” uno dei momenti di stimolo per questo percorso.

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eventi

Ofantiadi:Pescopagano, le Olimpiadi delle zone interne

di Giulia Graziano

L’estate 2011 della Valle dell’Ofanto è stata animata da un evento sporti-vo interregionale di straordinario va-lore. Si sono tenuti per la prima vol-ta le Ofantiadi, i Giochi della Valle dell’Ofanto, una serie di gare sportive tra gli atleti dei comuni affacciati sul-la valle del fiume Ofanto. Coinvolti nella manifestazione i territori di ben quattro province: Avellino, Salerno, Potenza, Foggia. Sede della compe-tizione, la cittadina di Pescopagano,

che dispone di ottimi impianti ed at-trezzature sportive.Fin dal loro programma le Ofantia-di hanno rilevato la loro qualità ed ambizione. L’obiettivo è stato quello di dare vita ad un momento collet-tivo coinvolgente, che ha mostra-to la faccia più bella, sana ed utile dello sport. A questo proposito è davvero significativo il fatto che il testimonial ufficiale della manifesta-zione è stato il campione del nuoto

Massimiliano Rosolino (nella foto a dx), che ha da poco tempo preso in gestione la piscina di Pescopagano e che, per l’occasione, ha esposto la sua medaglia d’oro vinta alle Olimpiadi di Sidney.La Cerimonia di Apertura tenutasi il 7 agosto nello Stadio Comunale Montecalvo di Pescopagano è stata anticipata, nei giorni precedenti, dal Torch Run della Fiaccola Olimpica che ha attraversato i comuni della

eventi

Valle dell’Ofanto. Durante la mani-festazione in evidenza la parata con i sindaci in rappresentanza ufficiale, il gonfalone e la schiera degli atleti, seguita dall’accensione del tripode, il giuramento degli atleti e degli arbi-tri e la dichiarazione di apertura dei giochi da parte del sindaco del paese ospitante.Ogni comune partecipante alle gare si è presentato con una squa-dra, schierando gli atleti senza limiti di età. Queste le discipline: Atleti-ca, nuoto, biliardo, braccio di ferro, calcetto, ciclismo, mountain bike, calcio balilla, giochi da tavolo, tiro alla fune e corsa nel sacco (giochi del passato), gara di cultura generale, nuoto, basket, volley, pesca sportiva, ping pong, video games (calcio su playstation), tennis, tiro con l’arco, gara di canto. Ha completato la ma-nifestazione anche una curiosa “Sfida dei sindaci – Momento goliardico/celebrativo”. Il nome della manifesta-zione, radicato nel territorio, prende spunto dalla traccia imponente che il fiume Ofanto lascia lungo gli oltre 130 chilometri di corso mentre ba-gna tre regioni (Campania, Basilica-ta e Puglia) e decine di Comuni. La felice fusione dei termini “Ofanto” e “Olimpiadi” suggerisce immediata-mente l’intreccio stretto al territorio nonché ai principi sportivi e uma-ni delle Olimpiadi. Sede delle pri-me Ofantiadi è Pescopagano. L’idea del Comitato Organizzatore, lungi dall’essere una mera forma di mani-festazione goliardica e promoziona-le, pur comprendendo tali elementi

ma, non li ha posti al centro della sua mission; lo scopo dei “Giochi della Valle dell’Ofanto” è stato quello di dare uno strumento alle migliaia di persone, come alle Amministrazioni locali, per riscoprire attraverso il gio-co e le discipline le comuni radici ter-ritoriali. Simbolo delle radici comuni il logo della manifestazione: quattro cerchi di colori diversi (giallo-sole, rosso-vino, marrone-terra, verde-na-tura) per quattro province attraver-sate dall’Ofanto (Avellino, Salerno, Potenza e Foggia).I Comuni che hanno risposto favore-volmente all’iniziativa sono stati: Bel-la, Calitri, Castelgrande, Castelnuo-vo di Conza, Conza della Campania, Lavello, Laviano, Melfi, Morra de Sanctis, Muro Lucano, Pescopagano, Rapone, Ruvo del Monte, Sant’An-drea di Conza, Sant’Angelo dei Lom-

bardi e Teora. Il totale degli iscritti ha superato i 600 atleti, a dimostra-zione della vasta portata della mani-festazione e della risposta convinta dei Comuni, partecipi anch’essi dello spirito unificante e stimolante delle Ofantiadi. Il Comitato Organizzato-re delle Ofantiadi ha messo all’ope-ra uno staff organizzato da circa 80 componenti che si è occupato della logistica, dell’accoglienza, dell’assi-stenza e di quanto può concernere l’intero allestimento. Fondamentali nei giochi sono stati i 20 arbitri che, hanno assicurerato il regolare svolgi-mento delle gare dall’alto delle loro esperienze in campionati professioni-stici. Per la perfetta riuscita sono stati coinvolti anche alberghi e varie altre strutture ricettive a Pescopagano, Ca-litri, Muro Lucano, Sant’Andrea di Conza e Castelgrande.

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eventi

Ieri e oggi: sempre Charles

Nei primi anni del ‘900, furono tan-tissimi gli italiani che si imbarcarono alla volta degli Stati Uniti per trovare fortuna oltreoceano. C’è chi quella fortuna se l’è creata lavorando sodo e portando sempre nel cuore le proprie origini. E’ il caso di Charles Gargano, irpino, nato a Sant’Angelo dei Lom-bardi nella frazione di Sant’Antuono, e personalità di spicco della politica americana. Gargano, presidente e amministratore delegato per l’Empi-re State Development Corporation e ministro dello Sviluppo economico dello Stato di New York, è di recen-

te tornato a Sant’Angelo dei Lom-bardi, proprio per onorare la festa di Sant’Antuono e per dimostrare, ancora una volta, l’attaccamento alla sua terra e ai suoi concittadini. No-nostante gli enormi impegni lavora-tivi, Gargano non ha perso l’occasio-ne per supportare e sponsorizzare le attività che si svolgono nel suo paese natio. Di recente, durante una delle sue visite italiana, accompagnato dal Console Generale degli Stati Uniti e di Napoli Donald Moore, ha tagliato il nastro della “Scuola per i Piccoli” intitolata alla memoria di suo padre

di Maria Stanco

La storia di un santangiolese doc da sempre vicino al suo paese natio e alla sua contrada

eventi

Giovanni, fiero santangiolese emigra-to in America nei primi anni ’30. E’ stata questa l’ennesima dimostrazio-ne di attaccamento al suo paese al quale ha donato una struttura mo-derna e all’avanguardia, rinnovata a arredata con tutto il necessario per ospitare i suoi piccoli compaesani. Non casuale inoltre, la visita di Gar-gano proprio nel trentennale del ter-remoto: l’italo americano è stato una delle persone che più si sono interes-sate alla ricostruzione di Sant’Angelo dei Lombardi facendo sentire, anche in quella tragica occasione, la propria vicinanza sia umana che economica. Fu allora infatti che il concittadino regalò alla contrada di Sant’Antuo-no il campanile dell’orologio, come augurio di rinascita e segnale di spe-ranza. La sensibilità del ministro, presidente della Fondazione italo-americana Columbus, si è sposata perfettamente con le iniziative delle

associazioni di volontariato locali ed in particolare si è intensificato il rap-porto con Officina Solidale Gargano è infatti molto vicino ai progetti della Fondazione che fa del contatto con gli emigrati un punto di partenza per il suo lavoro di recupero delle radici e della memoria. Filantropo e poli-tico, Charles Gargano inizia la sua carriera come ingegnere nel 1956 quando entra nella Società autostra-de. Nel 1961 viene assunto alla John Oeschlin Inc. mentre nel 1963 pas-sa alla J.D. Posillico Inc. come vice presidente. Il suo percorso lavorati-vo continua con successo nel 1984 nella società Engineers, Designers & Developers dove ricopre il ruolo di presidente e general manager per lo sviluppo. Nel 1981 viene nominato amministratore federale per il tra-sporto urbano del ministero del Tra-sporto dal presidente Ronald Reagan. Nel 1988 diventa ambasciatore per

la Repubblica di Trinidad & Toba-go, carica che mantiene anche con il presidente George Bush fino al 1991. Dal 1995 ad oggi ricopre il ruolo di presidente e amministratore delega-to per l’Empire State Development Corporation. E’ inoltre ministro del-lo Sviluppo economico dello Stato di New York. La sua carriera politica, inizia nel 1984 quando viene eletto direttore della campagna elettorale di Ronald Reagan e poi di quella di George Bush nel 1988. Come pre-sidente della Fondazione Columbus Charles Gargano si è adoperato per migliorare le condizioni degli italiani all’estero, e per tale ragione ha rice-vuto varie onorificenze, Oscar Luigi Scalfaro lo ha nominato Cavaliere dell’ordine dei “Commendatori” del-la Repubblica d’Italia e Sandro Per-tini Cavaliere dell’Ordine dei Meriti della Repubblica.

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Un finanziamento importante per un progetto di spessore. Nella Cam-pania degli sprechi e delle manca-te valorizzazioni il Gal è una solida realtà. Ammonta a circa 10 mln il finanziamento concesso dalla Re-gione Campania al progetto serio e propositivo guidato da Giovanni Chieffo che coinvolgerà il cuore pul-sante dell’Irpinia: le piccole realtà lo-cali. La valorizzazione del territorio, lo sviluppo della capacità aggrega-trice dei comuni, l’incremento delle potenzialità dei piccoli borghi, sono questi i temi affrontati nel convegno

di presentazione che Chieffo, presi-dente del Consorzio, ha tenuto a San Mango. “La multifunzionalità per lo sviluppo locale” il titolo dell’incon-tro che ha visto la partecipazione di illustri rappresentanti della politica, dell’imprenditoria e delle istituzioni locali “Abbiamo illustrato- ha detto Chieffo- possibilità di investimento che sono speranze di sviluppo per-ché valorizzano, in chiave turistica, le risorse naturali e culturali dell’Alta Irpinia, e rendono protagoniste, at-traverso i loro sapori, competenze e creatività, le municipalità e le impre-

Sviluppo Locale,Il GAL e la scommessa per il territorio

neLLa foTo: iL preSidenTe deL GaL vanni Chieffo

se locali. Il convegno-ha aggiunto- è stato un momento di informazione e di confronto sui contenuti del Piano di Sviluppo, abbiamo la necessità di coinvolgere maggiormente i cittadini e il sistema produttivo dei 48 comuni interessati dal Piano in questo modo il programma crescerà e si sviluppe-ranno le potenzialità del progetto”.Imprese sociali, enti locali e asso-ciativi, realtà agricole e artigianali, saranno questi gli ambiti ai quali si rivolgeranno le misure presentate. Il finanziamento invece riguarda le filiere corte e l’ortofrutticoltura, gli antichi mestieri, le risorse ambientali e naturalistiche, la valorizzazione e la promozione del turismo. Rilevante inoltre è il capitolo dedicato alla par-tecipazione femminile nelle imprese, dall’inserimento nel mercato del la-voro alla conciliazione tra vita privata e carriera. Per questi temi è previsto un sistema grazie al quale, le impren-ditrici del territorio, attraverso azioni di animazione territoriale che pro-muovano progetti comuni per rende-re visibile la rete locale, possano crea-re un clima favorevole allo sviluppo, al mantenimento, alla valorizzazione dell’occupazione femminile favoren-do la diffusione di una cultura di pari opportunità; la sfida è ridurre il rischio di segregazione occupazionale e di esclusione dal mercato del lavoro con particolare riferimento al settore turistico. Presente nella doppia veste di Vice Caldoro e assessore regionale al Turismo Giuseppe De Mita che ha precisato “E’ ora che l’Irpinia scopra un altro modo di fare turismo. Biso-gna- ha detto- rivolgere l’attenzione alla valorizzazione non solo dei bor-

ghi ma anche e soprattutto alle strut-ture ricettive e ai servizi. Solo in que-sto modo il turismo crescerà”.

VINCERE ATTRAVERSO LA VALORIZZAZIONE DELLA DI-VERSITA’: LA SCOMMESSA DI VANNI CHIEFFO

Spesso nei programmi economici e negli stessi piani di sviluppo, le zone interne sono isolate; con cinica ma espressiva dizione viene contrapposta la frase “la polpa all’osso”, dove la polpa costituisce la pianura, l’urba-nizzazione, i luoghi fisici privilegiati della produzione agricola,dove, in-vece l’osso, è la parte montana, come luogo, per immaginario collettivo, aspro e impervio da cui non si può trarre profitto.Per queste ragioni, le zone interne, oggi alla ricerca di una solidarietà tra nuovi soggetti, devono entrare in una logica di sistema, dandosi una fisio-

... la sfida è ridurre il ri-schio di segregazione oc-cupazionale e di esclusio-ne dal mercato del lavoro con particolare riferimen-to al settore turistico....

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nell’intento di non disperdere ener-gie finanziarie ed umane.L.E.A.D.E.R., infatti, rappresenta in-nanzi tutto il punto di collegamento che unisce gli operatori di una stessa zona per permettere loro di elaborare ed attuare insieme una strategia.Questo collegamento viene fina-lizzato nell’ambito di una partner-ship, ossia, il Gruppo di Azione Locale(GAL).Il progetto garantisce poi il collega-mento tra le varie azioni di sviluppo di uno stesso territorio, collegamento che permette di abbinare e integrare settori totalmente diversi, in modo da potenziare gli effetti della strate-gia di sviluppo, creando collegamenti tra territori, grazie alla forza della sua rete e alle cooperazioni istaurate tra i gruppi di azione locale e le altre com-ponenti del mondo rurale.E’ necessario, pertanto, passare da una politica di mera tutela ad una attiva opera di valorizzazione del ter-

nomia nella cultura, nell’economia e nella politica di un grande sotto-sistema, in grado di realizzarne una rappresentanza che si basi sulla pre-senza di elementi comuni tra soggetti diversi, dove ogni soggetto possa ri-trovarsi.Occorre, pertanto, non solo ricono-scere le diversità ma anche ricono-scerle in tutta la loro estensione e in tutti i settori della fruizione della montagna come risorsa turistica di valori culturali e ambientali dei qua-li ogni valle è portatrice, con le sue tradizioni, le sue potenzialità, i suoi rapporti interni con la realtà esterna.Tutto ciò in una logica di interdi-pendenza e di relazione. In questa situazione la sperimentazione dei L.E.A.D.E.R. è stata qualcosa di positivo, in un ottica di carattere concertativo. Si tratta di un soggetto che ha operato e che è tuttora atti-vo e sta collaudando positivamente la collaborazione interistituzionale

ritorio, d’altra parte dall’analisi delle caratteristiche del nostro territorio emergono chiaramente l’alta valen-za ambientale e le ben documentate ragioni storiche e giuridiche che lo hanno modellato e preservato, quasi intatto, da forme di aggressione ter-ritoriale.Ecco perché, in questo quadro, la po-litica di valorizzazione materiale ed immateriale dei prodotti tipici locali e in modo in particolare dei grandi vini presenti sul territorio, ha dato una risposta felicissima e lusinghiera in termini di occupazione e di svilup-po.Sono convinto che se tutte le istitu-zioni, in un ulteriore sforzo sinergico e senza ricerche di primazie di cam-panile, continueranno questo im-pegno di valorizzazione, nel giro di pochi anni, si potrà parlare in Italia e perché no in Europa del modello di sviluppo irpino.

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Biogem, una realtà del SUD

“Siamo già alla III edizione de ‘Le due culture’- ha spiegato il Sen. Zec-chino, presidente Biogem- Meeting finalizzato al colloquio tra umanisti e scienziati sui grandi temi del nostro tempo. E’ uno degli aspetti negativi

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della cultura occidentale e particolar-mente italiana, quello della separa-zione, se non l’antagonismo, tra cul-tura scientifica e cultura umanistica. La Genetica- ha continuato- che è campo di specifico impegno di Bio-

gem, impone di necessità un dialogo tra i due mondi per l’intreccio che in essa si realizza tra aspetti biologici, biotecnologici, etici e giuridici. L’e-dizione del Meeting di questo anno non poteva non onorare i 150 anni dell’unità d’Italia. In questa ottica il Meeting vorrà essere occasione di bilancio e di prospettiva futura, trac-ciando itinerari lungo i quali scien-ziati e umanisti potranno contribui-re a tenere alto il prestigio dell’Italia nella competizione internazionale. Il programma- ha concluso- presen-ta nomi di primaria importanza nel campo della politica, delle istituzioni universitarie, delle scienze biomedi-che, dell’industria farmaceutica, della storia, della filosofia, della letteratura e del diritto.”

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E’ successo con la campagna elettora-le Pisapia-Moratti, è “ricapitato” con quella per i referendum del 12-13 giugno. Poi ancora con la vicenda del precario della Camera dei Deputati che ha denunciato i privilegi della ca-sta dei politici trascinandosi dietro il dibattito sui costi della politica in Ita-lia. Solo alcuni episodi, i più recenti. Chi frequenta abitualmente luoghi di social networking come Facebook e Twitter sa di cosa stiamo parlando. Negli ultimi mesi il dibattito dal bas-so intorno alla politica, animato da giovani e trenta-quarantenni che si sono fatti carico di questioni rilevanti per la nostra società provando a risve-gliarne un assopito senso civico, si è spostato magicamente nella Rete. Tra spunti ironici e talvolta ludici e rifles-sioni profonde, ci si è accorti che gli utenti dei social network sono meno distratti di quanto si possa pensare, sanno essere impegnati, sanno mo-bilitarsi; hanno voglia di discutere e decidere le sorti del proprio Paese, hanno il termometro della situazio-ne sociale più dei nostri governanti e possiedono la forza per far arrivare la propria voce fino ai palazzi che conta-no. I media tradizionali, dalla stampa ai telegiornali, non hanno potuto fare a meno di parlare di questa ondata di civismo e partecipazione alla vita democratica che si è sviluppata tra tweet, like e pagine con centinaia di migliaia di fan. Opinionisti, esperti e politologi vari si sono dovuti interro-gare sull’effettiva capacità della Rete di costruire consenso e orientare gli indecisi. La classe politica si è resa fi-

nalmente conto di non essere stata al passo coi tempi, ferma all’epoca del presenzialismo televisivo e dell’ester-nazione bulimica e in alcuni casi vor-rebbe correre ai ripari ingabbiando la Rete con norme liberticide. Un cambiamento difficile da gover-nare non solo per la politica, ma an-che per i media tradizionali, abituati a dettare i tempi e i temi della discus-sione pubblica e adesso, per la pri-ma volta, costretti a subire l’agenda tematica della società. Non sono più tv e giornali a selezionare i temi di interesse pubblico da presentare alle loro audience, ma è il pubblico stesso a suggerire ai media, e di conseguen-

za alla politica, gli argomenti su cui riflettere. E’ una sorta di ribaltamen-to della teoria dell’agenda setting. Elaborata nell’ambito della media research (la branca della sociologia che studia i mezzi di comunicazione di massa), questa teoria parte dall’as-sunto che i media non suggeriscono cosa pensare, ma hanno la capacità di selezionare in base ad una serie di criteri i temi più rilevanti per il loro pubblico e di presentarli sotto forma di notizia. Essi insomma ci hanno detto per lungo tempo su cosa pensa-re. Con il web le cose cambiano. E con gli episodi degli ultimi mesi anche gli italiani hanno urlato la loro stanchezza per un’informazione suc-cube di intricati conflitti di interesse e che si mostra “distratta” nel discer-nere le reali preoccupazioni dell’o-pinione pubblica. Ma hanno anche urlato il loro desiderio di essere ascol-tati anziché ascoltare, di ritornare ad avere voce in capitolo nelle questio-ni che contano. Se media e politica sapranno leggere questo fenomeno e prenderlo sul serio si apriranno im-portanti occasioni di rinnovamento per entrambi i sistemi. Altrimenti il popolo della Rete continuerà a cova-re la propria frustrazione e si accen-tuerà sempre di più la spaccatura tra vecchio e nuovo mondo.

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La SoLidaRietà - tRa vecchio e nuovo

Social networkgli utenti sono meno distratti di quanto si pensi!

 

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Rocca... San Feliceun luogo per aspettare l’anima

“Abbiamo bisogno di luoghi che si-ano uno specchio per le nostre ri-flessioni. Luoghi che ci allontanino dalla vita che stiamo facendo, luoghi per fermare la nostra fretta e aspetta-re l’anima”. Questo è ciò che accade quando ci si trova a Rocca San feli-ce, piccolo borgo irpino a 750 mt sul livello del mare, 900 anime e un fascino quasi cinematografico rac-chiuso nei vicoletti e nelle stradine medievali dove, pare, che il tempo si sia fermato. Compreso tra il Fredane

e L’Ufita domina l’antica Ampsan-ctus o Ansanctus, la Valle D’Ansanto nella quale sorge la famosa mefite de-scritta anche dal poeta Virgilio: “Est locus Italiae medio sub montibus altis,nobilis et fama multis memo-ratus in oris,Ampsancti valles...Hic specus horrendum et saevi spiracula ditis monstrantur, ruptoque ingens Acheronte vorago pestiferas aperit fauces.” (Esiste nell’Italia centrale un luogo ai piedi di alte montagne co-nosciuto e famoso dovunque, la valle

d’Ansanto...Qui un orrendo speco e gli spiragli di Dite vengono mostrati, e una vasta voragine dove inizia l’A-cheronte che spalanca le fauci pesti-fere.)

Il borgo medievale

Il centro storico di Rocca San Feli-ce ha mantenuto la conformazione tipica medioevale con le stradine ed i vicoletti stretti che seguono l’anda-mento della roccia, le scalinate, gli archi, le palazzine nel XVII e XVIII secolo e le casette basse ricavate dal-la roccia con mura, le finestrelle non allineate, i portali in pietra locale, da-vanzali scolpiti, le gronde a “romanel-la”, i tipici “forni a paglia”, le “trappe” che caratterizzavano le antiche botte-ghe artigiane. La parte più antica del centro storico è occupata dal borgo medioevale, che si sviluppa lungo la strada che si snoda seguendo le pen-dici meridionali della collina su cui si erge il castello. La si raggiunge imboc-cando una piccola strada quasi nasco-sta dal Tiglio secolare che domina la piazzetta. Nel borgo, in una delle palazzine restaurate è ubicato il Mu-seo civico, dove sono custoditi parte dei reperti archeologici ritrovati nel territorio comunale, particolarmente nel Castello (altri si trovano presso il Museo Irpino di Avellino). Si segnala-no una punta litica di freccia di epoca preistorica, degli utensili risalenti al 2.000 A. C., spille e fermagli utilizza-

ti da nobili donne del tempo, monete medioevali.

La festa medievale

“Le donne, i cavallier, l’arme, gli amo-ri, le cortesie, l’audaci imprese…” è quanto si condenserà a Rocca San fe-lice anche quest’anno all’interno della sedicesima edizione del “Medioevo a la Rocca” con le festa medievali, ap-puntamento impedibile per tantissi-mi irpini e turisti che ad agosto han-no affollato il magnifico borgo che domina la Valle D’Ansanto. Un viag-gio nel tempo che si è svolto dal 18 al

21 agosto e che ha visto protagonista il paese in un tuffo nel passato tra co-stumi d’epoca, giocolieri, dame e ca-valieri. La storia di un’ epoca passata si è respirata nella cura dei dettagli, dalle botteghe dei mestieri medieva-li, damigelle con coroncine di paglia e fiori, giullari per strada, esibizioni con il fuoco, le cornamuse, il falco-niere…Il cuore delle feste medievali è stata come sempre il centro storico del paese: la piazza con il tiglio secola-re, la fontana monumentale, gli archi e il loggiato del palazzo De Laurentis-Villani e “re muredde”, una serie di scalinate che portano a via Castello.

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Per chi vuole, anche solo per poter passare un fine settimana diverso in compagnia della famiglia, riscoprire le tradizioni tipiche di un territorio incontaminato, ricco di storia e cul-tura contadina de meridione l‘Italia, Molinara è la tappa ideale.Da Benevento, percorrendo la sta-tale 212, verso Pietrelcina, dopo 20 chilometri ci si trova immersi in una vallata verdeggiante che il fiume Tammaro ha modellato durante i numerosi secoli del suo lento e inces-sante venire a valle.Il territorio del Comune di Molinara e compreso tra i 281 e i 951 metri sul livello del mare, conta una super-ficie di 24,04 chilometri quadrati si cui vivono 1.781 abitanti per una densità di 74,08 abitanti per Kmq

Molinara tra le Torri: una storia attualeed è un verdissimo bacino di storia e di cultura, in cui zampillano sorgen-ti millenarie, ricco di boschi e alberi monumentali, in cui vivono animali, uccelli e farfalle uniche. Un paradiso, selvaggio per gli aspetti naturalistici, assolutamente accogliente per l’ospi-talità che lo caratterizza.La tradizione vuole che Molinara sia stata fondata da una colonia di Greci, suffragata anche dalla presenza di ele-menti bizantini, come il culto di san-ti provenienti dall’oriente che hanno lasciato tracce nell’architettura (chie-sa di S. Maria dei Greci) e, nella to-ponomastica (fontana dei Greci). Per quanto riguarda il nome, Molina-ra deriverebbe dall’esistenza sul suo territorio, in epoche remote, di nu-merosi mulini. Una diversa ipotesi,

invece, ritiene che il nome sia deriva-to dall’esistenza di cave che fornivano l’intera contrada, di “mole” per tutti gli usi, ma soprattutto per le macine dei numerosi mulini ad acqua, sparsi lungo gli affluenti del Tammaro. Tale ipotesi è avvalorata anche dal nome di due contrade “Petrara” (Pietraia) e “Molare” e, dal sigillo stesso del co-mune che presenta al suo interno una mola. Le prime notizie storiche, più attendibili, risalgono all’inizio del sec. XII dalle quali risulta che Moli-nara appartenne prima a Raimondo Loritello, Signore di Bovino, e poi ad un barone del Conte Ruggero. Durante la dominazione sveva rimase fedele alla casa imperiale e, in segui-to alla vittoria degli Angioini, fu do-nata da Carlo I d’Angiò a Giacomo

“Spettacoli, musica e gastronomia nel Borgo sannita

“Spettacoli, musica e gastronomia nel Borgo sannita

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de Asimial, un francese o provenzale venuto al suo seguito. Nel periodo Aragonese, Molinara appartenne al Principato Ultra. A partire dal 1861, dopo l’Unità d’Italia, ha fatto parte provincia di Benevento come Co-mune appartenente al Mandamento di San Giorgio La Molara. Ciò che fa di Molinara una “perla” unica è l’antico Borgo Medioevale, d’origine longobarda, con i bastioni e le torri, che sorge sulla cima di una collina tufacea. Il borgo presenta una pian-ta pentagonale ed è racchiuso da un muro con una torre, a sezione circo-lare e vi si accede antico attraverso due porte: la “Porta Ranna” (Porta Grande) e la “Porta da Basso”. En-trando da la Porta Ranna si possono subito notare, a sinistra, i resti della Chiesa di San Bartolomeo, sulle cui mura sono visibili ancora tracce di dipinti sacri e, a destra, il portone dì accesso al palazzo del signore, il ma-stio, divenuto in seguito palazzo gen-tilizio, oggi proprietà della famiglia Santoro. Ai lati di Corso Umberto, che univa le due porte d’ingresso, si possono notare le tipiche abitazioni costruite in pietra di travertino, se-parate da stretti vicoletti. Il selciato intatto, del corso principale, i vicoli a ventaglio, i sotterranei delle case in parte ricavati nella massa arenaria, la suggestiva successione delle scale in pietra e dei tetti degradanti in dire-zione est-ovest, la linearità dei portali e delle mensole in pietra rappresenta-no gli elementi costitutivi tipici della vecchia edificazione che, evidenzia una sapiente capacità costruttiva. All’interno del Borgo Antico, si trova la Chiesa di Santa Maria dei Greci,

la cui fondazione risalirebbe all’XI secolo per opera dei monaci basiliani. In essa, per lungo tempo, le funzio-ni religiose furono celebrate con rito greco-ortodosso, in particolare il bat-tesimo amministrato per immersione e solo a decorrere dal 3 giugno del 1737 esso fu amministrato secondo il rito di Santa Romana Chiesa. Nel periodo estivo si celebra , nel Borgo medievale, la manifestazione “Mo-linara tra le Torri”, una chermes di spettacoli, musica, gastronomia e divertimento, dove si alterneranno sino a notte inoltrata artisti di strada, cantanti, teatranti e musicisti con le loro particolarissime performance. Il tema che sottende all’evento è la ri-evocazione storica della vita sociale nel Borgo antico, dove vengono alle-stiti stand gastronomici e di prodotti artigianali finalizzati a valorizzare il centro storico e al rilancio turistico del territorio. Attraverso l’utilizzo di

torce, stendardi e arredi vari vengono enfatizzati gli spazi della manifesta-zione dove avverranno rievocazioni di antichi mestieri, spettacoli e gio-chi e degustazione di piatti tipici me-dievali. E’ prevista la lettura di testi e allestimento di scenografie attinenti il periodo del brigantaggio meridio-nale, cercando di restituire non solo temi e problemi inerenti il Meridione durante l’unificazione della penisola, ma anche aspetti della cultura e della spiritualità legate alle tradizioni loca-li. Per l’occasione si potranno visita-re, guidati da Briganti, Garibaldini e Bersaglieri i e luoghi più significativi del Borgo. L’Evento è da non per-dere anche perché è un’occasione per trasmettere alle giovani generazioni, particolarmente ai figli degli emi-granti, che in questo periodo ritorna-no per un breve soggiorno, la storia e l’identità culturale della terra d’o-rigine.

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Lioni- Musica e poesia non si incon-trano spesso, a volte camminano pa-rallelamente su due binari vicinissimi, sono espressione della stessa arte, ma non si fondono. Raramente però, ca-pita una collisione, le note e le parole si incrociano, magari in una notte di mezza estate e l’unica reazione possi-bile è lo stupore. Quando ci si trova davanti alla magia si rimane sempre a bocca aperta. Roberto Vecchioni, ha stupito un’intera piazza, quella di Lioni, che è rimasta per un paio d’ore sospesa nell’emozione creata dal con-nubio perfetto di musica e parole. E la poesia a volte compie miracoli, ri-sveglia le coscienze e rianima i corpi, a volte la poesia è un megafono per il disagio, lo sanno bene quei signori in tuta blu in fondo alla piazza, lo sa bene Rossella, la loro portavoce. Quei signori sono gli operai della Irisbus e vogliono far cavalcare le loro ragioni su questa luminosa scia magica. I fi-schietti sono la loro musica, i cori la loro poesia. Quando Vecchioni ha intonato ‘Sogna ragazzo sogna qual-

“Perchè basta anche un niente per essere felici”

cuno di loro avrà ripensato ai propri sogni, infranti da un destino incerto, qualcuno avrà pensato al proprio ra-gazzo e al futuro che probabilmente non potrà più garantirgli, altri avran-no pensato che nonostante tutto la speranza c’è ancora. La speranza de-riva dalla forza della lotta, dalla voglia di far sentire la propria voce, di farla filtrare attraverso la musica e la dialet-tica di chi, come Roberto Vecchioni, della parola fa un mestiere. Rossel-la Iacobucci è da quasi due mesi la ‘voce’ degli operai della Fiat Irisbus, da quel 7 luglio, giorno in cui ai cir-ca 800 operai è stata comunicata la chiusura dello stabilimento. “Per l’o-peraio che ha perso il suo lavoro af-ferma Rossella- canta per noi Roberto Vecchioni, per il diritto ad un lavoro che vogliamo difendere. Questa è la nostra terra, questo è il nostro futuro e lo difenderemo a costo della vita”. Parole forti, intense, lanciate come un sasso contro l’indifferenza e contro l’ingiustizia. Le tute blu non poteva-no perdere l’occasione di farsi ascol-

tare da una così vasta platea. Quelle parole sono arrivate anche al cuore di Roberto Vecchioni che si è detto con loro “senza se e senza ma”. “Non è la vita ad ispirare le canzoni, sono le canzoni che costringono la vita ad essere com’è e come non è” dice il professore… E allora vorremmo co-stringere la vita ad essere come lui la canta, piena d’amore, di passioni per le donne, per i figli, per il lavoro, per Dio, per la filosofia. Ascoltandolo cantare si ha l’impressione che ogni parola sia perfettamente pesata, pen-sata per toccare una determinata cor-da dell’animo umano e farlo vibrare. E allora non può che essere lui a tra-durre il messaggio di quegli uomini e di quella ragazza, non può non essere lui a farsi portavoce di un’Irpinia che è tutta una vertenza, che è vittima di saccheggi, una terra che ha perso la speranza. Occorre allora, ricomincia-re a credere che un futuro è possibile.La testarda speranza alla fine è il sal-vagente per i tanti ai quali l’ingiustizia ha rubato il sorriso.

... sogna, ragazzo SoGna!

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“Perchè basta anche un niente per essere felici”