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Metalogicon (2006) XIX, 2 123 Serie e rapporto nella Critica della ragion pura di Kant Giuseppe Giannetto 1. Il concetto di serie nella terza antinomia e nella seconda analogia dell’esperienza della Critica della ragion pura Se consideriamo con attenzione la terza antinomia della ragione della Dialettica trascendentale della Critica della ragion pura - in base alla quale, nella tesi, la causalità nel mondo secondo le leggi della natura non è unica e richiede anche la causalità secondo la libertà e, nell’antitesi, tutto nel mondo accade secondo le leggi della natura 1 - notiamo alcuni concetti rilevanti su cui è il caso di riflettere. Fra questi concetti, è da porre in luce che la terza antinomia tratta anche del concetto di serie, concepito come insieme di condizioni e condizionati, dove i condizionati appaiono come 1 E. Kant, Critica della ragion pura, tr. it. G. Gentile e G. Lombardo–Radice, ed. riv. V. Mathieu, Bari, 1985, pp. 368 – 374; A 444 – 451, B 472 – 479 (I. Kant, Kritik der reinen Vernunft in Kant’s gesammelte Schriften herausgegeben von der Preussischen Akademie der Wissenschaften, Berlin – Leipzig 1902 – 1978, voll. 29, Bd. IV e Bd. III, pp. 308 e 309. Le due prime edizioni della Critica della ragion pura del 1781 e del 1787 saranno citate rispettivamente con A e con B secondo l’impaginazione originaria. Sul concetto di antinomia della ragione e sulla terza antinomia cf.: F. Evelin, La raison pure et les antinomies, Paris, 1907; W. Rauschenberg, Die Antinomien Kants, Berlin, 1923; S. J. AL–AZM, The Origins of Kant’s arguments in the antinomies, Oxford, 1962; H. Heimsoeth, Transzendentale Dialektik, Berlin, 1969; P. Carabellese, La filosofia dell’esistenza in Kant, Bari, 1969, pp. 313- 365; J. F. Bennett, Kant’s Dialectic, London – New York, 1974; V. S. WIKE, Kants Antinomies of reason. Their origin and their resolution, Washington, 1982; P. Faggiotto, Metafisica e dialettica in Kant, Padova, 1988; N. HINSKE , La via kantiana alla filosofia trascendentale, tr. it. R. Ciafardone, L’Aquila – Roma 1987, pp. 71 – 104; M. Visentin, Il significato della negazione in Kant, Napoli, 1992, pp. 399 – 552. R. Ciafardone, La critica della ragion pura nell’Aetas kantiana, 2 voll., L’Aquila 1987, Il, pp. 209 – 257.

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Serie e rapporto

nella Critica della ragion pura di Kant

Giuseppe Giannetto

1. Il concetto di serie nella terza antinomia e nella seconda analogia dell’esperienza della Critica della ragion pura

Se consideriamo con attenzione la terza antinomia della

ragione della Dialettica trascendentale della Critica della ragion pura - in base alla quale, nella tesi, la causalità nel mondo secondo le leggi della natura non è unica e richiede anche la causalità secondo la libertà e, nell’antitesi, tutto nel mondo accade secondo le leggi della natura1 - notiamo alcuni concetti rilevanti su cui è il caso di riflettere.

Fra questi concetti, è da porre in luce che la terza antinomia tratta anche del concetto di serie, concepito come insieme di condizioni e condizionati, dove i condizionati appaiono come 1 E. Kant, Critica della ragion pura, tr. it. G. Gentile e G. Lombardo–Radice, ed. riv. V. Mathieu, Bari, 1985, pp. 368 – 374; A 444 – 451, B 472 – 479 (I. Kant, Kritik der reinen Vernunft in Kant’s gesammelte Schriften herausgegeben von der Preussischen Akademie der Wissenschaften, Berlin – Leipzig 1902 – 1978, voll. 29, Bd. IV e Bd. III, pp. 308 e 309. Le due prime edizioni della Critica della ragion pura del 1781 e del 1787 saranno citate rispettivamente con A e con B secondo l’impaginazione originaria. Sul concetto di antinomia della ragione e sulla terza antinomia cf.: F. Evelin, La raison pure et les antinomies, Paris, 1907; W. Rauschenberg, Die Antinomien Kants, Berlin, 1923; S. J. AL–AZM, The Origins of Kant’s arguments in the antinomies, Oxford, 1962; H. Heimsoeth, Transzendentale Dialektik, Berlin, 1969; P. Carabellese, La filosofia dell’esistenza in Kant, Bari, 1969, pp. 313-365; J. F. Bennett, Kant’s Dialectic, London – New York, 1974; V. S. WIKE, Kants Antinomies of reason. Their origin and their resolution, Washington, 1982; P. Faggiotto, Metafisica e dialettica in Kant, Padova, 1988; N. HINSKE , La via kantiana alla filosofia trascendentale, tr. it. R. Ciafardone, L’Aquila – Roma 1987, pp. 71 – 104; M. Visentin, Il significato della negazione in Kant, Napoli, 1992, pp. 399 – 552. R. Ciafardone, La critica della ragion pura nell’Aetas kantiana, 2 voll., L’Aquila 1987, Il, pp. 209 – 257.

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risultati dell’operare di condizioni, se intesi in modo regressivo, e condizioni di altri condizionati se intesi in modo progressivo. La serie, in ogni caso, manifesta un processo di subordinazione di condizionati a condizioni che sono, a loro volta, condizionati da altre condizioni; la subordinazione, poi, escludendo la coordinazione di elementi coesistenti, fra loro il rapporto, fa assumere alla serie un significato temporale, secondo il quale il condizionato è dopo, la condizione prima, laddove un insieme coordinato fa apparire la compresenza di elementi che, pure se colti nel tempo, forma del senso interno che condiziona anche la forma del senso esterno, cioè lo spazio, non presentano successione di prima e dopo, tipica della serie, ma simultaneità. Proprio per differenziare la compresenza di un insieme di elementi da quelli legati da un moto di prima e dopo, il filosofo tedesco usa il termine serie e non il termine aggregato che fa leva sulla coordinazione dei termini componenti e non sulla subordinazione.2

Questa, con il suo movimento di prima e dopo, consente due processi diversi che vanno o dal condizionato alla condizione o dalla condizione al condizionato, cioè in senso regressivo o in senso progressivo, mentre l’aggregato, come coordinazione di 2 Sul concetto di serie Kant afferma: “ in un primo luogo, le idee trascendentali non saranno propriamente se non categorie spinte fino all’incondizionato, e si potranno ridurre in una tavola ordinata secondo di esse categorie. In secondo luogo, d’altra parte, non tutte le categorie potranno tuttavia servire a tal uopo, ma soltanto quelle in cui la sintesi costituisce una serie, e una serie di condizioni subordinate ( non coordinate ) tra loro, di un condizionato. La totalità assoluta è richiesta dalla ragione solo in quanto essa riguarda la serie ascendente delle condizioni di un dato condizionato, non quindi quando si tratta della linea discendente delle conseguenze, e neanche dell’aggregato di condizioni coordinate a queste conseguenze.”. Ibid., p. 342, A 409, B 436. Sul concetto di aggregato Kant, invece, sostiene: “Secondo l’idea della ragione, tutto il tempo già trascorso è necessariamente pensato come dato quale condizione dell’istante dato. Ma per ciò che spetta allo spazio, in esso, in se stesso, non c’è distinzione di progresso e regresso, poiché esso costituisce un aggregato, non una serie, essendo le sue parti tutte insieme simultaneamente […]. Ma, poiché le parti dello spazio non sono a loro subordinate, bensì coordinate, una parte non è la condizione della possibilità dell’altra, ed esso non forma, come il tempo, in se stesso una serie”. Ibid., p. 344; A 412, B 439.

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elementi, pur potendo essere considerato dal soggetto conoscente in modo diverso, poniamo da A a B o da B ad A, non comporta che A e B siano realmente successivi nel tempo, se non in riferimento alla soggettiva visione dell’osservatore che può iniziare da A e poi procedere a B o da B e andare verso A: A e B sono coesistenti con gli altri termini appartenenti allo stesso insieme. La dimensione spaziale che può essere appresa nel tempo come simultaneità è propria dell’aggregato, quella temporale è della serie; nel primo caso, un elemento non è condizione dell’altro, nel secondo, un elemento è condizione di un altro secondo un rapporto di subordinazione che può essere concepito, come visto, in duplice modo, secondo che il condizionato rinvii alla condizione o la condizione consenta il condizionato, cioè o dal dopo al prima o dal prima al dopo.

Il ritmo temporale, ad ogni modo, che richiede la successione non può essere spiegato con la sola successione che kantianamente rinvia a un legame universale e necessario, dato dalle categorie, e, nel caso particolare, da una categoria di relazione che, tenendo presente il tempo come successione, è individuata dalla categoria di causa ed effetto che rende la mera successione, non strettamente collegata, subordinazione di prima a dopo, dove il prima fonda il dopo e il dopo è, come fondato, posteriore al prima: la subordinazione temporale diventa – anche se sono sempre da considerare le critiche di Schopenhauer a Kant nella Quadruplice radice del principio di ragion sufficiente3 - 3 Schopenhauer ne La quadruplice radice del principio di ragione sufficiente, criticando Kant, afferma: “Mi sembra che Kant, in questa considerazione, sia caduto in un errore opposto a quello di Hume. Questi spiegava ogni risultare come un mero succedere: Kant, al contrario, pretende che non vi sia altro succedere che il risultare. Certamente il puro intelletto può concepire solo il risultare (Erfolgen), non il mero succedere (Folgen), come neppure la differenza tra destra e sinistra, la quale – proprio come il succedere – va colta attraverso la pura sensibilità. […], Kant, invece, spiegando la successione obiettiva dei fenomeni come qualcosa di conoscibile solo attraverso il filo conduttore della causalità, cade nello stesso errore che rimprovera a Leibniz il quale intellettualizzò le forme della sensibilità”, A. Schopenhauer, La quadruplice radice del principio di ragione sufficiente, tr.it. a c. A. Vigorelli, Milano, 1990, pp. 76-77.

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subordinazione causale. Tuttavia Kant, per quanto ribadisca il ruolo svolto dalla categoria di causa ed effetto nel rapporto condizione-condizionato, finisce anche col seguire la terminologia condizione-condizionato e non solo quella di causa ed effetto che, pur consentendo di evitare elementi fra loro successivi, ma non connessi da un saldo legame, può limitare il discorso in ambito fenomenico.

Per spiegare la presenza della terminologia condizione-condizionato si possono fare alcune considerazioni: Kant in questa parte della Critica della ragion pura sta trattando le idee cosmologiche che hanno un carattere antinomico secondo che riguardano il mondo o la natura, cioè o le condizioni che sono condizionate da altre condizioni in un processo che, rivelando l’esigenza dell’incondizionato della ragione, mira a passare dai condizionati alla totalità delle condizioni – che, come incondizionato, non è mai colta dall’uomo – o le condizioni che sono condizionate da altre condizioni in un processo aperto proiettato all’indefinito, come tendenza inevitabile della ragione umana verso l’assoluto. Oltre a ciò, Kant, forse tenendo presente che la categoria di causa ed effetto applicata alla successione dei fenomeni fonda l’irreversibilità dell’effetto nei confronti della causa, diversamente dall’agire soggettivo dell’immaginazione che può invertire l’inizio del suo operare dall’effetto alla causa e dalla causa all’effetto, preferisce anche usare i termini più ampi di condizionato e condizione. Questi nel discorso sulle antinomie rendono possibile porre in luce una serie regressiva e una serie progressiva in base alla direzione della serie in avanti o (A. Schopenhauer, Sämtliche Werke, edited by A-Hübscher, 7 voll., Leipzig, 1937-1941, Wiesbaden 1973, vol.I, p.37). Sull’interpretazione di Schopenhauer della seconda analogia dell’esperienza in Kant cf.: R. Richter, Schopenhauers Verhältnis zu Kant in seinen Grundzügen Leipzig, 1893; H. Cohen, La teoria kantiana dell’esperienza, tr.it. a c. L.Bertolini, Milano, 1990, pp.230-233; O. Suckau, Schopenhauers falsche Auslegung der kantischen Erkenntnistheorie. Ihre Erklärung und ihre Folgen, Weimar, 1912; M. Mery, Essai sur la causalité phénoménale selon Schopenhauer, Oxford, 1983; M. Di Pasquale, Fondamento e concetto. L’interpretazione schopenhauriana del criticismo nella prima visione della quadruplice radice. “Annuario filosofico”, 13, 1997.

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all’indietro, dalla condizione al condizionato o, inversamente, dal condizionato alla condizione, anche se, aggiungiamo, la serie posta più in rilievo da Kant è quella che va dal condizionato alla condizione e non quella che procede dalla condizione al condizionato.

Ciò, collegato alla categoria di causa ed effetto che ha la funzione di legalizzare la successione dei fenomeni, porta a questa situazione: in un caso – categoria di causa ed effetto temporalizzata – si ha l’irreversibilità dell’effetto rispetto alla causa, in un altro – serie regressiva – si ha la reversibilità del condizionato alla condizione che lo rende intelligibile, anche se non in modo completo, considerando che la condizione di un condizionato, da parte sua, è anche un condizionato sino a pervenire in modo illusorio alla totalità delle condizioni che è un segno del bisogno dell’incondizionato da parte del soggetto finito e non della conoscenza dell’incondizionato.

Da tale aspetto, ciò che nella categoria di causa ed effetto giustifica l’irreversibilità temporale dall’effetto alla causa temporale, nel passare al rapporto condizione-condizionato diventa, nelle idee cosmologiche, la serie progressiva che manifesta un problema arbitrario che, proiettando il movimento del pensiero dalla condizione al condizionato, che diventa condizione di un altro condizionato, non è in grado di chiudere, anche se in modo non conoscitivo, la serie che rimane aperta. Il movimento inverso della serie regressiva palesa un processo reversibile dal condizionato alla condizione proprio, invece, secondo la seconda analogia dell’esperienza dell’operare dell’immaginazione che non è atta a fondare l’oggettività del conoscere che, poi, in questo caso, è rappresentata dalla irreversibilità di una successione temporale di rappresentazioni. La reversibilità della successione è collegata all’immaginazione che, secondo l’esempio portato da Kant nella seconda analogia dell’esperienza della Critica della ragion pura,4 può iniziare dall’alto verso il basso o dal basso verso l’alto, da sinistra verso

4 E. Kant, Critica della ragion pura cit., p. 203; A 190-191; B 235-236.

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destra o da destra verso sinistra; l’irreversibilità, al contrario, è in funzione dell’intelletto che regola l’ordine della successione delle rappresentazioni che non sono sintetizzate in modo soggettivo. 5

La diversa funzione svolta dall’immaginazione e dall’intelletto, a sua volta, è in relazione al tempo caratterizzato come una successione di rappresentazioni, invertibile per l’immaginazione e non invertibile per l’intelletto che fonda la validità universale dei fenomeni. Il tempo, come scorrere successivo, non torna indietro e solo l’agire di una facoltà, quale immaginazione, è in grado di mutare il ritmo di prima e dopo in dopo e prima andando contro una caratteristica del tempo che va sempre in avanti in modo inarrestabile. Il tempo, poi, per Kant non è limitato dalla mera successione, dove il prima sarebbe solo, usando una terminologia spaziale, accanto, seppure anteriore, rispetto al dopo, cioè non è giustapposizione di istanti successivi, ma fra loro non legati, in quanto può essere legalizzato dall’operare dell’intelletto con la categoria di causa ed effetto che dà ordine e irreversibilità ai momenti del tempo, rendendo il prima, causa del dopo e il dopo, effetto del prima. L’affermazione di Kant, secondo la quale il tempo come fluire successivo di rappresentazioni, ordinato dall’intelletto, non consente inversioni dal dopo al prima, oltre a diversificare l’intelletto,legislatore dell’esperienza, dall’immaginazione, come capacità soggettiva di collegare rappresentazioni, vale a fondare la legalità dell’esperienza che è intersoggettivamente comunicabile: il tempo oggettivo dell’intelletto e il tempo soggettivo dell’immaginazione si contrappongono come il comunicabile e l’incomunicabile, il reale e l’immaginario. Ma ciò è possibile perché «in ciò che precede in generale un avvenimento deve trovarsi la condizione di una regola per la quale esso avvenimento segue sempre e necessariamente; ma, viceversa, io non posso retrocedere movendo da ciò che accade, per determinare (con l’apprensione) ciò che precede perché non c’è fenomeno che ritorni dal momento seguente al precedente, ma si riferisce, tuttavia, a qualche momento precedente; da un tempo dato, invece, il passaggio a un 5 Ibid., p.204; A 194, B 239.

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determinato tempo successivo è necessario»:6 il tempo, come fluire successivo di rappresentazioni non ritorna indietro, ma procede sempre oltre, con un susseguirsi di prima e dopo in cui il dopo diventa il prima di un altro dopo che si proietta verso il futuro.

L’inversione della successione delle rappresentazioni ferma il tempo e va a ritroso, dal dopo al prima, mediante l’attività svolta dall’immaginazione che, pur essendo temporale, è in condizione di liberarsi dall’inevitabile tendenza del tempo ad andare sempre oltre il presente verso il futuro; Kant, nondimeno, delle due attività dell’immaginazione, cioè quelle del fermare e del tornare indietro in rapporto alle rappresentazioni, nella seconda analogia dell’esperienza, dà rilievo al tornare indietro, mettendo sullo sfondo il fermare che pure è essenziale per avere un’immagine unitaria delle rappresentazioni che, diversamente, dileguerebbero portando all’indeterminato. La prevalenza del tornare indietro sul fermare, forse, si spiega con l’intento del filosofo di contrapporre la reversibilità soggettiva all’irreversibilità oggettiva, senza mettere in luce che sia il tornare indietro che l’andare avanti le rappresentazioni richiedono un fermare sintetico in condizione di presentare un oggetto fenomenico determinato; infatti, tanto l’andare dietro, quanto l’andare avanti portano a un risultato definito che presenta precise caratteristiche. Oltre queste considerazioni, non è da escludere che a Kant interessa, in questa fase del suo procedere, porre in primo piano più l’operare dell’immaginazione e dell’intelletto che il risultato cui le due facoltà pervengono che consente di sfuggire al movimento del tempo, sia esso concepito come moto in avanti o all’indietro, secondo la successione di prima a dopo o di dopo a prima: l’oggetto fenomenico, concepito come sintesi soggettiva o oggettiva, in rapporto all’immaginazione e all’intelletto, di molteplici rappresentazioni, ritaglia, nello scorrere temporale delle rappresentazioni, dei fenomeni determinati, prodotti, anche se non creati, conformemente alla distinzione tra ricettività della sensibilità e spontaneità dell’intelletto e spontaneità e 6 Ibid., p. 205; A 194, B 239.

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recettività dell’immaginazione del soggetto conoscente.

Sia nella chiusura della serie dal condizionato alle condizioni della terza antinomia della ragione, sia nella seconda analogia dell’esperienza, tenendo presente il nesso tra immaginazione soggettiva e necessità oggettiva dell’intelletto, nonostante le diversità in parte indicate, appare un elemento comune che è dato dalla soppressione del tempo come fluire successivo. Nella serie, il rinvio temporale del condizionato alla condizione si arresta quando il soggetto ritiene illusoriamente di cogliere la totalità delle condizioni del condizionato che, in realtà, è solo la manifestazione dell’esigenza della ragione che non si appaga della ricerca di determinate e ulteriormente accrescibili condizioni del condizionato che la limitano nell’ambito dell’esperienza fenomenica. La chiusura della serie, come si vede, sebbene sia soggettivamente significativa, sembra eliminare il tempo, anche se nella forma della reversibilità del condizionato alle condizioni; nella seconda analogia dell’esperienza, invece, l’eliminazione del tempo è espressa dal fermare unificante che trova nell’immagine il risultato cui termina il rapporto conoscitivo che lega l’immaginazione all’intelletto. Questo ritaglia, nel flusso dei fenomeni, determinate visioni del molteplice delle rappresentazioni che non sono immutabili per l’inevitabile ulteriorità dei cambiamenti temporali. La comune soppressione de tempo ha, come appare, in un caso, un significato metafisico, in un altro, un significato conoscitivo che consente il proseguimento delle conoscenze che, diversamente porterebbero, a un’illusoria conoscenza definitiva: all’incondizionato, come segno dell’esigenza della ragione di andare oltre la limitazione degli oggetti , colti in una definita situazione, corrisponde il rapporto immaginazione – intelletto che costruisce l’esperienza come unificazione sintetica di rappresentazioni spazio-temporali rese possibili dal fermare unificante che, pur essendo nel tempo, va contro il tempo come mera successione fenomenica.

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2. Serie e posizione Il superamento del tempo, mediante l’attività svolta

dall’immaginazione insieme con l’intelletto, appare in Kant nella seconda analogia dell’esperienza con il concetto di posizione che comporta due tipi diversi di relazione: la relazione delle rappresentazioni con il soggetto e il rapporto delle rappresentazioni fra loro, in connessione con lo stesso soggetto. Il concetto di posizione di una rappresentazione rinvia a ciò che sta fuori, anche se in relazione, cioè la posizione è posizione rispetto a, dove "il rispetto a“pone in rilievo un collegamento con altre possibili posizioni fuori della rappresentazione considerata. La posizione è, da questo aspetto, in relazione allo spazio, come ordine della coesistenza degli oggetti che stanno insieme in uno stesso ambito, e in relazione al tempo, come variazione successiva di rappresentazioni che passano inesorabilmente dal prima al dopo, dove il fluire successivo va distinto, in un mutamento rispetto a uno stesso processo che comprende più rappresentazioni fra loro connesse, e in un altro cambiamento in rapporto ad altri processi che, apparentemente, non interferiscono con il primo processo indicato.

L’attenzione di Kant, in questo contesto della seconda analogia dell’esperienza, è rivolta alla serie temporale, che si riferisce a un singolo fenomeno visto in momenti diversi fra loro strettamente collegati, mettendo sullo sfondo gli altri processi temporali riguardanti la serie, pur presenti, che non agiscono sulla serie considerata e non alla relazione di coesistenza della rappresentazione esaminata con altri fenomeni che vanno incontro ad altri mutamenti. Ciò significa che il filosofo tedesco ha isolato una serie, nel caso particolare temporale, per cogliere il movimento interno, dato dal passaggio da una posizione ad un’altra di uno stesso fenomeno che procede nel tempo, senza considerare le possibili azioni ed interferenze che altre serie potrebbero avere con quella oggetto di esame. Ricordiamo che l’esempio portato da Kant nella seconda analogia dell’esperienza si riferisce ad una nave che scende la corrente di un fiume, occupando posti fra loro non invertibili, diversamente dall’altro

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esempio della casa che manifesta, con la possibilità dell’osservatore di procedere dal basso in alto e dall’ alto in basso, da sinistra a destra e da destra a sinistra, la reversibilità della immaginazione che può operare in modi diversi, libera com’è dalle regole dell’intelletto che pongono limiti all’agire dell’immaginazione.

Un posto, quando teniamo presente l’esempio della nave, non può essere sostituito con un altro, dato che ogni posto rivela l’immaginazione, guidata dall’intelletto con le categorie – nel caso particolare quella di causa ed effetto – che danno oggettività alle soggettive combinazioni dell’immaginazione: l’irreversibilità dell’intelletto, contrapposta alla reversibilità temporale dell’immaginazione, riguarda anche la dimensione temporale che non va dal prima al dopo o, inversamente, dal dopo al prima, secondo l’operare di questa facoltà che compie una sintesi delle rappresentazioni dipendenti dalla sensibilità, ma dal prima al dopo, senza che il dopo possa liberamente diventare prima, come avviene nell’esempio della casa portato da Kant.

Il passaggio dal prima al dopo è rappresentato, nel caso della irreversibilità dell’intelletto che regola l’immaginazione, dalle posizioni che ininterrottamente si susseguono e che si riferiscono ad una stessa serie, dove ogni posizione ha caratteristiche ben precise, distinguibili fra loro secondo un ritmo, ordinato dal legame intelletto – immaginazione, che sottrae un fenomeno temporale dalla successione, nel senso che, se per un verso è vero che è uno stesso fenomeno che procede nel tempo – la nave che scende il fiume in base all’esempio kantiano ricordato - , per un altro, è anche vero che ogni posizione del fenomeno, pur in rapporto alle altre posizioni del fenomeno stesso, si staglia netta rispetto all’insieme di tutto il processo. Questo, lungi dall’essere indeterminato con rappresentazioni che, proiettandosi nel dopo, portano ad un accrescimento dai limiti non ben definiti, può essere, ad un tempo, visto in modo ordinato e distinto, secondo che si fa leva sull’irreversibilità, guidata dall’intelletto con le categorie, delle posizioni fra loro successive e non mutabili o sulla differenza, dai contorni ben precisi, delle singole posizioni. Di

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queste, ognuna è diversa dalle altre, nell’andamento complessivo di una stessa serie, che è altra dalle serie messe in secondo piano dal discorso del filosofo tedesco volto a porre in luce una serie temporale rispetto ad altre serie temporali e all’insieme dei fenomeni, che, anche se accanto o vicini al processo indagato, sembrano non incidere nel discorso kantiano.

L’affermazione che Kant fa nella seconda analogia dell’esperienza della Critica della ragion pura e che apparentemente dà risalto al tempo come successione, rispetto all’entrare in azione dell’intelletto che oggettiva la successione temporale, in questo contesto, va interpretata in modo più approfondito: « come il tempo contiene la condizione sensibile a priori della possibilità di una progressione continua, di ciò che esiste a ciò che segue, così l’intelletto, per mezzo dell’unità dell’appercezione, contiene la condizione a priori della possibilità, di una determinazione continua di tutti i posti per i fenomeni in questo tempo, mediante la serie delle cause e degli effetti, di cui le prime tengono seco immancabilmente l’esistenza dei secondi, e così rendono valevole per ogni tempo (in generale) cioè oggettivamente, la conoscenza empirica dei rapporti temporali».7 Oltre alla successione temporale e al ruolo oggettivamente svolto dall’intelletto, in questa frase kantiana emerge la contrapposizione tra “questo tempo” e “ogni tempo”, dove il primo si riferisce a una sola serie che manifesta una determinata successione di fenomeni fra loro collegati, il secondo, al tempo universale e oggettivo che vale per ogni serie.

Sennonché, tenuta presente la distinzione tra tempo soggettivo e tempo oggettivo, il passaggio dal primo senso del tempo al secondo è opera dell’intelletto che, con le categorie, - secondo l’esempio ricordato di causa ed effetto – rende oggettivo un processo soggettivo che viene, in tal modo, reso universale anche se, come già visto, il filosofo tedesco mette sullo sfondo sia il rapporto con altre serie temporali che potrebbero interferire con l’andamento del processo indagato – pensiamo, ritornando

7 Ibid., p. 217, A 210-211, B 254 .

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all’esempio di Kant, all’intervento del vento o al mutare della corrente del fiume o ad altre condizioni climatiche non prese volutamente in esame - , sia l’insieme dei fenomeni coesistenti e apparentemente non agenti sulla successione considerata. Da ciò appare che Kant non solo ha considerato una serie, astraendo da altri aspetti che pure potevano essere rilevanti – come avviene con un esperimento riprodotto in laboratorio da uno scienziato che, sottraendo altri elementi solo idealmente escludibili, mira a raggiungere risultati oggettivamente comunicabili in processi semplificati - , ma anche ha limitato il suo discorso nell’ambito di un certo tipo di temporalità, cioè temporalità della nave e non dell’eventuale vento o dell’eventuale mutamento di corrente che non lascia posto, fra l’altro, al riferimento allo spazio con lo svanire dei fenomeni coesistenti, più o meno contigui alla serie temporale studiata.

L’isolamento di una serie – nel caso particolare nave e posizione della nave che scorre su un fiume spinta dalla corrente – ha la funzione di far emergere alcune caratteristiche che, diversamente, apparirebbero in modo meno determinato per l’operare di altre serie e per la presenza di altri fenomeni coesistenti e apparentemente non operanti nella serie, volutamente considerata in modo semplificato. Ciò potrebbe portare ad una situazione poco determinata se non si trovasse un criterio per distinguere una serie da un’altra, entrambe supposte vicine, e in qualche modo indirettamente presenti l’una nell’altra, criterio che può essenzialmente essere individuato dalla categoria di causa ed effetto che, per la sua universalità, comprende molteplici fenomeni e dal diverso modo di operare di questa categoria secondo i processi esaminati. Non basta, infatti,affermare che ogni serie è regolata dalla categoria di causa ed effetto che riguarda molteplici oggetti fra loro legati perché, insieme con questa struttura identica, appare un aspetto diverso che consente di differenziare le serie causali fra loro, sicchè un determinato effetto è proprio di un processo e non di altri, pur accomunati dalla stessa categoria di causa ed effetto.

Secondo questa prospettiva, per distinguere una serie dalle altre, bisogna indagare se una stessa causa produce un effetto

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anche in altre serie o se, invece, non produce alcun effetto considerata in relazione ad altri processi. Sostenere, al contrario, che in ogni serie sono più o meno presenti tutte le altre vicine significherebbe che in ogni effetto sono anche agenti tutti gli altri effetti dei processi diversi, così da sostenere che per conoscere una determinata serie bisognerebbe conoscere tutte le altre, quasi a dire che, per intendere una parte, è necessario conoscere il tutto in cui la parte rientra e ha un senso. L’isolamento di una serie, tenute presenti le considerazioni fatte, è in funzione della determinazione di certi tipi di causalità e di certi tipi di effetti rispetto ad altre forme di causalità e di effetti che avvengono in serie differenti da quella oggetto di studio da parte del soggetto indagante.

Così, ad esempio, tornando al discorso sulla nave che scorre in un fiume, la corrente è causa delle differenti posizioni occupate dalla nave in tempi diversi, mentre non è causa del mutamento delle nuvole nel cielo che sono condizionate dal vento e dai fenomeni atmosferici: in entrambe le serie è in atto il principio di causa ed effetto, solo che sia la causa che gli effetti sono fra loro differenti, secondo che si considera che il vento non interviene sulla corrente allo stesso modo delle nuvole visto che, ad esempio, una determinata intensità di vento che fa spostare le nuvole non sempre è in grado di operare sul movimento di una nave in un fiume. Ciò suppone che le cause e gli effetti siano misurabili per determinare le diverse intensità di un fenomeno che rinviano ad una precedente quantificazione delle rappresentazioni sensibili che vengono concepite in modo omogeneo, senza tener conto delle diverse caratteristiche qualitative che vanno al di là del processo della misurazione. Oltre a questo esempio, volto a porre in luce come l’incontro di due serie può essere verificato solo se è misurabile secondo gli effetti prodotti in ciascuna di esse, se ne possono portare altri che, non sempre verificabili in senso scientifico, non condizionano l’incontro delle serie all’operare di un criterio di misura, limitato al quantitativo e all’omogeneo.

3. Incontro fra serie

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In questo ambito, volendo esemplificare, possiamo pensare che lo scorrere di una nave su un fiume in cui c’è corrente può essere indipendente da un’altra serie, pur contigua al fiume, che non interviene sul processo della nave che scende il fiume, cioè possiamo supporre che, ad esempio, il movimento di un carro, spinto da un cavallo su una sponda, non produce alcun effetto sulla nave che attraversa il fiume. La contiguità della serie,in questo caso, è come se fosse rappresentabili, volendo usare uno schema geometrico, da due rette parallele che, sebbene tracciate l’una accanto all’altra, non si incontrano mai, essendo il tracciare dell’una non condizionato dal tracciare dell’altra che è prolungabile all’infinito dal soggetto. La contiguità delle serie, però, non esclude in assoluto che una interferisca con l’altra, operando dei mutamenti che modificano il movimento delle due serie, che, in tal modo, lungi dall’essere parallele, finiscono con l’incontrarsi in un certo momento e non in un altro; ciò significa, almeno che l’andamento di una serie si modifica e che, modificandosi, entra in effettive relazioni con l’altra serie che, a sua volta, viene mutata con un cambiamento di ritmo rispetto a quello originario.

Tuttavia, per capire come una serie possa agire su un’altra vicina, ma inizialmente indipendente, è opportuno far intervenire un altro elemento che, manifestandosi, sia in grado di rendere intelligibile come le due serie possano entrare in rapporto. L’elemento indicato potrebbe essere dato dall’apparire di un altro processo di causa ed effetto entro una serie, ordinata da un altro tipo di successione di causa ed effetto che porterebbe, da sola, all’indipendenza di una serie dall’altra, così da far supporre che ciò che è causa – movimento di un carro ad opera di un cavalo, secondo l’esempio, - in uno stesso processo possa, una volta subordinato a un altro tipo di causalità che opera entro una determinata successione di fenomeni, diventare effetto, mutando, in qualche modo, la direzione del suo procedere. Si pensi esemplificando, all’odore emesso da un certo quantitativo di biada che si trova sulla nave che induce il cavallo ad attraversare il fiume (effetto) per raggiungerla. Una serie, in tal modo, appare in condizione di interferire con l’altra serie che sembrava

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indipendente seguendo il suo movimento autonomo. Come visto, in una serie intervengono due tipi differenti di causalità; solo che, è il caso di indicare quando una forma di causalità è in grado di agire su un’altra forma di causalità di una stessa serie, dopo che abbiamo notato che la causa di una può diventare effetto della causa dell’altra.

Per rispondere alla domanda posta, osserviamo che inizialmente, supposto l’operare di una sola serie, alcune rappresentazioni o fenomeni, secondo che ci riferiamo a un soggetto più o meno cosciente o a un processo oggettivo che segue determinate leggi, poniamo, fisiche, si allontanano dall’andamento dominante di una serie e gradualmente diventano, prima, autonome e, poi, entrano fra loro in un rapporto che rivela la presenza di uno stesso nucleo significativo in condizione di legare in modo unitario le rappresentazioni staccatesi dal processo originario che, così, vengono subordinate ad un altro principio unificatore. Il principio unificatore, collegando le rappresentazioni fra loro, li regola conformemente a un tipo di causalità che è diverso rispetto a quello della serie inizialmente considerata: l’instaurarsi di una diversa serie di rappresentazioni avviene allorché alcune rappresentazioni entrano in serie causali differenti, rette da nuclei significativi fra loro distinti.

Questo discorso, nondimeno, che ha colto il formarsi entro una stessa serie di ordini diversi di causalità, mette sullo sfondo come si ottiene il nucleo significativo che rappresenta ciò attorno a cui le rappresentazioni staccate dal primo tipo di causalità si raccolgono in modo ordinato. Il nucleo significativo, da tale aspetto, non può essere interpretato come il risultato del rapporto delle rappresentazioni fra loro perché queste, per legarsi le une alle altre, rinviano già all’operare dello stesso nucleo significativo che non è un risultato dell’accordo, ma un presupposto dello stesso in condizione di dargli un senso unitario. Il nucleo significativo, a sua volta, può essere considerato, ad un primo esame, secondo una determinata legge che regola i fenomeni in modo unitario o secondo una rappresentazione comprensiva che ha in sé molteplici rappresentazioni accomunate da un’identica nota, presente, al di là della diversità fra le rappresentazioni.

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Nel primo caso, una rappresentazione che esprime una legge ordina l’andamento e la direzione delle rappresentazioni, che non di rado danno inizio in una stessa serie a un movimento diverso sia per intensità, sia per direzione da quello da principio posto dalla serie che risulta, per questa via, internamente complessa, dotata com’è di processi differenti non riducibili all’univocità di un solo moto semplicemente rappresentabile dal soggetto. Nel secondo caso, una rappresentazione, che denominiamo egemone rispetto alle altre, ha in sé o richiama a sé molte altre rappresentazioni, quasi fosse una calamita che attira la limatura di ferro più o meno distante, dove il richiamare a sè molteplici rappresentazioni manifesta la possibilità che il nucleo significativo si estenda, ampliandosi sempre di più.

A questo tipo di processo che sembra far leva sul rapporto e sulla distinzione tra includente e incluso subentra un certo tipo di ordinamento che, inevitabilmente, rivela una sorta di gerarchia fra le rappresentazioni attratte che non stanno, sebbene entrate in uno stesso nucleo, sullo stesso piano, in base alla maggiore o minore prossimità al nucleo essenziale che si manifesta anche nelle vesti di ideale punto di convergenza di un molteplice. In questo ultimo caso, riguardante una rappresentazione egemone nei confronti delle altre che vengono attirate, abbiamo un ordine di attrazione secondo il quale, distinguendo il centro dalla periferia e ciò che sta fra centro e periferia, il centro attrae le rappresentazioni a sé, senza, a sua volta, essere attratto da esse che gli ruotano attorno secondo le differenti distanze, collegate al loro diseguale rilievo rispetto al nucleo. L’ordine di attrazione, da parte sua può essere anche interpretato come ordine di posizione e come ordine di elevatezza, dove il centro del nucleo significativo diventa l’elemento più alto rispetto a quelli meno elevati che stanno ai margini, cioè alla periferia e a quelli che si muovono fra il più elevato e i meno elevati. L’ordine di attrazione, che in tal modo diventa ordine di elevatezza, si palesa, da parte sua, come ordine di posizione con le rappresentazioni dotate di differente valore significativo, idealmente situate ad una diversa distanza dal nucleo originario che sta al posto più alto della visione del soggetto.

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Come si vede, il più alto, nell’ambito delle rappresentazioni di uno stesso nucleo, diventa il centro o, inversamente, il centro appare come il più alto, secondo il tipo di raffigurazione seguita, e il più alto come la rappresentazione egemone in rapporto alle altre situate a una diversa distanza. I diversi schemi di raffigurazione, rispettivamente dati da ordinamento di attrazione, ordinamento di elevatezza e ordinamento di posizione, mettono in rilievo che l’elemento più significativo del nucleo fondamentale è, in base ai diversi schemi usati, il più forte, il più elevato e il più centrale. Visto che il nucleo significativo è interpretabile come un insieme di rappresentazioni in cui una è egemone, centrale e più elevata nei confronti delle altre che fanno parte del suo campo, resta ora a considerare ulteriormente come si forma questa rappresentazione che si mostra egemone, centrale e più elevata riguardo alle altre che da essa vengono quasi attirate, come se fosse un’ideale calamita.

La rappresentazione che appare egemone nei confronti delle altre e che è in grado di staccarsi e di dare inizio a una nuova serie, in realtà, in genere, rinvia all’agire di una forza che può essere esterna o interna al soggetto considerante, in base al tipo di azione che sovente viene esemplificata da una legge fisica, espressa nei fenomeni, o dall’intervento del sentimento di piacere o di dispiacere, che opera come ideale centro di convergenza di molteplici rappresentazioni, più o meno vicine al centro, o dalla riflessione che amplia l’estensione e l’intensità delle rappresentazioni, proprie di un soggetto cosciente qual è l’uomo. La forza interna o esterna, poi, si manifesta come capacità di compiere un mutamento dei fenomeni nello spazio e nel tempo, cioè opera come una causa che produce effetti visibili nelle rappresentazioni. Da tale aspetto, se una causa agisce su una serie e trasforma le rappresentazioni o il fenomeno cui si applica, dando inizio a un’altra serie, abbiamo il rapporto tra due serie diverse, che può riferirsi a uno stesso processo che, da apparentemente semplice, si palesa come complesso, in quanto insieme di fenomeni ordinato da due diversi tipi di causalità fra loro connessi, o due processi differenti. Questi inizialmente fra loro paralleli, finiscono con l’incontrarsi in un fenomeno o rappresentazione che

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appare in un duplice modo secondo il tipo di causalità cui rinvia, ma che, ad ogni modo, è anche il loro punto di incontro. La complessità, come si vede, può essere entro uno stesso processo o fra due processi, fermo restando che i processi esprimono serie che comprendono rappresentazioni o fenomeni individualizzati nel tempo in diverse maniere.

Il nesso fra due serie interne a uno stesso processo e fra due processi distinti comporta che i processi siano temporali e talvolta spaziali e rendano possibile un ordinamento di tipo causale; oltre a questi aspetti che sono condizioni essenziali dell’incontro tra serie differenti, è il caso di farne emergere un altro collegato al principio di causa ed effetto secondo il quale dalla causa si passa all’effetto, ma anche dall’effetto si passa alla causa, cioè la causa, nel primo caso, è irreversibile, non essendo possibile il movimento inverso dall’effetto alla causa, nel secondo, è reversibile dal momento che è attuabile il movimento all’indietro dall’effetto alla causa. Questa distinzione è rilevante perché le rappresentazioni si succedono nel tempo dove una, la precedente, è causa della seguente, senza che l’ordine fra loro sia mutabile, diversamente da quanto avviene nella successione invertibile dall’effetto alla causa, dove il tempo, pur seguendo il fluire delle rappresentazioni, può essere modificato dal suo ritmo di prima-dopo al ritmo di dopo-prima che rivela l’inversione della serie dei fenomeni.

La reversibilità della serie e l’inversione del ritmo temporale, non condizionata solo dal prima al dopo, ha la funzione di rendere intelligibile l’incontro tra serie diverse, visto che la causa di una serie può diventare l’effetto di un’altra serie, quando alla causa di una si applica la causa di un’altra che segue un movimento differente secondo il diverso andamento causale. Da quanto detto, sembra che una serie transitiva e non reversibile non permette l’incontro tra serie diverse che appaiono indipendenti o, tuttalpiù, parallele,tali da non incontrarsi mai. In tale ambito è da considerare se la reversibilità, in realtà, lungi dal riguardare una sola serie, agisce nel rapporto fra due serie e se questa reversibilità fra due serie sia una condizione dell’incontro e subordinazione di una serie all’altra.

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4. Serie e reversibilità E il caso, a questo punto, di esaminare la reversibilità in

rapporto all’incontro di due serie diverse che, per convenzione, denominiamo serie di primo tipo o prima serie e serie di secondo tipo o seconda serie. Nelle due serie che entrano in rapporto si presentano alcuni casi differenti che possono essere così individuati: in un caso, la serie di primo tipo può rivolgersi alla serie di secondo tipo che, a sua volta, può essere passata, presente o futura rispetto alla prima serie. In un altro, nella serie già trascorsa di secondo tipo, un elemento di essa è anteriore alla serie di primo tipo, in un altro ancora, nella serie contemporanea a quella di primo tipo, ogni elemento delle due serie agisce nello stesso tempo, in altre serie, poi, la serie di primo tipo è anteriore rispetto a quella di secondo tipo che è posteriore. L’anteriorità, la posteriorità e la contemporaneità può essere o fra un elemento di una serie nei confronti degli altri dell’altra serie che possono essere contemporanei o avere diversi momenti temporali.

Poste in rilievo queste diverse situazioni delle serie, si hanno, nel rapporto fra loro, i seguenti nessi fra gli elementi: presente-passato, presente –presente, presente-futuro, dove il primo termine del legame indicato si riferisce alla serie di primo tipo e il secondo alla serie di secondo tipo. L’incontro tra le due serie, come appare chiaramente, avviene nel tempo e riguarda l’inserimento di una serie, che può anche essere di tipo causale, in un’altra, cioè può riferirsi a un tempo ordinato dal principio di causa ed effetto che fissa i posti e le successioni, oltre che le “gerarchie”, fra gli elementi delle due serie che, sebbene possano essere in parte parallele – in parte, perché gli elementi delle due serie non sono sempre paralleli, tranne quando una serie nel suo complesso è contemporanea all’insieme dell’altra – manifestano l’emergere di un elemento, poniamo, della serie di primo tipo. Questo può essere causa rispetto a un elemento della serie di

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secondo tipo che è un effetto, indipendentemente, però, dall’inizio della prima serie nel tempo nei confronti dell’altra che ha, secondo gli esempi portati, un diverso tipo di temporalità: il tempo, anche se è una condizione necessaria dell’incontro tra le due serie,non comporta lo stesso genere di successione, cioè al presente di una serie può corrispondere il passato o il futuro di un’ altra, senza che ciò implichi l’impossibilità di una serie di influire sull’altra.

La direzione parallela delle due serie non equivale all’eguale coesistenza di tutti gli elementi componenti le due serie nello stesso tempo, visto che l’inizio nel tempo di una non sempre corrisponde all’inizio nel tempo dell’altra che può avere cadenze temporali diverse. Alla reversibilità dell’elemento del primo genere di serie, che può operare nei confronti degli elementi dell’altra serie procedendo in avanti, indietro o contemporaneamente, secondo l’inizio nel tempo del secondo tipo di serie, corrisponde un’uguale mobilità delle componenti del secondo tipo di serie che possono parimenti andare avanti o indietro o rimanere parallele e contemporanee in riferimento all' attività della causalità della prima serie che svolge un ruolo fondamentale nel far convergere le rappresentazioni della seconda serie. Ciò si spiega con il fatto che l’elemento iniziale della prima serie compie una funzione centrale, egemone ed elevata in riferimento agli altri elementi della seconda serie, sicché è in grado di agire richiamando a sé e ordinando rappresentazioni presenti, passate e future della seconda serie: il tempo, come condizione necessaria delle due serie, è solo come una cornice essenziale che, nondimeno, rimane dinamica nei complessi incroci di presente, passato e futuro che sono, in tal modo, reversibili nella misura in cui un elemento fondamentale della prima serie si sposta avanti e indietro, secondo l’agire del soggetto, o in modo simultaneo attirando qualche rappresentazioni della seconda serie, anch’essa simultanea.

Il tempo sembra, da quanto detto, essere, spazializzandolo, oltre che uno scorrere sempre ulteriore, un insieme di posti occupati dal movimento dell’elemento fondamentale della prima serie che li percorre andando avanti e indietro o intervenendo contemporaneamente rispetto alla seconda serie. Tuttavia,

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nonostante le caratteristiche indicate nei due processi che entrano in rapporto, un aspetto rimane costante al diverso incontrarsi delle serie: l’elemento fondamentale della prima serie è causa nei confronti di uno o più elementi della seconda serie che, incrociandosi, diventano effetti di un altro tipo di causalità, svolto da un termine della prima serie secondo l’esempio da noi precedentemente fatto. Tenendo conto di quanto visto sul nesso fra le due serie, si può porre il problema su quale sia l’elemento che si muove prima e si dirige verso l’altra serie, cioè, dato un elemento della prima serie denominato A e un elemento della seconda serie denominato A’, è A che va verso A’ o, inversamente, A’ che va verso A? Per rispondere a questa domanda possiamo inizialmente notare che l’incontro fra le due serie può essere, ad un tempo, casuale e riflesso: casuale perché occasionalmente una nota di una rappresentazione, ad esempio il colore rosso, può apparire in primo piano ed entrare in relazione con un’altra rappresentazione, che secondo l’esempio, presenta anche il colore rosso – si pensi al rosso di alcuni fiori di un prato dipinto – di un’altra serie che procede in modo autonomo, riflesso, perché la nota della rappresentazione messa in primo piano rinvia anche all’attenta considerazione del soggetto che, a tal punto, è in condizione di inserirla in una serie che procede indipendentemente dall’altra serie. Si consideri, nell’ambito di quanto detto, la sensazione del rossore del viso che può essere intesa sia in senso fisico, come manifestazione di calore, e fare parte di un determinato processo di rappresentazioni, sia in senso sentimentale e far parte di un altro processo che fa leva su fattori emotivi che assumono una stessa tonalità di significato.

I due processi, ad ogni modo, possono avere relazioni fra loro perché una stessa rappresentazione, presente in ambedue i processi, ha un nucleo di significato che è lo stesso, in base all’esempio sopra fatto, e che contiene in sé una nota che è comune ad entrambe le rappresentazioni delle due serie che, una volta messa in risalto, è in grado di far parte di serie differenti, dotate di vita autonoma. Quest’ultimo caso può avere un senso diverso; infatti, volendo esemplificare, anche se in modo

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essenziale, il processo rappresentato dallo scorrere di una nave in un fiume – ricordando l’esempio kantiano della seconda analogia dell’esperienza – che segue l’andamento della corrente, la quale fa assumere alla nave posizioni diverse e successive, può anche far pensare al tempo e al suo fluire connesso a un certo ritmo che ha, come momenti, il passato, il presente e il futuro. La corrente, in questo caso, dà la legge del mutamento dei momenti temporali e dei fenomeni nel tempo, sicché, riflettendo, su un concetto, si può per analogia passare all’altro – senza dimenticare i limiti di un discorso basato su un’analogia di proporzione – e considerare una nota di uno come, pur nella diversità dei processi presi in esame, attribuibile all’altro. In questo caso, le due serie che riguardano il fiume con la nave e la corrente che la spinge e il tempo, con l’alternarsi di passato, presente e futuro, non sono quasi parallele, nel senso che da una si possa, senza limitazioni, passare all’altra in quanto sono situate su un piano differente, anche seguendo un criterio analogico che coglie somiglianze di rapporti tra concetti o processi fra loro diversi. Da quanto visto, le due serie riguardano due ambiti differenti, quello reale – fiume, nave e corrente che spinge la nave – e quello ideale rappresentato dal tempo e dal suo diverso fluire secondo il passato, il presente e il futuro.

Oltre a ciò, le serie possono essere entrambe ideali come, ad esempio, avviene se pensiamo alla serie del tempo, scandita da passato, presente e futuro e alla serie dei numeri che, secondo Kant, sebbene non condiviso da filosofi e matematici,8 ha un 8 Si consideri la concezione di Leibniz sull’aritmetica che, diversamente da Kant, non riteneva la somma di due numeri – usando una terminologia di Kant e non di Leibniz – un giudizio sintetico a priori perché si basa sulla legge associativa e su quella commutativa che seguono il principio di non contraddizione. Si tenga presente quanto Teofilo afferma, rispondendo a Filalete: “Voi sembrate aver dimenticato, signore, come vi ho fatto vedere più di una volta, che dire uno e due fanno tre, non è altro che la definizione del termine tre, in modo che dire che uno e due è uguale a tre significa dire che una cosa è uguale a se stessa. Per ciò che concerne questo assioma, che il tutto è uguale a tutte le sue parti prese insieme, Euclide non se ne serve affatto espressamente. Un tale assioma abbisogna infatti di qualche limitazione, poiché bisogna aggiungere che le parti non debbono avere esse stesse qualche parte in comune; 7 e 8 per esempio sono parti di 12, ma insieme fanno più di 12. Il

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significato temporale se dal numero passiamo al numerare che avviene in modo successivo nel tempo. Le serie, poi, possono essere, da un lato ideali, come, ad esempio il tempo, dall’altro, anche reali come, ad esempio, si manifesta se teniamo presente una serie musicale concepita come successione ordinata di intervalli quale emerge dal tema di una composizione musicale. Nelle due serie ricordate, il nesso fra esse non è, secondo le considerazioni fatte a proposito dell’esempio della nave in un fiume e del tempo, fondato sull’analogia, come somiglianza di relazioni fra successioni diverse ordinate – anche se il tempo è una dimensione essenziale che compare in queste serie -, ma su altre caratteristiche, come gli intervalli, nel caso della serie musicale.

Dopo aver considerato alcune serie e il loro rapporto che può essere, riepilogando, fra serie reale e serie ideale o, inversamente, fra serie reale e serie reale o fra serie ideale e serie ideale, dove per ideale intendiamo l’emergere della dimensione rappresentativa che può essere soggettiva o oggettiva, intellettuale o sentimentale, secondo i diversi processi cui possiamo far riferimento, senza dimenticare che l’incontro fra due serie può anche essere casuale e, ad un tempo, riflesso, cerchiamo di rispondere al problema che ci eravamo posti riguardante quale elemento di due serie in relazione muta direzione e va verso l’altra serie. In tale ambito, tenendo presente le diverse serie prese in esame, possiamo affermare che in tutte le serie non oggettive la rappresentazione che fa parte di un insieme va verso la rappresentazione di un altro se entra in azione un soggetto, anche se parzialmente cosciente, che pone in relazione una busto e il tronco presi insieme sono più che l’uomo per il fatto che il torace è comune ad ambedue. Ma Euclide dice che il tutto è più grande della sua parte, il che non va soggetto ad alcuna precauzione”. G. W. Leibniz, Nuovi saggi sull’intelletto umano, tr.it. a c. M. Mugnai, Roma, 1982, p.401. (G. W. Leibniz, Nouveaux essais sur l’entendement humain in C. I. Gerhardt, Die philosophischen Schriften von G. W. Leibniz, 7 voll. Berlin 18775-90, repr. Hildesheim, 1960-61, V, 413). Sulla teoria kantiana dell’aritmetica cf. G. Martin, Aritmetik und Kombinatorik bei Kant, 1972.

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rappresentazione con le altre di una stessa serie o di una serie diversa, cioè le serie entrano in relazione se c’è un soggetto che le pone in rapporto, vale a dire se collega una rappresentazione alle altre nell’ambito di due serie.

La relazione fra le serie rivela un’attività originaria e fondante svolta dal soggetto conoscente; ciò significa che la relazione, almeno ad una prima considerazione, è di tipo ideale, legata com’è alla capacità rappresentativa del soggetto finito che è dotato di uno sguardo diverso quando riflette, ponendo in risalto i nessi fra le serie. Lo spostamento dalle serie al loro rapporto e a chi le pone in relazione è in condizione di mettere in luce che sovente la posizione del rapporto dà vita a una terza serie, differente dalle prime due all’inizio esaminate. In tal modo, se ripensiamo alla serie della nave che percorre un fiume, mediante la corrente, e all’altra serie di un cavallo che tira un carro sulle sponde dello stesso fiume e alle varie posizioni occupate dal carro durante un certo tempo e, parimenti, alla distanza coperta in un certo lasso di tempo dal carro spinto dal cavallo per raggiungere un luogo, allora ci accorgiamo, usando un sistema di misura che può essere applicato alle posizioni del carro e alle posizioni della nave sul fiume, che il primo occupa un posto quando l’altro ne occupa un altro, cioè abbiamo una terza serie. Questa risulta dall’applicazione di un criterio di misura al carro e alla nave che consente una successione ordinata nel tempo, per mezzo di una precedente quantificazione dei due processi connessi al carro e alla nave. La terza serie, come appare, è collegata al soggetto considerante che non si limita a cogliere le serie nella loro indipendenza l’una dall’altra: il rapporto posto dal soggetto, pur riferendosi alle due serie, ha caratteristiche proprie, diverse dalle due serie.