Set virtuale

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Come e perché è avvenuta la pacifica invasione del set virtuale in tutti gli ambiti dello spettacolo, dal cinema, alla tv, al teatro? Ma anche: quali tecniche e fenomeni hanno preparato il terreno per la sua comprensione da parte del pubblico, e che percezione ha lo spettatore di questa tecnologia che sostituisce ciò che è tangibile con ciò che è immateriale? Da queste domande scaturisce Il virtual set...

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Digitale & Dintorni

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Media Manuali Sezione “Digitale & Dintorni” diretta da Gian Maria Corazza e Sergio Zenatti

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Maurizio Terzo

IIll sseettvviirrttuuaallee

La scena digitale nel cinema e nella televisione

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A Serena

Rino SchembriAutore della Prefazione, è ricercatore confermato di Cinema, Fotografia e Televisionepresso il Dipartimento FIERI dell’Università di Palermo, presso la cui Facoltà di Letteree Filosofia insegna Storia e critica del cinema e Filmologia classica e del digitale.È membro del comitato tecnico scientifico del LUM – Laboratorio universitario multimediale “Michele Mancini” dell’Università di Palermo, e direttore esecutivo del Laboratorio di produzione cinematografica “Due film con il LUM”.Attualmente è vicedirettore della rivista a carattere monografico The Rope Grafie dello Spettacolo e Pratiche dell’immaginario.

Copertina:Patrizia Marrocco

Immagini:Figg. 1 e 2 per gentile concessione della società Quadra TV di Trani. Figg. 3, 4 e 5 della Rai – Radiotelevisione italiana.

Fotocomposizione: Redigraf – Roma

Stampa: C.S.R. – Roma

Copyright GREMESE2010 © E.G.E. s.r.l. – Romawww.gremese.com

Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta, registrata o trasmessa, inqualsiasi modo e con qualsiasi mezzo, senza il preventivo consenso formale dell’Editore.

ISBN 978-88-8440-625-5

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Indice

Pag.Prefazione 7

Introduzione 13

CAPITOLO 1 – L’evoluzione della tecnologia televisiva 19

CAPITOLO 2 – L’uso del Chroma-Key tra intrattenimentoe informazione 23

CAPITOLO 3 – La realtà virtuale 333. 1 Sul concetto di virtuale 333. 2 Dispositivi della visione. Dalla “realtà simulata”

alla “realtà virtuale” 37

CAPITOLO 4 – L’immaterialità della scena e dei corpi 454. 1 Il set virtuale 454. 2 Il set virtuale nel cinema 574. 3 Il set virtuale nella danza e nel teatro 614. 4 VRML e il set virtuale su internet 674. 5 Attori virtuali e animazione digitale 72

CAPITOLO 5 – CCaalleeppiioo e IImmppaarraarree llaa ttvv: due esperienze a confronto di set virtuale in televisione 79

APPENDICEConversazione sul set virtuale con l’architetto Lucilla Furfaro 95

Indicazioni bibliografiche 109

Biografia dell’Autore 117

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Prefazionedi Rino Schembri

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Le dimensioni delle trasformazioni conseguenti al passaggio dalcosiddetto cinema analogico a quello digitale stanno determinando

grandi cambiamenti nei modi di produzione. La perdita del ruolo della“ripresa dal vero” come materia prima della costruzione cinematogra-fica; la smaterializzazione del volume del set; la rinnovata relazionetra produzione e post-produzione; la “scomparsa” dell’attore reale sosti-tuito da quello sintetico costituiscono la conseguenza della tendenzaattuale alla “virtualizzazione del set” cinematografico e televisivo.

Se viste dall’ottica di mercato e di consumo e come possibilità diaprire i confini all’immaginario, tutte queste trasformazioni offronoprospettive entusiasmanti ma, nello stesso tempo, aprono anche vastiproblemi che riguardano da vicino l’“essenza” stessa dell’arte cinema-tografica e il suo legame con la realtà fisica.

Maurizio Terzo ci offre riflessioni convincenti su alcuni aspetti diquesto fenomeno.

Non pretendendo di esaurire il dibattito sugli aspetti sociali dellavirtualità o sulle implicazioni teoriche legate alla performance dell’at-tore attuata in un ambiente “neutro” come il green box, l’autore siinterroga sulla principale tecnologia digitale – il virtual set – che è allabase di numerose produzioni televisive, cinematografiche e perfino tea-trali.

Se da una parte il proliferare di film privi di set e attori reali è indi-ce del fatto che il cinema tradizionale può essere considerato un “corpoin perdita” (perdita di quella autorialità malintesa che predilige il con-tenuto alla forma, perdita dei volumi che costituiscono il set, della

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porosità delle pietre delle “città-set” e della fibrosità dei legni dei “set-città”, della flagranza dei corpi dei divi, sostituiti da star virtuali che,nella loro qualità di immagini, sono usate sì come corpi ma privi direferente), dall’altra dimostra che l’allargamento del concetto di spazioe tempo della rappresentazione (fino al superamento dei limiti delleleggi fisiche) è perfettamente in linea con le logiche economiche chestanno alla base dell’industria dell’audiovisivo e dello spettacolo econ le necessità di un cinema che sia pura forma visiva.

Sulla scorta di queste e altre considerazioni, Terzo ci offre unpanorama esauriente sull’utilizzo del virtual set e ascrive a questoanche esperienze che apparentemente sembrano distanti, ma che aesso sono assimilabili «per la comune assenza di uno spazio rappre-sentativo reale, sostituito da un “non-spazio” di altrettanta efficaciaespressiva». Ed ecco quindi che l’autore esamina le principali trasfor-mazioni dell’estetica televisiva e cinematografica precedenti e conse-guenti all’uso del set virtuale e le loro incidenze sullo spettacolo e suimedia in generale. Riferendosi a performance sperimentali qualieXp, La foresta incantata, o a eventi di teatro in rete in multicastcome VRML Dream, infatti afferma:

«Con l’avvento della realtà virtuale, il mondo della danza contem-poranea e quello dell’informatica hanno dato vita a una situazioneibrida, al confine tra il virtual set e la realtà aumentata, che rappre-senta oggi uno dei terreni più fertili per la ricerca espressiva legataalle nuove tecnologie [...] Il graduale processo di cancellazione delset, iniziato negli anni settanta con il Chroma-Key, si appresta dun-que ora a vivere la sua prima maturità, trasformato finalmente dallasua forma ibrida, e cioè dalla compenetrazione fra Chroma-Key escena reale, a pura forma immateriale».

Privo di quel “tono accademico” che – a dire il vero – inficerebbel’agilità della lettura al fruitore non specialista, questo saggio tutta-via non perde di vista le essenziali riflessioni teoriche “forti” dellacultura postmoderna, quali quelle elaborate da pensatori come Levyo Deleuze, né le principali linee metodologiche della ricerca sullospettacolo e sul cinema elaborate in sede nazionale (specie quelle

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apprese dall’autore durante il corso di studi svolto presso il Damsdell’Università di Palermo).

Ad apertura del volume, un’articolata sezione che comprendel’evoluzione della tecnologia audiovisiva, l’uso del Chroma-Key neigeneri della paleo e neotelevisione e le tappe fondamentali dellaricerca e sperimentazione sulla realtà virtuale, risulta assai utile perinquadrare l’oggetto della ricerca e agilmente ci conduce alla sezionespecifica del lavoro, nella quale si prendono in esame due case histo-ry italiani di applicazione di virtual set in tv: Imparare la tv eCalepio (entrambi marchio Rai).

È in seno a questa sezione che le finalità del volume si fanno anco-ra più chiare: indagare le principali trasformazioni dei modi di pro-duzione del cinema digitale che hanno come immediata conseguenzala cosiddetta “smaterializzazione del set e dello stage”; riflettere sulperché della necessità di una “osmosi delle conoscenze”, e cioè di unamaggiore sinergia tra le singole professionalità (regista, scenografo,direttore della fotografia, attori ecc.); chiarire le sostanziali differen-ze tra sistemi di virtual set maggiormente in uso quali Ibis e Orad.E nell’affrontare queste tematiche attuali quanto poco dibattute,Terzo non tralascia di effettuare rapide, ma significative, riflessionisul ruolo dello spettatore e sullo statuto dell’immagine digitale:

«Il passaggio dalla tecnologia analogica a quella digitale, dalChroma-Key al virtual set, dalla scena materiale a quella immateria-le, ha come immediata conseguenza, dunque […] una nuova moda-lità di fruizione del testo spettacolare (sia questo film, programma tv,simulazione, ambiente interattivo in rete ecc.) la quale, attraverso larealtà immersiva che la caratterizza e la crescente interattività, tendesempre di più a trasformare lo spettatore da passivo ricettore a sog-getto attivo».

Forse nei prossimi anni assisteremo a un perfezionamento tecnicoimpressionante: aumenteranno le immagini e i modelli privi di refe-rente reale; non si potrà più distinguere il vero dal falso e di conse-guenza la nostra attenzione di spettatori si concentrerà maggiormen-te non più sul dispositivo (virtual set o altro che sia) ma sul raccon-

Prefazione

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to. Se così sarà, il cinema non perderà quella straordinaria capacità dielevare miti, costruire sogni e arricchire l’immaginario dello spetta-tore; e quest’ultimo, uscendo dal cinema o sollevando le propriemembra dalla poltrona posta di fronte alla tv, potrà continuare asognare verosimili viaggi planetari, a identificarsi con “eroici” perso-naggi e a lasciarsi cullare dalla grazia e dal carisma di star e starlet-te, non necessariamente provviste di vera carne e ossa…

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Introduzione

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Negli ultimi trent’anni il mondo delle arti è stato travolto dal-l’avvento dell’elettronica e dalla trasformazione del segnale da

analogico a digitale. Questa evoluzione tecnologica ha interessatoanche lo spettacolo che, a pieno titolo e a vari livelli, ha contribui-to a quella che oggi viene comunemente definita la “rivoluzione deldigitale”.

Dai primi timidi tentativi di integrare parte delle scenografie tele-visive reali con le scene elettroniche, mediante la tecnica delChroma-Key, ai più moderni set virtuali, dove quello che rimanedella scena reale è solo qualche elemento per fornire agli attori deitangibili punti di riferimento, poco tempo è passato, ma l’evoluzio-ne è stata tale da trasformare l’estetica televisiva e cinematografica ele modalità di fruizione del mezzo audiovisivo.

La rivoluzione del digitale ha coinvolto negli ultimi anni non solola televisione ma anche il cinema e addirittura la danza e il teatro, artitradizionalmente legate alla flagranza della corporeità e alla materia-lità. Ciò ha generato un dibattito culturale che ha coinvolto teorici eoperatori dei settori dello spettacolo, delle arti e dei media, e se alcu-ni si sono lasciati andare a facili entusiasmi, altri hanno mostratomaggiore moderazione.

Spettacoli teatrali come VRML Dream, o performance di danzacontemporanea come eXp, tuttavia, hanno rotto definitivamente glischemi che hanno tenuto fino a oggi il teatro e la danza ancorati allascena reale e al corpo dell’attore/danzatore, costringendo a riconsi-derare lo specifico di tali espressioni artistiche.

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In questa rivoluzione così repentina però, qualcosa è andato o staper andare perduto.

È il set, la scena reale, sostituito ormai sempre di più da simulacridigitali privi di referente concreto che, generati da pure espressionimatematiche, come scrive Gianfranco Bettetini, non appartengonopiù al mondo dell’iconico, dominato dalla somiglianza, quanto aquello dell’idolico, dominio delle idee1.

Con questo lavoro si tenterà allora di indagare su alcuni aspettidel fenomeno che ha portato gradualmente a quella che RenatoTomasino nella sua Storia del teatro e dello spettacolo definisce «spa-rizione del set», alludendo alla possibilità, offerta dall’odierna tecno-logia, di sperimentare una pratica che non ha necessità di set fisicicon persone reali, ma di laboratori sofisticati, e con la quale «la tra-dizionale consegna sacrificale di set, ovvero di soggetto al principiod’alterità, tende a sparire»2.

Partendo dalle prime esperienze della televisione italiana neglianni Settanta e Ottanta con la tecnica del Chroma-Key, giungeremoa esaminare la graduale “virtualizzazione” dello spazio scenico,attraverso un’attenta analisi delle più diverse esperienze nel campodella televisione, del cinema, del teatro, della danza e negli ultimianni di internet, ambiente virtuale per eccellenza, annoverando, trale esperienze relative alla ricerca nel virtual set, anche lavori cheapparentemente sembreranno distanti da questo fenomeno, ma chea esso sono assimilabili per la comune assenza di uno spazio rappre-sentativo reale, sostituito da un “non-spazio” di altrettanta efficaciaespressiva.

Per quanto riguarda il ruolo dell’attore e delle professionalitàlegate al mondo dello spettacolo, accenneremo anche al cambiamen-to relativo alle tecniche di recitazione (trattando anche l’antagoni-smo fra attore reale e virtuale), e a come le varie personalità coinvol-te nella realizzazione delle scene virtuali abbiano generato quella che

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1 G. Bettetini, L’audiovisivo dal cinema ai nuovi media, Bompiani, Milano 1996,p. 133.

2 R. Tomasino, Storia del teatro e dello spettacolo, Palumbo, Palermo 2001, pp.1217-18.

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Roberta Enni, responsabile del settore riprese interne del centro diproduzione televisiva Rai, ha definito «osmosi delle conoscenze»,ovvero l’integrazione di competenze e sensibilità diverse per evitareil rischio di un utilizzo minimalista delle potenzialità offerte dallascenografia virtuale, che avrebbe il solo risultato di banalizzare il pro-dotto finale3.

Una parte del lavoro è inoltre dedicata ai concetti generali dellarealtà virtuale, che è il fenomeno che sta alla base di questa trasfor-mazione della scena.

Mantenendo come punto di riferimento epistemologico gli scrittidi Pierre Lévy sulla «filosofia del virtuale», presenteremo un excur-sus generale sull’evoluzione tecnica dei sistemi per la simulazionedella realtà, dai primi esperimenti degli anni Cinquanta ai più recen-ti sviluppi, offrendo, quando necessario, la chiarificazione di tecnicheche si ritroveranno nel corso del nostro scritto a proposito di espe-rienze concrete di ricerca nel mondo dello spettacolo.

L’ultima parte del presente lavoro sarà infine dedicata, in partico-lare, a due esperienze italiane nel campo della scenografia virtuale.Esamineremo infatti le produzioni della Rai Calepio e Imparare la tv.Grazie anche all’utile conversazione con l’architetto Lucilla Furfaro,che, con Scenotecnica, azienda romana impegnata nel settore sceno-grafico, ha realizzato nel 1999 le scenografie per le suddette trasmis-sioni, cercheremo di far emergere le differenze fra i diversi tipi di tec-nologie utilizzate per la realizzazione delle due tipologie di virtual set.

Metteremo in evidenza come lo spettatore televisivo, di fronte atrasmissioni realizzate con i due sistemi, sperimenti una differenza dipercezione paragonabile a quella che avvertirebbe un osservatoredavanti a una pittura rinascimentale piuttosto che di fronte a untrompe l’oeil barocco (la specificità dei due sistemi infatti è tale dapermettere di creare prodotti molto diversi tra loro, sia dal punto divista rappresentativo che percettivo), e come il passaggio dalla tec-nologia analogica a quella digitale abbia avuto quale diretta conse-

Introduzione

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3 R. Enni, Virtual Set, in Jader Jacobelli (a cura di), La realtà del virtuale,Laterza, Roma-Bari 1998.

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guenza una nuova modalità di fruizione del testo spettacolare che,attraverso la realtà immersiva e l’interattività, sta lentamente trasfor-mando il ruolo spettatoriale, offrendo sempre più spesso all’utentela possibilità di partecipare attivamente allo spettacolo.

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CAPITOLO 1

L’evoluzione dellatecnologia televisiva

La tv non è semplicemente quell’elettrodomestico che siamo abi-tuati a vedere nei nostri salotti e che ci lega in maniera virtuale aquello che succede nel mondo, o che ci porta lo spettacolo diretta-mente e comodamente in qualsiasi stanza della casa dove sia presen-te una presa di corrente; o perlomeno non più è solo questo. Negliultimi decenni, infatti, la televisione è stata per moltissima gente unodei contatti con le nuove tecnologie, ed è stata testimone di un’evo-luzione in linea con quell’ottimistica corsa al rinnovamento che oggiinvade qualsiasi campo della tecnica. La televisione però non finiscelì, continua dietro lo schermo, dove si cela un vastissimo mondofatto di format, studi, scenografie. Inoltre, che ci si creda o no, la tec-nologia della televisione non è solo dentro l’apparecchio che cono-sciamo bene, ma anche dove non ci aspetteremmo.

I televisori presenti oggi nelle nostre case difficilmente avrannoqualcosa in comune con i primi modelli apparsi in commercio soloqualche decina di anni fa. La loro storia comincia molti anni prima:non sarebbe difficile, andando a ritroso, far risalire la loro originefino agli inizi del XIX secolo. L’invenzione del televisore, infatti, èfrutto di una serie di scoperte e invenzioni fatte nel corso degli anninel campo dell’elettricità, della telegrafia, della fotografia, del cine-ma e della radio, senza le quali non si sarebbe potuti arrivare all’ap-parecchio che oggi tutti conosciamo.

L’idea di televisione come obiettivo tecnologico isolato si attestafra il 1875 e il 1890. La telegrafia elettrica era già stata ipotizzata findal 1753 e all’inizio del XIX secolo si svolgevano già delle dimostra-zioni, mentre solo nel 1837 apparve il primo sistema funzionante. È

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difficile distinguere in questo momento l’idea di televisione da quel-la di foto-telegrafia4. Proseguendo velocemente e con la consapevo-lezza di commettere delle omissioni anche importanti, citiamo tra leinvenzioni più significative legate alla televisione: l’occhio elettricodi Carey (1875); il sistema a scansione di Nipkow (1884); le cellulefotoelettriche di Elster e Geitel (1890); il tubo a raggi catodici diBraun (1897); il ricettore a raggi catodici di Rosine (1907); il proget-to di telecamera elettronica di Campbell Swinton (1911). Dopo il1914 l’invenzione della valvola termoionica e dell’amplificatoremultistadio permise un’evoluzione molto più rapida, la tecnologiadella radio permise altresì di impiegare le scoperte fatte nel campodi quest’ultima a favore della televisione. Nel 1927 il sistema Bellrealizzò la possibilità di trasmissione su filo attraverso un ponteradio, e qui giunge a conclusione la “preistoria” della forma televi-siva5. La diffusione di programmi televisivi iniziò negli Stati Unitinegli anni Quaranta e in Italia qualche anno dopo nel 1954. In quelperiodo la televisione era però ancora in bianco e nero, perlomenoin Italia, visto che gli esperimenti di tv a colori risalgono negli StatiUniti già agli anni Cinquanta. Il televisore a colori fu introdotto inEuropa nel 1967 e le prime trasmissioni sperimentali a colori italia-ne risalgono a metà degli anni Settanta. Oggi si stima che nei paesiindustrializzati più del 90% delle abitazioni abbia un televisore acolori. I televisori di oggi non sono più dei semplici apparecchi perla ricezione delle trasmissioni, in quanto incorporano al loro inter-no sofisticate funzioni computerizzate, come la possibilità di trat-tare informazioni testuali (teletext), o la possibilità di essere pro-

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4 Per foto-telegrafia si intende la trasmissione a distanza, lungo opportuni cana-li di tipo telegrafico, di informazioni atte a permettere la riproduzione di immagi-ni fotografiche. Il funzionamento di tale sistema si basa sull’osservazione che leimmagini fotografiche stampate, se ingrandite, si presentano come reticoli diminuscoli punti (pixel) dalle tonalità che occupano la scala dei grigi dal bianco alnero, e che dunque è possibile associare a tutti i punti di una medesima banda uncerto tipo di segnale.

5 R. Williams, Televisione: tecnologia e forma culturale, Editori Riuniti, Roma2000.

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grammate e utilizzate in forma remota per mezzo di telecomandi araggi infrarossi.

L’evoluzione della televisione interessò chiaramente non solo l’ap-parecchio, ma anche il mezzo espressivo, e fu così che nel corsodegli anni l’elettronica entrò prepotentemente anche nella scena,prima con il Chroma-Key (collage elettronico che ha cambiato ilmodo di fare televisione negli anni Settanta), e poi, ai giorni nostri,con il set virtuale, che con la complicità della realtà virtuale e dellacomputer graphic, ha trasformato lo studio televisivo in un non-luogo, capace di fornirci rappresentazioni per quasi tutte le esigen-ze sceniche; rappresentazioni che in alcuni casi possono addiritturaperdere il riferimento con la realtà6.

L’evoluzione della tecnologia televisiva

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6 Per brevi cenni sulla perdita del referente nell’immagine si veda il presentelavoro alle pp. 24-25; si veda inoltre: G. Bettetini, L’audiovisivo dal cinema ai nuovimedia, Bompiani, Milano 1996.

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CAPITOLO 2

L’uso delChroma-Keytraintrattenimento einformazione

Il Chroma-Key, parola inglese che letteralmente significa chiavedi colore, è un effetto speciale elettronico che permette di otteneredei risultati di grande impatto estetico con una tecnologia relativa-mente semplice ed economica. Il Chroma-Key consente di sovrap-porre un’immagine a uno sfondo dal colore predeterminato il qualefunge da sorgente video autonoma. La scena viene girata in uno stu-dio completamente rivestito del colore che sarà poi quello delChroma-Key, che solitamente è il blu. Per questo motivo spesso que-sta tecnica viene definita erroneamente Blue-Screen, che in realtànon è altro che il nome dell’effetto.

In linea di principio, a livello quasi esclusivamente teorico, qual-siasi colore può essere utilizzato per il Chroma-Key, non solo il bluo il verde, l’importante è che nessun soggetto in primo piano con-tenga delle parti con dei colori simili a quelli dello sfondo, perchéaltrimenti quelle porzioni di immagine verrebbero interpretatecome sfondo e risulterebbero trasparenti. Nei film Titanic (JamesCameron, 1997) e Independence Day (Roland Emmerich, 1996)sono stati usati degli sfondi rossi in quanto i soggetti da filmare (isottomarini per il primo, le astronavi aliene per il secondo) presen-tavano parti di colore azzurro e verde. In pratica però i colori piùusati sono il blu (Blue-Screen) e il verde (Green-Screen). Il primoè preferibile in quanto l’occhio umano è meno sensibile alle sfuma-ture di blu rispetto a quelle degli altri colori. Vengono usati blu everde puro perché i soggetti da filmare hanno in genere colori caldi

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(come il rosa della pelle) e in contrasto con quelli dello sfondo.Esistono anche delle vernici in commercio realizzate apposita-

mente per l’uso con il Chroma-Key, come per esempio il ChromaKeyBlue and Green o l’Ultimatte Blue and Green prodotte dalla RoscoLaboratories, una multinazionale americana leader nella produzionedi materiali e tecnologie per effetti speciali.

È facile capire come un effetto del genere possa essere utile, sipensi per esempio alla realtà delle piccole emittenti televisive regio-nali che hanno così la possibilità di realizzare sfondi scenograficieconomici per le loro trasmissioni utilizzando semplicemente delleimmagini. Non a caso, infatti, questa tecnica ha avuto e ha tuttoragrande fortuna presso queste piccole emittenti (telegiornali e tuttequelle trasmissioni che necessitano semplicemente di una ripresa acamera fissa trovano nel Chroma-Key il loro partner ideale). Questatecnica presenta comunque anche delle notevoli limitazioni. Comeabbiamo detto, infatti, le riprese possono essere esclusivamente rea-lizzate a camera fissa, qualsiasi movimento di macchina – ancheimpercettibile – genera come conseguenza la fluttuazione dell’attoreripreso all’interno dell’inquadratura; effetto che, a meno che non siavoluto, svela immediatamente il trucco, rivelando la compenetrazio-ne tra vero e falso.

Alcuni scenografi italiani hanno trovato nella tecnica del Chroma-Key il mezzo espressivo che ne distingue lo stile personale, realizzan-do scenografie di grande impatto visivo attraverso l’uso di masche-re, e cioè di porzioni di sfondo “ritagliate” e sovrapposte così dadare l’illusione della profondità (permettendo per esempio a un atto-re di camminare dietro una roccia). Questo il caso di EugenioGuglielminetti.

Eugenio Guglielminetti, scenografo e pittore, nasce ad Asti nel1921 e studia all’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino doveentra in contatto con la scuola pittorica di Felice Casorati. Esordiscein teatro nel 1946, con spettacoli a carattere sperimentale presso ilcircolo culturale “La giostra” di Asti. L’attività artistica diGuglielminetti si divide tra la ricerca pittorica e la ricchissima pro-duzione di scenografie e costumi per prosa, lirica, balletto e televi-

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sione7. La sua evoluzione pittorica ha sempre influenzato le sue scel-te scenografiche ed è forse per questo che predilige per le scenogra-fie televisive l’utilizzo del Chroma-Key.

Il suo primo incontro con la televisione avviene nel 1960 conL’avaro di Molière, mentre nel 1965 realizza il Filippo di VittorioAlfieri con la regia di Vito Molinari.

Il suo rapporto con la scena televisiva è stato però sempre moltocritico, come dice egli stesso:

«Malgrado le mie ricerche, rimango sempre insoddisfatto, nonriesco a trovare un nesso espressivo tra le possibilità di arginare unascenografia particolare per la televisione, ma è una scommessa conme stesso, la cosa si conclude bene quando incontro il Chroma-Key,perché il Chroma-Key mi dà la possibilità di amministrare la luce eil movimento delle scene nel modo più elementare.»8

Amministrare le immagini per Guglielminetti vuol dire conside-rare la scena come un collage dipinto; un collage mobile, i cui pezzinon sono incollati, si possono staccare, e questo, come dice lui, glipermette di «adagiarsi all’inquadratura del regista»9. L’efficacia diquesto metodo di lavoro la si può verificare analizzando il MobyDick (1972) di Quartucci e tutti i lavori che Guglielminetti ha realiz-zato con Gregoretti (secondo lui i più riusciti), più consoni al suomondo di uomo di teatro, ma anche di televisione; un uomo che,come gli piace definirsi, è tante cose, è pittore ed è scultore.

Fra le altre trasmissioni realizzate da Eugenio Guglielminettiricordiamo: Le uova fatali (1977) di Bulgakov, con la regia diGregoretti; La macchina meravigliosa (1990), di cui parleremo inseguito, con la regia di Rosalba Costantini, e Il regno degli animali(1995), condotto da Giorgio Celli, con la regia di Enzo Torta.

L’uso del Chroma-Key

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7 AA.VV., Dizionario dello spettacolo del ’900, Baldini&Castoldi, Milano 1998. 8 Dichiarazione rilasciata da Eugenio Guglielminetti nella trasmissione televisi-

va La parte dell’occhio - Professione scenografo, di A. Cappellini, G. Licheri, regiadi R. Maresti, prod. Rai, 1999.

9 Ivi.

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Con il Moby Dick di Quartucci si inaugura una felice stagione perl’uso del Chroma-Key nella televisione italiana, che durerà fino aglianni Ottanta.

Il Chroma-Key, che fino a quel momento era stato solo uno stru-mento di supporto per il giornalista che leggeva le notizie o per ilmeteorologo che presentava le previsioni del tempo, diventa un ele-mento fondamentale della scenografia. Durante questi anni di speri-mentazione il Chroma-Key si rivelò, prima che un effetto speciale,un’insostituibile strumento per allargare gli orizzonti narrativi10.

Nella trasposizione televisiva in cinque puntate del romanzo diMelville, definita, dallo stesso Quartucci, una provocazione artisti-ca, il Chroma-Key si inserisce all’inizio come un elemento fantasti-co per evocare la “rappresentazione” del racconto (il titolo com-pleto dell’opera è infatti: La rappresentazione della terribile cacciaalla balena bianca Moby Dick). Attorno alla nave (una vera nave inlegno, fatta costruire appositamente) gli attori agitano delle telesulle quali appare un filmato che riprende un mare burrascoso. Lostravolgimento della struttura narrativa è evidente; non è la nave atrovarsi in un luogo ben preciso, ma è il luogo a prendere formaattorno alla nave. Questo rapporto con il “non-luogo” è fonda-mentale. Il viaggio, tema principale del testo originale, diviene unelemento di follia, sottolineando il fatto che l’azione si svolge inuno studio televisivo.

Il Chroma-Key diventa sempre più invadente nel corso del rac-conto, allontanando le immagini dai confini di uno spazio reale econtingente. Come ricorda Quartucci: «Nelle ultime due puntatetutto era ormai ridotto a Chroma-Key, e io mi sforzavo, mentre

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10 Anche se abbiamo inserito il Moby Dick di Quartucci in questo filone speri-mentale per via delle sue caratteristiche stilistiche e narrative, ci sembra importan-te riportare una dichiarazione del regista evidentemente contraria a questa classi-ficazione: «Quando ho realizzato Moby Dick […] sapevo che esso era una merceda consumare dentro il canale televisivo dell’epoca. Ho sempre rifiutato di fareprogrammi sperimentali, perché a me interessa agire all’interno della normalecomunicazione televisiva» in A. Balzola, F. Prono (a cura di), La nuova scena elet-tronica, Rosemberg&Sellier, Torino 1994, p. 113.

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facevo le riprese in uno studio color blu notte, di immaginare comeil mezzo televisivo avrebbe restituito questo nostro stare dentroalla balena, cioè alla scatola magica dello studio televisivo stesso»11.

Sempre di Quartucci, ma con le scenografie di Giulio Paolini, èL’ultimo spettacolo di Nora Helmer (1979), tratto da Casa di bambo-la di Ibsen. Lo spettacolo, nei primi atti, si svolge in modo tradizio-nale: si tratta, come dice l’autore, di un viaggio teatrale dentro altesto. Nell’ultimo atto invece, il registro cambia: gli attori diventanoi narratori dei loro personaggi e lo studio televisivo non è più unospazio scenico, ma rappresenta se stesso, contiene tutte le scene pre-cedenti, come anche un plastico della scenografia teatrale iniziale. Citroviamo di fronte a un meta-spettacolo; uno spettacolo televisivoche racconta uno spettacolo teatrale, dove gli attori sono «alla loroultima recita che la tv ha il compito di riprendere»12.

In quest’ultimo atto il Chroma-Key fornisce una traccia di tuttoquello che è avvenuto sulla scena fino a quel momento. Sul pavimen-to sono sparsi dei fogli sui quali appaiono i volti dei personaggi eframmenti della storia stessa. Il risultato è quello di una sorta di rias-sunto, realizzato senza l’ausilio di alcun tipo di montaggio delleimmagini, e quindi non sequenziale nel tempo, ma condensato nellospazio.

Il Chroma-Key fu, tra la fine degli anni Settanta e l’inizio deglianni Ottanta, la più importante rivoluzione tecnica in campo televi-sivo dopo l’avvento del colore; per questo, oltre a Carlo Quartucci,molti altri celebri registi si cimentarono, in quegli anni, in produzio-ni che ne facevano largo uso.

Tra questi, Carmelo Bene utilizza il Chroma-Key, ad esempio,nello spettacolo Bene! Quattro diversi modi di morire in versi (1976),produzione di Rai2 in due puntate, dove lo stesso Bene recita degliadattamenti di testi tratti da Majakovskij, Esènin e Pasternak, tuttipoeti accomunati dal fatto di aver vissuto la rivoluzione sovietica.Bene! Quattro diversi modi di morire in versi è un lavoro molto par-

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11 Si veda A. Balzola, F. Prono, cit., p. 110.12 Ivi, p. 111.

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ticolare, e lo si capisce già dalla sigla iniziale, dove un magnetofonoa bobine campeggia sulla scena nella quale si trovano anche un pia-noforte e un clavicembalo. Nessuno suona gli strumenti, mentre dalmagnetofono fuoriescono dei suoni ipnotici e ripetitivi che riporta-no alla mente la musica concreta. La meccanicità che si inseriscequasi come elemento di disturbo con la sua invadenza, la ritroviamoanche sulla scena. Bene recita all’interno di quello che resta di unteatro in fiamme. Le fiamme ovviamente sono realizzate con la tec-nica del Chroma-Key e intersecano la scenografia attraverso un siste-ma di maschere che permette all’attore di passare dietro a oggetti oelementi architettonici. Il fuoco, palesemente finto e fuori scalarispetto al teatro, “disturba” sulla scena quanto il magnetofono nellasigla, contribuendo insieme alla scenografia a creare un ambienteclaustrofobico e a tratti caleidoscopico, come nelle scene in cui Benesi moltiplica all’interno di un cerchio che taglia la scenografia e reci-ta simultaneamente a un suo doppio di diversa dimensione. A pocoa poco anche la scena stessa scompare, per lasciare il posto a unprimo piano dell’attore che ci accompagna fino alle battute finali.Quest’opera, in cui Carmelo Bene prende atto dell’impossibilità dicambiare l’uomo e la società, rappresenta, pur nella sua particolari-tà e unicità, un ottimo esempio di come un effetto speciale semplicee “povero” quale è il Chroma-Key possa contribuire a creareambientazioni di grande suggestione.

Un altro celebre esempio è Mario Martone con il suo Tango gla-ciale, trasposizione televisiva dell’omonima opera teatrale. La versio-ne teatrale dell’opera Tango glaciale di Martone, scenicamente moltocomplessa, faceva uso di elementi mobili con schermi che si abbas-savano e si sollevavano, e il risultato era molto coinvolgente. La ver-sione televisiva da questo punto di vista costituiva una sorta di ridu-zione, in parte legata alle peculiarità del mezzo, in parte ai limitatimezzi economici a disposizione.

In molte di queste produzioni, in realtà, i budget erano assai limi-tati, e gli effetti speciali (Chroma-Key perlopiù), ben lontani dall’es-sere perfetti. Ugo Gregoretti ci fornisce una lucida testimonianza diquanto detto in un’intervista televisiva di qualche anno fa, che è

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anche un piccolo manifesto sull’uso creativo del Chroma-Key, e dellaquale riportiamo, qui di seguito, un piccolo stralcio: «Non venivanomai perfettamente questi trucchi, ma, se vogliamo, era una caratteri-stica esibita del nostro modo di usare il Chroma-Key. Era come senoi dicessimo: badate, l’illusione della realtà non si avrà mai, e sareb-be anche sbagliato cercarla ostinatamente, e per i limiti tecnici chenon lo consentono, e perché questi nuovi espedienti ci possono per-mettere di andare oltre l’ossessione di fare perfettamente le cose cosìcome sono realmente, e, di fare invece un po’ la caricatura della real-tà, della storia, del passato, dell’immagine»13.

E ancora Mario Martone, a proposito dei mezzi a disposizione:«Potevamo disporre di macchinari e tecnici; questa situazione favo-revole è durata fino alla realizzazione de Il desiderio preso per lacoda14. Anche se il budget era limitato (tra i cinque e i dieci milioni),a noi interessava produrre, avere la possibilità di usare i mezzi tec-nici»15.

L’elemento che accomuna tutte le produzioni televisive esamina-te fin qui è che si trattava in molti i casi di trasposizioni televisive diopere teatrali già esistenti, o comunque di opere che, pur essendorealizzate espressamente per il mezzo televisivo, usavano una formaespressiva molto vicina al teatro.

Quello del teatro in televisione è un fenomeno che risale alleprime trasmissioni, e, se si eccettua il valore di documentazione chepossono avere spettacoli ripresi con una telecamera, per “congelar-ne” il potenziale creativo, bisogna ammettere che il piccolo schermonon è proprio il mezzo ideale per riprodurre uno spettacolo teatra-le. Carlo Infante, esperto di teatro e nuovi media, sostiene che il tea-tro in televisione entra poco e male, producendo una condizioneibrida che non è più teatro.

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13 Dichiarazione rilasciata da Ugo Gregoretti nella trasmissione televisiva Laparte dell’occhio - Anni ’70, colore e effetti speciali, di A. Cappellini, G. Licheri,regia di R. Maresti, prod. Rai, 1999.

14 Spettacolo televisivo tratto dall’omonimo teatrale, prod. Rai, Sede Regionaleper la Campania, 1986.

15 Mario Martone, in A. Balzola, F. Prono, cit., p. 142.

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La trasposizione dalla scena teatrale al video genera una perdi-ta; viene meno l’aura della presenza e la percezione del tempo edello spazio, che nel video non sempre si recepiscono in manieraprecisa.

Tuttavia con il teatro in televisione ci troviamo di fronte a un lin-guaggio intermedio, a una condizione inedita e innovativa che nelcorso dei pochi anni che gli sono stati concessi (il videoteatro è oggiun fenomeno pressoché esaurito), ha prodotto delle opere di grandevalore stilistico e sperimentale16.

Continuando con l’esame di altri prodotti televisivi che hannofatto uso del Chroma-Key, merita un discorso a parte, rispetto alleopere fin qui trattate, La macchina meravigliosa (1990), trasmissionecondotta da Piero Angela (regia di Rosalba Costantini e scenografiedi Eugenio Guglielminetti), dove il Chroma-Key è stato utilizzato alservizio dell’anatomia umana per realizzare delle scenografie digrande effetto, che sono molto vicine all’idea di set virtuale. In que-sta trasmissione di divulgazione scientifica, che prevedeva diversepuntate, ognuna su un argomento specifico riguardante il corpoumano, un alter ego di Piero Angela era un “inviato speciale” cheaveva la possibilità di ingrandirsi o rimpicciolirsi a piacimento e chevagava all’interno del corpo di un paziente immaginario. Nelle diver-se puntate questo ometto affrontava una serie di “viaggi” all’internodell’orecchio, dell’occhio e così via. Le scenografie erano costituiteda immagini statiche coadiuvate talvolta da animazioni, ma con unsapiente uso delle maschere. Grazie anche all’impiego di inquadra-ture insolite da parte della regia, Guglielminetti è riuscito a crearedegli ambienti di grande suggestione, che generano pure una buonaillusione di profondità, difficile da ottenere con il semplice uso diimmagini statiche.

In tale impianto scenografico, che ricorda molto da vicino il siste-ma di quinte ideato da Sebastiano Serlio, il Chroma-Key funge da

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16 Per approfondimenti sul videoteatro si veda C. Infante, La scena immateria-le, in A. Balzola, F. Prono, cit., pp. 219-22; nello stesso volume si veda inoltreG. Livio, Alcune riflessioni sul concetto di teatro televisivo, pp. 223-26.

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