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SETTIMANE DI STUDIO DELLA FONDAZIONE CENTRO ITALIANO DI STUDI SULL’ALTO MEDIOEVO LXI CHIESE LOCALI E CHIESE REGIONALI NELL’ALTO MEDIOEVO Spoleto, 4-9 aprile 2013 TOMO P R I M O FONDAZIONE CENTRO ITALIANO DI STUDI SULL’ALTO MEDIOEVO SPOLETO 2014

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SETTIMANE DI STUDIO

DELLA FONDAZIONE CENTRO ITALIANO DI STUDI

SULL’ALTO MEDIOEVO

LXI

CHIESE LOCALIE CHIESE REGIONALI

NELL’ALTO MEDIOEVO

Spoleto, 4-9 aprile 2013

T O M O P R I M O

FONDAZIONE

CENTRO ITALIANO DI STUDISULL’ALTO MEDIOEVO

SPOLETO

2014

I N D I C E

Consiglio di amministrazione e Consiglio scientifico dellaFondazione Centro italiano di studi sull’alto medioevo ..... pag. IX

Intervenuti ..................................................................... » XI

Programma della Settimana di studio ................................ » XIII

GIUSEPPE CREMASCOLI, « Vi saluta la comunità che vive in Babi-lonia » (I PT 5,13). Sentirsi chiesa di fronte al mondo ......... » 1

MICHEL SOT, Eglise de Rome, églises locales et églises régionales:l’écriture de leur histoire (IXe-Xe siècles) ............................. » 21

Discussione sulla lezione Sot ............................................ » 49

GIORGIO OTRANTO, Cristianizzazione del territorio, comunitàlocali e culti fino a Gregorio Magno fra sviluppi spontanei espinte centralizzatrici ..................................................... » 51

Discussione sulla lezione Otranto ..................................... » 113

SOFIA BOESCH GAJANO, Gregorio Magno: primato, azione pasto-rale, esercizio del potere .................................................. » 117

Discussione sulla lezione Boesch Gajano ........................... » 157

KLAUS HERBERS, Die Päpste und die Missionierung - Strukturenund Dokumentationsformen ............................................ » 163

Discussione sulla lezione Herbers ...................................... » 187

GIULIA BARONE, La chiesa di Roma: tradizioni, realtà, orizzonti(secoli VIII-XI) ............................................................ » 189

Discussione sulla lezione Barone ....................................... » 227

WILFRIED HARTMANN, Papsttum und Kirchenrecht um 900 ....... » 233

INDICEVI

GIUSEPPE FORNASARI, La funzione primaziale e il servizio delpapa in rapporto con le periferie ....................................... pag. 259

Discussione sulla lezione Fornasari .................................... » 293

IAN WOOD, Between Rome and Jarrow: papal relations withFrancia and England, from 597 to 716 .............................. » 297

Discussione sulla lezione Wood ........................................ » 319

SIBLE DE BLAAUW, Liturgical features of Roman churches: manifestationsof the Church of Rome? ................................................. » 321

Discussione sulla lezione de Blaauw .................................. » 339

MICHAEL MATZKE, Roma e le chiese locali come tipo monetario ...... » 343Discussione sulla lezione Matzke ...................................... » 375

GLAUCO MARIA CANTARELLA, I Normanni e la chiesa di Roma.Aspetti e momenti ........................................................ » 377

WOLFGANG HUSCHNER, Förderer und Gegner kirchenorganisatorischerreformen im ostfränkischen reich. Die Erzbischöfe von Mainzim 10. jahrhundert ........................................................ » 407

Discussione sulla lezione Huschner ................................... » 445

ALBA MARIA ORSELLI, Il vescovo, il monaco: per l’evangelizza-zione ......................................................................... » 447

Discussione sulla lezione Orselli ....................................... » 491

ALFREDO LUCIONI, Il rapporto dei vescovi con i monasteri, e leinterferenze romane ....................................................... » 493

Discussione sulla lezione Lucioni ...................................... » 535

MAURO RONZANI, L’organizzazione spaziale della cura d’animee la rete delle chiese (secoli V-IX) ..................................... » 537

Discussione sulla lezione Ronzani ..................................... » 563

GISELLA CANTINO WATAGHIN, Domus ecclesiae, domus ora-tionis, domus dei: la chiesa, luogo della comunità luogo del-l’istituzione ................................................................. » 565

Discussione sulla lezione Cantino Wataghin ...................... » 605

COSIMO DAMIANO FONSECA, Res Ecclesiae e Mensa Episcopitra istanze ecclesiologiche e aspetti patrimoniali .................... » 609

Discussione sulla lezione Fonseca ...................................... » 621

INDICE VII

GIANCARLO ANDENNA, Riforme episcopali. Riordinamenti istituzio-nali e nuova organizzazione della cura animarum (950-1050) .. pag. 623

Discussione sulla lezione Andenna .................................... » 647

NICOLANGELO D’ACUNTO, Le elezioni vescovili nel RegnumItaliae tra contesti locali e sistemi a vocazione universalistica(secoli X-XI) ............................................................... » 649

Discussione sulla lezione D’Acunto ................................... » 683

CARINE VAN RHIJN, The local church, priests’ handbooks and pastoralcare in the Carolingian period .......................................... » 689

Discussione sulla lezione van Rhijn .................................. » 707

ENRICO MORINI, « La vista e gli altri sensi ». Roma e le altresedi patriarcali d’Oriente sino alla metà dell’XI secolo ........... » 711

Discussione sulla lezione Morini ....................................... » 805

ERIC PALAZZO, Le livre liturgique et son pouvoir d’incarnation dela liturgie des Eglises “locales” ........................................ » 807

Discussione sulla lezione Palazzo ...................................... » 839

MAUREEN C. MILLER, The material conditions of local and regionalChurches: clerical clothing in Rome and the Empire ............. » 841

Discussione sulla lezione Miller ........................................ » 859

CHARLES MÉRIAUX, Consacerdotes et cooperatores. L’évêqueet ses prêtres dans le monde franc (VIe-Xe siècles) ................. » 865

SUSAN WOOD, Bishops and the proprietary church: diversity ofprinciple and practice in early medieval Frankish dominionsand in Italy ................................................................. » 895

CESARE ALZATI, La chiesa di Milano tra contesto italico ed ecu-mene al tramonto della tarda antichità ............................... » 913

Discussione sulla lezione Alzati ......................................... » 949

RAFFAELE SAVIGNI, L’episcopato nell’Europa carolingia e postcaro-lingia: reclutamento dei vescovi, rapporti con le élites locali e ri-cerca di una identità specifica ........................................... » 951

Discussione sulla lezione Savigni ...................................... » 1037

INDICEVIII

GIULIANO VOLPE, Città e campagna, strutture insediative e struttureecclesiastiche dell’Italia meridionale: il caso dell’Apulia .......... pag. 1041

Discussione sulla lezione Volpe ........................................ » 1069

COLMÁN ETCHINGHAM, Bishops and abbots in the early Irishchurch, with some observations on the Irish perception of Rome » 1073

PABLO C. DÍAZ, Concilios y obispos en la península ibérica (siglosVI-VIII) .................................................................... » 1095

Discussione sulla lezione Díaz .......................................... » 1155

ROMAN MICHAŁOWSKI, La naissance des églises en Bohème, Pologneet Hongrie aux IXe-XIe siècles: l’apport de l’Empire, l’apportde la papauté et les caractères spéciaux des églises locales ........ » 1159

Discussione sulla lezione Michałowski .............................. » 1193

GIULIA BARONE

LA CHIESA DI ROMA: TRADIZIONI, REALTÀ,ORIZZONTI (SECOLI VIII-XI)

Studiare la chiesa di Roma come una chiesa locale ha, certa-mente, un che di artificioso: la sede romana è infatti, dal tardoantico, caput omnium ecclesiarum e al suo vescovo, successore diPietro, è affidato il compito della custodia dell’ortodossia. Eppure,il tentativo di ricostruirne la storia da questo particolare punto divista ha anche un indubbio vantaggio: rende possibile il confrontocon le altre chiese locali. Così, cercando la “normalità” romana sene scoprirà, una volta di più, l’eccezionalità.

Una premessa di metodo: questa relazione abbraccerà un pe-riodo di tempo ben preciso, dal papato di Adriano I a quello diBenedetto IX. È con Adriano, infatti, che Roma cessa di essere lametropoli dell’Occidente inserita però nello spazio dell’Impero.Grazie ai Franchi, e soprattutto alla vittoria di Carlo, che ha eli-minato definitivamente il pericolo longobardo, il vescovo di Ro-ma si può affrancare senza timori da un Impero che, nei decenniprecedenti, l’ha privato dei suoi estesi patrimoni in Sicilia e Cala-bria, regioni che sono state sottratte alla sua giurisdizione insiemeall’Illirico, e che, dai tempi di Leone Isaurico, ha compiuto la suascelta iconoclasta, una dottrina che, vista da Roma, tenacementeiconodula 1, appare come una pericolosa eresia.

*Il testo qui pubblicato riprende, salvo l’aggiunta delle note e pochi interventi espli-cativi, quanto da me letto in occasione della mia relazione.

1. Come scriveva alcuni anni or sono Maria Andaloro in relazione alle più anticheicone conservate nell’Urbe: « A Roma che si configura nel corso della sua lunga storiacapitale senza rivali dell’immagine e della sua vitalità, a Roma che non avendone maiconosciuto l’eclissi, regola il flusso delle immagini cristiane, anche le più antiche, domi-nandone il senso e la finalità », cfr. M. ANDALORO, Le icone a Roma in età preiconoclasta, inRoma fra Oriente e Occidente (Spoleto, 19-24 aprile 2001), Spoleto, 2002, p. 731 (Settima-

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Il termine finale è segnato dal papato di Benedetto IX, l’ultimodei papi tusculani 2, deposto a Sutri nel 1046, insieme ai due suoi“concorrenti” al soglio pontificio, da un sinodo convocato dall’impe-ratore Enrico III. È da questo momento che la chiesa romana si av-via a diventare, almeno nelle aspirazioni, la capitale della “monarchiapontificia” 3. È nel corso di questi quasi tre secoli che la chiesa diRoma ha avuto dimensione più simili a quella di una chiesa locale,pur mantenendo una capacità di intervento e un’ampiezza di oriz-zonti che non ha uguali. È del resto lo stesso Liber pontificalis 4 a pre-sentarci, per gli anni che vanno dal 774 ai primi anni di pontificato diStefano V (885-891), con l’eccezione delle biografie di Niccolò I(858-867) e Adriano II (867-872), un successore di Pietro quasi total-mente assorbito dal suo compito di vescovo della città.

ne del Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, 49). La bibliografia su questa tema-tica è immensa; si veda, tra gli altri, l’ importante saggio di G. WOLF, Alexifarmaka.Aspetti del culto e della teoria delle immagini a Roma tra Bisanzio e Terra Santa nell’Alto Me-dioevo, ibid., pp. 755-787. Sul più generale problema del culto delle immagini a Roma ein Italia a confronto con quanto avveniva nel resto dell’Occidente e a Bisanzio si vedaJ.-M. SANSTERRE, Entre deux mondes? La vénération des images à Rome et en Italie d’après lestextes des Ve-XIe siècles, Ibid., pp. 993-1050.

2. Crf. K.-J. HERMANN, Das Tuskulanerpapsttum (1012-1046), Stuttgart, 1973 (Päpsteund Papsttum, 4).

3. L’importanza del 1046 per la storia di Roma e del Papato è sempre stata presentenella storiografia, soprattutto tedesca; per la sua incidenza sull’evoluzione politica e so-ciale dell’Urbe e sulla natura del Papato si vedano G. BARONE, La riforma ecclesiastica eRoma, in La reforma gregoriana y su proyecciòn en la cristianidad Occidental. Siglos XI-XII. Se-mana de Estudios medievales (Estella 18-22 de julio 2005), Pamplona, 2006, pp. 36-51 eEAD., L’affermazione della monarchia pontificia, in Il Cristianesimo: grande atlante, a cura diG. ALBERIGO - G. RUGGINI - R. RUSCONI, I, Dalle origini alle chiese contemporanee, Torino,2006, pp. 147 ss. ma, soprattutto C. WICKHAM, Roma medievale. Crisi e stabilità di una città900-1150, Roma, 2013, pp. 53 ss., che data a questi anni l’inizio di un periodo di pro-fonde trasformazioni: « ...dopo il fallimento ...di Benedetto X nel 1058-1059, nessun pa-pa romano sarebbe stato eletto fino al 1130. Si trattò di un periodo realmente problema-tico per la città » (p. 53).

4. Liber pontificalis. Texte, introduction et commentaire, a cura di L. Duchesse, 2 voll.Paris 1955, 2 ed. (Bibliothèque des Ecoles françaises d’Athènes et de Rome); un terzovolume, che raccoglie aggiunte e correzioni ad opera dello stesso Monsignor Duchesnee una storia del Liber a cura di C. VOGEL è stato pubblicato a Parigi nel 1957. Sullastruttura che il Liber ha assunto tra VIII e IX secolo resta fondamentale il saggio diO. BERTOLINI, Il ‘Liber pontificalis’ in La storiografia altomedievale (Spoleto, 10-16 aprile1969), Spoleto, 1970, pp. 387-455 (Settimane del Centro Italiano di Studi sull’Alto Me-dioevo, 17).

LA CHIESA DI ROMA 191

Sullo sfondo di ogni discorso su Roma va inoltre sempre te-nuto presente che la città e la sua chiesa continuano ad essereun’eccezione, dal punto di vista economico e sociale, nel pano-rama di quello che chiamiamo Occidente europeo. Anche se ilcrollo demografico è stato spaventoso, l’Urbe, che aveva contatoforse un milione- in ogni caso varie centinaia di migliaia- di abi-tanti nei primi secoli dell’Impero, è comunque, per l’epoca, unagrandissima città, sia che le si attribuiscano nel IX-X secolo,25.000 o, molto meno credibilmente, 35.000 abitanti 5. Inoltre èuna città nel senso pieno del termine, con una amministrazionerelativamente complessa ed efficiente, con un’aristocrazia, che èmilitare ma anche perfettamente inserita nelle strutture ecclesia-stiche, e, per quanto abbia lasciato ben poche tracce chiare nelladocumentazione, un artigianato molto articolato, capace di pro-durre manufatti anche molto raffinati 6. È questo un tema sucui a giusto titolo Chris Wickham ha più volte attirato l’atten-zione 7.

Dopo questa lunga premessa di metodo, passiamo ora ad ana-lizzare l’articolazione di questa chiesa. Il discorso sul clero è, almomento, quello che ha raggiunto un più elevato livello di matu-

5. La valutazione di 25.000 abitanti è quella proposta da C. WICKHAM, “The Romansaccording to their Malign Custom”: Rome and Italy in the Late Ninth and Tenth Centuries, inEarly Medieval Rome and the Christian West. Essays in Honour of Donald A. Bullough, a cu-ra di J. M. H. SMITH, Leiden-Boston-Köln, 2000, p. 164: « I myself would be reasonablyhappy with a guesstimate of around 25,000 people for ninth-and tenth-century Rome.This figure is simply intended however, to act as a marker for two genuinely unconte-sted realities: first, that the Rome’s population had, certainly, dropped from the ancientworld to a far greater degree than had that of any other activ urban centre in Italy; se-cond, that it remained, beyond doubt, far and away the largest city in the Latin west ».La stima di 35.000 abitanti era stata avanzata da Richard Krautheimer per cui si vedaIbid., p. 162.

6. La ricchezza e varietà della produzione artigianale romana è stata evidenziata daimateriali recuperati nel corso degli scavi della Crypta Balbi, che consentono di seguirelo sviluppo delle attività produttive nella zona dell’attuale via delle Botteghe Oscure fi-no alla prima metà dell’VIII secolo, cfr. Roma dall’antichità al medioevo. Archeologia e storianel Museo Nazionale romano Crypta Balbi, a cura di M. S. ARENA - P. DELOGU - L. PAROLI

- M. RICCI - L. SAGUÌ - L. VENDITTELLI, Milano 2001.7. C. WICKHAM, “The Romans according to their Malign Custom”, cit. e ID., Roma me-

dievale cit., sopratutto alle pp. 176-183.

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razione, grazie anche al contributo di Victor Saxer 8, integrata daquelli di Anna Maria Giuntella 9 e Letizia Pani Ermini 10, nellaSettimana spoletina consacrata a Roma nell’alto Medioevo e alvolume di Tommaso di Carpegna Falconieri 11. Ma l’eccezionalitàromana appare immediatamente.

IL VESCOVO

Come in ogni altra diocesi, anche l’elezione del vescovo diRoma spetta al clero e al popolo della diocesi. E, come spesso ac-cade anche in altri contesti, sono in realtà solo le figure più in-fluenti di entrambe le categorie a determinare la scelta: i proceresde clero e i proceres de militia sono infatti identificati, nelle biografiepapali del IX secolo, come “altri” rispetto all’ universus clerus e alcunctus populus, cui spetta piuttosto l’acclamazione dell’eletto. Ma– e qui si manifesta la prima differenza – l’autorità politica nellasua espressione più alta, e cioè gli imperatori, hanno sempre rite-nuto di avere diritto ad esprimere il proprio consenso all’elezione.Finché il rapporto con Bisanzio si è mantenuto saldo, la consacra-zione del vescovo di Roma avveniva, a parte alcuni casi eccezio-nali, solo dopo la ratifica imperiale.

Ma, una volta che il vescovo di Roma si fu liberato della su-pervisione imperiale 12, il pontefice ebbe ben poco tempo per go-dere della sua “libertà”. Già ai tempi di Ludovico il Pio, il neona-

8. V. SAXER, La Chiesa di Roma dal V al X secolo: amministrazione centrale e organizza-zione territoriale, in Roma nell’Alto Medioevo (Spoleto, 27 aprile - 1 maggio 2000), Spoleto,2001, pp. 493-632 (Settimane del Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, 48), cuirinvio per la ricostruzione dell’organizzazione della chiesa romana e l’elenco delle istitu-zioni ecclesiastiche.

9. A. M. GIUNTELLA, Gli spazi dell’assistenza e della meditazione, Ibid., pp. 639-691.10. L. PANI ERMINI, ‘Forma Urbis’: lo spazio urbano tra VI e IX secolo, Ibid., pp.

255-323.11. T. DI CARPEGNA FALCONIERI, Il clero di Roma nel medioevo. Istituzioni e politica citta-

dina (secolo VIII-XIII), Roma, 2002.12. Dopo un momento iniziale, alla fine della guerra greco-gotica, in cui l’imperato-

re aveva imposto le sue scelte, « quel principio si istituzionalizzava nella prassi che...rico-nosceva all’imperatore o all’esarca, poi a quest’ultimo sempre per delega sovrana, il dirit-to di ratifica del nuovo eletto con un atto più o meno formale secondo le circostanze.Era un atto necessario, almeno inizialmente, alla consacrazione e all’insediamento delnuovo papa e a lungo oneroso per la soprattassa che gli imponeva ». Cfr. F. BURGARELLA,

LA CHIESA DI ROMA 193

to impero si arrogava diritti suscettibili di condizionare l’elezioneben più di quanto avesse potuto farlo l’obbligo di ratifica imperia-le. Con la “Constitutio romana” dell’824, si stabiliva infatti che iRomani dovessero giurare fedeltà all’imperatore – in questo casoai due imperatori Ludovico il Pio e suo figlio Lotario – salva lafedeltà dovuta al pontefice; essi si impegnavano inoltre a non con-sentire che il nuovo eletto fosse consacrato vescovo di Roma seprima non si fosse impegnato con giuramento, alla presenza delmesso imperiale e del popolo, a governare secondo modalità sta-bilite dall’imperatore 13. Al di là delle ragioni contingenti che ave-vano portato alla stesura del documento (i torbidi in cui eranostati uccisi alcuni personaggi ritenuti troppo favorevoli ai Franchi),è chiaro che l’imperatore desiderava stabilire un controllo, più omeno diretto, sull’amministrazione della giustizia nell’Urbe.

Che poi i sovrani franchi non abbiano potuto o voluto eserci-tare con continuità questo loro diritto (il Libellus de imperatoria po-testate in urbe Roma 14 attribuisce alla rinuncia – da parte di Carlo il

Presenze greche a Roma: aspetti culturali e religiosi, in Roma fra Oriente e Occidente cit., pp.962-963.

13. Cfr. M.G.H., Leges, I, ed. G. H. Pertz, Hannoverae 1885, pp.239-40: 240 « Vo-lumus, ut in electione pontificis nullus praesumat venire, neque liber neque servus, quialiquod impedimentum faciat, illis solummodo Romanis, quibus antiquitus fuit consue-tudo concessa per constitutionem sanctorum patrum eligendi pontificem. Quod si quiscontra hanc iussionem nostram facere praesumpserit exilio tradatur....Volumus ut cun-ctus populus Romanus interrogetur, qua lege vult vivere, ut tali qua se professi fuerintvivere velle, vivant. Illisque denuntietur, quod hoc unusquisque sciat, tam duces quamet iudices vel reliquus populus, quod si in offensione sua contra eandem legem fecerint,eidem legi quam profitentur per dispositionem pontificis ac nostram subiacebunt...Pla-cuit nobis, ut cuncti iudices sive hi qui cunctis praesse debent, per quos iudiciaria pote-stas in hac urbe Roma agi debent, in praesentia nostra veniant; volentes numerum etnomina eorum et scire, et singulis de ministerio sibi credito admonitionem facere. No-vissime admoneatur, ut omnis homo, sicut Dei gratiam et nostram habere desiderat, itapraestet in omnibus oboedientiam atque reverentiam huic pontifici ». Ai Romani venivapoi richiesto, come già accennato,un giuramento di fedeltà agli imperatori e la promessadi non consentire la consacrazione di un pontefice che non avesse precedentementeprestato lo stesso giuramento con cui Eugenio II si era impegnato « pro conservationeomnium ». Ibidem: « ...et quod non consentiam ut aliter in hac sede Romana fiat elec-tio pontificis nisi canonice et iuste, secundum vires et intellectum meum; et ille quielectus fuerit, me consentiente consecratus pontifex non fiat, priusquam tale sacramen-tum faciat in praesentia missi domni imperatoris et populi, cum iuramento, quale dom-nus Eugenius papa sponte pro conservatione omnium factum habet per scriptum ».

14. Libellus de imperatoria potestate in urbe Roma, a cura di G. ZUCCHETTI, in Il Chroni-

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Calvo – all’obbligo della presenza del missus regio all’elezione papaleil declino della potenza imperiale e l’inizio dei disordini e delle vio-lenze del suo tempo), non toglie nulla, in linea di principio, alla loropretesa di ingerenza. Anche se l’Ottonianum 15, cioè il documento,scritto a lettere d’oro su una pergamena purpurea, che, dal 962, do-veva regolare i rapporti fra il resuscitato impero e il papato, vieta chei missi possano impedire in qualsiasi modo l’elezione, che deve avve-nire in forma “iusta et canonica”, la consacrazione papale viene sem-pre subordinata all’ impegno, da parte dell’eletto, a mantenere fedealle promesse fatte all’imperatore.

Che il vescovo di Roma sia anche metropolita di buona partedell’Italia centrale non viene praticamente mai menzionato dal Li-ber, pur attento, alla fine di gran parte delle biografie, ad annotareil numero delle ordinazioni vescovili che, nel caso di papati parti-colarmente lunghi, possono superare il centinaio. Dal punto di vi-sta della politica ecclesiastica in area non-romana, significativo èsoprattutto il ridisegno delle arcidiocesi dell’Italia meridionale, conla creazione successiva di Capua (966), Benevento (969) Salerno(983), Bari, per adattarsi alle mutate costellazioni politiche e, forse,anche in confronto/concorrenza con Bisanzio 16.

con di Benedetto monaco di S.Andrea del Soratte e il Libellus de imperatoria potestate in urbeRoma, Roma, 1920 (Fonti per la storia d’Italia, 55), pp. 191-210. Per il commento aquesto passo si veda G. ARNALDI, Natale 875. Politica, ecclesiologia, cultura del papato altome-dievale, Roma, 1990 (Nuovi Studi Storici, 9), pp. 37-46.

15. Cfr. M.G.H., Diplomata regum et imperatorum Germaniae, I, Hannoverae, 1879-1884, p. 326: « Salva in omnibus potestate nostra et filii nostri posterorumque nostro-rum, secundum quod in pacto et constitutione ac promissionis firmitate Eugenii pontifi-cis successorumque illius continetur, id est ut omnis clerus et universi populi romaninobilitas propter diversas necessitates et pontificum inrationabiles erga populum sibi su-biectum asperitates retundendas sacramento se obliget, quatinus futura pontificum elec-tio quantum uniuscuiusque intellectus fuerit canonice et iuste fiat, et ut ille qui ad hocsanctum et apostolicum regimen eligitur, nemine consentiente consecratus fiat pontifex,priusquam talem in presentia missorum nostrorum vel filii nostri seu universe generalita-tis faciat promissionem pro omnium satisfactione atque futura conservatione, qualemdomnus et venerandus spiritalis pater noster Leo fecisse dinoscitur ». Sul documento siveda H. KELLER, Die Kaiserkrönung Ottos des Grossen. Voraussetzungen, Ereignisse, Folgen,in Otto der Grosse Magdeburg und Europa, a cura di M. PUHLE, I, Mainz, 2001, pp. 472-474. Il documento è conservato ancor oggi in Vaticano (ASV, AA. Arm. I-XVIII, 18.

16. Sulla scelta pontificia di erigere nuove metropoli in corrispondenza delle nuove for-mazioni politiche si veda G. Barone, Il contributo di Silvestro II alla “giornata di Gniezno” (9marzo 1000), in Bullettino dell’Istituto Storico Italiano per il Medioevo, 109/1(2007), pp. 160-162.

LA CHIESA DI ROMA 195

Va infine ricordato che se, per tutto il periodo considerato, ilvescovo di Roma risiede stabilmente nel suo palazzo presso il La-terano (patriarchium, definito sempre più spesso, dalla fine dell’VIIIsecolo, palatium), la scelta del luogo di sepoltura, dopo una lungafase di predominio di S. Pietro (VI-inizio X secolo), sembra ob-bedire a criteri più “personali”, in un’alternanza tra S. Pietro e ilLaterano che conosce però eccezioni, visto che alcuni ponteficioptano per S. Paolo e Benedetto IX, l’ultimo dei papi tusculani,per Grottaferrata 17. Ma è anche vero che, in questo come inmolti altri campi, venuta meno la fonte principale per questo tipodi notizie, e cioè il Liber pontificalis, i dati in nostro possesso sono,per il X secolo, estremamente frammentari.

IL CLERO ROMANO E LE SUE CHIESE

Altro elemento distintivo della situazione romana è la presen-za, all’interno del clero romano, di ben sette vescovi, titolari dellediocesi suburbicarie e cui è affidato il compito di officiare conturni settimanali nella cattedrale della città, la basilica di S. Gio-vanni in Laterano. A tre di loro, i vescovi di Ostia, Porto e Alba-no compete poi, secondo modalità diverse, la consacrazione delpontefice. I confini di queste diocesi pare siano mutate nel corsodel periodo in esame. Secondo Werner Maleczek, i papi tuscula-ni, per legare maggiormente i vescovi suburbicari alla propriaazione politica fecero loro diverse, importanti concessioni. Bene-detto VIII concesse al vescovo di Porto nel 1018 Trastevere e l’i-sola Tiberina; mentre, nel 1026, il vescovo di Silvacandida otten-ne da Giovanni XIX tutti i diritti sulla Civitas leonina 18. Almeno

Ha sottolineato il carattere di “concorrenza” con Bisanzio nella creazione dell’arcidiocesi diBenevento. W. HUSCHNER, Benevent, Magdeburg, Salerno. Das Papsttum und die neuen Erz-bistümer in ottonischer Zeit, in Das Papsttum und das vielgestaltige Italien. Hundert Jahre Italia Pon-tificia, a cura di K. HERBERS e J. JOHRENDT, Berlin- New York, 2009, pp. 87-108.

17. Cfr. M. BORGOLTE, Petrusnachfolge und Kaiserimitation. Die Grablegen der Päpste,ihre Genese und Traditionsbildung, Göttingen 1989 (Veröffentlichungen des Max-Planck-Instituts für Geschichte, 95), pp. 127-137. Sul più generale problema della collocazionedelle tombe papali dal III secolo resta ancora valido il saggio di J.-C. PICARD, Etude surl’emplacement des tombes ds papes du IIIè au Xè siècle, in Mélanges d’Archéologie et d’Histoire,81 (1969), pp. 725-782.

18. W. MALECZEK, Rombeherrschung und Romerneureung durch das Papsttum, in Rom im

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nel caso dell’Isola tiberina si tratterebbe però della ratifica di unasituazione preesistente; alla fine del IX secolo, infatti, sappiamoche il vescovo di Porto – Formoso – risiedeva nell’isola dove ave-va anche fondato una chiesa intitolata a s. Giovanni Calibita 19.

Le chiese battesimali (i tituli), erano alla fine del VI secolo 25;ai tempi di Leone III si erano ridotta a 22, in quanto due eranodiventate diaconie, mentre la chiesa dedicata ai SS. Pietro e Mar-cellino non compare nella lista probabilmente perché abbandona-ta. Più tardi se ne conteranno 28. I presbiteri dei tituli officiavano,oltre che nella chiesa di cui erano titolari (e anch’essi secondo tur-nazioni settimanali) nelle basiliche di S. Maria ad Presepem (S. Ma-ria Maggiore), S. Pietro, S. Paolo e S. Lorenzo fuori le mura.

L’elevato numero dei tituli, che possono essere definiti comeunità amministrative e di culto dotate di un clero proprio, di per-sonale addetto e di una stabile comunità di fedeli, e la loro collo-

hohen Mittelalter. Studien zu den Romvorstellungen und zur Rompolitik vom 10. bis zum 12.Jahrhundert, Sigmaringen, 1992, p. 18. Su Porto si veda Papsturkunden 896-1046, a cura di H.ZIMMERMANN, Wien, 1985, Band II: 996-1046, nr. 522, pp. 990-995: 996: « ...et confirmamusvobis vestrisque successoribus in perpetuum totam insulam quae vocatur Licaonia, in qua estecclesia b. Johannis Baptiste et ecclesia sancti Adelberti...Pari modo concedimus et confirma-mus vobis vestrisque successoribus in perpetuum omnem ordinationem episcopalem tam depresbiteris quam diaconibus vel diaconissis seu subdiaconibus, ecclesiis vel altaribus qui in to-ta Transtiberi necessaria fuerit fatiendum nisi forte cardinalis presbiter vel cardinalis diaconusvel subdiaconus vel acolitus sacri palatii Lateranensis effitiatur...in predictis ecclesiis et mona-steriis [S. Maria in Tersatevere, S. Crisogono, S. Cecilia e i monasteri di S. Pancrazio e deiSS. Cosma e Damiano] quicquid ibidem ab episcopis fuerit fatiendi Portuensibus episcopisvela ab ipsis invitatis tribuimus potestatem ». La concessione venne confermata, con l’aggiun-ta di ulteriori donazioni, da Giovanni XIX nel maggio 1025 (Ibidem, nr. 564, pp. 1065-1069). Per quanto riguarda Silva Candida, il 17 dicembre 1026, Giovanni XIX concesse alsuo vescovo: « ...omnem consecrationem, que ibidem aut in prefata alma ecclesia sancti Petriaut in ceteris ecclesiis, que sunt constitute in tota civitate Leoniana, et si necessarium fueriteas consecrare, nullus alius episcopus ad talem ministerium vel consecrationem accedere pre-sumat ». (Ibid., p. 1081). Il vescovo di Silva Candida celebrerà in S. Pietro sull’altare maggio-re il sabato santo, la domenica delle Palme, la messa In coena Domini e in occasione della Pa-rasceve (Ibidem, p. 1082). Inoltre egli sarà il primo chiamato per ungere e incoronare l’im-peratore e sostituirà il pontefice nel caso che questi sia malato o in qualche modo impeditoa celebrare gli uffici liturgici. Quale « episcopale domicilium, congruum receptaculum opor-tunumque habitaculum » gli viene concessa la chiesa di S. Adalberto e Paolino sull’isola Ti-berina, mentre il vescovo di Porto risiedeva presso la chiesa di S. Giovanni inter duos pontes.

19. Su Formoso si veda il ricco contributo di J.-M. SANSTERRE, s. v. Formoso, in Di-zionario Biografico degli Italiani, 49 (1997), pp. 55-61. Formoso aveva anche traslato le reli-quie di S. Ippolito da Porto all’Isola Tiberina (Ibid., p. 57).

LA CHIESA DI ROMA 197

cazione nello spazio urbano non rispondevano che molto lata-mente alla demografia romana del IX e X secolo.

Le fondazioni di chiese, a Roma, avevano avuto infatti tempi emotivazioni diverse: quelle volute dall’imperatore Costantino, conl’eccezione della cattedrale e della basilica sessoriana (S. Croce in Ge-rusalemme) erano chiese martiriali e perciò, secondo la normativa ro-mana, extraurbane (S. Pietro, S. Lorenzo fuori le mura, S. Agnese e labasilica ad catacumbas/S. Sebastiano e quella ad lauros); lo stesso vale perl’altra basilica costantiniana, ma fastosamente ricostruita alla fine del IVsecolo, S. Paolo 20. Nei secoli successivi si nota una crescente divarica-zione fra di loro. S. Pietro, meta di un precoce pellegrinaggio allatomba di colui “che può legare e sciogliere” divenne il centro di uninsediamento rilevante dal punto di vista demico: oltre ai numerosimonasteri i cui monaci erano impegnati nella laude perenne all’internodella basilica, intorno a S. Pietro erano sorte in date diverse nel corsodell’VIII secolo le scholae, istituzioni di accoglienza ed assistenza per ipellegrini stranieri (schola Saxonum, Frisonum, Francorum e Langobardo-rum), destinate a trasformarsi rapidamente in nuclei di popolazione sta-bile, con una organizzazione propria anche in campo militare 21.

Molto numerosi dovevano essere soprattutto gli Angli e i Sas-soni che si erano stabiliti in città, visto che il Liber pontificalis ri-corda, all’inizio del IX secolo, i disastrosi incendi del burgus Anglo-rum 22. Mentre ai tempi di Carlomagno un antico mausoleo erastato trasformato nella chiesa di S. Petronilla, ritenuta figlia delprincipe degli apostoli 23, di cui i Franchi erano particolarmentedevoti, ed era stato costruito un palazzo destinato ad accogliere ilsovrano in visita alla città. A ciò si aggiungevano le botteghe diartigiani e di chi vendeva cibo ai pellegrini 24.

20. Su S. Paolo si veda D. KINNEY, Edilizia di culto cristiano a Roma a e in Italia centraledalla metà del IV al VII secolo, in Storia dell’architettura cristiana da Costantino a Carlo Ma-gno, a cura di S. DE BLAAUW, I, Milano, 2010, pp. 54 ss.

21. Cfr. E HUBERT, Les résidences des étrangers à Rome, in Roma fra Oriente e Occidentecit. pp.193 ss.

22. Liber pontificalis, II cit., pp. 53-54 (ai tempi di Pasquale I) e Ibid., pp. 110-111 perl’incendio dell’847 ai tempi di Leone IV.

23. Ibid., p. 53. Sul culto di Petronilla si veda A. M. VOCI, « Petronilla auxiliatrix regisFrancorum ». Anno 757: sulla « memoria » del re dei Franchi presso S. Pietro, in Bullettino del-l’Istituto storico italiano per il Medio Evo, 99/1 (1993), pp. 1-28.

24. Sulla fisionomia che doveva avere assunto il nucleo abitato intorno a S. Pietro siveda PANI ERMINI, Lo spazio urbano tra VI e IX secolo cit., pp. 318-323.

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Molto diversa era la situazione di S. Paolo e S. Lorenzo, ac-canto cui sembra sorgessero soltanto i monasteri che dovevano as-sicurare l’incessante preghiera. Nel IX secolo, dopo l’incursionesaracena del 846, che tanti danni aveva provocato alle chiese dellacittà, solo S. Pietro e la conurbazione circostante furono cinti damura (la città leonina), per volere di Papa Leone IV e con il con-tributo dell’imperatore Lotario. Della Giovannipoli fatta costruireda Giovanni VIII intorno a S. Paolo non si sa praticamente nulla,mentre S. Lorenzo, S. Sebastiano e S. Agnese fuori le mura, perla loro posizione lontana dal fiume e in quella fase totalmente iso-lata, non vennero mai difese da mura.

Quanto ai tituli, essi erano state fondati in momenti diversi comediversi ne erano stati i promotori: in alcuni casi i papi stessi (l’esem-pio più antico sembra essere quello della basilica di S. Marco) 25; inaltri casi ricchi devoti – chierici e laici – che a tale scopo acquisivanoe/o cedevano proprietà, spesso la domus familiare, e che – per essereadibiti a luogo di culto – dovevano comunque essere autorizzati econsacrati dal pontefice. È questo il caso di S. Sabina che deve la suafondazione al prete Pietro di Illiria e nella cui costruzione sono statelargamente utilizzati gli spolia delle grandi ville dell’Aventino, bruciateo saccheggiate nel corso del sacco del 410 26, o di S. Vitale (titulusVestinae), fondato e riccamente decorato grazie ai proventi della ven-dita dei gioielli e delle perle di una ricca vedova 27. Proprio per que-ste loro origini sembra da escludere una strategia papale tesa a dotarele diverse aree residenziali di luoghi di culto. E solo nel V secolo ilvescovo di Roma sembra godere di un patrimonio sufficiente adeguagliare, come mecenate, l’imperatore 28.

A questo già ricco panorama cultuale, si aggiunsero gli oratoriannessi ai tanti cenobi della città e, tra VII e X secolo, le diaco-nie. Sorte ad imitazione di analoghe istituzioni orientali, le diaco-nie, cui sovrintendevano probabilmente un chierico (il pater) e unlaico (il dispensator), erano pensate all’origine come luoghi di acco-glienza dei pellegrini e di assistenza ai poveri, per cui erano dotate

25. DE BLAAUW, Le origini e gli inizi dell’architettura cristiana, in Storia dell’architettura cri-stiana cit., pp. 43-44.

26. KINNEY, Edilizia di culto cristiano a Roma cit., pp. 69 ss.27. Ibid., p. 63.28. Ibid., pp. 60 e 69.

LA CHIESA DI ROMA 199

di magazzini entro cui conservare le derrate da distribuire agliindigenti.

Se la geografia dei tituli non risponde ad una ratio precisa, al-trettanto non si può dire per le diaconie 29, che ben rispondono alvolto che la città aveva assunto in quei secoli. Esse sono infatticoncentrate in luoghi ben precisi: presso il porto della città e gliantichi magazzini imperiali (S. Giorgio in Velabro, S. Maria inCosmedin, S. Teodoro) o lungo assi viari importanti (S. Adriano,S. Cosma e Damiano e S. Maria Nova che fiancheggiano la viasacra) o S. Maria in Aquiro e S. Maria in Via Lata lungo la ViaLata. Una conferma del loro legame con gli assi viari è fornito daS. Maria in Domnica sul Celio, in una zona a lungo praticamentedisabitata, come ha dimostrato l’archeologia, ma collocata all’in-crocio di due assi viari, di cui uno, il vicus capitis Africae, fu conti-nuamente in uso 30.

Anche se all’origine molte diverse dai tituli, come ha dimostratoTommaso di Carpegna, le diaconie vennero via via assimilate, a par-tire dalla metà del IX secolo, ai tituli 31, tanto da essere dotate comele più antiche istituzioni di collegi sacerdotali sempre più articolati.Ma anche se questo è vero da un punto di vista istituzionale, se i Pa-

29. Sull’origine delle diaconie si veda O. Bertolini, Per la storia delle diaconie romanenell’alto medioevo sino alla fine del secolo VIII, in ID., Scritti scelti, I, Livorno 1968, pp. 311-460 e R. HERMES, Die stadtrömischen Diakonien, in Römische Quartalschrift, 91/1 (1996),pp. 1-128. Si veda inoltre SAXER, La Chiesa di Roma fra il V e il X secolo cit., pp. 584-591e GIUNTELLA, Spazi dell’accoglienza e spazi della meditazione cit., pp. 673-690, che sottoli-nea anche la presenza, essenziale, dal punto di vista igienico, di balnea all’interno dellediaconie.

30. La diaconia sorge sulla sommità del colle all’incrocio tra il vicus Capitis Africae ela via (la ‘Coelemontana’ con la sua continuazione nel Clivus Scauri) che metteva in co-municazione il Laterano con le chiese dei SS. Giovanni e Paolo e di SS. Andrea e Gre-gorio; essa poteva inoltre utilizzare l’acquedotto, funzionante, dell’Acqua Claudia, cfr.C. PAVOLINI, L’area del Celio fra l’antichità e il medioevo alla luce delle recenti indagini archeo-logiche, in La storia economica di Roma nell’alto Medioevo alla luce dei recenti scavi archeologici.Atti del seminario (2-3 aprile 1992), a cura di L. PAROLI e P. DELOGU, Firenze, 1993, pp.53-70. Non mi pare che i documenti citati da Chris Wickham, che dimostrano l’esi-stenza di alcuni edifici residenziali presso S. Erasmo e Porta Metronia, alterino sostan-zialmente il quadro, cfr. WICKHAM, Roma medievale cit., pp. 151 ss.

31. Sull’evoluzione delle diaconie e il collegamento tra di esse e i diaconi regionarii,avviati a diventare cardinali diaconi si veda DI CARPEGNA FALCONIERI, Il clero di Roma nelMedioevo cit., pp. 133-134.

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pi del IX secolo si mostrarono particolarmente generosi nei confrontidi alcune di esse, e se a partire dal XII secolo i titolari delle diaconieentrarono a far parte a pieno titolo del rinnovato collegio elettoraledel papa, parecchie di loro scontarono, fino alla fine del Medioevo,la loro collocazione lungo assi viari e non in zone intensamente abi-tate: non esiste infatti un populus identificabile per le grandi diaconiedel Foro Romano o per S. Maria in Domnica. L’unica, fra le diaco-nie del Foro che sembra aver svolto un ruolo importante nella vitareligiosa della città è S. Maria Nova 32.

Il gran numero di luoghi di culto (i destinatari dei donativi diLeone III sono ben 117) 33 ha avuto la conseguenza paradossale direndere improba l’impresa di cercare di definire i confini delle par-rocchie romane fino all’Età Moderna e i cittadini dell’Urbe non sonomai stati identificati attraverso la loro appartenenza ad una parrocchiama, nei secoli finali del Medioevo, solo per la loro residenza in unrione, circoscrizione di carattere civile e militare attestata con certez-za dal XII secolo, che nulla hanno da spartire con le 14 regioni augu-stee né con le 7 regioni ecclesiastiche in cui era stata divisa la città tratardo-antico e i primi secoli del Medioevo.

IL VESCOVO DI ROMA E I MONACI

Dai tempi del Concilio di Calcedonia la sorveglianza e la tuteladei monasteri era affidata all’ordinario diocesano. Nella Roma fraVIII e XI secolo i monasteri non sono stati solo numerosi ma hannoanche vissuto trasformazioni fondamentali. Dell’origine di alcuni diquesti cenobi siamo informati dal Liber pontificalis, che ne attribuiscela fondazione all’uno o all’altro pontefice. Di altri invece conosciamosolo l’esistenza. È certo che la chiesa romana dell’età carolingia èinimmaginabile senza la massiccia presenza monastica. Basta ricordareche, se nelle grandi basiliche, la celebrazione eucaristica è affidata alpresbitero e ai vescovi, sono le comunità monastiche che assicurano

32. Come è dimostrato dalla ricca documentazione conservata, cfr. Tabularium S.Mariae novae ab an. 982 ad an. 1200, in Archivio della Società Romana di storia patria, 23(1900), pp. 171-237, 24 (1901), pp. 159-196, 25 (1902), pp. 169-209, 26 (1903), pp.21-141.

33. Cfr. SAXER, La Chiesa di Roma dal V al X secolo cit., pp. 623-631.

LA CHIESA DI ROMA 201

la preghiera, spesso nella forma della laus perennis (die noctuque). Maanche parecchi tituli, sin dalla fondazione o rifondazione, sono statidotati di una comunità monastica consacrata alla preghiera (ad es. S.Crisogono 34 o S. Prassede 35). In alcuni casi, i monaci cui è stato affi-dato questo delicatissimo compito sono greci, o per meglio dire elle-nofoni, in quanto sotto il termine “greco” si nascondono greci, siria-ni, siciliani, cilici od armeni.

Questi monaci stranieri si presentano a Roma a partire dalla metàdel VII secolo e il loro flusso non si esaurirà fino all’VIII, spinti comesono a lasciare la patria dalle invasioni persiana e araba, da una parte,e dai conflitti in materia teologica che dividono a lungo Oriente eOccidente, dal monotelismo all’iconoclastia dall’altra 36. La loro origi-ne straniera non costituisce alcun ostacolo alla piena integrazione nel-la vita religiosa romana. Se, in una prima fase, sembra che si sianospontaneamente insediati in zone praticamente deserte, onde potersimantenere fedeli alla primitiva vocazione (S. Saba e S. Erasmo), l’in-tervento papale li porterà invece in zone meno “solitarie” nel cuoredella città: sono greci infatti i monaci che Paolo I e suo fratello Stefa-no insediano nel monastero da loro fondato, S. Silvestro in Capite ePasquale I presso S. Prassede. Ma non mancano anche comunitàfemminili come quella presso S. Agnese fuori le mura e forse di S.Maria in Campomarzio.

A mio parere andrebbero però meglio chiariti i motivi delladrastica riduzione di monaci greci nella seconda metà del IX se-colo e se il fenomeno non rientri nella relativa crisi del monache-

34. Liber pontificalis, I cit., pp. 418-419.35. Liber pontificalis, II cit., p. 55: « ...construxit in eodem loco a fundamentis ceno-

bium, quod et nomine sanctae Praxedis virginis titulavit; in quo et sanctam Grecorumcongregationem adgregans, quae die noctuque grece modulationis psamoldie laudes om-nipotenti Deo sanctisque illius ibi quiescentibus sedule persolverent introduxit ».

36. Cfr. J.-M. SANSTERRE, Les moines grecs et orientaux à Rome aux époques byzantine etcarolingienne, 2 voll., Bruxelles 1983, rist. 1993 (Mémoires de la Classe des Lettres de l’A-cadémie royale de Belgique, 46) e ID., Le monachisme byzantin à Rome, in Bisanzio, Romae l’Italia nell’Alto Medioevo (Spoleto, 3-9 aprile 1986), Spoleto, 1988, pp. 701-746 (Setti-mane del Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, 34). Si veda inoltre BURGARELLA,Presenze greche a Roma, cit., passim. Su presenza ed influenza della cultura bizantina siveda G. CAVALLO, Le influenze bizantine nei secoli IX e X tra Campania e Lazio. Qualcheaspetto, in Das Papsttum und das vielgestaltige Italien cit., pp. 69-83, che tende a ridimen-sionare molto presenza e influenza greco-bizantine anche a Roma.

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simo romano. La schola graecorum, apparsa come ultima nella docu-mentazione, è ricordata nel IX secolo in fonti romane 37; i GestaBerengarii citano le acclamazioni in greco al momento dell’incoro-nazione (915) 38; in pieno X secolo viene fondata, da un religiosoellenofono, il vescovo Sergio di Damasco, una comunità che saràcostituita da religiosi greci e latini 39. Alla fine dello stesso secolo,s. Nilo, che ha abbandonato da anni la nativa Calabria “infestata”dalle incursioni saracene, riceve dai signori di Tuscolo una grossadonazione che gli consentirà di fondare l’ancor oggi esistente ab-bazia di S. Maria di Grottaferrata 40.

La presenza di tante e diversificate comunità monastiche com-porta, per il vescovo, una continua attenzione alla loro vita, mate-riale e spirituale: si tratta di sopprimere i monasteri le cui comuni-tà si siano troppo ridotte in numero o sostituire i monaci con al-tri; di vegliare sull’osservanza regolare; di provvedere ad integrarei beni delle comunità se troppo ridotte per assicurare l’esistenza;di intervenire per il rifacimento di chiese ed edifici monastici.

Nel corso del X secolo si moltiplicano, ed è fenomeno comu-ne a tutta l’Europa del tempo, le fondazioni di monasteri da partedi laici potenti: SS. Cosma e Damiano in Mica aurea da parte diBenedetto Campanino prima del 950 41, S. Maria sull’Aventino,

37. Cfr. HUBERT, Les résidences des étrangers à Rome cit., p. 196.38. Cfr. Gesta Berengarii imperatoris, in M.G.H., Poëtae latini aevi carolini, ed. P. de

Winterfeld, 4/1 (1899), pp. 308-309: « Dedaleis Graius sequitur laudare loquelis/ Stoi-cus, hic noster cluibus quia pollet Athenis ».

39. J. M. SANSTERRE, Le monastère de Saint-Boniface-et-Alexis sur l’Aventin et l’expansiondu christianisme dans le cadre de la ‘Renovatio imperii Romanorum’ d’Otton III. Une révision,in Révue bénédictine, 100/4 (1990), pp. 493-506.

40. Cfr. Bíov kaì politeía toû osíou patròv h‘mån Neílou toû Néou, Testo originale greco e stu-dio introduttivo a cura di G. GIOVANNELLI, Grottaferrata, 1972; sull’attendibilità storica diquesta vita si veda V. VON FALKENHAUSEN, La vita di S. Nilo come fonte storica per la Cala-bria bizantina, in Atti del Congresso internazionale su S. Nilo di Rossano (28 sett.-1 ott.1986), Rossano-Grottaferrata, pp. 271-305. Si veda inoltre J.- M. SANSTERRE, Saint Nilde Rossano et le monachismo latin, in Bollettino della Badia Greca di Grottaferrata, N. S., 45(1991), [Miscellanea di Studi in onore di Marco Petta, II, a cura di A. ACCONCIA LONGO

- S. LUCÀ, L. PERRIA], pp. 339-386. Secondo Jean-Marie Sansterre (cfr. SANSTERRE, Lemonachisme byzantin à Rome cit., p. 716), il nuovo monastero avrebbe attirato vocazioninumerose a danno delle preesistenti fondazioni greche.

41. P. FEDELE, Carte del monastero dei SS. Cosma e Damiano in Mica Aurea, secoli X e

LA CHIESA DI ROMA 203

da parte del princeps Alberico 42, SS. Ciriaco e Niccolò in Via La-ta, fondato da membri della famiglia di Teofilatto 43 e S. Maria inPallara 44. Numerose sono anche le donazioni a monasteri già esi-stenti come quella di Stefano de Imiza a S. Andrea e Gregorio sulCelio nel 983 45 o quella di Stefano de Agusto al cenobio intitolatoai SS. Cosma e Damiano. Da questi dati, che non possono certoessere considerati completi data la frammentarietà della documen-tazione romana del periodo, si dovrebbe dedurre che la grandeproprietà laica dovesse avere una notevole consistenza: fondare unmonastero voleva dire dotarlo di terre e beni sufficienti a garantir-ne, almeno per un certo tempo, l’autosufficienza. Secondo ChrisWickham, invece, l’Agro Romano è proprietà esclusiva dei grandienti religiosi almeno fino ai primi decenni dell’XI secolo e i fon-datori laici si sarebbero limitati a “donare” terre di cui detenevanoil possesso ma non la proprietà 46; si tratta di un’ipotesi suggestivama che andrà, se possibile, verificata. A parte l’ovvia considerazio-ne che, in molti casi (come la fondazione albericiana sull’Aventi-no) non è conservata la carta di fondazione, sembra difficile ipo-tizzare che tanti e diversi enti religiosi si siano lasciati sottrarreparti più o meno ingenti del loro patrimonio senza reagire. È ve-ro che la terra era, complessivamente, molto abbondante, ma perogni singola comunità la perdita poteva essere insopportabile.

XI, in Archivio della Società Romana di storia patria, XXI (1898), pp. 495-498, ove è editoil primo documento conservato risalente agli anni 948-949.

42. Benedetto di S. Andrea del Monte Soratte, Chronicon, in Il Chronicon del monacodi S. Andrea del Soratte e il Libellus de imperatoria potestate in urbe Roma, ed. G. Zucchetti,Roma, 1920 (Fonti per la storia d’Italia, 55), p. 167.

43. B. HAMILTON, The House of Theophylact and the promotion of religious life among wo-men in tenth-century Rome, in Studia monastica, 12 (1970), pp.202-208; anche il monasterodi S. Maria in Campomarzio aveva rapporti con i Teofilatto (Ibid., p. 208).

44. Su questo monastero, fondato tra il 955 e il 977 da Pietro “medicus sophusqueillustris” si veda Monasticon Italiae. I, Roma e Lazio, a cura di F. CARAFFA, Cesena, 1981,p. 66. Sul fenomeno di queste fondazioni, che sarebbero tutte prossime alle residenzedei fondatori, si veda WICKHAM, Roma medievale cit., p. 149.

45. Stefano de Imiza, figlio di Ildebrando consul et dux ha donato al monastero la me-tà del suo grande patrimonio, tra cui alcuni terreni a Sutri, cfr. Sutri nel Medioevo. Storia,insediamento urbano e territorio (secoli X-XIV), a cura di M. VENDITTELLI, Roma, 2008, pp.18, 19, 26, 46.

46. WICKHAM, Roma medievale cit. pp. 80-88.

GIULIA BARONE204

Alberico, il signore di Roma e fondatore del monastero di S.Maria sull’Aventino in quella che dovrebbe essere stata la sua casa,ha svolto anche un ruolo nell’introduzione a Roma della riformabenedettina di Cluny. Per quanto le fonti diano diverse versionisull’intervento del grande abate nell’ambiente monastico romano,voluto – secondo alcuni – dal princeps e secondo altri dal pontefi-ce 47, è comunque certo che Oddone poté operare solo con l’ap-poggio del potente signore della città. La riforma, oltre a S. Ma-ria, coinvolse anche S. Paolo. Pochi anni dopo, e quando Baldui-no, il monaco che Oddone aveva lasciato a Roma per continuarela sua opera, era diventato abate di Montecassino, papa Agapito IIfece venire da Gorze un monaco per riformare S. Paolo. Si po-trebbe forse ipotizzare che il pontefice, pur convinto della neces-sità di garantire una perfetta osservanza regolare, abbia volutocontrapporre ad una riforma voluta dal signore della città un’altralettura della Regola di S. Benedetto – quella di Gorze – che benpoco si differenziava da quella cluniacense, ma che aveva, sin dalleorigini, un rapporto più stretto con l’autorità vescovile, sottoli-neando in tal modo il suo ruolo di “vescovo riformatore” 48.

Ma non è questa la maggiore novità nel panorama monasticoromano. Come si è detto, a partire dalla fine del IX secolo, e con

47. Attribuiscono la riforma ad Alberico sia Benedetto di S. Andrea, cfr. Benedettodi S. Andrea del Monte Soratte, Chronicon, in Il Chronicon del monaco di S. Andrea delSoratte e il Libellus de imperatoria potestate in urbe Roma, ed. G. Zucchetti, Roma, 1920(Fonti per la storia d’Italia, 55), p. 167, che non cita neppure Oddone, sia Ugo di Farfa,cfr. Ugo di Farfa, Destructio monasterii farfensis, in Il Chronicon farfense di Gregorio da Cati-no, ed. U. Balzani, I, Roma, 1903 (Fonti per la storia d’Italia, 33), pp. 39-40, che dà in-vece ampio spazio all’azione dell’abate di Cluny. Il valore politico della riforma mona-stica è stato sottolineato da P. LLEWELLYN, Rome in the Dark Ages, London, 1971, trad. it.Roma nei secoli oscuri, Roma-Bari, 1975, pp. 255-256. L’iniziativa di chiamare a RomaOddone, ma per trattare la pace tra Alberico e Ugo e senza accennare alla riforma mo-nastica, viene invece attribuita al pontefice da Giovanni di Salerno, cfr. Joannis VitaOdonis abbatis cluniacensis, in PL, 133, coll. 64-66. Sul ruolo svolto dall’aristocrazia neimovimenti riformatori del X secolo anche in altri contesti si veda M. PARISSE, Noblesseet monastères en Lotharingie du IXè au XIè siècle, in Monastische Reformen im 9. und 10.Jahrhundert, Sigmaringen, 1989 (Vorträge und Forschungen, 36), pp. 182-189.

48. G. BARONE, Gorze e Cluny a Roma, in Retour aux sources. Textes, études et docu-ments d’histoire médiévale offerts à Michel Parisse, Paris, 2004, pp. 583-590. Sul più generalefenomeno della riforma monastica a Roma si veda B. HAMILTON, The monastical Revivalin Tenth Century Rome, in ID., Monastic Reform, Catharism and Crusades (900-1300), Lon-don, 1979 (Variorum Reprints), pp. 35-68.

LA CHIESA DI ROMA 205

un processo che si è concluso all’inizio dell’XI, le grandi basiliche,con la sola esclusione di S. Paolo, sono servite da comunità dichierici e non più di monaci 49. In questo, come in molti altricampi, Roma non rappresenta un’eccezione. Anche all’interno deimonasteri – come ha ben dimostrato, ormai molti anni or sono,Gilles Constable – si era da tempo avviato un processo di “sacer-dotalizzazione” 50; la semplice preghiera non era più sufficiente inun mondo in cui si richiedeva sempre più spesso una memoria li-turgica inserita all’interno della celebrazione eucaristica. Ma vipuò essere anche una motivazione meno spirituale atta a spiegareil minor favore di cui gode il monachesimo a Roma fra X e XIsecolo. Il monaco, all’entrata in monastero, perde ogni diritto diproprietà individuale; non così il chierico. In un mondo in pienatrasformazione economica, le famiglie di possessori terrieri posso-no aver preferito, per i loro figli, una scelta religiosa che noncomportasse automaticamente la perdita di controllo e di uso deibeni. Tanto più che, anche a Roma e nonostante i tentativi di etàcarolingia di rendere rigoroso il rispetto del celibato ecclesiastico,si contavano ancora numerosi i figli di preti 51.

IL VESCOVO E I FEDELI

Al di là delle fonti liturgiche, numerose ma di non certa datazio-ne e soprattutto di carattere normativo, pochissimo è il materiale adisposizione per cercare di capire quale potesse essere il rapporto rea-le tra il vescovo di Roma e i fedeli che gli erano stati affidati. NelLiber si loda sempre l’attività caritativa dei papi, il loro essere generosinelle elemosine, protettori di vedove ed orfani, ma pochissimo si di-

49. Cfr. DI CARPEGNA FALCONIERI, Il clero di Roma nel Medioevo cit., pp. 153 ss.50. G. CONSTABLE, Monasteries, rural churches and the ‘cura animarum’ in the early Middle

Ages, in Cristianizzazione ed organizzazione ecclesiastica delle campagne nell’Alto Medioevo:espansione e resistenze (Spoleto, 10-16 aprile 1980), Spoleto, 1982, pp. 349-389 (Settimanedel Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, 28).

51. Sul problema del celibato del clero a livello generale resta ancora valida la bellasintesi di G. ROSSETTI, Il matrimonio del clero nella società altomedievale, in Il matrimonio nellasocietà altomedievale (Spoleto, 22-28 aprile 1976), Spoleto 1977, pp. 473-554 (Settimane diStudi del Centro italiano di studi sull’ Alto Medioevo, 24); sulla situazione romana siveda T. DI CARPEGNA FALCONIERI, Il matrimonio e il concubinato presso il clero romano (secc. 8-12), in Studi storici, 41 (2000), pp. 943-971.

GIULIA BARONE206

ce della loro attività di cura spirituale. Certo, dalle fonti liturgichesappiamo che il presule avrebbe dovuto mantenere un contatto fortee diretto con la sua plebs attraverso la liturgia stazionale, che coinvol-geva a Roma un elevato numero di chiese 52. Alcune testimonianzedel Liber pontificalis confermano l’assidua partecipazione papale ai suoicompiti liturgici 53. Ma quanto predicava la parola di Dio? Nel Liberil problema pare quasi del tutto assente; solo nell’ultima delle biogra-fie conservate, la Vita di Stefano V, tratta da un codice mutilo dellafine, si trascrive un’omelia del pontefice e si ricorda, il dono di rac-colte di omelie di Gregorio Magno e di altri illustri predicatori ad al-cune chiese cittadine 54.

Delle numerose processioni che il pontefice avrà guidato, abbia-mo conservato il ricordo solo di quella del 753, quando l’immagineacheropita del Cristo venne portata a S. Maria Maggiore per invoca-re la protezione della Vergine contro i Longobardi, di una processio-ne guidata da Leone IV per la festa dell’Assunzione dal Laterano a S.Maria ad Praesepem 55 e quella del 15 agosto dell’anno 1000, che videinsieme l’imperatore Ottone III e papa Silvestro II 56.

52. All’organizzazione della liturgia stazionale e alle sue trasformazioni è dedicata tut-ta la prima parte dell’opera di S. DE BLAAUW, Cultus et decor. Liturgia e architettura nellaRoma tardo antica e medievale. Basilica Salvatoris. Sanctae Mariae. Sancti Petri, 2 voll., Cittàdel Vaticano, 1994 (Studi e Testi, 355-356).

53. Si veda ad esempio, quanto si dice a proposito di Pasquale I: « Dum quadam diead beati Petri principis apostolorum ecclesiam pergeret, quatinus apud eundem beatumPetrum solito more vigilias celebraret et ante eiusdem confessionem matutinales luce-scente dominica laudes residens decantaret... » cfr. Liber pontificalis, II cit., p. 56.

54. Cfr. Liber pontificalis, II cit., p. 195. Ai SS. Quattro Coronati viene donato un li-bro di “Sermoni” e un codice di Giovanni Crisostomo; alla chiesa di S. Marcello 20omelie di Gregorio Magno; sermonari vengono donati anche a S. Pudenziana, S. Ana-stasia e all’hospitale beati Gregorii in porticu beati Petri.

55. Cfr. K. HERBERS, Leo IV und das Papsttum in der Mitte des 9. Jahrhundert: Möglichkeitenund Grenzen päpstlicher Herrschaft in der späten Karolingerzeit, Stuttgart, 1996, pp. 264-70(Päpste und Papsttum, 27). La processione notturna, che prevedeva il trasporto dell’im-magine acheropita del Salvatore fino a S. Maria Maggiore e durante la quale si sarebbeprodotto anche un miracolo, sembra fosse già allora entrata nella consuetudine.

56. Sulla scarsità di informazioni su questa processione, che nel X secolo, sono essen-zialmente di origine transalpina si veda V. SAXER, Sainte Marie Majeure. Une basilique deRome dans l’histoire de la ville et de son église (V-XIII secolo), Rome, 2001, pp. 132-145(Collection de l’Ecole Française de Rome, 283). Sulla venerazione dell’immagine diSanta Maria Maggiore e delle altre icone mariane intorno al Mille si veda G. WOLF, ‘Si-stitur in solio’. Römische Kultbilder um 1000, in Bernward von Hildesheim und das Zeitalter derOttonen, I, Hildesheim-Mainz, 1993, pp. 81-90. Sulla possibilità che l’inno cantato du-

LA CHIESA DI ROMA 207

Sappiamo però che, nel corso del IX secolo, prese avvio an-che a Roma la separazione tra chierici e laici all’interno dello spa-zio cultuale. Abbiamo precise descrizioni all’interno del Liber pon-tificalis delle trasformazioni che vennero allora apportate e S. Ma-ria Maggiore, S. Giovanni in Laterano e S. Maria in Trastevere,trasformazioni che hanno trovato spesso conferma nell’indaginearcheologica. La motivazione di tali lavori, in alcuni casi di note-vole mole, è la necessità di mettere a disposizione spazi adeguatiper la celebrazione liturgica, la ricollocazione della cattedra vesco-vile in fondo all’abside – come a S. Maria Maggiore – o la collo-cazione in un luogo più adatto di preziose reliquie. Quel che ècerto è che il celebrante avverte ormai come fastidiosa la presenzadei laici; con una punta di misoginia si narra che Pasquale I nontollerasse più di essere distratto dalle chiacchiere delle donne, inquesto caso certamente nobildonne, proprio accanto alla sua catte-dra in Santa Maria ad Presepem 57.

UNA CHIESA MOLTO RICCA?

La Chiesa di Roma è sempre stata dotata di rendite rilevantiche, almeno fino alla metà dell’VIII secolo e alla confisca bizanti-na dei patrimoni dell’Italia meridionale, erano versate anche in

rante la processione del 1000 sia stato opera di Odilone di Cluny si veda W. HUSCHNER,Abt Odilo von Cluny und Kaiser Otto III in Italien und Gnesen (998-1001), in Polen undDeutschland vor 1000 Jahren. Die Berliner Tagung über den ‘Akt von Gnesen’, a cura di M.BORGOLTE, Berlin, 2002, pp. 153-157 (Europa im Mittelalter. Abhandlungen und Beiträ-ge zur historischen Komparatistik, 5).

57. Liber pontificalis, II cit., p. 60: « ...ecclesiam sanctae et intemeratae virginis Mariaedominae nostrae quae appellatur ad Praesepem cernens quondam tali modo constructamut post sedem pontificis mulieres ad sacra missarum sollemnia stantes prope adsistere iu-xta pontificem viderentur, ita ut si aliquid conloqui pontifex cum sibi adsistentibus vo-luisset, ex propinqua valde mulierum frequentatione nequaquam ei sine illarum inter-ventione liceret; et largum ibidem locum inesse qualiter inde sedem mutari valeret cer-neret, dato operis studio, coepit indesinenter agere sedem inferius positam sursum pone-re, ut eo familiarius Domino preces fundere posset, quo consortia populorum modestedeclinare potius constitisset ». Sulle trasformazioni della basilica si veda F. GANDOLFO, Lacattedra di Pasquale I in S. Maria Maggiore, in Roma e l’età carolingia. Atti delle giornate distudio (3-8 maggio 1976), Roma, 1976, pp. 55-67 e S. DE BLAAUW, Cultus et decor cit.,pp. 382-394.

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moneta. Sin da questa fase, il Papato può essere considerato perciòil motore della vita economica cittadina: i pontefici hanno potutocosì, almeno dagli ultimi anni del VII secolo, curare il restauro diedifici ecclesiastici e strutture pubbliche e dotare di terre e degliuomini per coltivarle monasteri, diaconie e xenodochia. Un nettopeggioramento della situazione economica della Chiesa romana fucertamente segnato dalla confisca da parte dell’Impero bizantinodelle estese proprietà nell’Italia meridionale, peggioramento che sitraduce nel rapido degrado della qualità della moneta d’argento ed’oro, nelle quali la percentuale di metallo prezioso si riduce aben poca cosa 58. La situazione migliorò rapidamente dopo le “re-stituzioni” carolinge, che consentirono il conio, sia pure in quan-tità relativamente ridotte, di buoni denarii d’argento 59. Questa ri-presa del conio, e solo di moneta argentea, non sembra però suffi-ciente a spiegare la capacità di spesa che mostrano i papi della finedell’VIII e della prima metà del IX secolo, un’opulenza ignota ailoro predecessori e che può essere paragonata soltanto a quella deipapi del Rinascimento, che però hanno potuto godere di una si-tuazione economico-finanziaria del tutto diversa. Essi sono statiinfatti non solo in grado di intraprendere opere di restauro digrande rilievo (di chiese, delle mura e degli acquedotti), di confe-rire un volto nuovo al palatium lateranense, ma anche di costruireex-novo chiese (ad es. S. Prassede), strutture di assistenza (l’ospe-dale eretto da Leone III nella “Naumachia”), di commissionareinteri cicli musivi (Pasquale I a S. Prassede e S. Maria in Domnicae Gregorio IV a San Marco), e – soprattutto – di destinare pre-ziosi donativi alle istituzioni ecclesiastiche romane. Si tratta di og-getti in oro e in argento, per migliaia di libbre, e di alcune decinedi migliaia di tessuti di pregio, non di rado adorni di perle e pie-tre preziose, di frange e di ricami in oro. Celebre fra tutti è l’e-lenco delle donazioni a più di cento fra chiese e monasteri inseri-to nella vita di Leone III del Liber pontificalis. Senza dimenticare

58. P. DELOGU, La storia economica di Roma nell’ alto medioevo. Introduzione al seminario,in La storia economica di Roma nell’alto Medioevo alla luce dei recenti scavi archeologici cit.,pp.11-29, riedito in ID., Le origini del Medioevo. Studi sul settimo secolo, Roma, 2010, pp.231-257, col titolo La storia economica di Roma nell’alto Medioevo, da cui cito p. 250.

59. P. DELOGU, L’economia di Roma nel IX secolo: un aggiornamento, in ID., Le origini delMedioevo cit., p. 314.

LA CHIESA DI ROMA 209

l’attività di costruzione di intere città nuove come la Leopo-li/Cencelle di Leone IV 60, cui si deve anche la cinta muraria in-torno al borgo sorto presso S. Pietro e la stessa basilica, la Civitasleoniana 61, o la Gregoriopoli 62 voluta ad Ostia da Gregorio IV.

Se la storiografia ha da tempo ricostruito l’entità di questi in-terventi papali che possono solo difficilmente essere catalogati co-me semplici atti di mecenatismo, si è però divisa sull’origine diquesta improvvisa opulenza. Paolo Delogu, che certo non misco-nosce il peso di alcune entrate nei bilanci del vescovo di Roma,come i redditi – essenzialmente in natura – delle domuscultae 63

(certamente destinate a produrre surplus da destinare alla mensapapale, ai bisogni del clero e di chi avesse bisogno di assistenza),gli introiti legati all’attività giurisdizionale e i doni di sovrani o diprivati, cittadini romani o semplici pellegrini e perciò di entitàmolto variabile, attribuiva un’origine sostanzialmente “esterna” abuona parte dell’ ingente ricchezza che si manifesta soprattutto neidonativi alle chiese romane di Adriano I e Leone III. La straordi-naria disponibilità di metalli preziosi e lo stupefacente numero di ric-chi tessuti, spesso a loro volta arricchiti di frange o decorazioni aureeed argentee 64, avrebbero un legame diretto con le donazioni di Car-lo Magno e, in minor misura di Ludovico il Pio. 65 Al contrario il

60. Il sito di Cencelle è stato oggetto di un’ampia campagna di scavo da parte dell’E-cole Française de Rome e della Cattedra di Archeologia medievale della Sapienza. Sullaproblematica generale si veda Leopoli-Cencelle, 3 voll. Roma, 1999 ma soprattutto Leopo-li-Cencelle: il quartiere sud-orientale, a cura di F. R. STASOLLA, intr. di L. Pani Ermini, Spo-leto, 2012.

61. Sulla costruzione della cinta muraria si veda HERBERS, Leo IV cit., pp. 137-152;una parte delle spese di costruzione fu sostenuta dall’imperatore Lotario I – e forse an-che dai suoi fratelli – Ibid., p. 139: « ...ipse cum suis fratribus non modicas argenti librasdirexit ».

62. Cfr. Liber pontificalis, II cit., pp. 81-82.63. Sulla fondazione e caratteristiche di queste grandi tenute, gestite secondo modali-

tà nuove, si veda P. DELOGU, Il passaggio dall’Antichità al Medioevo, in Roma medievale, acura di A. VAUCHEZ, Roma-Bari, 2001, pp. 32-33 e 38.

64. Uno studio della tipologia dei tessuti e della loro possibile origine è stato propo-sto da P. DELOGU, L’importazione di tessuti preziosi e il sistema economico romano nel IX seco-lo, in Roma medievale. Aggiornamenti, a cura di P. DELOGU, Firenze, 1998, pp. 123-142,ora anche in DELOGU, Le origini del Medioevo cit., pp. 289-308. Sull’esistenza di un arti-gianato di lusso che operava a Roma su commissione papale si veda Ibid., pp. 302-304.

65. P. DELOGU, Oro e argento a Roma tra il VII e il IX secolo, in Cultura e società nell’I-

GIULIA BARONE210

Noble 66, una decina di anni or sono, e ancora recentemente loScholz 67, ritengono che l’origine della grande disponibilità di mate-riali preziosi dei papi debba essere cercata all’interno di Roma e delPatrimonium Petri. Se la fondazione delle prime domuscultae sarebbeun’immediata risposta alle confische bizantine dei patrimoni calabresie siciliani, la situazione finanziaria dei papi sarebbe stata ancora gravefino alla metà degli anni Ottanta dell’VIII secolo. Solo dopo la “resti-tuzione” ad Adriano I da parte di Carlo Magno di una parte dei ter-ritori promessi, la situazione sarebbe decisamente migliorata 68. Sullastessa linea, sia pur con accenti diversi, si pone il Wickham, secondocui l’opulenza della Chiesa romana tra fine dell’VIII e IX secolo an-drebbe ricondotta al passaggio nelle mani dei pontefici delle terre fi-scali del Lazio, controllate in precedenza dagli imperatori 69.

I difensori di questa teoria non riescono però a spiegare comeun’intensa circolazione di denaro, legata, nella loro prospettiva, al-la vendita dei prodotti agricoli, ai censi dovuti per i beni tenuti inconcessione dalla chiesa, al pagamento in denaro degli artigiani, eche avrebbe richiesto emissioni di diversificato valore, una circola-zione che è necessario postulare abbondante prima di essere tra-

talia medievale. Studi per Paolo Brezzi, Roma, 1988 (Studi Storici, 184-187), pp. 273-293e ID., The Rebirth of Rome in the 8th and 9th Centuries, in The Rebirth of Towns in the We-st, AD 700-1050, a cura di R. HODGES e B. HOBLEY, London, 1988, pp. 32-42 ora anchein Idem, Le origini del Medioevo cit. con il titolo La Rinascita di Roma nell’VIII e IX secolo,pp. 259-287.

66. T. F.X. NOBLE, Paradoxes and Possibilities in the Sources for Roman Society in theEarly Middle Ages, in Early Medieval Rome cit., p. 80: « I do think that the economic re-covery of central Italy must be the primary source for the monies needed to pay forbuildings, to buy cloths, and to commission beautiful gold and silver works ».

67. S. SCHOLZ, Dal Papsttum, Roms wirtschaftliche Lage und die Enteignung der päpstlichenPatrimonien in der Mitte des 8. Jahrhundert, in Päpstliche Herrschaft im Mittelalter. Funktions-weisen- Strategien- Darstellungsformen, a cura di S. WEINFURTER, Düsseldorf, 2012, pp.11-25.

68. Ibid., p. 25: « [dopo il 787] konsolidierte sich die päpstliche Vermögenslage of-fenbar. Darauf deutet zumindest die Analyse der päpstlichen Stiftungen und Baumass-nahmen unter Hadrian I hin ...Jetzt endlich konnte Hadrian nur in der Armensorge alsVater der Armen, als pater pauperum in Erscheinung treten... ».

69. Cfr. WICKHAM, Roma medievale cit., p. 85: « ...possiamo sicuramente legare ad es-so i grandi doni papali in oro e argento e le decorazioni delle chiese ricordate nel Liberpontificalis, le grandi ambizioni e le grandi spese per le costruzioni di chiese all’inizio delIX secolo ».

LA CHIESA DI ROMA 211

mutata in oggetti preziosi, possa non avere lasciato alcuna traccianon diciamo nella documentazione (dove si parla di donazioni diterre da parte dei papi a chiese, monasteri, xenodochia ecc, e direndite in natura delle domuscultae, e solo raramente di pagamentiin denaro), ma neppure a livello archeologico. Come è stato in-fatti più volte sottolineato da Alessia Rovelli, il periodo del qualeci stiamo occupando, è a Roma, dal punto di vista numismatico,un vero deserto. Quasi del tutto assenti i denarii di argento caro-lingi, cessato da tempo (verso il 730) il conio in bronzo, un mini-mo di ripresa della circolazione monetaria sembra si possa far risa-lire solo alla fine dell’età ottoniana, cui risalgono poche decine didenarii 70, proprio quando la zecca romana cessa “silenziosamente”la propria attività. A questa ricostruzione della situazione econo-mica romana in base alle testimonianze numismatiche, vieneobiettato che l’assenza di monete negli strati si può spiegare colfatto che, prima procedere al conio di nuove monete, le prece-denti venivano “richiamate” presso la zecca. Ma tale interpreta-zione mi sembra che rafforzi piuttosto che indebolire l’immaginedi una Chiesa romana relativamente povera di risorse proprie inmateria di metalli preziosi, costretta a “riciclare” le ridotte quanti-tà disponibili lucrando al tempo stesso l’aggio sui nuovo conii, pernon rinunciare al consueto dono di oggetti preziosi alle varie isti-tuzioni ecclesiastiche.

Ma, a parte queste considerazioni, non vedo perché non sidebba dar credito allo stesso Adriano I che, nel 785, scrivendo al-l’imperatrice Irene e al figlio Costantino, che lo avevano invitatoad inviare legati al VII Concilio ecumenico, così si esprimeva neiconfronti di Carlo Magno, lodato per aver conculcato « omnisHesperie Occidueque partis barbaras nationes sub suis prosternensconculcavit pedibus, unde per sua laboriosa certamina eidem Deiapostoli ecclesie ob nimium amorem plura dona perpetuo obtulit

70. A. ROVELLI, Monetary circulation in Byzantine and Carolingian Rome. A reconsidera-tion in the light of recent archeological data, in Early medieval Rome, pp. 85-99, ora anche inID., Coinage and coin use in medieval Italy, cap. V, Ashgate, 2012 (Variorum collected stu-dies series) e EAD., Emissione e uso della moneta, in Roma nell’Alto Medioevo cit., pp. 821-852. Un tentativo di conciliare, almeno in parte, questa dicotomia tra la carenza di mo-neta e l’innegabile prosperità di Roma almeno fino alla metà del IX secolo è quelloproposto da Paolo Delogu nel già citato L’economia di Roma nel IX secolo: un aggiornamento.

GIULIA BARONE212

posidenda... Sed et aurum atque argentum quotidie pro lumina-riorum concinnatione seu alimoniis pauperum non desinit offe-rendo » 71. Se è vero che l’elogio di Carlo va letto in contrapposi-zione al comportamento dei sovrani di Costantinopoli, che al suc-cessore di S. Pietro avevano sottratto i patrimoni di Sicilia e Cala-bria, necessari al sostegno dei poveri e all’illuminazione delle chie-se, non è immaginabile che il pontefice possa aver attribuito al redei Franchi una inesistente generosità. E, le grandi imprese co-struttive di Adriano iniziano proprio fra il 781 e il 782, cioè neglianni immediatamente precedenti a questa lettera.

Né si può dimenticare che questa età di inusitata ricchezza sichiuse molto velocemente. Già ai tempi di Leone IV una partedelle elargizioni papali sembrano mirare soprattutto a ricostruire ilpatrimonio in oggetti liturgici che erano andati perduti in occa-sione dell’attacco saraceno dell’846.

Alla fine del secolo Stefano V, eletto pontefice, dovette constata-re amaramente che il tesoro (vestarium) era stato depredato; i depositi(horrea) erano vuoti e, per soccorrere almeno una parte degli indigen-ti, Stefano dovette ricorrere ai beni della sua famiglia 72. I donativi al-le chiese, nel suo caso, si limitano quasi esclusivamente a libri, testinecessari per le celebrazioni liturgiche ed omelie. L’opulenza dell’ini-zio del IX secolo era ormai ricordo del passato: Roma, lacerata dallalotta di fazioni interne, aveva dovuto subire anche l’attacco di Lam-berto di Spoleto, e forse si sentivano anche le conseguenze del sac-cheggio del palazzo lateranense alla morte del predecessore 73. Ma

71. J. D. MANSI, Sacrorum conciliorum nova et amplissima Collectio, XII, Florentiae 1766,coll.1075 C-1076 A.

72. Cfr. Liber pontificalis, II cit., p. 192: « ....vestaria, quae in tanta devastata repperitut de sacratis vasis quibus mensas tenere festis diebus pontifices consueverant paucissimainvenirentur, de reliquis vero opibus nichil omnino. Sed quid mirum si vestariorum ga-zas ablatas repperit, qui sacraria perquirens de pluriuso donariis et aecclesiarum orna-mentis pene nichil invenit?....Idcirco gravi merore affectus est, quia devastatis vestariishorrea simul et cellaria vacua inventa sunt, et quid erogaret clero et scolis non habebat,vel unde captivos redimeret, orfanos et viduas pasceret in tam validissima quae instabatfame carebat...Conversus ad patrem, facultates quas incliti sui parentes possiderant abstu-lit et larga dextera pro posse pauperibus erogavit, et ita Deo miserante factum est ut fa-mis inopiam suo studio mitigaret ».

73. « Dass Plünderungen gerade bei Sedisvakanzen zunehmend ein Problem wurde,machte wenig später ein Kanon des Konzils von Ravenna 898 deutlich » cfr. K. HER-

LA CHIESA DI ROMA 213

una situazione tanto difficile sembra dimostrare che, senza supportiesterni, la pace nell’Italia centrale e una oculata amministrazione delpatrimonio esistente, le disponibilità del successore di Pietro eranotutt’altro che inesauribili. Diverso è naturalmente il discorso se ci ri-volgiamo alla situazione patrimoniale dei grandi monasteri romaniche, proprio nel X secolo, sembrano aver raggiunto livelli ignoti inprecedenza.

Ma vi è anche un “capitale simbolico”, pur nella sua materia-lità, che la chiesa romana possiede in misura ignota a qualsiasi altrachiesa. Non è qui il caso di ripercorrere la storia del pensiero deivescovi di Roma in materia di reliquie. Basti ricordare che a lun-go essi si mantennero fedeli al rispetto dei “corpi santi” 74. Dallametà dell’VIII secolo in poi essi aumentarono in maniera rilevanteil tesoro di reliquie conservato in città, procedendo alla traslazioneda santuari o catacombe, minacciate dai Longobardi o in pessimostato di manutenzione 75. L’interesse per le reliquie e la consape-volezza della necessità di garantirne l’autenticità si manifesta nel-l’ampio uso di scritture (epigrafiche, su papiro, pergamena o di-pinte sullo stesso sacchetto di stoffa contenente i sacri resti) utiliz-zate sin dal tardo-antico 76.

Nello stesso torno di tempo, l’espandersi della Cristianità e il ra-dicarsi della convinzione che la validità della celebrazione eucaristicafosse legata alla presenza di reliquie 77 spinsero sovrani, vescovi edabati delle regioni “meno favorite” a far ricorso a Roma per ottenerealmeno qualche frammento di corpi santi più o meno illustri. A vol-

BERS, Das Ende des alten ‘Liber pontificalis’ (886)- Beobachtungen zur Vita Stephans V, inMitteilungen des Instituts für österreichische Geschichtsforschung, 119 (2011), p. 145.

74. L. CANETTI, Frammenti di eternità. Corpi e reliquie tra Antichità e Medioevo, Roma,2002, pp. 27-49.

75. Cfr. Liber pontificalis, II cit., p. 60.76. P. SUPINO, Scrivere le reliquie a Roma nel Medioevo, in EAD., Scritti “romani”. Scrittu-

ra, libri e cultura a Roma in età medievale, a cura di G. ANCIDEI, E. CONDELLO, M. CURSI,M. E. MALAVOLTA, L. MIGLIO, M. SIGNORINI, C. TEDESCHI, Roma, 2012, pp. 273-287.

77. Sulle reliquie si veda N. HERMANN MASCARD, Les reliques des saints. Étude coutu-mière d’un droit, Lille, 1975. Sulla necessità di reliquie per procedere alla consacrazione dialtari e chiese si veda S. BOESCH GAJANO, ‘Loca sanctorum’. La geografia sacra tra tardo anticoe alto medioevo, in Martiri, santi, patroni: per un’archeologia della devozione, a cura di A. CO-SARELLA - P. DE SANTIS, Università della Calabria, 2012, pp. 7-9.

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te, stando al resoconto delle Translationes 78, genere agiografico natoallora, i papi si mostrarono aperti alle richieste; in altre casi, come inquello del reo-confesso Eginardo 79, coloro che aspiravano a ottenerei preziosi resti non si fecero scrupolo di impadronirsene con il fur-to 80. Nel caso del biografo di Carlo Magno, il chierico che aveva in-caricato di portargli da Roma qualche importante reliquia sarebberiuscito a sottrarre nottetempo, grazie all’aiuto del diacono romanoDeusdona, i corpi dei SS. Pietro e Marcellino, approfittando del fattoche l’antico titulus pare fosse allora in stato di abbandono 81. Comeabbiamo già avuto modo di ricordare, la chiesa non compare infattinella lista dei destinatari dei donativi di Leone III 82.

Quello che qui ci interessa sottolineare è che, nell’ottica ro-mana, l’azione di “messa in sicurezza” delle reliquie, che arricchi-scono spiritualmente la città, viene ascritto a merito dei papi chese ne sono fatti promotori, mentre l’ “esportazione” delle reliquieci è conosciuta, nella quasi totalità dei casi, per il ricordo che neha lasciato il felice destinatario 83, segno questo che, per i pontefi-ci, il dono di reliquie non aveva che una scarsa rilevanza “politi-ca” nel far sentire la presenza di Roma fuori di Roma.

78. Cfr. M. ZIMMERMANN, Translationsberichte und andere Quellen des Reliquienkultes,Turnhout, 1979 (Typologie des sources du Moyen Age occidental, 33).

79. Eginardo, Translatio et miracula ss. Marcellini et Petri, ed. G. Waiz, in M.G.H.,SS., 15/1 (1887), pp. 239-264. Eginardo non prova nessuno scrupolo nel raccontare co-me le desiderate reliquie erano pervenute fino a lui ed erano state utilizzate per la con-sacrazione della chiesa da lui fondata. Sulle motivazioni che lo avevano spinto cfr. Trans-latio et miracula, p.240: « ...percontari coepi, quoniam modo ad id pervenire possem, utaliquid de veris sanctorum reliquiis, qui Romae requiescunt, mihi adipisci contigeret »;il diacono Deusdona, per mantenere la promessa fatta ad Eginardo di procurargli le pre-ziose reliquie, così spinge i messi di Eginardo: « ...hortatus est, ut simul cum illo ad ci-miteria sanctorum pergerent; videri sibi, quod in eis aliquid tale inveniri posset, quo eo-rum desideriis satisfieret ». cfr. Ibid., p. 241.

80. Sul fenomeno dei furti di reliquie, si veda P. J. GEARY, Furta sacra: la trafugazionedelle reliquie nel Medioevo (sec. IX-XI), Milano, 2000 (ed. or. Princeton 1978).

81. Sulla storia del culto dei due martiri e della basilica costantiniana che fu erettapresso il loro sepolcro si veda V. Cipolline, s. v. Santi Pietro e Marcellino, in Santuari d’I-talia. Roma, a cura di S. BOESCH GASANO, T. CALIÒ, F. SCORZA BARCELLONA, L. SPERA,Roma, 2012, pp.419 ss.

82. Vedi supra.83. J. M. H. SMITH, New Cults: Roman Relics in Carolingian Francia, in Early Medieval

Rome, pp. 317-334, Appendix: Relic Traslations from Rome to Francia, 750-900, Ibid., pp.335-339.

LA CHIESA DI ROMA 215

LA CHIESA DI ROMA E LA SUA AMMINISTRAZIONE

La chiesa di Roma, anche in questi secoli, ha mantenuto unarticolato sistema amministrativo. Il papa si serviva, per coordinarela vita religiosa della città di un ristretto gruppo di coadiutori, icosiddetti sette diaconi regionarii, che si mantennero inalterati nelnumero e nell’intitolazione anche quando le regioni ecclesiastichecui dovevano il nome non svolgevano più alcune funzioni. Maesisteva, accanto a questa amministrazione degli affari ecclesiastici,un corpo di “ufficiali” che sbrigavano invece compiti di altra na-tura: dalla scrittura e spedizione delle lettere, alla conservazionedegli archivi, dalla cura del tesoro ai pagamenti ordinari e straor-dinari, fino alla custodia dei libri, visto che il pontefice, almenodal VII secolo, dispone di una biblioteca (il primo bibliothecariusnoto è il futuro papa Gregorio II). Questi personaggi (primicerius,secundicerius, protoscriniarius, arcarius, saccellarius, primus defensor e no-menclator), i cui compiti si sovrappongono parzialmente, svolgonotutti funzioni giudiziarie e vengono definiti iudices palatini. Gliunici che non compaiono mai come giudici sono il bibliotecarioe il vestararius (tesoriere). In teoria appartengono tutti al clero, inquanto chierici degli ordini minori ma, in quanto non tenuti alcelibato, si confondono con i laici e costituiscono vere e propriedinastie funzionariali 84.

Vi erano poi un personale che si occupava esclusivamente del-la persona del papa e della sua residenza. Sappiamo che il serviziodel cubiculum era stato sottratto da Gregorio Magno ai laici per af-fidarlo a monaci. Non pare che fosse più così in età carolingia, matroppo scarse sono le notizie per consentirci di collegare le defini-zioni con biografie di singoli individui. Apparentemente era nelcubiculum e nella schola cantorum che avveniva la formazione digran parte del clero cittadino 85.

In ogni caso, anche da questo punto di vista la chiesa romana sidifferenzia nettamente dalle altre chiese locali, nessuna delle quali po-teva contare su un articolazione amministrativa così complessa.

84. P. TOUBERT, Scrinium et palatium: la formation de la bureaucratie romano-pontificaleaux VIIIè-IXè siècles, in Roma nell’Alto Medioevo cit., pp. 87 ss.

85. Ibid., pp. 93-94.

GIULIA BARONE216

CHIESA ROMANA E CULTURA

Particolarmente difficile è la valutazione del livello culturaledel mondo religioso romano 86. Da una parte è indubbio che lachiesa romana ha saputo conservare e sviluppare l’antica tradizioneburocratica imperiale: la capacità di produrre, archiviare e conser-vare la documentazione prodotta, di sentire precocemente il biso-gno di una biblioteca, è senza pari per l’epoca, così come unico èil caso di una “burocrazia ecclesiastica” in grado di elaborare unascrittura propria, la curiale (una minuscola corsiva) altrove igno-ta 87. Altrettanto indubbio è che essa abbia svolto, per decenni, al-l’inizio dell’età carolingia, la funzione di deposito e di centro dismistamento di materiale librario e documentario, dai testi liturgi-ci alla regola benedettina o ai capolavori della patristica.

Grazie a Paola Supino 88 ed Armando Petrucci sappiamo ancheche la diffusione della nuova scrittura, la carolina, fu relativamenteveloce e che, nella seconda metà del IX secolo, sembra ormai unfatto compiuto 89. E, anche nel X secolo, il livello di alfabetizza-zione, desunto dalle sottoscrizioni degli atti, risulta elevato, nonsolo tra i chierici ma anche tra i laici e persino tra le monache 90.

A questa massa di dati positivi si contrappone il numero ridot-tissimo di manoscritti che risultano di sicura origine romana; per il

86. Un tentativo di ricostruire il livello culturale del papato altomedievale, che si ba-sa comunque su indicatori in parte diversi da quelli da me utilizzati è stato offerto daT.F.X. NOBLE, The intellectual culture of the early medieval papacy, in Roma nell’Alto Medioe-vo cit., pp. 179-213.

87. P. RABIKAUSKAS, Die römische Kuriale in der päpstlichen Kanzlei, Roma, 1958 (Mi-scellanea Historiae Pontificiae, 20).

88. P. SUPINO, Carolina romana e minuscola romanesca. Appunti per una storia della scrittu-ra latina tra IX e XII secolo, in EAD., Scritti “romani” cit., pp. 1-27, in cui si sottolinea la“resistenza” di elementi di onciale nella scrittura fino alla fine del IX secolo e EAD., Ma-teriali ed ipotesi per una storia della cultura scritta nella Roma del IX secolo, Ibid., pp. 29-82.

89. Ibid., pp. 59-60: « Se è vero che nella seconda metà del secolo [IX] la Chiesa incre-mentò consapevolmente la produzione e la diffusione del libro – e indizi in tal senso sonoemersi nel corso di questa ricerca – potrebbe essere quello il momento del trapasso definiti-vo e per così dire ufficiale dall’onciale alla minuscola, sollecitato dalla necessità di un adegua-mento alle forme grafiche usate e comprese dalla maggior parte dell’Occidente cattolico ».

90. A. PETRUCCI, C. ROMEO, Il testo negato: scrivere a Roma fra X e XI secolo, in ID.,‘Scriptores in urbibus’. Alfabetismo e scrittura scritta nell’Italia alto-medievale, Bologna, 1992,pp. 127-142.

LA CHIESA DI ROMA 217

X secolo ne abbiamo conservato uno solo, un Lezionario copiatodal presbyiter Romanus per le monache di S. Bibiana 91. A partireda questi dati, il giudizio dei nostri paleografi diverge: secondoPetrucci e Romeo a Roma – nel X secolo – non si scriveva enon si copiava 92; più cauto il parere di Paola Supino che insistegiustamente sull’impossibilità di giungere a conclusioni certe afronte delle enormi perdite subite nei secoli dal patrimonio libra-rio, mentre non mancano le testimonianze di una certa vivacitàculturale dell’ambiente romano 93.

Altrettanto incerti i dati se passiamo dall’aspetto materiale dellaconfezione e conservazione di un codice al più nobile livello dellaproduzione di testi. La chiesa di Roma non può contare, per se-coli, nessun grande autore di opere storiche o agiografiche, dicommenti biblici o di poesia. Gli “intellettuali” della Roma caro-lingia si riducono, dopo decenni di studi a soli due nomi Giovan-ni Immonide 94 e Anastasio Bibliotecario 95. Si tratta di personalitàdi qualità eccezionale visto che il primo è autore di un’interessan-tissima biografia di Gregorio Magno 96, la prima scritta a Roma, edi un testo di “satira biblica”, la Coena Cypriani 97, l’unica operadestinata ad un uso teatrale nei secoli altomedievali. Anastasio è

91. P. SUPINO, Aspetti della cultura grafica a Roma fra Gregorio Magno e Gregorio VII, inRoma nell’Alto Medio Evo cit,, pp.921-968, ora in ID., Scritti romani cit., (da cui cito), p.229.

92. Cfr. il testo citato a n.74; secondo gli autori non si scriveva in latino perché po-chi erano in grado di padroneggiare efficacemente la lingua.

93. SUPINO, Aspetti della cultura grafica a Roma fra Gregorio Magno e Gregorio VII cit.,pp. 230-231.

94. Su Giovanni si veda G. ARNALDI, Giovanni Immonide e la cultura a Roma al tempodi Giovanni VIII, in Bullettino dell’Istituto Storico Italiano per il Medioevo, 68 (1956), pp. 33-83; C. LEONARDI, Pienezza ecclesiale e santità nella “Vita Gregorii” di Giovanni Diacono, inRenovatio, 12 (1977), pp. 51-66, ID., L’agiografia romana nel secolo IX, in Hagiographie, cul-tures et sociétés IVe-XIIe siècle, Paris, 1981, pp. 471-490; F. BERTINI, Giovanni Immonide e lacultura a Roma nel secolo IX, in Roma nell’Alto Medioevo cit., pp. 897-919, in cui ampiospazio è dedicato alla Coena Cypriani e P. Chiesa, s.v. Giovanni Diacono (Giovanni Immo-nide), in Dizionario Biografico degli italiani, 56 (2001), pp. 4-7.

95. G. Arnaldi, s. v. Anastasio Biblioetcario, in Dizionario Biografico degli Italiani, 3(1961), pp. 25-37.

96. Giovanni Diacono, Vita Gregorii, in PL, 75, coll. 59-242.97. Giovanni Diacono, Versiculi de Cena Cypriani, ed. K. Strecker, in M.G.H., Poëtae

latini aevi carolini, IV/2, Berolini 1923, pp. 857-900.

GIULIA BARONE218

stato invece fecondo traduttore dal greco 98 e probabile autore(dictator) di buona parte della corrispondenza dei papi del suo tem-po e della celebre lettera dell’imperatore Ludovico II al basileusBasilio I.

La capacità di produzione di testi sembra essersi concentrata aRoma, per secoli, nel Liber pontificalis, primo esempio di raccoltadi biografie dei vescovi di una città, destinato a fungere da mo-dello per tutto l’Occidente cristiano 99. Anche se redatte da unsingolo, ogni biografia richiedeva comunque un lavoro di équipeall’interno del palatium lateranense, in quanto si trattava di racco-gliere i dati sulle donazioni dai registri del vestiarium, quelli sulleordinazioni e di risalire ai fatti di natura politica, la cui documen-tazione era forse conservata dal bibliothecarius. Ma, soprattutto,queste biografie, con la sapiente scelta su cosa ricordare e cosa ta-cere erano la voce ufficiale del patriarchium.

Come è noto, l’enorme difficoltà nel ricostruire la storia dellachiesa romana nel X secolo è dovuta in gran parte proprio al ve-nir meno del Liber, che si arresta definitivamente con la biografiadi Stefano V. In realtà esso risulta “morto” già da tempo a questadata. Non solo perché mancano, e sembra escluso che siano maiesistite, le vite di Adriano III, Marino e Giovanni VIII, ma ancheperché le biografie di Nicola I, Adriano II, mancante della fine, equella mutila di Stefano V 100 sono tipologicamente diverse dalleprecedenti; non per nulla, per quelle di Nicola I e di Adriano II,Girolamo Arnaldi ha fatto i nomi di Anastasio Bibliotecario eGiovanni Immonide 101.

98. Cfr. C. LEONARDI, Anastasio Bibliotecario e le traduzioni dal greco nella Roma altome-dievale, in The Sacred Nectar of the Greeks: the Study of Greek in the West in the Early Mid-dle Ages, a cura di M. W. HERREN - S. A. Brown, London, 1988, pp. 277-296.

99. Sul valore del Liber come modello largamente diffuso si veda M. SOT, Gesta episcopo-rum, gesta abbatum, Turnhout 1981 (Typologie des sources du Moyen Âge occidental, 37).

100. Sulla struttura di questa biografia si veda K. HERBERS, Agir et écrire les actes des pa-pes du IXè siècle et le ‘Liber pontificalis’, in Liber, Gesta, histoire: écrire l’histoire des évêques etdes papes de l’Antiquité au XXIè siècle. Actes du Congrès organisé par le Centre d’étudesmédiévales d’Auxerre (25-27 juin 2007), a cura di F. BOUGARD e M. SOT, Turnhout,2009, pp. 119-122 e ID., Das Ende des alten ‘Liber pontificalis’ (886)- Beobachtungen zur VitaStephans V cit., pp. 141-145.

101. Cfr. G. ARNALDI, s.v. Anastasio Bibliotecario, in Dizionario biografico degli italiani, 3(1961), pp. 25-37 sull’errata attribuzione ad Anastasio dell’intero Liber, si veda G. Arnal-

LA CHIESA DI ROMA 219

Qualche anno fa François Bougard è giunto più o meno allemie stesse conclusioni; per lo storico francese l’entrata in scena diautori – o meglio, nella sua ipotesi di un autore, Giovanni Immo-nide – di forte spessore culturale avrebbe mutato radicalmente lanatura del Liber, conferendogli un taglio agiografico che non ave-va mai avuto in precedenza. Per Bougard la lunga notizia biogra-fica consacrata al “santo” Nicola I si presenta come il pendant ca-rolingio della biografia del “santo” Gregorio Magno, entrambipontefici capaci di imporsi ai poteri secolari in Occidente come inOriente; di qui la sua convinzione che siano entrambe opera diGiovanni Diacono, che sarebbe anche autore dell’incompleta no-tizia dedicata ad Adriano II, scritta con l’obiettivo di sottolinearela continuità di azione con il suo”santo”predecessore 102.

La mia interpretazione sulla fine del Liber è un po’ diversa. Seper Bougard « l’intervention de ces grands auteurs a mis fin à unetradition de compilation routinière, qui n’a plus été reprise ensui-te » 103, a mio parere la comparsa di testi così anomali, in cui la cit-tà di Roma gioca un ruolo ridotto, mentre il centro della scena èoccupato dai grandi problemi di politica internazionale, è il segnoche all’interno del patriarchium lateranense era entrato in crisi quelgruppo di curiali che, a vario titolo, avevano collaborato alla rac-colta dei dati e all’elaborazione “politica” delle biografie papali. Ilvenir meno delle compilazioni tradizionali avrebbe permesso apersonaggi dotati di idee, conoscenze ed esperienze molto perso-nali di proporre una diversa idea di biografia papale, in cui peròben poca restava della struttura tradizionale.

La crisi e le divisioni che laceravano da tempo la chiesa e lacittà, che suggeriscono al biografo di Stefano V di considerarequasi miracoloso il fatto che le due fazioni da tempo in lotta traloro si siano immediatamente accordate sul suo nome 104, minaro-

di, Come nacque la attribuzione ad Anastasio del ‘Liber pontificalis’, in Bullettino dell’IstitutoStorico Italiano per il Medio Evo e Archivio Muratoriano, 75 (1963), pp. 321-343, rist. 2001,in RR honoris causa, 5.

102. F. BOUGARD, Composition, diffusion et réception des parties tardives du ‘Liber pontificalis’(VIII-IX siècles), in Liber, Gesta, histoire cit., pp. 127-152. Per l’attribuzione delle due no-tizie biografiche a Giovanni Diacono ibid., pp.132 ss.

103. Ibid., p. 132.104. Liber pontificalis, II cit., p. 191: « ..credentes se posse huius venerabilis viri sancti-

GIULIA BARONE220

no in seguito definitivamente la possibilità di produrre una “me-moria condivisa”, e la crisi formosiana, il sinodo del cadavere 105 ei contrasti sulla validità delle ordinazioni 106 non fecero che mette-re il definitivo suggello a questa, per i posteri insostituibile, pro-duzione storiografica.

È certo comunque che le opere di storia che vengono scrittefra X e inizio dell’XI secolo e che ci informano degli avvenimentiromani sono state tutte composte al di fuori della città: i trattatifilo-formosiani a Napoli 107, i Gesta Berengarii nell’ambiente dellacorte dei duchi del Friuli, 108 la cronaca del monaco Benedettodell’abbazia di Sant’Andrea sul monte Soratte 109, la Destructio mo-nasterii farfensis a Farfa 110, le opere di Liutprando alla corte di Ot-tone I 111, la Vita Odonis, di Giovanni, pur nato e cresciuto a Ro-

tate relevari, per Dei misericordiam facto conventu sanctissimorum episcoporum et to-tius clericalis ordinis, necnon nobilium senatuum et virorum illustrium cetu, acclamanti-bus omnibus, una cum omni populo et utriusque sexus vulgi moltitudine ». Già l’elezio-ne unanime di Adriano II sarebbe stata miracolosamente preannunciata da numerose vi-sioni « ...cum multi monachorum, plerique religiosorum sacerdotum ac fidelium laico-rum, caelitus emissis visionibus et multo iam tempore Hadrianum futurum pontificemnon solum non dubitarent, verum etiam apertis verbis proclamarent » (cfr. Liber pontifica-lis cit., II, p.174).

105. Sulla condanna di Formoso si veda M. L. HECKMANN, Der Fall Formosus. Ungerechtfertig-te Anklage gegen einen Toten, Leichenfrevel oder inszenierte Entheligung des Sakralen?, inPäpstliche Herrschaft im Mittelalter cit., pp. 223-238.

106. Un analisi della produzione del forse franco Ausilio in merito al problema delleordinazioni formosiane è già presente nella voce che a questo autore è stata dedicata daO. CAPITANI, s. v. Ausilio, in Dizionario Biografico degli italiani, 4 (1962), pp. 59-65.

107. Auxilius und Vulgarius, ed. E. Dümmler, Leipzig, 1866 e Invectiva in Romam proFormoso papa, ed. E. Dümmler, in Gesta Berengarii imperatoris, Geschichte Italierns im An-fange des zehnten Jahrhunderts, Halle, 1871, pp. 137-154; l’edizione di Dümmler è stata ri-presa, con poche varianti, in M.G.H., Poëtae latini aevi carolini, ed. P. de Winterfeld, 4/1(1899), pp. 354-403; su questi testi si veda C. GNOCCHI, Ausilio e Vulgario. L’eco della“questione formosiana in area napoletana, in Mélanges de l’Ecole Française de Rome. MoyenAge, 107 (1995), pp. 65-75.

108. Gesta Berengarii imperatoris, citato alla n. precedente.109. Benedetto di S. Andrea del Monte Soratte, Chronicon, in Il Chronicon del monaco

di S. Andrea del Soratte e il Libellus de imperatoria potestate in urbe Roma, ed. G. Zucchetti,Roma, 1920 (Fonti per la storia d’Italia, 55), pp. 3-187.

110. UGO DI FARFA, Destructio monasterii farfensis, in Chronicon farfense di Gregorio da Ca-tino, ed. U. Balzani, I, Roma, 1903, pp. 27-50.

111. Liutprandi Cremonensis Opera omnia (Antapodosis,Homelia paschalis, Historia Ottonis,

LA CHIESA DI ROMA 221

ma, a Salerno 112 per non parlare delle tante opere di autori transal-pini scritti al di là delle Alpi. L’unica opera che potrebbe esserestata scritta a Roma, ma non sappiamo bene per quali destinatari èla Vita Adalberti attribuita a Giovanni Canapario 113.

ROMA E L’OIKOUMENE CRISTIANO

Affrancatasi da Bisanzio, la chiesa romana non svolge a lungoun ruolo ecumenico, rinunciando in larga misura all’ampiezza diorizzonti e di interventi che l’aveva caratterizzata nel periodo pre-cedente 114. Lo si legge bene nello scarso entusiasmo dimostrato difronte agli inviti dei basileis a partecipare ai lavori del VII Concilioecumenico (787) e l’esitazione nel riconoscerne le conclusioni,come avvenne del resto anche per i deliberati dell’VIII (869-870),anche se in entrambi i casi il concilio aveva ratificare decisioni inlinea con quanto sostenuto sin dall’inizio da Roma; nel primo ca-so la condanna dell’iconoclastia; nel secondo la condanna di Fozio.

In altri casi essa manifesta un atteggiamento che ricorda quellogià adottato ai tempi di Gregorio II e Bonifacio, e che definirei di“passività attiva” 115. Roma non prende iniziative ma si dimostrapronta ad accogliere le richieste che le vengono dal di fuori. CosìNicola I si mostra disponibile ad ascoltare le richieste che gli ven-gono dal khan bulgaro, stabilendo un rapporto intenso e ricco diprospettive che i suoi successori condannano però al fallimento.

Relatio de legatione Constantinoplitana), ed. P. Chiesa, Turnhout 1998 (Corpus Christiano-rum. Continuatio Mediaevalis, 156).

112. Joannis Vita Odonis abbatis cluniacensis, in PL, 133, coll. 43-86; su Giovanni si vedaG. Arnaldi, Il biografo romano di Oddone di Cluny, in Bullettino dell’Istituto Storico Italianoper il Medio Evo, 79 (1959), pp. 19-37 e C. Albarello, s.v. Giovanni da Salerno, in Dizio-nario Biografico degli italiani, 56 (2001), pp. 200-202.

113. Giovanni Canapario, Vita S. Adalberti episcopi, ed. G. H. Pertz, in M.G.H., SS.,4 (1841), pp. 581-595.

114. P. DELOGU, Rome and the Wider World in the Seventh and Eighth Centuries, in EarlyMedieval Rome cit., pp. 197-220.

115. Il non prendere iniziative ma reagire alle richieste che vengono dall’insieme dellaCristianità è l’atteggiamento che Jochen Johrendt considera tipico del papato altomedie-vale nel suo complesso e che ha analizzato nel volume J. JOHRENDT, Papsttum und Landes-kirchen im Spiegel der päpstlichen Urkunden (896-1046), Hannover, 2004.

GIULIA BARONE222

Una brillante eccezione è costituita proprio dallo stesso Nicola,che ha abilmente “intercettato” Cirillo e Metodio, già apostoli inMoravia per conto di Costantinopoli e diventati, grazie al pontefi-ce, gli unici missionari ugualmente onorati in Oriente e Occiden-te in età medievale 116.

Nel complesso direi che le possibilità e soprattutto l’efficaciadell’azione dei papi sono fortemente condizionate dalla costella-zione politica in cui si trovano ad agire. Ho scelto tre episodi fra itanti, che si collocano in tempi e contesti molto diversi, in cuiquanto asserisco mi pare risulti abbastanza chiaro. Si tratterà, daparte mia, di semplici accenni, in quanto alcuni temi sono ampia-mente sviluppati in altre relazioni di questo stesso volume.

Il primo episodio, celeberrimo 117, riguarda il rifiuto da parte diNicola I 118 di accettare le decisioni del sinodo di Metz dell’863,che aveva alla fine concesso a Lotario II di poter contrarre un se-condo matrimonio, dopo che la legittima consorte Theutbergaaveva confessato di aver commesso peccato di incesto. Il ponteficenon agisce, anche in questo caso, di propria iniziativa ma intervie-ne perché sollecitato dalla regina che, ancor prima di essere giudi-cata dal primo concilio di Aix dell’862, cui ne seguì a pochi mesidi distanza un secondo, si era rivolta al papa, chiedendo di difen-dere le sue buone ragioni in una fase in cui fortissime pressionivenivano esercitate su di lei per strapparle una falsa confessione dicolpe mai commesse. Nicola si era mostrato fermissimo nel difen-

116. Sull’azione di questi due santi si veda l’agile profilo biografico di M. Donnini, s.v. Cirillo e Metodio, in Il grande libro dei santi. Dizionario enciclopedico, a cura di C. LEO-NARDI, A. RICCARDI, G. ZARRI, I, Cinisello Balsamo, 1998, pp. 448-453. Anche per que-sto tema rinvio al contributo di Roman Michalowski in questo stesso volume.

117. La vicenda del divorzio, richiesto e mai ottenuto dal pontefice, di Lotario II èmolto ben documentato; non solo una buona parte delle lettere scritte da Nicola in me-rito a questioni relativi al regno dei Franchi occidentali trattano di questo tema, cfr. Ni-colai papae epistolae, ed E. Perels, in M.G.H., Epistolae karolini aevi, IV, Berolini, 1925,pp. 267-352, ma l’arcivescovo Incmaro di Reims ha dedicato alla questione pagine no-tissime, per cui si veda Hinkmar von Reims, De divortio Lotharii regis et Theutbergae Regi-nae, ed. L. Böringer, in M.G.H., Concilia IV, Supplementum I, Hannoverae, 1992. Unasintetica presentazione della concezione di Nicola I e di Incmaro in tema di giurisdizio-ne matrimoniale in P. DAUDET, La juridiction matrimoniale d’après Hincmar de Reims et Ni-colas I, in Ecole Nationale des Chartes. Position des thèses 1931, Paris, 1931, pp. 37-44.

118. Un ricchissimo profilo biografico del pontefice è quello proposto da F. BOU-GARD, s.v. Nicola I, santo, in Enciclopedia dei papi, 3 voll., Roma, 2000, I, pp. 1-22.

LA CHIESA DI ROMA 223

dere l’indissolubilità del matrimonio, persino di fronte alla richie-sta rivoltagli negli anni successivi dalla regina, stanca di un decen-nio di lotte, di concedere il divorzio al marito 119. E il suo succes-sore, Adriano II si mantenne fedele alla stessa linea.

Ma non si può passare sotto silenzio che la decisione di Nicolaappare agli storici carica di significati e straordinariamente corag-giosa perché ha finito per decretare la fine del regno di Lotario,spartito alla sua morte tra i suoi due zii. Ma se diverso fosse statol’esito e il regnum Lotharii fosse sopravvissuto, magari con il rico-noscimento da parte di Carlo il Calvo e di Ludovico il Germani-co del figlio illegittimo che Lotario aveva avuto da Waldrada qua-le sovrano, le ferme posizioni di Nicola sarebbero semplicementeentrate a far parte del cospicuo dossier delle decisioni papali inmateria di matrimonio.

Il secondo episodio riguarda il rapporto con i Bulgari, che,non avendo ottenuto la concessione di una chiesa autocefala daBisanzio, si erano rivolti a Nicola I, che aveva inviato presso diloro una missione guidata da Formoso di Porto 120. Questi fu tantogradito a Boris che egli chiese più volte, e inutilmente, di averlocome capo di una chiesa bulgara di obbedienza romana. La richie-sta fu rifiutata da Adriano II in quanto Formoso “non poteva ab-bandonare il suo gregge”, cioè – come vescovo – non poteva es-sere trasferito.

Probabilmente, offrendo al sovrano di inviargli il suddiaconoMarino di cui si prometteva una successiva ordinazione, il papavoleva evitare che la chiesa bulgara potesse godere sin dall’iniziodi un’eccessiva autonomia. Ma non aveva fatto i conti con la rea-zione del suo interlocutore; a questo punto, infatti, l’atteggiamen-to di Boris mutò radicalmente e, dopo una inutile trattativa svol-tasi sul finire dell’VIII Concilio ecumenico (870) tra rappresentan-ti del sovrano, legati papali e clero bizantino, la chiesa bulgara

119. Cfr. Nicolai papae epistolae, cit., nr. 45, pp. 319 ss. (24 gennaio 867). Se Nicola èriuscito ad impedire il divorzio, ha però dovuto intervenire più volte presso un episco-pato franco molto restio ad accettare le sue decisioni, anche perché le posizioni dell’ar-civescovo di Reims divergevano parzialmente dalle sue. La difficoltà di riconoscereun’impostazione coerente nel pensiero di Nicola I è stata suggerita da NOBLE, The intel-lectual culture cit., pp. 204-205.

120. Cfr. J.-M. SANSTERRE, s. v. Formoso cit., p.56 e Liber pontificalis, II cit., p. 185.

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tornò, ad onta delle proteste e degli anatemi di Adriano, nell’or-bita del patriarca di Costantinopoli, che poteva godere dell’inte-ressato appoggio dell’imperatore Basilio I, mentre i chierici inviatida Roma venivano espulsi dal paese 121.

Marzo 1000: a Gnezno Ottone III si è recato a pregare sullatomba di Adalberto, ex-vescovo di Praga, poi monaco a Romanel monastero dei SS. Bonifacio ed Alessio, morto martire neltentativo di convertire i pagani Prutii, che aveva personalmenteconosciuto e di cui era devoto. Ad accogliere festosamente Otto-ne è Boleslao Chobry, duca dei Poloni, cui forse in quell’occasio-ne viene riconosciuto dall’imperatore il titolo regio nell’ambitodella renovatio imperii. Il papa dell’epoca, Gerberto d’Aurillac/Sil-vestro II non è presente ma ha provveduto da tempo ad ordinareRadim, il fratellastro di Adalberto, come “archiepiscopus s. Adal-berti”. Per quanto Johannes Fried abbia sostenuto che con ciòegli intendeva farne il vescovo di Praga, personalmente condividol’opinione dei molti che vedono invece in lui il nuovo vescovo diGniezno. In questo modo vengono frustrate le legittime attese delvescovo Unger di Posen che, fino a quel momento, aveva effica-

121. È lo stesso Anastasio Bibliotecario a narrare, nella prefazione alla versione latinadegli Atti dell’VIII Concilio Ecumenico da lui appontata, come si sarebbe svolta la di-scussione in merito alla questione bulgara, su cui i legati del pontefice avevano comun-que rifiutato di prendere posizione, in quanto il problema non era all’ordine del giornodel Concilio e né gli inviati di Roma né quelli del sovrano bulgaro avevano ricevutoistruzioni su come esprimersi in merito. L’imperatore Basilio avrebbe organizzato le cosein modo da arrivare al risultato a lui gradito giocando, una volta di più, sulle scarse co-noscenze linguistiche dei suoi interlocutori. Cfr. Gesta sanctae ac universalis octavae synodiquae Constantinopoli congregata est Anastasio Bibliothecario interprete, a cura di C. LEONARDI,che aveva preparato l’edizione, completata, con l’aggiunta, dopo la sua morte, di intro-duzione note ed indici a cura di A. PLACANICA, Firenze 2012, p. 22: « Unde factum est,ut quicquid Romani assererent, nec Orientis loci servatores nec Vulgares intelligerent,et rursus quicquid Orientales dicerent, nec Romani loci servatores nec Vulgarum missicognoscerent, dum videlicet nullus adesset nisi unus imperatoris interpres, qui nec Ro-manorum nec Orientalium loci servatorum voces aliter audebat edere, nisi ut iam impe-rator ad subversionem Vulgarum imperarat, excepto quod datum est missis Vulgarumquoddam scriptum, Grecis verbis et litteris exaratum, continens, quasi loci servatoresOrientis, inter loci servatores Romanos et patriarcham Ignatium arbitres existentes, iudi-caverint Vulgarum patriam, quae in Hyllirico constituta est, dioecesi Costantinopolitanaesubiciendam... ». Sull’espulsione dei sacerdoti latini ci informa la Vita di Adriano, cfr.Liber pontificalis, II cit., p. 185.

LA CHIESA DI ROMA 225

cemente lavorato per la diffusione del Cristianesimo e l’organizza-zione della chiesa tra le popolazioni slave. Ritengo che sia indi-scutibile la condivisione da parte del pontefice dei progetti di Ot-tone III nei confronti delle nuove formazioni politiche che si an-davano formando ad est del regno di Germania, una condivisioneche si è tradotta nella creazione di chiese autonome dal controllodella chiesa tedesca sia tra i Polacchi che in Ungheria, ma si trattaappunto di condivisione, non di un’autonoma capacità di inter-vento da parte della chiesa di Roma 122.

Per concludere – ed è una conclusione in qualche modoscontata – gli orizzonti ideali della chiesa di Roma tra VIII e XIsecolo sono senza alcun dubbio vastissimi ma la sua capacità diazione è quella che i diversi poteri le concedono.

122. Sull’azione di Silvestro II si veda G. BARONE, Il contributo di Silvestro II alla “gior-nata di Gniezno” (9 marzo 1000), in Bullettino dell’ Istituto Storico Italiano per il Medio Evo,109/1(2007), pp. 151-165 e il saggio di Roman Michalowski in questo volume.

Discussione sulla lezione Barone

CANTARELLA: non è il caso di dire che ho molto apprezzato l’am-piezza e la sapienza della tua relazione. Ma a proposito dell’introduzio-ne dello stile di vita di Gorze a S. Paolo fuori le Mura in luogo di quel-lo cluniacense vorrei ricordare che forse non è necessario pensare al tentati-vo di sostituire una riforma con un’altra che non presentasse rapporti pro-blematici con l’ordinario diocesano: perché non solo Cluny non avrebbepotuto sottrarsi alla giurisdizione del vescovo di Roma, proprio in quantodotata di libertas Romana, ma soprattutto perché non si può in generaleanticipare alla metà del sec. X quel clima di difficoltà e talora di apertaostilità che si registrerà nel pieno sec. XI, e soprattutto con il vescovo diMâcon; semmai dovremmo ricordare più spesso che i cluniacensi ebbero ingenerale relazioni eccellenti con l’episcopato, come segnalarono le NeueForschungen über Cluny und die Cluniacenser coordinate nel 1959da Gerd Tellenbach e che contribuirono a dare un grosso colpo all’ideatradizionale che lo statuto d’esenzione rivestisse generaliter l’intera retecluniacense; anzi, la mia impressione è che l’allarme di Adalberone diLaon sia motivato dal fatto che l’episcopato del regno si dimostra fin trop-po amico dei cluniacensi. E comunque siamo sempre nel pieno XI secolo:credi che questo tipo di dinamiche e di problemi possano essere rinvenutianche in senso, per dir così, retroattivo? Grazie.

BARONE: sono d’accordo con te che sarebbe un errore anticipare allametà del X secolo il clima conflittuale del periodo successivo. Resta però ilfatto che Cluny nasce con un’impostazione che, se non può definirsi an-tiepiscopale, si potrebbe però definire a-episcopale. Del resto, lo stesso con-cetto di Libertas romana è, in quel periodo, ancora in via di elaborazio-ne, come hanno dimostrato i lavori di Bettina Szabò-Bechstein. Quelloche però mi interessava sottolineare nel caso di Roma era il per me evi-dente desiderio del pontefice di introdurre la riforma in un monastero tan-

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to importante per il suo ruolo nella vita religiosa della città, in quanto alservizio di una delle basiliche cittadine. È infatti indubbio che in questafase, in cui laici ed ecclesiastici fanno a gara in molte regioni d’Europa nelproporre e favorire il ritorno ad una più corretta osservanza benedettina,non era irrilevante che a promuoverla fosse il vescovo o un grande signorelaico come Alberico. Non è certo un caso se in molte importanti sedi Clu-ny è stata accettata solo con grande ritardo; basti pensare a Milano o allegrandi diocesi tedesche.

SOT: en écoutant la très riche communication de Giulia Barone, j’airepensé aux questions que m’ont posé hier les Prof. Alzati et d’Acuntosur l’effectivité du modèle épiscopal véhiculé par le Liber Pontificalis romain,au-delà du modèle formel sur lequel j’ai insisté. La leçon de G. B. m’amèneà compléter ma réponse de façon positive. Il y a bien un modèle romainde l’évêque dans les textes que j’ai évoqués. On y retrouve ce que G. B.vient de présenter à propos des évêques de Rome : l’élection par une élitedu clergé et du peuple; le rôle, non pas de l’Empereur, mais du roi sacré,qui n’est pas simplement un laïc comme le considérerons les “grégoriens”;la mise en place des circonscriptions ecclésiastiques; les fondations de monastèrespar les évêques, signifiant leur dépendance; des liturgies stationales manifestantl’unité de l’église locale ou régionale etc. Le tout est évidemment à uneéchelle bien supérieure à Rome, qui est certes une église locale et régionale,mais la plus grande du monde. Le modèle romain de l’évêque a été diffusépar le Liber Pontificalis assurément, mais cette diffusion s’inscrit dansune diffusion d’ensemble de tout ce qui est romain: la liturgie de Rome,avec le Sacramentaire grégorien; le droit de l’Eglise de Rome avec la collectionDionysio-hadriana; et les nombreuses reliques sur lesquelles G. B. vientd’attirer notre attention en particulier.

Je voudrais poser une question sur la fin du Liber Pontificalis qui,avec les notices de Nicolas Ier et d’Hadrien II, connaît un changementtypologique: ces deux notices, oeuvres d’un auteur reconnu, ne sont plusle travail collectif d’anonymes fonctionnaires des bureaux comme les Gestaepiscoporum de Rome, d’Auxerre ou d’ailleurs. N’est-ce pas cela quisigne la fin du Liber Pontificalis romain?

BARONE: per me non c’è dubbio che queste Vite “d’autore”, che sitratti di Anastasio Bibliotecario e Giovannei Immonde o del solo Giovan-ni, segnano la fine del Liber che era stato, pur con tutte le diversità nellapresentazione dei singoli pontefici, un’opera eminentemente collettiva e

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che aveva avuto al suo centro la città di Roma e la sua chiesa. Nelle Vitedi Nicola e Adriano sono invece al centro della narrazione il divorzio diLotario, i rapporti con Costantinopoli e i Bulgari ; è la dimensione uni-versale della chiesa romana e non quella locale che interessa gli autori. Ilframmento della Vita di Stefano V sembra nuovamente ispirato ad un’ot-tica romana, ma è veramente troppo poco il materiale che è giunto fino anoi per parlare di un tentativo di tornare all’impostazione tradizionale delLiber. E,in ogni caso, è certo che questo tentativo, se c’è stato, non haavuto continuatori.

ANDENNA: pensavo di intervenire su alcuni aspetti della Roma alto-medievale, quelli relativi alla demografia e alla situazione dell’abitato,sparso su nuclei separati da fondi paludosi, ma la discussione testé conclu-sa mi ha convinto a modificare la domanda. Il rapporto tra Liber Ponti-ficalis e i Gesta episcoporum di Reims e di Auxerre ha mostrato comele Chiese carolinge di area franca abbiano messo in atto una forte imita-zione del modello metropolitico romano. E ciò è vero. Tuttavia vorrei direche un simile esito non va considerato come l’unico modello di organizza-zione del sistema metropolitico occidentale. Il rispetto per Roma potevaessere grande, ma sono esistite sedi metropolitiche la cui origine non ebbealcun rapporto con Roma. Ad esempio nella Milano del tardo IV secolo,Ambrogio, responsabile politico e militare della città in quel momento ca-pitale dell’impero, fu eletto vescovo dal clero e dal popolo mentre era an-cora catecumeno. Subito consacrato vescovo, Ambrogio creò una rete diChiese divenute episcopali con lui e con i suoi immediati successori. Nelcaso di creazioni durante la sua vita egli consacrava direttamente i vescovidi sedi suffraganee. Ma va notato che Vercelli, qualche decennio prima,aveva ricevuto la fede dal prete romano Eusebio, e che questo fatto eraavvenuto alcuni decenni prima della consacrazione di Ambrogio. Nono-stante ciò Vercelli fu sottoposta alla Chiesa metropolitica di Milano, alloracapitale dell’impero. Dunque la Chiesa milanese, che faceva capo adAmbrogio, non ebbe alcun legame di imitazione, di dipendenza o di sog-gezione alla Chiesa Romana. Tale sudditanza fu accettata solo nella pri-ma metà del XII secolo, mentre per la liturgia essa rimase sempre autono-ma, professando il rito ambrosiano. Vorrei allora chiedere alla collega seritiene che non tutte le sedi metropolitiche dell’Occidente siano derivate,nei primi quattro secoli, dalla Chiesa Romana. Ciò potrà servire perchiarire molti punti in discussione.

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BARONE: non sono una specialista della storia della Chiesa nei primisecoli ma conosco abbastanza bene il caso di Milano, la cui autonomia incampo liturgico ricordo sempre ai miei studenti. Direi comunque che misembra che, in quella fase storica, il ruolo svolto dalle città all’interno del-l’Impero avesse un peso determinante nella nascita delle sedi metropoliti-che. Oltre a Milano, in questa ottica di rapporto col potere politico, po-tremmo citare Ravenna, Treviri e Arles.

HERBERS: Vielen Dank für den spannenden Vortrag. Meine Fragebetrifft auch das Ende des alten Liber Pontificalis. Die Vita StephansV. folgt wieder den alten Modellen des beginnenden 9. Jahrhunderts. Esdominieren Stiftungsnotizen, « politische Nachrichten » fehlen fast völlig.Die Viten Nikolaus’ I. und Hadrians II. sind dagegen von einem hohenliterarischen Niveau. Nimmt man die im Pontifikat Johannes’ VII. verfassteVita Gregors I. von Johannes von Hymmonides hinzu, dann gab es etwa860 bis 880 im päpstlichen Umfeld ein hohes literarisches Können. Meinevereinfachten Erklärungen zum Ende des alten Liber Pontificalis unterStephan V. sind zweifach: geistesgeschichtlich und « ökonomisch »: 1. ZurZeit Stephans V. gab es in Rom kein literarisch geschultes Personal mehr,um das neue Niveau zu halten. Dies wäre eine eher geistesgeschichtlicheErklärung. 2. Die Kassen waren beim Pontifikatsbeginn Stephans V. nachAusweis der Quellen (Liber pontificalis) leer. Wenn deshalb wenig gestiftetwurde, hatte Konsequenzen für das Vestiarium und entsprechend für dieVita Stephans V., die damit in der klassischen Form unnötig wurde.

Mich interessiert Ihre Meinung zu diesen Erklärungsversuchen.

BARONE: naturalmente è compito arduo, se non impossibile, chiarireperché sia venuta meno la volontà/possibilità di continuare il Liber nellasua forma tradizionale. È difficile, a mio parere, pensare ad una mancan-za assoluta di personale sufficientemente colto per provvedere alla stesuradi biografie che, anche nella prima metà del IX secolo, sono a volte moltobrevi e di non alto livello stilistico. È vero che Armando Petrucci si di-chiara convinto che nella Roma del X secolo la conoscenza del latino fosseassai limitata, ma è difficile ipotizzare un crollo improvviso delle compe-tenze di base, anche perché è proprio a partire dalla metà del X secoloche incominciamo ad avere a disposizione documenti provenienti dai mo-nasteri romani. Certamente i papi della fine del IX secolo non sono ingrado, per molte e diverse ragioni, di continuare nella distribuzione di do-nativi alle istituzioni ecclesiastiche cittadine come avveniva nel periodo

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precedente e l’inizio delle Vita di Stefano V è molto illuminante da que-sto punto di vista. Ma proprio la biografia di questo pontefice ci dimostrache venivano registrate anche donazioni di valore meno elevato come leraccolte di omelie che il pontefice ha fatto avere a diverse istituzioni eccle-siastiche cittadine. Ed è anche difficile ipotizzare che i pontefici, ai tempidi Marozia e di Alberico, si trovassero nelle stesse difficoltà economicheche ci presenta il biografo di Stefano V. A mio parere il venir meno delLiber ha ragioni meno legate a fattori economici ma più profonde: il venirmeno di un’identità collettiva e della sua autocoscienza all’interno del per-sonale del palatium.

D’ACUNTO: vorrei chiederle se può fornirci qualche ragguaglio circal’azione del Papa come metropolita con riguardo alle diocesi sulle qualiegli esercita tale funzione.

BARONE: proprio per le ragioni che ho già esposto, e cioè la naturastessa del Liber, che focalizza per circa un secolo il suo interesse sulla cit-tà e la sua chiesa, ben pochi sono i dati che se ne possono trarre perquanto riguarda la sua azione come metropolita; naturalmente vengonoinseriti sempre i dati sulle ordinazioni (ma come numero totale e senzaspecifiche relative alle singole sedi) e, in alcuni casi – come quello di Leo-ne IV, si fa anche cenno a doni inviate a sedi vescovili che rientrano nel-l’ambito della metropoli. Ma è difficile andare oltre. Anche dalla letturadei documenti pontefici editi da Zimmermann si ricava ben poco sul rap-porto tra il pontefice e le sedi suffaganee.

NOBILE MATTEI: relativamente al ruolo del Papa come metropolita.Mi sembra notevole che il Vescovo di Roma non intervenga (nemmenosul piano disciplinare) contro il suo suffraganeo beneventano Davide che,intorno al 774, si presta all’unzione principesca del duca Arechi II (comeattesta Erchemperto, Historiola, III). Questo gesto non poteva certamenterisultare ammissibile per il Pontefice, che a più riprese sollecitò Carlo acompletare la conquista dei possedimenti longobardi annettendo anche ilMezzogiorno. Nonostante l’evidente contrarietà di Roma, il vescovo Da-vide procede egualmente ad un rito così significativo, mostrandosi più sen-sibile alle aspirazioni del suo principe che alle preoccupazioni del suo me-tropolita. Né sembra che, successivamente, pagò il prezzo di un gesto cosìtemerario. Mi sembra, pertanto, che anche la Chiesa beneventana (come

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quella ambrosiana) mostri i caratteri autonomi di una chiesa locale, benprima di divenire ufficialmente metropolia nel 969.

BARONE: il caso di Benevento è un’ulteriore conferma di quanto hogià avuto modo di esporre nelle risposte ai colleghi che La hanno precedu-ta. In realtà il pontefice può esercitare un’autorità reale, in questa fasestorica, solo laddove i potentati locali glielo permettono. Carlo Magno nonha mai esercitato che una sovranità formale sul principato di Benevento edè evidente che il vescovo Davide intratteneva rapporti molto più stretti conArechi che col pontefice. La creazioni delle metropoli del sud è insieme ri-conoscimento della frammentazione politica dell’Italia meridionale ma an-che espressione di un papato che, grazie alla presenza imperiale in Italia,ha modo di esercitare una qualche autorità.

GAROSI: nella Sua interessante lezione ha fatto un riferimento all’ar-rivo a Roma di monaci ellenofoni, tra i quali anche siriaci e armeni. Aparte san Simeone armeno (che da Roma passò e fu pure incarcerato per-ché indossava vesti inconsuete e parlava anche una lingua incomprensibile)la cui Vita è ben nota e studiata, e san Davino pure armeno, ci sono no-tizie di dettaglio su altri monaci o pellegrini provenienti da quell’area geo-grafica? Questo mi porta anche a soggiungere che è un peccato che tra itemi di questa settimana, nessuno tratti argomenti riguardanti chiese cau-casiche (georgiana, armena, albana), siriache, etiopiche, copte e nordafrica-ne, e in genere di quell’area che oggi chiamiamo Medio Oriente. Tuttechiese il cui studio, da solo, non potrà temo essere oggetto di un’interasettimana spoletina.

BARONE: sarebbe certo molto interessante saperne di più sulle comuni-tà ellenofone presenti a Roma, per cui non posso che rinviare ai tanti stu-di di Jean-Marie Sansterre. Il problema per la storia del monachesimo ro-mano, e non solo di quello greco, è che spesso conosciamo l’esistenza deimonasteri solo per le sporadiche menzioni che compaiono nel Liber, chenon ci consentono di ricostruire una vera storia di queste comunità. È im-possibile, ad esempio, determinare con precisione quando e come avvennela sostituzione di monaci greci con latini. È una difficoltà ben nota, chespiega la povertà delle voci del Monasticon Italiane relative a Roma, incui tre-quattro secoli della storia di un’istituzione anche celebre sono con-densati in un paio di righe.