Seveso Art Fair # 000

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E' il catalogo della mostra organizzata a Seveso da b-artcontemporary dal 9 aprile al 14 maggio 2011

Transcript of Seveso Art Fair # 000

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grafica a cura di

by Giangiacomo Galliani

a cura diRiccardo BianchiJusep Torres Campalans

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b-art contemporaryAssociazione per l’Arte Contemporanea

Vira ColomboAdriano Pasquali

Pia LamaNino Tosto

Collettivo Aderenze

a p r i l e - m a g g i o 2 0 1 1

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Vira Colombo

Pia Lama

Adriano Pasquali

Nino Tosto

Collettivo Aderenze

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Per questo secondo evento di arte contemporanea a Seveso abbiamo pensato di riunire alcuni artisti di

provenienza e formazione eterogenea, tutti comunque impegnati nel vivere il

loro tempo e nel cercare di tradurlo e trasfigurarlo nelle loro opere.

Abbiamo privilegiato nella scelta delle opere la molteplicità dei linguaggi

espressivi, per accentuare le differenze, senza preoccuparci di cercare un

comune denominatore o una chiave di lettura unitaria. Nella diversità risiede

la logica dell’esibizione, in quanto manifesto dell’arte “viva”, che non si è voluta imbrigliare con elementi di

collegamento precostituiti.

Presentazione

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Si è così evitato di imporre agli artisti vincoli formali o sostanziali, concedendo loro uno spazio liberamente interpretabile. Proprio dall’idea che l’unico vincolo sia lo spazio fisico disponibile è nato il titolo della mostra, Seveso Art Fair # 000: come nelle fiere, ognuno mette in mostra il meglio di sé, senza curarsi troppo di che cosa espongano gli altri.

L’impostazione consente al visitatore di scegliere quale discorso artistico possa

essere più vicino alla sua sensibilità, quali opere lo colpiscano con maggiore immediatezza e quali magari necessitino di più tempo per essere apprezzate (o definitivamente escluse dal novero di ciò che piace). Il catalogo è quindi uno strumento per rivedere le opere anche dopo una prima visita, magari per decidere di farne una seconda.

La numerazione “000” è un auspicio di poter sviluppare nei prossimi – ipotetici - 999 eventi il nostro itinerario nell’arte vivente; siamo infatti consapevoli dell’impossibilità di attuare un lavoro di sintesi e di cristallizzazione di un corpo vivo che può essere oggetto di studio e con il quale si può interagire, ma che

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non può essere definitivamente giudicato se non a posteriori. Altri, dopo di noi,

potranno farsi carico della storicizzazione dell’arte di questi nostri giorni.

La nostra associazione si propone di vivere e fare vivere l’arte senza la pretesa

di formulare giudizi, vogliamo infatti incentivare studi, dibattiti ed eventi che

siano di stimolo agli artisti e al pubblico, per promuovere intellettualmente l’arte.

Il titolo della mostra vuole anche essere garbatamente ironico rispetto alla progressiva diffusione delle fiere d’arte e allora

anche Seveso, piccolo centro del nord Milano o forse dell’ovest della Brianza, può ambire ad avere la sua “Art Fair”, perché no?. Vorremmo inoltre cercare di associare al nome Seveso

valenze positive nell’ambito della comunicazione e, almeno per un breve periodo, fare in modo che inserendo “Seveso” in un

motore di ricerca non si abbiano come risultati solo “disastro” “diossina” “sottopasso”, ma anche “Art Fair: arte contemporanea ...” per favorire un po’ di entusiasmo, in tempi per molti aspetti

piuttosto mesti.

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chi sonoAbbiamo, ancora una volta, dato la nostra preferenza all’arte concettuale e all’astrazione, tuttavia i nostri amici più affezionati noteranno che, per la prima volta, c’è più che un semplice accenno alla figura, che viene declinata nelle opere di Pia Lama dove troviamo un’inequivocabile presenza femminile, nei lavori di Vira Colombo con immagini naturalistiche e nella “cara Cognata” di Adriano Pasquali.

Gli incontri con gli artisti sono stati occasioni di confronto sui temi dell’arte ed è stato umanamente molto bello superare la (loro) iniziale riservatezza e quasi prudenza nel mostrare e ancora più nel raccontare il loro lavoro, e creare un clima di complicità.

Abbiamo visto molte opere ed eravamo in

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difficoltà nella scelta, per questa ragione abbiamo deciso di destinare a ciascun artista uno spazio della galleria con totale libertà di decidere cosa portare a Seveso. Abbiamo anche garantito la possibilità di fare qualche “cambio in corsa”, ragione per cui durante la mostra sarà possibile qualche aggiunta o sostituzione di pezzi.

Qui di seguito anticipo alcuni aspetti che mi hanno particolarmente colpito dei lavori dei nostri artisti, per dare alcune prime indicazioni, che vedrete poi integrate nel prosieguo della pubblicazione.

Abbiamo quindi:

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è il nuovo progetto di Fabrizio Fortini che questa volta ha scelto di affidare completamente il lavoro ad un gruppo di artisti che si sono uniti per l’occasione: si è limitato a prefigurare in astratto la possibilità dell’opera e a fissarne i limiti spaziali e temporali. Tullio Fortini, Napoleone Mapelli, Riccardo Bianchi, Cindy Mingus e Guerino Rossi hanno ideato e realizzato una istallazione che comprende scarti di polistirolo su cui gli artisti sono intervenuti in vario modo, quadri e oggetti vari; quest’opera corale riempie e modula uno spazio sia fisicamente che dal punto di vista emozionale creando uno strano stato di sospensione: sembra di entrare di soppiatto in una stanza che è stata abbandonata un minuto prima.

Titolo dell’opera: “Non lasciare il cappello sul letto!”.

Collettivo Aderenze

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ha selezionato per Seveso lavori che sottendono una grande intellettualità, rivestita con grazia tutta femminile, in opere delicate e coinvolgenti; la grande installazione “Fratelli Karamazov volume secondo” realizzata sulle pagine del romanzo elabora una figura che è donna, ma anche keyhole, che trasforma così l’astante in un voyeur dell’esistenza. L’opera è anche un bellissimo tributo ai libri “di carta” che, a differenza delle pubblicazioni digitali, consentono utilizzi impropri comunque di senso compiuto e durevoli nel tempo.

Pia Lama

propone lavori figurativi con espliciti riferimenti naturalistici, tronchi e radici di alberi che nel loro avvilupparsi creano composizioni ove lo sguardo si addentra fino a perdere la visione naturalistica di insieme per seguire lo sviluppo di linee e intrecci che ci rendono estranea la dimensione reale. Il lavoro combina il tratto con il colore e la materia in un insieme di speciale armonia.

Vira Colombo

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Adriano Pasqualifa ampio sfoggio del suo acume e della sua capacità di trasformare l’osservazione sociale in opera d’arte. I suoi lavori propongono una rilettura grammaticalmente scansita di frasi di uso comune, dove rileggendo le parole, guardando le lettere e ponendo in discussione la formazione della frasi arriviamo a conoscerle e farle nostre, favoriti in questo anche dalla qualità formale del lavoro. Un’altra opera riporta una semplice ma toccante lettera dimenticata per errore in una fotocopiatrice, che diviene il fulcro di un lavoro multimediale di grande fascino. Pasquali ha preparato anche un intervento interattivo, volto a coinvolgere i visitatori della mostra.

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Nino Tosto dopo anni di lavoro in Sicilia sulla figura, sta ora mettendo a fuoco nel corso del suo soggiorno milanese un linguaggio astratto; il suo percorso personale richiama alla mente l’esperienza americana degli anni trenta e quaranta, quando si passò dall’immagine pittorica di paesaggio all’incontro con il surrealismo di matrice europea per giungere all’affermazione dell’espressionismo astratto; Tosto sviluppa la sua pittura verso un astrattismo di azione contenuto e guidato entro una dimensione geometrica che privilegia la regolarità dell’impostazione e l’andamento verticalizzante dell’azione. Azione che produce una composizione che appare strappata più che dipinta.

Nino Tosto

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Oltre la forma

Sentire e non vedere: questo è ciò che mi appartiene a livello di sensibilità e mi porta

ad una sintesi. Basta chiudere gli occhi per percepire e disporre degli altri sensi,

per approfondire la conoscenza. L’oggetto analizzato assume un aspetto diverso. Si

declina a seconda della sensazione del momento, della speciale concentrazione

intellettuale. È concreto, fiabesco, onirico, ludico... E da qui emerge l’anima; i segni

tracciati sono la fedele ricostruzione di scenari mentali. Si avverte il processo

di materializzazione delle idee. Questa fusione d’immagini e di percezione, voluttà

e sensualità, si declina nei vari aspetti del sentire man mano che gli stimoli vanno

dalla periferia ai centri nervosi per essere elaborati. Le pennellate nella mia pittura tracciano una storia che parte dal fondo

VIRA COLOMBO

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della tela e si arricchisce di materiali che rendono allusivo il dipinto. Sono tessuti, reti, corde, oggetti da cui parte un viaggio informale nell’astrazione, ma non solo. La superficie pittorica, tormentata dal collage, lascia affiorare immagini inconsuete. Sono brandelli di natura, tronchi e rami di ulivo, ma soprattutto radici. Il mio lavoro cerca di mettere in risalto ciò che comunemente non si osserva.

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ViraDai primi anni Ottanta la pittrice milanese Vira Colombo

dipinge la natura. Con una pennellata fluida e materica tratteggia uliveti, profili di montagne innevate, nature

morte, cavalli immersi nel paesaggio. Dagli anni Novanta i soggetti si fanno elusivi. La sua pittura, pastosa e ricca, è

stesa con decisione su una tela tormentata da un collage di stoffe, carte, corde. Da questa superficie affiorano figure

femminili, ma anche brandelli di natura. Le atmosfere sono sospese e hanno colori irreali, come in un puzzle simbolico

di sogni. A volte quelle tele si dilatano fino a ospitare paesaggi ampi come i fondali di un teatrino fantastico.

Quei paesaggi descrivono spesso gli uliveti delle colline dolci della Valtenesi, sul Lago di Garda. Ma in quei dipinti i luoghi sono pretesti. Assumono sempre una dimensione

fantastica. Negli ultimi anni l’artista si concentra sui dettagli. La natura, osservata a distanza ravvicinata, appare altro. Ci sono tronchi antichi, fronde tormentate dal vento, cipressi che si elevano con potenza monumentale, ma anche radici

tortuose. Così, una natura potente ed energica, vitale e fuori scala diventa spunto per un viaggio nuovo, irreale,

misterioso. Una strada aperta verso l’informale.

Cristiana Campanini

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I fratelli Karamazov vol. secondo

Quasi certamente è per puro caso che le pagine di uno dei due tomi, l’unico

rimasto, di Brat’Ja Karamazovy (I Fratelli Karamazov) di F.M. Dostoevskij

siano divenute coprotagoniste di una sorprendente e coinvolgente istallazione

di Pia Lama. Il forte impatto emotivo e l’intensa suggestione emanati dall’opera

hanno poco a che fare con gli avvenimenti narrati nel romanzo, potente sintesi del

conflitto devastante tra lo spirito credente e la concretezza della vita, lotta senza

quartiere tra il peccato che conduce alla perdizione e l’anelito di coscienza religiosa e sociale tesa a governare le passioni degli

uomini.

Pia Lama

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Le piccole stele di legno introducono immediatamente l’osservatore in un percorso ipnotico ricco di stimoli. Le figurette femminili, incorniciate da portali ad arco aperti in delicate e fiabesche architetture, inducono la mente e il cuore all’intima rievocazione di un avvenimento, segnano un confine oltre il quale ci si può avventurare con serena curiosità. Le piccole steli ripropongono, delicatamente, l’antica e universale funzione commemorativo-celebrativa, di limes e, perché no, funeraria ( il ciotolo posato sul bordo superiore è un chiaro riferimento alle sepolture delle comunità ebraiche).

Dinnanzi all’opera di Pia Lama si inizia un viaggio nella memoria. E’ un percorso ricco di simboli ancestrali. Quanto c’è di figurativo si condensa nell’estrema sintesi della figura umana. Presentandosi di volta in volta, come pieno o vuoto, soggetto o sfondo, ritta o capovolta la silhouette della figuretta femminile diventa la guida sfuggente che seguiamo non senza timore anche lungo percorsi dolorosi. Novella Arianna ci conduce a ritroso nei meandri del labirinto dell’esistenza e noi la seguiamo docilmente nell’intimo del dedalo di emozioni e di ricordi.

Non a caso il legno dipinto delle tavolette che si ergono dal suolo evoca la materia per eccellenza, la sostanza universale, la

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materia prima, “hyle” in greco ha lo stesso significato e indica letteralmente legno, ma per la liturgia cattolica il “legno” è la

croce - “ Che il nemico, vittorioso mediante il legno, sia vinto esso stesso dal legno”…

( Prefazione alla domenica della Palme).

Sulla parete il legno transustanzia in carta, foglio, pagina del libro, del romanzo mutilato, dimezzato. Non importa sapere se

ciò che resta è l’esordio o la fine del racconto. Non sappiamo se il disordine morale che tormenta l’uomo in preda alle inquietudini

delle passioni è già sfociato nella tragedia, se il delitto è stato

commesso e Dimitrj condannato.

Ora il libro, spaginato, non è più metafora dell’universo, genesi del mondo. Ha perso la valenza di contenitore di scienza e saggezza.

Nell’apocalisse un libro è al centro del Paradiso e coincide con l’albero della vita. Non è chiuso, materia vergine geloso custode

del sapere; non è aperto, materia fecondata e afferrata, appresa da chi lo guarda; ora le pagine hanno raggiunto, loro malgrado,per volontà superiore la libertà e la fragilità dei progenitori cacciati

dall’Eden.

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Su queste pagine, delicate come farfalle, si posa una ninfa, una figura femminile a volte trasparente, immateriale come una salamandra uscita dal focolare, altre volte impenetrabile e misteriosa, ambigua nel doppio ruolo di positivo e negativo, sempre e comunque protagonista. Non ci è dato sapere se ci osserva curiosa o ci volta le spalle indifferente. Soltanto la folta chioma di capelli fluttua, mutevole nel colore e nella forma.

C’è un filo che collega i fogli come simbolicamente un filo collega gli strati dell’esistenza tra loro e il loro principio, legame tra diversi livelli consci (inferno, terra e cielo) ma anche e soprattutto psicologici ( inconscio e subconscio). Nella interpretazione elementare il filo è lo svolgimento della “trama”, il destino, la filatura del tempo delle Parche. La struttura magnetica, ipnotica della istallazione di Pia Lama ci induce a seguire il filo dei ricordi e delle emozioni, ci fa attraversare la cruna dell’ago, simbolo della “ porta solare”, e uscire dal cosmo come la freccia scocca verso il bersaglio. E Pia, Sagittario, entrata per nascita nel IX segno dello Zodiaco ha fatto centro.

Giorgio Cecconi

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Incontrando l’arte di Pia Lama si ha la sensazione di conoscere e riconoscere

molte cose . Tuttavia, pur nella loro logica di codici, esse rimangono misteriose ed

indecifrabili.La percezione è del sentimento, è

l’aisthesis dei greci: conoscenza dei sensi che rimanda ad un significato originario. chiaro nei segni ma non trasformabile in

parole.Uniti al colore i materiali - la sabbia, la carta, la terra - sottolineano la ricerca,

l’idea di un percorso complesso dalle radici antiche, legato all’essenza della materia.

Nello stesso tempo i numeri, gli alfabeti, le figure appaiono chiari simboli del punto

dal quale la razionalità si è mossa per divenire espressione.

Lorenza Savi

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Presentare Adriano Pasquali significa parlare della “Piscina Comunale” spazio

d’arte in copisteria: una parete del negozio di Adriano che un giorno del 2002 Paolo

Barrile ha battezzato così, dandogli questo nome che sembra un puro non sense, ma che a distanza di anni suona ancora così

giusto e “naturale”. Spazio espositivo e copisteria occupano lo stesso spazio, ma

vivono in due dimensioni parallele.

Adriano Pasquali è un artista concettuale, si occupa di comunicazione

con una particolare attenzione per la lingua nelle sue manifestazioni quotidiane:

i modi di dire, i giochi di parole, i doppi sensi, gli errori che si fanno nel parlare e

nello scrivere comunemente sono la molla che fa scattare l’interesse di Adriano.

Adriano Pasquali

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Il suo è un lavoro che fa riflettere sul funzionamento del linguaggio, sul fatto che la comunicazione avviene – ad esempio - anche quando la grammatica e la sintassi non vengono rispettate: sono soprattutto le forzature a stimolare il lavoro di Adriano, quelle situazioni in cui la necessità di esprimere qualcosa determina un uso nuovo di una parola, una sfumatura particolare di significato o un termine gergale. Sono fenomeni affascinanti perché evidenziano quello strano accordo tra i membri della comunità dei parlanti sui concetti fondamentali che costituisce il presupposto della comunicazione stessa, quell’apertura e quella disponibilità all’altro che vengono dalla necessità di intendersi.

Dietro le parole, le lettere e i significati per Adriano ci sono sempre le persone e le situazioni, a lui interessano queste cose come fatti umani in relazione ad altri fatti umani: le scritture sono la manifestazione delle passioni, delle psicologie, della vita degli individui e ne fanno parte.

“Cara cognata” è un lavoro multimediale che nasce dal rinvenimento di una lettera e una fotografia Polaroid dimenticate nello sportello di una macchina fotocopiatrice del negozio. Il testo della lettera è stato letto da un’attrice e registrata, la voce risuona nella concept room in cui sono appesi, fiocamente illuminati

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alcuni quadri che riproducono frammenti della lettera e alcuni lavori in cui la

fotocopia della Polaroid diventa elemento di composizioni pittoriche.

E’ una lettera piena di errori e cancellature, scritta da una persona anziana che stenta a trovare le parole per esprimersi

eppure ascoltarne la lettura commuove subito: si crea uno strano effetto di straniamento per cui la voce che sentiamo sembra

quella della nostra mente che legge una lettera indirizzata a noi da qualcuno che conosciamo. Anche l’immagine della fotografia diventa stranamente familiare mentre ci ascoltiamo leggere con

un’altra voce.

La forza di quest’opera sta proprio nel fare emergere tutti gli strati di un fatto comunicativo semplice e usuale come una lettera:

ciò che è scritto lascia trasparire ciò che è stato taciuto o espresso solo a metà. Con la sua operazione Adriano Pasquali ha reso un

documento smarrito poesia.

“Gioca e non rompere i coglioni” è la frase che chiude il diario di Renato Pasquali. Nell’opera in mostra Adriano riprende questa frase, ci gioca: la riscrive, sezionandola su tele di diverso formato

che vengono disposte per terra in modo disordinato; il gioco della scomposizione della frase operata dall’artista e il “gioca”

della frase stessa – frase che, messa come epigrafe al diario di una vita assume una valenza esistenziale – rimandano l’uno all’altro:

Adriano ha fatto sua la frase di Renato (ha giocato con la frase stessa) e l’ha riproposta a noi, senza rompere i coglioni beninteso.

“La risma” è un lavoro interattivo, aperto in cui il pubblico è

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attore fondamentale; chi vorrà partecipare dovrà prendere uno o più fogli della risma che troverà alla mostra, portarselo a casa, farci un intervento (un disegno, una scritta o qualsiasi altra cosa) e spedirlo all’artista. Adriano Pasquali raccoglierà i lavori che gli verranno mandati e farà un catalogo che spedirà a tutti i partecipanti. Con questo progetto la mostra si proietta oltre se stessa nel tempo e nello spazio: ciò che avviene nella galleria non è che l’occasione, la prima fase di un evento d’arte che, per buona parte si svolge al di fuori della galleria e che non sarà nemmeno documentato nel corso della mostra. I ruoli tipici del mondo dell’arte perdono i loro contorni netti e sfumano l’uno nell’altro: il pubblico diventa l’artista, l’artista diviene il curatore e così via.Questo rimescolamento delle carte operato con ironia è il risultato di una profonda riflessione sulle categorie dell’arte della nostra epoca e un invito a vivere l’arte in modo attivo, a partecipare.

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“Il traduttore” è un’opera composta da tre documenti: un volantino cinese

originale riferito agli eventi di piazza Tien An Men, dalla sua versione in inglese e dalla traduzione dall’inglese all’italiano

fatta con il traduttore automatico di Google. Il testo originale è accessibile

naturalmente solo a chi legge il cinese; con la traduzione in inglese si ha il

passaggio da una scrittura ideografica ad una alfabetica con tutti i problemi che ne derivano e il traduttore meccanico

con la sua schematicità irrigidisce il testo nella caricatura del messaggio originale. Adriano in quest’opera riflette sul senso

e il funzionamento delle traduzioni, sulla persistenza dell’informazione che, magari

solo come residuo, resiste anche alle modificazioni più radicali.

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“HAHAHAHAHAHAHAHA” Nel codice dei Social Network la risata si esprime con una serie di A e di H alternate - come nei fumetti e nei libri del resto – e la lunghezza della sequenza dovrebbe essere direttamente proporzionale all’intensità della risata; la differenza sta nel fatto che su Facebook o su Skype si “segnala” che si sta ridendo, mentre nella pagina scritta di un romanzo o di un comic la fila di A e di H rappresenta in qualche modo una risata. L’opera di Adriano Pasquali allude proprio alle risate che troviamo nelle bacheche di Facebook, al loro essere dei semplici segni convenzionali che ci permettono di indicare uno stato d’animo di gioia che magari non c’è (anzi, che ci sia o non ci sia sembra quasi indifferente...), perché a volte non abbiamo voglia di mostrarci davvero, preferiamo assecondare chi comunica con noi e, per fare questo i Social Network sono uno strumento perfetto.

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detached

Potete incontrare Nino Tosto solo impegnato tra le sue tele o una sera al bar,

dove continua mentalmente a dipingere immerso tra la gente, ma estraniato dalla

socialità.

Tosto è un artista che crede che si possa ancora vivere e dipingere, dipingere

e vivere: crede fermamente che con il linguaggio della pittura ci si possa ancora esprimere in maniera efficace (la pittura è viva) e che l’individuo possa essere parte

della sua arte, quindi sincero, vitale ed entusiasta, poiché parte dell’opera che sta

realizzando.

NINO TOSTO

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L’artista è passato gradualmente dalla figurazione all’astrazione, una metamorfosi, un processo continuo di disgregazione della forma e del segno che lo ha portato a sviluppare un linguaggio pittorico di matrice informale in cui le stratificazioni della materia a volte sembrano suggerire residui di immagini scomparse, strappate, consumate dal tempo.

La pittura di Nino Tosto, che è fatta per sovrapposizioni di colore, visivamente può richiamare il lavoro di Mimmo Rotella degli Anni Cinquanta o una parte della produzione di Jacqes Villeglé anche se l’artista sente più vicini alla propria sensibilità pittori come Pollock, De Koonig, Rotko o Vedova. Questo legame intellettuale fortemente voluto ad una certa stagione dell’arte, ai suoi più grandi maestri rende il lavoro di Nino Tosto autentico, libero e consapevolmente radicato nella tradizione; lontano da ogni pretesa di essere una novità assoluta,

questa pittura ha il suo valore più grande nella sua Verità. Il delta tra i riferimenti intellettuali ai grandi maestri dell’espressionismo astratto e il risultato fortemente personale del lavoro offre la misura dell’attualità del lavoro di Tosto, che è tipicamente un artista del nostro tempo, che come vuole Arthur Danto è un

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tempo “dopo la fine dell’arte” nel quale si annulla il senso di progressione

necessariamente temporale ed è possibile affiancare figure diverse, diversamente collocate nel tempo e nello spazio, ma

affini nel sentire e nell’esprimere.

Sul tema già Marcel Duchamp disse una volta: “ (…) scegliendo qualcosa che

appartiene a un periodo precedente e adattandola al proprio lavoro, tale condotta

può essere creatrice. Il risultato non è nuovo: ma è nuovo nella misura in cui

scaturisce da una prassi originale. L’arte è prodotta da una serie di individui che si esprimono in maniera personale; non è

una questione di progresso.”.

Nino si presenta a Seveso Art Fair con una installazione di dodici quadri di formati

diversi tutti centrati sul tema del distacco, quasi che le opere siano frammenti

d’artista incollatisi sulla tela. I lavori sono composti in un rettangolo ideale e

costituiscono i fotogrammi dell’immagine

complessiva: una sorta di sequenza di stati d’animo, di emozioni, le cui tracce sono

ora messe una a fianco all’altra, una sopra l’altra. Il nero dei margini e il bianco della parete tra i quadri scandiscono e guidano la visione dell’installazione, strutturano la

composizione con un reticolo irregolare che dà una sensazione di movimento e di apertura che sposta lo sguardo dai singoli

quadri all’insieme.

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Seveso Art Fair #000 : nasce il Collettivo Aderenze.

L’idea è di Fabrizio Fortini, che ritaglia per sé il ruolo di “programmatore” di un’opera (ammesso che questo sia il termine giusto)

nella sua generica possibilità: definisce solo lo spazio che occuperà e il tempo in cui

dovrà essere realizzata.

Tullio Fortini, Cindy Mingus, Guerino Rossi, Riccardo Bianchi e Napoleone

Mapelli formano quindi il gruppo per un’occasione specifica anzi, per realizzare

il progetto: lo spazio a disposizione è quello tra le quattro colonne al centro

dello Spazio b-artcontemporary ; tempo utile per completare il lavoro un mese.

L’idea è quella di rendere questa piccola area delimitata dai pilastri il fulcro dello

Collettivo Aderenze

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spazio espositivo – forse uno strano punto di fuga – che sia in grado di modulare e dividere la galleria in modo tale che che le diverse sezioni della mostra possano dialogare tra loro pur restando indipendenti.

Il collettivo si sta muovendo in uno strano territorio in cui l’opera da strutturare ha una sua valenza autonoma ma, allo stesso tempo si dà come scopo l’allestimento di una scena che sarà occupata e vissuta da

tutti gli attori che parteciperanno all’evento della Seveso Art Fair #000.

L’opera è ancora in via di preparazione; Cyndy Mingus e Tullio Fortini hanno iniziato a lavorare su degli scarti di lavorazione del polistirolo: Cindy applicando le sue “mappe” e Tullio dipingendo liberamente sul materiale grezzo. Riccardo Bianchi inserirà alcuni oggetti che, con la loro semplice presenza daranno un che di domestico

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ed emozionale al lavoro. Napoleone Mapelli e Guerino Rossi dipingono: Guerino su fogli di carta da pacco che poi vengono

applicati sul polistirolo; Napoleone su tele di medie dimensioni che ha sistemato a formare una sorta di “quadredria”. I linguaggi sono diversi ma si integrano bene fra di loro. Gli artisti lavorano

perfettamente a loro agio, come se stessero allestendo uno spazio domestico, intimo dove le loro opere abiteranno con altre

perdendo parte della loro individualità e quasi dimenticando la loro natura di oggetti.

Si lavora senza seguire un progetto definito, si procede passo dopo passo scegliendo un oggetto, un blocco di scarto di polistirolo, facendo un dipinto: ogni artista procede autonomamente, ma

con un occhio sempre sul lavoro degli altri e alla istallazione, che intanto prende forma vincolata soltanto dallo spazio e dal tempo a

disposizione.

E’ il lavoro nel suo complesso, in tutte le sue fasi che determina l’operare dei singoli artisti e del collettivo: si procede in più

direzioni contemporaneamente, spesso bisogna tornare indietro, a volte un artista interviene su ciò che ha fatto un altro. La logica del lavoro in studio in questa occasione è completamente saltata: l’installazione, quando sarà finita, sarà il risultato di un processo

che si è svolto interamente in questo luogo nel giro di un mese circa, che è partito nel modo più aperto e libero ma che - dopo

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una prima fase di quasi anarchia - nel corso del suo sviluppo si è fatto sempre più ordinato e controllato.

L’opera ancora non c’è(voi magari siete alla mostra e adesso la state guardando...) ma ha senso parlarne ora perché ciò che interessa questi artisti non è tanto il prodotto finale, quanto il percorso che ha portato al suo compimento che è fatto delle interazioni degli artisti fra loro, con lo spazio della

galleria e con l’idea che l’opera sarà vista da qualcuno. L’istallazione come oggetto o insieme di oggetti non è molto importante: durante il lavoro gli artisti non avevano preoccupazioni estetiche; il loro scopo non era costruire un oggetto che fosse bello da guardare, comporre gli elementi in modo armonico o cose del genere. La loro attenzione era rivolta all’evento, a ciò che accadeva in ogni istante, al rapporto con gli altri. Il Collettivo Aderenze è costituito da questi elementi che sono rapporti

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di tempo e spazio, relazioni personali, emozioni e anche tempo passato senza fare

niente. Da questo progetto non è nato

un nuovo gruppo artistico; si può dire anzi che il collettivo faccia parte dell’opera

stessa: un’opera relazionale che durerà il tempo della mostra; non avrebbe senso

portarla altrove e magari montarla in modo diverso, sarebbe assurdo anche riunire il Collettivo Aderenze in altre

occasioni: questo è un evento che inizia e finisce nel giro di un paio di mesi e che si

articola nelle interpretazioni di chi lo vede e di chi se lo ricorderà.

Unico elemento decorativo di quest’opera è il titolo:”Non lasciare il

cappello sul letto!”.

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Vira, milanese, frequenta la Bocconi e si occupa di lingua e letteratura straniera, mentre Adriano sgambetta da qualche parte a Lambrate incerto tra arte come lavoro e arte e lavoro. Pia guarda a Venezia come l’oggetto dei suoi desideri. Allo stesso tempo Nino si gode le fantastiche stagioni siciliane felice e spensierato. Ad un certo punto Pia rompe gli indugi, Venezia sia, Accademia di Belle Arti, Emilio Vedova come maestro; anche Vira rompe gli schemi e decide “pittura forever”, inizia a dipingere, a studiare e ad esporre, con anche qualche bella soddisfazione ai concorsi Donatello e Lombardia Arte. Adriano è, al solito, lì che lavora e pensa, pensa e lavora e fa crescere la sua arte concettuale, vero mix di esistenzialismo e ironia. Nino comincia quella che, scopriremo a posteriori, sarà la sua risalita verso nord, qualche anno a Firenze a studiarsi i maestri del Rinascimento e (riteniamo) a godersi la vita, dipingendo. Pia intanto si impossessa del territorio tra Ravenna, Verona e il lago di Garda (per gli

In parallelo

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esperti anche la sponda bresciana) dove i suoi lavori circolano sistematicamente

(anche se con il contagocce, Pia è persona riservatissima e gelosa del suo lavoro); qui

Pia e Vira avrebbero potuto incontrarsi, approssimativamente dalle parti di San Felice

del Benaco, ma non è successo, comunque entrambe continuano a esporre in tante sedi tra Lombardia e Veneto. Adriano, che ha un

cuore grande, crea Piscina Comunale dove nuotano tanti artisti e tanti amici dell’arte e dà origine ad un fantastico connubio tra

necessità e virtù (che invidia !). La strada di Nino prosegue fino a Milano, per ora, e passa

attraverso l’abbandono della figura per l’action painting versione XXI secolo, certe letture

(Kerouac e Bukowsky) non gli hanno certo facilitato l’esistenza. E il Collettivo Aderenze?

Nasce e muore nel breve spazio di una stagione è un essere vorace e in un momento

si consuma, lasciando i suoi componenti liberi di continuare in autonomia, così Fortini

... ma questa è un’altra storia.

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La pittura è viva o è un reliquato del passato che si trascina ormai da quasi due secoli (dopo l’invenzione di Daguerre) per il romantico attaccamento di alcuni, per la distrazione di altri e per esigenze decorative dei più.

La questione ha forse ormai perso di attualità almeno in ambito artistico, poiché dopo l’ostracismo verso la pittura degli anni ‘60 e ‘70 e il ritorno alla figurazione pittorica negli euforici anni ‘80, ormai il medium pittorico convive con gli altri in condizione paritaria.

Ci accorgiamo tuttavia che ancora oggi nell’immaginario collettivo si associa l’arte al quadro e alla scultura, difficilmente il primo pensiero si rivolge alle installazioni, alle performances e ai video. La pittura ha

Divagazioni

La pittura è viva?

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ancora dalla sua la (sua) storia, importante e diffusa che crea in noi un imprinting che i nuovi mezzi (nuovi? vecchi ormai di un secolo, in molti casi) non hanno ancora.

La componente pittorica può diventare un mezzo di comunicazione che ci avvicina anche ad altre forme di arte figurativa non ancora “assimilate”. Nasce così l’esigenza di riconoscere anche nei nuovi media degli elementi di comunanza con la pittura, risulta più facile guardare un video, una performance, un’installazione se nell’insieme la composizione riporta ai canoni pittorici.

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Dopo la fotografia e con la crescita tecnologica di quest’ultima il quadro può ancora raccontare una situazione, descrivere un luogo o può solo costituire un elemento di novità, un oggetto che prima non esisteva ?

Possiamo storicamente ritenere che fino ad un certo momento pittura e scultura fossero funzionali alla conoscenza del mondo fisico, lo studio anatomico, lo studio della prospettiva e, in generale l’acquisizione delle tecniche necessarie per una coerente rappresentazione della realtà crearono uno stretto legame tra arte, scienza e religione. Progressivamente la scienza si affrancò dall’arte, ma quest’ultima mantenne un ruolo di fondamentale strumento di comunicazione e di storicizzazione di eventi, soprattutto nell’ambito delle grandi opere commissionate dai mecenati. Nel privato l’arte divenne strumento di raffigurazione di una realtà idealizzata.

Figura o astrazione?

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Abbiamo ancora, sostanzialmente fino alla fine dell’800, una situazione in cui l’arte è di rappresentazione, tuttavia accade, progressivamente con sempre maggiore frequenza, che l’artista non desideri più nascondere le tracce del suo pennello nella raffigurazione, ma inizi a voler lasciare apparire la pittura; la pennellata non è più solo al servizio del soggetto (fino a scomparire), ma si afferma come compartecipe e qualche volta co-protagonista dell’opera d’arte. In questo nuovo atteggiamento dell’artista possiamo ritrovare un tema importante dell’arte del ventesimo secolo, l’arte inizia ad interrogarsi su se stessa. Passiamo da un’arte “di servizio” ad un’arte che tende progressivamente all’autoreferenzialità, che concettualmente si pone la questione di legittimare la sua autonoma esistenza. L’evoluzione introspettiva dell’arte è una chiave di lettura dell’arte contemporanea, che agisce su una pluralità di livelli, volendo legittimarsi rispetto all’arte stessa,

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verso la società e il suo tempo e quale portatrice del messaggio intellettuale ed emotivo dell’artista.

Non tralascerei, tra le componenti, anche la ricerca estetica, magari negletta, ma comunque presente. Gli artisti, anche oggi, infatti cercano di delineare i canoni per un’estetica nuova, che è determinante nel rapporto tra l’oggetto d’arte e il suo fruitore.

Tornando all’interrogativo iniziale “figura o astrazione” penso si possa rispondere che è indifferente, poiché l’arte di oggi deve risolvere i problemi di legittimazione accennati, esprimere un contenuto e collocarsi nel tempo, il tutto a prescindere da quale sia il manufatto che ne scaturisce.

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Il corollario delle divagazioni che precedono è che trovarsi di fronte ad una nuova opera d’arte impone un primo approccio di comprensione del linguaggio estetico, al quale segue una riflessione sulle intenzioni dell’artista e sul risultato finale, per poi concludersi con la necessaria valutazione dell’elemento legittimante dell’opera quale manufatto d’arte; l’iter è evidentemente circolare, parte dall’opera ed alla stessa ritorna e nel percorso intellettuale oltre che emotivo troviamo le ragioni per le quali dedichiamo all’arte parte del nostro tempo.

Come si guarda?

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PISCINA COMUNALE

Nome d’arte per una copisteria

All’alzarsi del sipario i due si trovano all’interno della Copisteria, divisi dal

bancone.

Paolo Barrile è seduto su uno sgabello. Adriano in piedi di fronte a lui.

Adriano E adesso. Come la chiamiamo?

Paolo Barrile PISCINA COMUNALE

Adriano Perché?

Paolo Barrile Perché no?

Sipario Questo dialogo sembra tratto da “Tragedie

in due battute” di Achille Campanile, invece è cronaca.

Una mattina di settembre del 2002 i

due protagonisti avevano appena deciso di adibire una parte della Copisteria a Galleria d’Arte e ne stavano decidendo il nome.

Va detto che già da tempo Adriano aveva concesso i muri del suo negozio a graffitari di vario genere ma, sarà perché i muri erano ormai pieni, era ora di fare il salto di qualità.

In realtà le motivazioni di Adriano venivano da una recente esperienza trentina.

Invitato ad esporre un paio dei suoi lavori in una modesta Galleria, si vede presentare un conto di 300 euro (alla fine della manifestazione e senza preavviso) da parte del gallerista. Paga senza protestare ma decide che così non va: gli sconosciuti,

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specie se giovani, non hanno possibilità di esporre le proprie opere, soprattutto senza

pagare.

Ha deciso: ci penserà lui.

Ne parla con Paolo e nasce lo “Spazio d’Arte in Copisteria” che prende il nome

“PISCINA COMUNALE” con le modalità che abbiamo visto.

Il successo è praticamente immediato, anche perché Adriano non è uno sprovveduto e sa scegliere i suoi

“campioni”. Vengono pure privilegiati i giovani, ma tutti trovano spazio sulle

pareti della “Piscina” purché dimostrino entusiasmo e desiderio di collaborare alla

riuscita dell’iniziativa.

Non passa molto tempo che i pittori che hanno esposto da Adriano siano chiamati

ad esporre altrove e che le mostre della “Piscina” siano richieste da altre Gallerie o

Istituzioni Pubbliche e Private.

Ma al di là dei vari Massimo Gurnari, Agnese Guido, Laura Giardino, Emma Scialpi, Renè Pasca, Lorenzo Manenti e tanti altri, quello che conta di più è l’impatto con il quartiere.

La Copisteria diventa in breve un centro di aggregazione culturale che richiama non solo gli abitanti del circondario, ma anche artisti, critici, giornalisti, intellettuali e soprattutto persone comuni che partecipano alle iniziative della “Piscina” (e non di rado ne propongono di nuove) che hanno conosciuto dapprima col passa parola ma successivamente anche dalla rete e dalla stampa.

Le attività della “Piscina Comunale” non si limitano alle Mostre d’Arte: i vernissage, non di rado, sono accompagnati da performance di prosa, poesia, musica e disegno estemporaneo.

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Siccome non basta ancora, Adriano pubblica periodicamente dei libretti scritti dagli amici del suo Spazio, che distribuisce

ai frequentatori.

Insomma “Piscina Comunale” è un punto di riferimento: d’Arte, di Civiltà, di Libertà

di Pensiero che ha superato i confini del quartiere Città Studi. E coi tempi

che corrono non è di certo poco. Grazie Adriano.

Giorgio Corbetta

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senza titolotecnica mista50 x 60 cm2009

pensiero 1tecnica mista30 x 40 cm2009

pensiero compostotecnica mista30 x 40 cm2009

radicitecnica mista40 x 80 cm2010

radicitecnica mista40 x 80 cm2010

senza titolotecnica mista70 x 100 cm2008

senza titolotecnica mista68 x 100 cm2008

senza titolotecnica mista70 x 100 cm2008

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senza titolotecnica mistadittico 91 x 100 cm2010

senza titolotecnica mistadittico 100 x 100 cm2010

senza titolotecnica mistatrittico 171 x 70 cm2010

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senza titolosmalto su tela99 x 134 cm2010

senza titolosmalto su tela100 x 1402010

senza titolosmalto su tela100 x 140 cm2011

senza titolosmalto su tela100 x 140 cm2010

mindedtecnica mistadittico 180 x 140 cm2011

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senza titolosmalto su tela72 x 100 cm2011

senza titolosmalto su tela72 x 101 cm2011

senza titolosmalto su tela104 x 99 cm2011

senza titolosmalto su tela106 x 116 cm2011

senza titolosmalto su tela102 x 98 cm2011

senza titolosmalto su tela100 x 97 cm2011

senza titolosmalto su tela103 x 98 cm2011

senza titolosmalto su tela105 x 97 cm2011

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senza titolosmalto su tela104 x 99 cm2011

senza titolosmalto su tela74 x 91 cm2011

senza titolosmalto su tela98 x 90 cm2011

senza titolosmalto su tela105 x 97 cm2010

gioca e non rompere i coglionitecnica mistadimensioni variabili2010

cara cognatatecnica mistadimensioni variabili 2010

fratelli karamazovinstallazionetecnica mistadimensioni variabili2011

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Vira Colombo

Collettivo Aderenze

Nino Tosto

Adriano Pasquali

Pia Lama

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