Sentimenti di Gesù

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Collana Studi biblici

1-3. S.A. Panimolle, Il discorso di Pietro all'assemblea apostolica l: Il concilio di Gerusalemme

Il: Parola, fede e Spirito lll: Legge e Grazia

4. F. Lambiasi, L'autenticità storica dei Vangeli 5. M. McNamara, l Targum e il Nuovo Testamento 6. C.K. Barrett, La prima lettera ai Corinti 7. L. Monloubou, La preghiera secondo Luca 8. L. Alonso Schokel, Trenta salmi: poesia e preghiera 9. P. Grelot, l Canti del Servo del Signore

10. J. Dupont, Teologia della Chiesa negli Atti degli apostoli 11. P. Lapide, Leggere la Bibbia con un ebreo 12. F.-E. Wilms, l miracoli nell'Antico Testamento 13. Il Midrash Temurah, a cura di M. Perani 14. J. Dupont, Le tre apocalissi sinottiche 15. l. De la Potterie, Il mistero del cuore trafitto 16. W. Egger, Metodologia del Nuovo Testamento 17. J. Darù, Principio del Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 18. S. Zedda, Teologia della salvezza nel Vangelo di Luca 19. L. Gianantoni, La paternità apostolica di Paolo 20. S. Zedda, Teologia della salvezza negli Atti degli apostoli 21. A. Giglioli, L'uomo o il creato? 22. M. Pesce, Le due fasi della predicazione di Paolo 23. E. Boccara, Il peso della memoria 24. L. Alonso Schokel - J.M. Bravo Arag6n, Appunti di ermeneutica 25. Metodologia dell'Antico Testamento, a cura di H. Simian-Yofre 26. F. Manns, Il giudaismo 27. G. Cirignano- F. Montuschi, La personalità di Paolo 28. F. Manns, La preghiera d'Israele al tempo di Gesù 29. H. Simian-Yofre, Testi isaiani dell'Avvento 30. M. Nobile, Ecclesiologia biblica 31. L. Ballarini, Paolo e il dialogo Chiesa-Israele 32. F. Manns, L'Israele di Dio 33. A. Spreafico, La voce di Dio 34. G. Crocetti, Questo è il mio corpo e lo offro per voi 35. A. Rofé, La composizione del Pentateuco 36. P. Lapide, Bibbia tradotta Bibbia tradita 37. G. Cirignano- F. Montuschi, Marco. Un Vangelo di paura e di gioia 38. P. Grelot,/1 mistero del Cristo nei Salmi 39. B. Costacurta,lllaccio spezzato 40. G. lbba, La teologia di Qumran 41. A. Wénin, Entrare nei Salmi 42. B. Costacurta, Con la cetra e con la fionda 43. J.P. Fokkelman, Come leggere un racconto biblico 44. X. Léon-Duf our, Agire secondo il Vangelo 45. Bibbia e storia, a cura di M. Hermans- P. Sauvage 46. W. Binni- B. G. Boschi, Cristologia primitiva 47. M. Remaud, Vangelo e tradizione rabbinica 48. B. G. Boschi, Le origini della Chiesa 49. A. Miranda, l sentimenti di Gesù

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AMERICO MIRANDA

I SENTIM�NTI DI GESU

I verba affectuum dei Vangeli nel loro contesto lessicale

EDIZIONI DEHONIANE BOLOGNA

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© 2006 Centro editoriale dehoniano via Nosadella, 6 - 40123 Bologna EDB (marchio depositato)

ISBN 88-10-41001 -7

Stampa: Grafiche Dehoniane, Bologna 2006

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A quelli che si affaticano per il vangelo Hoc enim sentite in vobis,

quod et in Christo Jesu (Fi/2,5)

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PRESENTAZIONE

La grammatica, come si sa, distingue a parte una classe di verbi, variamente detti sentiendi o anche affectuum, con cui si riconosce e si evidenzia la portata particolarmente emotiva delle azioni o degli atteggiamenti umani. Per. poco che andiamo oltre la terminologia meramente «grammaticale», ci si rende conto che è in gioco una di­mensione semplicemente «esistenziale», di cui è ampiamente mate­riata la nostra vita. Si tratta né più né meno delle reazioni che assu­miamo di fronte a eventi, a persone, a comportamenti altrui, sia che essi vengano adottati nei nostri confronti, sia che rappresentino sol­tanto l 'espressione di una condotta esterna non direttamente riferi­ta a noi.

Tanto la letteratura quanto la filosofia si sono ampiamente inte­ressate a questa componente non secondaria dell'umana esperienza, a partire dall'antico concetto greco di passione, passando per il sen­tire del cuore di Pascal che lo oppone alla conoscenza razionale, fino alla teorizzazione del sentimento in età romantica, compresi poi i più recenti concetti esistenzialisti di angoscia e persino di nausea. Certo è che l'ideale stoico della imperturbabilità o atarassìa ha poco di umano, se persino gli dèi della mitologia ellenica soggiacciono a mo­ti d'ira, di commozione, di ilarità o di afflizione.

Come poteva esserne esente un uomo come Gesù di Nazaret? Certo nei suoi confronti è esistito (e forse esiste ancora) un giudizio, che lo esclude da una umanità ritenuta eccessiva. Ma si tratta nient'altro che di una tentazione monofisita, che considera indegna contaminazione mondana la condivisione da parte sua di ciò che è umano, magari considerato troppo umano! Eppure, come si esprime­va un antico adagio patristico, quod non est assumptum non est re-

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demptum! E invece, Gesù ha assunto tutta intera la nostra umanità, compresi gli affetti che segnano tanto a fondo la nostra identità quo­tidiana. Studiare gli affectus di Gesù, dunque, significa prendere sul serio l'incarnazione del Verbo di Dio, che si immerge a fondo nel tes­suto vivo della nostra umanità.

Il libro di Americo Miranda rappresenta un eccellente tentativo di rendere conto di questa dimensione identitaria di Gesù, e di ono­raria come è giusto fare. In queste pagine non si trova certo una di­scussione teologica in senso stretto. Del resto, non sarebbe possibile dibattere speculativamente dell'umanità di Gesù, se non si partisse dai testi letterari che ce la documentano. Ebbene, proprio questo fa lo studio che presentiamo. Esso prende in considerazione i testi del­la tradizione evangelica, che ci documentano appunto le reazioni e gli atteggiamenti di Gesù di fronte alle varie situazioni umane da lui incontrate. Sono vari i testi (ben 35 quelli qui studiati, senza contare i passi paralleli) e quindi almeno altrettanti i momenti della sua vita, che ne rivelano gli affectus profondi: per esempio l'esultanza nello Spirito, la commozione di fronte alla madre vedova del figlio unico portato alla sepoltura e ancor più quella davanti alla tomba dell'ami­co Lazzaro, la reazione sdegnata di fronte alla insensiblità dei pre­senti nella sinagoga quando si tratta di guarire un uomo dalla mano rattrappita, l 'ammirazione per una fede genuina, il commento ama­ro per l 'ingratitudine dei lebbrosi risanati o per l'ottusità degli scribi troppo legalisti, nonché l'implicita contentezza per i ragazzi che si di­vertono sulla piazza indirizzandosi diversi ritornelli giocosi, la gioia per il ritrovamento degli smarriti, e infine l 'indignazione dimostrata verso i mercanti nel tempio. Naturalmente un posto di rilievo è oc­cupato dalle sue reazioni di fronte e durante la propria passione, do­ve si succedono o si alternano la paura, il dolore, la richiesta di con­divisione, la rassegnazione, l 'abbandono a Dio.

Americo Miranda struttura opportunamente la sua analisi dei te­sti, suddividendo la ricerca in tre parti, dedicate rispettivamente al­l'umanità di Gesù, alla sua intimità, e alla sua divinità. In ciascuna di queste sezioni, egli ripartisce ancora il materiale in oggetto a secon­da che si tratti delle attitudini di Gesù, del suo turbamento e delle sue varie reazioni. Ogni testo viene esaminato nella sua peculiarità letteraria ed «affettiva».

Si dispiega così sotto i nostri occhi un vasto materiale dedotto dai quattro vangeli canonici, a cui è limitata l'indagine, anche se altra

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materia si troverebbe nell'altrettanto ampia produzione apocrifa. Il fatto è che i primi cristiani sono stati essi per primi impressionati dal forte spessore umano del loro Maestro e Signore, il quale stava da­vanti a loro, come ancora sta davanti a noi, nella sua concreta gran­dezza e profondità umana. Il risultato è duplice: da una parte, si con­ferma il verus homo della definizione calcedonese, secondo cui l 'u­manità, tutt 'altro che fare velo al verus deus, ne rende invece possi­bile la manifestazione e attingibile la fruizione; dall'altra, il cristiano trae dal modello gesuano non solo conforto ma anche un senso nuo­vo per le proprie personali e immancabili esperienze emotive.

Lo studio di Miranda costituisce dunque un apporto veramente originale alla conoscenza non solo dei testi evangelici ma di Gesù stesso e in definitiva dell'uomo, di cui pure egli è figlio! C'è solo da augurarsi che esso venga apprezzato come merita.

Romano Penna

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INTRO DUZIO NE

Per una consolidata tradizione nella storia cristiana, i sentimenti di Gesù sono oggetto di interesse e venerazione: l'invito di Paolo ai filippesi (2,5 : «abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cri­sto Gesù») è stato infatti inteso come un richiamo diretto a una conformità, almeno tendenziale, del cuore e dell'attitudine del cre­dente a quelli di Gesù, corrispondente al suo abbassamento fino al­la condizione umana.1

Si tratta di un interesse che gli studi hanno potuto cogliere solo in parte. Se l'esegesi evangelica è pervenuta a risultati di grande chiarezza in merito all'ambiente in cui Gesù vive e ai suoi interlocu­tori, non può che arrestarsi dinanzi alla reticenza del testo in meri­to ai suoi sentimenti. Questa modalità è senza dubbio intenzionale, in accordo con lo stile di assoluta sobrietà della narrazione e con la tradizione biblica delle teofanie; l 'estraneità del Cristo a una dimen­sione dei sentimenti comune agli altri uomini è anzi affermata espli­citamente (Gv 2,24), e costituisce un tratto insopprimibile della Ri­velazione.

La narrazione dei vangeli è intessuta di sentimenti, e si esprime anche attraverso un uso dei verba affectuum diffuso in tutti i quattro

1 Sull'importanza del passo di Filippesi per la trasmissione del vangelo, cf. E. ScHWEIZER, Theo/ogische Einleitung in das Neuen Testament, Vandenhoeck & Rupre­cht, Gottingen 1989 (trad. il. introduzione teologica al Nuovo Testamento, Paideia, Bre­scia 1992), 21 . Per la centralità dell'idea di abbassamento nella visione spirituale del Cristo, cf. ad es. O. CuLLMANN, Christo/ogie des Neuen Testaments, Mohr-Siebeck, Tii­bingen 1957 (trad. it. Cristologia del Nuovo Testamento, Mulino, Bologna 1970), 140ss.

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evangelisti: la ricerca del credente in tal senso è sollecitata in vario modo. Il rapporto anche affettivo tra i personaggi è intenso e costan­te, e, seppure nell 'intensità non ambivalente dei rapporti, lascia tra­pelare attraverso Gesù tracce dei sentimenti di Dio. Ancor oggi , si pone perciò al credente, nell'accostarsi alle Scritture, l'obiettivo di sentire il più possibile «come proprio tutto ciò che è di lui»;2 in que­sto senso, la componente dei sentimenti appartiene alla figura del Gesù storico nella sua complessità, e rientra nella definizione di un'etica del Nuovo Testamento che non sia solo disposizionale.3

Nella tradizione esegetica «occidentale», di cui non a caso molte anticipazioni si possono individuare nel testo di Marco, più avvertita è stata l'esigenza di definire in quali sentimenti la conformità a Ge­sù dovesse concretarsi, in un intimo bisogno di comunanza, ma an­che di chiarezza.4 Il patrimonio cui la sensibilità del credente può at­tingere, soprattutto in un'epoca «come la nostra>> sensibile al dato in­dividuale e psicologico, trova chiari riscontri nei testi, di cui è comun­que necessario verificare la fondatezza: un'indagine lessicale può contribuire a raccogliere qualche elemento al riguardo.

Di per sé, l'obiettivo di ricostruire, in base agli esigui riferimenti dei testi evangelici, la gamma dei sentimenti di Gesù è da considerar­si assolutamente improponibile; esistono però indizi significativi, de­sumibili soprattutto dalla comparazione tra terminologia relativa al­la condotta di Gesù e agli altri personaggi, oltre che dall 'analisi dei pochi termini di cui la figura del Cristo è referente unico, che non possono sfuggire all'esegeta. Se non per attribuzione diretta, è quin­di possibile ricostruire alcuni tratti emblematici della sua figura, at-

2 Acta Conc. Oec. Vat. II, Decr. Apost. Actuosit. 33. La dissimmetria nell'istituire un rapporto con Gesù, che pure è sempre garantito nei vangeli a chi lo cerca con fede, è sottolineata da H. CoNZELMANN, Grundriss der Theologie des Neuen Testaments, Kai­ser, Munchen 1967 (trad. i t. Teologia del Nuovo Testamento, Paideia, Brescia 1 972), 156.

3 Per l'esigenza etica della fede nella persona di Gesù quale si manifesta nei van­geli, contrariamente a quanto sostenuto dalla scuola bultmanniana, cf. G. SEGALLA, Pa­norama teologico del Nuovo Testamento, Queriniana, Brescia 1987, 58s.

4 Il contatto con lo Spirito per la patristica a partire da Origene rende possibile ai credenti anche la conoscenza della persona di Gesù: cf. per le versioni latine F. DùNZL, Pneuma Funktionen des theologischen Begriffs in fruhchristlichen Literatur, Aschendorff, Munster 2000, 375ss. Per un saggio del delinearsi di un'interpretazione «occidentale» dei verba affectuum, cf. A. MIRANDA, <<Homo spiritalis neii'Ambrosia­ster. La prima esegesi latina di un passo controverso della Prima ai Corinti>>, in L'ese­gesi occidentale dalle origini al V secolo, Augustinianum, Roma 2000, 501-514.

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tenendosi a quanto la narrazione lascia trapelare in momenti di par­ticolare pregnanza ed esplicitezza.

I verba affectuum, in particolare, possono costituire un elemento rivelatore dell 'immagine evangelica della persona di Gesù. Intesi in senso lato, essi costituiscono la classe lessicale comprensiva dei ter­mini relativi a tutti i moti dell'animo; i vangeli ne forniscono un qua­dro non certo completo e omogeneo, ma vi ricorrono in modo solo occasionale, quasi accessorio rispetto al contenuto più immediato della Rivelazione. Una ricostruzione delle occorrenze di tali verbi dovrà perciò necessariamente tener conto della intenzionale incom­pletezza della loro gamma e della stretta connessione con il contesto.

Compito del presente studio è fornire un quadro sufficientemen­te completo, se non adeguatamente approfondito, delle occorrenze dei verba affectuum nei vangeli. Dato il valore notevolmente carat­terizzato dei termini, si procederà, dopo aver rapidamente chiarito alcuni dati relativi alla relativa tipologia lessicale e contestuale, all'a­nalisi dei passi in cui i verbi compaiono. Il quadro che ne emerge co­stituirà lo spunto per discutere alcuni aspetti dell'immagine di Dio nei vangeli, anche se non certo sulla base di una ricognizione com­pleta della sterminata messe degli studi al riguardo; e per tentare di collocarla tra una definizione totalmente altra rispetto alla realtà umana e quella di modello di condotta per ogni credente.

Restringere il campo dell'indagine ai soli verba affectuum può far apparire l'oggetto di questo studio sproporzionato rispetto all 'obiet­tivo, ambiziosissimo - raccogliere elementi

· sui sentimenti evange­

lici di Gesù - che esso si pone. È parso tuttavia opportuno un tale approccio proprio in relazione alla materia: essa induce a sollevare problematiche di primaria importanza piuttosto che a fornire rispo­ste consolidate, per quanto circoscritte. Se si tratta di un obiettivo probabilmente impari per uno studio di carattere filologico, qualche indizio potrà forse riuscire utile, anche per un confronto personale con una tematica centrale nella definizione dell'immagine del Cristo per il credente.5

5 Per il testo greco, qui traslitterato, i riferimenti sono ad A. MERK (ed.) , Novum Testamentum graece et latine, Biblico Pontificio Istituto, Roma 101984; le traduzioni ri­portate sono tratte da La Sacra Bibbia, CEI, Roma 1974.

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l. TIPOLOGIA LESSICALE DEI VERBA AFFECTUUM

Nel lessico dei vangeli i verba affectuum costituiscono una cate­goria piuttosto circoscritta e riconoscibile: conformemente alla so­stanziale sobrietà di riferimenti allo stato d'animo dei personaggi, il testo ricorre ad essi a designare per lo più moti che possano avere un riscontro esteriore, e che siano comunque in relazione con un ele­mento fisico ed oggettivo. In questo senso, si coglie una differenza si­gnificativa sia rispetto ad alcune modalità della cultura pagana con­temporanea, che caratterizzava il comportamento anche attraverso modulazioni descrittive quasi psicologiche, sia alle sfumature nel va­lutare l'animo umano proprie di alcuni testi rabbinici coevi.6

Il ricorso ai verba affectuum nei vangeli non solo assume caratte­ri straordinariamente innovativi , ma pone le premesse di una nuova sensibilità.? Si tratta di una classe lessicale non facilmente circoscri­vibile: la definizione dei termini riguarda non tanto una disposizione permanente dell'animo, raramente messa in luce dai testi, quanto reazioni apparentemente estemporanee e dettate dalla situazione contingente; essi producono d'altra parte un'incidenza concreta sul­la condotta e le iniziative di Gesù, e sono quindi riconoscibili come pienamente efficaci.

Stando alla distribuzione delle occorrenze dei verba affectuum, ben pochi risultano i termini sul totale che riguardano direttamente l'agire di Gesù. In realtà, sono numerosi i passi che sembrano presup­porli; e non sono mancati in ogni tempo rielaborazioni che hanno in­teso individuare, in modo necessariamente arbitrario, dei riferimenti

6 Per la dimensione psicologica del romanzo antico, cf. Q. CATAUDELLA, Il roman­zo classico, Ed. dell'Ateneo, Roma 1958, 39ss; per l'elaboratezza dei testi rabbinici coevi, cf. E. LoHSE, Umwelt des Neuen Testaments, Vandenhoeck & Ruprecht, Gottin­gen 1971 (trad. it. L'ambiente del Nuovo Testamento, Paideia, Brescia 1980), 1 19s; H.D. WENDLAND, Ethik des Neuen Testaments. Eine Einfiihrung, Vandenhoeck & Ruprecht, Gottingen 1970 (trad. it. Etica del Nuovo Testamento, Paideia, Brescia 1975), 29ss ha sottolineato la novità della visione personalistica dei vangeli rispetto ad entrambi i modelli.

7 Per una panoramica dei rapporti tra primi testi cristiani e coevi, cf. H.-D. BETZ, Hellenismus und Urchristentum, Mohr-Siebeck, Tiibingen 1990, 262ss. L. BouYER, Spi­ritualité du Neuf Testament et des Pères, Desclée, Paris 1966, llss rinviava a una vera e propria «storia della psicologia cristiana».

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all'espressione di sentimenti nel testo evangelico.8 Risulta tuttavia evidente un intenzionale riserbo dei vangeli sull'atteggiamento di Ge­sù: perciò, prima che una terminologia esplicitamente riguardante la sfera emotiva o propriamente sentimentale, bisognerà ricercare riferi­menti ed allusioni, in relazione alle condizioni concomitanti.

I motivi di un accesso tanto problematico alla terminologia dei verba affectuum è da rapportare anche alla destinazione ultima del testo evangelico. Esso è orientato anzitutto a fornire un'icona dei sen­timenti di Gesù da porre dinanzi agli occhi dei credenti come model­lo; di conseguenza, nei singoli episodi risulta più agevole individuare le motivazioni e il contesto da cui i sentimenti scaturiscono che la na­tura e l 'espressione degli stessi.9 Ma numerosi sono pure i casi in cui i sentimenti rappresentati, prima che come esempi di condotta, si pongono come propri della persona di Gesù nella sua peculiarità; an­che in questo caso, è lontano dall'agiografo l'intento di un'esaltazio­ne delle virtù individuali, propria di tante biografie del tempo. 10

Proprio per il loro carattere peculiare ma non riferibile a un so­lo individuo, i verba affectuum vanno studiati soprattutto nella loro relazione con gli altri personaggi evangelici. Tra le possibilità di pre­sentazione tipologica, si è privilegiata in questa sede la distinzione, chiaramente suggerita dai vangeli, tra sentimenti condivisi da Gesù con gli altri uomini o con i discepoli e quelli propri della sua divinità.

La figura evangelica di Gesù condivide con gli uomini soprattut­to la terminologia relativa ai sentimenti più immediati, di cui è osser-

8 Cf. le considerazioni sui sentimenti di <<ira» di G. STAHLIN, «6p"f11>>, in ThWNT, V, 382·448, 428. Su un piano meno specialistico, molte le pubblicazioni oggi disponibi­li sull'argomento: emblematico di una ricostruzione non sempre basata sulle fonti G. CoNCONI, Quando Gesù sorrise. Gli uomini e le donne che fecero sorridere Gesù, San Paolo, Cinisello Balsamo 1995.

9 J. ScHNEIDER, Das Evangelium nach Johannes, Evangelisches Verlag, Berlin 1976, 255 indica «l'amore per gli uomini» di Gesù come il fondamento del modello cri­stologico. Per amore, Gesù vive quell'«esodo da sé>> (B. FoRTE, L'essenza del cristiane­simo, Mondadori, Milano 2002, 49) che lo porta in piena libertà ad accantonare ogni prospettiva individualistica. .

10 Come osserva A.J. KòsTENBERGER, The Mission of Jesus and the disciples accor­ding to the Fourth Gospel, Eerdmans, Grand Rapids-Cambridge 1998, 158, la caratte­rizzazione individuale di Gesù risulta sfuggente, tanto da sovrapporsi a quella di altri personaggi della narrazione evangelica. Per il rapporto tra vangeli e biografie contem­poranee, cf. A. CERESA-GASTALDO (ed.), Biografia e agiografia antica e medievale, EDB, Bologna 1990.

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vabile un insieme che va dal desiderio alla sollecitudine.11 La classi­ficazione lessicale mette poi in luce il rilievo, tra i sentimenti condi­visi, della sofferenza, che si esprime anche come pianto, sconvolgi­mento, turbamento e, specie nei racconti della Passione, dolore. Si­gnificativo è anche lo spazio riservato alla meraviglia e, con successi­ve modulazioni, all 'ammirazione, allo sdegno e all 'ira.

Più ristretto è l'insieme dei verba affectuum che nel testo evange­lico sono attribuiti, oltre che a Gesù, soltanto ai discepoli: essi desi­gnano l 'amore per tutti gli uomini e per i singoli, l'atteggiamento confidente, il risentimento, la vergogna, la gioia. Si tratta di termini particolarmente espressivi di un rapporto personale, che mettono in luce l 'importanza dell'attitudine del credente, in vista della possibi­lità di condividere i sentimenti di Gesù.

Riservato alla componente divina di Gesù è il sentimento di compassione, la cui frequenza nei vangeli e l'esclusiva attribuzione al Cristo non lasciano dubbi su un uso intenzionalmente ristretto alla sua persona. Accanto ad esso, risultano esclusivamente riferiti a lui la magnanimità, il turbamento e lo sconvolgimento, l'afflizione, l'e­sultanza nello Spirito.

Pur nell'ampiezza delle implicazioni, i verba affectuum non assu­mono particolare rilievo rispetto alle altre classi lessicali; nei loro ri­ferimenti alla fisicità, essi appaiono poco coerenti con le caratteriz­zazioni evangeliche di Gesù.12 Pur nel modo sommesso con cui so­no presentati, si avverte tuttavia l'intensità e l'urgenza dei senti­menti, che trovano in ciò una significativa corrispondenza con quel­li umani.

In definitiva, la classe dei verba affectuum appare sufficiente­mente coerente e omogenea da essere considerata un insieme a sé stante nell 'ambito della terminologia evangelica. Se la scelta dei ter­mini sembra precludere ogni enfatizzazione delle circostanze cui es-

11 Uno dei tratti più evidenti nei vangeli, come nota G. SEGALLA, Evangelo e Van­geli, EDB, Bologna 1992, 198, è la comunanza tra le reazioni immediate di Gesù e quelle qei discepoli.

12 E sintomatico il ricorso a «commuoversi>> (splagchnizomai), «termine crudo e poco adatto . . . all'agire divino>> (H. KosTER, <<cntÀ.ayxvov KtÀ..>>, in Th WNT, VII, 547-559, 549). Sui riferimenti al <<corpo>> della terminologia dei verba affectuum nella cultura cristiana successiva, cf. A. MIRANDA, <<"Corpo spirituale" in Origene e nella tradizione antiochena>>, in Gregorianum 84(2003), 1- 17.

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si fanno riferimento, sarà importante mette me in rilievo la specificità per accedere al sottile ma decisivo discrimine, che il testo lascia in­travedere nella persona di Gesù, tra manifestazioni umane e divine dei sentimenti.

Il. TIPOLOGIA CONTESTUALE DEI VERBA AFFECTUUM

Esaminare i verba affectuum come una classe lessicale omogenea presenta varie difficoltà, soprattutto in relazione alla relativa esi­guità delle loro occorrenze. Non solo rispetto ad altre classi essi so­no poco diffusi in assoluto, ma i contesti in cui compaiono sono ri­portabili nei vangeli a una tipologia piuttosto circoscritta: quasi esclusivamente passi narrativi, in cui il riferimento ai sentimenti può apparire occasionate o solo concomitante all'azione descritta. Essi non ricorrono invece nei dialoghi e nei monologhi esplicativi: i sen­timenti non sono oggetto per i protagonisti dei vangeli di riferimen­ti espliciti.

Sebbene in assoluto poco frequenti come consistenza lessicale, i verba affectuum sono diffusi nei vangeli con una certa uniformità; es­si restituiscono però immagini isolate, e non consentono di tratteg­giare un «carattere>>, nel senso corrente nel mondo ellenistico. Solo in alcune situazioni si ha un ricorso più ampio ad essi: particolarmen­te frequente è ad esempio la menzione di sentimenti di Gesù nei pas­si della polemica antifarisaica, in stridente contrasto con l'ipocrisia degli interlocutori. 13 L'infittirsi dei riferimenti in alcune pericopi sembra comunque indicare come l'attenzione di tutti gli evangelisti al tema, in forme e misure diverse, sia latente ma significativa. 14

È particolarmente rivelatore che i verba affectuum emergano in riferimento a Gesù solo in scene che presentino un diretto contatto con i suoi discepoli. L'eccezionalità di questi momenti trova confer-

13 Scriveva J. JEREM!AS, Die Gleichnisse Jesu, Vandenhoeck & Ruprecht, Gottin­gen H1970 ( trad , i t. Le parabole di Gesù, Paideia, Brescia 1967), 131s che l'espressione dell 'illimitato amore di Dio rappresenta la risposta del le narrazioni evangeliche alle critiche all'operato di Gesù.

14 M.W.G. STIBBE, fohn, JSOT, Sheffield 1993, 124 nota il particolare valore di Gv 11 per la presenza di numerose notazioni affettive.

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ma nelle citazioni nel discorso diretto: ai suoi, il Cristo presenta alcu­ni aspetti del suo animo come parte della Rivelazione. Non si tratta perciò di espressioni quasi sfuggite al redattore, ma di indicazioni preziose, parte integrante dell'ispirazione dei vangeli.

Le circostanze che più spesso determinano il manifestarsi dei sentimenti di Gesù sono connesse all'interlocutore, di cui è percepi­ta in profondità la disposizione. La frequenza di questo nesso inten­de mettere in luce l'attitudine messianica a conoscere e a lasciarsi toccare dal cuore degli uomini;15 tuttavia, accanto alla componente relazionale i vangeli mettono ben in evidenza la peculiarità dell'at­teggiamento di Gesù, per cui assolutamente centrale risulta il rilievo della sua persona.16

Nel numero ristretto dei contesti in cui ricorrono, è rilevabile nei verba affectuum l 'intento degli evangelisti di rendere accessibile un preciso moto dell'animo nella sua portata inequivocabile; inserendo­si pienamente nella narrazione, essi alludono a una varietà di senti­menti di Gesù, ed è con grande naturalezza che, anche se non condi­visi con gli uomini, sono espressi. 1 7 Nell'ampiezza della loro gamma, essi sembrano voler coprire ogni aspetto del comportamento dell'in­dividuo, delineando la prospettiva di una piena condivisione tra umano e divino; per questo la distinzione operata all'interno di ogni sezione tra attitudini, turbamento, reazioni, rivelazioni, pur fornendo una chiave di lettura, non ne esaurisce la complessità.

Da una parte, il testo evangelico mette in rilievo con i verba af­fectuum le attitudini proprie di Gesù, intese come sentimenti deri-

15 E. LoHMEYER, Das Evangelium des Markus, Vandenhoeck & Ruprecht, Gottin­ge n 1937, 46 vi ravvisava la principale mani festazione del carattere teologico del Fi ­glio dell 'uomo. Il contenuto interiore dell a fede è secondo H.J. HELD, «Matthaus als Interpret der Wundergeschichten », in G. BoRNKAMM- G. BARTH- H.J. HELD (edd.), Oberlieferung und Auslegung in Matthiiusevangelium, Neukirchener Verlag, Neukir­chen 1960, 181-226, 184s al centro delle situazioni presentate in particolare da Matteo.

16 Secondo l'espressione di J. ERNST, Johannes. Ein theo/ogisches Portrait, Patmos, Diisseldorf 1991 (trad. it. Giovanni. Un ritratto teologico, Morcelliana, Brescia 1994), 48, è su di lui, in quanto amico, che si esemplano gli altri sentimenti, per cui non si può parlare di un sistema di rapporti che si condizionano reciprocamente.

17 Cf. le considerazioni sui dialoghi drammatici nei vangeli di J. ScHENKE, Das Johannesevange/ium. Einfiihrung - Text - Dramatische Gesta/t, Kohlhammer, Stuttgart 1992, 220ss. L'attitudine problematica è uno dei tratti che più fa accostare Gesù agli a ltri uomini; da qui l'immagine di lui come «Uomo delle domande>> di C. URBAN, Das Menschenbild nach dem Johannesevangelium. Grundlagen johanneischer Anthropolo­gie, Mohr-Siebeck, TUbingen 2001, 201ss.

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vanti da un'iniziativa propria: la sollecitudine e anche il desiderio a che un fine si realizzi; un atteggiamento confidente, amorevole verso l'interlocutore; la generosità nei confronti di chi esprime una richie­sta; ma anche, in merito al proprio destino personale, la sofferenza e il dolore. In tal modo, il destinatario può cogliere una disposizione permanente del Cristo, funzionale alla sua missione ma anche ri­spondente a una determinata inclinazione dell'animo.

Rivelatori di una componente particolarmente riposta dell'animo di Gesù sono i verbi indicanti turbamento, che include qui i sentimen­ti che denunciano un'alterazione dell'atteggiamento abituale. Le espressioni che descrivono il pianto e lo sconvolgimento da parte sua, quasi tutte riferite nel testo evangelico anche ad altri personaggi, so­no strettamente legate alla riflessione sul destino umano, nel suo ma­nifestarsi con la morte, la rovina o la distruzione. Un ruolo particola­re assumono i verbi indicanti il dolore messianico, che dovrebbero as­solvere a una funzione rivelatrice agli occhi dei discepoli, per quanto, sintomaticamente, disattesa da parte loro.18 Può sorprendere l'assen­za pressoché totale di tali verbi, se non nell'episodio del Getsemani, nei brani relativi alla Passione, a conferma dell'estrema sobrietà del­la narrazione in merito all'intima disposizione del Cristo.

Notevole è la frequenza dei verbi indicanti reazioni, cioè senti­menti derivanti da un particolare atteggiamento o iniziativa altrui. Si passa dall 'afflizione alla gioia di fronte al manifestarsi di un evento; ma anche dalla meraviglia all'ammirazione alla vergogna di fronte alla condotta degli uomini; dalla commozione alla misericordia alla compassione in presenza di un episodio o un comportamento rivela­tore; e infine, di fronte al male, dallo sdegno all'ira all'indignazione. Più che sul piano dell 'emotività, tali sentimenti sono collocati dai vangeli in un contesto situazionale, evidenziandone i motivi nel re­lazionarsi alla condotta, anche nelle sue forme più estemporanee, degli uomini.

Una menzione a parte merita un moto che il testo evangelico evidenzia come rivelazione di un sentimento divino, l'esultanza: al contrario che altrove, esso sembra esprimersi del tutto al di fuori di

18 R. ScHNACKENBURG, Matthausevangelium, Echter, Wtirzburg 1985-1987, 158 parla di un fine di <<rivelazione» del dolore messianico agli occhi dei discepoli.

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un contesto emotivo o situazionale comune agli uomini, lasciando intravedere la relazione assolutamente peculiare di Gesù con lo Spirito.

Il ricorso al metodo lessicale ha il vantaggio di consentire un'in­dagine del valore delle singole occorrenze collegandole al contesto di riferimento; esso consente inoltre di restringere l'ambito dell'in­terpretazione nel trattare passi che presentano implicazioni stermi­nate. Per quanto non vada esente da numerosi limiti, esso consente un notevole coordinamento di alcuni fra i principali strumenti -linguistici, filologici, lessicologici - a disposizione della critica neo­testamentaria.19

Nell'analisi, si è ristretto l'ambito dei verba affectuum esaminati a quelli inseriti in contesti narrativi e dichiarativi. I termini oggetto di indagine sono stati esaminati in base alla tipologia lessicale - classe di appartenenza, evoluzione storico-culturale, implicazioni semanti­che - e contestuale - struttura delle pericopi, passi paralleli, echi nel testo -. È sembrata, questa, un'operazione preliminare necessa­ria per l'esame delle singole occorrenze dei verba affectuum.

L'intento ultimo non può mirare a un quadro coerente dei senti­menti relativi alla persona di Gesù, soprattutto perché essi si riferi­scono a immagini sostanzialmente isolate: se la sensazione è di tro­varsi dinanzi al cuore del messaggio cristiano, i testi lasciano spazio d'altra parte a un rapporto interiore e libero, non riassumibile in ca­tegorie cogenti, con il Cristo. Si potranno individuare quindi indizi e sollecitazioni per una conoscenza più approfondita, ma non è detto che essi conducano a una visione chiara e definitiva.

In ultima analisi, la limitata diffusione dei verba affectuum nel te­sto evangelico e la loro rilevanza situazionale non consentono di far corrispondere ad essi una precisa tipologia contestuale; tuttavia, evi­denziare le disposizioni di cui i verbi utilizzati sono indicative con­sente una prima valutazione delle circostanze di occorrenza, facendo emergere come sia ben individuabile nel ricorso a questa terminolo-

19 Per alcuni limiti del metodo di indagine lessicale, specie nei sinottici, cf. A.D. BAUM, «Experimentalpsychologische Beitriige zur synoptischen Frage>>, in BibZ 44(2000), 37-55, 54. Per la struttura del lessico dal punto di vista linguistico, cf. A. MI­RANDA, «Modalità morfologiche di elaborazione dell'enunciato: indicazioni dai la­psus>>, in St.lt. Linguist. Teor.Appl. 24(1995), 529-5 44.

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gia un preciso disegno da parte degli evangelisti. Un esame più cir­costanziato dei contesti potrà fare ulteriore luce sul valore dei riferi­menti evangelici e dei termini ivi impiegati.

III. OCCORRENZE DEI VERBA AFFECTUUM

Esaminare la tipologia lessicale e contestuale dei verba affec­tuum impiegati nei vangeli fa intravedere tutta l'importanza di essi nell'economia del testo; tuttavia, essenziale per una valutazione esaustiva risulta il riferimento ai singoli passi, dato il carattere pecu­liare di ogni singola occorrenza. Per questo, si procederà di seguito ad un'analisi, per quanto necessariamente sommaria, dei brani in cui i termini compaiono, presentandoli secondo i criteri di classificazio­ne proposti nei paragrafi precedenti.

La narrazione evangelica mette spesso in luce la vicinanza di sen­timenti tra i diversi personaggi; ma essa isola anche in alcuni momen­ti decisivi l'eccezionalità del sentire di Gesù.20 I sentimenti che lo ac­comunano alle folle, ai soli discepoli o quelli riservati alla sua perso­na e da ritenersi perciò in lui propri della divinità devono conside­rarsi in ugual misura determinanti a comprenderne la condotta; co­me la varietà d'uso dei verba affectuum e l'ampiezza della loro utiliz­zazione suggeriscono, è impossibile prescinderne per un'autentica conoscenza della figura di Cristo.21

Tutti i vangeli, da diverse angolature, lasciano intravedere alcuni sentimenti dell 'animo di Gesù. Stando alle occorrenze, particolar­mente ricco in tal senso risulta il pur scarno resoconto di Marco; il te­sto di Luca è più degli altri sensibile alle manifestazioni dell'umanità di Gesù; Matteo sembra invece privilegiare i sentimenti della divi-

20 Per i casi di comunanza di sentimenti tra Gesù e le folle, cf. T. VooT, Angst und ldentitiit im Markusevangelium. Ein textpsychologischer und sozialgeschichtli­cher Beitrag, Vandenhoeck & Ruprecht/Universitatsverlag, Gtittingen-Freiburg 1993, 192.

21 Il rapporto che la terminologia impiegata porta ad instaurarsi tra la figura di Cristo e il destinatario del messaggio evangelico è stato finemente esplorato da T. HoLTZ, <<Kenntnis von Jesus und Kenntnis Jesu. Eine Skizze zum Verhaltnis zwischen historisch-philologischen Erkenntnis und historisch-theologischen Verstandnis», in ThLitZeit 79( 1979), 1-12, 1 1 s.

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nità di Gesù.22 Il Quarto Vangelo, che pure evidenzia una particola­re sensibilità ai moti dell'animo, e riflette in ciò una precisa disposi­zione dell'apostolo nel racconto evangelico, mostra invece una evi­dente reticenza sui suoi sentimenti.23

Nell'analisi dei passi in cui i verbi compaiono, ordinati in base al­la coesistenza o meno di altre occorrenze in riferimento ad altri per­sonaggi evangelici, si distinguerà tra sentimenti dell'umanità di Ge­sù, che i vangeli presentano come propri anche di altri personaggi; sentimenti dell'intimità di Gesù, che compaiono come condivisi dai soli apostoli e discepoli; sentimenti della divinità di Gesù, usati sol­tanto in riferimento alla sua persona, come attributi certi e non tra­visabili . Per ciascun passo ci si limiterà a poche notazioni e ad una ri­costruzione essenziale del contesto di riferimento.

Le occorrenze, diffuse seppur diversamente calibrate, sono indi­ce della rilevanza annessa ai verba affectuum sul piano comunicati­vo: l 'espressione dei sentimenti di Gesù traduce un aspetto impre­scindibile della sua missione, la cui genesi va individuata nel confor­marsi alla volontà del Padre, e non in motivazioni estemporanee. 24 Anche i termini relativi ai sentimenti umani che non riguardano la figura di Gesù sono nei vangeli diffusi ma non particolarmente fre­quenti; se ne percepisce tuttavia l'importanza, e i protagonisti della narrazione evangelica si muovono in un ambito fortemente connota­to da questo punto di vista. La differenziazione tra sentimenti dei di­scepoli e della folla non è netta, come risulta dai pochi passi qui at­tribuiti alla categoria dei sentimenti dell'intimità di Gesù:25 l'atteg-

22 Sul primato di Luca in questo senso , cf. W. RADL, Das Lukas-Evangelium, Wis­senschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt 1 988, 84 ss. A Marco in particolare è stata attribuita la propensione a <<descrivere i sentimenti intimi di Gesù» (S. LÉGASSE, L'É­vangile de Mare, Cerf, Paris 1997 [trad . it. Marco, Roma, Boria 2000], I, 211 , che sotto­linea tuttavia l'impossibilità di ricon élurre la notazione dei sentimenti ad uno schema unitario).

23 La reticenza accomuna nella visione giovannea secondo J. ZuMSTEIN, «Le disci­ple bien-aimé», in Foi et Vie 86(1987), 47-5 8, 56 la visione dell' «amore» e della «cono­scenza».

24 Sulla conformità dei sentimenti di Gesù alla missione, cf. P. STUHLMACHER, Bi­blische Theologie des Neuen Testaments, Vandenhoeck & Ruprecht, Gottingen 1992, l, 128.

25 Per alcuni passi in cui è sottolineata la distanza dei sentimenti di Gesù da quel­li dei discepoli, cf. G. ScHMAHL, Die Zwolf im Markusevangelium. Eine redaktionge­schichtliche Untersuchung, Paul inus, Trier 1974, 136ss.

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giamento dei discepoli risulta connòtato in senso strettamente recet­tivo, spesso inadeguato a misurarsi con i sentimenti che la sua perso­na sollecita.

Complessivamente, è innegabile nei vangeli il determinarsi di un clima confidente tra il Cristo e i suoi, in cui maturano le condizioni per uno scambio, se non immediato, certamente fecondo per il futu­ro. Questo clima di comunicazione dei sentimenti, che i verba affec­tuum concorrono direttamente a esprimere, costituisce uno dei trat­ti più autentici della narrazione evangelica.

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I SENTIMENTI DELL'UMANITÀ DI GESÙ

La categoria dei sentimenti condivisi con gli uomini è la più am­pia di quelli riportati nei vangeli a proposito della figura di Gesù. In generale, sembra emergere nei testi l'intenzione di designare molti suoi sentimenti nell'ambito di una larga condivisione di disposizioni e atteggiamenti con le folle, rispetto al più ristretto numero di occor­renze proprie delle altre due categorie. La novità del testo evangeli­co in questo senso è notevole, soprattutto se si pensi all'emergere nei testi religiosi contemporanei di coloriture magiche e misteriche, che tendono a collocare chi è investito dell'ispirazione divina in una po­sizione inaccessibile.1

I verba affectuum riferiti a tutte le categorie di personaggi riguar­dano principalmente la sfera delle attitudini; i sin ottici, e Luca in par­ticolare, insistono sulla sollecitudine: per offrire la protezione divina, per il realizzarsi della salvezza, per rendere partecipi della Passione; nella terminologia relativa alla sofferenza, essa si presenta a designa­re il destino del Messia e la prospettiva della salvezza, e, in Luca in particolare, il dolore preescatologico. Nella sfera del turbamento, a fronte di un'occorrenza nei sinottici relativa al pianto sulla rovina di Gerusalemme, Giovanni mostra una sensibilità particolare, rappre­sentando lo sconvolgimento di Gesù di fronte al destino umano e di fronte al destino personale di Gesù prima della morte. Più frequenti i verba affectuum direttamente connessi, in quanto esprimenti rea-

1 Per un quadro delle dottrine misteriche diffuse nell'ambiente neotestamenta­rio, cf. LoHSE, Umwelt des Neuen Testaments, 171ss.

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zioni: l'ammirazione di fronte alla fede; ma più spesso, di fronte alla mancata comprensione, la meraviglia, fino allo sdegno e all'ira di fronte a un atteggiamento colpevole e offensivo.

La molteplicità dei sentimenti di Gesù è espressa in rispondenza alla varietà degli atteggiamenti degli interlocutori, ma si pone in si­gnificativa relazione con essi anche laddove, come attitudini, essi sembrano incausati. È poi proprio dell'icona evangelica di Gesù la capacità di riportare sentimenti comuni a un superiore modello di comportamento, componendo un'immagine della perfetta umanità del Cristo.

A) A TIITUDINI

1.1. Mt 23,37; Le 13,34: il desiderio di protezione divina («volere», thélo)

<<Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono inviati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una gal­lina raccoglie i pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto! >> (Mt 23,37).

<<Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi coloro che so­no mandati a te, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli come una gallina la sua covata sotto le ali, e voi non avete voluto! >> (Le 13,34).

Il brano, riportato dai due sinottici più elaborati, presenta un momento in cui si manifesta in modo particolare l'attitudine messia­nica del Cristo. Il termine «volere» (thélo), ovviamente molto comu­ne come ausiliare, indica qui un desiderio di particolare vivezza e in­tensità; seppure in retrospettiva, esso esplicita il desiderio provato in passato di fornire a Gerusalemme una protezione che essa si è osti­nata a rifiutare. Si tratta di un passo appartato rispetto al corso del­la narrazione, e perciò particolarmente adeguato a manifestare i sentimenti.

L'espressione si colloca in un momento di ricapitolazione estre­ma dell 'esperienza di Gesù, che viene riletta nella prospettiva di un costante rifiuto, destinato a risolversi nel momento definitivo della croce. In tal senso, essenziale è il richiamo alla storia di Israele, con le categorie dei «profeti>> e degli «inviati» che prefigurano l'esperien­za del Cristo. Tuttavia, non si ha un pronunciamento definitivo sull'i-

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naccoglienza degli uomini, e resta aperta una diversa prospettiva per il futuro.2

Il paragone con la gallina introduce un'immagine quotidiana e un elemento di tenerezza in due contesti fortemente polemici: in Matteo, l 'espressione chiude il capitolo dedicato alle invettive rivol­te agli scribi e ai farisei; in Luca, essa segue immediatamente i testi sul rigetto dal regno dei cieli e sull'ostilità di Erode. L'invocazione a Gerusalemme, luogo per eccellenza della salvezza, scaturisce dalla profondità del sentire di Dio, come manifestazione dell'intensità del­la sua passione per gli uomini.3 Il desiderio divino che tutti gli uomi­ni raggiungano la salvezza si contrappone così alla stoltezza della condotta umana.

I richiami alla storia d'Israele fanno intravedere le motivazioni profonde dell 'azione. Il passato «ho voluto�� (ethélesa) può alludere a tutto il corso della predicazione di Cristo; ma anche alla prospetti­va sovratemporale divina, che racchiude tutto il corso della storia.4 Si evince che il testo vuole riferirsi non a un sentimento momenta­neo e circoscritto nel tempo, ma pressante e ripetuto, che può attri­buirsi al passato solo per la costante inaccoglienza degli uomini.

L'immagine tratta dal mondo animale traduce il carattere pater­no e quasi istintuale del desiderio, cui si contrappone l'attitudine analoga del rifiuto degli interlocutori; la durezza di cuore appare tut­tavia superata dall 'intensità del sentimento di Gesù.5 Nella misura in

2 J. ERNST, Das Evangelium nach Lukas, Pustet, Regensburg 1977 (trad. it.ll Van­gelo secondo Luca, Morcelliana, Brescia 1985), 433 legge nel termine un'allusione, su un piano più vasto, al rifiuto di Dio nella storia di Israele. Sulle implicazioni per il fu­turo, cf. R. C. TouNEHILL, The Narrative Unity of Luke-Acts. A Literary Interpretation, Fortress, Philadelphia 1986, 155.

3 J. ERNST, Lukas. Ein theologisches Portrait, Patmos, Diisseldorf 1985 (trad. it. Luca: un ritratto teologico, Morcelliana, Brescia 1988), 433 interpreta la invocazione raddoppiata come traduzione di tale passione. Significativo rispetto ai testi profetici è in Matteo, come messo in luce dallo studio di C.H. TALBERT, <<Indicative and Impera­tive in Matthean Soteriology», in Bib 79(2001), 515-538, 534ss, il mancato ricorso al­l'imperativo a esprimere la volontà divina.

4 Il tono profetico dell'esclamazione ha fatto pensare che qui Gesù impersonifi­chi, esprimendosi in prima persona, i profeti antichi (cf. W. WEIFEL, Das Evangelium nach Lukas, Evangelischer Verlag, Berlin 1988, 265). F. O'ToOLE, «Does Luke Also Portray Jesus as the Christ in Luke 4,16-30?>>, in Bib 76(1995), 498-522, 520 mette in­vece in dubbio che si debbano riconoscere qui i connotati del Cristo-profeta.

5 Fondamentale in questo passo il rapporto tra ostinazione e benevolo giudizio di Dio: cf. M.D. GouLDER, Luke. A New Paradigm, JSOT, Sheffield 1989, 577.

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cui il testo anticipa la Passione, esso prefigura il rinnovarsi del senti­mento del Salvatore, fino al suo pieno compimento.

1.2. Le 12,49-50 la sollecitudine per il realizzarsi della salvezza («volere», thélo; «essere angosciato», synéchomai)

«Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso! C'è un battesimo che devo ricevere; e come sono angosciato, fin­ché non sia compiuto !» (Le 12,49-50).

Al pari di Le 13,34, il passo traduce una ricapitolazione dell'espe­rienza di Gesù, che si colloca nel lungo itinerario lucano verso Geru­salemme, prefigurandone pienamente il destino. Come confidando un'intima esigenza, egli esprime il desiderio di veder compiuta la sua missione in tutta la sua divampante potenza; i modi riescono sponta­nei, quasi traduzione immediata di un impulso interiore, anche nella forma concisa e colloquiale dell'espressione;6 successivamente, viene richiamato, in modo inestricabilmente connesso, il destino personale di Gesù, attraverso l'immagine del battesimo.

Il termine «Volere)) (thélo) , cui il testo ricorre per designare la sol­lecitudine di Gesù per la salvezza del suo popolo, ne richiama sinteti­camente l'agire in tutta la sua forza innovativa, associando ad esso l'a­spettativa che trovi presto coronamento; ma allude anche al suo con­sumarsi, con quella che è stata interpretata fin dalle prime generazio­ni cristiane come una prefigurazione della Passione.? Il linguaggio è imparentato con quello delle visioni profetiche: l 'allusione al fuoco è di per sé indeterminata, ma apre alla prospettiva di una morte violen­ta.8 Decisiva è la rispondenza tra forma e contenuto: l'intensità del sentimento richiama e rafforza la potenza delle immagini.

Il desiderio di Gesù mira a veder realizzata una vicenda che ap­pare destinata a trovare comunque compimento. Il ricorrere di ver­bi al passato sottolinea che egli allude a un processo ormai avviato,

6 I.H. MARSHALL, The Gospel of Luke, Paternoster, Exeter 1978, 546 riporta all'a­rea semitica l'origine della locuzione, inusuale in greco, «vorrei che» (thélo ei).

7 Per l'identificazione con una predizione del proprio destino, cf. W. WEIFEL, Das Evangelium nach Lukas, Evangelischer Verlag, Berlin 1988, 247.

8 E. KLOsTERMANN, Das Lukasevangelium, Mohr-Siebeck, Tilbingen 1929, 140s fa­ceva invece coincidere la sofferenza cui qui si allude con la predicazione del vangelo.

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e di cui si prospetta il coronamento futuro; il riferimento al fuoco esplicita il modo in cui il Cristo guarda al realizzarsi della sua azione salvifica, attraverso un processo subitaneo e intenso;9 il richiamo al­la terra indica l'universalità di essa; la menzione del battesimo è in­dizio di una chiara connessione tra sofferenza e salvezza. Il testo manca tuttavia di riferimenti puntuali, e l'intero contesto può consi­derarsi fortemente indeterminato, per quanto suggerisca l'ineluttabi­lità degli eventi. lO

La concitazione delle frasi, nella loro brevità, traduce la forza del sentimento di Gesù. Particolarmente intenso risulta il termine «Vole­re» (thél6), rafforzato dal successivo ricorso a «desiderare» (epithyméo), che riporta la sollecitudine a una vera e propria ansia salvifica. 1 1 Il sentimento qui espresso trova così ragion d'essere nel suo fondarsi sulla prospettiva più ampia, per molti versi non accessi­bile per chi ne è spettatore, di una salvezza estesa a tutti gli uomini.

1.3. Le 22,15: il desiderio di rendere partecipi della Passione («desiderare», epithyméo; «soffrire», pascho)

Quando fu l'ora, prese posto a tavola e gli apostoli con lui, e disse: «Ho

desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima del­la mia Passione; poiché vi dico: non la mangerete più, finché essa non si compia nel regno di Dio» (Le 22,14-16).

Più intenso ancora di «volere» (thé/6), il ricorso a «desiderare» (epithuméo), espresso, fatto eccezionale, nel discorso diretto, contra­sta con l'abituale sobrietà del testo evangelico, e introduce efficace­mente al clima della Passione. Luca coglie con delicatezza una com­ponente intima dell 'animo di Gesù, sottolineandone il costante rap­porto con i suoi discepoli anche nella comunicazione dei sentimenti:

9 R.C. TouNEHILL, The Narrative Unity of Luke-Acts. A Literary lnterpretation, Fortress, Philadelphia 1986, l, 155 parla, a proposito dell' intensità dell'espressione, di «tensione emotiva>> e di «senso del destino>> .

IO L'ineluttabilità degli eventi emerge dalla stessa collocazione del testo nell'iti­nerario verso Gerusalemme, nota GouLDER, Luke, 552s, per quanto Gesù stesso non alluda al momento dell'attuazione. La particolare proposizione del motivo escatolo­gico risponde secondo M. DIBELIUS, Die Formgeschichte des Evangeliums, Mohr-Sie­beck, Ttibingen 1933, 211 proprio all'intento di storicizzazione proprio di Luca.

1 1 Sul rapporto tra thé/6 ed epithymé6 in questo contesto, cf. GouLDER, Luke, 724.

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è anzitutto per loro che la Passione si compie, ma anche in una pro­spettiva escatologica, che è qui espressamente richiamata. 12

La forma intensiva del verbo sottolinea la continuità con cui il sentimento viene vissuto; esso si percepisce inserito in una attitudine a lungo inespressa, e getta una luce sulla consapevolezza messianica del Cristo: da una parte con la preveggenza di quanto sta per acca­dere, dall'altra con la prospettiva di un ritorno escatologico del Figlio dell'uomo.B Se la Passione mette in luce la debolezza del Cristo uo­mo, la prefigurazione del banchetto celeste ne rivela la gloria divina.

L'espressione del desiderio intende rassicurare sulla costante preoccupazione di Dio nei confronti di quanti sono in comunione con lui, chiamati a partecipare dei momenti più solenni.l4 L'espres­sione indica inoltre l 'esistenza di un rapporto continuo e a lungo me­ditato nei confronti dei discepoli, con cui si è istituita una relazione irrevocabile. 15 Il sentimento di Gesù investe tramite loro, in una pro­spettiva sovratemporale, tutti i credenti.

Il momento in cui il desiderio di Gesù si situa assume alla luce delle parole preliminari alla cena un'aura sacrale, che segna una rea­lizzazione del disegno e del desiderio divino. Le parole non intendo­no tanto riferirsi a quanto sta per accadere nella narrazione evange­lica, ma· indicano soprattutto una disposizione interiore permanente, rivelata in un momento di cui è sottolineato il carattere cruciale. 16

12 L'eccezionalità del testo lucano, e in particolare della pericope 15-19a, che lo distingue dagli altri resoconti della Passione, è ampiamente indagata da J. JEREMIAS, Die Abendmahlsworte Jesu, Vandenhoeck & Ruprecht, Gottingen 31960 (trad. it. Le parole dell'Ultima Cena, Paideia, Brescia 1973), 150ss.

13 H. ScHORMANN, Der Paschamahlbericht. Lk 22, (7-14) 15-18, Aschendorff, Miin­ster 1953, 5s riconosce alla seconda occorrenza del verbo la funzione di rafforzare il concetto da parte del narratore. J. KREMER, Lukasevangelium, Echter, Wiirzburg 1988, 212 ha sottolineato come il contesto suggerisca un inquadramento ampio del senti­mento di Gesù, estendendolo ben oltre la cerchia dei discepoli.

14 Su questo intento di rassicurazione, cf. J. ScHNEIDER, Das Evangelium nach Johannes, Evangelisches Verlag, Berlin 1976, 445.

15 Nel rapporto con i suoi, il resoconto del c. 22 denota secondo M.L. SoARDS, The Passion according to Luke. The Special Materia/ of Luke 22, JSOT, Sheffield 1987, 45 una particolare «profondità emotiva» da parte di Gesù.

16 MARSHALL, The Gospel of Luke, 795 ha sottolineato come in Luca epithymé6 non indichi abitualmente un desiderio che non ha trovato compimento, ma sottolinea essenzialmente l'intensità del moto dell'animo. È rilevante la possibilità di una matri­ce ebraica delle formule della Passione, che la solennità del momento richiedeva: cf. JEREMIAS, Die Abendmahlsworte Jesu, 190s.

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L'intensità della vicenda che sta per aprirsi trova piena rispondenza nei sentimenti di Gesù, e Luca, con la sensibilità che gli è propria, in­tende evidenziarla, al di là di ogni conseguenza sulla vicenda narrata.

1.4. Mc 8,31; Mt 16,21; Le 9,22: la sofferenza come destino del Messia («soffrire», paschO)

E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell'uomo doveva molto soffri­re, ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare (Mc 8,31) . ·

Da allora Gesù cominciò a dire apertamente ai suoi discepoli che dove­va andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei sommi sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risuscitare il terzo gior­no (Mt 16,21) .

«<l Figlio dell'uomo, disse, deve soffrire molto, essere riprovato dagli an­ziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, esser messo a morte e risorgere il terzo giorno» (Le 9,22).

La prospettiva del dolore emerge più volte nella narrazione evangelica, sempre in diretta connessione con le vicende della Pas­sione e in contesti fortemente kerygmatici. 17 In particolare, «soffri­re» (paschO) è inserito in tutte le predizioni, che i sinottici esprimo­no ripetutamente e con grande evidenza, come elemento imprescin­dibile della missione e della parola del Cristo, per quanto non accol­to e compreso dai discepoli. 1s

La predizione della Passione è espressa in termini che, se riesco­no enigmatici nella loro sinteticità, mirano a essere inequivocabili; l 'espressione è formulare e richiama lo stile profetico, in riferimento

17 K. ScHOLTISSEK, Die Vollmacht Jesu. Traditions· und redaktionsgeschichtliche Analysen zu einem Leitmotiv markinischer Christologie, Aschendorff, Miinster 1992, 145s parla di «sguardo anticipatorio finalizzato alla Passione». M. MEtSER, Die Reak· tion des Volkes auf Jesus. Eine redaktionskritische Untersuchung zu den synoptischen Evangelien, de Gruyter, Berlin-New York 1998, 164ss ha presentato questo passo in senso kerygmatico come «l'estremo annuncio di Gesù».

18 Sui riferimenti alla morte come al proprio destino da parte di Gesù anche al di fuori delle predizioni della Passione, cf. N. T. WRIGHT, lesus and the Victory of God. Christian Origins and the Question of God, Fortress, Minneapolis 1996, 553ss.

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al destino del Messia. 19 Tuttavia, il momento della narrazione in cui il testo si inserisce non fa presagire alcun particolare della fine che attende Gesù, e sembra orientato all'annuncio di una vicenda comu­ne ad altri uomini:20 con la predizione si vuole evidenziare da una parte il superiore livello di consapevolezza in cui egli vive, dall'altro il fine verso il quale muove il suo agire.

Gli eventi cui il testo fa riferimento sono presentati in una pro­spettiva sovratemporale, in cui le azioni successivamente designate si inseriscono; in questo contesto, la sofferenza è svincolata da un'otti­ca puramente umana, equivalendo al compiersi del disegno divino nella persona del Messia.21 Il sentimento di sofferenza non è posto in particolare rilievo: esso è inserito nella prospettiva della necessità («deve)), dei), e appare come l'imprescindibile portato della vicenda messianica. 22

Il tono è uniforme e quasi distaccato, nonostante l'evidente ten­sione espressiva; la disposizione sin tattica, con il succedersi di propo­sizioni coordinate, contribuisce ad accrescere il senso di ineluttabilità delle azioni descritte.23 La rapida successione delle azioni così come

19 A motivo del tono formulare, F. BovoN , Das Evangelium nach Lukas, Benzi­ger, Ztirich 1989, 480 ritiene che non venga espresso qui un sentimento vero e pro­prio di Gesù, ma che si tratti di una formula messianica. D'altra parte, è evidente co­me il verbo sia espresso in forte connessione alla persona di Gesù e alle sue reazio­ni: su pascho come sentimento dell'umanità di Gesù, cf. M. LIMBECK, Markus-Evan­gelium, Katholisches Bibelwerk, Stuttgart 1984, 108. V. HAMPEL, Menschensohn und historischer Jesus. Ein Riitselwort als Schliissel zum messianischen Selbstverstiindnis Jesu, Neukirchner Verlag, Neukirchen 1990, 270s sottolinea che l'interpretazione del passo corrente all'epoca riguardasse la morte del Messia, non la sofferenza indivi­duale qui prefigurata.

20 Per la genericità della predizione, cf. G. ScHNEIDER, Das Evangelium nach Lukas, Gtitersloh-Echter, Wtirzburg 1977, 209. B. WrrHERINGTON, The Gospel of Mark, Eerdmans, Grand Rapids-Cambridge 2001 , 264 ha interpretato il testo come anticipa­zione in generale della resurrezione dei giusti.

2 1 H. ScHùRMANN, Das Lukasevangelium, Herder, Freiburg 1969, l, 574 coglieva nel «deve>> (dei) il fondamento messianico su cui l'intera predizione si sostiene. Sul va­lore escatologico che in Luca assume la predizione, G. ScHNEIDER, «"Der Menschen­sohn" in der lukanischen Christologie>>, in R. PEsCH (ed.), Jesus und der Menschen­sohn, Herder, Freiburg 1975, 267-282, 276s.

22 La necessità di un adempimento della Scrittura non può essere ravvisato se­condo HAMPEL, Menschensohn und historischer Jesus, 272 nel termine «deve>> (dei), che sottolinea piuttosto la definitività del disegno di Dio.

23 WEIFEL, Das Evangelium nach Lukas, 177 ha messo in rilievo il fatto che <<Sof­frire>> sia subordinato (pathetn); TouNEHILL, The Narrative Unity, 50 ha discusso il ruo­lo al proposito di «deve>> (det). La costruzione secondo M. REISER , Markus-Philologie.

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vengono presentate, se concorre a determinare un quadro assoluta­mente realistico, dà anche conto in modo efficace dell'intensità del turbamento di Gesù.24 Il ripetersi della predizione nei vangeli è elo­quente della sua importanza per l 'economia della salvezza, al di là dell 'apparente distacco con cui essa è enunciata.

Neppure per un momento viene messa in discussione la possibi­lità che gli eventi evocati non abbiano realmente luogo: il «dover» realizzarsi di essi è imprescindibile perché costitutivo della missione del Cristo; in questo senso, il «soffrire» (pascho) è da riportarsi sia al­la sua esistenza terrena che alla sua divinità. La Passione appare at­to fondante della fede della Chiesa: la necessità del suo compiersi si pone non come destino inesorabile, ma come passaggio obbligato per la nuova creazione di Dio in mezzo agli uomini. 25

Accanto alla prospettiva salvifica del «soffrire» (pasch6) si coglie una componente puramente relazionale: nella narrazione di Matteo, in particolare, emerge da parte del Maestro la preoccupazione di met­tere a parte i discepoli il prima possibile della sorte che lo attende. Si tratta di un momento centrale nello sviluppo dell'evangelo, non solo per la costruzione di una «teologia della croce» che si intreccia all'or­dito narrativo, ma per la rivelazione personale del Cristo ai suoi di­scepoli:26 testimonianza messianica e sentimento rivolto al singolo emergono da questo episodio come pienamente compresenti.

L'accento è posto nella sequenza sul rilievo delle singole azioni a segnare la missione redentrice del Messia;27 il testo assume un carat-

Historische, literar-geschicht/iche und stilistische Untersuchungen zum zweiten Evange­lium, Mohr-Siebeck, TUbingen 1984, 160 risponde ai canoni di un corretto periodare ellenistico.

24 Interessanti al rigul}rdo le osservazioni di REISER, Markus-Philologie, 148s, che ha richiamato alcune caratteristiche narrative del romanzo alessandrino. M. LIMBECK, Matthiius-Evangelium, Katholisches Bibelwerk, Stuttgart 1986, 217 sottolinea il carat­tere estensivo delle espressioni, che fanno riferimento a una realtà che sembra essere sotto gli occhi degli ascoltatori.

25 W.G. KOMMEL, Die Theologie des Neuen Testaments nach seinen Hauptzeugen Jesus, Paulus, Johannes, Vandenhoeck & Ruprecht, Gottingen 41980 (trad. it. La teolo­gia del Nuovo Testamento: Gesù, Paolo, Giovanni, Paideia, Brescia 1976) sottolinea il ruolo delle predizioni della Passione come fondamento della comunità dei credenti.

26 Il disegno deliberato dei tre evangelisti per una <<teologia della croce>> è rico­struito da CH. SENFr, L'Évangile selon Mare, Labor et Fides, Genève 1�la premura nell'informare i discepoli, cf. LIMBECK, Matthiius-Evange/ium;194s. ' � ·.� . ' ·

27 W. ScHMITHALS, Das Evangelium nach Lukas, Theologischer Verlag, Zilrich 1980, 385 parla di chiaro valore kerygmatico dell'enunciazione, in quanto la con-

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tere di particolare chiarezza e lucidità: le successive tappe della sof­ferenza segnano, oltre che la vicenda personale di Gesù, la rivelazio­ne di un disegno di salvezza che investe tutti gli uomini; il fatto che la predizione sia riproposta più volte nei vangeli indica, tra l'altro, che il rapporto con la morte costituisce parte integrante della missio­ne del Cristo. 28 Il carattere eminentemente narrativo delle azioni presentate vale da una parte a oggettivame la portata, dall'altra a fame risaltare l'inesorabile consequenzialità.

La identificazione tra sofferenza ed eventi della Passione non è univoca: essa è vista come una condizione già presente, soprattutto se si considera che il «soffrire» (pascho), almeno a quanto emerge soprattutto da Matteo, viene interpretato come primo elemento al­l 'interno di una successione temporale.29 In ogni caso, la sofferenza non è inserita in una dimensione puramente individuale, ma ne emerge come preminente il carattere di compartecipazione: l'inde­terminata misura della sofferenza («molto», polla) ne indica l'am­pliamento al di là di ogni misura personale.30 L'accenno finale alla vittoria sulla morte ne delinea tuttavia il definitivo superamento, co­me notazione pienamente evangelica che offre una visione d'insieme dell 'evento pasquale; in ogni caso, il rapporto tra Passione e Risurre­zione non è pienamente esplicitato, e il «soffrire» (paschO) resta la nota dominante.3t

gruenza tra le singole azioni è orientata all'annuncio di esse. Il modo nitido in cui es­se sono presentate contrasta con lo stile profetico: cf. i passi che richiama ERNST, lohannes, 296.

2M U. LucK, Das Evangelium nach Matthiius, Theologischer Verlag, Ziirich 1 993, 190 ha parlato di carattere apocalittico del testo, riconnettendone al tempo stesso la forma espressiva al tema veterotestamentario della consapevolezza del giusto. Le ri­petute predizioni della Passione sono secondo E. ScHWEIZER, Das Evangelium nach Lukas, Vandenhoeck & Ruprecht, Gottingen 1982 inscindibili dalla chiamata del Cri­sto alla sofferenza. ScHMITHALS, Das Evangelium nach Lukas, 386 ha sottolineato co­me un carattere narrativo altrettanto spiccato ricorra soltanto in Paolo e negli Atti.

29 A favore di quest'interpretazione, BovoN, Das Evangelium nach Lukas, 480. 30 Per la compartecipazione, intesa come capacità di sopportare il peso del dolore

altrui, e per l'interpretazione che ne fornisce Origene, cf. J. MoLTMANN, Der Weg Jesu Christi: Christologie in messianischen Dimensionen, Kaiser, Miinchen 1989 (trad. it. La via di Gesù Cristo: cristologia e dimensioni messianiche, Queriniana, Brescia 1991 ), 201 .

31 L'immagine pasquale domina invece secondo H. KAHLEFELD, Die Gesta/t Jesu in den synoptischen Evangelien, Knecht, Frankfurt 1981 , 208 sulla stessa dimensione della sofferenza.

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L'aggiunta da parte di Marco e di Luca di un riferimento alla re­sponsabilità dei sacerdoti e degli scribi nel consegnare il Cristo alla morte («essere riprovato», apodokimazomai) inserisce la sofferenza del Messia nel quadro di un totale rifiuto da parte dei depositari del­l 'antica fede di Israele; ciò nell 'accentuazione, propria di Marco, dei riferimenti al dolore, da riportare secondo alcuni studiosi ad una ve­ra e propria teologia marciana del Cristo sofferente.32 Più in genera­le, può dirsi proprio di tutte le narrazioni evangeliche il riferimento alla sofferenza come sentimento distintivo e assolutamente peculia­re dell'umanità di Gesù.

1.5. Mc 9,12; Mt 1 7, 12: la sofferenza come prospettiva della salvezza («soffrire», pascho)

Egli rispose loro: «Sì, prima viene Elia e ristabilisce ogni cosa: ma come sta scritto del Figlio dell'uomo? Che deve soffrire molto ed essere di­sprezzato. Orbene, io vi dico che Elia è già venuto, ma hanno fatto di lui quello che hanno voluto, come sta scritto di lui>> (Mc 9,1 2-13).

Ed egli rispose: «Sì, verrà Elia e ristabilirà ogni cosa. Ma io vi dico: Elia è già venuto e non l'hanno riconosciuto; anzi, l 'hanno trattato come han­no voluto. Così anche il Figlio dell'uomo dovrà soffrire per opera loro>> (Mt 17,1 1 -12).

La prospettiva della sofferenza del Messia torna più volte nelle narrazioni evangeliche, anche al di fuori delle ripetute predizioni della Passione. In connessione con la figura di Elia, il riferimento as­sume un valore messianico particolarmente esplicito, quasi, come è stato definito, un «breve annuncio kerygmatico»:33 l 'atteso ritorno

32 In Marco è stata colta un'«emozione esasperata>> (J. NEYREY, The Passion ac­cording to Luke. A Redaction Study of Luke 's Soteriology, Paulist, New York 1985, 12) ben lontana dal tono consueto di Luca. Sulle espressioni di questa teologia, cf. J. ERN­ST, Markus. E in theologisches Portrait, Patmos, Di.isseldorf 1987 (trad. i t. Marco. Un ri­tratto teologico, Morcelliana, Brescia 1990), 60. HAMPEL, Menschensohn und histori­scher Jesus, 272ss ha riconosciuto in questi aspetti di Marco l 'intento peculiare del nar­ratore di rivolgersi ai giudei della diaspora in Egitto.

33 ERNST, Markus, 62. J. MARKUS, The Way ofthe Lord. Christological Exegesis ofthe Old Testament in the Gospel of Mark, Westminster-Knox, Louisville 1992, 109 sostiene che è da riconoscere nel passo la rassicurazione che la sofferenza del Messia avverrà per volere di Dio. L'idea di «necessità>> (dei) indicherebbe non la sottomissione fatalistica, ma <<la volontà di Dio che conduce le nazioni e gli individui verso un fine soteriologico» (P. GRECH, Le idee fondamentali del Nuovo Testamento, Paoline, Modena 1968, 11 1 ) .

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del profeta si identifica con la venuta del Figlio dell'uomo, destinato alla stessa inaccoglienza da parte dell'umanità. La sofferenza appare qui come conseguenza dell'ostilità degli uomini, pienamente prefigu­rata dalle Scritture.

L'episodio è riportato da Marco e Matteo, i due vangeli più atten­ti alla tradizione di Israele. In Matteo, in particolare, questa profezia si pone in diretta continuità con il capitolo precedente, configurando una vera e propria sezione teologica sulla figura del Figlio dell'uomo sofferente.34 Evidente risulta l'intento di delineare la figura di Gesù con i tratti di quel Messia sofferente ben vivi nella tradizione scrittu­ristica, anche se con una particolare accentuazione dell'aspetto uma­no, esplicitandone i sentimenti.

La predizione è in Matteo scopertamente relativa agli ultimi istanti della vita terrena del Figlio dell'uomo: la venuta di Elia è da­ta come già avvenuta, al di fuori del quadro escatologico cui normal­mente veniva connessa dalla tradizione rabbinica; è il Cristo, ancor più che in Marco, il protagonista della vicenda, nella duplice veste di Messia sofferente e vittorioso che le Scritture suggerivano.35 L'inten­sità del sentimento di sofferenza è evidenziata come prospettiva per­sonale dell'esistenza di Gesù, oltre che come compimento delle pro­messe scritturistiche.

Rispetto alle predizioni della Passione, il passo inserisce con maggiore evidenza la sofferenza in una prospettiva di salvezza, con­figurandone la connessione con l 'attesa della comunità. Elia costitui­sce un sicuro tramite con l 'antica fede di Israele, ma apre anche a una

34 Si tratta secondo H. GEIST, Menschensohn und Gemeinde. Eine redaktionskri­tische Untersuchung zur Menschensohnpriidikation im Miitthausevangelium, Echter, Wtirzburg 1986, 128 di una sezione a se stante, contrassegnata dal ricorrere degli ap­pellativi del Figlio dell'uomo. P. GACHTER, Das Matthiiusevange/ium, Tirolia, lnn­sbruck 1963, 574 definisce le espressioni di Marco <<più forti, ma non chiare>>; J. MARKus, «Mark - Interpreter of Pau!», in NTSt 46(2000), 473-485, 478 riporta la <<straordinaria enfasi>> di Marco sulla debolezza e la sofferenza alla vicinanza all'inse­gnamento di Paolo.

35 Secondo MARKUS, The Way of the Lord, 109, il passo ha il compito di <<armo­nizzare>> queste due visioni veterotestamentarie. La mancanza di ogni riferimento escatologico è sottolineata in Marco da GEIST, Menschensohn und Gemeinde, 147. Un tratto <<paradossale>> della figura del Cristo è secondo D.C. ALLISON, <<Anticipating the Passion: The Literary Reach of Matthew 26:47 - 27:56», in CathBibQ 56(1994) , 701-714, 710 catteristico di questa predizione.

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visione decisiva del futuro: nel passo si è potuta leggere la chiamata a condividere la sofferenza del Cristo.36 In questo senso, il «soffrire» assume una valenza molto ampia, che accomuna l'esperienza del Messia a quella di tutti i credenti.

1 .6. Le 17,25: il dolore preescatologico del Figlio dell'uomo («soffrire», paschO)

Disse ancora ai discepoli: «Verrà un tempo in cui desidererete vedere anche uno solo dei giorni del Figlio dell'uomo, ma non lo vedrete. Vi di­ranno: eccolo là, o: eccolo qua; non andateci, non seguiteli. Perché come il lampo, guizzando, brilla da un capo all 'altro del cielo, così sarà il Figlio dell'uomo nel suo giorno. Ma prima è necessario che egli soffra molto e venga ripudiato da questa generazione>> (Le 17 ,22-25).

Tra i brani relativi alla sofferenza di Gesù, quello riportato si ri­ferisce a un momento peculiare. Il passo costituisce un ampliamento sconosciuto alle parallele pericopi dei sinottici, che, se da una parte è rivelatore della particolare sensibilità di Luca ai sentimenti della persona di Gesù, vuole collocarne la vicenda in un quadro preesca­tologico.37 Qui, infatti, la sofferenza è vista come necessaria premes­sa alla rivelazione finale del Figlio dell'uomo.

Il quadro qui prospettato è fortemente connotato in senso emo­tivo: da una parte l 'aspettativa carica di desiderio dei credenti, dal­l'altra le difficoltà nel riconoscere il momento della rivelazione del Messia. Ma l'apparizione del Figlio dell'uomo assume un carattere oggettivo e indubitabile, configurandosi, attraverso la similitudine del lampo, come maestosa e universale.

Rispetto alle predizioni della Passione riportate da tutti i sinot­tici, i riferimenti sono meno puntuali, e la predizione abbraccia mo­menti diversi, stabilendo solo una priorità («prima», prfn ) . Il Cristo è posto dinanzi a una sofferenza indeterminata, venuti meno i rife-

36 Secondo H .F. FuHs, «Angst>>, in GoRo M. - LANG B. ( edd. ), Neues Bibel-Lexicon, Benziger, Ziirich 1 991, 107-108, la natura extra-mondana della sofferenza cui si allude in questo brano unisce strettamente nell'immagine scritturistica i credenti a Cristo.

37 Sul carattere lucano del versetto dal punto di vista lessicale, cf. J. JEREMIAS, Die Sprache des Lukasevangeliums. Redaktion und Tradition im Nicht-Markusstoff des dritten Evangeliums, Vandenhoeck & Ruprecht, Gottingen 1980, 267s.

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rimenti ai responsabili di essa e alla storia d'Israele, così come im­personali sono gli accenni a quanti sono di ostacolo per i credenti sulla strada della salvezza. Il cenno alla generazione presente richia­ma tuttavia precise responsabilità nel determinare la sofferenza di Gesù.

La rappresentazione del dolore evocata come prioritaria è sof­ferta, e carica dell 'apprensione di chi si appresta a viverne la dram­maticità; per questo motivo, la sua predizione è perspicua e priva di ogni connotazione arcana, ponendosi nei termini inequivocabili del ripudio di un'intera generazione.38 Il destino di Gesù è tutto dinanzi agli occhi di quanti lo ascoltano nella sua terribile linearità: il miste­ro consiste unicamente nel significato che esso riveste nella storia degli uomini, e nei richiami illusori che suscita.

Pur nella sua essenzialità, il riferimento alla sofferenza è riporta­to al contesto della parusia, e al complesso di sovrasensi simbolici ed esistenziali connessi; la sua ragion d'essere è una necessità («dovere», def) che la inserisce nel percorso verso il compimento della salvezza, più tormentato di quanto si possa ritenere.39 Emerge tuttavia tutta la paradossalità dell'annuncio evangelico, per cui la glorificazione del Cristo può avvenire solo attraverso la vicenda della Passione. 40 Pre­minente risulta nel suo giorno la figura del Cristo, per il quale la sof­ferenza costituisce una tappa verso la glorificazione: tutti gli uomini sono chiamati ad aver parte al compiersi, seppure attraverso forme di incomprensione e di rigetto, della sua vicenda salvifica.

38 KOMMEL, Die Theologie des Neuen Testaments, 79s sottolinea come Gesù parli del dolore in termini puramente umani.

39 ERNST, Das Evangelium nach Lukas, 489 ha colto nella descrizione un caratte­re di urgenza e di prontezza maggiore che nel resto degli eventi. L'interesse escatolo­gico «domina» perciò questo brano, nel tentativo di scuotere l 'uomo contemporaneo (U.B. MOLLER, «Parusie und Menschensohn>>, in ZeitNTWiss 92(2001], 1 - 19, 15) .

40 Per la tematica, qui presente, della glorificazione del Cristo nella prova, cf. R. MEYNET, Jésus Passe. Testament, jugement, exécution et résurrection du Seigneur Jésus dans les évangiles synoptiques, Cerf, Rome-Paris 1999 (trad. it. La Pasqua del Signore: testamento, processo, esecuzione e resurrezione di Gesù nei vangeli sinottici, EDB, Bo­logna 2002), 428.

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l. 7. Le 24,26: la sofferenza come dimensione messianica («soffrire», pascho)

Ed egli disse loro: «Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti ! Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui (Le 24,25-27).

Come in varie altre occasioni nei vangeli, la sofferenza è presen­tata nell'episodio della cena di Emmaus come sentimento caratteriz­zante della vicenda del Cristo, qui visto al tempo stesso in retrospet­tiva e come fondamento della sua gloria.41 In questa valenza molto ampia, la sofferenza risulta assolutamente peculiare della condotta del Cristo in Luca, comunque attento alla natura personale e carat­terizzante del sentimento.42

La connessione tra sofferenza e ingresso nella gloria riporta la vi­cenda della Passione a una prospettiva superiore, come compimento di un evento sacro in un preciso disegno di salvezza.43 Il sottinteso è che non sarebbe stato possibile l'adempiersi della missione del Cri­sto senza che egli fosse sottoposto alla sofferenza;44 ma il contesto del dialogo con i due di Emmaus intende inoltre sollecitare da parte del credente una comprensione . del mistero di Cristo non attuabile senza entrare in contatto con il suo sentimento.

Attraverso la comprensione piena della sofferenza vengono po­ste le fondamenta del relazionarsi del credente con Dio: si tratta di

41 ScHWEIZER, Das Evangelium nach Lukas, 246 ritiene che qui la sofferenza sia presentata come ingresso del Cristo nella sua regalità. Sull'efficacia della disposizio­ne narrativa dell'episodio, cf. TouNEHILL, The Narrative Unity of Luke-Acts, 294.

42 La natura assolutamente originale dell'uso del termine in Luca è stata illustra­ta da J. 0UPONT, <<LeS pèlerins d'Emmatis (Le 24,13-35)», in L.M. DIAZ CARBONEL (ed.), Miscellanea Biblica B. Ubach, Abbadia de Montserrat, Montserrat 1954, 349-374, 357s. Per l'altezza stilistica del brano, prossimo ai modi della poesia, cf. F.C. GRANT, The Gospels. Their Origin and their Growth, Faber & Faber, London 1957, 36.

43 Secondo J.B. GREEN, The Death of Jesus. Tradition and Interpretation in the Pass· ion Narrative, Mohr-Siebeck, Tiibingen 1988, 55 l'agonia di Gesù è qui riporta bile a una lotta contro l'opposizione di satana. G. PETZKE, Das Sondergut des Evangeliums nach Lukas, Theologisches Verlag, Ziirich 1990, 205 ritiene che le espressioni qui usate ri­spondano a uno stereotipo ormai fissato nella comunità delle origini.

44 Per gli elementi rivelatori di un rapporto di implicazione necessaria tra missio­ne e sofferenza, cf. KAHLEFELD, Die Gesta/t Jesu, 207. Per l 'associazione tra missione e sofferenza profetica nel primo Cristianesimo, cf. H. KRAFT, Die Entstehung des Chri­stentums, Wiessenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt 1981 , 161ss.

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un rapporto di natura salvifica, che fa propria la visione della «glo­ria» dell'Antico Testamento, ma nel contempo fondato sulla fede, che connette saldamente ogni credente alla croce.45 D'altra parte, la dura apostrofe iniziale evidenzia la difficoltà a entrare in quest'otti­ca, e come nel credente sia sollecitato con forza l'emergere di un sen­timento di condivisione con il Cristo.

La sofferenza accomuna la figura di Gesù agli altri uomini, anche se il conseguente ingresso nella gloria è prerogativa della sua divi­nità; in questo senso, l'evangelista ricorre a una terminologia in stret­ta connessione con la figura messianica del servo sofferente.46 Anche nel Cristo risorto, la sofferenza risulta sentimento eminente e carat­terizzante della sua figura per una piena conoscenza di lui.

B) TURBAMENTO

1.8. Le 19,41: il pianto sulla rovina di Gerusalemme («piangere», klaio)

Quando fu vicino, alla vista della città, pianse su di essa, dicendo: «Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, la via della pace. Ma ormai è stata nascosta ai tuoi occhi. Giorni verranno per te in cui i tuoi nemici ti cingeranno di trincee, ti circonderanno e ti stringeranno da ogni par­te; abbatteranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pie­tra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visita­ta» (Le 19,41-44).

Nell'imminenza della Passione, Gesù si abbandona a un'apostro­fe a Gerusalemme carica di spirito profetico, ma anche dell'accorata

45 ScHMITHALS, Das Evangelium nach Lukas, 234 ritiene che il rapporto conosci­tivo tra credente e Dio prevalga sullo stesso significato soteriologico del brano. Secon­do GRANT, Gospe/s, 56, Luca intende trasmettere l'immagine di un insegnamento che si attua attraverso la vita stessa del Cristo.

46 È costante la presenza di echi del <<servo sofferente» nelle predizioni della Pas­sione: cf. D. DoRMEYER, Die Passion Jesu als Verhaltensmodell. Literarische und theo­/ogische Analyse der Traditions-. und Redaktionsgeschichte des Markuspassion, Aschendorff, Mtinster 1974, 276ss. In Luca l'associazione tra Passione e prospettiva escatologica è costante: cf. JEREMIAS, Die Abendmahlsworte Jesu, 153. Sulla sofferenza come dimensione dell'umanità di Gesù in Luca, cf. W. RADL, Das Lukas-Evangelium, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt 1988, 86.

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percezione del rapporto tra la propria vicenda e quella della città. Il sentimento cui il pianto si riconnette è il rammarico per un rapporto col suo popolo che non è stato possibile costruire, e che sembra toc­care l'intima essenza della sua missione; esso tuttavia non costituisce un'aspirazione generica, ma fa riferimento ad un momento ben de­terminato («in questo giorno», en tei hemérai tautei) in cui potrà compiersi.47

Per quanto il pianto costituisca una manifestazione del sentimen­to largamente condivisa con gli uomini, il testo intende evidenziare una percezione più alta da parte di Gesù del momento e del suo si­gnificato. La vista di Gerusalemme lo induce, su un piano di superio­re consapevolezza, a uno sguardo capace di cogliere ciò che è preclu­so alla vista umana nel futuro della città, ma anche nella passata «Vi­sita» di Dio.48 La constatazione di quanto Gerusalemme sia lontana dalla salvezza viene associata ad un preciso accadimento storico, l 'as­sedio romano del 70, che riesce non immediatamente comprensibile agli ascoltatori, ma che avvicina pienamente il resoconto lucano alla tipologia dei testi profetici.

Nel passo, Gesù dà voce ad un sentimento che va al di là della sua prospettiva personale: se il «piangere» (klaio) è proprio della visio­ne lucana della figura del Cristo, esso ricorda anche il legame visce­rale dei profeti a Gerusalemme, ed è a quel clima che la narrazione intende evidentemente riferirsi, con il suo richiamo alla responsabi­lità degli abitanti.49 In ogni caso, è in rispondenza a un superiore vo-

47 ScHNEIDER, Das Evangelium nach Lukas, 388 riconosce nell'indicazione tem­porale il desiderio in quel determinato momento da parte di Gesù di identificarsi nel­la famiglia del suo popolo. Il passo rivela d'altra parte anche una percezione divina del tutto autonoma dalla percezione umana (cf. R. BuLTMANN, Theologie des Neuen Testa­ment, Mohr-Siebeck, Tiibingen 41961 [trad. it. Teologia del Nuovo Testamento, Queri­niana, Brescia 1985), 23).

48 ERNST, Das Evangelium nach Lukas, 528s sottolinea come il testo voglia pre­scindere da ogni elemento psicologico e far riferimento a una superiore capacità di comprensione nello Spirito. L'espressione «in questo giorno>>, d'altra parte, mette in evidenza secondo B.R. KINMAN, <<Parousia, Jesus' "A-Triui:nphal" Entry, and the Fate of Jerusalem (Luke 19: 28-48)>>, in JBibLit 1 18(1999), 279-294, 289 il carattere storico della <<visita>> del Cristo.

49 Per i riscontri in Luca, cf. 1EREMIAS, Die Sprache des Lukasevangeliums, 281 . Di «dolore profetico>> ha parlato KLOSTERMANN, Das Lukasevangelium, 1 90. P. G. MOLLER, Lukas-Evangelium, Katholisches Bibelwerk, Stuttgart 1988, 151 considera eloquente del disegno di Dio il ricorso alla forma passiva.

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lere di Dio che si compie la rovina della città, e il sentimento espres­so da Gesù non ne mostra che una conseguenza in essere.

Ci troviamo di fronte a un momento che è stato definito di estre­mo ripiegamento nell'esperienza di Gesù, il quale sembra esprime­re un moto profondo del suo animo, quasi senza relazione con gli eventi concomitanti.50 L'esplicitazione dei motivi del pianto vale però a gettare piena luce, se non sulle circostanze puntuali, sulla mo­tivazione di tale atteggiamento: la profonda e irriducibile inacco­glienza della città; il credente è così indotto ad una identificazione e condivisione piena con Gesù. In tal modo, non solo l'evangelista in­serisce la vicenda del Cristo in una più ampia prospettiva storica, ma getta una luce sulla complessità dei suoi sentimenti: di essi non emergono che pochi tratti, ma con cui la narrazione lucana si avver­te in profonda sintonia.

1 .9. Gv 12,27-13,21 : lo sconvolgimento prima della morte («essere turbato»!«commuoversi», tanissomai)

Gesù rispose: «È giunta l'ora che sia glorificato il Figlio dell'uomo. In ve­rità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, ri­mane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servo. Se uno mi serve, il Padre lo onorerà. Ora l 'anima mia è turba­ta; e che devo dire? Padre, salvami da quest'ora? Ma per questo sono giunto a quest'ora ! Padre, glorifica il tuo nome>> (Gv 12,23-28a).

Dette queste cose, Gesù si commosse profondamente e dichiarò: «In ve­rità, in verità vi dico: uno di voi mi tradirà>>. I discepoli si guardarono gli uni gli altri, non sapendo di chi ·parlasse (Gv 13,21-22).

Il Vangelo di Giovanni, generalmente parco nel descrivere le rea­zioni di Gesù, si infittisce di riferimenti al suo stato d'animo negli ul­timi momenti della sua vita pubblica e poi nel grande discorso da lui pronunciato nell'imminenza della morte. Il brano del c. 12, attraver­so un monologo interiore che costituisce un unicum per i vangeli,

50 Cf. la definizione in questi termini di PETZKE, Das Sondergut des Evangeliums nach Lukas, 172.

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colloca accanto a quelle che possono apparire soltanto delle disposi­zioni rivolte ai discepoli una rivelazione sorprendentemente esplici­ta sul suo stato d'animo, dal carattere intimo e definitivo; e le reazio­ni del gruppo ristretto dei discepoli, di cui emerge drammaticamen­te l'inadeguatezza, non fanno che sottolineare l 'eccezionalità del momento. 5 1

Dal testo del c . 13, analogamente, non emerge in modo compiu­to lo stato d'animo di Gesù: esso è senza dubbio improntato a un'in­tensa emozione, e assume una forte connotazione affettiva, come at­testa il ripetersi del verbo «essere turbato» (tarassomai).52 Lo scon­volgimento mina l'immagine consueta di Gesù, fino a far riscontrare i connotati di una trepida aspettazione;53 l'evangelista intende evi­dentemente mettere il lettore in un contatto particolarmente inten­so con i sentimenti di Gesù nel momento decisivo della sua esisten­za terrena.

In entrambi i brani, per quanto evidentemente anticipatrici, le pa­role di Gesù non preannunciano esplicitamente la morte come nelle predizioni dei sinottici. Gli studiosi hanno ravvisato nel testo da par­te di Gesù di volta in volta la piena consapevolezza del destino che lo attende, o una naturale oscurità del presentimento;54 senza dubbio, l'evangelista intende sollecitare un pieno coinvolgimento, prima che con la conoscenza, con i sentimenti che Gesù vive in prima persona, lasciando alla sua sensibilità il compito di accoglierlo e comprender­lo. Barrett ritiene intenzionale il riserbo del testo sulle autentiche mo-

51 E. HANCHEN, Das Johannesevangelium, Mohr-Siebeck, Ttibingen 1980, 461 rile­va il carattere sorprendentemente inadeguato delle reazioni dei discepoli in questa circostanza rispetto al resto della narrazione giovannea.

52 STIBBE, lohn, 147 parla di carattere «elusivo ed enigmatico» delle azioni di Ge­sù descritte nel c. 13. U.B MOLLER, «Zur Eigenttimlichkeit des Johannesevangeliums. Das problem des Todes JesU>>, in ZeitNTWiss 88(1 997), 24-55, 37 ha messo in luce il drammatico contrasto tra l'agire di Gesù e il corso degli eventi in questa sezione. Sul­la più esplicita e intensa resa delle connotazioni affettive in Giovanni nell'ultima par­te del vangelo, cf. HANCHEN, Das Johannesevangelium, 426.

53 Di sentimento confinante con 1a «paura» parla C. SPICO, Lexique théologique du Nouveau Testament, Cerf, Paris 1991 , 1514.

54 Per una valutazione di entrambe le possibilità, ScHNACKENBURG, Das Johanne­sevangelium, II, 421 . WIKENHAUSER, Das Johannesevangelium, 233 ritiene che la narra­zione abbia voluto evidenziare la naturalezza del sentimento di Gesù, anche a prescin­dere dalla percezione del momento; J. GNILKA, Johannes Evangelium, Echter, Wtirz­burg 1983, 105 si pronuncia per una piena consapevolezza del suo atteggiamento.

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tivazioni dello sconvolgimento di Gesù;55 e del resto la comunione con il Cristo sofferente non presuppone, nell'ottica giovannea, la pos­sibilità di un accesso incondizionato al suo animo.

Se la lettura più immediata dello stato d'animo di Gesù induce a connettere le sue parole con i drammatici eventi narrati nei capitoli successivi, non vi è correlazione esplicita tra afflizione e timore del­la morte incombente: i riferimenti del testo in tal senso assumono un valore compendiario, che tra valica la pura e semplice reazione emo­tiva. 56 Nella Passione giovannea i gesti si caricano di un significato che rinvia a una dimensione assoluta; i sentimenti cui si allude qui so­no forse più sfumati ancora.57 Proprio attraverso l 'indeterminatezza dei riferimenti, Giovanni intende avvicinare alla dimensione assolu­ta e aliena dal contingente dei sentimenti di Gesù.

Il monologo giovanneo, con la sua indeterminatezza, non sembra sottolineare reazioni psicologiche, anche se non sono mancate lettu­re in tal senso.58 Riduttivo appare comunque il richiamo a una sem­plice sensibilità «Umana» di Gesù; Schulz ha presentato anzi le espressioni del brano come eloquenti di una percezione «preesisten­te», propria della divinità del Cristo.59 Senza dubbio espressiva di

55 C.K. BARREIT, The Gospel according to St. fohn. An lntroduction with Com­mentary and Notes on the Greek Text, SPCK, London 21978, 398s. Sul carattere condi­zionato della rivelazione dei sentimenti di Gesù cf. HANCHEN, Das fohannesevange­lium, 469. B.T. VIVIANO, «John's Use of Matthew: Beyond Tweaking>>, in RBib 1 1 1 (2004) , 209-237, 220 ha segnalato il passo come fondamentale per la continuità tra sinottici e Giovanni in merito alla !ematica del <<segreto messianico>>.

56 Ad esempio, F. PoRSCH, fohannes-Evangelium, Katholisches Bibelwerk, Stutt­gart 1988, 133 smentisce una semplice correlazione tra timore e morte, rilevando invece piuttosto un presentimento delle circostanze in cui ha luogo la Passione. R. ScHNACKENBURG, Das fohannesevangelium, Herder, Freiburg 1965-1971 (tra d. i t. Il Vangelo di Giovanni, Paideia, Brescia 1973-1987), II, 421 parla di un più generale <<sguardo d'insieme>> a proposito di 13,21 .

57 Cf. le considerazioni sull'intensità dei sentimenti della Passione in ScHNACKEN­BURG, Das fohannesevangelium, Il, 484. A. WIKENHAUSER, Das fohannesevangelium, Pustet, Regensburg 1961 (trad. it. L'evangelo di Giovanni, Morcelliana, Brescia 1962), 249 ha chiarito il valore omnicomprensivo dei gesti della Passione in Giovanni; GNILKA, fohannes Evangelium, 108 ne ha sottolineato il carattere <<profetico>>.

58 R. BuLTMANN , Das Evangelium nach fohannes, Vandenhoeck & Ruprecht, Got­tingen 191968, 327 richiamava il valore an ti psicologico di ora (nyn). BARREIT, The Go­spel according to St. fohn, 399 parla al contrario di natura psicologica del turbamento; più cautamente, ScHNEIDER, Das Evangelium nach fohannes, 231 ritiene che nel sobrio resoconto sia ravvisabile un'intima lotta già ricomposta nell'animo di Gesù.

59 S. ScHULZ, Das Evangelium nach fohannes, Vandenhoeck & Ruprecht, Gottin­gen 1972, 167.

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un'attitudine sovrumana è la scelta di andare incontro in una visio­ne salvifica alla morte;60 e la solenne investitura della voce dal cielo conferma che si tratta di un momento in cui componente umana e di­vina si intrecciano in modo decisivo.

Attraverso il percorso drammatico e tormentato di cui il vange­lo dà conto, Gesù si dispone consapevolmente ad affrontare la mor­te; nel turbamento che ne consegue, egli mostra di adeguarsi in tutto alla volontà del Padre, pur mantenendo integralmente i connotati della sua umanità.61 L'esito della lotta interiore che ne emerge pro­duce frutti che restano significativi: l'espressione «fino alla fine» (eis télos) configura la durevolezza del sentimento di Gesù, ma anche la sua natura decisiva per la condotta di ogni uomo.62 La narrazione implica così una svolta drammatica: il Cristo si orienta definitiva­mente al pieno compimento dell'azione di salvezza, ricevendone conferma dalla voce del Padre.63 È però attraverso l 'esplicitazione di sentimenti pienamente condivisi con gli uomini che tale orientamen­to può aver luogo, fornendo un'immagine coerente con la natura di Gesù, commisurata a tutti gli altri personaggi in ogni momento del­la sua esistenza terrena.

60 Sul tema della consapevolezza di Gesù nella narrazione giovannea, cf. PoRSCH , Johannes-Evangelium, 141 . La sua obbedienza è consapevolmente «a caro prezzo» (BARREIT, The Gospel according to St. John, 354).

6 1 Secondo LÉON-DUFOUR, Lecture de l'évanglile selon Jéan, II, 424 Je lacrime se­gnano fra l'altro l'accettazione della missione affidata a Gesù. La sua morte imminen­te viene presentata come derivante a pieno titolo dall'espressione del volere divino (GN JLKA, Johannes Evangelium, lOOs).

62 ScHNACKENBURG, Das Johannesevangelium, III, 16 ipotizza anche un valore qualitativo oltre a quello temporale di «fine>>. ScHULZ, Das Evangelium nach Johan­nes, 172 la presenta come <<predizione tipicamente preescatologica»; W. THOSING, Die Erhohung und Verherrlichung Jesu im Johannesevangelium, Aschendorff, Miinster 1960, 78ss ha invece sottolineato l'importanza dell'<<ora» come riferimento al tempo presente nel testo giovanneo.

63 L'intervento del Padre rientra secondo BARREIT, The Gospel according to St. John, 425 nel piano della salvezza, ma in una situazione fortemente connotata dal pun­to di vista emotivo. Sull'episodio come espressione dell'obbedienza puntuale al Padre, cf. J.L. KovAcs, «Now Shall the Ruler of This World be Driven Out: Jesus' Death as Cosmic Battle in John 12: 20-36», in JBibLit 1 14(1995), 227-247, 230.

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C) REAZIONI

1.10. Mc 6,6: la meraviglia per l'incredulità degli interlocutori («meravigliarsi», thaumazo)

Venuto il sabato, incominciò a insegnare nella sinagoga. E molti ascoltan­dolo rimanevano stupiti e dicevano: «Donde gli vengono queste cose? E che sap�enza è mai questa che gli è stata data? E questi prodigi compiuti dalle sue mani? Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui da noi?». E si scandalizzavano di lui. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato che nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua» . E non vi poté operare nessun prodigio, ma solo imporre le mani a pochi amma­lati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità (Mc 6,2-6).

La meraviglia di Gesù per l'incredulità degli interlocutori viene sollecitata dalla pervicacia dei dubbi dei nazareni, cui essa si con­trappone strutturalmente nel testo, di fronte alla sua azione salvifica. Il brano è tanto più sorprendente in quanto si colloca nel quadro del­la parte iniziale del testo di Marco, che evidenzia un'espansione sen­za apparenti difficoltà dell'iniziativa del Cristo.64

L'episodio presenta una scansione inconsueta: sono i commenti degli interlocutori, riportati come espressione di una collettività, a occupare un posto preponderante; le parole di Gesù costituiscono apparentemente nient'altro che una reazione ad essi: la manifesta­zione di un sentimento da parte sua è solo susseguente, e non com­porta effetti concreti sulla narrazione. Complessivamente, risulta pa­radossale la prospettiva stessa in cui l'episodio viene inserito: l 'atteg­giamento di Gesù contrasta con quello correntemente attribuito al maestro e al guaritore, e anzi condivide l'attitudine, la «meraviglia», di chi è destinatario del miracolo.65 Il vangelo propone così in forma

64 Il rapporto tra il racconto di questo insuccesso della predicazione e i passi con­tigui è stato definito «ironico>> (F.J. MoLONEY, <<Mark 6: 6b-30: Mission, the Baptist, and Failure>>, in CathBibQ 63[2001], 647-663, 655). K. TAGAWA, Miracles et évangile. La pensée persone/le de l'évangéliste Mare, Presses Universitaires, Paris 1966. 12 ritiene questa <<caduta del racconto>> emblematica delle modalità narrative di Marco.

65 Il rovesciamento paradossale riguarda le modalità della fede, che nella tradi­zione cui Marco attinge deriva anzitutto dalla constatazione del miracolo (cf. W. TRIL­LINO, Das wahre Israel. Studien zur Theologie des Matthiiusevangeliums, St. Benno, Leipzig 1962, 235 [trad. it. Il vero Israele. Studi sulla teologia del Vangelo di Matteo,

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particolarmente eloquente il profondersi del Cristo in un sentimen­to comune a tutti gli uomini, anche se altrimenti fondato e manife­stato.

L'incredulità dinanzi alla sua persona e alla sua azione salvifica è vista da Gesù con meraviglia: essa impedisce la realizzazione dei mi­racoli, oltre a interrompere la successione, fin qui osservata in Mar­co, per cui a un miracolo segue immediatamente un breve insegna­mento.66 Il fine cui il testo sembra mirare è una più chiara esplicita­zione di una precisa prospettiva interpretativa, per cui la fede non scaturisce dalla presenza del miracolo, ma si manifesta indipenden­temente da esso e lo sollecita.

La lunga serie di domande da parte dei nazareni mette in di­scussione la credibilità stessa dell'agire di Gesù, tanto da costituire un ostacolo decisivo all 'efficacia della sua missione. L'incredulità che il testo vi riconosce, per quanto manifestata in modo estempo­raneo, è quindi espressione della mancata accettazione della sal­vezza messianica: si tratta infatti non di una reazione momentanea, ma di un'attitudine consolidata, tale da condurre a una definitiva insensibilità.67 Allo scandalo dei nazareni si contrappone così la meraviglia di Gesù: egli non esprime un giudizio o una contestazio­ne verso il loro operato, ma ne prende le distanze, astenendosi però dal compiere prodigi che, evidentemente, vanno oltre la cura dei malati .

Piemme, Casale Monferrato (AL) 1 992]) . Cf. lo studio comparativo con la tradizione dei guaritori pagani di B. BLACKBURN, Theios Aner and the Markan Miracle Tradition. A Critique of the Theios Aner Concept as an lnterpretative Background of the Miracle Tradition Used by Mark. Mohr-Siebeck, Tiibingen 1991, 226s.

66 Questo mutamento capovolge l'abituale schema compositivo e sottolinea, se­condo E.K. BROADHEAD, Teaching with Awority. Mirac/es and Christology in the Go­spel of Mark, JSOT, Sheffield 1992, 1 15, la portata paradossale del brano. L'ecceziona­lità della circostanza è data, come più volte in Giovanni, dal giudizio espresso sull 'a­zione di salvezza: cf. R. METZNER, «Der Geheilte von Johannes 5 - Riipresentation des Unglaubens>>, in ZeitNTWiss 90(1 999), 177-193, 1 92s.

67 Secondo R. PESCH, Das Markusevangelium, Herder, Freiburg 1 976 (trad. it. /1 Vangelo di Marco, Paideia, Brescia 1980-1982), ad l. , il sentimento di Gesù si rivolge alla «incredulità eretta a norma>>. Per T. SùDING, Glaube bei Markus. Glaube an das Evangelium, Gebetsglaube und Wunderglaube im Kontext der markinischen Basi­leiatheorie und Christologie, Katholisches Bibelwerk, Stuttgart 1985, 434 l'incredulità dei nazareni va interpretata come espressione dell' incredulità verso il regno.

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L'episodio delinea un modo erroneo di accogliere l 'insegnamen­to di Gesù, di fronte al quale egli stesso recede. Nel suo agire, si può riconoscere la radicale disapprovazione di ogni atteggiamento ana­logo nei discepoli: essi sono indirettamente richiamati ad accogliere la sapienza e i prodigi da parte sua senza riserve.68 Un simile atteg­giamento è riconosciuto come naturale, tanto che in caso contrario si dà prova di un'incredulità di fronte a cui il sentimento più appropria­to è la meraviglia.

Il sentimento qui espresso è il medesimo di Mt 8,10, ma, come notava Klostermann, con ben diverso valore (cf. infra, § 1 . 1 1 ) ; il fat­to che si rivolga in quel caso a un pagano e non ai nazareni costitui­sce una dichiarazione dell'assoluta libertà per chiunque di accedere alla salvezza.69 Sembra da escludere che l'episodio assuma una va­lenza psicologica, non limitandosi a una nozione emotiva, ma volen­do sollecitare, per contrasto con l'incredulità, una presa di coscienza estemporanea dell'autentico atteggiamento da discepoli.70 La mera­viglia di Gesù esprime l'assenza da parte sua di ogni posizione pre­concetta, e la piena libertà dell'annuncio salvifico, ma è funzionale al piano di una narrazione la cui linearità disadorna è solo apparente.

1. 11. Mt 8,10; Le 7,9: L 'ammirazione di fronte alla fede («essere ammirato», thaumazò)

Ma il centurione riprese: «Signore, io non son degno che tu entri sotto il mio tetto, di' soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Perché anch'io, che sono un subalterno, ho soldati sotto di me e dico a uno: Va' , ed egli va; e a un altro: Vieni, ed egli viene, e al mio servo: Fa' que­sto, ed egli lo fa». All 'udire ciò, Gesù ne fu ammirato e disse a quelli che lo seguivano: «<n verità vi dico, presso nessuno in Israele ho trova­to una fede così grande» (Mt 8,8-10).

68 R.M. FowLER, Le t the Reader Understand. Reader-Response Criticism and the Go· spel of Mark, Fortress, Minneapolis 1991, 122 parla a proposito delle espressioni di me­raviglia di <<strategia retorica>> dell'evangelista. Secondo C. MAzzucco, Lettura del Van­gelo di Marco, Zamorani, Torino 1999, Gesù appare «sorpreso ma non impreparato».

69 Cf. E. KwsTERMANN, Das Markusevangelium, Mohr-Siebeck, Tiibingen 51971 , 56. Lo scetticismo dei nazareni rappresenta, sottolinea M.-E. BOISMARD, lésus un horn­me de Nazareth raconté par Mare l 'évangeliste, Cerf, Paris 1996, 84s, una novità rispet­to allo stereotipo dell'agnosticismo pagano.

70 Esclude una componente psicologica J. GNILKA, Das Evangelium nach Markus, Benziger, Ziirich 1978 (trad. it. Marco, Cittadella, Assisi 1988), ad l.

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Non era ormai molto distante dalla casa quando il centurione mandò al­cuni amici a dirgli: <<Signore, non stare a disturbarti, io non son degno che tu entri sotto il mio tetto; per questo non mi sono neanche ritenuto degno di venire da te, ma comanda con una parola e il mio servo sarà guarito. Anch'io infatti sono un uomo sottoposto a un'autorità, e ho sot­to di me dei soldati; e dico all'uno: Va', ed egli va, e a un altro: Vieni, ed egli viene, e al mio servo: Fa' questo, ed egli lo fa». All'udire questo Ge­sù restò ammirato e disse rivolgendosi alla folla che lo seguiva: <<lo vi di­co che neanche in Israele ho trovato una fede così grande !» (Le 7,6b-9).

Tra le guarigioni evangeliche, questo resoconto si distingue, oltre che per l'ampiezza, per la sproporzione tra l'articolata invocazione del centurione e la subitanea ma illuminante risposta di Gesù. La ri­sposta di quest'ultimo nei confronti della fede dell'interlocutore, fre­quentemente rilevata nei vangeli, è espresso qui in modo assai netto, a denotare la particolare intensità del sentimento suscitato in lui.71 Il termine «essere ammirato» (thaumazo) non indica esattamente sor­presa per la risposta ricevuta, ma una reazione a un atteggiamento inconsueto: Gesù ne fa occasione per sollecitare gli interlocutori a una fede altrettanto chiara.72 Nel succedersi delle due battute, il con­testo esprime complessivamente una grande intensità emotiva.

Il sentimento cui <<essere ammirato» (thaumazo), qui riferito a Ge­sù, allude è abitualmente attribuito nei vangeli alle folle; esso esprime comunque una comunicazione profonda tra il mondo di Dio e quello degli uomini. Da una parte, si tratta di un sentimento colto ripetuta­mente, nelle folle in concomitanza con fenomeni sovrannaturali; dal­l'altra, in riferimento a Gesù, esso traduce un pieno riconoscimento del popolo di Dio come destinatario dell'azione di salvezza.73 Il per-

71 Si tratta secondo GACHTER, Das Matthiiusevangelium, 267 di uno dei passi che getta maggiormente luce sulla personalità di Gesù. ERNST, Das Evangelium nach Lukas, 241 ravvisa in Luca una enfatizzazione maggiore che in Matteo.

72 Secondo J. GNILKA, Das Matthiiusevangelium, Herder, Freiburg 1986 (trad. it. ll Vangelo di Matteo, Paideia, Brescia 1990-1991), ad l. si tratta di una risposta da inter­pretarsi puramente come reazione.

73 E. KAsEMANN, Exegetische Versuche und Besinnungen, Vandenhoeck & Rupre­cht, Gottingen 1970 (trad. it. Saggi esegetici, Marietti, Casale Monferrato 1985), I, 242 ha esaminato come thaumazo nella folla traduce frequentemente nei vangeli l'atmo­sfera concomitante al manifestarsi delle guarigioni. Secondo W. ScHENK, Die Sprache des Matthiius. Die Text-konstituenten in ihren makro- und mikrostrukturellen Rela­tionen, Vandenhoeck & Ruprecht, Gottingen 1987 , 281 vi è da riconoscere in Matteo

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sonaggio del centurione, estraneo alla cultura e alla tradizione di Israele, risulta il più adatto a illustrare la valenza universale di tale rapporto, che si determina in modo eccezionale.

L'efficacia delle parole del centurione è sottolineata dall'assoluta immediatezza delle reazioni di Gesù, quasi a richiamare un sentimen­to latente.74 Le motivazioni che lo inducono a «restare ammirato» (thaumazo) si rivolgono, stando alla solennità del suo riconoscimen­to, a una realtà più profonda di quanto le parole lascino intendere: il fatto che si tratti dell'intercessione per un malato fa intuire un decisi­vo nesso tra la preghiera e la meraviglia.75 Senza dubbio il clima del­l'episodio concorre a evidenziare una ben precisa dimensione della fede come connessione diretta e incontrovertibile tra uomo e Dio.

Nella sua affermazione Gesù si colloca di fronte alla fede in po­sizione esterna, ammirandone il manifestarsi come indizio della di­gnità dell'uomo: essa si presenta qui come «piena fiducia nel potere miracoloso di Gesù che sostiene».76 La fede non si esaurisce però in un atteggiamento estemporaneo, ma risponde all'intima disposizio­ne che lo produce: di pieno abbandono al potere salvifico del Cristo, e di ricerca della salvezza assieme a chi soffre; anche se, va sottoli­neato, il testo non esplicita pienamente come si manifesti tale dispo­sizione.77 Le parole di Gesù concorrono, anziché a gettare una luce

un intento di spiritualizzazione delle folle, in antitesi ai capi di Israele. GNILKA, Das Matthiiusevangelium, ad l., sottolinea invece come il sentimento di Gesù implichi una valorizzazione della fede di tutto Israele.

74 A. ScHLATIER, Der Evangelist Matthiius. Seine Sprache, seines Zie!, seine Selbstiin­digkeit. Ein Kommentar zum ersten Evangelium, Kohlhamrner, Stuttgart 1 929, 275 parla dell'emergere di un codice di condotta; E. KwsTERMANN, Das Matthiiusevangelium, Mohr-Siebeck, Tiibingen 41971 , 75 sottolinea il carattere non mediato dell'episodio.

75 J. ScHMID, Das Evangelium nach Matthiius, Pustet, Regensburg 41959 (trad. it. L'evangelo secondo Matteo, Morcelliana, Brescia 1976), 1 64 ne desumeva una defini­zione della fede come comunanza nella preghiera. A quest'interpretazione sembra opporsi il carattere totalmente estraneo del centurione alla religiosità di Israele, che secondo S. FAUSTI, Una comunità legge il Vangelo di Matteo, EDB, Bologna 1998, 133 è decisivo per la concezione di fede qui presupposta.

76 A. WouTERS, « . . . wer den Willen meines Vaters tut». Eine Untersuchung zum Ver­stiindnis vom Handeln im Matthiiusevangelium, Pustet, Regensburg 1992, 290. Il Cri­sto è di fronte alla fede spettatore tra gli altri spettatori (BovoN, Das Evangelium no­eh Lukas, l, 359s); in questo senso, il suo atteggiamento lo avvicina, secondo l'espres­sione di L. MoRRIS, The Gospel according to Matthew, Eerdmans, Grand Rapids 1 992, 194, all'umanità di quanti lo ascoltano.

77 J. KREMER , Lukasevangelium, Echter, Wiirzburg 1 988, 80 nota come il resocon­to lucano manchi di una risposta esplicita o di un annuncio di guarigione.

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pienamente rivelatrice sulla fede, a evidenziare l 'impossibilità di ti­condurla alle abituali categorie umane.

In rispondenza al sentimento di Gesù, si delinea una disposizio­ne chiaramente orientata da parte degli interlocutori. Il centurione, nella consapevolezza del suo ruolo sociale, che trova riscontro nella concretezza della sua richiesta, si pone come immagine di ogni cre­dente nell 'esprimere la sua fiducia nella suprema autorità di Gesù.78 L' «essere ammirato» (thaumtizo) crea un intimo rapporto tra Cristo e l'uomo, tanto che Luca ricorre, a esprimerlo compiutamente, al ra­ro uso transitivo del verbo: la fede emerge quindi come intima con­sonanza col divino, a partire dalla quale emerge quasi naturalmente l'esplicitazione di uno stato d'animo.79

L'«essere ammirato» (thaumtizo) di Gesù di fronte a un uomo è atteggiamento inconsueto, e costituisce una notazione tanto più pre­ziosa in quanto sollecita un pronunciamento esplicito: si tratta di un «riconoscimento» attraverso cui Dio valuta la fede degli uomini, a prescindere dal popolo presso cui si manifesta.80 Alla sua complessità, non facilmente riconducibile ad un singolo sentimento, non è estra­neo, è stato notato, un motivo contemplativo, 'che più volte nei vange­li trasferisce gli uomini in un'atmosfera quasi estatica dinanzi all 'e­vento miracoloso: viene quindi in un certo modo applicato anche al Cristo, a identificare pienamente la fede con l 'evento miracoloso.81

78 U. Luz, Das Evangelium nach Matthiius, Benziger-Neukirchner, Ziirich 1990, Il, ad l. ritiene il centurione una figura eccezionale ma propria della dimensione evan­gelica, improntata in tutti i sinottici alla condotta concreta dell'uomo di fede. Diffici­le è poi precisare esattamente in cosa consista quest'ultima: H. ScHORMANN, Das Lukasevangelium, Herder, Freiburg 1969 (trad. it. l/ Vangelo di Luca: testo greco e tra· duzione, Paideia, Brescia 1983), l, 394 la identifica come perfetta sottomissione e ti­moroso tenersi indietro rispetto a Dio.

79 Sull 'uso del complemento oggetto, cf. JEREMIAS, Die Sprache des Lukasevange· liums, 155. ScHLATIER, Der Evangelist Matthiius, 277 sottolineava la connessione tra stato d'animo e fede in questo passo; anche LucK, Das Evangelium nach Matthiius, 108 ritiene che la fede oggetto di ammirazione sia l'assoluto confidare nella parola di Cri­sto stesso.

HO Il motivo della fede individuale prevale qui su quello dell'appartenenza etni­ca: cf. KLOSTERMANN, Das Lukasevangelium, 87. Sul tema del «riconoscimento», cf. A. SAND, Das Evangelium nach Matthiius, Pustet, Regensburg 1986 (trad. it. /1 Vangelo se­condo Matteo, Morcelliana, Brescia 1992), 178, che nota come si tratti di uno spunto inusitato nell'ambiente religioso giudaico; per il suo rilievo nella narrazione, cf. WEI­FEL, Das Evangelium nach Lukas. 144.

81 Sul carattere contemplativo di thaumazo in Marco, P. DscHULNIGG, Sprache, Redaktion und lntention des Markus-Evangeliums. Eigentiimlichkeiten der Sprache

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L'atteggiamento di Gesù intende interrogare ogni discepolo in modo particolarmente diretto sulla propria condizione di credente; tuttavia non viene offerto altro elemento di valutazione della fede del centu­rione se non quanto egli esprime in prima persona nella circostanza concreta della malattia del servo.82 Ne emerge un'idea di fede piena­mente realizzata nella dimensione attuale del dialogo; e immediata­mente Gesù si rivolge alle folle per esprimere il suo sentimento.

L'esplicitazione del sentimento di ammirazione da parte di Ge­sù non produce un effetto evidente sul corso della vicenda. Come in altri casi, la guarigione viene presentata come conseguenza della fe­de di chi ne è interessato; i gesti che la caratterizzano sono messi però del tutto in secondo piano, quasi a tradurre in modo più urgen­te una disposizione che travalichi la circostanza concreta.83 È alla fede che l'episodio intende conferire il massimo rilievo, anche sot­tacendo altre componenti dell 'azione miracolosa, e al cuore con cui essa va accolta.

1. 12. Mt 18,34: lo sdegno per la mancata condivisione dei sentimenti di Dio («sdegnarsi», orghizomai)

«Visto quel che accadeva, gli altri servi furono addolorati e andarono a riferire al loro padrone tutto l 'accaduto. Allora il padrone fece chiama­re quell'uomo e gli disse: Servo malvagio, io ti ho condonato tutto il de­bito perché mi hai pregato. Non dovevi forse anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te? E, sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non gli avesse restituito tutto il dovu­to. Così anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di voi, se non perdo­nerete di cuore al vostro fratello» (Mt 18,31-34) .

des Markus-Evangeliums und ihre Bedeutung fur die Redaktionskritik, Katholisches Bibelwerk, Stuttgart 1986, 381 . La reazione di Gesù è stata definita <<complessa>> da E.J. VLEDDER, Conflict in the Miracle Stories. A Socio-Exegetical Study of M t 8 and 9, Sheffield Academy, Sheffield 1997, 181 , in quanto sollecitata sia dalla richiesta del cen­turione che dalla sua fede ed attitudine.

82 Secondo ScHNEIDER, Das Evangeliu.m nach Lukas, 209 la condotta del centu­rione rappresenta una sollecitazione intenzionalmente inespressa alla fede dei cre­denti per mostrarne la forza liberante. Sulle figure dei pagani come prefigurazione della conversione dei popoli, cf. S. LÉGASSE, Le procès de Jésus. La Passion dans /es quatre évangiles, Cerf, Paris 1 995, 1 5 1 .

113 SAND , Das Evangelium nach Matthiius, 178 sottolinea i l concentrarsi del dialo­go sulla persona del centurione.

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Nella complessa parabola dei due debitori, solo nella conclusione emerge lo «Sdegnarsi» ( orghizomai) del padrone, riportato da Gesù al Padre celeste. La narrazione, seppure tutta percorsa da una forte trama affettiva, non ne rivela l'evolversi dello stato d'animo fino a quel momento; d'altro canto, il suo intento è quello di evidenziare un atteggiamento iniziale completamente opposto, ma indotto a mutare dalla mancata condivisione dei sentimenti da parte del debitore; ciò ha luogo attraverso il dialogo e il rapporto interpersonale.84

I sentimenti cui la parabola fa riferimento sono estremi, dettati dalla necessità di dar loro voce al culmine di un crescendo drammati­co degli eventi; ma sono tuttavia pienamente liberi, indotti da una let­tura in profondità dell'animo dell'altro.85 L'insorgere dell'ira è causa­to dallo stridente contrasto tra l 'atteggiamento di Dio e quello del de­bitore, che gli stessi servi registrano con profonda preoccupazione;86 la narrazione è comunque molto attenta all'eziologia dei sentimenti, non suggerendo in alcun modo un loro manifestarsi incontrollato.

I moti dell'animo dei protagonisti, pur se espressi con intensità paragonabile, sono di natura ben diversa tra loro. L'atteggiamento sollecitato dal padrone, e anzi presupposto come naturale adesione, è verosimilmente ! '«impietosirsi» (makrothyméo), proprio nei van­geli solo della divinità (cf. in fra, 3.2). I servi tori esprimono invece sol­tanto un «essere addolorati>> (lypéomai) , il cui senso è piuttosto di­scusso, oscillando tra la contrarietà e l 'afflizione;87 la totale assenza di sentimenti espressi da parte del debitore, . invece, è sintomatica della sua insanabile lontananza dalla disposizione di Dio.

R4 J. GNILKA, Jesus von Nazareth, Herder, Freiburg 1993 (trad. it. Gesù di Nazaret: annuncio e storia, Paideia, Brescia 1993), 102 notava l'anomalia, rispetto ad altre para­bole, di una disposizione benevola iniziale che si muta in avversione. Per un'analisi strutturale della parabola, che rappresenta «una misura centrale lunga e immaginifica, inquadrata tra due misure molto più corte e più astratte>>, cf. D. HERMANT, «Structure littéraire du "discours communautaire" de Mathieu 18>>, in RBib 103(1996), 76-90, 85.

K5 Secondo L. SABOURJN, Il Vangelo di Matteo. Teologia ed esegesi, Paoline, Roma 1976, ad l. , i sentimenti non sono còndizionati in modo angusto dalla vicenda. Emer­ge secondo la definizione di M. GREEN , The Message of- Matthew. The Kingdom of Heaven, lnter-Varsity, Leicester 2000, 1 99 una concezione dinamica, e che varia nel corso della vita, del perdono di Dio.

116 È costante nei vangeli, secondo notato da STAHLIN, «Òpyi] KtÀ..», 426, la prove­nienza dell'uno dall'altro sentimento.

87 A favore dell'accezione di «contrarietà>> SAND, Das Evangelium nach Matthiius, 377.

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I protagonisti della scena agiscono in stretta interdipendenza; ri­corrente è pure il richiamo alla propensione agli affetti familiari.88 Tanto più fredda e incomprensibile risulta in tal modo l 'insensibilità del servo, vero modello negativo per il credente. La compartecipa­zione non è però puramente frutto dell 'iniziativa individuale: dalla parabola emerge secondo Schnackenburg un'immagine di compas­sione che presuppone la fede in Cristo;89 l 'insieme mira a creare una condivisione analoga da parte degli ascoltatori, sollecitandone l 'ade­sione piena ai sentimenti di Dio.

La parabola mostra un Dio aperto alla piena condivisione di una realtà segnata dalle difficoltà e dal limite, in cui i sentimenti assumo­no una preminenza totale nei rapporti tra le persone e con lui; essa configura però con altrettanta drammatica evidenza anche la totale esclusione di alcuni da questa prospettiva.

1. 13. Mt 22, 7; Le 14,21: l'ira di fronte all 'ingratitudine degli uomini («indignarsi»!«irritarsi», orghizomai)

«Di nuovo mandò altri servi a dire: Ecco ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e i miei animali ingrassati sono già macellati e tutto è pronto; venite alle nozze. Ma costoro non se ne curarono e andarono chi al pro­prio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultaro­no e li uccisero. Allora il re si indignò e, mandate le sue truppe, uccise quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. Poi disse ai suoi servi: il banchetto nuziale è pronto, ma gli invitati non ne erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze>> (Mt 22,4-9). <<Ma tutti, all'unanimità, cominciarono a scusarsi. Il primo disse: Ho comprato un campo e devo andare a vederlo; ti prego, considerami giu­stificato. Un altro disse: Ho comprato cinque paia di buoi e vado a pro­varli; ti prego, considerami giustificato. Un altro disse: Ho preso moglie

88 J. ERNST, Matthiius. Ein theo/ogisches Portrait, Patmos, Diisseldorf 1989 (trad. it. Matteo: un ritratto teologico, Morcelliana, Brescia 1991 ) ,45 connette il richiamo agli affetti familiari alla nozione, che emerge successivamente in Matteo, di «famiglia di Dio>>. Sull'urgenza dei sentimenti rappresentati, cf. ScHMID, Das Evangelium nach Matthiius, 275 .

89 R. ScHNACKENBURG, Die Person Jesu Christi im Spiegel der G/eichnissen von vier Evangelien, Herder, Freiburg 1993 (trad. it. La persona di Gesù Cristo nei quattro vangeli, Paideia, Brescia 1995), 148. SAND, Das Evangelium nach Matthiius, 377 inter­preta «per questo>> (dià tollto) del v. 23 come spia della considerazione del padrone.

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e perciò non posso venire. Al suo ritorno il servo riferì tutto questo al padrone. Allora il padrone di casa, irritato, disse al servo: Esci subito per le piazze e per le vie della città e conduci qui poveri, storpi, ciechi e zop­pi» (Le 1 4,18-21 ).

Pur nelle notevoli divergenze testuali, le due parabole tratteggia­no in Matteo e in Luca il motivo dell'inaccoglienza verso il Regno e il conseguente atteggiamento di Dio nei confronti di quanti sono chiamati ad averne parte.90 L'«indignarsi» o «irritarsi» (orghizomai) indica un repentino cambiamento nella disposizione del re, protago­nista della parabola; ciò risulta evidente soprattutto in Matteo, in cui si produce una vera e propria rottura della continuità narrativa co­me reazione all 'atteggiamento radicalmente contrastante degli invi­tati al banchetto.91 Ciò che è contraddittorio non è tuttavia la dispo­sizione benevola del re, ma quella dei destinatari di essa, di cui emer­ge palesemente l'indegnità.

L'«indignarsi» (orghizomai) , altrove attribuito dai vangeli ad al­tri personaggi. appare qui come una prerogativa di Dio decisiva nel­la sua potenza, in contrapposizione all 'agire irresoluto degli uomini: non si tratta di un sentimento generato da una diretta presa di con­tatto, ma dal veder inoperanti nella concretezza dell'agire umano gli effetti di una disposizione divina.92 In questo senso, nota Schnacken­burg, la reazione del re non è ipotizzabile che in un ambito escatolo­gico, che pure non è esplicitamente richiamato;93 qui non si trattereb-

90 Per una panoramica di differenze e similarità tra i due episodi, cf. G. EICHHOLZ, Gleichnisse der Evangelien. Form, Oberlieferung, Auslegung, Neukirchener Verlag, Neukirchen 1971 , 127ss. L. VAGANAY, Le problème synoptique, Desclée, Paris 1954, 131 annoverava questa parabola nella tipologia più recente delle fonti sinottiche, e perciò più soggetta a variazioni.

91 SAND, Das Evangelium nach MatthiiiiS, 90 sottolinea in questo punto la rottura dell'unità narrativa in Matteo. I l carattere radicale della reazione contrasta, sottolinea ERNST, Matthiius, 68s con i toni più sfumati del racconto lucano. BoJSMARD, Jésus un homme de Nazareth raconté par Mare l 'évangeliste, 50s ritiene che il resoconto di Mat­teo sia condizionato dal più esteso ricorso all' ira di una tradizione testuale più antica.

92 E. ERLEMANN, Das Bi/d Gottes in den synoptyschen Gleichnissen, Kohlhammer, Stuttgart 1988, 186 sottolinea l'autonomia dell'immagine ·di Dio da quella del messag­gero; MARSHALL, The Gospel of Lukas, 589 ritiene ancor più accentuato in Luca l'au­tonomo manifestarsi dell '<<adirarsi>> (orghizomai). Data la sua unicità, STAHLIN, <<Òpyit KtÀ.>>, 423 parla di un concetto teologico di <<ira» prevalente su quello psicologico.

93 ScHNACKENBURG, Das Johannesevangelium, 404, che parla di dimensione della potenza divina celata all'umanità; al di fuori della vicenda narrata BARRETT, The Gospel according to St. John, 227s rileva come orghfzomai venga costantemente riportato al-

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be che di un'anticipazione dell'ira nei confronti di quanti oppongo­no un rifiuto incondizionato al Regno.94 L'«indignarsi» (orghizomai) appare quindi pienamente giustificato dalla situazione: esso non va interpretato come una manifestazione incontrollata, ma nel suo rap­porto con la vicenda e con il carattere ammonitorio del messaggio che Gesù intende sottoporre ai discepoli.95

È qui particolarmente rilevante per l 'interpretazione della pa­rabola il destinatario del sentimento: all'interno della categoria di quelli «di fuori», che l 'invito del re vorrebbe raggiungere tutti , si delinea una netta cesura, in base anche all'accettazione o al rifiuto del messaggio di salvezza. Anche nei confronti di chi rifiuta, lo sde­gno non comporta un autentico mutamento nella condotta del re, ma soltanto, notava Jeremias, il rafforzamento di una scelta già compiuta nell'indire il banchetto, di per sé aperta alla condivisione e alla misericordia.96 In ogni caso, il novero dei destinatari di en­trambe le disposizioni appare illimitato, e la decisione irreversibile solo dopo ripetuti dinieghi, seppure diversamente modulati, in Mat­teo e Luca.

In Luca particolare rilievo assume il tema del contrasto tra la reazione degli invitati al banchetto e dei poveri successivamente convocati. L'accoglienza da parte dei sofferenti nel corpo dell 'invito del re può apparire riduttiva, perché condizionata dal loro stato di bisogno; in realtà, essa costituisce l'autentica risposta dell'umanità,

l'ambito escatologico in tutto il Nuovo Testamento. SCHNEIDER, Das Evangelium nach Johannes, 107 ha sottolineato la connessione tra <<ira» e <<giudizio» nei riferimenti evangelici.

94 Su questa accezione di ira, cf. SCHULZ, Das Evangelium nach Johannes, 71. Di­verso l'approccio di G. BoRNKAMM, <<Die Offenbarung des Zomes Gottes. Rom 1-3», in Studien zum Neuen Testament, Kaiser, Miinchen 1985, 136-160, che considera l 'ira unicamente, nella sua accezione paolina, come anticipazione del compimento dell'a­zione salvifica.

95 LIMBECK, Matthiius-Evangelium, 246 lo definisce <<normale e giustificato dagli eventi>>; DuPONT, <<La parabola degli invitati>>, 313 sottolinea come non si possa parla­re di un rapporto pienamente bilaterale tra il padrone e i convitati, in quanto l'ogget­to dell'ira non viene mai esplicitato nel corso della parabola.

96 Cf, JEREMIAS, Die Gleichnisse Jesu, 176ss. Sulla base di questo testo GNILKA, Das Matthiiusevangelium, ad l. ritiene che non sia Israele a doversi considerare ogget­to dell'ira divina, ma i pagani che non hanno accettato il messaggio di salvezza. Solle­cita a una lettura in chiave storica della parabola lo studio di R. BAUCKHAM, «The Pa­rable of the Royal Wedding Feast (Mt 22,1-14) and the Parable of the Lame Man and the Blind Man (Apocryphon of Ezekiel)>>, in JBibL 1 15(1996), 471 -488, 484.

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nella sua componente più partecipe dei sentimenti di Dio, all'ira di­vina.97 La predilezione di Dio per i poveri appare così motivata da un ben preciso riscontro negli effetti della sua chiamata sull'umanità.

Pur nella gravità delle sue conseguenze, } '«indignarsi» (orghizo­mai) che la parabola esprime richiama da vicino l'analogo sentimen­to umano; il modello di riferimento è quello dei profeti, che hanno espresso adeguatamente nel loro annuncio la veemenza del manife­starsi dell'ira divina.98 L'ira è proporzionale all'intensità dell'ammi­razione nei confronti della fede, qui non espressa, ma implicita nella dignità conferita ai poveri con l'invito al banchetto.99 I sentimenti di Dio sono qui presentati davvero in modo regale per la loro ampiez­za, anche suggerendone una coerenza e una forza impensabili per la dimensione umana.

97 ERNST, Lukas, 86 ravvisa nella parabola l'intento di attribuire ai poveri senti­menti opposti a quelli comuni, in piena rispondenza con l'atteggiamento di Dio. SCHWEIZER, Das Evangelium nach Lukas, 157 ritiene che si alluda qui non solo a sof­ferenze fisiche, ma a tutti i bisognosi del soccorso divino. Il riferimento privilegiato ai poveri attenua secondo GouLDER, Luke, 59l la portata vendicativa delle decisioni di Dio.

9S I vangeli applicano a più riprese a Gesù, in particolare, la tipologia dell'ira ri­scontrata nell'annuncio di Giovanni Battista: cf. LÉON-DUFOUR, Lecture de l 'évangile selon Jéan, I, 332s.

99 Ira e ammirazione sono atteggiamenti che coesistono frequentemente: cf. le considerazioni di EICHHOLZ, Gleichnisse der Evangelien, 136.

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I SENTIMENTI DELL'INTIMITÀ DI GESÙ

La categoria dei sentimenti dell 'intimità di Gesù, cioè condivisi con i soli discepoli, è piuttosto ristretta; in ciò, si riflette la relativa esiguità dei passi in cui egli si ritrova da solo a solo con i suoi, e l'as­soluta mancanza nei vangeli di espressioni destinate alla recezione e interpretazione della cerchia più stretta dei suoi seguaci, come in molti testi iniziatici o esoterici coevi.1 L'emergere di momenti di con­tatto privilegiato con il gruppo dei discepoli o con parte di essi, se consente di condividere sentimenti attribuiti a Cristo in momenti di particolare vicinanza umana e di piena adesione al suo messaggio, non vale a realizzare la vicinanza e la compartecipazione che il Mae­stro sollecita.

La tipologia lessicale dei verbi condivisi con i discepoli si può ri­durre a due sole categorie. I verba affectuum riguardano anzitutto la sfera delle attitudini: l 'affetto che vincola in una stretta comunione personale e introduce in una dimensione salvifica o, nella versione giovannea, l 'amore messianico della Passione o personale per i sin­goli discepoli; la confidenza nel sostegno e nella comprensione degli uomini. La reticenza dei testi in proposito è sintomatica della man­cata comunicazione di sentimenti , che restano spesso sullo sfondo, tra Maestro e discepoli.

1 Dallo studio di J. RoLOFF, Apostolat - Verkiindigung - Kirche. Ursprung, lnhalt und Funktion des kirklichen Apostelamts nach Paulus, Lukas und den Pastoralbriefen, Mohn, Giitersloh 1965, 144 emerge l'assenza di espressioni destinate in forma privile­giata ai discepoli. Essa . si colloca in un clima più generale da parte dei discepoli secon­do BuLTMANN, Theologie des Neuen Testaments, 33 di persistente incomprensione.

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Mentre mancano termini riferiti alla sfera del turbamento, si ri­scontrano verba affectuum che si pongono come reazioni a un atteg­giamento esterno: l'indignazione e la vergogna di fronte alla condot­ta dei discepoli, in particolare per il loro fraintendimento del mes­saggio evangelico; l 'espressione della gioia per il peccatore ritrovato e per il raggiungimento della salvezza da parte di chi ne era lontano. In forma contrastante, si esprime così, seppure per immagini solo in­termittenti, la vicinanza di Gesù alla vicenda interiore, spesso stenta­ta e contraddittoria, dei suoi.

Nonostante il loro numero ridotto, è parso significativo considerare a parte queste espressioni relative ai sentimenti che legano Gesù e i di­scepoli: pur nella sostanziale condivisione dell'orizzonte e dei limiti co­muni agli altri uomini, che emergono anche nella dimensione privilegia­ta dell'intimità, esse sono indicative di un ambito in cui si manifesta con particolare forza la vicinanza di Dio ai suoi. Il coinvolgimento del disce­polo ha luogo così non tanto sul piano dei giudizi, ma è sollecitato a una comunanza anche emotiva e relazionale con il Cristo, aprendo alla pro­spettiva della «nuova creatura» evangelica nella sua pienezza.

A) AlTITUDINI

2.1 . Mc 10,21: l 'affetto che induce alla salvezza («amare», agapaò)

Egli allora disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù, fissatolo, lo amò e gli disse: «Una sola cosa ti manca: va', vendi quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro in cie­lo; poi vieni e seguimi>>. Ma egli, rattristatosi per quelle parole, se ne andò afflitto, poiché aveva molti beni (Mc 10,20-22).

L'episodio del giovane ricco, nel registrare la mancata adesione alla vocazione evangelica, esprime con particolare intensità la chia­mata di Gesù. L'espressione sintetica agapao («amare>>) vuole con­densare in un moto momentaneo, con grande forza, la disposizione di Dio nei confronti dell'uomo: la sua volontà salvifica si traduce in un intenso sentimento nei confronti dell'interlocutore.2 La reazione

2 KREMER, Lukasevangelium, 1 18s identifica il termine <<amare>> (agapti6) come una rivelazione di tipo giovanneo. ScHORMANN, Das Lukasevangelium, 394 percepisce

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opposta dal giovane non fa che accrescere la percezione della gra­tuità e nel contempo della irrevocabilità di tale attitudine.

Il verbum affectuum, che solo Marco riporta e che costituisce co­munque un rilievo eccezionale per i vangeli, è determinante per l'e­spressione del successivo precetto sull'abbandono delle ricchezze nel discepolato; con il ricorso al verbo agapao («amare»), egli inten­de indicare un sentimento più intenso e personale di philéo («avere caro»).3 L'atto del «fissare» il giovane (v. 21 , blépo), che assume un rilievo eccezionale nel testo evangelico, vale ad individuare il senti­mento di Gesù in modo definitivo.4 La disposizione verso il singolo diviene così occasione di rappresentare un'attitudine permanente del Cristo verso l'umanità intera.

Sulle motivazioni per cui Gesù sia indotto al sentimento per il giovane si può ipotizzare la serietà dello sforzo di adesione al vange­lo da parte sua;5 ma forse vi è da ravvisare la manifestazione parti­colare di un amore incondizionato per tutta l'umanità, conforme­mente all'uso diffuso nei vangeli del termine «amare» (agapa6).6 Ta­le moto costituisce comunque in Marco il fondamento del successi­vo agire di Gesù: l'amore verso il giovane ricco può compendiare la

questo termine come più intenso del «meravigliarsi» (thaumtizo) di fronte alla fede (cf. supra, § 1 . 1 1 ) .

3 W. BAUER, Das Johannesevangelium, Mohr-Siebeck, Tiibingen 1933, 86 non ri­scontrava invece una differenza sostanziale tra agaptio e philéo, laddove non può de­finirsi una separazione tra sfera etica e teologica. Per il parallelismo con Giovanni, cf. V. TAYLOR, The Gospel according to St. Mark, MacMillan, London 1959, 429 (trad. it. Marco. Commento al Vangelo messianico. Presentazione all'edizione italiana di Bruno Maggioni, Cittadella, Assisi 1977). Per la scarsità di citazioni esplicite di termini che indicano amicizia e amore nei vangeli, cf. M. TRIMAILLE, La Christologie de St-Marc, Desclée, Paris 2001 , 1 52.

4 Secondo ScHNACKENBURG, Die Person Jesu Christi, 35 è proprio il «fissare» nel Vangelo di Marco a determinare la presenza permanente di Cristo. C. CouLOT, Jésus et le disciple. Étude sur l 'autorité messianique de Jésus, Lecoffre et Gabalda, Paris 1987, 100 sottolinea la corrispondenza imprescindibile tra i due momenti del «fissare» e dell'«amare».

5 Così KLOSTERMANN, Das Markusevangelium, 102; A. ScHLATTER, Die Geschich­te des Christus, Calwer, Stuttgart 1977, 200 ritiene al contrario che si tratti di una ri­sposta alla sua erronea disposizione alla conoscenza di Dio.

6 Cf. per il Vangelo di Giovanni le considerazioni sull'amore del Cristo per l'uma­nità in WIKENHAUSER, Das Johannesevangelium, 1 44; HANCHEN, Das Johannesevange­lium, 233 ha sottolineato il carattere permanentemente universalistico dell'espressio­ne dell'amore nei vangeli.

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disposizione verso tutti gli uomini, per i quali il Cristo offre la sua vi­ta, così come la «tristezza» con cui egli risponde esprime il rifiuto nei confronti dell'azione salvifica, diffuso in tutto il testo marciano.7

L'immagine di Gesù assume qui una caratterizzazione comples­sa anche nell'indirizzarsi delle sue parole verso un significato più ampio e fondamentale per tutti i credenti: egli prefigura le condizio­ni per seguirlo e il giudizio sulla condotta individuale. Lungi dal rap­presentare una disposizione estemporanea, l '«amare» (agapa6) co­stituisce una sollecitazione pressante a seguire la via del Cristo, al di là dei limiti personali dell'interlocutore.8 In questo senso, l 'affetto si pone come sentimento dalla forza decisiva che, senza pregiudicare la libertà del singolo dinanzi ad esso, induce l'interlocutore alla sal­vezza.

2.2. Gv 13,1: l'amore messianico della Passione («amare», agapao)

Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine (Gv 13,1) .

In corrispondenza di una chiara cesura della narrazione del Van­gelo di Giovanni, si colloca questa introduzione solenne ed emble­matica al racconto della Passione, e all'ampia sezione di gesti e di­scorsi che la precedono.9 Il testo, più che di raccordare gli eventi, ha la funzione di presentare la continuità del manifestarsi dell'amore di Gesù per il mondo tra la vita pubblica e le prove che lo attendono.

7 Sul tema del fondamento dell'agire di Gesù, cf. W. GRUNDMANN, Das Evange­lium nach Markus, Evangelische Verlagsanstalt, Berlin 31968, 21 1 . Il sentimento di Ge­sù si può configurare secondo l'interpretazione di J. ScHREIBER, Theologie des Ver­trauens. Eine redaktionsgeschichtliche Untersuchung des Markusevangeliums, Furche, Hamburg 1967, 232 come chiamata del crocifisso.

8 Secondo K. BERGER, Historische Psychologie des Neuen Testaments, Katholi­sches Bibelwerk, Stuttgart 1991 (tr. it. Psicologia storica del Nuovo Testamento, Ed. Paoline, Cinisello Balsamo [MI] 1994), 182 il termine avrebbe una funzione «tera­peutica» . J. BEcKER, Das Evangelium nach Johannes, Giitersloher-Echter, Wiirzburg 1979, 236 ha illustrato la connessione tra le rappresentazioni evangeliche dell'amo­re e il giudizio.

9 Indizio della crucialità del brano è il gran numero di echi del prologo qui ri­scontrabili: cf. M.L. CoLOE, «Welcome to the Household of God. The Foot Washing in John 13>>, in CathBibQ 66(2004), 400-415, 401ss.

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Il sentimento qui messo in evidenza si rivolge ai suoi discepoli, ed in una forma che intende sottolinearne con forza il carattere esclusivo e personale. L'amore di Gesù si manifesta in un momento supremo (aoristo «amò», egapese), ed è strettamente connesso al clima di rac­coglimento, in cui tale rivelazione può aver luogo, che si determina du­rante la cena.10 Nella drammaticità del momento, l'amore rappresen­ta la decisiva risposta di bene al male che si trama contro il Cristo.

L'espressione traduce adeguatamente l'intensità del momento, sia nell'estensione che nella paradossale persistenza dell'amore: si tratta dei due aspetti cui «alla fine» (eis télos) nella sua ambivalenza può alludere. 1 1 Il sentimento di Gesù supera i limiti della percezione comune e anche della situazione contingente, e si rivela ai suoi in tut­ta la sua paradossale chiarezza. Accanto alla manifestazione affetti­va del momento, il testo sottolinea così l 'attitudine ad amare che tra­valica nel Cristo la persona dei discepoli, investendo tutta l'umanità.

Gesù è presentato come pienamente consapevole del momento, e già volto verso il passaggio al Padre; non si fa invece alcun riferimen­to alle sofferenze imminenti.12 È per contrasto evidenziata dal testo la condizione dei discepoli nel mondo, e con essa la loro intrinseca de­bolezza e impossibilità di comprendere pienamente il significato de­gli eventi. 13 L'amore si presenta così come risposta gratuita, che vie­ne in soccorso prima e sopperisce poi all'incomprensione dei suoi.

10 Per gli elementi tipici del processo di iniziazione nel clima del racconto, cf. M. PESCE - A. DESTRO, <<La lavanda dei piedi di Gv 13�1 -20, il "Romanzo di Esopo" e i "Saturnali.

, di MacrobiO>>, in Bib 80(1999), 240-249. E comunque netto il distacco dal­

la <<sfera degli eventi quotidiani>> (F.J. MoLONEY, The Gospel of fohn, Liturgica) Press, Collegeville 1998, 373). B.J. MALWA - R.L. RoHRBAUGH, fohn, Fortress, Minneapolis 1998, 219ss hanno studiato la simbologia di questa sezione giovannea, elaborata in vi­sta della comunicazione interpersonale.

1 1 L'ambiguità di <<alla fine>> è <<caratteristica>> dello stile giovanneo (BARRETT, The Gospel according to St. fohn, 364). Come efficacemente si esprime G. RAVASI , /1 Vangelo di Giovanni, EDB, Bologna 1989, 60, il télos è anche «Una pienezza che si col­ma, un amore che trabocca>>,

12 La consapevolezza di Gesù insita nel termine <<amare>> (agapao) esprime se· condo E. STAUFFER, <<ayamiro KtÀ.>>, in Th WNT, l, 20-55, 47 la conoscenza del mondo e il pieno orientamento, nonostante essa, della sua vita verso l'amore. Tale atteggiamen­to conferma che il sacrificio riguardi la vita di Gesù nella sua interezza (E. LoHSE, Grundriss der neutestamentlichen Theologie, Kohlhammer, Stuttgart 1974 (trad. it. Compendio di teologia del Nuovo Testamento, Queriniana, Brescia 1987] , 131) .

1 3 Diversi elementi della narrazione sono tesi ad enfatizzare secondo BARRETT, The Gospel according to St. fohn, 365 il contrasto tra Gesù e il mondo. M. PEscE, <<Il lavaggio dei piedi (Gv 13,1 -20)>>, in G. GHJBERTI (ed.), Opera giovannea, Elledici, To-

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Nella duplice veste di compendio e di introduzione alla Passione, la notazione del sentimento di Gesù traduce il cuore della rivelazio­ne giovannea. Come i riferimenti temporali suggeriscono, essa tra va­lica però il momento in cui si presenta, e va considerata una chiave di interpretazione permanente dell'intero vangelo.

2.3. Gv 11,5; 13,23; 19,26; 20,2; 21, 7; 21,20: l'amore di Gesù per i singoli discepoli («voler bene»l«amare»: agapao, philéo)

Gesù disse: «Questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio, perché per essa il Figlio di Dio venga glorificato». Gesù voleva molto be­ne a Marta, a sua sorella e a Lazzaro (Gv 11 ,4b-5).

Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fian­co di Gesù. Simon Pietro gli fece un cenno e gli disse: «Di', chi è colui a cui si riferisce?>>. Ed egli reclinandosi così sul petto di Gesù, gli disse: «Si­gnore, chi è?>> . Rispose allora Gesù: «È colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò>> (Gv 13,23-26a).

Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco il tuo figlio l >> (Gv 19,26).

(Maria di Magdala) corse allora e andò da Simon Pietro e dall'altro di­scepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Si­gnore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto ! >> (Gv 20,2).

Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore ! >> . ( . . . ] Pietro allora, voltatosi, vide che li seguiva quel discepolo che Gesù amava, quello che nella cena si era chinato sul petto e gli aveva doman­dato: «Signore, chi è che ti tradisce?>> (Gv 21 ,7 e 20).

I diversi brani in cui Giovanni fa riferimento all'amore di Gesù per i singoli discepoli testimoniano l'esistenza di un legame intenso e personale, su cui i sinottici sono assolutamente reticenti. 14 Si tratta

rino 2003, 233-271 , 234 ha sottolineato l'importanza dell'elemento rituale per «esalta­re lo stato di separazione dal mondo circostante».

14 In Giovanni, al di là delle notazioni, tutti i personaggi sono «soggiogati e affer­rati dalla sua persona» (S.A. PANIMOLLE, L'evangelista Giovanni. Pensiero e opera let­teraria del quarto evangelista, Boria, Roma 1989, 69). Sul valore anticipatorio dei

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comunque di esplicitazioni legate a circostanze eccezionali, e che non rappresentano una costante del Quarto Vangelo.

La natura del rapporto con i destinatari espliciti dell'amore di Gesù - Marta, Maria e Lazzaro e Giovanni nei vari brani - è em­blematica di quello che lo lega all'umanità intera. Essi sono connes­si a due contesti ben precisi, la risurrezione di Lazzaro nel primo ca­so e il più ampio resoconto della Passione per quanto riguarda Gio­vanni, in cui l 'amore ha modo di manifestarsi con maggiore inten­sità. 15 In ogni caso, si tratta di un legame già attuale e persistente al momento della sua esplicitazione, di cui non sono evidenziate la ge­nesi e le manifestazioni.

Si intuisce dalle occorrenze che il sentimento che Gesù ripetuta­mente esprime non è statico, ma costituisce il movente delle azioni dei protagonisti e dei successivi sviluppi del testo. I destinatari di es­so sono almeno in parte inconsapevoli, e comunque non si avvalgo­no esplicitamente del privilegio che esso configura, e che resta un motivo di comunicazione segreta tra Gesù e tali personaggi. 16 Viene evidenziato così il senso di gratuità di tale disposizione, ma anche la sua natura insondabile.

La scelta di Marta, in particolare, come destinataria esplicita del­l'amore di Gesù può sorprendere. Giovanni vuole probabilmente sottolinearne il valore di figura-chiave, nella sua evoluzione da un at­teggiamento di incredulità alla piena disponibilità all'azione salvifi­ca del Cristo. Ella emerge così come direttamente investita da quel­la che appare l'accezione privilegiata dell 'amore, la misericordia che conduce alla conversione.

La figura dell'apostolo Giovanni costituisce il riferimento privi­legiato dell'amore di Gesù (agapao, che alterna solo al c. 20 con

sentimenti di Gesù rispetto alla rispondenza dei suoi in Giovanni, cf. ZuMSTEIN, «Le disciple bien-aimé>>, 56.

15 Come ha precisato C.H. Dooo, The lnterpretation of the Fourth Gospel, Cam­bridge University Press, London 51953 (trad. it. L'interpretazione del quarto vangelo, Paideia, Brescia 1974), 522, non si può parlare di una preoccupazione teologica che domini il resoconto giovanneo dell'amore del Cristo, ma di una notazione puramente contestuale.

16 A proposito di Gv 1 1 , M.W.G. SnBBE, <<A Tomb with a View: John 1 1 , 1-46 in Narrative - Criticai Perspective>>, in NTSt 40(1994), 38-54, 44 parla di «costante elusi­vità>> nella caratterizzazione di Gesù.

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philéo) in tutta la seconda parte del Quarto VangeloP In quanto pu­ramente destinatario in senso passivo di tale sentimento, egli rappre­senta anzitutto la figura esemplare del discepolo; ma mostra di ri­spondere con la sua condotta, evidenziando coerenza e continuità nel suo agire anche di fronte agli ultimi drammatici eventi della vita del Cristo, nelle situazioni più diverse; 18 di tale continuità si fa garan­te l'appendice del c. 21 , che estende il rapporto privilegiato anche al­la fase successiva alla risurrezione. Per quanto investito allo stesso ti­tolo degli altri discepoli, egli, come autore dichiarato del Quarto Vangelo, rappresenta il testimone diretto della dimensione persona­le dell'amore di Gesù per ciascuno.

La rivelazione dell'amore di Gesù per i singoli ha luogo nell'inti­mità del rapporto discepolare, che Giovanni intende riprodurre nel­la sua narrazione. Nelle circostanze in cui tale sentimento viene espresso, si percepisce tutta la sua forza nella situazione contingen­te, ma anche, potenzialmente, l 'ampliarsi del sentimento a tutti colo­ro che sappiano porsi in un'attitudine simile a quella dei discepoli.

2.4. Gv 2,24: il confidare negli uomini («confidarsi», pisteuo)

Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, veden­do i segni che faceva, credettero nel suo nome. Gesù però non si confi­dava con loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che qualcuno gli desse testimonianza su un altro; egli infatti sapeva quello che c'è in ogni uomo (Gv 2,23-25).

Il termine «confidarsi» (pisteuo) si colloca in un passaggio parti­colarmente significativo del Quarto Vangelo: si tratta di «un primo sommario», attraverso il quale viene suggerita una valutazione om­nicomprensiva sull'operato del Cristo. 19 In questo contesto può in-

17 BARREIT, The Gospel according to St. John, 259 ha chiarito come l'uso dei due termini sia equivalente in Giovanni.

18 Come notato da BARREIT, The Gospel according to St. John, 365, nulla nella narrazione giovannea fa supporre che Giovanni, come prediletto nell'amore, rappre­senti una figura puramente ideale di discepolo. Egli è il <<membro anticipatore e rap­presentativo>> della famiglia di Gesù (M. MoooY SMJTH, John, Abingdon, Nashville 1999, 400).

19 Per la definizione di <<sommario», cf. ScHULZ, Das Evangelium nach Johannes, 51 . P. LÉTOURNEAU, Jésus, Fils de l'homme et fils de Dieu. Jean 2,23 - 3,36 et la double

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tendersi l'uso del verbo «confidarsi» (pisteuo), utilizzato di preferen­za in senso diverso nel Nuovo Testamento, a indicare l 'attitudine di fede dei discepoli; per questo, anche se il termine è riferito anche ad altri personaggi del vangelo, nel suo senso specifico può considerar­si proprio della divinità di Gesù.2o

La collocazione della pericope è singolare; la prima questione ese­getica è se essa debba intendersi parte integrante del discorso rivolto a Nicodemo o se debba senz'altro considerarsi a parte, come un'affer­mazione distinta dell'evangelista. Un rapporto indiretto con la vicen­da precedente è innegabile, per quanto problematico, e proprio della fluidità narrativa della prima parte di Giovanni, in cui gli episodi non sono chiaramente circoscritti: il testo intende ampliare l'orizzonte di riferimento senza recidere del tutto il nesso con la vicenda.21 Ciò al­l'interno di una struttura in cui evento e valutazione teologica si in­trecciano e si fondono in misura assolutamente peculiare.

Il significato del termine «confidarsh> (pisteuo) resta di difficile decifrazione: il suo uso unitamente al pronome riflessivo (aut6n), piuttosto anomalo, mette in relazione l ' inconciliabilità della condot­ta di Gesù con l 'atteggiamento dei «molti», che evidenziano un «confidare» momentaneo e incerto, fondato unicamente sui «Se­gni».22 L'evangelista, gettando una luce inusitata sull'animo di Ge­sù, rivela così i motivi per cui egli non condivide i suoi sentimenti con gli uomini, senza tuttavia evidenziarne in alcun modo una di­sposizione a respingerli da sé.

christologie johannique. Bellarmin-Cerf, Montréal-Paris 1992, 133 ha messo in rilievo l'eccezionalità di questa <<enunciazione generale» . Cf. le considerazioni sul <<credere» in Giovanni di BARRETT, The Gospel according to St. fohn, 202, che richiama anche il valore di <<egli» (autos) per sottolinearne qui la peculiarità d'uso.

20 Sulla peculiarità <<incomparabile>> di pisteuo, cf. LÉON-DUFOUR, Lecture de l'é­vangile selon féan, l , 285. Lo studio di T. SùDING, <<"lch und der Vater sind eins" (Joh 10,30). Die johanneische Christologie vor dem Anspruch des Hauptgebotes (Dtn 6,4 f.)>>, in ZeitNTWiss 93(2002), 177-199, 193 ha messo in evidenza in questo passo l'in­flusso della teologia della preesistenza giovannea, sconosciuta ai sinottici.

21 Autorevolmente, WIKENHAUSER, Das fohannesevangelium, 84 ritiene che non vi siano connessioni con l'episodio di Nicodemo, e con lui ·concorda la maggior parte degli esegeti; SnBBE, fohn ha tuttavia riconosciuto in <<uomo» (anthropos) un riferi­mento diretto a Nicodemo.

22 Per i rilievi lessicali sull 'eccezionalità del testo, cf. ScHNACKENBURG, Das fohan­nesevangelium, l, 373; sui possibili significati di pisteuo, cf. HANCHEN, Das Johannese­vangelium, 212. Secondo BARRETI, The Gospel according to St. fohn, 168, il significato <<Specificamente cristiano>> del termine ha escluso quello qui riportato.

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Siamo in presenza di un uso singolare di un verbum affectuum, introdotto per negare una disposizione di Gesù a condividere un sentimento provato, in forma condizionata, da altri; in effetti, la pe­ricope sembra allontanare da una condivisione da parte del Cristo dei sentimenti, delineando un ambito di percezione del tutto diverso da quello umano.23 Tuttavia, il fondamento del mancato «confidarsi» (pisteuo) è individuato dal testo evangelico proprio in una conoscen­za profonda degli uomini: l'attitudine di Gesù si può quindi interpre­tare, come è stato fatto, anche in senso drammatico, come forzata ri­nuncia a un'aperta rivelazione messianica.24 In ogni caso, è sul piano di una piena relazione con gli altri uomini, e non di un compiaciuto distacco, che la mancata condivisione va inserita.

L'atteggiamento di Gesù è in realtà un prendere le distanze da un sentimento ambiguo e rappresenta l'espressione della messiani­cità del Cristo, che rifugge da ogni commistione con il peccato.25 D'altra parte, il modo in cui questo tratto dell'animo di Gesù viene espresso, rivelando un aspetto del suo intimo sentire, tra valica i limi­ti dell'agire individuale, per prefigurare una disposizione esemplare per ogni credente; Giovanni intende sollecitare in tutto il popolo cri­stiano l'attitudine a una fede saldamente fondata e ad un rapporto interpersonale più consapevole e illuminato dallo Spirito.

Attraverso un sentimento condiviso con i discepoli, Giovanni mostra il volgersi di Gesù a una dimensione più alta del vivere. È at­traverso questo tratto proprio della sua esistenza segreta, e non per una separazione evidente, che emerge l'inarrivabile superiorità del Cristo, ma anche il suo permanente porsi come modello per il cre­dente.

23 Si tratta di un «occhio spirituale» (ScHNEIDER, Das Evangelium nach Johannes, 88s) che risponde a una percezione del tutto peculiare.

24 Adombra questa interpretazione G. VoiGT, Licht, Liebe, Leben. Das Evange­lium nach Johannes, Vandenhoeck & Ruprecht, Gottingen 1991, 56s. Emerge qui in particolar modo la natura <<dinamica, attiva della comprensione giovannea» della fi­gura del Cristo (MoLONEY, The Gospel of John, 86s) .

25 W.J. B ITTNER, lesu Zeichen im Johannesevangelium. Die Messias-Erkenntnis im Jesus vor ihrem jiidischen Hintergrund, Mohr-Siebeck, Tiibingen 1 987, 246 ha colto qui la conformità di Gesù ali 'immagine messianica di Is 1 1 . Giovanni evidenzia a propo­sito di Gesù, secondo le parole di CoNZELMANN, Theologie des Neuen Testaments, 382, «il rifiuto di ogni descrizione palpabile, di ogni contenuto accessibile».

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B) REAZIONI

2.5. Mc 10,14: il risentimento dinanzi al falso zelo dei discepoli («indignarsi», aganaktéo)

Gli presentavano dei bambini perché li accarezzasse, ma i discepoli li sgridavano. Gesù, al vedere questo, s 'indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite, perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio. In verità vi dico: Chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso>>. E prendendoli fra le brac­cia e ponendo le mani sopra di loro li benediceva (Mc 10,13-16).

Nell'ambito di una scena quotidiana della vita di Gesù, nel suo incontro con le folle, si inserisce l'episodio dell 'ammonizione ai di­scepoli per il loro atteggiamento verso i bambini. Ricorrendo a un verbo altrove attribuito proprio ai discepoli, il testo mette in eviden­za un sentimento di Gesù che introduce un insegnamento fondamen­tale, espresso proprio a partire dal biasimo per la loro condotta.

La presa di posizione di Gesù ha tutti i caratteri di una reazione immediata, e non sembra obbedire a un intento preordinato di edifi­cazione: il sentimento che il vangelo gli attribuisce («indignarsi», aganaktéo) è molto intenso, ed è significativo dell 'importanza dell'e­pisodio a definire l 'attitudine verso la salvezza.26 È il susseguente di­scorso sul Regno a evidenziare il rilievo dell'insegnamento connesso sull'umiltà, e a metterne pienamente in luce le implicazioni.

Il sentimento attribuito a Gesù si traduce, con particolare imme­diatezza, nota Aland, in una esplicitazione verbale.27 Pur nel suo ca­rattere di reazione al falso zelo dei discepoli, l'intensità delle parole suggerisce una percezione assolutamente peculiare della situazione da parte sua; egli vive su un piano differente, anche dal punto di vi­sta emotivo, l'episodio, nel suo rilievo apparentemente limitato: l'at­teggiamento di fastidio verso i bambini e il loro accesso al Cristo è

26 GRUNDMANN, Das Markusevangelium, 206 sottolinea l' imprevedibilità della condotta di Gesù, qui dettata unicamente dal dialogo con i discepoli. L'incomprensio­ne dei discepoli manifesta che <<Si può comprendere l'opera di Gesù solo dopo la Pa­squa e grazie alla Pasqua>> (BULTMANN, Theologie des Neuen Testaments, 182).

27 K. ALANO, Die Stellung der Kinder in den fruhen christlichen Gemeinden und ihre Taufe, Kaiser, Miinchen 1979, 198.

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sintomo della mancata percezione del loro essere e dell'esempio che rappresentano per poter aver parte al Regno.

Il sentimento di Gesù è determinato da motivazioni meno estem­poranee di quanto il testo faccia trasparire. Esso si caratterizza come reazione alla poco accorta condotta dei discepoli e al loro sostanziale rifiuto di cambiare vita: lo zelo mal riposto rappresenta, come il succes­sivo loghion sottolinea, l'incapacità di accogliere il regno di Dio.28 Co­me risulta da altri particolari rivelatori nei vangeli, la veemenza del sentimento di Gesù scaturisce da una disposizione permanente, solo a tratti rivelata, del suo animo.

L'incomprensione dei discepoli per l'atteggiamento di Gesù ap­pare qui radicale. Per quanto non espressa nei termini di uno scon­tro verbale, la loro iniziativa è giudicata negativamente sia in senso positivo («lasciate», tiphete) che negativo («non glielo impedite», mè k6lyete).29 In realtà, nelle diverse accezioni dell'ira, «indignarsi» (aganaktéo) appare più moderato di «adirarsi» (orghizomai), e rive­la comunque un certo grado di indulgenza.

Nell'indignazione dinanzi al falso zelo, si rivela una discrepanza di fondo rispetto al sentire dei discepoli; tuttavia, l'esplicito ammae­stramento fornito e il ricorso a un verbo vicino alla loro sensibilità ri­vela la continuità ininterrotta del rapporto discepolare.

2.6. Mt 10,33; Le 9,26: la vergogna davanti all'indifferenza degli uomini («vergognarsi», epaischYilomai)

«Chi dunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch'io Io riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch'io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli» (Mt 10,32-33).

28 Sulla natura puramente reattiva di fronte alla condotta dei discepoli, cf. TAYLOR, The Gospel according to St. Mark, 107. S. LÉGASSE, L'tvangile de Mare, Cerf, Paris 1997 (trad. it. Marco, Boria, Roma 2000), 603 ha parlato di un certo grado di «violenza inte· riore». Ha indagato il carattere <<non gerarchico>> del Cristo di Marco M.E. BoRING, <<Markan Christology: God-Language for Jesus?>>, in NTSt 45(1999), 451-471, 456ss.

29 È chiara nella condotta di Gesù, come ha illustrato P.-Y. BRANDT - A. LUKINO­VICH, <<L'adresse à Jésus dans les évangiles synoptiques>>, in Bib 79(2001), 17-50, 39 la distinzione nel rapporto discepolare tra semplice opposizione, incomprensione e tra­dimento. Per un'analisi dell'ambiguità della condotta dei discepoli in Marco, cf. M. Es­NER, <<lm Schatten der Grossen. Kleine Erzlihlfiguren im Markusevangelium», in BibZ 44(2000), 56-76, 58ss.

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Poi, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuoi venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà. Che giova all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi si perde o rovi­na se stesso? Chi si vergognerà di me e delle mie parole, di lui si vergo­gnerà il Figlio dell'uomo, quando verrà nella gloria sua e del Padre e de­gli angeli santi. In verità vi dico: ci sono alcuni qui presenti, che non mor­ranno prima di aver visto il regno di Dio» (Le 9,22-27).

Le espressioni che denotano «vergogna» sono inserite in un con­testo poco abituale per i verba affectuum, quello escatologico, sep­pure solo in Luca in forma esplicita. Sia la voce verbale che i conte­sti sono diversi nelle versioni di Matteo e Luca; quest 'ultimo ricor­re a un'espressione intensiva, «vergognarsi» (epaischynomai), e la inquadra in un discorso organico, mentre Matteo sceglie un termine più secco, «rinnegare» (arnéomai), e lo presenta quale parte di una raccolta di loghia apparentemente del tutto autonomi, per quanto all 'interno di una sezione particolarmente espressiva dei sentimen­ti di Gesù. 30

Stando al loghion in se stesso, viene istituito un parallelismo molto stretto tra condotta umana e divina, per cui oggetto del sen­timento di vergogna saranno quanti ora la provano nei confronti del Cristo. In realtà l 'apparente contiguità delle azioni risulta un artificio espressivo per esprimere una totale diversità di punti di vista, che possono essere accomunati soltanto dalla categoricità del manifestarsi: la prospettiva di un atteggiamento simile da par­te di Dio può indurre a recedere dalla condotta attuale degli inter­locutori. Del resto, totalmente diversa è la prospettiva, su cui Luca fa leva,3t del «guadagno�� per gli uomini e della «gloria» del Padre, del Figlio e degli angeli.

30 Si tratta, nella partizione proposta da GACHTER, Das Matthiiusevangelium, 314, dei cc. 10-12. La peculiarità dell'espressione lucana è colta da WEIFEL; Das Evange­lium nach Lukas, 178, per cui l'aschynesthai rappresenterebbe un sentimento esclusi­vamente divino, e non condiviso dagli esseri celesti.

31 ScHORMANN, Das Lukasevangelium, 547s ravvisava nel «dunque» (gar) il se­gnale della radicale diversità tra condotta divina e umana. J. GNILKA, Neutestamentli­che Theologie. Ein Oberblick, Echter, Wiirzburg 1989 (trad. it. Teologia del Nuovo Te­stamento, Queriniana, Brescia 1992), 25 definisce caratteristico di questo brano «il to­no di distacco».

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Gesù non esprime un parallelismo, per il momento attuale, tra la condotta degli uomini e quella di Dio: la sua constatazione riguarda la prospettiva ultima, anche se sorge da una percezione i cui presup­posti vanno ricercati nel tempo presente; e non esprime necessaria­mente un'esigenza esplicita di mutamento.32 I due atteggiamenti qui evidenziati, il rinnegamento e la vergogna, costituiscono evidente­mente due manifestazioni di quel rifiuto di cui ogni uomo sarà chia­mato a rendere conto.

Per quanto il contesto non presenti possibili riferimenti al con­creto agire di Dio, la situazione qui tratteggiata è particolarmente drammatica nel suo sollecitare ad assumere una posizione nei con­fronti di Gesù (e, in Luca, della sua parola); essa configura una pro­spettiva di inclusione o di definitiva esclusione dalla salvezza.33 Ma l'espressione di Gesù non sembra debba circoscriversi all'ecceziona­lità del momento, e si pone come più generale e desolata constata­zione sulla condotta degli uomini.

Il sentimento si può cogliere in tutta la sua forza, per quanto al­l'interno di una prefigurazione, che interroga direttamente i discepo­li. Il suo carattere fortemente relazionale, e consequenziale alla con­dotta attuale, lo avvicina con tutta evidenza al mondo dei sentimen­ti umani.

2. 7. Le 15,5: la gioia per il peccatore ritrovato («essere contento», chairo)

«Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantano­ve nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova? Ritro­vatala, se la mette in spalla tutto contento, va a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo: Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta. Così, vi dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore con­vertito, che per novantanove giusti, che non hanno bisogno di conversio­ne» (Le 15,4-7).

32 ScHNEIDER, Das Evangelium nach Lukas, 212 ravvisa qui l'intenzione del van­gelo di presentare il Cristo come Salvatore e non regolatore dell'agire degli uomini; sulla stessa linea KREMER, Lukasevangelium, 107, che sottolinea che non vi è alcuna identificazione esplicita con la venuta futura del Figlio di Dio.

33 MARSHALL, The Gospel of Lukas, 376 ipotizza che il testo faccia direttamente riferimento a situazioni di persecuzione e di confessione o rinnegamento del Cristo.

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La parabola fa breve riferimento alle reazioni «in cielo>> per la salvezza ritrovata da parte di chi era perduto: l' «essere contento» (chairo), espressione del sentimento, si riconnette a un termine più volte riferito ai discepoli, soprattutto nelle apparizioni successive al­la Pasqua. Del resto, esso riprende e amplifica l'attitudine del pasto­re e poi, in forma invitatoria, dei suoi amici, prospettando una larga condivisione.

La rappresentazione della gioia, caratteristica dell'annuncio luca­no, è strettamente connessa con l'atto del soccorso, e anzi ne scaturi­sce direttamente.34 Iniziativa ed effetto della salvezza appaiono stret­tamente congiunti nella persona del pastore, che si fa promotore di un gesto paradossale eppure coerente con il quadretto di vita quoti­diana.35 In contrasto con questo tono realistico, il futuro in cui è proiettata l'azione del successivo commento di Gesù la riferisce in primo luogo alla prospettiva escatologica.

L'efficacia nella rappresentazione del sentimento è data dal suo scaturire dal contrasto tra lo sforzo della ricerca e il successivo ritro­vamento; la gioia si pone come superamento, totale oblio delle diffi­coltà materiali in vista della salvezza che si apre.36 Essa non si esau­risce nelle circostanze contingenti, ma intende rivelare una disposi­zione più generale di Dio, che investe tutta l'esistenza del credente: in questo senso, può dirsi caratteristica della sensibilità di Luca.37 Si tratta perciò di una rappresentazione particolarmente efficace di un tratto abituale nel terzo vangelo, qui esteso a tutto il contesto esca­tologico («cielo») .

3 4 Luca s i riferisce con il termine di preferenza all'acclamazione gioiosa: cf. B.R. KINMAN, «The Stones will Cry out (Luke 19,40) . Joy or Judgement?», in CathBibQ 75(1994), 232-235.

35 Cf. per tale coerenza WEIFEL, Das Evangelium nach Lukas, 283; ERNST, Lukas, 122 ha parlato di atto di <<riabilitazione sociale>>. Per la rarità dei riferimenti alla gioia negli altri sin ottici, cf. TRTMAILLE, La Christologie de St-Marc, 150. Secondo J.-N. ALET­TI, Il racconto come teologia. Studio narrativo del terzo Vangelo e del libro degli Atti de­gli Apostoli, Dehoniane, Roma 1996, 199, l'intento di Luca è di suggerire qualcosa dei sentimenti di Dio quanto più comune è l'esperienza descritta.

36 Sulla prospettiva del superamento, cf. ERNST, Das Evangelium nach Lukas, 453. Sulla connessione tra gioia e salvezza, cf. W!KENHAUSER, Das Johannesevangelium, 286.

37 Cf. J. DuPONT, <<La parable de la brebis perdue (Mt 18, 12-14; Le 15,4-7)>>, in Gregorianum 49(1968), 265-287 , 277, che ne evidenzia la caratterizzazione dei gesti. JEREMIAS, Die Gleichnisse Jesu, 1 35 ha sottolineato il carattere escatologico e soterio­logico della gioia lucana.

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Per quanto emerga con naturalezza dal brano, l'espressione «es­sere contento» ( chairo) è distintiva della sensibilità di Luca. La gioia è sentimento raramente riferito a Dio nei vangeli, ma costitutivo del­l'atteggiamento del cristiano: Bultmann notava come essa sia costan­temente associata alla prospettiva ultima della sua esistenza nella vi­sione giovannea, come analogamente, seppure in forma non piena­mente esplicita, in questo passo.38 L'esortazione a rallegrarsi non può perciò non toccare, per quanto il quadro sembri svolgersi in una di­mensione appartata, tutti i destinatari del testo.

Le motivazioni della gioia appaiono nel contesto pienamente fondate. Essa non può considerarsi frutto di una reazione puramen­te emotiva, ma dipende dal rapporto con la volontà salvifica di Dio: la pecora viene ritrovata dopo sofferta ricerca, per iniziativa gratui­ta e non motivata se non dal senso profondo di appartenenza a una comunità.39 Il tema della conversione, cui allude la conclusione del� la parabola, è invece solo presupposto, ma essa è sollecitata con for­za dalla premurosità del pastore.

La gioia vienè presentata qui come sentimento condiviso tra quanti hanno parte alla salvezza, e non proprio esclusivamente di Dio: tutt'uno con la gioia del ritrovamento è il desiderio di metter­la in comune con altri.40 Oltre che termine condiviso nei vangeli con i discepoli, l'«essere contento» (chairo) si pone quindi come senti­mento abituale nella comunità celeste, di cui quella terrena è l'im­magine.

38 Cf. BuLTMANN, Das Evange/ium nach Johannes, 416s. Per un riscontro, cf. Gv 15,1 1 , ma in forma sostantivale. Sugli elementi rivelatori della gioia divina, cf. BAUER, Das Johannesevange/ium, 191 .

3 9 Non si tratta in ogni caso, osserva PORSCH, Johannes-Evangelium, 168, di una gioia costruita, ma derivante da Dio come un dono. Essa appare «doverosa» (E. BoRGHI, La responsabilità della gioia. Vivere il Vangelo secondo Luca, Paoline, Mila­no 2000, 163) sulla scorta dell'amore radicale del Padre. Per il rapporto tra peniten­za e gioia, cf. J. JEREMIAS, Neutestamentliche Theologie, Mohr-Siebeck, Giitersloh 1971 , 156ss.

40 Il testo pone sullo stesso piano secondo DuPONT, «La parable de la brebis per­due», l'espressione del sentimento di gioia per il ritrovamento e della comunanza nel­l'appartenenza alla famiglia di Dio.

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2.8. Gv 11,5: la gioia per il manifestarsi della salvezza («essere contento», chairo)

«<l nostro amico Lazzaro s'è addormentato; ma io vado a svegliarlo». Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se s'è addormentato, guarirà». Gesù parlava della morte di lui, essi invece pensarono che si riferisse al ripo­so del sonno. Allora Gesù disse loro apertamente: «Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, perché voi crediate. Orsù, andiamo da lui !» . Allora Tommaso, chiamato Didimo, disse ai condisce­poli: «Andiamo anche noi a morire con lui ! » (Gv l l ,llb-16).

Nell'ambito di un contesto per molti versi enigmatico, Gesù preahnuncia il miracolo che sta per compiere risuscitando Lazzaro. Il brano si inserisce all'interno di una pericope fortemente connota­ta in senso emotivo (cf. supra, § 2.3), che include anche sentimenti as­sai contrastanti con la gioia qui dichiarata.

La gioia che Gesù annuncia è chiaramente motivata dal prodigio che sta per compiersi - la risurrezione di Lazzaro dai morti -, che costituisce in Giovanni una chiara anticipazione della Pasqua. Si tratta di una dichiarazione unica, che sembra contrastare con la rilut­tanza altrove mostrata a compiere miracoli, e si oppone visibilmente alle resistenze dei discepoli al progetto di tornare verso Gerusalem­me.41 In senso più generale, essa traduce anche un atteggiamento prossimo all'esaltazione per l 'imminente manifestarsi della salvezza.

Il sentimento qui espresso assume un carattere strettamente re­lazionale, anzitutto perché intende coinvolgere i discepoli e prepa­rarli al miracolo imminente.42 Può lasciare perplessi, in questo senso, l'apparente contraddittorietà dell'agire di Gesù, che manifesta im­mediatamente prima del miracolo turbamento e pianto, anche se senza rivelarsi ai discepoli. Il testo presenta infatti un'evoluzione drammatica nella vicenda, cui l 'animo di Gesù non risulta estraneo,

41 Per l 'equilibrato alternarsi di atti e discorsi in questa sezione di Giovanni, cf. A. FEUILLET, Etudes johanniques, Desclée de Brouwer, Paris 1962, 143.

42 BARRETT, The Gospel according to St. John, 327 evidenzia come il testo sia tut­to orientato all'edificazione che i discepoli avrebbero ricevuto dal manifestarsi del mi­racolo. Secondo F.J. MOLONEY, <<Can Everyone be Wrong? A Reading of John 1 1 ,1-12,8», in NTSt 49(2003), 505-527, 512 è tipicamente giovanneo l'intento di una comu­nicazione eloquente della forza dei miracoli presso i discepoli.

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in una stretta dipendenza del manifestarsi dei suoi sentimenti dal momento contingente in cui essi sono espressi.

Attraverso l 'annuncio della propria gioia, Gesù ricerca un'inti­mità con i discepoli che essi, in base alle reazioni incerte e contrad­dittorie riportate dal testo, non si direbbero in grado di dimostrargli. L'intento di comunicazione del sentimento sembra sfuggire loro per­ché troppo dominati dall'urgenza del momento presente, con il suo orizzonte di incertezze e timori contingenti, cui la vicenda di Lazza­ro è estranea.43 Al di là della loro reazione, tuttavia, Gesù manifesta un moto, una forza decisiva, che vince ogni resistenza e apre alla rea­lizzazione del Regno.

Proprio della terminologia relativa all'intimità di Gesù, l'«essere contento>> (cha{ro) è originato dalla compassione per Lazzaro ed espresso a beneficio della fede dei discepoli. Nonostante la risposta non adeguata, questo sentimento evidenzia una forza autonoma, e che anticipa potentemente il realizzarsi della salvezza per Lazzaro e per l'umanità intera.

43 L'annuncio giovanneo consiste qui secondo H. CoNZELMANN, «xaipoo KtA.>>, in ThWNT, IX, 350-362, 361 nella fine dell'epoca antica e nell'annuncio di un'era di gioia. R. FABR!S, Giovanni, Boria, Roma 1992, 615 parla di «clima emotivo che in mo­do diverso contagia i vari protagonisti>>.

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I SENTIMENTI DELLA DIVINITÀ DI GESÙ

I sentimenti che possono definirsi propri della divinità di Gesù, per il fatto che il testo vi ricorre solo in riferimento a lui, costituisco­no un gruppo piuttosto esiguo nei vangeli: la natura della narrazio­ne, che almeno nei sin ottici evidenzia un contatto continuo con i suoi discepoli o con le folle intese nel loro complesso, rende rara l'espres­sione di sentimenti del tutto avulsi dal contatto con gli uomini. l Fat­to inusitato per la rappresentazione biblica della divinità, gli evange­listi attingono così quasi sempre allo stesso campo semantico cui si fa riferimento per gli altri personaggi evangelici.

Dei termini riferiti unicamente a Gesù uno, «avere misericordia» (makrothyméo) , è utilizzato in tutti i casi ad esprimere un'attitudine nei confronti degli interlocutori che, nelle parabole, si presentano al cospetto di Dio. Alcuni termini relativi al turbamento sono riferiti unicamente a Gesù, nel designarne l'atteggiamento di fronte alla morte e al destino; anche un termine indicante reazioni, «rattristar­si» (syllypéomai) , compare soltanto in riferimento a lui. Ma la serie dei sentimenti della divinità di Gesù è dominata dal termine splag­chnizomai, che è semanticamente collocabile tra il «provare genero­sità» e «provare misericordia», e si pone nei vangeli come il vero e proprio tratto caratterizzante della disposizione di Dio nei confron-

1 In quella che definisce «pretesa personale» di Gesù, KOMMEL, Die Theologie des Neuen Testaments, 75s sottolinea il sorprendente persistere del termine «uomo>> come autodefinizione. D'altra parte M. KARRER, Jesus Christus im Neuen Testament, Van­denhoeck & Ruprecht, Gottingen 1 998, 330 ha evidenziato gli elementi che nei van­geli contrastano la paganizzazione ellenistica degli attributi di Dio.

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ti degli uomini: esso si può connettere principalmente, per utilizzare categorie valide anche altrove, alla sfera delle reazioni, anche se in effetti costituisce un unicum nelle narrazioni evangeliche, condiviso da tutti i sinottici. Assolutamente peculiare, e perciò da ascriversi al­la sfera autonomamente definita delle rivelazioni, è da considerarsi «esultare» (agalliao), che designa un sentimento nello Spirito che getta una luce unica sul rapporto tra il Cristo e il Padre.

Sebbene quantitativamente esigua (sette lessemi) , la categoria dei sentimenti della divinità di Gesù assume un ruolo fondamentale, e forse meglio di tutte le altre contribuisce a illustrare l'animo di Ge­sù e la condotta di cui il credente deve farsi imitatore. Decisivo risul­ta rispetto agli altri termini l'orientamento di Gesù verso gli uomini nel manifestare questi tratti: conforme ai caratteri della Rivelazione, i sentimenti di Dio non appaiono mai isolati in un ambito inaccessi­bile, ma risultano comunque intesi in un'ottica relazionale, anche se, per il loro peccato, gli uomini non giungono a condividerli. Essi in­terrogano perciò particolarmente il credente sulla figura di Gesù, nella duplice funzione di modello per la loro condotta e di totalmen­te «altro» da loro.

A) ATTITUDINI

3.1. Le 18,7: La magnanimità di fronte alla preghiera dei figli («fare giustizia», makrothyméo)

«C'era in una città un giudice, che non temeva Dio e non aveva riguar­do per nessuno. In quella città c'era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: Fammi giustizia contro il mio avversario. Per un certo tem­po egli non volle; ma poi disse tra sé: Anche se non temo Dio e non ho rispetto di nessuno, poiché questa vedova è così molesta le farò giusti­zia, perché non venga continuamente a importunarmi». E il Signore sog­giunse: «Avete udito ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di lui, e li farà a lungo aspettare? Vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?» (Le 18,2-8).

La parabola della vedova importuna si chiude con un esplicito paragone con Dio, di cui è richiamato un sentimento peculiare, la ge­nerosità di fronte all'invocazione. Rispetto alla vicenda illustrata, la

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risposta di Dio alla preghiera viene qui rappresentata in forma indu­bitabile; semmai la domanda finale apre al dubbio sulla condotta de­gli uomini.

Il testo ricorre a una voce verbale, «fare giustizia» , secondo il sen­so complessivo della tradizione (makrothyméo), che non è stretta­mente correlata all'ambito del perdono, ma piuttosto a quello del giudizio, su cui si fonda del resto l 'allegoria, e indica la grandezza d'animo nell'esprimere un verdetto; l 'una e l 'altra attitudine costitui­scono comunque in Luca un diretto richiamo a Dio. Il contesto è col­loquiale, come indica il brusco passaggio dal congiuntivo all'indicati­vo;2 del resto, l 'insieme vuole costituire un richiamo pressante e par­ticolarmente eloquente della misericordia divina.

Il sentimento di Dio appare piuttosto conseguenza della pietà propria del giudice che risposta dovuta alla preghiera della vedova:3 la magnanimità esprime un moto del tutto autonomo e incausato dell'animo, più che una reazione. In base ai particolari forniti, si co­glie la larghezza delle attitudini, la perseveranza della vedova e la ge­nerosità di Dio, e non un effettivo sviluppo consequenziale interno al testo: gli eventi avrebbero potuto prendere una piega del tutto di­versa.4 Il brano non si preoccupa di fissare le motivazioni né le con­seguenze degli atti, ma solo di coglierne la misura sproporzionata ri­spetto all'iniziativa dei figli, costituita dalla preghiera.

Il «fare giustizia» (makrothyméo) appare in contrasto con la di­sposizione iniziale del giudice iniquo: il fatto che quest'ultimo rap­presenti Dio risulta sorprendente e ha suscitato non poche perples­sità.5 In realtà è la devozione dei figli, espressa attraverso la preghie­ra, che risulta elemento determinante, nella parte precedente della

2 Difficoltà crea anche la voce verbale all'indicativo presente; cf. KLOSTERMANN, Das Lukasevangelium, 178. J EREMIAS, Die Gleichnisse Jesu, 154 ritiene tali forme espressive proprie di un'attitudine aramaicizzante.

3 Per il tema della pietà, cf. WEIFEL, Das Evangelium nach Lukas, 315. ScHWEIZER, Das Evangelium nach Lukas, 185 ritiene invece che si presupponga una richiesta di giustizia, non menzionata, da parte dei poveri che invocano Dio.

4 MARSHALL, The Gospel of Lukas, 674 ha ipotizzato una serie di diversi atteggia­menti del giudice cui la situazione avrebbe potuto dare adito: il porsi in aspettativa, o il rimandare, o il tollerare il mancato adempimento di quanto dovuto.

5 Secondo GouLDER, Luke, 661s il soliloquio del giudice ha lo scopo di accresce­re nei destinatari la misura del contrasto con un atteggiamento puramente umano che si potrebbe ravvisare nelle sue reazioni.

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parabola: essa dà modo alla generosità di Dio, che è pronta e non ab­bisogna di sollecitazioni, di esprimersi in tutta la sua forza; in tal sen­so, l 'atteggiamento di Dio prelude alla ben più larga generosità esca­tologica, che Luca ripetutamente prospetta.6

Il nesso tra preghiera e misericordia è significativo della possibi­lità di sollecitare la manifestazione del sentimento di Dio, per quan­to esso sia del tutto autonomo e costante. Nel quadro di continuità così prospettato, emerge la domanda drammatica sul fondamento della fede, che introduce l'autentico problema del rapporto tra Dio e uomo.

3.2. Mt 18,27: la magnanimità e compassione di fronte all'invocazione di pietà («aver pazienza», makrothyméo; «impietosirsi», splagchnizomai)

«A proposito, il regno dei cieli è simile a un re che volle fare i conti con i suoi servi. Incominciati i conti, gli fu presentato uno che gli era debi­tore di diecimila talenti. Non avendo però costui il denaro da restitui­re, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, con i figli e con quanto possedeva, e saldasse così il debito. Allora quel servo, get­tatosi a terra, lo supplicava: Signore, abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa. Impietositosi del servo, il padrone lo lasciò andare e gli con­donò il debito. Appena uscito, quel servo trovò un altro servo come lui che gli doveva cento denari, e, afferratolo, lo soffocava e diceva: Paga quel che devi ! Il suo compagno, gettatosi a terra, lo supplicava dicendo: Abbi pazienza con me e ti rifonderò il debito. Ma egli non volle esau­dirlo, andò e lo fece gettare in carcere, fino a che non avesse pagato il debito» (Mt 18,23-30) .

L'avvio della parabola dei due debitori è segnato dalla richiesta di magnanimità, «aver pazienza» (makrothyméo), e dalla conseguente compassione, «impietosirsi» (splagchnfzomai), del re, che porta a un primo scioglimento della vicenda con l'inatteso e totale condono del debito; si tratta di un sentimento in radicale opposizione allo «sde-

6 ERNST, Das Evangelium nach Lukas, 145 ritiene il passo un'evidente anticipa­zione dei discorsi escatologici, in cui emerge la benevolenza del giudizio divino. KRE­MER, Lukasevangelium, 174 parla di prefigurazione della parusia.

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gnarsi» (orghizomai) che chiude la narrazione (cf. supra, § 1 .12).7 «Impietosirsi» (splagchnizomai) , in particolare, viene citato a desi­gnare l 'atteggiamento del re nel punto culminante della parabola, che nemmeno il servo sa od osa sollecitare; lo stesso re, richiamando al v. 33 il momento in cui si è mosso a pietà per il servo, utilizza un termi­ne diverso, «aver pietà» (e/eé6) .8 L'uso di «impietosirsi» (splagchnizo­mai) al participio aoristo, come altrove, indica sentimento certo e fer­mo già nei gesti in cui esso, immediatamente, si traduce.

Sono le parole stesse del re che ci rivelano la commozione di Dio, sebbene designandola appunto con u.n termine diverso e di na­tura pienamente umana, «aver pietà» (eleéo) . Data la reticenza in proposito del testo, sembra che sia la situazione nel suo complesso, non un gesto particolare, a determinare il sentimento del re; risulta anzi sufficiente l 'accorata richiesta di pietà, per quanto non adegua­tamente motivata, del servo.9 D'altro canto, la misericordia è speci­ficamente indirizzata al servo che invoca pietà: il v. 27 insiste sui di­mostrativi ( ekeinou, auto n, auto i), a indicare quanto il sentimento di Dio non sia indifferenziato, ma si appunti precisamente nei confron­ti di quel servo.

Il manifestarsi del sentimento del re appare tanto più notevole quanto enorme era l 'importo del debito, e terribili le conseguenze per il debitore; esso è legato con particolare evidenza a una situazio­ne di bisogno. 10 Il sentimento, nella sua gratuità, implica un genero­so moto dell'animo, ma risulta d'altra parte pienamente regolato da una decisione razionale («animo», thymos ) . Non si tratta che della

7 Collera e misericordia sono frequentemente associate nelle narrazioni bibli­che: cf. J. DuPONT, <<La parabola degli invitati al banchetto nel ministero di Gesù>>, in J. DuPoNT ET ALli ( edd. ), La parabola degli invitati al banchetto. Dagli evangelisti a Ge­sù, Paideia, Brescia 1 978, 279-329, 318.

8 W. GRUNDMANN, Das Evangelium nach Matthiius, Evangelische Verlagsanstalt, Berlin 31972, 424 sottolinea la maggiore intensità di splagchnizomai, riservato a Dio. Dio è «fine e misura>> della visione qui espressa (TRILLINO, Das wahre Jsrael, 130).

9 Il termine «aver pietà>> (eleé6) designa, come riconosceva R. BULTMANN, <<È'A.eÉro Kt'À.>>, in TWNT, II, 478, la pietà che si manifesta nel rapporto interpersonale, condivisibile da ogni uomo. KAHLEFELD, Die Gesta/t Jesu, 79 richiama al proposito l'e­pisodio di Le 15 per la compassione senza apparenti motivazioni del pastore verso la pecora smarrita (cf. supra, § 2.7).

10 GNILKA, Das Matthiiusevangelium, 352 rileva il ricorso a sp/agchnizomai da parte dei vangeli solo per rispondere a <<Situazioni di malattia o estremo bisogno>>, in cui si ricorre a un <<reciproco sostegno umano>>.

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prima delle azioni che nella parabola implicano una profonda com­partecipazione emotiva, ma anche un fermo atto di volontà: all'una e all 'altro il solo debitore risulterà radicalmente estraneo. 1 1

La narrazione è tutta condotta con riferimento alla passata mi­sericordia del padrone, e con chiara allusione al ruolo messianico del Cristo; essa non preclude l'accesso a sentimenti di misericordia anche agli uomini, sul modello di quelli di Dio. 1 2 La possibilità di una condivisione dei sentimenti tra Dio e uomo viene prospettata con grande evidenza dalle parole del re al v. 33; in particolare, vie­ne presentato come condivisibile sia il «lasciar andare» (aphiemi) che l '«aver pietà�� (eleéo) . Quanto alle azioni che il brano ci pre­senta come peculiari del comportamento del re o del debitore, si tratta di moti dell'animo nel caso del re («impietosirsi», splagchni­zomai; «adirarsi», orghizomai) , il cui drammatico contrasto è stato messo in luce dagli esegeti ; 13 e di azioni fisiche e anzi indicatrici di una certa brutalità nel caso del debitore («afferrare», kratéo; «soffocare», pnigo) . Tanto la condotta di Dio appare determinata dai sentimenti che insorgono nel suo intimo, quanto l'agire del­l 'uomo appare quasi ineluttabilmente legato al manifestarsi della sua condotta esteriore e impulsiva, non risult;mte �a una percezio­ne che abbia luogo a un livello più intimo. 14 È perciò per l'ottusa iniziativa del servo che si determina un'incolmabile distanza ri­spetto a Dio.

1 1 Questa posizione contrasta con il particolare clima di compartecipazione che la parabola sollecita, sottolineato da H.-T. WEEGE, Das Sondergut des Matthiius-Evan­geliums, TV, Zurich 1991 , 94. Come ha evidenziato S. GRAsso, «La parabola del re buono e del servo spietato (Mt 18,21 -35). Analisi narratologica>>, in RBiblt 46(1998), 19-41, 25, il narratore non fa conoscere la risposta del servo, ed anzi chiude abbastan­za bruscamente la scena che lo riguarda.

12 ScHNACKENBURG, Die Person Jesu Christi, 146 ritiene che la parabola si connet­ta agli insegnamenti sul buon uso delle ricchezze, considerando come ricchezza lo stesso condono del debito; il genitivo autou («vostro>>) del v. 35 non è tuttavia secon­do KLOSTERMANN, Das Matthiiusevangelium, 153 da connettere a splagchnizomai, ri­servato a Dio. JEREMIAS, Die Gleichnisse Jesu, 207ss ritiene che tutta la parabola sia co­struita per contrasto con la grandezza della misericordia divina. Secondo GNJLKA, Das Matthiiusevangelium, 147 l'episodio risulterebbe «incolore>> senza annettere ad esso una chiara implicazione cristologica.

13 H. KOsTER, <<<rnì..ayxvov Ktì...», in Th WNT, VII, 547-559. 14 ScHNACKENBURG, Die Person Jesu Christi, 150s ha interpretato l'immagine di

condotta determinata dai sentimenti di Dio come escatologica, in quanto suppone nell 'uomo un'attitudine in nessun modo constatabile nei suoi comportamenti attuali .

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È sulla realtà cui i sentimenti della parabola si rivolgono, concre­tizzata dalla somma del debito, che vi è assoluta incommensurabi­lità. 15 L'infinita bontà di Dio viene meno laddove egli deve constata­re l'assoluta mancanza di riconoscenza dell'uomo: i sentimenti della parabola non conoscono sfumature, e tutti concorrono a delineare un modello di comportamento profondamente radicato nel cuore ed espresso nelle azioni, privo di ogni risonanza e mediazione psicolo­gica. La risposta del re si sviluppa comunque su di un piano total­mente diverso da quello degli altri personaggi, e va oltre ogni possi­bile aspettativa: un sentimento che è alla base di tutto, ma resta ine­spresso anche al momento della successiva rivelazione del v. 33, in cui il re ripercorre la vicenda. Effetto esteriore ne è la totale e gra­tuita liberazione da ogni credito («lasciar andare», apolyo; «condo­nare», aphiemi) : 16 l'uso insistente di apo nei due verbi, così piena­mente evangelici, intende esprimere un senso di liberazione totale dal debito tanto gravoso.

Tra i sentimenti dei protagonisti emerge una sostanziale conti­guità. Ricorrente è il richiamo alla naturale propensione agli affetti familiari: gli schiavi sono oggetto di accorata considerazione da parte del padrone, e il loro resoconto (v. 31 : «andare a riferire», diasaphéo) tradisce un'intensa compartecipazione emotivaP Nessuno però con­divide la magnanimità originaria: dalla parabola emerge secondo Schnackenburg un'immagine di compassione che presuppone la fede

15 SAND, Das Evangelium nach Matthiius, 377 definisce l'incommensurabilità del­le azioni segno della natura incomprensibile della condotta di Dio, all'interno di una si­tuazione deliberatamente estremizzata. ERNST, Matthiius, 56 considera la radicalità del richiamo congruente con la forte immagine delle relazioni familiari della parabola.

16 L'interpretazione di ScHNACKENBURG, Matthiiusevange/ium, II, 35 ha ricono­sciuto nella figura del re una caratterizzazione prioritaria della sovrabbondanza del­l 'amore di Dio. L'eccezionalità dell'espressione del sentimento è sottolineata dall'as­senza di notazioni simili per gli altri personaggi: cf. J. DuPONT, «La parabola degli in­vitati al banchetto nel ministero di Gesù», in J. DuPONT ET ALli, La parabola degli in­vitati al banchetto. Dagli evangelisti a Gesù, Paideia, Brescia 1978, 279-329, 313s.

17 SAND, Das Evangelium nach Matthiius, 377 interpreta in questo senso <<per questo>> (dià toato) del v. 23. Il senso dell '<<addolorarsi>> (lypéo) dei servi è piuttosto discusso, oscillando tra la designazione di un sentimento di contrarietà (SAND, Das Evangelium nach Matthiius, 377) e uno di afflizione per una delusione patita. WEEGE, Das Sondergut des Matthiius-Evangeliums, 94 nota il particolare clima di comparteci­pazione che la parabola determina; ERNST, Matthiius, 45 considera il riferimento agli affetti familiari da riportarsi alla successiva nozione di <<famiglia di Dio>>.

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in Cristo, e che quindi mette radicalmente in discussione altre forme di comunanza tra gli uomini. 18 L'immagine che la parabola ci mette dinanzi è quella di un'umanità che vive dei sentimenti di misericordia che provengono da Dio: del resto, l'articolazione del testo coinvolge profondamente l'ascoltatore, specie nella forma interrogativa del v. 33; realizzazione perfetta ne è colui che è «fedele», in contrapposizio­ne all'infedeltà degli uomini. Thtti hanno dunque a che fare con la mi­sericordia di Dio, pur ponendosi in atteggiamenti contrastanti quan­to all'accettazione di essa.19

Il succedersi di due verba affectuum fornisce più di un 'indicazio­ne isolata, ma delinea nel padrone un'evoluzione emotiva;20 il punto di svolta tra i due stati è rappresentato dall '«allora» (t6te) del v. 32. Entrambe le azioni del re vengono presentate come frutto di un mo­to continuo dell'animo; e, in ultima analisi, ciò che viene rimprovera­to al debitore è non tanto la mancata realizzazione di un certo gesto, ma la maturazione di sentimenti analoghi ai suoi: «avere pietà» (eleéo) e lo stesso «condonare�� (aphiemi), se lo intendiamo nel signi­ficato originario di «rendere libero»; il testo intende presentare il primo sentimento come proprio di Dio, e il secondo come reazione alla condotta dell'uomo.

La provenienza dell'atto di misericordia totale e gratuito del pa­drone torna («da», ap6) nel modo più esplicito nell'ammonizione in chiusa alla parabola, al v. 35: dal «Cuore» (kardia) dell'uomo, in cor­rispondenza con le «Viscere» (sp/agchna) di Dio; in questo senso, il sentimento del re è da intendersi come proprio esclusivamente della divinità, ma può trovare un riscontro nella natura umana. La conso� nanza con Dio si configura come una conquista, ed è susseguente al­l'invocazione di cui parla il v. 26; essa si inquadra nella consapevolez-

J H ScHNACKENBURG, Die Person Jesu Christi im Spiegel der von vier Evangelien, 148. Anche dallo studio di GRAsso, <<La parabola del re buono e del servo spietato>>, 37 emerge che è l' immagine del Padre a fondare una nuova relazione tra i discepoli.

19 WoUTERS, « . . . wer den Willen meines Vaters tllt», 146 sottolinea la priorità che il testo riserva all'iniziativa divina. Sul concetto di <<fedeltà», cf. ERLEMANN, Das Bi/d Gottes in den synoptyschen G/eichnissen, 89. Per il nesso tra misericordia e umanità nella parabola, cf. W. TRILLINO, Hausordnung Gottes. Eine Auslegung von Matthiius 18, Patmos, Diisseldorf 1960.

2° Cf. R. FABRIS, Matteo, Boria, Roma 1996, 395 . ERLEMANN, Das Bi/d Gottes in den synoptischen Gleichnissen, 91 ha sottolineato la funzione parenetica della rappre­sentazione dello slancio di bene, originariamente trattenuto, da parte di Dio.

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za piena di una distanza, espressa dalla forte cesura tra i due mem­bri della frase, a sottolineare i quali è inserito un «a me» (mo{) e un «a te» (so{). La domanda di condivisione dei sentimenti espressi dal­la parabola risulta così più esplicita che altrove: il richiamo alla sede da cui essi devono sgorgare (v. 35: «dai vostri cuori» , apò ton kardion hymon) richiede un atteggiamento del tutto autentico.2 1 L'accesso alla gioia, fine ultimo della parabola, è però fortemente condiziona­to dalla condotta personale, che può determinare un mutamento brusco e radicale nell'atteggiamento di Dio.22

Attraverso un drammatico rovesciamento di prospettive, l'illimi­tata generosità del re diviene nel prosieguo della parabola ira infles­sibile. È nella nettezza della situazione delineata che questi due sen­timenti possono trovare espressione e piena legittimazione come at­titudini proprie di Dio, con cui la vicenda di fede del credente deve costantemente misurarsi.

B) TURBAMENTO

3.3. Mc 14,33; M t 26,37: il turbamento di fronte alla morte («sentire paura/provare tristezza», ekthambéomaillypéomai; «provare angoscia», ademonéo)

Giunsero intanto a un podere chiamato Getsemani, ed egli disse ai suoi discepoli: <<Sedetevi qui, mentre io prego». Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e cominciò a sentire paura e angoscia. Gesù disse loro: <<La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate» (Mc 14,32-34).

Allora Gesù andò con loro in un podere, chiamato Getsemani, e disse ai discepoli: <<Sedetevi qui, mentre io vado là a pregare». E presi con sé Pie­tro e i due figli di Zebedeo, cominciò a provare tristezza e angoscia. Dis­se loro: «La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me» (Mt 26,36-38).

21 SAND, Das Evangelium nach Matthiius, 379 insiste sul superamento attraverso tale espressione del concetto di limite.

22 Sulla gioia come ricompensa nella parabola, LucK, Das Evangelium nach Matthiius, 204.

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Fatto eccezionale per i racconti della Passione, estremamente so­bri nel ricorso a verba affectuum, lo stato d'animo di Gesù è espres­so in questi passi da una coppia di verbi. L'avvicinarsi dell'arresto e degli eventi successivi imprime alla narrazione una drammaticità che travalica la collocazione cronologica, e richiama, gettando una luce sullo stato d'animo di Gesù, la sfera dei sentimenti condivisi con tut­ti gli uomini nel «sentire paura/provare tristezza» (ekthambéomai/ lypéomai), e con un termine riferito solo a Gesù, il «provare ango­scia�> (adémonéo).

Rispetto alle altre occorrenze evangeliche dei termini indicanti turbamento, la sofferenza è qui non evocata, ma personalmente e fi­sicamente vissuta; la rappresentazione degli effetti fisici della morte prevale anzi su ogni tratto psicologico, di cui «non c'è traccia» (Klo­stermann).23 Per quanto nulla emerga dei pensieri di Gesù se non il suo atteggiamento di preghiera, è evidente l'incombere della morte, intesa come «possibilità attuale» (Schmithals) ,24 che trova fisicamen­te consistenza nella sudorazione; essa si risolve però pienamente non in una lotta da solo a solo col proprio destino, ma in un pieno affi­darsi al Padre.

L'insistenza sullo stato d'animo di Gesù esprime il desiderio del­l'evangelista di far accedere pienamente ad esso; il termine «prova­re tristezza» (lypéo) che compare in Matteo, è stato valutato come più tenue del «sentire paura�� (ekthambéomai) cui ricorre Marco.25 Il rapporto tra i termini prescelti sembra essere in entrambi i casi com­plementare, piuttosto che denotare un andamento ascendente: ac­canto alla tristezza derivante dagli eventi esterni, si manifesta un'in­timo turbamento, modulato attraverso i due diversi sentimenti della «tristezza» e della «paura», che si impadronisce di tutta la persona di Gesù; ciò nonostante un certo grado di indeterminatezza è insito nel

23 E. KLOSTERMANN, Das Markusevangelium, Mohr-Siebeck, Tiibingen 1971 , 150. Insiste sull'assenza di ogni riferimento eroico o psicologico GNILKA, Das Matthiiuse­vangelium, ad l. Sulle differenze tra sofferenza evocata e vissuta nei vangeli, cf. ScHWEIZER, Das Evangelium nach Matthiius ubersetzt und erkliirt, 179.

24 SCHMITHALS, Das Evangelium nach Matthiius, 637, che ha richiamato le espres­sioni di alcune passioni di martiri. Secondo L. MoRRIS, The Gospel according to Matthew, Eerdmans, Grand Rapids 1 992, 667 non l'evento della morte è evocato agli occhi di Gesù, ma il modo in cui essa dovrà essere vissuta.

25 Per lypé6 cf. SAND, Das Evangelium nach Matthiius, ad 1. ; per l'uso eccezionale di «provare angoscia» (adémoné6) cf. KLOSTERMANN, Das Matthiiusevangelium, 211 .

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ricorso a «provare angoscia» (ademonéo) . La presenza di più verbi e una certa alterazione del ritmo narrativo tradiscono l'intensità del sentimento che si vuole rappresentare.26

Si è spesso interpretata la sofferenza espressa al Getsemani co­me manifestarsi di una reazione umana alla prospettiva della morte incombente;27 e la terminologia suggerisce una piena condivisione da parte di Gesù di tratti comuni a tutti gli uomini.28 Certo non si trattava di un sentimento nobile per la mentalità ellenistica, che lo considerava irrazionale e frutto di una lotta lacerante dell 'animo; e ancor meno per la visione teologica ebraica.29 In tal modo, la figura del Cristo viene riportata a una dimensione assolutamente peculia­re, proprio attraverso la condivisione dei sentimenti comuni.

L'appressamento alla morte costituisce il presupposto dell'episo­dio, e senza dubbio il timore e l'angoscia di Gesù sono quelli di un condannato a morte.30 Ma la rappresentazione dei sentimenti da par­te dell'evangelista fa riferimento a un quadro più ampio, sottolinean­do l'intima e costante comunione con il Padre, che viene indiretta­mente sollecitata nei credenti tramite la testimonianza dei discepoli più vicini a Gesù. In questo senso, si possono evincere motivi ulterio-

26 La resa narrativa è secondo GAcHTER, Das Matthiiusevangelium, 864 «incerta», proprio a rendere l 'intensità del sentimento di Gesù.

27 ScHENK, Die Sprache des MatthiiltS, 341 parla di «forte reazione emotiva». Se­condo U. SoMMER, Die Passionsgeschichte des Markumsevangeliwns. Oberlegungen zur Bedelllung der Geschichte fiir den Glauben, Mohr-Siebeck, TUbingen 1993, 106 si trat­ta, tra le manifestazioni di debolezza umana, di quella che meglio rivela agli occhi del lettore l'umanità del Cristo. Anche SCHNACKENBURG, Die Person Jesu Christi, 207 ha sot­tolineato i tratti umani dell'episodio, pur evidenziandone il carattere di estrema e so­vrumana immersione nel dolore; E. LoHMEYER, Das Evangelium des Matthiius, Van­denhoeck & Ruprecht, Gottingen 1958, 361 individua invece come prevalente nel te­sto l'espressione di una superiore consapevolezza del Cristo della sorte cui va incontro.

28 Una suggestiva analisi delle reazioni comuni di Gesù di fronte alla morte in B. VAN IERSEL, MarkltS. Kommentar, Patmos, Diisseldorf 1993, 227 (trad. it. Marco. La let­tura e la risposta. Un commento, Queriniana, Brescia 2000) .

29 Il contrasto con la mentalità corrente sia nell'ambiente ellenistico che ebraico è stato indicato da J.H. NEYREY, «The Absence of Jesus' Emotions», in Bib 61(1980), 153-171 come una delle cause della mancata rilevazione esplicita in Luca dello stato d'animo di Gesù. G. BORNKAMM, Jesus von Nazareth, Kohlhammer, Stuttgart 141988 (trad. it. Ges1ì di Nazaret: i risultati di quaranta anni di ricerche sul «Gesù nella storia», Claudiana, Torino 1977), 143 ha illustrato i motivi della difformità di questo passo dal­le imma,.gini del divino correnti in ambito giudaico.

30 E soprattutto ademonéo, secondo GRUNDMANN, Das Evangelium nach Markus, 291s a esprimere la paura della morte incombente.

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ri di angoscia che non la sofferenza personale del Cristo: l 'interruzio­ne violenta dell'azione evangelica, il fallimento del rapporto con i di­scepoli, il distacco dalla città.31

La dimensione di sconfitta legata all'esperienza del Getsemani sembrerebbe implicare un drammatico rovesciamento della figura del Cristo come modello. Thttavia, il testo intende porre dinanzi al lettore l'esempio di condotta che egli, sofferente e sul punto di esse­re sconfitto, continua a rappresentare con la preghiera insistente e l 'obbedienza piena e incondizionata a Dio; determinante in tal sen­so il fondamento scritturistico, con il richiamo alla figura del giusto sofferente.32 Il carattere paradossale della Passione rappresenta una dimensione decisiva anche nell 'apparente sconfitta.

L'intensità con cui i sentimenti emergono dal testo costituisce, in una percezione nuova del rapporto tra individuo e realtà, il fonda­mento di un modello di condotta valido per ogni credente. I tratti che risultano dall'immagine di Gesù sono assolutamente antieroici e lontani da ogni intento introspettivo, eppure fondanti di una nuova concezione dell'umanità e dell'espressione di essa.

3.4. Gv 11,33: lo sconvolgimento di fronte al destino («commuoversi», embrimaomai; «turbarsi», tarasso; «scoppiare in pianto», dakryo)

Maria, dunque, quando giunse dov'era Gesù, vistolo si gettò ai suoi pie­di dicendo: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe mor­to !» . Gesù allora quando la vide piangere e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente, si turbò e disse: <<Do­ve l 'avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere !» . Gesù scoppiò in pianto. Dissero allora i Giudei: «Vedi come lo amava!» . Ma alcuni di

3 1 Per il tema del distacco, cf. J. ScHREIBER, Die Markuspassion. Eine redaktion­sgeschichtliche Untersuchung, de Gruyter, Berlin-New York 21993, 342. T. VOGT, Ang­st und Identitiit im Markusevangelium. Ein textpsychologischer und sozialgeschichtli­cher Beitrag, Vandenhoeck & Ruprecht/Universitatsverlag, Gtlttingen-Freiburg 1993, 93 riconosce la rappresentazione del turbamento come esemplare di tutta la condot­ta di Gesù.

32 È in particolare il salmo 42 l'unica fonte di questo passo secondo GNrLKA, Das Evangelium nach Markus, ad l. Sul rapporto di necessaria implicazione tra preghiera e obbedienza piena che il testo mette in evidenza ha insistito LucK, Das Evangelium nach Matthiius, 289.

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loro dissero: «Costui che ha aperto gli occhi al cieco non poteva anche far sì che questi non morisse?» (Gv 1 1 ,32-37).

Il brano di Giovanni che precede la risurrezione di Lazzaro è uno dei luoghi dei vangeli di maggiore intensità emotiva, con il ricorrere di vari verba affectuum in riferimento alla persona di Gesù, anche a disegnarne un'evoluzione. Il «commuoversi» (embrimiwmai), cioè l'alterazione interiore, è considerato un tratto fortemente giovan­neo;33 il «turbarsi>> (tarass6) che esso provoca è stato invece ricono­sciuto vicino ad alcune espressioni di Marco; lo «scoppiare in pian­to» (dakryo) è espresso con un termine riferito nei vangeli al solo Gesù.34 Dei termini, «turbarsi» (tarass6) è quello che più direttamen­te anticipa i sentimenti della Passione; l 'afflizione (embrimiwmai) è da mettere in più diretta connessione con la mancanza di fede dei presenti.35 Ma è «piangere» nella forma dakry6 che è usato solo qui, come atto distintivo del Cristo.36 In ogni caso, pur facendo riferimen­to a sentimenti in parte attribuiti anche ad altri uomini nei vangeli, il clima emotivo è assolutamente peculiare.

La reazione di Gesù si origina nell'episodio dall'esplicito annun­cio, affidato alla coralità dei presenti, della morte di Lazzaro. La vi­cenda crea una situazione «contraddittoria» (Gnilka) tra la desolata constatazione della morte e l'aspettativa della potenza vivificatrice del Cristo;37 si può dire che tale contraddittorietà possa riflettersi in

33 Sul carattere giovanneo, cf. W. RINBOLD, Der ii/teste Bericht uber den Tod Jesu. Literarische Analyse und historische Kritik der Passionsdarstellungen der Evangelien, de Gruyter, Berlin-New York 1994, 88.

34 ScHULZ, Das Evangelium nach Johannes, 160. Sul pianto come elemento di ri­conoscimento di Gesù come Dio in Giovanni, cf. H. REGENSTORF, <<KMxi.ro KtÀ.», in ThWNT, III, 721-725, 722.

35 Si tratta secondo VoiGT, Licht, Liebe, Leben, 181 di un autentico moto di prote­sta per la mancanza di fede dei credenti. BAUER, Das Johannesevangelium, 153 parla di sovrannaturale anticipazione del c. 13. Lo studio di A. MARCHADOUR, Lazare. Histoire d 'un récit, récits d'une histoire, Cerf, Paris 1988, 93ss si è interrogato sull'opportunità di caratterizzare questa sezione come finale o iniziale, o come una parte cerniera.

36 Sul particolare valore di dakryo rispetto a klaio; cf. SnssE, <<A Tomb with a View», 45.

37 GNILKA, Johannes Evangelium, 92. Giovanni sottolinea a più riprese, come ri­levato da PoRSCH, Johannes-Evangelium, 120, il cordoglio determinato in tutti dalla morte di Lazzaro. Lo studio di E. PLUMER, <<The Absence of Exorcism in the Fourth Gospel>>, in Bib 78(1997), 350-368, 358 ha messo in evidenza l'intento del testo di non presentare comunque l'operato di Gesù con contorni magici.

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Gesù stesso, che sembra cedere alla commozione di fronte al destino di Lazzaro e di ogni uomo, e nel contempo dà disposizioni ai presen­ti.38 Tuttavia, non è possibile considerare la reazione di Gesù come dettata da un'attitudine puramente umana; e il testo sottolinea l 'im­possibilità di una comprensione da un punto di vista omologo al cor­so degli eventi.39

È caratteristica della narrativa giovannea l 'attenzione con cui vengono messi in luce i presupposti dell'episodio nell 'agire dei pro­tagonisti. Le battute preparatorie rivolte ai discepoli, di inconsueta ampiezza, sottolineano l'importanza dell'episodio, di cui il pianto di Gesù costituisce il momento centrale; la commozione si manifesta non in modo improvviso, ma in seguito a un dialogo serrato.40 Anche le ripercussioni del pianto sono ben messe in luce: le osservazioni dei giudei sottolineano il significato dell'espressione del sentimento di Gesù, evidenziandone l 'eccezionalità.

Il vangelo giovanneo si rivela qui particolarmente sensibile al manifestarsi dei sentimenti di Gesù ai più intimi.41 Non sono manca­te ipotesi che negano la paternità giovannea della sezione dei vv. 34-38, che appare come un resoconto drammatico inconsuetamente di­retto; le reazioni dei discepoli risultano particolarmente inadeguate rispetto ad altri episodi, e denotano una mancanza di sintonia e «sim-

38 Ha sottolineato come Gesù sia ininterrottamente presente a se stesso nella narrazione LÉON-DUFOUR, Lecture de l 'évangile selon Jéan, II, 415. Secondo J. GRo­SEJAN, L'ironie christique. Commentaire de l'Évangile se/on Jean, Gallimard, Paris 1991, 184, è l'esplicitazione del dolore che induce Gesù a una piena condivisione dei sentimenti umani: «il dolore sul volto degli amici, il distacco da chi ci è caro, è penoso per tutti, persino per Gesù» (V. PAGLIA, Rinascere. Il vangelo di Giovanni in un tempo di crisi, San Paolo, Cinisello Balsamo 1995, 70).

39 Secondo BARRETI, The Gospel according to St. John, 400 il testo lascia voluta­mente nell'ombra motivazioni ulteriori. In questo senso, secondo le affermazioni di M. LABAHN, Jesus als Lebensspender, de Gruyter, Berlin-New York 1999, 462s, siamo di fronte a una delle manifestazioni più evidenti del dominio di Gesù sulla morte. Le rea­zioni di Gesù sono classificabili in modo analogo secondo T.E. PoLLARD,lohannine Ch­ristology and the Early Church, Cambridge University Press, Cambridge 1970, 18s.

40 R.T. FoRTNA, The Fourth Gospel and lts Predecessors, Edinburgh, Fortress 1988, 99 considera questa parte alla stregua di un «Commento editoriale>>. Sulla con­nessione tra il pianto e i dialoghi che inquadrano, d. LÉON-DUFOUR, Lecture de l 'évan­gile se/on Jéan, II, 425.

41 Secondo R. ScHNACKENBURG, Die sittliche Botschaft des Neuen Testaments. Die urchristliche Verkiindiger, Herder, Freiburg 51988 (trad. it. Messaggio morale del Nuo­vo Testamento, Paoline, Roma 1981) , 160 emerge con particolare chiarezza dal clima del brano la connessione giovannea tra fede e amore.

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patia» (Schnackenburg) con Gesù.42 Particolare è comunque tutto il clima dell'episodio, e la intensità del sentimento di Gesù sembra evi­denziare come il suo agire si rivolga, tramite la cerchia dei suoi più intimi, a tutta l'umanità.

Il resoconto dettagliato dei fatti, con la sua inusuale concitazio­ne, è indicativo della peculiarità dei sentimenti di Gesù in questa cir­costanza. Il pianto si differenzia dalle altre espressioni di cordoglio riscontra bili nei vangeli, oltre che per la scelta del lessema, per la sua intensità e per il numero dei testimoni presenti, che impersonano l'intero genere umano.43 Troviamo qui rappresentata una tipologia dei sentimenti anomala, oltre che per la consuetudine evangelica, per la cultura del tempo, che rovescia lo stereotipo proprio della figura maschile dell'assenza di pianto.44 Proprio la commozione è sintomo non di debolezza, ma della compartecipazione salvifica del Cristo.

Il sentimento di commozione contrappone fortemente la perso­na di Gesù a quanti lo circondano. Le reazioni dei presenti appaiono al confronto molto più incerte e mediate, senza che essi percepisca­no in se stessi la pienezza del sentimento; in particolare, la precisa­zione «profondamente» (toi pneumati) sembra a Schnackenburg in­dice del livello puramente interiore su cui Gesù, a differenza di ogni altro, vive l'episodio.45 L'espressione sollecita comunque quella «prossimità a Gesù» (Zumstein) che il Quarto Vangelo a più riprese evidenzia come l 'autentica dimensione del cristiano.46

Le motivazioni più profonde del pianto, senza dubbio da ricon­nettersi all'intensità dell'affetto per Lazzaro, non sono esplicitate dal

42 ScHNACKENBURG, Das Johannesevangelium, Il, 423. Esprime dubbi sulla pater­nità giovannea FORTNA, The Fourth Gospel and Its Predecessors, 106s. E. RucKSTUHL - P. DscHULNIGG, Stilkritik und Verfasserfrage im Johannesevangelium. Die Johannei­sche Sprachmerkmale auf dem Hintergrund des Neuen Testament und des zeitgenossi­schen hellenistischen Schrifttums, Vandenhoeck & Ruprecht, Gottingen 1991 , 63 rico­noscono invece nel passaggio da tale sezione al resto della narrazione una tipica for­mula giovannea.

43 ScHNACKENBURG, Das Johannesevangelium, Il, 422 interpreta il pianto come ri­volto alla profonda ingiustizia della condizione attuale dell'umanità. BuLTMANN, Das Evangelium nach Johannes, 310 citava il passo come esemplare per l'indirizzarsi del­l'agire di Gesù oltre il fine della conversione dei giudei.

44 Sulla novità del pianto in una figura maschile, cf. ERNST, Johannes, 102. 45 ScHNACKENBURG, Das Johannesevangelium, II, 420s. 46 ZuMSTEIN, <<Le disciple bien-aimé», 58. Sulla stessa linea, BARRETT, The Gospel

according to St. fohn, 401 ritiene l'espressione parallela al successivo en autòi.

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testo evangelico. Si è pensato a una reazione almeno in parte estem­poranea: Bultmann la interpreta come compianto di Gesù sulla man­canza di fede dei presenti, e indirettamente di tutti gli uomini;47 Wikenhauser vi riconosce invece un moto dinanzi al potere distrut­tivo della morte.48 L'esplicito richiamo all'amore da sempre nutrito da Gesù sembra comunque orientare in primo luogo alla continuità del suo sentimento, e al suo essere incline a commuoversi per il po­tere della morte sull'umanità.49

Per molti versi, il sentimento di Gesù appare indipendente dallo svolgimento dei fatti: il resoconto giovanneo non sembra evidenziare da parte sua un mutamento di decisione, nemmeno a seguito dello sconvolgimento. 5° Sono stati riconosciuti nel termine «commuoversi» (embrimaomai) gli estremi di una privazione della volontà di agire;51 ma l'azione salvifica del Cristo risulta collocata su un piano del tutto diverso da quello delle sue reazioni emotive. Rispetto ad altri episodi, non si può parlare di semplice sensibilità esistenziale, ma di uno sguar­do superiore, eppure pienamente partecipe della sofferenza umana.

L'eccezionalità dell'episodio consiste nel suo delineare con par­ticolare chiarezza l'atteggiamento di Gesù di fronte alla morte. Il suo valore anticipatorio della resurrezione è evidente, e largamente per­cepito nella tradizione della Chiesa; esso rende tangibile l'annuncio della liberazione dalla morte che percorre tutto il Vangelo di Gio-

47 In ciò, vi sarebbe una chiara premonizione delle parole del Risorto: cf. BuLT­MANN, Das Evangelium nach Johannes, 310. Anche GNILKA, Johannes Evangelium, 89 considera il pianto indotto dal mettere alla prova la fede di Lazzaro. La preminenza dell'affetto per Lazzaro, al di là degli interventi delle due sorelle e dai sovrasensi del testo, è ribadita da L. DEviLLERS, «Les trois témoins: une structure pour le quatrième évangile», in RBib 104(1997), 40-87, 69.

48 Così WIKENHAUSER, Das Johannesevangelium, 216. 49 La continuità del sentimento secondo ScHNEIDER, Das Evangelium nach

Johannes, 211 ne richiama volutamente la persistente intensità; HANCHEN, Das Johan­nesevangelium, 399 ha sottolineato il carattere comunque sempre reticente dei richia­mi all'amore di Gesù. LÉON-DUFOUR, Lecture de /'évangile selon Jéan, II, 422s vi rico­nosce un moto interiore non rivolto ad alcuna persona, ma all'intera umanità.

sn BARREIT, The Gospel according to St. fohn, 390 osserva che la precisazione del­l'evangelista sul ritardo con cui Gesù giunge sul posto sembra non presupporre alcuna predeterminazione. Come sottolinea ScHNACKENBURG, Das Johannesevangelium, Il, 421, i l resoconto ci storna così radicalmente da quell'immagine di <<uomo divinizzato», dalle reazioni nobili e sotto il controllo della volontà, comune nella cultura ellenistica.

51 ScHNEIDER, Das Evangelium nach Johannes, 216. THOSING, Die Erhohung und Verherrlichung Jesu im Johannesevangelium, 81 ha evidenziato comunque la totale di­versità dell'afflizione di Gesù qui rispetto ad altri episodi evangelici.

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vanni.52 Attraverso la narrazione, si delinea un elemento decisivo per il destino dei credenti, e per la loro ricerca di un Dio che non resta indifferente di fronte alla morte, ma la percepisce con un'intensità, per quanto altrimenti fondata, riscontrabile in ogni uomo.

C) REAZIONI

3.5. Mc 3,5: l 'afflizione per la durezza di cuore (<<rattristarsi>>, syllypéomai)

Egli disse all'uomo che aveva la mano inaridita: <<Mettiti nel mezzo!». Poi domandò loro: «È lecito in giorno di sabato fare il bene o il male, salva­re una vita o toglierla?>>. Ma essi tacevano. E guardandoli tutt'intorno con indignazione, rattristato per la durezza dei loro cuori, disse a quell'uo­mo: «Stendi la mano ! >> . La stese e la sua mano fu risanata (Mc 3,3-5).

In occasione di uno dei primi miracoli riportati, il testo di Marco si discosta dall'abituale stile scarno di particolari per soffermarsi con ben due termini, «indignazione>> (orgM) e «rattristarsi» (syllypéo­mai), sulla disposizione interiore di Gesù. La notazione appare sor­prendente nel contesto, e piuttosto anomala anche dal punto di vista della costruzione grammaticale; ma essa è eloquente del clima di confronto dialettico in cui i miracoli hanno luogo e di un aspetto de­cisivo del rapporto che si istituisce sul piano emotivo con gli interlo­cutori.53 L'uso del termine «rattristarsi» (syllypéomai) unicamente in riferimento al Cristo è indice dell'intento di sottolineare un senti­mento peculiare della sua persona.54

52 Sul tema del «vedere» la salvezza come caratterizzante tutta la seconda parte di Giovanni, cf. B. BEUTLER, Habt keine Angst. Die erste johanneische Abschiedsrede (Joh 14) , Katholisches Bibelwerk, Stuttgart 21990, 78ss. Per gli elementi anticipatori dell'episodio dal punto di vista letterario, cf. HANCHEN, Das Johannesevangelium, 211s.

53 Secondo W. WEISS, « Eine neue Lehre in Vollmacht». Die Streit- und Schulge­spriiche des Markus-Evangeliums, de Gruyter, Berlin 1989, l l ls si tratta di un auten­tico hapax espressivo; la costruzione asindetica, nota REISER, Markus-Philologie, 158s traduce una concitazione poco usuale in Marco. Per la collocazione non cronologica del passo. cf. GRANT, The Gospels, 89.

54 D. B. TAYLOR, Mark s Gospel as Literature and History, SCM, London 1992, 223 sottolinea l'assoluta unicità del significato del termine. R. BuLTMANN, «À\lltÉro KTÀ.>>, in ThWNT, IV, 314-325, 325 ritiene invece la forma rafforzata non sostanzialmente dis-

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Il riferimento allo stato d'animo è indicativo di una situazione gravida di sentimenti , benché il resoconto risulti estremamente po­vero di indizi in tal senso. 55 Le notazioni sono riportate in piena con­tinuità con il tema della guarigione fisica, come correntemente in Marco; è evidente la compartecipazione interiore di Gesù, che si fa intima vicinanza nel contatto fisico col malato, e lascia affiorare il suo sentire in contrasto con la durezza di cuore dei presenti.56 Il te­sto realizza dunque un pieno equilibrio tra dimensione fisica ed in­teriore, senza riservare in alcun modo un ambito separato alla mani­festazione dei sentimenti.

Il moto di Gesù scaturisce dall'osservazione del comportamento dei presenti; il successivo gesto di guarigione si pone come manifesta­zione eloquente di un'azione che si inserisce nel piano di salvezza, si­gnificativamente contrastante con la irresoluta complicità dei presen­ti. Si realizza così visibilmente una drammatica contrapposizione tra Cristo e gli uomini;57 è significativo come, tuttavia, la terminologia si riferisca a sentimenti di Gesù pienamente condivisi con l'umanità.

L'episodio porta a una drammatica contrapposizione di ruoli ol­tre che di azioni. La durezza di cuore dei presenti segna l 'inacco­glienza all'amore messianico, eloquentemente espresso attraverso la guarigione: per questo motivo, la figura di Gesù risulta isolata nella manifestazione del suo sentimento, senza alcuna partecipazione da parte dei discepoli; anche il silenzio ha la funzione di sottolinearlo, e

simile da quella semplice. Per W. KAHL, <<lst er urlaubt am Sabbat leben zu retten oder zu ti:iten? (Mark. 3 :4). Lebenswahrung am Sabbat im Kontext der Schriften vom To­ten Meer und der Mischna>>, in NovTest 40(1998), 313-335, 316, tutta la persona di Ge­sù appare qui <<portatrice di un potere numinoso>>.

55 E. LoHMEYER, Das Evangelium des Markus, Vandenhoeck & Ruprecht, Gottin­gen 1937, 69s credeva di cogliervi ira e compassione, segno della divinità. Come ha messo in evidenza R. SCHMOCKER, <<Zur Funkti'on der Wundergeschichten im Marku­sevangelium», in ZeitNTWiss 84(1993), 1-26, 25, il sentimento di Gesù va inteso come reazione, comprensibile solo all'interno del contesto e perciò da interpretarsi in stret­ta relazione con la vicenda.

56 I gesti sono orientati ad esprimere la vicinanza di Gesù a chi è malato: cf. F. RuPPRECHT, Krankenheit als Erfahrung des Lebens. Eine biblisch-exegetische Studie, Fest, Heidelberg 1992, 169. Sull'assenza di distinzioni tra piano psicologico e fisico, cf. TAYLOR, Mark 'l· Gospel as Literature and History, 92.

57 GRUNDMANN, Das Evangelif!m nach Markus, 73 parla di reazione al sovverti­mento dell'ordine divino cui i presenti sembrano tendere. SCHMITHALS, Das Evange­lium nach Matthiius, 195 individua qui un'accezione del <<cuore>> non solo come sede delle sensazioni, ma anche della percezione che dà impulso alla volontà.

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ne evoca la problematicità.58 L'effetto è un eccezionale rilievo con­ferito alla figura del Maestro, ma anche una definizione della sua missione in termini di contrapposizione alla sensibilità comune. 59

I gesti e le parole di Gesù contribuiscono a una piena esplicitez­za sul motivo più evidente di contrasto con i presenti, l'osservanza delle prescrizioni della legge: il rapporto con esse è stato motivo di discussione tra gli esegeti, per quanto il testo dia conto di un'opposi­zione estemporanea più che di una critica circostanziata.60 Gli inter­locutori vengono comunque presentati come seguaci solo in senso formalistico della Legge, e come tali non animati da autentico spiri­to religioso; l 'atteggiamento che Gesù esprime trova invece ben maggiore rispondenza nei Profeti.61 La disposizione interiore appa­re così la via per il vero compimento della Legge e per il realizzarsi dell'umanità nella sua pienezza, al di là di ogni vincolo prescrittivo.

3.6. Mc 1,41: la compassione che genera il miracolo («essere mosso a compassione», splagchnizomai)

Allora venne a lui un lebbroso: lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi guarirmi ! >> . Mosso a compassione, stese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, guarisci ! >> . Subito la lebbra scomparve ed egli guarì. E, ammonendolo severamente, lo rimandò (Mc 1 ,40-43a).

SR Sul silenzio nell'episodio, cf. LIMBECK, Markus-Evangelium, 50. PESCH, Das Markusevangelium, l, 193 ritiene che vi siano riscontrabili i tratti dell'ira divina. ScH­NACKENBURG, 1993, 46 considera l'atteggiamento di Gesù uno sguardo profetico sulla Passione che lo attende.

59 Per la figura del Maestro, cf. BROADHEAD, Teaching with Autority, 72, che ha in­dividuato i tratti del carattere di Gesù che emergono dalla descrizione della sua com­passione.

60 J.-J. MANN, The Christology of Mark. Does Mark's Christology support the Chal­cedonian formula «truly man and truly God»?, Lang, Bern 1991 , 212 sulla base di que­sto testo riconosce un'opposizione tra concezione dell'individuo e della legge in Mar­co. E. DREWERMANN, Markusevangelium: Bi/der von Erlosung, Walter, Olten 1987 (trad. it. Il Vangelo di Matteo: immagini di redenzione, Queriniana; Brescia 1994), 286 ritiene invece che non vi siano autentici motivi di contrasto tra legge e sentimento di Gesù.

61 Per i richiami ai Profeti, cf. GNILKA, Das Evangelium nach Markus, ad l. ; gli in­terlocutori sarebbero invece da considerarsi <<decaduti dalla Legge» (PESCH, Das MarkLtSevangelium, l, 193). Il testo si inserirebbe così nello schema tradizionale del contrasto tra autorità di Dio e ribellione del suo popolo (cf. S.H. SMITH, «Mark 3, 1-6. Form, Redaction and Community Function>>, in Bib 75[1994], 153-174, 168).

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Il ricorso al termine «essere mosso a compassione» (splagchnfzo­mai), che più spesso degli altri nei vangeli esprime un sentimento proprio di Gesù, è immediatamente precedente in Marco alla realiz­zazione di uno dei primi miracoli, la guarigione del lebbroso. La no­tazione del sentimento di Gesù appare piuttosto anomala nel quadro dei primi capitoli marciani, ma evidentemente non percepita come dissonante rispetto alla sobrietà del resoconto dell 'evangelista.62

Il termine rappresenta un'esplicitazione della radice divina dei sentimenti di Gesù, che ne sostanzia il potere salvifico. La loro natu­ra risulta indefinita perché non pienamente accessibile alla compren­sione umana, ma non manca di una componente fisiologica; il gesto e le parole del lebbroso suggeriscono, senza esplicitarla, l 'attitudine che può suscitarla.63

Nella sobrietà del resoconto, non è stabilito alcun nesso di conse­quenzialità tra sentimento e azione. La connessione tra i sentimenti colti in Gesù dall'evangelista e la successiva descrizione del miraco­lo, che secondo Schnackenburg è tipicamente marciana, evidenzia un insegnamento immediato ed eloquente al pari dell'annuncio verba­le; di qui l 'attenzione ai gesti e la scarsità di parole dell'episodio.64 Esso è tutto giocato su un nesso tra sentimento e azione sommesso e non esplicito: significativo è che il beneficiario del miracolo disat­tenda le ammonizioni verbali di Gesù, pur senza sminuime la poten­za della forza salvifica.

62 In particolare, F. FENDLER, Studien zum Markusevangelium. Zur Gattung, Chronologie, Messiageheimnistheorie und Oberlieferung des zweiten Evangeliums, Van­denhoeck & Ruprecht, Gottingen 1991, 121 coglie il contrasto rispetto a <<ammonendo­lo severamente» (embrimestimenos) del successivo v. 43. L'uso di «commuoversi» (splagchnizomai), per quanto eccezionale nei vangeli, è da riportare, come illustra lo studio di O. MoNTEVECCHI, «Viscere di misericordia>>, in RBiblt 43(1995), 125-133, al­l'ambiente farisaico. J. DELORME, Au risque de la parole. Lire des évangiles, du Seui!, Pa­ris 1991, 24s ipotizza un Gesù «diviso>> tra il desiderio di guarigione e l'intento di am­maestramento morale.

63 Per il carattere fisiologico dell'emozione qui rappresentata, cf. SPJCO, Lexique théo­logique du Nouveau Testament, 141 1 . Il passo rientra tra quelli individuati in Marco da L. ScHENKE, «Gibt es in Markusevangelium eine Praexistenzchristologie?>>, in ZeitNTWiss 91(2000), 45-71, 58s per illustrare la teofania marciana del potere divino di Gesù.

64 a. SCHNACKENBURG, Die Person Jesu Christi, 32. E. SCHWEIZER, Das Evange­lium nach Markus, Vandenhoeck & Ruprecht, Gottingen 1967, 3 1 ritiene che la com­passione sia qui svincolata dalla prospettiva contingente del miracolo, per delineare il motivo della lotta contro ciò che si oppone a Dio. SENFT, L'Évangile selon Mare, 20 lo ritiene un «elemento estraneo».

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Tra sentimento di compassione e miracolo un certo grado di con­citazione ben si inserisce nell'esaltazione della potenza salvifica di Gesù propria della prima parte del vangelo marciano, seppure in for­ma particolarmente accentuata.65 Il corso degli eventi è presentato con grande nettezza, anche nell'esprimere la compassione che con­duce al miracolo; ma si ricava anche l 'impressione che esso sia frut­to non di un moto estemporaneo, ma di una disposizione duratura nei confronti degli uomini.66 L'essenzialità della preghiera e del ge­sto del lebbroso fanno emergere nel modo più immediato un senti­mento di grande intensità, che è preludio alle altre circostanze di guarigione.

Attraverso la reazione alla supplica del lebbroso, la benevola dispo­sizione di Dio si rivela come compassione. Il ripetuto presentarsi di questo sentimento ne chiarisce il valore di attitudine permanente ed emblematica del rapporto che il vangelo configura tra ogni uomo e Dio.

3. 7. Mc 6,34; M t 14,14: la commozione di fronte alle folle («commuoversi»>«sentire compassione», splagchnizomai)

Allora partirono sulla barca verso un luogo solitario, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città cominciarono ad ac­correre là a piedi e li precedettero. Sbarcando, vide molta folla e si com­mosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a in­segnare loro molte cose (Mc 6,32-34).

Gesù partì di là su una barca e si ritirò in disparte in un luogo deserto. Ma la folla, saputolo, lo seguì a piedi dalle città. Egli, sceso dalla barca, vide una grande folla e sentì compassione per loro e guarì i loro malati (Mt 14,13b-14).

In un quadro emblematico della sua vita pubblica, le narrazioni di Marco e Matteo rivelano il sentimento che prende Gesù alla vista delle folle; si tratta di una notazione solo apparentemente estempo-

65 M. REISER, Sintax und Stil des Markusevangeliums im Licht der hellenistischen Volksliteratur, Mohr-Siebeck, Tiibingen 1984, 158s ha evidenziato come la paratassi asindetica di questo passo (due participi congiunti) sia piuttosto eccezionale in Marco.

M> DREWERMANN, Markusevangelium, I, 211 parla di radicamento nel cuore di Ge· sù del sentimento qui espresso.

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ranea, e che influisce significativamente sul corso degli eventi . Da entrambe le narrazioni, pure piuttosto differenziate, si percepisce chiaramente come la commozione sia conseguente alla visione delle folle: si tratta di uno dei vari momenti in cui ciò si manifesta, e non a caso i due evangelisti fanno proprio qui menzione esplicita delle fol­le, data la relazione particolarmente intensa che si è istituita con es­se, dopo la lunga sezione di insegnamenti.67

Il contesto richiama particolarmente in questo passo il duplice senso che «commuoversi» (splagchnizomai) può assumere, sia quan­to alla natura percettiva, relativa alla sensibilità, che emotiva, relati­va ai sentimenti, di tale termine:68 Gesù dimostra una particolare sensibilità ai bisogni delle folle, anche se in Marco il rapporto con es­se è inteso in senso prevalentemente didascalico, mentre in Matteo si ha piuttosto una prevalenza dell'elemento taumaturgico.69 Ma l'a­zione assume il valore di diretta esplicitazione del sentimento, in quanto si manifesta come esigenza insopprimibile dell 'animo.

In un momento apparentemente ordinario del ministero di Ge­sù, emerge la sua attitudine, largamente prefigurata dalla letteratura profetica, di pastore che ha a cuore la sorte del suo gregge e sovvie­ne ai suoi bisogni. L'esplicitazione del sentimento assume una valen­za simbolica, nel collocarlo nei confronti delle pecore nella qualifica di Messia misericordioso, e apre alla prospettiva di un'azione che in­veste l'umanità in una dimensione vasta e complessa.70 Il silenzio sui modelli scritturistici, in particolare in Matteo, denuncia l'intento di sottacere il più possibile un aspetto che deve risultare evidente agli occhi dei fedeli.

Gesù dimostra una percezione particolare nei confronti dei biso­gni delle folle, ben maggiore di quella che, in entrambi gli evangeli­sti, evidenziano i discepoli con le loro affermazioni immediatamente

�7 Così KLOSTERMANN, Das Markusevangelium, 63 . Per altri momenti in cui si in­tuisce la commozione di Gesù per le folle, cf. VAN IERSEL, Markus Kommentar, 155.

68 KùSTER, «crJtÀ.ay:xvov», 553 illustra il delinearsi di queste due diverse accezioni nei testi veterotestamentari.

69 La differenza rispetto alla fede dei discepoli, evidenziata dall'episodio successi­vo, risulta più evidente in Matteo: cf. W. CARTER, «The Crowds in Matthew's Gospel», in CathBibQ 55 ( 1 993), 54-67, 62. Secondo GRUNDMANN, Das Evangelium nach Matthiius, 363, l'attenzione di Matteo si incentra piuttosto sull'azione salvifica di Cristo.

70 Sulla simbologia del Messia-maestro come pastore, cf. PEscH, Das Markuse­vangelium, l, ad l.

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successive. Le folle ( 6chloi) cui il testo si riferisce costituiscono un insieme volutamente indeterminato, ben distinto dal «popolo» elet­to con la propria specifica identità (laos) o dalla massa degli altri «popoli�>, estranea alla salvezza di Israele (éthné): il sentimento di Gesù si indirizza proprio a un insieme privo di identità, nell'intreccio inestricabile della vicenda umana dei singoli.71 Il numero e l'unani­mità dei presenti rende più sentito l 'essere «presi alle viscere» che il termine esprime; e senza dubbio la scena apre alla visione dell'inte­ra umanità al cospetto del Cristo.

Il sentimento di Gesù nei confronti delle folle può definirsi effi­cace nel suo tradursi direttamente in azione; in nessuna delle due versioni può riconoscersi comunque un'implicazione necessaria ri­spetto allo stato d'animo.72 Ciò che conta è la relazione di conse­quenzialità tra sentimento e azione salvifica percepibile con gli occhi della fede, che troverà ulteriore conferma nella successiva moltipli­cazione dei pani: la notazione del sentimento è comunque solo appa­rentemente fugace nell'insieme del testo, in cui sembrano prevalere gli elementi puramente narrativi: è alla sensibilità del lettore che è affidata la capacità di riconoscere e imitare in questo frangente i sen­timenti del Cristo.73

3.8. Mc 8,2; Mt 15,32: la rivelazione della compassione ai discepoli («sentire compassione», splagchnfzomai)

In quei giorni, essendoci di nuovo molta folla che non aveva da mangia­re, chiamò a sé i discepoli e disse loro: «Sento compassione di questa fol­la, perché già da tre giorni mi stanno dietro e non hanno da mangiare. Se li rimando digiuni alle proprie case, verranno meno per via; e alcuni di loro vengono di lontano» (Mc 8,1-3).

7 1 MoLTMANN, Der Weg Jesu Christi, 1 70 ritiene che l'espressione ponga Gesù in un rappprto familiare con le folle.

72 E sulla base dell'assenza di una necessaria implicazione che GRUNDMANN, Das Evangelium nach Markus, 135 riconosceva questo passo emblematico per la concezio­ne di Gesù come <<nuovo Mosè» che conduce il popolo verso una diversa dimensione spirituale.

73 Secondo ScHNACKENBURG, Matthiiusevangelium, 135 la moltiplicazione dei pa­ni è in relazione con la compassione nella stessa misura delle guarigioni compiute. DREWERMANN, Das Markusevangelium, 430 ha insistito sul carattere puramente mo­mentaneo della notazione del sentimento.

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Allora Gesù chiamò a sé i discepoli e disse: <<Sento compassione di que­sta folla: ormai da tre giorni mi vengono dietro e non hanno da mangia­re. Non voglio rimandar li digiuni, perché non svengano lungo la strada>> (Mt 1 5 ,32).

Il testo delinea una situazione del tutto eccezionale nei vangeli: l 'aperta dichiarazione ai discepoli da parte di Gesù dei propri senti­menti, unitamente alle motivazioni di essi.74 I termini e la situazione sono quasi identici che negli altri brani relativi alla compassione nei confronti delle folle, e si ha piena corrispondenza tra espressione del narratore e discorso diretto. L'evangelista mette in bocca a Gesù l'e­mergere con forza del sentimento, che la narrazione intende comu­nicare con la massima urgenza.

Una dichiarazione tanto sentita nella forma da parte di Gesù tro­va riscontro solo nelle predizioni della Passione; ed è stato notato che la struttura dell'episodio richiama alcuni tratti dei resoconti dell'ulti­ma parte dei vangeli.75 Nonostante la sua natura strettamente perso­nale, il legame istituito con quanti lo ascoltano è reso con grande for­za: i discepoli sono convocati con solennità, e messi a parte del senti­mento e delle circostanze connesse.76 Qui emerge, rispetto agli altri passi in cui «sentire compassione» (splagchnizomai) compare, come la mancata condivisione con i discepoli sia piuttosto effetto della loro in­comprensione che una forma di riserbo da parte di Gesù.

Nelle due diverse narrazioni, l'espressione assume caratteri di­vergenti: più sfumata in Matteo, più pressante e ricca di particolari in Marco; in entrambi i casi, essa è riportata in modo molto incisivo, co­me preludio all 'azione seguente.77 Significativo è il rapporto tra esplicitazione del sentimento e decisione con cui Gesù agisce: si può forse presupporre l'intento narrativo di segnare una cesura netta tra l'insegnamento che le parole qui riportate esprimono e il miracolo.

74 L'espressione è tanto più notevole in quanto si deve pienamente all'iniziativa di Gesù, dato che nulla lo sollecita all'esplicitazione del sentimento: cf. Luz, Das Evangelium nach Matthiius, 441 .

75 KLOSTERMANN, Das Markusevangelium, 75. 76 GRUNDMANN, Das Evangelium nach Matthiius, 378 distingue una «sollecitudine>>

conseguente alla <<compassione» come attitudine fondamentale dell'animo di Gesù. 77 KLOSTERMANN, Das Matthiiusevangelium, 136 notava che Matteo indica solo il

risultato delle azioni cui fa riferimento Marco.

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Questo procedimento narrativo, per cui si traducono in gesti le paro­le proferite, non è inusuale: sorprendente è il fatto che la parola tra­duca direttamente il sentimento di Gesù stesso.78

Alla compassione per la perseveranza e il bisogno delle folle si ag­giunge la sollecitudine per la sorte che le attende nel caso in cui ven­gano improvvisamente congedate («non voglio», ou thél6).19 È attra­verso la vicinanza alle percezioni degli uomini nelle circostanze con­crete del loro manifestarsi - il digiuno, il ritorno a casa, il lungo iti­nerario - che si intuisce la radice autentica del sentimento di com­passione: essa non si risolve in un sentire isolato, ma si configura come compartecipazione alle difficoltà e alla sofferenza.80 Si tratta di una di­sposizione cui ogni destinatario del vangelo è sollecitato, e che si fa vo­lontà di bene per ogni uomo, in tutti gli aspetti della sua esistenza.

3. 9. Mt 9,36: la compassione per la stanchezza delle folle («sentire compassione», splagchnizomai)

Gesù andava intorno per tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, predicando il vangelo del regno e curando ogni malattia e in­fermità. Vedendo le folle ne sentì compassione perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore. Allora disse ai suoi discepoli: «La messe è molta, ma gli operai sono pochi! Pregate dunque il padrone del­la messe che mandi operai nella sua messe ! >> (Mt 9,35-38).

È, questo, un unico passo di Matteo in cui «sentire compassione» (t.plagchnizomai) non è direttamente collegabile al testo dei sinotti­ci, anche se chiaramente connesso alla tipologia degli altri brani re-

?R Per il tema più generale del rapporto tra parole e azione nei vangeli, cf. RuP­PRECHT, Krankenheit als Erfahrung des Lebens, 171 . Cf. SCHMITHALS, Das Evangelium nach Matthiius, 364, per cui la distinzione tra parole e miracolo assume un forte valo­re teologico. L'immagine di Gesù risulta in questa circostanza <<energica>> (SCHNACKEN­BURG, Matthiiusevangelium, 1 45) .

79 SAND, Das Evangelium nach Matthiius, 319 coglie nell'uso di «rimandare>> (ekf}iomai) uno stato di debolezza da parte dei discepoli: viene sollecitata in tal modo nel credente, nella sua impotenza, la fiducia nella sola misericordia di Dio. Come ha indicato A. RICCARDI, Dio non ha paura. La forza del Vangelo in un mondo che cam­bia, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2003, 20, vi è qui espressa la sproporzione tra commozione di Gesù e possibili realizzazioni della Chiesa.

RO Sulla contiguità nei Vangeli tra vicinanza di Dio all'uomo e la sua sofferenza, cf. SCHOLTISSEK, Die Vo/lmacht Jesu, 227.

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lativi all 'esplicitazione dei sentimenti di fronte alle folle. Il termine non si rapporta evidentemente ad altre azioni del contesto se non il «vedere»; del resto, la sua «non particolare utilità» (Schnackenburg) dal punto di vista narrativo è evidente.81

Come altrove, il tema della compassione è strettamente connes­so alla visione delle folle, anche se non se ne evidenzia alcun atto specifico, né il testo fa cenno a particolari che abbiano colpito l 'at­tenzione di Gesù.82 La constatazione del bisogno delle folle deriva da una percezione profonda del loro stato anche spirituale, segnala­to dalla metafora del gregge, e di quanto di inespresso vi è nel loro presentarsi a Gesù. Il suo sentimento è comunicato ai discepoli nel­l 'intimità, e non trapela esplicitamente nei discorsi in pubblico.

Per quanto splagchnizomai sia caratterizzato come sentimento assolutamente proprio di Gesù, si possono riconoscere nel testo in­dizi di una segreta comunicazione con le folle. La compassione lo po­ne in una posizione di reciprocità nei loro confronti, per un'intima compartecipazione alla loro difficoltà, simmetrica alla ricerca di un contatto, tanto che i successivi gesti attraverso cui le guarigioni han­no luogo traducono in termini fisici un mutuo avvicinarsi.83 II rap­porto ha una valenza permanente, e si estende al futuro con preoc­cupazione per gli operai della messe.

Il «sentire compassione» (splagchnizomai) è qui strettamente connesso alla sollecitudine per la cura del gregge. Si tratta di un'atti­tudine propria della visione del Messia misericordioso che è viva nel­la letteratura giudaica del tempo; peculiare è che essa si traduca in un rapporto diretto, per quanto non precisato nei suoi particolari, con le folle, si esprima in modo del tutto incondizionato come attitu-

8 1 Cf. ScHNACKENBURG, Die sittliche Botschaft des Neuen Testaments, l, 97, per cui il testo potrebbe appartenere all'ultima fase redazionale dei vangeli. JEREMIAS, Die Sprache des Lukasevangeliums, 158 avanza l'ipotesi di una redazione tardiva, sotto­lineando un più spiccato interesse per le notazioni riguardanti i moti dell'animo di Gesù.

82 Dubbioso sulla possibilità di identificare le circostanze che fanno maturare la compassione in Gesù si dice DIBELIUS, Die Formgeschichte des Evangeliums, 159.

83 Sul tema della reciprocità, cf. RuPPRECHT, Krankenheit als Erfahrung des Le­bens, 174. U. HENDINGER, <<Iesus und Volksmenge: Kritik der Qualifizierung der och­los in der Evangelienauslegung», in Theo/Z 32(1976), 201-206 ha esaminato il motivo del consenso delle folle: esse ricercano una giustizia di cui non riesce a percepire nep­pure appieno la realizzabilità.

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dine del pastore;84 d'altra parte, il testo evangelico pone anche in ri­lievo l'autorevolezza di Gesù, che permane anche nell'espressione della sua compassione.85 Il testo induce a un silenzioso riserbo sulla possibilità di comprendere e interpretare la figura del Maestro, ep­pure ne offre un'immagine potente e inequivocabile.

Anche dal silenzio dei discepoli, emerge con chiarezza come la compassione sia sentimento esclusivo di Gesù, che lo distacca profondamente dalla sensibilità degli uomini: egli è il pastore che so­lo può prendersi cura del suo popolo rispetto a ogni altra autorità umana.86 Il riscatto messianico è destinato però a compiersi attraver­so la missione dei discepoli, originata direttamente dalla compassio­ne del Maestro, che essi sono sollecitati a condividere.87 La comuni­cazione dei sentimenti di Gesù, che avviene attraverso le sue parole, si identifica così con la comunicazione del vangelo.

3.10. Mt 20,34: la commozione di fronte alla richiesta di guarigione («commuoversi», splagchnizomai)

Mentre uscivano da Gerico, una gran folla seguiva Gesù. Ed ecco che due ciechi, seduti lungo la strada, sentendo che passava, si misero a gri­dare: <<Signore, abbi pietà di noi, figlio di Davide !» . La folla li sgridava perché tacessero; ma essi gridavano ancora più forte: <<Signore, figlio di Davide, abbi pietà di noi ! >>. Gesù, fermatosi, li chiamò e disse: <<Che vo­lete che io vi faccia?». Gli risposero: «Signore, che i nostri occhi si apra­no!» Gesù si commosse, toccò loro gli occhi e subito ricuperarono la vi­sta e lo seguirono (Mt 20,29-34).

K4 Per un'analisi del motivo del Messia misericordioso nella letteratura giudaica, cf. ERLEMANN, Das Bi/d Gottes in den synoptischen Gleichnissen, 70.

85 SCHLATIER, Die Geschichte des Christus, 186s ha evidenziato come il richiamo alla messe segni la novità dell'autorevolezza di Gesù rispetto a quella dei capi religio­si giudei . Per la contrapposizione tra rapporto con le folle e con i capi giudei , cf. CAR­TER, «The Crowds in Matthew's Gospel», 60.

116 ScHNACKENBURG, Die Person Jesu Christi, 45 avvicina l 'immagine della com­passione di Gesù per le folle alla manifestazione dell'amore per il suo popolo che emerge dalle apparizioni pasquali.

87 Sulla connessione tra compassione e missione, cf. GRUNDMANN, Das Evange­lium nach Matthiius, 285s. DIBELIUS, Die Formgeschichte des Evangeliums, 250 ha sot­tolineato la funzione figurativa della messe come luogo della missione, anche in rela­zione ad altri passi evangelici.

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Nel suo ministero a contatto con le folle, si impone all'attenzio­ne di Gesù la voce di due ciechi, che pure il resto dei presenti vor­rebbe tacitare; il breve scambio di battute provoca in lui l 'insorgere della commozione, e la conseguente guarigione. La nettezza della scena è indicativa delle modalità con cui si manifestano e trovano compimento i sentimenti di Gesù.

Nella sua essenzialità, il dialogo evidenzia l 'urgenza dei sentimen­ti e della loro motivazione. I ciechi esprimono per due volte una ri­chiesta pressante e drammatica, pur nella sua scarna formulazione, ri­petuta in forma identica; la loro voce si impone così rispetto a quella indistinta della folla, e richiama in modo decisivo l'attenzione di Ge­sù.88 Come in M t 18, la risposta («commuoversi>>, splagchnizomai, v. 34 e supra, § 3.2) va oltre la richiesta dei ciechi («avere pietà», eleéo, v. 30), evidenziando l 'emergere del corrispondente divino di un senti­mento puramente U:mano;89 inoltre, la richiesta viene espressa solo dietro sollecitazione dì Gesù, ed è successiva all'invocazione, che ne implica il riconoscimento della signoria e dell'origine davidica.

L'episodio suggerisce una precisa correlazione tra pietà umana e misericordia divina, pur risultando quest'ultima ìncommensurabil­mente superiore: essa si esprime attraverso un potere che salva, che qui appare particolarmente evidente. Come spesso in Matteo, l 'invo­cazione ha come conseguenza l 'azione taumaturgica, ma con un pas­saggio qui molto rapido, che ne mette in evidenza l'efficacìa;90 del re­sto, il motivo della misericordia sembra porre in ombra in questo brano la componente fisiologica della guarigione, ridotta al solo ge­sto dì toccare gli occhi .91 Similmente, le reazioni dei presenti al pro-

88 Il dialogo pone in evidenza secondo HELD, <<Matthiius als lnterpret der Wun­dergeschichten», 213 il tema della fede che salva. Secondo D.J. HARRINGTON, The Go­spel of Matthew, Liturgica! Press, Collegeville 1991 (trad. it. Vangelo secondo Marco, Queriniana, Brescia 1 992), 292, intento primario di questo testo è di sollecitare la fe­de come fiducia nel potere salvifico di Dio.

89 KòsTER , «<mÀ.ayxvov», 555 legge la reazione di Gesù in chiave di superamento. HELD, «Matthiius als lnterpret der Wundergeschichten>>, 226 ha notato la singolarità del dialogo, attraverso il quale la misericordia divina sopravanza la richiesta umana.

90 ScHNACKENBURG, Die Person Jesu Christi, 145 osserva che in Matteo si ha una connessione costante tra richiesta di misericordia e guarigione.

91 Sul ridotto spazio della componente fisiologica della guarigione, cf. E. ScHWEI­ZER, Das Evangelium nach Matthiius ubersetzt und erkliirt, Vandenhoeck & Ruprecht, Gottingen 1973, ad l.

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digio sono minimizzate, e il testo si limita a registrare corsivamente la immediata sequela dei due ciechi.

La preminenza della misericordia è sottolineata dall 'andamento narrativo dell 'episodio. Il dialogo con i lebbrosi prepara e conferi­sce rilievo al miracolo, ma soprattutto suggerisce le motivazioni del­l 'atteggiamento di Gesù; la domanda di fede, espressa in termini re­cisi e non dubitativi (v. 33: «che si aprano» , hina anoigosin) determi­na l'istituirsi di un rapporto di diretta consonanza, cui risponde la nettezza del manifestarsi del sentimento di Gesù.92 Risulta così pie­namente evidenziato il tema, che in Matteo trova ampio spazio, del­l 'efficacia della preghiera, purché espressa compiutamente e con fe­de, come pressante sollecitazione al manifestarsi della misericordia di Dio.

Come risposta alla preghiera individuale dei lebbrosi, il «com­muoversi» (splagchnizomai) non rivela qui una matrice diversa che dinanzi alle folle: analogo è il rapporto di reciprocità che si istituisce con gli uomini, e analoga l 'efficacia salvifica. Come altrove, esso ap­pare manifestazione occasionale, per quanto attentamente calibrata dal testo, di una disposizione permanente di Gesù.

3.11 . Le 7, 13: la compassione di fronte al dolore («avere compassione», splagchnfzomai)

Quando fu vicino alla porta della città, ecco che veniva portato al sepol­cro un morto, figlio unico di madre vedova; e molta gente della città era con lei. Vedendola, il Signore ne ebbe compassione e le disse: «Non pian­gere ! >> e accostatosi toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: <<Giovinetto, dico a te, alzati ! >>. Il morto si levò a sedere e incomin­ciò a parlare. Ed egli lo diede alla madre (Le 7,12-1 5}.

L'episodio del figlio della vedova di Nain rappresenta una scena tipica della sensibilità di Luca, sia per i dettagli con cui viene presen­tata la situazione sia per l'intensa compartecipazione dei presenti. Il

92 ScHNACKENBURG, Die Person Jesu Christi, 39 ha illustrato il rapporto tra amore e senso di figliolanza nei confronti della figura di Cristo: egli è in Matteo l 'unico a de­tenere la forza salvifica, e la capacità di esercitarla: cf. sull'argomento K. PAFFENROTH, <<Jesus as Anointed and Healing Son of David in the Gospel of Matthew», in Bib 80( 1 999), 547-554, 551 .

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fanciullo viene resuscitato dopo un incontro di grande intensità emo­tiva, che culmina nella notazione dell'evangelista sull'«avere com­passione» (splagchn{zomai) di Gesù, che qui non si trova applicato al rapporto con le folle, ma, come spesso in Luca, assume un carattere individuale. 93

La scena è descritta con una certa completezza di particolari; ed essi assumono una funzione cruciale, in quanto concorrono a suscita­re il sentimento di Gesù. Il narratore sembra prefiggersi l 'intento di cogliere la scena così come essa si è presentata agli occhi dei testimo­ni, quasi a focalizzare le motivazioni della misericordia; nel contem­po, nessuna di esse però risulta determinante.94 Anche le azioni attri­buite a Gesù sono presentate in successione e con una certa gradua­lità, suggerendo in modo inconsueto la genesi dell'azione salvifica.

Nella concisione del resoconto, è possibile isolare diversi mo­menti. L'enunciazione del sentimento succede a una serie di azioni da parte di Gesù, che lo portano a un contatto significativo e perso­nale con il fanciullo morto; per questo, intuiamo chiaramente che la misericordia si pone al culmine di un sommovimento che interessa tutta la sua persona.95 All'azione taumaturgica in se stessa è conferi­to uno spazio limitato; i commenti e le reazioni della folla sono inve­ce, come spesso in Luca, ampiamente sottolineati, e costituiscono un efficace corrispondente ai particolari preparatori.

La nettezza dei gesti qualifica con grande precisione, pur nella lo­ro essenzialità, i personaggi. L'appellativo kyrios, usato qui al di fuo­ri dal discorso diretto e che Klostermann ritiene riferito in Luca al

�3 L'associazione in Luca delle folle ad annunci, insegnamenti e guarigioni di ca­rattere individuale è stata messa in luce da R.S. AscouGH, «Narrative Technique and Genie Designation: Crowd Scenes in Luke-Acts and in Chariton», in CathBibQ 58(1996), 69-8 1 , 75. L'uso di <<avere compassione>>, pure più frequente in Marco, si in­serisce in Luca in contesti del tutto autonomi e propri della sua sensibilità (cf. M.J.J. MENKEN, <<The Position of crnì..ayxviçEa9at and crnM.yxva in the Gospel of Luke>>, in NTest 30[1988], 107-1 14).

94 ERNST, Das Evangelium nach Lukas, 243 ha sottolineato come il <<Vedere>> da parte di Gesù implichi qui la sua piena e peculiare percezione della necessità della donna; rilevante in tal senso, come ha evidenziato S. GRASSO, Luca, Boria, Roma 1 999, 318, è la condizione di straniero di Gesù.

95 MOLLER, Lukas-Evangelium, 81 ritiene questo procedimento espressivo rivela­tore della pienezza del sentimento di Gesù. Sulla particolare tensione espressiva che si determina nell'episodio, come anche in Luca 5, cf. J.J. KILGALLEN, <<Faith and Forgi­veness: Luke 7,36-50>>, in RBib 108(2001) , 2 14-227, 222.

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Cristo come portatore della salvezza, sottolinea la divinità del senti­mento; esso ribadisce d'altra parte la distanza della dimensione divi­na dalla «particolare immagine della sua umanità)) che emerge dal brano96• Si delinea in tal modo una teologia della compassione spe­cificamente lucana, come sentimento nel contempo umano e divino, che Koster ritiene estranea alla tradizione evangelica più antica;97 essa emerge come propria della divinità di Gesù, seppure dettata an­che da motivazioni profondamente umane.

Susseguente all'espressione del sentimento di Gesù è il suo invi­to, che ha del paradossale, a non piangere, quasi a sovvertire il moti­vo del dolore ancor prima che il miracolo abbia luogo; e un moto, il toccare la bara, non indotto come in altre narrazioni di guarigione da una preghiera esplicita.98 L'invito ha il merito di mettere in piena lu­ce la fede celata nel pianto della donna, istituendo un rapporto da so­lo a sola con lei, e di mostrarne gli effetti ai fini della guarigione.99 Quanto vi è di inespresso nell'episodio è quindi riportabile a una vi­cenda di fede, che come altrove dà luogo al processo di guarigione.

Le parole di consolazione e la consegna del fanciullo vivo alla madre chiudono l'episodio; esse si rivolgono non solo alla donna, ma assumono una dimensione universale. 100 Il particolare della folla al seguito (v. 12) e i commenti successivi al miracolo, collocando la sce­na al cospetto di un pubblico vasto, ne rafforzano l'ampiezza: il do-

96 Cf. KLOSTERMANN, Das Lukasevange!ium, 88; similmente SCHNACKENBURO, Die Person Jesu Christi, 206s. Il titolo <<Signore>> sottolinea secondo J. KNIGHT, Luke's Go­spel, Routledge, London-New York 1998, 93 il coinvolgimento della divinità di Gesù nella compassione.

97 KOSTER, «mtÀayvoV>>, 555. 9x WEIFEL, Das Evangelium nach Lukas, 145 ha imputato l 'eccezionalità del

comportamento di Gesù all'esigenza, propria di Luca, di metterne in evidenza i senti­menti. ScHùRMANN, Das Lukasevangelium, 401 ritiene che la forma paradossale com­pendi il dialogo che altrove precede le guarigioni, in quanto richiamo alla conversio­ne della donna.

99 ScHNACKENBURG, Die sittliche Botschaft des Neuen Testaments, 167 ha ravvisa­to come pienamente espresse nell'episodio le modalità del «movimento di amore>> che scaturisce dalla fede; secondo ScHLATTER, Die Geschichte des Chrisms, 215 è comun­que da ravvisare nella sua condotta una risposta a un'implicita richiesta della donna, segnalata dal pianto.

100 Per il motivo della consolazione universale, cf. PETZKE, Das Sondergut des Evangeliums nach Lukas, 91 . ScHMITHALS, Das Evangelium nach Lukas, 93 ha citato l'episodio come particolarmente significativo della nozione lucana di manifestazione dell'amore di Dio per il mondo.

107

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lore, nella forma comune e ineluttabile della morte, è così oggetto della misericordia di Dio davanti a tutti gli uomini.

3. 12. Le 10,33: la compassione per l 'uomo sofferente («avere compassione», splagchnizomai)

«Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, !asciandolo mez­zo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall'altra parte. Anche un !evita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viag­gio, passandogli accanto lo vide e n'ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino: poi, caricatolo sopra il suo giu­mento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all'albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno» (Le 10,30b-35).

Il motivo dell'«avere compassione» (splagchnfzomai) è elemen­to caratterizzante della condotta del buon Samaritano, che differen­zia la reazione all 'incontro con l'uomo mezzo morto rispetto a quanti lo hanno preceduto, e sollecita in lui una vicinanza del tutto particolare.101 Si tratta di un sentimento decisivo, che nessuno di quanti lo hanno preceduto ha saputo esprimere e che fa identifica­re il Samaritano, attraverso il comportamento che gli è proprio, co­me Dio stesso.

La misericordia costituisce lo spartiacque della parabola anche dal punto di vista narrativo. A partire dal sentimento del Samarita­no, risulta chiaro un mutamento complessivo nel tono del racconto, un'accelerazione e un infittirsi dei gesti, tutti volti a concretizzare la sollecitudine per l'uomo mezzo morto. 1 02 Il Samaritano ne è prata-

101 Ha messo in rilievo la funzione strutturale della parabola nella narrazione evan­gelica, nel suo porre in modo conclusivo l'importanza dello sguardo sul prossimo, lo stu­dio di T. P. OssoRNE, «Deux grandes structures concentriques centrai es et une novelle ap­proche du pian global de l'évangile de Luc>>, in RBib 110(2003), 197-221 , 218. L'accento è soprattutto <<posto sulla prassi» (R. FABRIS, Luca, Cittadella, Assisi 2003, 233ss).

102 Secondo EICHHOLZ, Gleichnisse der Evangelien, 169, la narrazione intende co­sì esprimere la radicale libertà in cui entra colui che sceglie per la vicinanza e la com­passione. In questo senso, F. MosErro, Lettura del Vangelo secondo Luca, LAS, Roma 2003, 226 definisce il racconto <<chiaramente provocatorio>>.

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gonista assoluto: egli agisce in prima persona e dispone poi che il suo prossimo riceva le attenzioni necessarie, comunicando ad altri la sua preoccupazione di aver cura di lui.

La genesi del sentimento non è precisata, se non nella semplice azione del «vedere)). Per quanto il contesto sia apparentemente di­verso che nelle altre situazioni evangeliche in cui opera I'«avere com­passione)) (splagchnizomai), come la vista delle folle o l'incontro con i malati, si ha qui il medesimo incontro con una domanda di salvezza, per quanto per forza di cose non esplicitata e non assoggettabile a una legge. 103 La compassione si presenta quindi come sentimento re­lazionale; esso si traduce quasi per forza propria in gesti e concrete mozioni nei confronti degli altri uomini. 104 Se è vero che la situazio­ne, come è stato osservato, non consente di parlare di un sentimento prodottosi all'interno di un rapporto individuale, essa rientra piena­mente nella relazione paradigmatica di Dio con l'umanità. 105

Pur nella sua cogente immediatezza, la situazione descritta dalla parabola emerge come modello della relazione tra Dio e uomo, in cui la misericordia del primo viene in aiuto del bisogno dell'altro. Si è voluto riconoscere in essa una metafora della condizione futura: è evocata qui in una certa misura una situazione escatologica, con il ri­velarsi dei sentimenti di Dio per l'umanità, e la retribuzione ad essa associata. 106 In ultima analisi, la pluralità di significati è dovuta all'e­mergere dell 'autentico nucleo dell'annuncio evangelico: la sollecitu­dine in ogni circostanza, sia pure la più estrema, per la miseria e la sofferenza dell'uomo.

1 113 La priorità dell'uomo mezzo morto sulle esigenze degli altri protagonisti è evidente, come sottolinea M. GouRGUES, <<The Priest, the Levite, and the Samaritan Revisited: A Criticai Note on Luke 1 0: 31-35», in JBibLit 1 1 7(1997), 709-713 . In parti­colare, il tema del rapporto tra umanità e legge, proprio di Luca, è secondo L. BoR­MANN, Recht, Gerechtigkeit und Religion im Lukasevangelium, Vandenhoeck & Rupre­cht, Gottingen 2001 , 272, alla base dei comportamenti dei protagonisti.

1114 La scena conferma che il sentimento di compassione si può costantemente trovare rapportato secondo EICHHOLZ, Gleichnisse der Evangelien, 169 ai legami per­sonali. Essa viene infatti dall'alto: <<da Cristo Dio e da chi agisce secondo Dio» (MoN­TEVECCHI, <<Viscere di misericordia», 128) .

1 °5 In rapporto con altri episodi, C.L. BtoMBERG, /nterpreting the Parables, Apol­los, Leicester 1990, 229ss ha ravvisato in tal senso una similarità con l 'incontro con la Samaritana.

106 Su questa particolare accezione di splagchnizomai nelle parabole, cf. KùsTER, <<mtÀUY)(VOV», 553.

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3. 13. Le 15,20: la compassione di fronte alla conversione del peccatore («essere commosso», splagchnizomai)

«Un uomo aveva due figli. Il più giovane disse al padre: Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta. E il padre divise tra loro le sostanze. Dopo non molti giorni, il figlio più giovane. raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto. Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò e si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i por­ci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nes­suno gliene dava. Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti salariati in ca­sa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni. Partì e si incamminò verso suo padre. Quan­do era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l'anello al dito e i calzari ai piedi. Portate il vitello grasso, am­mazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era mor­to ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato» (Le 15,1 1 -24a).

Nella parabola dei due figli, decisivo è il momento in cui il padre si commuove per il ritorno del figlio minore e gli si fa incontro. Se es­sa meriterebbe di essere designata più come parabola «del padre mi­sericordioso» che «del figliol prodigo», è anche nel senso che il sen­timento va posto al centro della vicenda, come presupposto del suc­cessivo comportamento del padre. 107

«Commosso» (splagchnistheis) è collocato al momento culmi­nante dell'episodio, immediatamente prima che l'abbraccio del pa­dre abbia luogo. 1 08 Il verbo non è introdotto in contrasto con altri

107 ScHWEIZER. Das Evangelium nach Lukas. 1 65 ritiene centro della parabola la decisione per l'amore, che ha luogo una volta per tutte. Uno studio di J.J. Kn.GALLEN. «Luke 15 and 1 6. A Connection>>, in Bib 78( 1 997 ), 369-376 ne ha messo in evidenza la connessione con il c. 1 6. nelresigenza prioritaria di indirizzare i discepoli verso una condotta saggia.

1 08 Per un 'analisi terminologica , cf. B. HEJNINGER, Metaphorik, Erziihlstruktur un d szenisch-dramatische Gestaltllng in den Sondergutgleichnissen bei Lukas. Aschendorff,

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elementi , né si fa riferimento a un processo di maturazione del sen­timento, o almeno alle cause cui si può riportare: esso ci viene pre­sentato come una determinazione immediata e definitivamente ac­quisita (participio aoristo) dell'animo del padre. Questi caratteri so­no fortemente legati all'immagine lucana del Cristo, e richiamano per analogia l 'immagine del Padre celeste.

L'evento che potrebbe essere alla base del gesto del padre è il ri­pensamento del figliol prodigo, che si configura come una vera e propria conversione. Nella vicenda precedentemente descritta, si aveva come una lenta deriva del figlio minore: dalla richiesta dell 'e­redità, designata al v. 12 con un'espressione che sembrerebbe piut­tosto indicare l'abbattersi del destino («che mi spetta», epibal­lon) ; 1 09 all 'allontanamento irrevocabile evocato da «partì » (aped�mesen) a l v. 13 ; a l senso d i pesantezza suggerito dal «trovarsi nel bisogno» (hysteréomai) del v. 14; al lungo peregrinare che «andò» (poreutheis) del v. 15 presuppone. Stupisce anzi il silenzio quasi irreale in cui tali azioni si sviluppano, senza l'intervento di nessuno dei successivi protagonisti, a sottolineare l 'assoluta autono­mia che al figlio è concessa nell'agire.

Il vero momento di svolta per il figlio è rappresentato da «rientrò in se stesso» ( elthon eis heauton) di v. 17 , interpretato di solito come un vitale «riprendere coscienza», che implica il riconoscere i propri atti come una dissipazione. 1 1 0 Si ha un deciso cambio di direzione del­l'andamento del brano: esso riceve una vera e propria spinta all 'azio­ne, espressa plasticamente da «levatosi» (anasttis) dei vv. 18 e 20, che indica fisicamente il sollevarsi di scatto. 1 1 1 L'espressione del v. 17

Miinster 199 1 . 1 54, che h a individuato un vero e proprio climax a l cui culmine è <<com­muoversi» (splagchnfzomai). L'immagine qui evocata del Padre riesce secondo W.

POHLMANN, Der l'erlorene Sohn unti das Haus. Swdien zu Lukas 15, l l -32 im Horizont

der antiken Lehre von Haus. Erziehung und Ackerhau, Mohr-Siebeck, Tiibingen 1 993, 1 78 sorprendente rispetto alla abituale tipologia delle parabole.

1 1"' Cf. su «che mi spetta» (epihallon ) . cf. J.A. FlTZMYER. The Gospel according to

Luke, Doubleday, Garden City 1 9R5. ad l. 1 1 1 1 Per i l tema della «perdita di sé» e del << riprendere coscienza, , L.T. JcJH'-IS0'-1,

The Gll.lpel of Luke. Harrington. Collegeville 1 99 1 . ad l. ( t rad. it. Il Vangelo di Luca, Ellcdici, Torino 2004) richiama al proposito l 'uso corrente ne! linguaggio popolare. E. BoRO H l . <<Le 15, 1 1 -32. Linee esegetiche globali » , in RBihlr 44( 1 996), 279-307, 304 ha individuato come movente dell 'intera parabola il tema del desiderio di vita.

1 1 1 J. WoLLAND, Word hihlical commentary: Luke, Word, Dallas 1 993, ad l. ricono­sce << levarsi» (anisthemi) come momento di svolta del brano.

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(«rientrò», elthon) costituisce un punto di svolta, nel suo indicare un movimento deciso e definitivo, in contrasto con gli altri in quanto non diretto verso un luogo fisico.

Il padre è testimone rispettoso ma non distaccato della vicenda del figlio. Le sue parole del v. 32 ricapitolano con chiarezza gli even- · ti, e indicano una priorità all 'interno di essi: le due coppie «era mor­to ed è tornato in vita» (�nlézesen) ed «era perduto ed è stato ritro­vato>> (apolol6s!heuréthe), con la contrapposizione tra tempi durati­vi e tempi perfettivi, suggerisce la diversa dimensione in cui opera­no i protagonisti della parabola: gli atti del figlio minore disegnano una traiettoria in cui la posizione del soggetto muta, mentre gli atti del padre sono contraddistinti dal loro carattere decisivo e irrevoca­bile. La misericordia deve quindi considerarsi, più che effetto della scelta del figlio, frutto dell'iniziativa assolutamente autonoma del padre.1 12

Il ritorno del figlio provoca una reazione da parte del padre che può apparire smisurata: essa supera la prospettiva pienamente uma­na, nell'ambito della quale il ragionare del figlio ha prodotto la deli­berazione di tornare a casa. «Si commosse>> ( esplagchnisthe) da solo fa da contrappunto al monologo dei vv. 17-19, e trasferisce la delibe­razione, così sofferta nel figlio, su di un piano immediato e apparen­temente estemporaneo: come nota Ernst, il fatto che venga rivelato dal v. 20 in poi in modo in cui agisce Dio rende del tutto irrilevanti le emozioni umane. 113 In realtà, anche nel caso del padre riscontriamo sullo stesso piano le azioni fisiche con quelle che esprimono senti­menti, al v. 20 («commosso>> , «gli corse incontro», «gli si gettò al col­lo»: esplagchnisthe, dramon, epépesen ) ; ma, mentre il figlio perviene a una dimensione interiore solo dopo una lunga parabola di progres­sivo distacco, i gesti del padre derivano da un moto dell 'animo che immediatamente si traduce in azione decisa e inequivocabile.

Il sentimento di compassione del padre è indirizzato verso il primo figlio nella sua individualità, anche se traspare da tutta la condotta co­me caratterizzante il suo agire: il suo legame con i due figli resta intat-

1 1 2 L'arbitrarietà del determinarsi della compassione del Padre è, nota KAHLE­FELD, Die Gesta/t Jesu, 223, propria della dimensione di buon annuncio nel vangelo lucano.

1 1 3 ERNST, Das Evangelium nach Lukas, ad l.

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to nonostante il loro peccato, come un valore a se stante. 1 14 Anche nel­la condotta del figlio maggiore i verbi di movimento assumono un ruo­lo significativo, senza designare però azioni nette e drammatiche, ma un progressivo avvicinarsi («fu vicino», «ritornare>>: vv. 25 e 28, éggisen, eiselthein) alla casa del padre; anzi, l'avventatezza delle azioni del fi­glio minore è da lui richiamata con disprezzo («è tornato>>, élthen del v. 30) . Questi termini traducono una verità della condotta del figlio, cioè la sua illusoria vicinanza alla casa, che è solo apparente; tanto più generosa appare allora la posizione del padre, che al v. 31 richiama un'identità con lui che risulta smentita dalla sua condotta.

Pur focalizzandosi sulla compassione, il testo non presenta richia­mi espliciti di natura morale, a partire dagli eventi narrati, rivolti agli ascoltatori della parabola. Il sentimento appare nel complesso della narrazione fondamentale, assai più del senso di una giustizia retribu­tiva e della natura delle colpe in se stesse: esse al v. 18 sono designa­te solo in modo generico, anche se richiamate esplicitamente, e con un certo compiacimento, nelle parole del fratello maggiore (v. 30) . 1 1 5 L'uditorio è così guadagnato alla stessa generosa dimenticanza delle colpe degli interlocutori che il padre dimostra. 1 16

È il sentimento di compassione a generare il momento di svolta ideale della parabola, con l'effetto che qualunque peccato, per quan­to grande, risulta superato. 1 1 7 L'uso dei termini e la corrispondenza

1 14 Secondo KREMER, Lukasevangelium, ad l. , emerge un legame costante tra pa­dre e figlio che annulla ogni influenza del peccato. Sull 'individualità del sentimento ha insistito HEININGER, Metaphorik, 164, che arriva a considerare il secondo figlio una controfigura, in quanto del tutto escluso da esso.

1 11 Sulla genericità delle espressioni riguardanti le colpe, cf. JoHNSON, The Go­spel of Luke, ad l. JEREMIAS, Die Gleichnisse Jesu, 1 28ss parla di intento apologetico soprattutto a proposito del secondo figlio, cui l'autoidentificazione dell'uditorio do­vrebbe rivolgersi. Lo studio di E. RAu, «Jesu Auseinandersetzung mit Pharisiiern iiber seine Zuwendung zu Siinderinnen und Siindern. Lk 15 , 1 1 -32 und Lk 18,10-14a als Worte des historischen Jesu>>, in ZeitNTWiss 89(1998), 5-29, 13 ha messo in luce come la parabola, per quanto orientata verso i peccatori, non presenti spunti di criti­ca all'atteggiamento dei giusti.

1 1 6 ERLEMANN, Das Bi/d Gottes in den synoptischen Gleichnissen, 137s ha defini­to l'immagine di Dio nella parabola come il prodromo e il modello della condotta umana. J.M. N OTZEL, Jesus als Offenbarer Gottes nach de n lukanischen Schriften, Ech­ter, Wiirzburg 1980, 254 evidenzia in tal senso il coinvolgimento nella gioia di tutti gli ascoltatori che l'episodio sollecita.

1 17 Per la rilevanza narrativa del sentimento di compassione, cf. l 'analisi di EICHHOLZ, Gleichnisse der Evangelien, 207ss. n denominatore di tutti i gesti del padre

1 13

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tra i sentimenti, costantemente ricercata, rivelano che la condotta di Dio non è isolata nella sua straordinarietà, ma viene posta a fonda­mento di un modello di condotta valido per tutti gli uomini, nono­stante il ripetuto dar prova di sordità da parte loro.

D) RIVELAZIONI

3.14. Le 10,21: l 'esultanza nello Spirito per la rivelazione («esultare», agalliao)

In quello stesso istante Gesù esultò nello Spirito Santo e disse: «lo ti ren­do lode, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto queste co­se ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così a te è piaciuto. Ogni cosa mi è stata affidata dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare» (Le 10,21 -22).

Nell 'introdurre il rendimento di lode di Gesù, che ha un corri­spondente sinottico in Matteo, Luca ricorre a un'espressione presso­ché unica del vangelo, che designa l' «esultare» (agalliao) «nello Spi­rito Santo».118 Questo termine rappresenta una vera e propria rive­lazione delle modalità in cui si esprime l'intimo sentire di Gesù, nel­la sua relazione trinitaria, in cui l 'uomo costituisce l 'argomento e non il diretto destinatario. l l 9

L'uso di «esultare» (agalliao) è proprio in Luca dei contesti pneu­matologici, e traduce nella condotta di Gesù la rivelazione dell'ope­ra dello Spirito. La superiore percezione del significato degli eventi da parte sua è associata a un'evenienza, il successo dei discepoli nel-

risulta «l'affetto appassionato e disinteressato per il secondogenito» (BoRGHI, «Le 15 , 1 1 -32>>, 290) .

I I K Il termine compare solo, all'indicativo, nel Magnificat (Le 1 ,47) . JEREMIAS, Die Sprache des Lukasevangeliums, 189 ipotizza il confluire di due diverse tradizioni in Matteo e Luca.

1 19 Il carattere divino della rivelazione cui il termine fa riferimento appare chiaro secondo S. GATHERCOLE, «Jesus' Eschatological Vision of the Fall of Satan: Luke 10,18 Reconsidered», in ZeitNTWiss 94(2003 ) , 143- 1 63 dal confronto con altri passi sulla con­trapposizione a satana. CoNZELMANN, «JCaipro», 357 sottolineava il significato sacro di «esultare» (agallitio) nella tradizione biblica, in contrapposizione a «gioire» (chairo).

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l'annuncio del vangelo, e trova espressione in un tono vicino a quel­lo dei passi di rivelazione profetica. 1 20 Viene quindi segnalata con forza l'unicità del sentimento, ma anche la sua connessione con la tradizione di Israele.

La rivelazione dell'intimo sentire del Cristo va congiunta alla puntualizzazione temporale («in quel momento»), che sottolinea un'eccezionale esplicitazione piena e lungimirante da parte sua: «esultare)) (agalfùio) non appartiene alla gamma dei sentimenti uma­ni espressi nei vangeli, per cui si è parlato di «esultanza escatologica)) (Weifel) . 1 2 1 Il brano si colloca perciò in una dimensione distinta ri­spetto al piano evangelico della Rivelazione, pur non assumendo dal punto di vista formale alcun carattere iniziatico o inaccessibile.

L'esultanza si risolve in una comunicazione tra Gesù e lo Spirito, moto che resta necessariamente sottratto alla comprensione dei disce­poli. Se tuttavia il sentimento di Gesù è di natura pienamente spiritua­le, la motivazione è costituita dalle opere realizzate dai discepoli, e an­zi dal fatto che proprio essi le abbiano compiute. 1 22 Il testo non con­sente una chiara identificazione dei motivi dell'esultanza: è la perce­zione di essi, più che la loro consistenza, a essere oggetto del sentimen­to evangelico.123 Si creano in tal modo i presupposti di un contatto tra sfera umana e divina, e anzi di un accesso da parte dell'uomo alla sfe­ra del divino in virtù unicamente . della rivelazione ai piccoli.

1 20 Va letta in senso profetico, in particolare. l'espressione en pneumati: cf. NOT­ZEL, Jesus als Offenbarer Gottes, 157. R. P. MENZIES, The Development of Early Chri­stian Pneumatology with Special Reference t o Luke-Acts, JSOT, Sheffield 1991 , 1 79 os­serva come con l'uso di agallùi6 si segnali una particolare rilevanza, ma solitamente connessa ali' espressione verbale.

121 WEtFEL, Das Evangelium nach Lukas, 204s. J. EcKERT, <<Christus als "'Bild Got­tes" und die Gottebenbildlichkeit des Menschen in der paulinischen Theologie» in H. FRANKEMOLLE - K. KERTLEGE (edd.), Siinde und Er/Osung im Neuen Testament, Her­der, Freiburg 1989, 319-360, 35 1 evidenzia l'emergere nella persona del Cristo in cir­costanze come queste di un <<io parlante>>, che comunque i testi evangelici ci presen­tano in piena sintonia con il suo agire. Sul valore della notazione temporale, cf. NOT­ZEL, Jesus als Oftenbarer Gottes nach den lukanischen Schriften, 157.

1 22 Si è sottolineata la potenza che qui si manifesta, pienamente attribuita all'im­magine del Cristo, ma nell'ambito dell'universalità di quanti sono raggiunti dalla sal­vezza (M. KoRN, Die Geschichte Jesu in veriinderter Zeit. Studien zur bleibenden Be­deutung Jesu im lukanischen Doppelwerk, Mohr-Siebeck, Tiibingen 1993, 123).

1 23 ERNST, Lukas, 340 ritiene centrale il carattere personale sotto cui l'evento del­la salvezza viene presentato. È questo secondo CoNZELMANN , Theologie des Neuen Te­staments, 171 uno dei passi rivelatori di come nella persona di Gesù si possa vedere realizzato in Luca il regno dei cieli.

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L'intima relazione tra Gesù e il Padre fa sì che il suo sentimento venga presentato non come percezione inattingibile, ma nella sua na­tura comunicativa; non come sentimento visionario e isolato, ma vi­sione complessiva che abbraccia la prospettiva escatologica.124 In tal modo, il vangelo ribadisce la profonda connessione tra sentimenti della divinità di Gesù e dimensione umana.

124 ERNST, Lukas. 340 ha definito «gioia escatologica» il moto di esultanza di Ge­sù, privo com'è di ogni consistenza psicologica. Per il suo trascendere il contesto, cf. GATHERCOLE, <<lesus' Eschatological Vision of the Fall of Satan: Luke 10, 1 8 Reconsi­dered>>, 1 49.

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L'IMMAGINE DE L CRISTO CO ME ALTE RITÀ E CO ME MODELLO

Attraverso la rapida rassegna dei passi che contengono verba af­fectuum riferiti a Gesù nei vangeli, si è abbozzata una prima classifi­cazione dei sentimenti evangelici; operazione, questa, solo parzial­mente riuscita, come era prevedibile, data la sovrapposizione nello stesso passo tra termini appartenenti a diverse classi lessicali (è il ca­so di ademonéo accanto a lypéomai ed ekthambéomai, § 3.3), i l ri­scontro di termini di significato simile in categorie diverse (come klaio del § 1 .8 e dakryo del § 3 .4) o i termini che si differenziano so­lo debolmente da altri di categorie differenti (così syllypéomai del § 3 .5). In realtà, si tratta di una terminologia quantomai sfuggente, cui è forte l 'impressione che sia opportuno avvicinarsi senza troppo di­stinguere e definire.

Se l'uso dei termini è forse condizionato da una certa approssi­mazione della koiné, appare tuttavia costante nei vangeli lo sforzo di ricorrere a tutti i mezzi, anche quello linguistico, per riprodurre l'am­piezza della gamma dei sentimenti che si vogliono rappresentare. Come classe lessicale, i verba affectuum riflettono la ricchezza termi­nologica al riguardo della lingua greca, ricorrendo a tratti a sfumatu­re anche sottili (come tra embrimaomai e tarasso, analizzati al § 3.4) . Anche laddove termini diversi appaiono dei sostanziali equivalenti (è il caso di agapao e philéo del § 2.3), vale nei vangeli il principio della massima valorizzazione dello strumento lessicale ai fini della perspicuità narrativa, che è quindi opportuno riflettere anche in se­de di analisi esegetica.

I sentimenti appaiono in Gesù fortemente connessi alle modalità concrete dell'operare, e la sua immagine ne risulta caratterizzata in

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profondità, come una figura a tutto tondo. 1 Di qui il loro valore pret­tamente relazionale, legato a situazioni concrete, anche nelle parabo­le; si tratta certamente di un sostegno per una comprensione più ef­ficace ai destinatari dei vangeli. Thttavia, il Cristo assume i connota­ti di una totale e decisiva alterità nei confronti della comune condot­ta umana; e l'immagine che egli rappresenta per il credente, pur con­dividendo gran parte dei sentimenti umani, risulta innegabilmente altro, e troverà riscontri decisivi nella teologia paolina.2

Caratterizzante l'alterità della condotta di Gesù è la rappresen­tazione radicale dei suoi sentimenti, più evidente nel caso di quelli propri della sua divinità: significativo è che il loro manifestarsi non derivi mai da commenti o interventi esterni, ma dalla propria inizia­tiva.3 Il Cristo vive la vicenda che gli altri uomini hanno sotto gli occhi in modo radicalmente più intenso: si pensi al caso, emblema­tico, della commozione di fronte alle folle (cf. § 3.7) o all'ammira­zione di fronte alla fede (cf. § 1 . 1 1 ) . Nonostante questo, il tono del­la narrazione resta dimesso, a sollecitare nell'ascoltatore una «emo­zione contenuta» (Solages), ma decisiva per la sua conversione, an­che per le manifestazioni più eclatanti di tale alterità.4 I sentimenti di Gesù non risultano così esaltati dalla potenza delle immagini o dei mezzi espressivi, ma dalla relazione che è possibile istituire tra la sua figura e quella degli uomini, e in primo luogo del destinata­rio dell'annuncio.

I sentimenti di Gesù si collocano nei vangeli in un mondo affetti­vo fortemente connotato. Per quanto le figure coinvolte spesso non siano compatibili tra loro - e anche la comparazione qui tentata su base puramente lessicale, tra moti dell'animo di Gesù e degli altri per­sonaggi può essere discutibile dal punto di vista ermeneutico -, egli

1 Secondo la ricostruzione di T. HoLTz, «Kenntnis von Jesus und Kenntnis Jesu. Eine Skizze zum Verhiiltnis zwischen historisch-philologischer Erkenntnis und histo­risch-theologischen Verstiindnis», in ThLitZeit 79(1979), 1 - 12, 7 è Cristo stesso a pre­sentare come centrale il legame tra la sua persona e le sue opere. Gesù respinge se­condo CuLLMANN, Christologie des Neuen Testaments, 282s come <<diabolica» la desi­gnazione ellenistica del Figlio di Dio come semplice taumaturgo.

2 Per alcuni tratti dell' <<Uomo spirituale>> in Paolo, cf. A. MIRANDA, «L'"uomo spi­rituale" nella Prima ai Corinzi», in RivBiblt 43(1995), 485-519.

3 Emblematico della radicalità dei sentimenti di Gesù è secondo GRUNDMANN, Das Evangelium nach Matthiius, 281 il caso di «avere compassione>> (splagchnizomai).

4 M. DE SoLAGEs, /ean et les Synoptiques, Brill, Leiden 1979, 246s.

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è al centro di un'intensa corrente di affetti che la sua figura e i suoi atti suscitano, che pure, almeno in parte, condivide: emblematico in tal senso il testo di Gv 1 1 (cf. §§ 2.3, 2.8 e 3.4). Tuttavia, resta il miste­ro di fondo sulle motivazioni profonde del suo animo, di fronte al quale le narrazioni evangeliche mantengono un rispettoso riserbo.

Sebbene non isolata, la rappresentazione evangelica dei senti­menti del Cristo confligge con ogni visione comunemente accettata della vita affettiva: per quanto pienamente riportabili alla gamma dei sentimenti umani, le notazioni che li riguardano implicano una ricollocazione decisiva dell'ordine abitualmente istituito tra essi.5 In tal senso, può colpire l 'inattesa intensità di alcune reazioni di Gesù, come la vergogna davanti all'indifferenza (cf. § 2.6) o la compassio­ne per la stanchezza delle folle (cf. § 3.9); o anche ci troviamo di fron­te a sentimenti inaspettati in base alla logica umana, come la sua in­dignazione dinanzi al falso zelo (cf. § 2.5) o alla generosità illimitata di fronte all 'invocazione di pietà (cf. § 3.2). La difficoltà di cogliere appieno sentimenti che sfuggono alla comune percezione umana è evidente, in particolare nelle reazioni della folla e dei discepoli stes­si;6 tuttavia, a nessuno dei presenti risulta indifferente la radicale no­vità della forza dei sentimenti di Gesù.

In virtù della loro eccezionalità, la rappresentazione dei senti­menti di Gesù non è orientata a sottolinearne la componente pura­mente umana. Nella decisione, a tratti perentoria, che muove le sue azioni è anzi da riconoscere una impronta significativa del divino: emblematici in tal senso sono la sollecitudine per il realizzarsi della salvezza (cf. § 1 .2) e la compassione che genera il miracolo (cf. § 3.6); una visione di tipo flebilmente intimistico dei sentimenti di Gesù ri­sulterebbe perciò quantomai inopportuna.7 L'umanità intera è desti-

5 G ROSFJAN, L'ironie christique, 180 coglie nei testi evangelici l' intento di far re­cedere l 'ascoltatore dalle sue sicurezze, per prendere contatto con un sistema costitui­to di sentimenti proprio solamente del Cristo.

6 Come nota L. Sc:HENKE, Das Markus-Evangelium, Kohlhammer, Stuttgart 1988, 95, gli interlocutori si limitano a percepire la potenza dei sentimenti di Gesù, ignoran­done l'intima sostanza. Nemmeno nella profonda compartecipazione del <<discepolo amato», osserva BARRETT, The Gospel according to St. fohn, 446. si realizza in Giovan­ni la comprensione di tali sentimenti.

7 Cf. in questo senso il richiamo di CoNZELMANN, Grundriss der Theo/ogie des Neuen Testaments, 135 ad evitare una visione in chiave puramente interiore. Nelle nar­razioni dei miracoli in particolare siamo di fronte, secondo B. PITTNER, Studien zum

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nataria dei sentimenti, ed è quindi sollecitata a comprenderne il sen­so; ma è evidente il carattere sovrannaturale della loro origine e del loro manifestarsi.

Nonostante la loro natura, i sentimenti di Gesù non sembrano provenire in nessuna circostanza da una dimensione oracolare e inaccessibile, ma scaturiscono con naturalezza dal vissuto, di cui le scene evangeliche forniscono quadri di notevole realismo. Il loro ruolo è complementare a quello delle parole, di cui costituiscono non di rado un sostegno e una motivazione; ma a volte vanno oltre, a si­gnificare ciò che esse non riescono a comunicare, quasi tentando un avvicinamento vis à vis al Cristo: è il caso, emblematicamente, del­l 'affetto che induce alla salvezza (cf. § 2. 1 ) , o dello sconvolgimento di fronte al destino (cf. § 3.4).8 Ciò è sintomatico di quanto nei vangeli i sentimenti non siano mai puro oggetto descrittivo, ma di una comu­nicazione intensa e personale.

Non si è riscontrata una separazione netta tra sentimenti di Ge­sù e degli uomini, sia a livello di scelte lessicali che di contesto espressivo. I primi possono dirsi pienamente mescolati nella vicenda umana, anche se si avverte spesso una loro collocazione più alta: al­cuni sentimenti appaiono ispirati da un superiore bisogno di compar­tecipazione - il desiderio di rendere partecipi (cf. § 1 .3) o l'amore messianico della Passione (cf. § 2.2) -, così come altri più intensi e complessi - il desiderio di protezione divina (cf. § 1 . 1 ) o il pianto sulla rovina di Gerusalemme (cf. § 1 .8) - di quelli umani. La forza dell'espressione gioca un ruolo essenziale nel suggerire i termini di tale diversità.

Gesù sollecita in modo radicale, con l'intensità del suo sentire, la condotta del credente. Tuttavia questa mozione, avvertibile con gli occhi della fede in tutta la narrazione evangelica, non va intesa come un appello incondizionato e da applicarsi in modo indifferenziato a

lukanischen Sondergut. Sprachliche, theologische und formkritische Untersuchungen zu Sonderguttexten in Lk 5·19, St. Benno, Leipzig 1991, 59, a un vero e proprio «dove­re» div�no come fondamento dell'agire di Gesù.

8 E un tratto costante dei vangeli il «Volgersi con benevolenza al singolo», mai ca­ratterizzato come «assoluzione generale>> (L. GoPPELT, Theologie des Neuen Testa­ments, Vandenhoeck & Ruprecht, Gottingen 1975 [trad. it. Teologia del Nuovo Testa­mento, Morcelliana, Brescia 1983), 184).

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ogni situazione: attraverso prese di posizione forti e imprevedibili come lo sdegno per la mancata condivisione dei sentimenti di Dio (cf. § 1 . 12) e la rivalutazione della sofferenza come prospettiva della salvezza (cf. § 1 .5), l 'insegnamento evangelico invita ad astenersi dal­le manifestazioni eccessive dei moti dell'animo, specie del timore, e a riservarli solo a ciò che realmente vale. Il richiamo a coltivare e a esprimere sentimenti più intensi si rivolge comunque generalmente all'insieme dei discepoli, e va inserito in un'ottica di edificazione co­munitaria prima che individuale:9 il credente ha davanti a sé un mo­dello articolato, che non si presta a semplificazioni, ma che esige una totale adesione del proprio sentire.

La rappresentazione del Cristo assume la duplice valenza di una dimensione «altra» rispetto alla condotta comune e di proposta di un atteggiamento esemplare per i credenti; questo equilibrio è signi­ficativo di un orientamento e di una sensibilità che sono peculiari dei vangeli. Nel Cristo il credente riscontra un'immagine, dai tratti chia·ramente connotati, con la quale confrontarsi costantemente, e in cui riconoscere appieno il volto di Dio; nell 'uno e nell 'altro aspetto, la componente dei sentimenti gioca un ruolo determinante, pur non prestandosi a facili semplificazioni o adattamenti. Custodire e pre­servare tale immagine nella sua integrità, come il testo evangelico lo rappresenta, costituisce resta il fine che resta fisso davanti a ogni credente.

9 ERNST, lohannes, 35 individua il riferimento comunitario dei sentimenti di Ge­sù come caratterizzante l'annuncio evangelico. Per il tema del superamento del timo­re, cf. F. PoRSCH, Anwalt der Glaubenden. Das Wirken des Geistes nach dem Zeugnis des Johannesevangeliums, Katholisches Bibelwerk, Stuttgart 1978, 38ss.

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CONCLU SIONI

La reticenza del testo evangelico in merito ai sentimenti di Gesù si è rivelata nel corso di questa indagine non generalizzata: accanto alle menzioni esplicite di essi, molti riferimenti possono essere colti nel contesto situazionale, o come reazione a gesti ed espressioni de­gli interlocutori; le brevi osservazioni qui riportate non hanno potu­to fornirne un quadro completo. Forse il termine stesso «sentimen­ti», con le implicazioni che è venuto assumendo nella nostra cultura, non è adatto a tradurre quanto nei vangeli è riferito a questa sfera, che non è paragonabile a nessuna forma che emerge, ad esempio, nella narrativa o nella lirica contemporanee: si potrebbe forse parla­re di elementi della sensibilità, o di espressioni del cuore. Ma anche attenendosi soltanto all'esplicito uso dei verba affectuum, come si è fatto in questa sede, numerosi sono gli indizi che è stato possibile ri­cavare, soprattutto a partire dal confronto con i sentimenti attribuiti agli altri personaggi evangelici, per una definizione.

Può dirsi sostanzialmente confermato un riserbo intenzionale dei vangeli sui verba affectuum, dato il carattere solo episodico del­le loro occorrenze e il valore problematico di molti di essi . Tuttavia, il loro uso non risulta meramente occasionale o funzionale all'azio­ne descritta, ma risponde a una domanda diffusa degli interlocuto­ri, e, indirettamente, di tutti i credenti: per questo, si è riscontrato anzi un significativo orientamento dei testi a mettere in luce nella condotta di Gesù, in determinate circostanze, la componente emoti­va. Di più, si è avuto occasione di constatare un'attenzione privile­giata, sotto vari punti di vista, degli evangelisti a questa terminolo­gia, che spesso emerge in momenti particolarmente significativi del­la narrazione.

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L'obiettivo di raccogliere elementi sui sentimenti evangelici di Gesù è approdato, come era prevedibile attendersi, a risultati mol­to interlocutori. In realtà, nell'analisi dei passi si è solo sfiorata la messe di problematiche relativa ai singoli termini, e si è ridotto allo stretto necessario il riferimento alla sterminata massa di studi in proposito. Emerge comunque dai testi esaminati un forte rilievo dell 'umanità dei sentimenti di Gesù, nel senso, che qui si è assunto come fondamentale, della categoria dei sentimenti condivisi con gli uomini ; più reticenti sono apparsi i testi sul tema dell' intimità dei sentimenti , mentre quelli della divinità sono emersi come riferimen­ti episodici e quasi sfuggiti al narratore, o al culmine di una conca­tenazione di termini.

Le circostanze in cui i sentimenti di Gesù si manifestano sono particolarmente significative nell'economia del testo evangelico, e non di rado implicano una svolta decisiva nella narrazione. L'esplici­tazione di tali circostanze costituisce una necessità espressiva, oltre a rispondere probabilmente a un disegno coerente; e l 'esame delle oc­correnze che si è cercato qui di fornire ha dovuto rilevare il caratte­re fortemente contestuale dei termini. Proprio questa constatazione fa valutare il ruolo dei verba affectuum come tutt'altro che accesso­rio nel testo, ed anzi come vero e proprio veicolo di elementi della Rivelazione.

La gamma dei sentimenti che è stato possibile ricostruire, in ba­se a tracce che si direbbero intenzionalmente disposte nei resoconti evangelici, fanno intravedere come possibile una compartecipazione con essi , non apparendo mai come il capriccioso manifestarsi di una divinità estranea alla sensibilità dell'uomo. Per quanto incompleta, tale gamma è comunque rivelatrice di un orientamento decisivo per la sensibilità del credente: attraverso l'immagine del Cristo che se ne può desumere, egli è potentemente sollecitato nella sua componen­te emotiva e, più in generale, nella sua condotta. Se alcuni sentimen­ti di Gesù sono sottratti all 'ottica di una possibile imitazione, essi co­stituiscono comunque una formidabile sollecitazione a entrare in sintonia con lui .

Perché la prima comunità non sentì il bisogno di mettere in mag­giore evidenza nei vangeli una componente tanto importante come i sentimenti di Gesù? Senza dubbio, tra l 'altro, per una diffidenza verso ogni visione troppo connotata in senso emotivo; in effetti , il quadro complessivo dei verba affectuum mal si presta a facili letture

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in chiave psicologica, soprattutto se si tiene conto dei successivi svi­luppi dell 'antropologia teologica; 1 in realtà, i vangeli sembrano ripu­diare del tutto il ricorso a un linguaggio dell 'emotività, intendendo la preminenza dei sentimenti come funzionale a un'immagine forte e radicata di un'umanità rinnovata. Nel culto per la persona di Gesù in tutti i suoi aspetti che i vangeli, seppure con sobrietà, sollecitano, una componente comunque imprescindibile è senza dubbio la sua interiorità.

La veneranda tradizione tesa a ricostruire i sentimenti di Gesù si pone oggi più che mai, in un'epoca di particolare sensibilità ai moti dell'animo e della coscienza, come un itinerario interpretativo fon­damentale. Il credente avverte infatti l 'esigenza non solo di appren­dere parole e disposizioni del Cristo, ma anche di entrare in comu­nicazione con la sua condotta complessiva.2 Nel tradurre alcuni sen­timenti di Gesù, i primi testimoni del vangelo hanno infatti fornito un'immagine del rapporto personale ed emotivo con lui come indi­spensabile per la fede; e i sentimenti stessi di Dio appaiono accessi­bili dai loro resoconti, per quanto attraverso un notevole sforzo di sintonia.

Se dall 'insieme dei termini esaminati emerge un modello com­plessivo per il credente, singolarmente essi si pongono come propri della persona di Gesù, e quindi difficilmente estensibili a un insieme di persone. Il mistero del Cristo appare nei suoi sentimenti per mol­ti aspetti insondabile, ma non gelosamente custodito: attraverso di essi il credente può maturare un'autentica conoscenza della figura del Cristo, che si rivela nella totalità e nell'intimità del suo sentire: condividerne o, più sommessamente, cominciare a imitarne l'attitu­dine interiore è in molti modi evocata dagli evangelisti come la mi­gliore disposizione per credere.

1 Cf. M. MESLIN, L'expérience humaine du divin. Fondemetits d 'une anthropologie religieuse, Desclée, Paris 1988, 377 per l 'importanza della partecipazione al divino co­me costante dell'antropologia postpaolina.

2 Sul tema dell'<<autocomprensione>> di Gesù nei vangeli come chiave per inter­pretare la volontà di Dio, cf. H. HOBNER, Biblische Theologie des Neuen Testaments, Vandenhoeck & Ruprecht, Gottingen 1995 (trad. i t. Teologia biblica del Nuovo Testa­mento, Paideia, Brescia 2000), III, 257ss.

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INDICE

Presentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .'.

l. TIPOLOGIA LESSICALE DEI VERBA AFFECTUUM . . . . . . . . . . . . . . . . Il. TIPOLOGIA CONTESTUALE DEI VERBA AFFECTUUM . . . . . . . . . . III. OccoRRENZE DEI V ERBA AFFECTUUM . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

l I sentimenti dell'umanità di Gesù . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

A) ATTITUDINI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.1 . Mt 23,37; Le 13,34: il desiderio di protezione di-

vina («volere», thélo) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.2. Le 12,49-50: la sollecitudine per il realizzarsi

della salvezza («volere», thélo; «essere angoscia-to», synéchomai) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

1 .3. Le 22,15: il desiderio di rendere partecipi della Passione («desiderare», epithyméo; «soffrire», pascho) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

1.4. Mc 8,31; Mt 16,21; Le 9,22: la sofferenza come destino del Messia («soffrire», pascho) . . . . . . . . . . . . . .

1.5. Mc 9,12; Mt 17, 12: la sofferenza come prospetti-va della salvezza («soffrire», paschO) . . . . . . . . . . . . . . . . .

1 .6. Le 1 7,25: il dolore preescatologico del Figlio dell'uomo («soffrire», pascho) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

1. 7. Le 24,26: la sofferenza come dimensiòne mes-sianica («soffrire», pascho) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

B) TURBAMENTO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.8. Le 19,41: il pianto sulla rovina di Gerusalemme

(«piangere», klafo) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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1 . 9. Gv 12,27-13,21: lo sconvolgimento prima della morte («essere turbato»!«commuoversi», tanis-somai) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

C) REAZIONI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 .10. Mc 6,6: la meraviglia per l'incredulità degli in-

terlocutori («meravigliarsi», thammizo) . . . . . . . . . . . . . 1.11 . Mt 8,10; Le 7,9: l'ammirazione di fronte alla fe-

de («essere ammirato», thaumazo) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 . 12. Mt 18,34: lo sdegno per la mancata condivisione

dei sentimenti di Dio (<<sdegnarsi>>, orghizomai) 1. 13. Mt 22, 7; Le 14,21: l'ira di fronte all'ingratitudine

degli uomini (<<indignarsi»!<<irritarsi», orghizo-mai) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

2 I sentimenti deU'intimità di Gesù . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

A) ATTITUDINI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. 1 . Mc 10,21: l 'affetto che induce alla salvezza

(<<amare>>, agapao) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.2. Gv 13,1: l 'amore messianico della Passione

(<<amare>>, agapao) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.3. Gv 11,5; 13,23; 19,26; 20,2; 21, 7; 21,20: l'amore di

Gesù per i singoli discepoli («voler bene»><<ama-re»: agapao, philéo) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

2.4. Gv 2,24: il confidare negli uomini (<<confidarsi>>, pisteuo) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

B) REAZIONI · · · • · · · · · · • · • · • · · · · • • · · · · · • · · · · · · · · · · · • • • · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · • · 2.5. Mc 10,14: il risentimento dinanzi al falso zelo

dei discepoli (<<indignarsi>>, aganaktéo) . . . . . . . . . . . . . . 2.6. Mt 10,33; Le 9,26: la vergogna davanti all'indif­

ferenza degli uomini (<<vergognarsi>>, epaischy-nomai) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

2. 7. Le 15,15: la gioia per il peccatore ritrovato (<<es-sere contento>>, chairo) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

2.8. Gv 11,5: la gioia per il manifestarsi della salvez-za (<<essere contento>>, chairo) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

3 I sentimenti della divinità di Gesù . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

A) ATTITUDINI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

144

3.1. Le 18, 7: La magnanimità di fronte alla preghie­ra dei figli (<<fare giustizia>>, makrothyméo) . . . . . .

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3.2. Mt 18,27: la magnanimità e compassione di fronte all 'invocazione di pietà («aver pazienza», makrothyméo; «impietosirsi», splagchnizomai)

B) TURBAMENTO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . : . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.3. Mc 14,33; Mt 26,37: il turbamento di fronte alla

morte («sentire paura/provare tristezza», ekthambéomai/lypéomai; «provare angoscia», ademonéo) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

3.4. Gv 11,33: lo sconvolgimento di fronte al destino («commuoversi», embrimaomai; «turbarsi», tarasso; «scoppiare in pianto», dakryo) . . . . . . . . . . . . ..

C) REAZIONI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.5. Mc 3,5: l'afflizione per la durezza di cuore («rat-

tristarsi», syllypéomai) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3. 6. Mc 1,41: la compassione che genera il miracolo

(«essere mosso a compassione», splagchnizo-mai) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

3. 7. Mc 6,34; M t 14,14: la commozione di fronte alle folle («commuoversi»!«sentire compassione», splagchnizomai) . . . . . . ; . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

3.8. Mc 8,2; M t 15,32: la rivelazione della compassio­ne ai discepoli (<<sentire compassione», splag-chnizomai) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

3. 9. Mt 9,36: la comp(lssione per la stanchezza delle folle («sentire compassione», splagchnizomai) . .

3.10. Mt 20,34: la commozione di fronte alla richiesta di guarigione («commuoversi», splagchnizomai)

3.11. Le 7,13: la compassione di fronte al dolore («avere compassione», splagchnizomai) . . . . . . . . . . . .

3.12. Le 10,33: la compassione per l'uomo sofferente («avere compassione», splagchnizomai) . . . . . . . . . . . .

3. 13. Le 15,20: la compassione di fronte alla conver­sione del peccatore («essere commosso», splag-chnizomai) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

D) RIVELAZIONI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.14. Le 10,21: l 'esultanza nello Spirito per la rivela-

zione («esultare», agalliao) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

4 L'immagine del Cristo come alterità e come modello

Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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