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Corso di Formazione Specifica in Medicina Generale – Triennio 2007-2010 Direttore del Corso Dott. Emanuele Messina Coordinatore delle Attività teoriche: Dott. Giovanni Carriero Titolo della Tesi PROBLEMI CORRELATI ALLA GESTIONE DEL PAZIENTE RICOVERATO NELLE “RSA” 1 Corso di Formazione Specifica in Medicina Generale

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Corso di Formazione Specifica in Medicina Generale – Triennio 2007-2010

Direttore del Corso Dott. Emanuele Messina

Coordinatore delle Attività teoriche: Dott. Giovanni Carriero

Titolo della Tesi

PROBLEMI CORRELATI ALLA GESTIONE DEL PAZIENTE

RICOVERATO NELLE “RSA”

Tirocinante Dott. Maria Caterina Masi

1

Corso di Formazione Specifica in Medicina Generale

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INTRODUZIONE

“Ogni volta che il ricovero in Istituto è ritenuto necessario ed inevitabile per l’anziano, occorre fare tutto il possibile per garantire una qualità di vita corrispondente alle condizioni esistenti nella comunità di origine, salvaguardando il pieno rispetto e la dignità umana, le esigenze, i valori, gli interessi e la vita privata dell’anziano” da una raccomandazione del Piano di azione mondiale per l’invecchiamento approvato dall’ Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

”La longevità è un successo. È qualcosa che gli esseri umani hanno voluto fin dall’anno zero! Il fatto che la stiamo raggiungendo non dovrebbe essere considerato un problema. Dovrebbe essere considerato una conquista.” come affermato da Nitin Desai nel suo discorso in occasione del lancio dell’Anno Internazionale delle Persone Anziane.

“Senectus ipsa est morbus (Terenzio): la vecchiaia è in sé una malattia. Ma mentre da una malattia, anche la più grave, si può sempre sperare di guarire dalla vecchiaia no. E infatti Seneca, correggendo Terenzio, aggiunge “enim insanabilis morbus est”, in verità è una malattia insanabile (1).

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ALCUNI DATI STATISTICI

Nel corso degli ultimi decenni l’Italia ha sperimentato una caduta del tasso di fertilità, cui si è accompagnata una crescente longevità, due fattori demografici che indicano come l’Italia sia ormai una nazione soggetta ad un progressivo invecchiamento della sua popolazione. Infatti, da una parte il crescente calo delle nascite ha ridotto la consistenza delle coorti di giovani generazioni, dall’altra l’allungamento della speranza di vita ha posticipato il momento del decesso.

Come conseguenza di questo processo la percentuale di over-64 in Italia è di circa il 22% della popolazione totale, percentuale che pone il nostro paese al primo posto tra i paesi europei con la più alta presenza di anziani. Tuttavia a rendere più acuto il problema dell’invecchiamento è la dinamica demografica attesa nei prossimi anni in Italia.

L’ISTAT(2) prevede un ribaltamento della piramide della popolazione (grafico 1): la popolazione italiana invecchierà ulteriormente nei prossimi cinquanta anni e nel 2050 è previsto che un terzo degli italiani avrà più di 64 anni.

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Grafico 1. Piramide dell’età della popolazione in Italia. Confronto 2005-2050

L’invecchiamento della popolazione è associato ad un progressivo deterioramento dello stato di salute degli anziani, che nei prossimi anni inciderà sensibilmente sulla spesa sanitaria(3). Infatti è verosimile che tra i bisogni sanitari degli anziani siano prevalenti patologie di tipo cronico degenerativo rispetto a patologie acute, queste ultime più costose, ma di durata limitata nel tempo. Inoltre esiste una categoria di bisogni specifici non tanto legati alle patologie quanto alla non autosufficienza che tende a comparire dopo una certa età(4).

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Fino ad oggi la forte solidarietà intra-generazionale ha garantito un’assistenza informale da parte delle generazioni più giovani nei confronti di quelle anziane più “fragili”. Ma quale scenario si delinea alla luce del processo di invecchiamento registrato in Italia? La dinamica demografica sembra mettere in discussione questa modello di assistenza informale, con esiti al momento imprevedibili.

Un recente tentativo di misurazione del fenomeno è stata offerta dal lavoro di Robin et al. che misurano per un significativo campione di paesi il cosiddetto Oldest Support Ratio (OSR), definito come rapporto tra la popolazione appartenente alla classe 50-70 anni e la classe over-85 (5). Assumendo che gli anziani siano assistiti dai figli (meglio figlie), la ratio dell’indice è quella di fornire informazioni sul numero di persone potenzialmente in grado di garantire cure informali per ciascuna persona over-85.

La tabella 1 riporta il valore dell’ ORS per le regioni italiane confrontando il valore dell’indice per diversi anni.

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Tabella 1. ORS in Italia: confronto tra anni

La riduzione cui si assiste nel corso degli ultimi 25

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anni è considerevole, tale da esprimere forte preoccupazione per gli effetti sui costi dell’ assistenza

per anziani non autosufficienti dal momento che tale dinamica è destinata a continuare. In altri termini, nella misura in cui il numero di anziani (popolazione 50-70) in grado di farsi carico di quelli più anziani (>84) è destinato progressivamente a ridursi, il costo di tale assistenza informale ricadrà in parte sulle famiglie stesse e in parte sul sistema sanitario pubblico.

Un altro elemento importante che emerge dall’analisi della Tabella 1 è rappresentato dalla forte eterogeneità regionale. In un contesto nazionale di generale invecchiamento della popolazione, mentre il valore dell’OSR sembra essere omogeneo nelle regioni del Centro, resta ampio tra le regioni del Sud e del Nord, che ad eccezione del Piemonte, si presenta come un Nord più “ vecchio”: in particolare, il valore minimo dell’ OSR si registra in Liguria. Sul versante opposto, il valore maggiore, che esprime la maggiore giovinezza e vitalità demografica, emerge in Campania.

Va inoltre considerato che nella realtà nazionale italiana, la presenza di donne è preponderante tra coloro che si fanno direttamente carico di persone molto anziane: molte “care giver” presentano legami familiari con l’anziano assistito ed in particolare si tratta della consorte/partner dell’anziano o della figlia.

L’andamento demografico in Italia rivela inoltre come le classi di età più anziane stiano aumentando ad

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un ritmo più alto della crescita della popolazione anziana in generale: gli utra80enni quindi stanno aumentando percentualmente più degli ultra65enni.

È stato dimostrato che si è guadagnata vita attiva e salute, ma contemporaneamente non è diminuita la lunghezza del periodo medio che si passa come disabili gravi (6). La conseguenza principale è che si è spostata l’intera “coorte della età della vecchiaia” verso età maggiori.

È facile comprendere quale impegno comporti assistere un anziano dipendente di 90 anni piuttosto che di 70. A ciò si aggiunge la previsione di una progressiva riduzione dell’appoggio assistenziale della famiglia, non solo perché ci sono meno figli, ma perché questi lavoreranno più a lungo. Fino a qualche anno fa una quota non indifferente del sostegno agli anziani inabili era data dalla presenza nelle famiglie di due generazioni di pensionati(7 ).

L’esplosione demografica della terza età ha comportato e comporterà un incremento ed una differenziazione dei bisogni di ordine assistenziale, sociale, sanitario.

Al di là dei bisogni di carattere sanitario, rappresentando gli anziani, quella fetta di popolazione nella quale malattia ed invalidità crescono in maniera proporzionale al crescere dell’età, con sempre maggiore urgenza oggi si presentano bisogni che derivano dalle condizioni di solitudine, di isolamento e di marginalizzazione del proprio ruolo sociale.

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Tre azioni, pertanto, assumano un rilievo quantitativo e qualitativo tale da rendere indispensabile l’intervento pubblico: la non autosufficienza, il disadattamento, quasi sempre associato alla solitudine dell’anziano, il disagio psichico. Condizioni queste che , associate alla diffusa carenza di strumenti e forme di differenziazione di personalizzazione delle strategie d’intervento costringono gli anziani al trauma della istituzionalizzazione e della ospedalizzazione.

Venute a mancare o comunque a diminuire, le solidarietà dell’epoca premoderna, il ricovero nelle “istituzioni totali” resta, spesso, l’unica possibilità di sopravvivenza degli anziani non autosufficienti e che non possono contare sui famigliari in grado di assisterli.

I bisogni prevalenti dell’anziano nascono dal disadattamento rispetto al proprio ambiente, che è tale da indurre negli stessi mutamenti fisici, psicologici e comportamentali che inducono ad una realtà esistenziale diversa da quella percepita nelle età precedenti.

Ciò si traduce nell’anziano in un senso di inutilità personale, di incapacità, di perdita degli affetti con una mancanza, sempre crescente, di interesse per se stessi e della realtà circostante.

Un altro dato significativo è quello secondo cui l’Italia, rispetto ai servizi sociali, appare divisa in due aree decisamente differenziate e coincidenti con le regioni centro-settentrionali, da un lato, e quelle meridionali e insulari dall’altro; mentre nella prima si riscontra una notevole presenta di strutture e di servizi

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per l’assistenza degli anziani non autosufficienti, nell’altra parte ci sono state molte carenze sia in senso qualitativo che quantitativo.

C’è poi da valutare, la grave situazione di disagio dei pazienti psichiatrici dimessi dalle strutture manicomiali: tali persone, da considerare cittadini colpiti da malattia, ma da non considerare del tutto irrecuperabili, che in molti casi finiscono per essere ricoverati impropriamente in strutture residenziali per anziani, ricoveri che non garantiscono un’assistenza adeguata e che aggravano le condizioni di convivenza in numerose strutture per anziani.

L’attenzione per l’anziano, quale portatore di bisogni e oggetto di una domanda di assistenza è relativamente recente.

Nel passato gli anziani erano considerati oggetto di interventi assistenziali solo in quanto appartenenti a determinate categorie di soggetti con minorazioni. Non essendo contemplato alcun genere di assistenza, in particolare riferito alla popolazione anziana, si provvedeva alla stessa con interventi saltuari da parte degli Enti Comunali di assistenza e beneficienza.

Grazie ai numerosi passaggi legislativi e trasformazioni culturali si può affermare che oggi si ha una significativa conoscenza della “condizione anziana” dato che intorno ai problemi della terza età, specialmente nell’ultimo decennio, si sono susseguiti dibattiti, studi, ricerche, convegni a livello nazionale e internazionale.

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La popolazione anziana, comunque, non si presenta come un blocco di individui con determinate esigenze, ma è una realtà diversificata con molteplici sfaccettature, ciascuna con le sue necessità ed i suoi bisogni.

Vi sono infatti anziani-giovani, per i quali la condizione di anziani è data dal raggiungimento di un certo limite di età, considerato dalla legislazione del lavoro come un discrimine tra maturità e vecchiaia, e che porta alla collocazione in riposo anche di persone che non ancora hanno esaurito la “loro carica lavorativa” e che presentano quindi l’esigenza di utilizzare il loro tempo libero.

Ci sono poi gli anziani-anziani tra cui troviamo la nota critica della non autosufficienza che vengono a trovarsi all’interno di un quadro socio-familiare caratterizzato da “famiglie nucleari“, in cui l’avvertita necessità di un lavoro retribuito per migliorare il livello di vita e l’indipendenza di ogni membro, rende difficile il lavoro di cura.

A queste problematiche deve essere aggiunta quella della separazione tra assistenza sanitaria e assistenza sociale che, nonostante l’enunciazione del principio di integrazione contenuto ormai in molte leggi, si verifica nel tentativo di molti ospedali, di “scaricare” gli anziani malati cronici e non autosufficienti, sebbene anche per loro esista il diritto, costituzionalmente affermato, ad essere ricoverati fino alla guarigione, e di riversarne il carico alle strutture assistenziali dimettendo l’anziano prima della completa

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guarigione, o addirittura non considerando alcune malattie per non impegnare il comparto sanitario.

Nelle ultime normative si ritrova un apprezzabile intento di protezione degli anziani, ma non si può dire che esista un organico impianto di norme a loro tutela; così come manca uno strumento legislativo idoneo ad aiutare l’anziano nelle sue relazioni socio-giuridiche.

LA SITUAZIONE IN TOSCANA

Secondo l’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT) 11.273.000 di persone residenti in Italia hanno 65 anni o più, di cui 4.729.000 uomini e 6.544.000 donne. Sono 244mila le persone di 65 anni o più che sono ospiti in un istituto, tra queste circa 171mila sono donne.

Come già affermato peculiarità della popolazione italiana ed in particolare di quella toscana è l’invecchiamento.

Secondo l’IRPET ( Istituto Regionale Programmazione Economica della Toscana) la Toscana ha una popolazione relativamente più anziana del resto d’Italia, è la regione più” vecchia” dopo la Liguria. L’età media è di 45 anni ( valore comune al Friuli V.G. secondo solo ai 47 anni della Liguria) mentre la media nazionale è 42 anni. La quota di persone in età lavorativa (15-64 anni) è pari al 65,9% contro una

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media italiana del 67,1% e al suo interno vi è un maggior peso delle persone in età 50-64% anni (31%) rispetto all’Italia (28%).

L’indice di vecchiaia (peso degli ultra 65enni sui bambini di 0-14 anni) è uguale a 190% mentre la media nazionale è di 130%. L’elevata presenza di anziani è una caratteristica italiana, 13 regioni su 20 si trovano nei primi 40 posti della graduatoria regionale europea dell’indice di vecchiaia, solo la Sicilia, Puglia e Campania si trovano a livelli inferiori della media europea.

In Toscana vivono circa 840 mila persone con più di 65 anni. Le persone non autosufficienti sono 80 mila, la metà di loro molto grave. Un problema che riguarda 1 famiglia su 5.

I portatori di handicap rappresentano il 16% dei non autosufficienti. Secondo alcune stime entro il 2015 gli over65 toccheranno le 915mila unità per arrivare a oltre 1 milione e 100 mila nel 2050 (elaborazione Censis su dati Istat). Per fare fronte ai problemi derivanti da questa realtà, la Regione ha deciso di investire progettando nuovi percorsi assistenziali.

Per l’assistenza ai non autosufficienti la Regione ha varato, nell’ottobre del 2008, il Fondo regionale per la non autosufficienza per dare una risposta ai bisogni delle persone anziane non in grado di provvedere ai propri bisogni autonomamente ed ai loro familiari.

Elemento chiave del progetto è il “Punto

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Insieme“, lo sportello di prima accoglienza ed ascolto creato dalla regione toscana dove rivolgersi per avere assistenza a favore dei propri familiari anziani non autosufficienti. Da ottobre 2008 ne sono stati attivati circa 300 in tutta la regione.

Le strutture residenziali per anziani in Toscana sono 377; 107 i centri diurni di cui 23 specializzati nell’assistenza a persone affette da patologia di Alzheimer. Si calcola che in Toscana i malati di Alzheimer e le persone affette da demenza senile siano 28.000, il 4% della popolazione con più di 65 anni.

LE RESIDENZE SANITARIE ASSISTITE

La RSA sostituisce le precedenti soluzioni residenziali per la cura degli anziani in condizioni di dipendenza.

C’è stato negli anni scorsi un continuo ed importante mutamento nella struttura organizzativa delle residenze che si sono trasformate da residenze a prevalente componente sociale (per autosufficienti) a luoghi di cura per anziani disabili gravi (non autosufficienti). Questo fra gli anni ‘70 e ‘80 ha portato faticosamente la maggioranza delle strutture ad incrementare le proprie capacità assistenziali e a promuovere la presenza di personale e di attività più qualificate per questo tipo di bisogno.

È stato un processo molto esteso, pur con gravi

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carenze, disomogeneità, errori, dovuti alla sua spontaneità e necessità, più subìto che guidato, peraltro in maniera diversa nelle diverse regioni italiane.

Possiamo definire le RSA come strutture non ospedaliere ma comunque a prevalente valenza sanitaria, che ospitano per periodi variabili persone non autosufficienti, per le quali siano comprovate da una parte la mancanza del supporto familiare, indispensabile per l’attuazione degli interventi di assistenza domiciliare integrata, e dall’altra, l’assenza di patologie acute richiedenti il ricovero in ospedale e che necessitino di un livello alto di assistenza tutelare ed alberghiera. Persone che pertanto non possono essere assistite in casa e che necessitano di specifiche cure mediche di più specialisti e di una articolata assistenza sanitaria.

La struttura e l’organizzazione gestionale delle RSA sono finalizzate a soddisfare il bisogno assistenziale, sia in termini sanitari che sociali, delle persone che vi sono ospitate.

Le RSA sono gestite da enti pubblici o privati che offrono ospitalità, prestazioni sanitarie e assistenziali, aiuto nel recupero funzionale e nell’inserimento sociale e prevenzione delle principali patologie croniche.

Tipicamente, in una RSA vengono garantite: l’assistenza sanitaria ed infermieristica, l’assistenza riabilitativa, l’aiuto per lo svolgimento delle attività quotidiane, l’attività di animazione e socializzazione, le prestazioni alberghiere, di ristorante, di lavanderia, di pulizia. Offrono inoltre anche servizi di animazione e

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coinvolgimento delle persone presenti.

La maggior parte degli ospiti delle RSA presenta una pluralità di problemi ( medici, comportamentali, ambientali, psicologici, sociali ed economici) più o meno stabilizzati, che vanno affrontati e risolti stabilendone di volta in volta le priorità.

L’obiettivo assistenziale prevalente della RSA deve essere il raggiungimento o il mantenimento del miglior livello possibile della qualità di vita dell’ospite. Ciò si realizza attraverso protocolli operativi basati sull’interdisciplinarità degli interventi e sulla “riattivazione dell’ospite”.

Le attività svolte nelle RSA devono porre in primo piano la persona. Sono essenziali pertanto: l’elaborazione di progetti individualizzati, cui concorrono il responsabile sanitario della struttura ove presente, il Medico di Medicina Generale, l’infermiere, l’assistente sociale, l’animatore, il terapista della riabilitazione.; l’integrazione e il coordinamento nell’operatività delle varie figure professionali sul singolo caso; la flessibilità operativa, considerato che il personale sanitario e assistenziale delle RSA è impegnato insieme a garantire il soddisfacimento dei bisogni primari della persona, che sono strettamente correlati tra loro.

Particolare attenzione, nell’elaborare il progetto individualizzato, dovrà essere posta alle esigenze di tipo relazionale degli utenti attraverso momenti di

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socializzazione.

Devono inoltre essere garantite alle persone utenti il rispetto dei loro diritti, la loro riservatezza,il rispetto della loro personalità, anche mediante la personalizzazione degli mbienti, la valorizzazione della persona attraverso una particolare cura dell’aspetto fisico, la promozione del rispetto del patrimonio culturale, politico e religioso di ciascuno.

LE NORMATIVE

Il ruolo del MMG nell’assistenza diretta all’anziano era già previsto dagli ACN con la disciplina degli accessi facenti parte dell’ADI e dell’ADP senza nessuna distinzione tra il ricovero in RSA e la permanenza a domicilio.

L’ACN del 2005 per la disciplina dei rapporti con i MMG ha stabilito che debba essere erogata assistenza programmata ad assistiti ospiti in residenze protette ed in collettività sulla base di intese normative ed economiche raggiunte a livello regionale con i sindacati medici di categoria maggiormente rappresentativi in sede regionale(8).

La Regione Toscana ha emesso la delibera n. 597 (9) con la quale sono state recepite le “direttive per l’erogazione dell’assistenza programmata di medicina generale a soggetti ospiti in residenze sanitarie assistite e in residenze assistite”.

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Successivamente d’intesa con le OOSS dei medici di medicina generale , il Settore competente della Direzione generale del diritto alla salute ha ritenuto opportuno, al fine di migliorare ulteriormente l’efficacia e l’efficienza dell’assistenza sanitaria agli ospiti delle RSA nonché semplificare i percorsi organizzativi necessari, fornire le nuove direttive integrate e modificate rispetto a quelle contenute nella delibera 597/05 (10).

I punti essenziali sono i seguenti:

..”vengono assicurate dai medici di assistenza primaria tutte le prestazioni sanitarie previste dall’ACN vigente...anche in momenti diversi dall’accesso programmato..”(art. 2,comma 1).

…il medico di assistenza primaria assicura a ciascun ospite che ha effettuato la scelta in suo favore le seguenti prestazioni aggiuntive:

-controllo periodico sullo stato di salute

-controllo sulle condizioni igeniche e sul conforto ambientale

-indicazioni al personale infermieristico per la effettuazione delle terapie da annotare sul diario clinico allegato alla cartella clinica.., indicazioni al personale di assistenza con riguardo alle peculiarità fisiche e psichiche di ciascun ospite

-indicazioni circa il trattamento dietetico..

-collaborazione con il personale del servizio sociale per

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il mantenimento dei rapporti con la famiglia e l’ambiente esterno

-tenuta di un apposito diario clinico sul quale sono annotate le date delle prestazioni effettuate, le considerazioni cliniche , la terapia, gli accertamenti diagnostici, le richieste di visite specialistiche,le prestazioni extra eseguite, le indicazioni del consulente specialista

-la predisposizione e l’attivazione, insieme al personale infermieristico e riabilitativo, di “programmi individuali”…e la loro verifica integrata periodica

-la verifica dell’attuazione dell’eventuale Piano predisposto dall’UVM

-l’attivazione degli interventi riabilitativi, internamente alla struttura utilizzando il personale dedicato, o esternamente alla struttura secondo i criteri definiti dalla 595/05

…durante la presenza in struttura, il medico garantisce l’assistenza anche ad altri ospiti che non hanno effettuato la scelta in suo favore in caso di condizioni cliniche che controindicano un differimento dell’intervento assistenziale…(art.3,comma1).

… il medico di assistenza primaria garantisce agli ospiti non autosufficienti una presenza ogni 5 pazienti o frazioni di 5; le presenze dovranno essere cadenzate con regolarità e concordate con il medico di distretto (per le strutture convenzionate) nell’ambito di una organizzazione complessiva degli accessi dei medici di

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assistenza primaria alla singola struttura. Pertanto ogni 5 pazienti dovranno essere effettuate 5 visite nel corso di una sola presenza(art. 4,comma 3), dove per “presenza” si intende il tempo che il medico dedica ai suoi pazienti; mentre per “accesso”si intende il momento all’interno della struttura durante il quale il medico, in forma programmata, prende in carico l’assistito occupandosi della sua salute mediante precisi compiti ( art. 4, comma 1).

Nei riguardi degli ospiti di RSA che presentano una complessità clinica la frequenza dell’ intervento del medico di assistenza primaria sarà, di norma, due volte al mese. Il medico di assistenza primaria si avvale , per l’attuazione del “piano di cure” anche del geriatra e/o degli altri specialisti necessari (art. 4, comma 4).

Il medico di assistenza primaria, nell’ambito del piano di interventi definito dall’UVM, ha la responsabilità unica e complessiva del paziente (case manager), segue le diverse fasi attuative del piano di intervento individualizzato, coordina la scheda del paziente, attiva le eventuali consulenze specialistiche, gli interventi infermieristici e sociali programmati, coordina gli operatori per rispondere ai bisogni del paziente (art.4 comma 5).

Il medico di distretto promuove riunioni periodiche, presso le RSA convenzionate, con i responsabili delle attività sanitarie distrettuali…allo scopo di verificare l’efficienza e l’efficacia del processo erogativo (art.11,comma 1).

Alle riunioni devono essere invitati , in orari

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concordati, i medici convenzionati in relazione ai singoli problemi assistenziali in discussione….e il medico di assistenza primaria, invitato con sufficiente anticipo, è tenuto a parteciparvi (art.11,comma 2, 3).

L’ASSISTENZA MEDICA IN RSA

Stiamo oramai assistendo ad un progressivo cambiamento, per cui le persone che necessitano di una struttura residenziale sono non solo più anziane e più dipendenti, ma anche accompagnate da più problemi clinici contemporaneamente. L’aumento delle età dei ricoverati in RSA ha trascinato con sé un aumento di dipendenza ed instabilità clinica e vi è pertanto nei degenti un’alta quota di problemi sanitari specifici(11).

Il peso della instabilità clinica e dei problemi sanitari sta caratterizzando anche le domande di ammissione ai servizi residenziali (12).

A questo aumento di bisogni sanitari specifici può aver contribuito l’avvento dei DRG ospedalieri, per cui i malati sono dimessi” sicker and quicker”, cioè più malati e prima. Questo andamento è confermato da alcuni studi che hanno messo in evidenza come l’introduzione dei DRG ha consentito risparmi di degenze in ospedale che si sono tradotte in un maggior onere per il sistema socio-sanitario di “long term care”, per la maggior quota di disabili alla dimissione.

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Molti ospiti delle Rsa sono pazienti dimessi precocemente ed in condizioni spesso più critiche rispetto al ricovero in ospedale che necessitano di una assistenza sanitaria molto complessa come la gestione di cateteri venosi centrali, sondini naso –gastrici, PEG, cateteri vescicali, medicazioni avanzate di lesioni da decubito: tutto ciò a totale carico professionale ed economico del territorio quindi del Mmg, dell’ Assistenza Domiciliare (ADI e ADP), dell’Ospedale di Comunità, delle RSA pubbliche o private e delle famiglie con l’ormai consolidato e più spesso inevitabile ricorso alla figura della “badante”.

Fino agli inizi degli anni ‘90 il bisogno assistenziale dell’anziano e del disabile veniva garantito oltre che dalle famiglie, dal volontariato, attraverso gruppi che dedicavano il loro tempo libero all’assistenza diretta, anche remunerata, che comunque restava a totale carico delle famiglie.

I noti fatti politico-sociali internazionali di quell’epoca, con l’affermarsi del fenomeno dell’immigrazione dai paesi dell’Est Europeo, hanno messo a “ disposizione “ dell’Occidente un gran numero di persone bisognose di occupazione che si sono riversate nell’assistenza agli anziani ed ai malati cronici che negli stessi anni, come già ricordato, diventava sempre più richiesta.

Ci sono voluti quasi 20 anni prima che il legislatore in Italia si occupasse di regolamentare un complesso di attività dove spesso l’illegalità imperava. Anche le Regioni si sono naturalmente fatte carico di questo

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problema promuovendo, con apposite Delibere, l’istituzione, ad esempio, dei “bonus” o il “voucher” sociosanitario, fino ad arrivare a progetti specifici per la regolarizzazione dei rapporti di lavoro nel campo delle attività di cura delle assistenti che operano a domicilio. Un esempio è il progetto “ Un euro all’ora” promosso dalla Provincia di Siena, rivolto sia alla regolarizzazione dei rapporti di lavoro con le badanti, sia alla loro formazione professionale in collaborazione con le famiglie tramite l’erogazioni di contributi. Tutto ciò nell’ambito del principio conduttore della politica regionale che promuove il mantenimento a domicilio’ ove possibile dell’anziano “fragile”. Nel 2009 La Regione Toscana ha stanziato 50 milioni di euro per rilanciare l’attività assistenziale domiciliare, comprendendo anche l’attività della badante.

È evidente come in tale nuovo scenario, le RSA debbano rispondere a criteri di appropriatezza oltre che di efficienza ed efficacia. Pertanto la risposta finale non può essere solo: più anziani con più bisogni = più RSA, quanto: più anziani con più bisogni = RSA migliori. Anche per scongiurare ed azzerare quei fenomeni di ”malasanità” e “malassistenza” nelle RSA, che troppo spesso hanno occupato le pagine di cronaca dei quotidiani degli ultimi tempi.

Attualmente sempre più spesso, si riscontra nell’anziano l’associazione della disabilità fisica e psichica, per l’aumento enorme delle demenze senili, per cui in Europa si parla di raddoppio di prevalenza di tali malattie ogni 5 anni a partire dai 65 anni. Ma nelle residenze la prevalenza arriva al 50%, e per alcuni, se

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consideriamo tutta la patologia psichica e non solo le demenze, si arriva al 90% dei ricoverati.

Un altro elemento da considerare riguarda la specificità della disabilità nei ricoverati di età sempre più avanzata che caratterizza la RSA: diventa prevalente la quota di persone che sono disabili non per fatti improvvisi e catastrofici, come malattie o traumi, ma per un insieme di morbilità, ciascuna delle quali da sola non sarebbe in grado di condizionare l’autonomia ma che insieme determinano l’incapacità e la dipendenza.

Per gli anziani ricoverati la malattia non è un avvenimento successo “prima” della disabilità, ma più spesso è uno dei più importanti segni e sintomi di una malattia che persiste, che accompagna nel tempo la disabilità.

Nelle RSA l’organizzazione delle cure deve essere pertanto adeguata alle esigenze dei malati e non può essere analoga a quella richiesta dal singolo malato curato al proprio domicilio. In realtà nella maggior parte dei casi non vi è alcuna differenza tra curare un malato anziano in ospedale e in una casa di riposo.

Come sostenuto da molti geriatri ed anche dal Ministero della salute, gli anziani malati cronici non autosufficienti ricoverati nelle Rsa necessitano di cure sanitarie continuative e quindi prestazioni di una équipe di medici, di infermieri, riabilitatori ed altri operatori che garantiscano interventi per complessive 10-12 ore al giorno; di assistenza medica anche nelle ore notturne, il sabato, la domenica e nei giorni festivi; ricevere cure sanitarie tempestive adeguate all’interno

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delle Rsa nei frequenti momenti di crisi o acuzie evitando, salvo i casi di assoluta necessità, inutili, dolorosi e costosi spostamenti al Pronto Soccorso; avere in tutta la misura del possibile le occorrenti prestazioni specialistiche nelle Rsa in cui sono ricoverati.

La concordanza fra gli orari previsti dai piani di lavoro di una struttura complessa, che deve tenere conto delle esigenze di diverse figure professionali, e quelle di un professionista con molteplici attività esterne, non è facile da ottenere. Inoltre spesso emergono difficoltà di integrazione fra le procedure operative della Struttura e lo “stile personale” di lavoro del professionista, che è comunque differente per i diversi medici di medicina generale che intervengono nella Struttura con conseguenti differenze nei trattamenti sanitari ricevuti dai diversi ospiti.

Il Medico di Medicina Generale dovrebbe quindi collaborare attivamente con tutte le figure professionali coinvolte nell’assistenza (operatori socio-sanitari, infermieri professionali, fisioterapisti, psicologi ), oltre che con l’ospite e i suoi familiari, quando in realtà la sua presenza è limitata alle ore settimanali previste dalla convenzione e non sempre adattabili alle esigenze della struttura.

Si viene spesso a definire una situazione in cui il Medico curante intrattiene un rapporto privilegiato con il personale sanitario della Struttura (capo sala, infermiere professionale), da cui riceve informazioni riguardanti i problemi di carattere sanitario e a cui

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riferisce, sia attraverso la documentazione sanitaria prevista sia direttamente, eventuali variazioni della terapia, provvedimenti di carattere generale, necessità di approfondimento. Saltuariamente il rapporto si estende al fisioterapista e allo psicologo di fronte situazioni particolari.

Anche il rapporto con i familiari è, in molti casi, mediato dal personale sanitario della struttura che inevitabilmente, essendo presente sulle 24 ore, accoglie direttamente osservazioni, richieste ed impressioni del parente, trovandosi a dover gestire addirittura contenziosi riguardanti decisioni, azioni e comportamenti del medico.

La mancanza di una presenza medica continuativa (attiva o reperibile) sulle 24 ore, con funzione di cura, condiziona inoltre la possibilità di gestire situazioni con carattere di urgenza od emergenza, o di marcata instabilità clinica.

Secondo le attuali norme regionali è possibile che nelle strutture residenziali manchi il medico e addirittura anche l’infermiere professionale, per alcune ore al giorno; in ogni caso durante la notte e nei giorni festivi è necessario fare ricorso ai servizi di urgenza-emergenza territoriale (continuità assistenziale, 118) e il medico che interviene in queste situazioni non conoscendo il paziente, spesso molto complesso, e non potendone seguire il decorso, propone nella maggior parte dei casi un ricovero ospedaliero.

Anche una temporanea condizione di elevata instabilità clinica, pur in assenza di elementi di reale

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urgenza, rende il trasferimento in ospedale quasi obbligatorio per garantire chi necessita di un monitoraggio costante, le necessarie prestazioni sanitarie, ed è purtroppo ben noto come un periodo di ospedalizzazione possa creare non pochi problemi legati all’instaurarsi di una sindrome da immobilizzazione in un paziente anziano e fragile.

Alcune Regioni hanno imposto, attraverso le Dr, la presenza di un responsabile sanitario nelle Rsa, preferibilmente geriatra, per tutelare l’ospite garantendo una doppia verifica delle prestazioni rese fra struttura e medico convenzionato con la Asl a prezzo però di una “divisione della cura” . In questi casi infatti la responsabilità sanitaria della struttura e la responsabilità sanitaria del singolo MMG sulla cura dell’ospite sono state definite in modo piu’ o meno preciso a discapito dalla “presa in carico globale” della persona.

Spesso i pazienti ospiti temporanei delle RSA non ricevono, nel breve periodo di permanenza, nemmeno la visita programmata da parte del proprio medico di medicina generale, prevista dalle normative vigenti.

Inoltre la visita programmata mensile per ogni assistito in RSA è sicuramente insufficiente a garantire la copertura dei bisogni derivanti dalla sua complessità. L’anziano autosufficiente spesso si reca nell’ambulatorio del proprio medico curante anche tre volte alla settimana quindi ben poca cosa, per l’anziano in RSA, è l’accesso mensile. Forse una migliore organizzazione si otterrebbe dalla riduzione del

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numero totale dei MMG afferenti ad ogni singola struttura, garantendo così una loro presenza più attiva e continua nell’ottica di una reale “continuità assistenziale” e non solo formale.

In molte Regioni sono stati raggiunti accordi locali con le OOSS per la regolamentazione del “Medico in Struttura” all’interno delle RSA. Un esempio viene dalla Regione Valle D’Aosta dove un progetto sperimentale prevede la presenza di un medico di assistenza primaria in RSA per venti ore settimanali, suddivise tra giorni feriali e festivi, individuato tra i Medici convenzionati di Assistenza Primaria resisi disponibili e operanti nell’ambito territoriale del Distretto.

Esistono inoltre precise norme di accreditamento, anche in Toscana, per le RSA che fissano in modo preciso requisiti, standard di sicurezza, rapporto tra anziani ricoverati e personale sanitario, compresa la figura del Medico Specialista con competenze nella lungodegenza.

E’ quindi necessaria una sempre maggiore integrazione tra le diverse figure sanitarie che intervengono nelle RSA affinchè l’attività medica divenga davvero “una presa in carico sia della salute che della malattia, quindi del percorso fisiopatologico che lega malattia e disabilità, con attuazione di programmi di terapia che si integrino con i programmi di sostegno globale alla persona attuati dalla equipe di cura. Il MMG non interviene ad aggiustare il guasto, ma è corresponsabile della qualità di vita e di cura del residente nella struttura” (dalle Linee guida della

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Società Italiana di Gerontologia e Geriatria per le RSA).

Con lo stesso spirito con il quale sul territorio si sta sviluppando un nuovo modello di assistenza e di medicina di iniziativa, nel 2009 l’Azienda Sanitaria Locale 7 di Siena ha raggiunto un accordo con l’Azienda Ospedaliera Universitaria Senese per regolamentare e promuovere la Continuità Assistenziale per il paziente complesso istituendo l’ “Accesso Agevolato ai Servizi dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Senese”, con lo scopo di:

-favorire la continuità assistenziale e migliorare il collegamento e l’integrazione ospedale-territorio e territorio-ospedale

-ridurre gli accessi impropri al P.S. migliorando l’assetto organizzativo nel raccordo tra territorio ed ospedale nella gestione di questa tipologia di pazienti

-garantire ,ove opportuno e possibile, in prima istanza le visite specialistiche a domicilio evitando di aggiungere il disagio del trasporto a pazienti molto fragili.

La procedura riguarda prevalentemente i pazienti affetti da patologie cronico-degenerative altamente invalidanti, anche in fase molto avanzata ed i pazienti assistiti a domicilio o ricoverati presso strutture riabilitative territoriali e/o ospedaliere e pazienti ricoverati presso le RSA, Ospedali di Comunità o nei moduli di cure Intermedie.

La responsabilità della prescrizione per

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l’inserimento del paziente in questo percorso di accesso agevolato è di competenza del MMG e per i pazienti ricoverati nelle strutture riabilitative territoriali e/o ospedaliere è di competenza del medico responsabile della struttura ove presente.

E’ auspicabile che le RSA, con la collaborazione attiva dei MMG, adottino sempre più questo tipo di procedura al fine di coordinare gli interventi ambulatoriali specialistici e rispondere prontamente alle esigenze diagnostiche e terapeutiche degli assistiti, indirizzando i propri ospiti in percorsi condivisi e coordinati, riducendo così i tempi di attesa e gli accessi impropri al P.S.

RSA E CURE PALLIATIVE

“Gli americani vogliono morire a casa, circondati dalla famiglia e dagli amici, senza soffrire e con il pieno controllo della loro esperienza di morte. La realtà dei fatti è proprio l’opposto, le Nursing Home non sono preparate a prendersi cura dei morenti”(13).

Gli studi condotti negli USA negli ultimi anni denunciano, relativamente alle cure di fine vita, una situazione abbastanza chiara, per certi versi contraddittoria e forse non diversa da quella dell’ Italia. Infatti un numero sempre più alto di persone muore nelle NH; il personale delle NH non è preparato a prendersi cura dei malati terminali; la valutazione e la

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cura del dolore sono largamente insufficienti; il ricorso all’hospice nelle NH è molto raro nonostante la grande diffusione di questi servizi nella realtà americana (13-14-15).

Sembra insomma che quello che L. Tolstoj definì “quell’attimo formidabile e solenne che è la propria morte” avvenga, nella maggior parte dei casi, in un posto inadeguato, tra persone non preparate e in condizioni di sofferenza.

La storia delle nostre RSA , storia che negli ultimi 15 anni ha subito una brusca accelerazione legato alla pressione del fenomeno dell’invecchiamento, converge su un aspetto che riflette in modo inequivocabile la realtà, per quanto poco attraente sul piano dell’immagine, che la RSA è il luogo dove si muore, dove le persone vanno a trascorrere l’ultima fase della loro vita.

Anche se negli ultimi anni in certe regioni d’Italia si è opportunamente valorizzato il ruolo vitale delle RSA (la riabilitazione, i ricoveri temporanei, i centri diurni), è innegabile che l’immagine più forte, e più radicata nell’immaginario collettivo, è quella della casa di riposo ultima stazione della nostra esistenza.

Appare quindi stridente che l’Istituto dove si muore sia anche il luogo ove non esiste cultura del morire, con operatori non preparati ad affrontare questa fase della vita.

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Di fatto, se pensiamo a quanto poco spazio si è dato nei programmi formativi, anche ai MMG, alla cura del dolore ed alle scelte di fine vita ( assistenza tecnica e spirituale al malato terminale), non dobbiamo stupirci della diffusa impreparazione.

I motivi di questa negligenza formativa probabilmente ci sono e in qualche caso profondi o inconsci: se si vuole forse, in questo modo, rimuovere la sgradita etichetta di Istituti dove si muore; non si vogliono affrontare tematiche che impegnano la coscienza o la fede di ciascuno; o forse più semplicemente, anche le RSA partecipano all’epocale processo di rimozione della morte che colpisce le società sviluppate.

Quali che siano le motivazioni è certo che le RSA accolgono anziani fragili, con una età media sopra gli 80 anni ed una sopravvivenza breve dopo il ricovero.

Nonostante l’entità del fenomeno, pare esista scarsa attenzione al problema e che l’impegno di chi lavora nelle case di riposo sia rivolto alla riabilitazione, al mantenimento delle funzioni residue ed alla cura delle condizioni acute intercorrenti che spesso colpiscono gli anziani ricoverati .

Di fronte alla crescente instabilità clinica degli anziani ed all’impegno sanitario che essi richiedono, la tensione professionale è rivolta alle istanze di recupero, spesso ignorando le problematiche di fine vita, tra cui in la cura del dolore e l’assistenza spirituale.

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La delicatezza del ruolo del MMG nella RSA coinvolge anche la relazione con i familiari degli assistiti, soprattutto per gestire molto spesso le esigenze dei familiari stessi e non quelle dell’anziano, con le false speranze ed illusioni che aleggiano intorno alle cure dei malati cronici e terminali.

Essendo luogo di assistenza, cura e residenza, le RSA non possono più rimanere estranee alla medicina palliativa. “Palliativisti” sono tutti coloro che possono contribuire ad alleviare il dolore: il medico che cura i sintomi, l’infermiera che accudisce il malato, lo psicologo che aiuta la comunicazione, l’assistente sociale che aiuta la famiglia, l’assistente religioso che aiuta a ritrovare il senso della vita e della morte. La valutazione e la cura del dolore, inteso come sofferenza del corpo e della mente, devono entrare nelle case di riposo, insieme alle scelte terapeutiche ed assistenziali che condizionano le ultime fasi della vita ( nutrizione, idratazione).

Queste scelte vanno supportate da una conoscenza tecnica ed etica e non lasciate, come accade spesso, al caso o all’emergenza, rischiando di rappresentare involontariamente fenomeni di accanimento terapeutico o, al contrario di eutanasia passiva.

Nel nostro Paese, dopo la cultura della riabilitazione, deve nascere la cultura della palliazione. Il termine palliativo ha la sua radice etimologica proprio dal latino “ pallium” = mantello e il senso di coprire, avvolgere, proteggere (come un mantello) è quello che più si avvicina al significato che si vuole

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attribuire al termine palliativo inteso come il rimedio o intervento che tende ad alleviare i sintomi e le conseguenze di una malattia, senza intervenire sulle cause e quindi senza ambire alla guarigione della malattia stessa.

Argomento delicato è quello delle cure di fine-vita effettuate sui malati di Alzheimer nelle RSA.

Considerando l’epidemiologia della M. di Alzheimer (entro il 2020 si prevedono in Italia 213.000 nuovi casi di malattia ogni anno), i risultati di un recente studio non testimoniano soltanto un’assistenza spesso poco adeguata alle necessità di questi malati quando giungono in fase avanzata, ma anche un vero e proprio limite metodologico delle cure palliative attuali. È importante sottolineare che in tutto il mondo, e anche in Italia, le cure palliative sono state “disegnate” essenzialmente sul malato neoplastico avanzato e i malati di demenza terminale, che nei prossimi anni diventeranno più numerosi di quelli di cancro, hanno caratteristiche e necessità ben diverse(16).

Ma se è vero che in Italia è ancora carente la cultura della palliazione a tutti i livelli professionali, è altresì vero che nelle nostre RSA è diffusa, nel personale di contatto, una sensibilità nei confronti dei malati gravi, talvolta profonda e ricca di connotazioni persino tenere e affettuose. Manca l’impianto di conoscenze teoriche o l’adesione consapevole a procedure e linee-guida, che garantiscano un’efficace e professionale risposta ai bisogni; è presente però una forte componente umana

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di sensibilità e attenzione alla persona, che costituirebbe un’ottima base di partenza.

La morte come fase da gestire è ancora assente dal bagaglio professionale di molti medici che, pur abituati a lavorare con malati che non guariscono, sono così impregnati di quella impostazione ideologica che vede la medicina trionfare sulla malattia, da faticare ad accettare di affrontare le ultime fasi della vita come una transizione da gestire con strumenti tecnici oltre che umani.

Il compito nuovo delle RSA, oggi, è quello di affiancare alle competenze assistenziali e riabilitative, indirizzate al miglioramento, alla guarigione e al recupero, competenze palliativiste: ancora una volta alle RSA, un po’ casa e un po’ ospedale, un po’ istituzione un po’ residenza, si chiede la duttilità organizzativa e culturale necessaria per garantire ai malati terminali di uscire da questo mondo “con dolcezza e serenità”.

Il primo attore che dovrebbe appropriarsi del ruolo di “palliativista” è proprio il MMG collaborante nelle RSA, che troppo spesso è tecnicamente e psicologicamente impreparato a questo compito e piu’ in generale alla rivisitazione del complesso rapporto medico-paziente in una fase così delicata della vita dell’anziano.

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8. Art. 53, comma 1, lettera c dell’ACN 23/03/2005

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10. Delibera della Giunta Regionale n.597 bis

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INDICE

Introduzione…………………………………………………pag. 2

Alcuni dati statistici………………………………………pag . 3

La situazione in Toscana………………………………..pag. 12

Le RSA…………………………………………………………..pag. 14

Le normative…………………………………………………pag. 17

L’assistenza medica in RSA…………………………….pag. 21

RSA e cure palliative……………………………………...pag. 30

Bibliografia……………………………………………………pag. 36

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