Seveso Art Fair #000.1

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Staff:b-art contemporary - Riccardo Bianchi, Fabrizio Fortinipiscinacomunale - Adriano Pasqualifake gallery - Allegra Violante von Stroheim

Testi:Riccardo BianchiJusep Torres Campalans Giorgio CecconiFabrizio FortiniTakeaway GalleryLorenzo ManentiFranco MigliaccioRenè PascalCarmelo Violi

Immagine originale di copertina e retro copertina:Danilo Pasquali(le due immagini sono state digitalmente rielaborate in accordo con l’artista)

Stampa:Vanitas Studio

Grafica:Maurizio L’Altrella

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A cura di:Riccardo Bianche

Jusep Torres CampalansMarica Messa

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Intro

b-artcontemporary apre un altro luogo all’arte contemporanea: dopo il salone dei bassorilievi del Palazzo di Giustizia di Milano, dopo avere trasformato un minimarket in una nitidissima galleria, ora, grazie alla generosità del Sig. Vittorio Zanutto, abbiamo la nostra prima area industriale. Una splendida area, quella Schwarzenbach di Seveso, esempio di archeologia industriale giunto a noi dalla metà dell’800. Naturalmente occupiamo una porzione, peraltro splendida con le colonne in ghisa e il controsoffitto in legno, gomito a gomito con le varie attività produttive e professionali esercitate in loco. Lo spazio a nostra disposizione trasuda la storia di chi ci ha lavorato, in un’accumulazione ultracentenaria di umori che ricoprono ogni cosa.Immediata l’associazione mentale con la sala delle Cariatidi del Palazzo Reale di Milano, là un salone fastoso danneggiato dagli eventi bellici, qui un luogo dalle linee rigorose intriso e consunto dal lavoro dell’uomo, in entrambi una fortissima sensazione di sospensione tra ciò che è stato, quello che sarà e quello che avrebbe potuto essere.Non si sarebbe potuta trovare una situazione migliore per una seconda versione di Seveso Art Fair # 000 e quindi per lanciare .1. Per una crescita esponenziale e immediata abbiamo consolidato la collaborazione con Piscinacomunale e creato un contatto con la galleria virtuale Fake. Sull’onda dell’entusiasmo di #000 abbiamo coinvolto altri artisti e, in ossequio al principio di trasversalità che ci caratterizza, abbiamo “rubato”dei protagonisti musicali all’accademia G. Marziali e convinto degli amici attori ad essere della partita. Insomma il melting pot tra artisti, performer, musicisti e registi è davvero

eterogeneo e stimolante, proprio come piace a noi.

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DivagazioniLa scorsa estate abbiamo avuto una splendida querelle sull’arte contemporanea pubblicata dal Corriere della Sera, anziché le solite divagazioni e lodi di questo o quell’artista, abbiamo letto un dibattito sull’arte a più voci e a più riprese. Il tutto è iniziato con un’anticipazione del libro Jean Clair l’hiver de la culture nel quale il critico afferma una totale sconfitta della cultura e un’arte volta soltanto a stupire e dedita al marketing (corriere della Sera lunedì 8 agosto 2011 pag. 30). Di parere contrario Gillo Dorfles che cita alcuni artisti a riprova che l’arte è viva e che, se anche vi sono degli eccessi, la vitalità dell’arte è sotto gli occhi di tutti e solo un atteggiamento reazionario sarebbe alla base del radicale rifiuto dell’arte di oggi (Corriere della Sera, martedì 9 agosto2011, pag.34) Ancora sul tema scrive Arturo Carlo Quintavalle, il quale in una prospettiva storica ricuce tempi e spazi ed esprime l’impossibilità di indicare cosa sia nuovo oppure no e di stabilire gerarchie; l’elemento di discrimine sarebbe invece offerto dalle ideologie che determinano la scelta del linguaggio e quindi (aggiungiamo noi) la forma espressiva (Corriere della Sera, sabato 13 agosto 2011, pag. 47). Da ultimo leggiamo il pezzo di Alfonso Berardinelli che invoca una valutazione priva di preconcetti di ciascuna opera d’arte e sottolinea come l’ideologia dell’arte sia stata posta in discussione nell’ultimo secolo e ciò ha lasciato un’eredità scettica ed anarchica, spesso distruttiva (Corriere della Sera, Mercoledì 17 agosto 2011, pag. 43). Nel dibattito troviamo il senso dell’arte vivente, che sfugge all’instantanea catalogazione e necessita di essere vissuta e discussa, come hanno fatto i personaggi del mondo della cultura ai quali abbiamo appena fatto cenno. Il dibattito è il segno dei tempi, esprime vitalità intellettuale e diversità di approcci e non comporta necessariamente l’affermazione di una tesi sull’altra, perché è proprio il dinamismo critico che evidenzia la vitalità dell’arte; il confronto di oggi consentirà forse un giorno di scrivere con maggiore consapevolezza sull’arte del XXI secolo. Per provare a tuffarci nel dibattito (pur nella consapevolezza di non esserne all’altezza) potremmo osservare che nello studio dell’arte è necessario distinguere la componente ideativa artistica dal manufatto che ne deriva: a volte il manufatto presenta qualità estetiche, tecniche e di durabilità, altre volte no, ma questo non è un tema che occupa l’artista, il quale afferma, rappresenta, suggerisce una situazione intellettuale ed emotiva, indifferente all’opera in sé, che

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è strumentale all’espressione, ma non costituisce il fine ultimo della creazione. Il tema del manufatto riguarda quindi “gli altri”, quei fruitori dell’opera i quali, anziché cercare nel manufatto il segno del pensiero, si limitano a ricercare qualità oggettive che, semplicemente, potrebbero non esserci. L’oggetto d’arte può essere quindi deludente anche solo per la sua caducità e pochezza artigianale, pur essendo espressione di una condizione artistica assolutamente ispirata. Potremmo concludere che non tutta l’arte è idonea a soddisfare il desiderio di possesso attraverso la relazione con il bene materiale che la esprime, ma questo non costituisce un significativo indice riguardo le qualità di un artista.

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RingraziamentiAnche in questa occasione, tantissimi amici ci hanno aiutato, non possiamo che ringraziare:Vittorio Zanutto, Massimo Ballabio, Mauro Tremolada, Corrado Ballabio, Cleonice e Fabrizio Casari, Claudio Giaccari, Roberta Re Dionigi e Roberto Verderio.

Un sentito ringraziamento anche all’Accademia Musicale G. Marziali e in particolare al Presidente Giuseppe Cassina e al Direttore Artistico, Maestro Luigi Zanardi per la splendida disponibilità.

Merito anche a LABartcontemporary per la dedizione nell’allestimento.

Gli addiiMi piace salutare e ringraziare quattro grandi artisti che purtroppo ci hanno recentemente lasciato, un abbraccio a Lucian Freud, Roman Opalka, Cy Twombly e Richard Hamilton. Vi amiamo.

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Giuliano Cardella“incompiuta”

Giuliano Cardella propone un’elaborata installazione composta da decine di disegni e collage, ognuno con i caratteristici tratti dell’artista: da una parte immagini deformate, rielaborate e riaccostate mediante il collage, dall’altra semplici forme, ora dipinte con l’uso del carbon-cino e dell’acquarello, ora “sporcate” mediante l’aggiunta di colori acrilici, ora seminascoste da un sovrastante strato di nastro adesivo che fornisce suggestive trasparenze e profondità. Forme quasi stilizzate che paiono spesso provenire direttamente dal mondo onirico o dall’u-niverso infantile (molti infatti i bambini, “ritratti” in modo assolutamente personale).

Nell’installazione “Ordine Sparso”, l’eterno dualismo tra individuo e col-lettività, tra ordine e disordine, tra “compiuto” e “incompiuto”, tra armo-nia e caos viene rielaborato da Cardella in forma visiva.

L’Opera di Cardella è infatti volutamente “incompiuta” e “in divenire”: non esiste bozzetto, ma l’Opera stessa viene generata “provvisoria” a partire da un’intuizione o un’emozione dell’Artista e trova completezza solo rispecchiandosi nello sguardo e nell’emozione dello Spettatore che può così respirare la tensione creativa così come viene generata.

L’”Ordine” percepito alla vista dell’installazione è dunque “sparso”, im-mediato, irrazionale e come tale più sentito ed emozionante, come sug-gerito anche dai frequenti contrasti osservabili (da notare ad esempio in alcune Opere quello tra le forme istintive e irrazionali dipinte e le sot-tostanti formule matematiche, traccia della precedente “vita” del fram-mento cartaceo).

Le Opere dell’installazione sono pezzi unici, ma al contempo parti di un tutto di grande espressività e impatto. La disposizione apparentemente casuale delle Opere tende a popolare completamente lo spazio, sepa-rato da una vetrina eppure in intima connessione con lo Spettatore, il cui sguardo viene riempito quasi di prepotenza da forme e parole che do-nano un senso di smarrimento, ma anche di comunione con il profondo sentire dell’Artista e con l’ineffabile armonia delle diversità.

Takeaway Gallery

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Maurizio L’Altrella

Le “figure” di Maurizio L’Altrella appaiono e scompaiono nello sfondo che le circonda, uno sfondo monocromatico che è la visualizzazione di un processo che consuma l’immagine del soggetto, la svuota di alcuni elementi che la rendono determinata, completa, precisa, il ritratto di una persona. Maurizio costruisce i suoi quadri fermando questo processo verso l’indifferenziato quando la forma è ancora riconoscibile, ma una parte consistente della sua espressività è stata erosa, portata via. Quello che resta è molto: basta sempre per farci capire di che soggetto si tratta - se di un bambino, un adulto o una figura della mitologia - ma le caratteristiche individuali sono spesso compromesse. Queste immagini incomplete, monche alludono nello stesso modo alla loro originaria integrità e alla fine di quel processo di assorbimento nello sfondo che, probabilmente le porterà a scomparire. E’ una rappresentazione della perdita dell’innocenza, che per Maurizio è la forma piena e integra: nei suoi quadri non c’è mai, ma può essere ricostruita immaginativamente partendo da ciò che resta, da quei reperti che ancora resistono alla consunzione. La completa perdita dell’innocenza determinerebbe la scomparsa totale della forma, l’annichilimento dell’identità del soggetto. E’ tra questi due estremi che abitano i personaggi di Maurizio L’Altrella: hanno dentro se stessi la propria origine e la propria fine e le esprimono contemporaneamente in una domanda silenziosa sul proprio destino.La pittura di Maurizio L’Altrella ha il carattere della semplicità conquistata: nei suoi lavori sono completamente assenti qualsiasi elemento decorativo o compiacimento narrativo; il suo linguaggio è sostenuto da una forte istanza etica che è la stessa che c’è in lui come persona e come artista che si interroga su se stesso e sul mondo. Jusep Torres Campalans

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Pia LamaTavole anatomiche

L’installazione di Pia Lama trae forza dal “tracciato urbanistico” della città di Seveso reso con la giustapposizione di pieni e di vuoti, con un segno immediato e deciso che suscita profonda emozione. La grafite, il carboncino e la clorofilla dell’erba strofinata sul foglio come pigmento naturale ,a testimonianza di rinascita e rinnovata fiducia, conducono l’osservatore oltre le lacerazioni patite rese con efficacia dai lucidi incisi con il cutter.Sono” tavole anatomiche” inorganiche. Analisi profonde e sentite che ci appaiono e percepiamo come labirinti. Dall’essenziale intersecarsi di vie, delle quali alcune senza uscita, si deve trovare il percorso che conduce al centro, così come in una costante ricerca di sé. Nell’elaborazione dell’artista il labirinto supera il mito e torna ad assumere la valenza virtuosa e positiva del percorso difensivo posto a tutela di qualcosa di veramente prezioso, di un santuario interiore e nascosto dove vive intensamente la parte più misteriosa dell’essere umano. In questa ricerca ci guida ancora una volta un sottile filo di lana che , come quello di Arianna, conduce verso il luogo intimo e segreto dove è possibile ritrovare l’identità perduta.Straordinaria è l’efficacia della stratificazione urbana della città operata da Pia e tale da evocarne in un primo momento la storicizzazione iconografica .Il risultato diviene però oltremodo originale nel momento in cui supera con decisione le tradizionali rappresentazioni codificate dalla storia dell’arte. Non si tratta di riproduzioni più o meno realistiche di un agglomerato urbano, ma oltrepassano addirittura l’astrazione planimetrica della città mediante una sintesi estrema, ancorché caratterizzante che trova forza espressiva in un segno incisivo tracciato non senza sofferenza.Il risultato è quindi un efficace richiamo all’origine della città terrena dai primordi (che la tradizione vuole fondata per la prima volta da Caino) via via fino a quella odierna. È la città madre che riconduce al principio tutto femminile che concepisce e racchiude in sé, proteggendoli, i propri figli. È la città che raccoglie al suo interno gli abitanti in un nucleo famigliare esteso e vitale.Il tema sviluppato nell’opera dell’artista non può non evocare il testo dell’Apocalisse di Giovanni dove alla profezia della catastrofe succede quella della speranza.Il termine apocalisse, divenuto erroneamente sinonimo di tragedia

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cosmica, di eventi talmente devastanti da preludere agli ultimi giorni degli uomini, in realtà significa rivelazione, profezia.Ed è nell’opera di Pia Lama che è possibile intravedere il messaggio di speranza contenuto nell’Apocalisse dove la città per antonomasia, Gerusalemme, la “ Gerusalemme celeste”, appare come visione dettagliata e nitida non di un ritorno ad un passato idilliaco, ma come proiezione oltre la fine verso un avvenire che non ha precedenti. Giorgio Cecconi

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Lorenzo Manenti

Mi interessa relazionare il passato con il presente, la storia con gli eventi a noi contemporanei, incrociando le civiltà che si sono affrontate in quell’area geografica che pone il Mar Mediterraneo come proprio centro. Mi interessa indagare i confini e le affinità tra culture, porre dubbi e domande.

COS’E’ GERUSALEMME?“Cos’è Gerusalemme?” è un video a tre canali nato come resoconto di un viaggio a Gerusalemme. Ogni video indaga un luogo fondamentale legato alle tre religioni monoteiste che convergono in questa città: la basilica del Santo Sepolcro, in particolare la lastra marmorea sulla quale si crede che Gesù venne deposto dopo la crocifissione (The Holy Sepulchre). Il Muro del Pianto o Muro Occidentale, considerato dagli ebrei parte superstite del Tempio (The Western Wall). La folla di fedeli che il venerdi esce dalla Spianata delle Moschee, terzo luogo Santo per i musulmani dopo La Mecca e Medina (After the prayer).Ogni religione lega la sue credenze ai marmi e alle pietre, ogni religione interpreta la preghiera in modo differente, la fede le accomuna tutte. Ho concentrato le riprese esclusivamente sui fedeli evitando riti ufficiali di qualunque tipo. Questo video non ha nessuna pretesa di rispondere alla domanda “cos’è Gerusalemme?”, semplicemente si pone l’obiettivo di interpretare e svolgere la domanda stessa.

LA DIGNITA’ PRIMA DEL PANE“Islamic geometry” è parte di una serie (ancora in corso) pensata come tributo verso i movimenti della Primavera Araba. Mi rendo conto che vivere questi mutamenti storici dallo schermo televisivo a migliaia di km di distanza pone dei limiti alla percezione reale e profonda degli stessi. Questi lavori non contribuiranno di una virgola ad aiutare questi popoli, sono solo il mio attestato di stima per il coraggio di milioni di persone che hanno deciso insieme di riscrivere il loro destino. Queste composizioni rielaborano particolari architettonici e decorativi provenienti da ricerche nel web, da libri o da fotografie realizzate viaggiando in Medio Oriente.Si compongono di linee realizzate con nastri adesivi posizionati a livelli diversi e intervallati da strati di vernice trasparente o diluita con colori. La realizzazione pratica è lunga e laboriosa: essendo totalmente manuale richiede tempo e concentrazione costante. Gesti ripetitivi. Attenzione.

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Precisione. Come una lunga preghiera. Partendo dal centro ogni cosa deve essere al suo posto. Perché nell’arte islamica il punto centrale, da cui tutto nasce e diventa misurabile, può rappresentare Dio.

CONSTANTINOPOLE“Constantinopole” è una serie nata da un viaggio a Istanbul. Il punto di partenza sono alcune foto scattate ad una scultura raffigurante l’imperatore Costantino conservata nel museo archeologico. Sono la rappresentazione metaforica di questa città ai confini tra Asia ed Europa. Istanbul è struggente e ancora oggi conserva, nonostante la decadenza, le sue due nature: capitale cristiana dell’impero romano e capitale islamica dell’impero ottomano.

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Gabriele Memola

Il lavoro di Gabriele Memola è tutto mentale: è un universo stratificato di segni nel quale l’occhio a volte sembra perdersi ma che è assolutamente congeniale allo sguardo della mente. E’ bello seguire i gorghi e i grovigli di segni, leggere le parole che Memola scrive e nasconde nei suoi quadri: è come sintonizzarsi sulla lunghezza d’onda del suo pensiero. Sono quadri che invitano a “entrarci dentro”, a perdersi e quindi a trovare nuovi punti di riferimento per andare avanti: vanno esplorati, e questa esplorazione è anche temporale, perché Gabriele con il suo segno disciplinato e pulito fatto con il pennarello, scandisce e controlla il tempo. Seguendo i percorsi e i piani delle composizioni viene da pensare a quanto tempo l’artista ha impiegato per completare l’opera, come quando nelle grotte ci si chiede quanto tempo ci ha messo la natura a creare stalattiti e stalagmiti: la durata di un processo, del quale abbiamo di fronte l’esito finale, l’oggetto, come un fantasma accende la nostra immaginazione e genera un’esperienza.Il segno di Gabriele Memola non è caratterizzato in modo gestuale, è un segno costruito con pazienza, lentezza e precisione a formare quasi dei micro-moduli, che giustapposti e composti in modi diversi danno alle composizioni una dinamica e una fluidità particolarissime.Forse i quadri di Gabriele Memola sono una rappresentazione del funzionamento della mente stessa: diagrammi di correnti di informazioni, mappe immaginarie di aree cerebrali.

Jusep Torres Campalans

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Adriano Pasqualie René Pascal Adriano Pasquali e René Pascal, parlare di uno senza l’altro sarebbe strano: sono due artisti così vicini che a tratti si confondono. Non sono una coppia artistica nel senso usuale del termine, non lavorano mai insieme anche se condividono lo studio e spesso usano gli stessi materiali e le medesime tecniche. Non è semplice individuare gli elementi che li distinguono l’uno dall’altro: questi artisti sembrano poco propensi a rendere chiaramente riconoscibile il proprio lavoro, anzi spesso un quadro di Adriano diventa un pezzo della mostra di René , a volte un’istallazione di René porta la firma di Adriano. Il loro lavoro ha, sin dall’inizio una struttura aperta e plurale anche se è l’opera di un singolo, di una persona con la sua propria storia, differente da tutte le altre. René e Adriano, nella loro pratica artistica superano l’illusoria barriera dell’identità chiusa e definita verso una concezione transindividuale, fatta di sfumature e differenze. E’ indifferente sapere quali lavori siano stati effettivamente prodotti da Adriano Pasquali e quali da René Pascal: sono il frutto di una interazione continua tra due persone che mettono nella loro opera tutte le loro esperienze. La firma è un’etichetta, uno strumento per classificare, forse una finzione che gli lascia ancora dire: “Questo l’ho fatto io”: anche questo è un modo di ironizzare su se stessi e sulla figura dell’artista. La matrice comune, il legante che tiene uniti i lavori di questi due artisti è la passione per la parola e per la comunicazione in generale. Uno degli elementi del linguaggio che più hanno preso in considerazione, e che anzi hanno usato come un vero e proprio strumento di analisi è il gioco di parole: si può dire che tutti gli oggetti costruiti da questi due artisti non sono che giochi di parole: le loro opere sono giochi di parole divenuti oggetti; proposizioni tradotte nella lingua delle cose. Non credo si possa dire che le opere di Adriano e Renè abbiano un titolo: la frase o il nome scritto su un’etichetta di fianco ad una delle opere non ne spiega il senso, non ne fornisce una chiave di lettura ma è una parte dell’opera stessa. Renè e Adriano lavorano con immagini: mettono in relazione immagini verbali con immagini visive e, per lo più sono le immagini del senso comune: questi due artisti ci fanno riflettere su ciò che ci accade tutti i giorni, su ciò che diciamo e pensiamo quotidianamente; sul significato delle parole e delle cose che ci circondano mettendo in relazione le une

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con le altre. E’ una riflessione sulla bellezza e la plasticità dei linguaggi: le parole cambiano di significato, gli oggetti si caricano di emozioni e ricordi, noi cambiamo con i linguaggi e non siamo mai uguali a noi stessi, è questo che ci raccontano Adriano e René, con le loro voci che sembrano una sola. Descrivere e analizzare le opere di Adriano Pasquali e René Pascal è come spiegare una barzelletta: se ne rovina irrimediabilmente l’effetto. Come un motto di spirito, per funzionare devono arrivare istantaneamente all’intuizione, di sorpresa. Jusep Torres Campalans

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Gilda PezoneCieli Geometrie segrete

I dipinti di Gilda Pezone, oltre l’apprezzabile cifra stilistica, hanno fra loro in comune la titolazione la quale, come si puo’ immediatamente notare, fa spessissimo diretto riferimento al cielo.

I cieli dell’artista si presentano pero’ sempre diversi: rincorrono piacevoli

e mutevoli intonazioni cromatiche, seguono differenti tipologie

d’impostazione compositiva, ottengono esiti che sfociano in intensi

gradi d’emozionalita’; ma non sono sottomessi ad esempio, a quelle

simbolizzazioni stereotipate che attribuiscono alla volta celeste quegli

scontati caratteri di trascendenza e di spiritualita’.

Per Gilda il cielo e’ sinonimo di spazio; la spazialita’, infatti, risulta l’elemento

caratterizzante dei suoi dipinti. E’ una spazialita’ che non offre pretesti

a qualsivoglia apparizione mimetica, ma una configurazione di natura

concettuale, astrattiva, che si da’ autoformazione per via cromatica,

segnica e di materia. I cieli, definiti per tali vie, hanno un’apparente

definizione timbrica; a ben guardare ci accorgiamo pero’ che l’artista vi

perviene stratificando il colore per successive velature e sovrapposizioni

di una certa consistenza. L’effetto materico, prezioso e discreto, e’

raggiunto, oltre che dal colore, da un’adeguata preparazione del

supporto che mostra sottili pieghettature e che si offre alla materia

pittorica e alla luce esterna al fine di ottenere, per via d’addizione,

vibrazioni di rilevante sensibilita’.Il lavoro di Gilda si completa con l’introduzione di segni grafici e pittorici che non seguono un percorso semantico ma, semplicemente, si autodefiniscono come testimonianza autografa del se’, come elementi di una scrittura visuale, di un alfabeto interiore privo di significato oggettivo ma percorso da intimi fermenti interiori che danno senso compiuto allo spazio dipinto.Pur nella scia ancora vitale dell’Informale, l’artista sta conquistando una sua posizione originale e autonoma, disobbedendo ai dettami e alle normative del vecchio movimento, al quale contrappone un’organizzazione concettuale dello spazio; uno spazio sorretto sempre da geometrie segrete e contrassegnato da vive presenze cromatiche

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e interventi segnici che esprimono un modo di sentire fondato sulla sensibilita’ lirica, su un partecipato rapporto con il soggetto e con l’opera nel suo divenire, nel suo farsi forma.

Franco Migliaccio

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Carmelo Violi

Games in the city

Mi sono interessato agli spazi ricreati da case demolite. Ho osservato la bellezza delle pareti spoglie nel centro del quar-tirere De Gracia di Barcellona come nelle vecchie periferie milanesi. Da queste pareti è possibile leggere le tracce di interni domestici, intonaci di colori differenti, segni di muri di separazione, riquadri di piastrelle dai vari motivi, dove ogni appartamento aveva trovato la propria identità familiare prima della demolizione.Negli spazi ricreati dall’abbattimento di questi vecchi edifici, ho pensato di collocare i miei “Games in the city”, con pro-getti di intervento pittorico, simulazioni prospettiche, modelli di sculture/giochi, foto inserimenti. Carmelo Violi

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FAKE PROJECT ROOMRaphael Baldaya

Marcel KremerFelix Kupka

Napoleone MapelliCindy MingusGuerino Rossi

Testi a cura di Renè Pascal

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ELENA INSERRA/MARCEL KREMER

CHRISTIAN FONNESU/RAPHAEL BALDAYA

ELISABETTA PASSONE/CINDY MIGUS

GIANFILIPPO MARIA FALSINA LAMBERTI/FELIX KUPKA

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Raphael BaldayaPag. 65, 66-67, ”Me and my self one-twenty”,14 moduli cm 18x24, mixed media, 2010.

Giuliano CardellaPag. 16-17, 18-19, “Ordine sparso “, Installazione, 180 pezzi, tecnica mi-sta su carta (carta , collage, carboncino ,matita, tempera, acquerello, nastro adesivo, acrilico, legno, cartone e plastica), 2011.

Marcel KremerPag. 69, “Preiconic landscape”, cm 140x100, olio su tela, 2011.

Felix KupkaPag. 71, 72-73, “Conposition on a white space”, 13 moduli di dimensioni variabili, 2010.

Maurizio L’AltrellaPag. 21, “Grace”, olio e smalto su tela, cm 40x40, 2011.Pag. 22-23, “Eolic girl”, acrilico e smalto su telone gommato, cm 200x200, 2011.Pag. 24, “The scribe III”, olio e smalto su tela, cm 30x30, 2011.Pag. 25, in alto, “The scribe II”, olio e smalto su tela, cm 30x30, 2011.Pag. 25, in basso, “The scribe IV”, olio e smalto su tela, cm 30x30, 2011.

Pia LamaPag. 28, 29, 30-31, “Tavole anatomiche”, carta e lucidi, tecnica mista, 15 tavole, cm 70x50 , 2011.

Lorenzo Manenti Pag. 34, “CONSTANTINOPOLE 1”, gessetti, spray e lettere adesive su cartone e vetroresina, cm 152x198, 2009.Pag. 35, “CONSTANTINOPOLE 3”, gessetti, vernici, sabbia e lettere ade-sive su cartone, cm 178x218, 2009.Pag. 36-37, “COS’E’ GERUSALEMME?”, video mp4 a 3 canali, loop, 2011.

Napoleone MapelliPag. 75, senza titolo, tecnica mista su tela, cm 150x100, 2011.

Gabriele MemolaPag. 39, senza titolo , pennarelli acrilici su tela , cm 130x140, 2008.Pag. 40-41, senza titolo , pennarelli acrilici su tela , cm 140x190 2008.

Cindy MingusPag. 81, “You are here”, tecnica mista su tela, cm 150x100, 2011.Pag. 82, “It wes raining”, tecnica mista su tela, cm 150x100, 2011.Pag. 83, senza titolo, tecnica mista su tela, cm 150x100, 2011.

Adriano Pasquali/René PascalPag. 46Pag. 47, in alto,Pag. 47, in basso,Pag. 48, in alto,Pag. 48, in basso,Pag. 49

Gilda PezonePag. 52-53,“Cielo Rosso” , tecnica mista su tela, cm 110x160, 2005.Pag. 54, “Superficie”, tempera acrilica su tela, cm 120x100, 2011.Pag. 55, in alto, “Cielo Viola”, olio e acrilico su tela, cm 110x160, 2005.Pag. 55, in basso, “Cielo Nero” , tempera acrilica su tela, cm 110x160, 2005.

Guerino RossiPag. 81, senza titolo, tecnica mista su tela, cm 150x100, 2011.Pag. 82, senza titolo, tecnica mista su tela, cm 150x100, 2011.Pag. 83, senza titolo, tecnica mista su tela, cm 142x134, 2011.

Carmelo VioliPag. 57, 58-59, 60-61, “Games in the city”, progetti di intervento pittori-co, simulazioni prospettiche, modelli di sculture/giochi, foto inserimenti.

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