Settembre 2007 trimestrale transardennese dei...

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SOMMARIO PAG. CULTURALIA: Mille anni che sto qui (G. Gigante) 2 Venezia e ancora Venezia (C.Breddy-Buda) 4 NOTE TERMINOLOGICHE: Mentoring e counselling (F. Nassi) 5 e 8 QUARTA GIORNATA REI: Programma REI (D. Murillo) 6 CULTURALIA: Cristina Donà—La Quinta stagione (R. Gallus) 9 NOTE TERMINOLOGICHE: Timeshare e multiproprietà (D. Vitali) 10 Ei fu– Il passato trapassato ovvero: così passé, così remoto (C.M. Gambari) 11 38 Settembre 2007 trimestrale transardennese dei traduttori italiani Direzione generale della Traduzione – Commissione europea http://europa.eu.int/comm/translation/reading/periodicals/interalia/index_it.htm Comitato di redazione: C. Breddy , C. Cona , R. Gallus , C. M. Gambari , G. Gigante , D. Murillo Perdomo , D. Vitali Grafica: A. D’Amico

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SOMMARIO PAG.

CULTURALIA: Mille anni che sto qui (G. Gigante) 2 Venezia e ancora Venezia (C.Breddy-Buda) 4

NOTE TERMINOLOGICHE: Mentoring e counselling (F. Nassi) 5 e 8

QUARTA GIORNATA REI: Programma REI (D. Murillo) 6

CULTURALIA: Cristina Donà—La Quinta stagione (R. Gallus) 9

NOTE TERMINOLOGICHE: Timeshare e multiproprietà (D. Vitali) 10 Ei fu– Il passato trapassato ovvero: così passé, così remoto (C.M. Gambari) 11

38 Settembre

2007

trimestrale transardennese dei traduttori italiani Direzione generale della Traduzione – Commissione europea

http://europa.eu.int/comm/translation/reading/periodicals/interalia/index_it.htm

Comitato di redazione: C. Breddy, C. Cona, R. Gallus, C. M. Gambari, G. Gigante, D. Murillo Perdomo, D. Vitali Grafica: A. D’Amico

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MILLE ANNI CHE STO QUI

Quest’anno a vincere il premio Campiello è stato un libro profondamente meridionale nello spirito e nella sostanza. Mille anni che sto qui di Mariolina Venezia è un libro che ci trasmette il Sud in tutta la sua consistenza fisica: un Sud che si tocca, si vede, si annusa; un Sud fatto di oggetti precisi che costituiscono il quotidiano: le cuccu-me di terracotta, le lucerne ad olio, i pitali da svuotare, i secchi di rame, ma anche ricami raffinati e case dall'architettura arzigogolata. Un Sud in cui la natura interagisce violentemente con gli uomini, in cui gli animali svolgono ruoli di primo piano, dal flagello delle cavallette a una scrofa che fa da madre a un bambino troppo solo. E' un universo popolato da una miriade di personaggi che si stagliano come vivi, in carne ed ossa, e in cui sono le donne a muovere i fili della storia, anche se il più delle volte da dietro le quinte.

Mille anni che sto qui è una saga familiare che parte dal 1861 e arriva fino ai giorni nostri passando attraverso le traversie del periodo fascista che hanno un ruolo molto importante nella narrazione. In un secolo e mezzo, nel microcosmo di Grottole e dintorni si succedono quattro generazioni di personaggi dai nomi ricorrenti, quasi a ribadire la ripetitività del cammino della Storia, fino a giungere agli anni Novanta. Anche se, inspiegabilmente, nell’ultima parte l'opera perde un po’ di colpi, il libro resta valido per la sensibilità di cui si dimostra dotata l’autrice nel rappresentare i suoi personaggi, con le loro ubbìe e fantasie, sofferenze e gioie, peculiarità e piccole manie. Le sue annotazioni psicologiche inquadrano con poche, ma immaginifiche parole situazioni e persone.

Nel narrare le vicende del romanzo, ambientate a Grottole, un paesino interno del materano, la scrittrice coniuga felicemente il realismo, la concretezza della narrazione, con una sorta di leggerezza poetica aggiungendovi, talvolta, un tocco, ben calibrato, di magia. Fin dalle prime parole, l'autrice crea un'atmosfera danzante, reale e fantastica al contempo: "Certi giorni si alzava un vento colorato che sollevava la polvere e tutto iniziava a lievitare come la pasta del pane sotto la coperta. I fatti già successi tornavano e quelli ancora da venire diventavano visibili. In quei giorni gli spifferi sotto le porte sembravano risatelle di bambini non nati, avvolgevano le caviglie delle donne con lacci impalpabili, che le facevano inciampare. I vetri delle finestre sbattevano. Il latte cagliava nei secchi. Gli uomini si mettevano addosso i vestiti sbagliati e le bambine diventavano donne."

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Basti pensare a come ci fa "sentire" il senso di inadeguatezza che prova Rocco, uno dei suoi personaggi: "Rocco aveva la solitudine appiccicata addosso. Qualunque cosa facesse per toglierla non se ne andava, come l'odore di stalla dei contadini, che durante la funzione domenicale riempiva la chiesa attraverso la trama dei vestiti buoni malgrado le energiche strigliate mattutine col sapone di soda." O a come parla di Albina, una delle donne della grande famiglia che, delusa, si rifugia nel rancore: "Diventò allegra, con la battuta tagliente e la risata in tasca. Quando passava, si sentiva un vento freddo, di quelli che fanno ingiallire le foglie e venire il mal di gola, e non ci fu più niente che potesse impressionarla, nemmeno quando poi col marito successe quello che successe." O ancora, a come suggella icasticamente un rapporto d'amore che si regge su una realtà inventata: "Lì iniziarono la loro vita semi immaginaria, illudendosi ognuno sul conto dell'altro e dandosi in questo modo tanta felicità.".

Si ha l’impressione che in questo romanzo le parole riacquistino il loro peso, il loro significato originario. Non c’è nulla di superfluo nello stile pur molto ricco e colorito della Venezia. E paradossalmente questa ricchezza sembra scaturire proprio dalla mancanza del superfluo.

Mille anni che sto qui riesce nella difficile impresa di raccontare un pezzo di Sud e di storia senza cadere nei cliché e, cosa ancor più ardua, senza lamentazioni. Con la sua opera di ricerca e, in un certo senso, di riscoperta di un patrimonio culturale che rischia di scomparire gradualmente e di cadere nell'oblio, Mariolina Venezia, nel solco di scrittori come Salvatore Niffoi per la Sardegna e Carmine Abate per la Calabria albanese, contribuisce ad alimentare una nuova tendenza, o meglio controtendenza, letteraria: quella del "ritorno alle radici".

Giulia Gigante

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Nel cuore di Venezia, nel sestiere di Dorsoduro, si trova la bella chiesa di San Barnaba, costruita verso la metà del 700, con una severa facciata classicheggiante in pietra d'Istria. Attualmente e fino alla fine dell'anno ospita la mostra 'Le macchine di Leonardo'. Nell'ampia navata unica si possono ammirare circa quaranta modelli, disposti su cubi o pedane di legno, di alcune delle famose macchine ideate da Leonardo da Vinci..

Venezia e ancora Venezia

Le macchine volanti sono collegate con un telaio sempre in legno. Accanto ad ogni prototipo si trovano le spiegazioni, con il disegno tratto dal codice che si riferisce al modello. Le macchine basate sui principi della meccanica sono interattive e possono essere usate dal pubblico. Tuttavia, in questo momento e fino al 21 novembre, a Venezia non mancano le occasioni di ammirare allestimenti artistici eccezionali, visto che è ancora in corso la 52a Esposizione Internazionale d'Arte, meglio nota come Biennale, intitolata Pensa con i sensi - Senti con la mente. L'arte al presente. La mostra centrale è allestita alle Corderie e Artiglierie dell’Arsenale e nel Padiglione Italia ai Giardini. Sono presenti un centinaio di artisti provenienti da tutto il mondo. Il panorama internazionale è arricchito dalle mostre dei 76 Paesi partecipanti, fra cui anche Belgio e Lussemburgo, allestite in vari punti del centro storico cittadino. Fra coccodrilli di plastica rosa aggrappati alle facciate dei palazzi e un grande teschio fatto di utensili da cucina in metallo, collocato davanti a Palazzo Grassi sul Canal Grande, non mancano le occasioni di rimanere perplessi. Paradossalmente, la laguna e la Serenissima possiamo ammirarle anche molto più a nord, nella Tate Gallery di Londra, dove, fino al febbraio 2008 è in corso una mostra 'ragionata' in cui David Hockney presenta gli acquerelli di JMWTurner, uno dei primi artisti ad avventurarsi nell'Europa continentale, dove era appena tornata la pace, alla ricerca di luoghi e paesaggi senza pari da sempre fonte di ispirazione. Splendido il dipinto di San Giorgio Maggiore all'alba, del 1819. Niente coccodrilli e niente turisti, solo luci e riflessi sull'acqua.

Clara Buda-Breddy

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note terminologiche

Mentoring e counselling

Comitato Interministeriale dei Diritti Umani”, ad opera del Consiglio Nazionale sulla Disabilità e della Federazione Italiana Superamento Handicap, si propone di lasciare in originale i due termini mentoring e counselling. In particolare, alla frase “agevolare il sostegno visivo ravvicinato”, traduzione di “facilitating peer support and mentoring”, si propone di sostituire “agevolare il sostegno tra pari e il mentoring”, argomentando che “il termine mentoring [è] ormai di uso comune in Italia”. La traduzione italiana si distaccherebbe così dalla francese e dalla spagnola, che propongono rispettivamente “mentorat” e “tutoría”. Ugualmente in inglese si propone di lasciare il termine counselling, preferito alla traduzione italiana “sostegno psicologico”: quest’ultimo avrebbe infatti un significato più ristretto dell'originale, che comunque è “largamente utilizzato nel linguaggio tecnico italiano”.

Counselling (dal ‘Middle English’ counseil, che tramite l’antico francese proviene chiaramente dal latino cōnsilium) significa alla lettera consultare, chiedere consulenza, ma è utilizzato soprattutto nel campo psicologico/psicoterapeutico, a partire dalla fortunata opera Counseling and Psychotherapy di Carl Rogers (1942). Viene applicato, in pratica, a tutto ciò che sostituisce l’intervento psichiatrico vero e proprio, e quindi tutte le forme alternative alla 'medicalizzazione' di certi disturbi psichici o comportamentali. Il counsellor è quindi uno psicoterapeuta, ma anche colui che offre assistenza in ambito scolastico e pedagogico, che in qualche maniera intende aiutare senza ‘curare’. Non si va troppo lontano con la figura del mentor, nella quale però entra in gioco, almeno in origine, una connotazione pedagogica più spiccata: in ambito privato si tratta di un tutore (Mentore nell’Odissea è il tutore di Telemaco), in ambito pubblico è, genericamente, il responsabile della formazione di alcuni gruppi di persone, dai neoassunti all’interno delle imprese ai giovani 'a rischio' e così via.

È evidente come questo tipo di terminologia si vada sviluppando in un periodo in cui il cosiddetto “approccio fondato sulla persona” trova campi di applicazione sempre più numerosi.

Il termine counselling (o counseling nella variante americana) è entrato effettivamente nel linguaggio tecnico di un vasto settore che si occupa di sostegno socio-psicologico: esiste un’Association francaise de Counseling (rivolta a “personnes confrontés à des processus de désarroi, de dépression ou de surpression, de violence gratuite, de stigmatisation et d'exclusion”), che definisce il counseling “une relation d'aide en situation”, più vasta della psicoterapia e soprattutto più radicata alle singole situazioni sociali e personali.

In Spagna si usa ugualmente il termine inglese (esiste infatti una Asociación Española de Psicoterapia Humanista Integrativa y Counselling), ma si tenta più spesso una traduzione, che può essere “Asesoramiento psicológico”, “Psicología del Asesoramiento”, “Relacion terapeutica”, “Consultoría Psicológica” e così via. In Italia esiste la Società Italiana Counselling (S.I.Co.) e la Società Italiana Counselling Sistemico (SICIS), nonché la Scuola Superiore di Counselling Sistemico, che fornisce formazione in campo pediatrico, sanitario e della comunicazione.

La Federazione nazionale delle AICo (Associazioni italiane counselling) definisce il counselling “un processo di apprendimento, a t t raverso un’interazione tra Counsellor e cliente, o clienti (individui, famiglie, gruppi o istituzioni), che affronta in modo olistico problemi sociali, culturali e/o emozionali […] nell’ottica di raggiungere maggiori risorse e ottenere una maggiore soddisfazione come individui e come membri della società”. Il minimo comun denominatore di tutti questi vari significati mi sembra que l lo de l l ’a iu to ps ico logico /comportamentale, aiuto che può essere fornito da operatori non sanitari, ma anche come appoggio a un’attività clinica, ai fini di un'interpretazione approfondita del rapporto tra medico e paziente che coinvolga anche la comunicazione e l’assistenza psicologica. Il counselling può essere offerto anche in ambi to univers i ta r io , a s tudent i che hanno particolari difficoltà, ma in questo senso, come vedremo tra poco, si preferisce parlare di servizi di tutoring.

segue a pagina 8

Nei “Commenti al testo e proposte di revisione della Traduzione Italiana della Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità presentata dal Ministero Affari Esteri,

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QUARTA GIORNATA REI

Si svolgerà a Padova la quarta giornata REI, organizzata con il sostegno dell'università locale e della Rappresentanza in Italia dell'Unione Europea. La giornata del 29 ottobre sarà dedicata ai risultati dei quattro gruppi di lavoro creati per discutere di terminologia giuridica e della lingua dell'economia e della finanza, della "Guida REI" e dell'accordo di cooperazione tra le istituzioni che partecipano al progetto. In occasione dell'incontro sarà inoltre presentato il nuovo sito web della rete.

L’incontro avrà luogo presso il Collegio universitario don Mazza, in Via dei Savonarola, 176.

Programma della

quarta giornata della rete di eccellenza dell’italiano istituzionale

Padova - 29 ottobre 2007

9.00 Accoglienza dei congressisti

9.30 Saluti di apertura

9.50 Introduzione:

Luigi VESENTINI (Capo del dipartimento di lingua italiana della DGT, Direzione generale della Traduzione)

10.05 Le antenne per il multilinguismo e la REI:

Claudia DE STEFANIS (Antenna della DGT presso la Rappresentanza in Italia della Commissione europea)

I RISULTATI DELLA RETE REI – PRIMA SESSIONE

presiede: Carla Serpentini

10.20 Il sito www.reterei.eu:

Alessandra CENTIS (dipartimento di lingua italiana della DGT) 10.45 Presentazione dei lavori del gruppo “La qualità della normazione e la redazione delle leggi”

Coordinatore Raffaele LIBERTINI, Osservatorio legislativo interregionale

Interventi di S. Cavagnoli e C. Crivello, G. Rotolo, E. Ioriatti, C. Paradiso.

11.40 pausa caffè

I RISULTATI DELLA RETE REI – SECONDA SESSIONE

presiede: Riccardo Gualdo

12.00 Presentazione dei lavori del gruppo “Terminologia giuridica”

Coordinatrice Manuela GUGGEIS (Giurista linguista, Consiglio dell’Unione europea)

Interventi di E. Ioratti, B. Pozzo

13.00 Presentazione dei lavori del gruppo “Terminologia e lingua dell’economia e della finanza”

Coordinatrice Maria Teresa ZANOLA (Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano)

13.30 pausa pranzo

I RISULTATI DELLA RETE REI – TERZA SESSIONE

presiede: Raffaele Libertini

15.00 Presentazione dei lavori del gruppo “Guida REI” Coordinatrice Daniela MURILLO (Referente linguistica del Dipartimento di lingua italiana della DGT)

Interventi di A. De Martino, C. Di Benedetto, D. Cosmai, M. A. Cortelazzo

GLI ATTI COSTITUTIVI DELLA REI

15.45 Presentazione dell’Accordo di cooperazione professionale e del Regolamento interno

REI Coordinatore Domenico COSMAI (Traduzione italiana, Comitato economico e sociale europeo / Comitato delle regioni)

IL FUTURO DELLA REI

Presiede: Maria Teresa Zanola

16.15 L’italiano istituzionale fuori dai confini geografici italiani

La terza lingua ufficiale della Confederazione:

Jean-Luc EGGER (Cancelleria federale svizzera)

L'italiano nell'Adriatico orientale:

Italo RUBINO (Capo unità C.01, DGT)

L’italiano amministrativo in Slovenia:

Natale VADORI (Università di Trieste)

17.00 Avvio di nuovi gruppi di lavoro

Proposta di un gruppo di lavoro sulla terminologia medica e sanitaria:

Elisabetta POLTRONIERI e Maurella DELLA SETA, Istituto superiore di Sanità

17.30 Conclusioni

Michele A. CORTELAZZO (Università di Padova)

Per informazioni:

Claudia De Stefanis, Rappresentanza in Italia della Commissione europea: Tel.: +39-06-69999222 Fax: 06-6791658 [email protected]

Donatella Bruni, Dipartimento italiano - Unità C-IT-02 Direzione generale della Traduzione Tel. +32-2-295.27.31 [email protected]

Michele A. Cortelazzo, Dipartimento di Romanistica, Università di Padova Tel.: +39-049-8274940 Fax: +39-049-8274937 [email protected]

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note terminologiche

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Per quanto riguarda il mentoring, anche in questo caso ci troviamo ormai di fronte a un termine tecnico. Francesi e spagnoli utilizzano il termine inglese, ma quasi sempre traducono il sostantivo che designa il protagonista di questo processo, il mentor. In Italia, il Business Mentoring Institute definisce il mentoring come “l'attività con la quale il mèntore - persona di buon senso, ricca di esperienze di vita e di lavoro - trasferisce ad un'altra persona chiamata mentee - che liberamente le accetta - le proprie conoscenze ed esperienze di lavoro e di vita per favorirne la crescita umana e professionale”, e indica il proprio obiettivo nel "promuovere l'utilizzo dei mentoring come uno strumento in grado di facilitare la costruzione di consapevoli e costruttive relazioni fra le generazioni”.

Il Mentoring USA/Italia – Onlus (creato nel 1998 da Matilda Cuomo, moglie del più famoso Mario) è un’associazione “diretta ad arginare il diffuso e preoccupante fenomeno [della] dispersione scolastica, causa di piaghe sociali" con una strategia che abbina “un Volontario adulto (Mentore) ad un Ragazzo (Mentee), con l’obiettivo di favorire lo sviluppo di personalità armoniose e vincenti”. In un’intervista online Vito Giacalone, docente presso l'Università La Sapienza di Roma e direttore generale di Mentoring Usa/Italia, ricorre al termine ‘mentorato’, definito come attività “in cui si abbina ad ogni ragazzo prevalentemente con difficoltà relazionali un mentore”. Tuttavia, l’uso di questa traduzione risulta decisamente minore di quello dell’originale e sembra diffuso quasi esclusivamente nella Svizzera italiana.

Personalmente, considero il neologismo mentorato una t r a d u z i o n e p o s s i b i l e : i l s i g n i f i c a t o risulterebbe probabilmente chiaro agli addetti ai lavori, come ne è chiara l’origine etimologica, poiché la parola mentore è presente nei vocabolari. Oppure, si può utilizzare il termine mentore ricorrendo a una circonlocuzione, che nel caso della Convenzione potrebbe essere “agevolare il sostegno tra pari e l'assistenza da parte di mentori (mentoring)”. In alternativa, propongo di ricorrere a tutorato, neologismo in via di affermazione, oggi applicato quasi esclusivamente in ambito universitario: la Riforma degli ordinamenti didattici universitari del 1990 (L. 341/90) lo definisce come attività diretta a "orientare ed assistere gli studenti lungo tutto il percorso degli studi, a renderli attivamente partecipi del processo formativo, a rimuovere gli ostacoli ad una proficua frequenza dei corsi, anche attraverso iniziative rapportate alle necessità, alle attitudini e alle esigenze dei singoli" (art. 13).

Varie università introducono una distinzione tra tutorati di tipo esclusivamente didattico e tutorati ‘personali’ o

‘personalizzati’, questi ultimi rivolti a chi presenti "problematiche di natura personale che intervengono e coinvolgono il soggetto nella sua relazione con il mondo universitario” (definizione dell’Università La Sapienza di Roma). Si entra nello specifico con la legge 28 gennaio 1999, n. 17, "Integrazione e modifica della legge-quadro 5 febbraio 1992, n. 104, per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate", la quale prevede che “Agli studenti handicappati iscritti all'università [siano] garantiti sussidi tecnici e didattici specifici, realizzati anche attraverso […] il supporto di appositi servizi di tutorato specializzato, istituiti dalle università”.

Il termine tutorato è scelto della Commissione per l'inclusione degli studenti con disabilità dell’Università Federico II di Napoli, che ne offre la seguente descrizione: il “Servizio di Tutorato Specializzato è l’insieme di azioni volte all’inclusione dello studente con disabilità e finalizzate alla rimozione delle barriere didattiche, psicologiche, pedagogiche e tecnologiche relative alla sua vita universitaria. Per tale servizio, la Commissione, supportata anche da professionisti (psicologi, psicoterapeuti, tecnici, pedagogisti ed altri) con competenze in materia di disabilità, predispone, in un’ottica di lavoro multidisciplinare, l’intervento personalizzato, in funzione delle problematiche connesse alla tipologia di disabilità e agli specifici bisogni formativi dello studente”. Anche l’Università di Camerino offre uno specifico “Tutorato per disabili” e quella di Bologna un “Tutorato agli studenti con disabilità”. Si è affermata anche la funzione di “tutor pari”, attribuita a studenti che si affiancano ad un collega di corso con invalidità o disabilità. Un “Tutorato alla pari” per studenti disabili è offerto, ad esempio, dall’Università di Bologna.

In definitiva, benché sia mentorato che tutorato siano neologismi, quest’ultimo risulta oggi decisamente più affermato, sebbene in un settore specifico, e potrebbe essere a mio avviso utilizzato anche in contesti non accademici. Una valida alternativa può essere tutoraggio, che in Italia viene utilizzato come sinonimo di tutorato negli stessi contesti (l’Università Parthenope di Napoli offre ad esempio un “tutoraggio specializzato, previsto nel "Progetto disabili d'Ateneo") e che si ritrova, come traduzione di mentoring, in vari documenti comunitari, ma, a quanto mi risulta, non con il significato tecnico di assistenza a disabili.

Più difficile la traduzione di counselling, per cui ritengo opportuno affiancare (tra parentesi) alla traduzione italiana - che potrebbe rimanere quella proposta in prima istanza, “sostegno psicologico” o “consulenza psicologica” - il termine inglese.

Si apre il dibattito!

Francesca Nassi

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Cristina Donà – La Quinta Stagione (Capitol-Emi 2007)

Nella versione inglese di "Dove sei tu", uscita nel 2004, Cristina Donà ci fa riscoprire, svelandone un'insospettata, profonda bellezza, una canzone che alla fine degli anni '70 era diventata l'inno dei discotecari, "How deep is your love" dei Bee Gees (ascoltabile qui: http://www.sentierisonori.de/hpb/hpb_page.html in una versione unplugged eseguita da Cristina negli studi di Radio Ara a Lussemburgo, nell’ottobre del 2005). Nel 2007, per la Donà, nel frattempo approdata a un'etichetta "major" come la Emi ed esibitasi al festival di Sanremo in coppia con Nada, è dunque arrivata la Quinta stagione, il periodo che nella medicina tradizionale cinese coincide con il momento in cui il corpo si deve preparare all’arrivo dell’inverno, ma nella canzone che apre il disco, "Settembre", viene definito come il "tempo di imparare a guardare, tempo di ascoltare davvero". Un invito a liberare i sensi al ritmo e alla melodia di una musica “leggera” nel senso piu’ autentico del termine, che scorre fluida come in nessun precedente disco di Cristina, ma allo stesso tempo non perde quella timbrica particolare e quei suoni caratteristici che distinguono la scuola rock italiana degli anni ’90 dal pop italeggiante: ecco dunque una batteria che non si limita a scandire il ritmo ma (nella malinconica “Come le lacrime", racconto di un distacco) sembra dolorosamente echeggiare il canto (il batterista è Piero Moncherisi, già collaboratore della PFM, di Daniele Silvestri e di Max Gazzè), un basso che sembra galleggiare pulsante tra le parole (come nel singolo "Universo", le cui spirali vocaliche, cadenzate da solenni note di pianoforte, rimangono, al pari della melodia, appiccicate all'orecchio fin dal primo ascolto), delle chitarre non più fragorose come nei primi dischi – ad eccezione dell'incipit di "Non sempre rispondo" - ma spesso folkeggianti ed aeree ("Conosci" sembra uscire da un disco dei californiani Byrds del 1966). Ma l’apparente semplicità cela non poche sorprese: all'improvviso fa capolino un violino quasi western (“Migrazioni “) o addirittura un arrangiamento orchestrale (all'inizio di "Conosci"). Sono particolari che denotano un certosino lavoro di arrangiamento e di produzione, una limatura tesa a liberare l’orecchio dell’ascoltatore da qualsiasi asperità sonora, spianandogli la strada all’ascolto delle “parole in musica” sgorgate dalla penna e dalla voce di Cristina Donà. Un disco che rimane meravigliosamente semplice, ascoltabile, diretto, fatto soprattutto di canzoni, trascinato da una voce mai così ispirata e illuminato da mille attimi di pura poesia "dentro una vertigine che danza e ci porta al di là del tempo".

http://www.cristina-dona.com

Raphael Gallus

Cristina Donà è oggi l'unica vera poetessa rock italiana. Nel nostro paese non mancano infatti le cantanti, le cantautrici e perfino le cantantesse rock, ma ascoltare una canzone di Cristina Donà è come aprire una porta segreta che conduce in una stanza speciale, quella dove "la verità e la bellezza non fanno rumore, basta solo farle salire, basta solo farle entrare". Dopo i primi tre album, in cui prevaleva la spigolosità chitarristica ("Tregua", 1997, "Nido", 1999, "Goccia", 2000), con il disco uscito nel 2003, intitolato significativamente "Dove sei tu", la musicista milanese ha decisamente imboccato la strada della poesia in rock.

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Timeshare e multiproprietà

La dizione “godimento a tempo parziale di beni immobili” stabilita nel 1994 rispondeva al lodevole intento di tradurre in italiano il termine timeshare e, allo stesso tempo, il lungo titolo inglese. Nel frattempo però in Italia si è generalizzato il termine “multiproprietà”: “Ho un appartamento al mare in multiproprietà”, “Che fregatura mi sono beccato con quella villa in multiproprietà”, “Ho affittato una casa in multiproprietà” ecc. Di fronte a questa soluzione dell’italiano corrente, che ha il pregio allo stesso tempo di una certa inventiva (parola composta) e di una certa brevità, il nostro “godimento a tempo parziale di beni immobili” risulta decisamente superato. Nel frattempo, non solo l’aspetto linguistico è cambiato: secondo Il Sole 24 ORE (www.casa24.ilsole24ore.com/fc?cmd=sez&chId=47&sezId=10414), “Comunemente con il termine di multiproprietà o timeshare si intende infatti la possibilità di utilizzare in via esclusiva un bene mobile o immobile per un periodo di tempo determinato, ripetibile di anno in anno, un obiettivo raggiungibile in maniere molto diverse tra loro. Negli ultimi tempi la multiproprietà viene invece sempre di più intesa non come investimento immobiliare ma come prodotto di vacanza limitato nel tempo e per periodi sempre più brevi”. Di questo cambiamento del mercato si sono accorti rapidamente i consumatori, tutelati dalla nostra direttiva nel caso di multiproprietà di beni immobili, ma non nel caso di beni non immobili, come gli alloggi su navi da crociera o in caravan. Sono inoltre arrivati sul mercato prodotti analoghi, come i soggiorni nei club vacanze scontati, che sfuggono al campo d’applicazione della direttiva. È per questo che la DG SANCO ha redatto una proposta di direttiva che abroga e sostituisce la vecchia 94/47/CE con una normativa fiammante e di copertura più ampia, tale da includere anche le nuove forme di multiproprietà, affiancandovi anche i long-term holiday products (dicitura comprendente il soggiorno in club vacanze scontati e che ho tradotto “prodotti per le vacanze di lungo termine”). La proposta di direttiva riprende il termine timeshare, indicando però che ormai si riferisce anche ai beni non immobili. A questo punto mi è sembrato impossibile mantenere la formulazione “godimento a tempo parziale di beni immobili”: ho provato a scrivere soltanto “godimento a tempo parziale”, ma l’effetto esilarante di espressioni come “l’industria del godimento a tempo parziale”, associata per soprammercato al fatto che i diritti relativi si possono rivendere aderendo ad appositi exchange clubs, mi ha fortemente sconsigliato dal procedere. Ho quindi pensato, forte della definizione del Sole 24 ORE, di utilizzare semplicemente il consolidato termine “multiproprietà”.

Daniele Vitali

note terminologiche

La Directive 94/47/EC of the European Parliament and the Council, of 26 October 1994, on the protection of purchasers in respect of certain aspects of contracts relating to the purchase of the right to use immovable properties on a timeshare basis è stata tradotta in italiano “Direttiva 94/47/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 ottobre 1994, concernente la tutela dell’acquirente per taluni aspetti dei contratti relativi all’acquisizione di un diritto di godimento a tempo parziale di beni immobili”.

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le cose: il passato remoto è rimasto qualcosa conosciuto solo passivamente, la cui presenza nei libri destava al limite una certa perplessità - una forma arcaica e/o vestigiale spesso atta a far sembrare le opere in questione testimonianze di tempi lontani (per esempio nel caso di Salgari, con le sue navi a vapore alimentate a carbone e dotate di armamento principale in barbette). Il fatto che autori come Guareschi (scelto di proposito per non apparire troppo intellettuale) non si peritassero di usarlo non cambiava niente: veniva letto ed afferrato, ma non si fissava. Beninteso il passar del tempo ha inevitabilmente comportato la consapevolezza che in certe varianti regionali dell’italiano (toscano, siciliano e, seppure in minor misura, napoletano) il passato remoto viveva una vita gagliarda e conferiva un sapore inconfondibile alla parlata. Pur apprezzando nel miglior dei casi la varietà e vivacità di certi linguaggi, il principio unicuique suum ha però sempre prevalso e non sono mai stato tentato di farli miei. Questo non m’impediva tra l’altro di trovare incongruo il ricorso al passato remoto in quelle parlate regionali che ne facevano un uso più sporadico. Lo studio delle lingue straniere non ha modificato la situazione: in francese il passato remoto sta sparendo, e sia inglese che tedesco hanno un’unica forma di tempo semplice per il passato. (Anche se in inglese all’atto pratico la scelta tra simple past e present perfect può celare qualche insidia, soprattutto quando si tratta di tradurre piuttosto che di redigere - senza dimenticare la possibilità di usare did in funzione di verbo servile.)

Tanto più grande è stata quindi la mia sorpresa quando qualche annetto fa mi sono trovato un passato remoto nel titolo di un articolo - se non erro, addirittura del Corriere, presunta roccaforte ambrosiana. Non sono riuscito a rintracciare il titolo in questione, anche se so di aver tenuto la copia del giornale incriminato, ma era qualcosa come “Scapparono durante la siesta dei guardiani” oppure “Colpirono fino ad uccidere”. Abituato, come penso sia la maggior parte di noi, a titoli basati sull’uso del presente o del participio passato (“Scappano mentre i guardiani dormono”, “Battuto a morte”) questo uso della lingua mi è chiaramente parso a dir poco alquanto curioso.

EI FU - IL PASSATO TRAPASSATO OVVERO: COSÌ PASSÉ, COSÌ REMOTO

note terminologiche

In quanto milanese nato agli inizi degli anni Cinquanta il passato remoto per me è sempre stato relegato in una specie di mondo virtuale. L’ho debitamente studiato alle elementari, forme irregolari comprese; ma il fatto che in italiano corretto si dicesse “gli diede uno schiaffo” era sostanzialmente irrilevante quando intorno a me sentivo usare invariabilmente “gli ha dato una sberla” (godrei perversamente di poter affermare che “ci ha dato una sberla” era la forma più diffusa, ma in realtà si era già fatta piuttosto rara. In compenso per esprimere lo stesso concetto era ancora abbastanza comune “El g’a dàa un sciafun”). Il fatto di venir introdotto successivamente alle raffinatezze della consecutio temporum non ha cambiato

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Negli anni successivi comunque si sono moltiplicate le osservazioni di passati remoti che facevano capolino, spesso stridendo col resto del “pezzo” (anche televisivo), nei posti e nei momenti più impensati. Ho cominciato addirittura a sospettare che l’uso di questo tempo per oscuri motivi “faccia fino” oppure corrisponda ad un tanto confuso quanto velleitario desiderio di italianità linguistica. (Chiaramente questa critica non è rivolta ad esercizi di stile come quelli di Camilleri col commissario Montalbano, indubbiamente ben riusciti anche se tali da costituire un po’ un gusto acquisito).

Ma insomma, cos’ha questo povero passato remoto da giustificare il mio accanimento nei suoi confronti ? Il punto debole è secondo me connesso alla questione della compiutezza dell’azione. Se da un lato il passato remoto dovrebbe indicare un’azione relativamente lontana nel tempo, dall’altro il suo impiego si ricollega inevitabilmente a modelli mutuati dal latino. Ora in tale lingua l’uso del perfetto (come indica del resto il nome stesso) indicava un’azione inesorabilmente conclusasi, tanto che a quanto mi risulta la cattiva nomea di cui gode il numero diciassette è riconducibile al fatto che per i romani (al tempo stesso superstiziosi ed appassionati di anagrammi) XVII era immediatamente riconoscibile come l’anagramma di VIXI – vale a dire “ho finito di vivere”. Sembrano questioni di lana caprina, ma quando i giornali hanno usato come titolo l’inizio della dichiarazione fatta il 23 maggio di quest’anno dal presidente Napolitano nel quindicesimo anniversario della strage di Capaci “L'Italia seppe reagire alla mafia” credo siano stati molti a trovare che tale espressione inducesse quasi il dubbio che attualmente il paese non sia più in grado di reagire altrettanto vigorosamente. D’altro canto certe storie e biografie tutte al passato remoto (per non parlare di alcune traduzioni dall’inglese …) più che celebrare il passato ed i suoi protagonisti sembrano epitomare il tedio universale. (Rifacendosi anche in questo caso al latino, lingua per la quale ho evidentemente un debole, quanto più agile risulta il presente storico: “Tizio nasce il … , in un momento storico caratterizzato da …”.) Per fortuna il punto è tutto sommato accademico, dato che nei nostri testi il passato remoto non ha ragione di figurare. Però incontrandolo al di fuori delle parlate regionali (anche scritte) può magari essere utile guardarlo con un occhio un momentino più critico – auspicabilmente per consegnarlo al passato, seppur con tutti gli onori del caso.

Cristiano Maria Gambari

note terminologiche

EI FU - IL PASSATO TRAPASSATO OVVERO: COSÌ PASSÉ, COSÌ REMOTO