Sentenza n. 708/2014 del 2 ottobre 2014

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1 Sent. N. 708/2014 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE DEI CONTI SEZIONE GIURISDIZIONALE REGIONALE PER IL LAZIO Composta dai magistrati: Ivan De Musso Presidente Chiara Bersani Consigliere Rel. Maio Giuseppina Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di responsabilità n. 73420 ad istanza della Procura Regionale per la Sezione Lazio, in persona del V.P.G. Domenico Piccirillo, contro: -Percoco Armando, rappresentato e difeso dall’Avv. Susanna Chiabotto, con domicilio in Roma, al P. le Clodio, n. 22, e dall’Avv. Giancarlo Laganà, domiciliato in Roma, alla Via Nicotera, n. 20; -Leone Alberto, rappresentato e difeso dagli Avv.ti. Domenico e Paolo Bonaiuti, e presso di loro domiciliato in Roma, alla Via Riccardo Grazioli Lante, n. 16; -Fusco Vincenzo, residente in Trevignano Romano, alla Via Monte Fumaiolo, n.6/A, costituito personalmente; Visti gli atti ed i documenti di causa; Uditi alla pubblica udienza del 08.07.2014, con l’assistenza del Segretario di udienza Sig.ra Sarina Anna Ponturo, il P.M. in persona del V.P.G. Domenico Peccerillo, l’Avv. Andrea Musacchio per delega dell’Avv. Chiabotto, e l’Avv. Paolo Bonaiuti; Ritenuto in FATTO

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Sent. N. 708/2014 REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI

SEZIONE GIURISDIZIONALE REGIONALE

PER IL LAZIO

Composta dai magistrati:

Ivan De Musso Presidente

Chiara Bersani Consigliere Rel.

Maio Giuseppina Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di responsabilità n. 73420 ad istanza della Procura Regionale per la

Sezione Lazio, in persona del V.P.G. Domenico Piccirillo, contro:

-Percoco Armando, rappresentato e difeso dall’Avv. Susanna Chiabotto, con domicilio in Roma, al

P. le Clodio, n. 22, e dall’Avv. Giancarlo Laganà, domiciliato in Roma, alla Via Nicotera, n. 20;

-Leone Alberto, rappresentato e difeso dagli Avv.ti. Domenico e Paolo Bonaiuti, e presso di loro

domiciliato in Roma, alla Via Riccardo Grazioli Lante, n. 16;

-Fusco Vincenzo, residente in Trevignano Romano, alla Via Monte Fumaiolo, n.6/A, costituito

personalmente;

Visti gli atti ed i documenti di causa;

Uditi alla pubblica udienza del 08.07.2014, con l’assistenza del Segretario di udienza Sig.ra Sarina

Anna Ponturo, il P.M. in persona del V.P.G. Domenico Peccerillo, l’Avv. Andrea Musacchio per

delega dell’Avv. Chiabotto, e l’Avv. Paolo Bonaiuti;

Ritenuto in

FATTO

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A seguito di esposto trasmesso dal Comitato Parchi di Terracina il 12.02.2011, la Procura di questa

Corte ha avviato istruttoria, esitata in inviti a dedure e nell’atto di citazione emesso il 02.12.2013,

sull’esecuzione di lavori per la realizzazione di un parcheggio per auto in località Parco Montuno,

Terracina, per il danno conseguente alla definitiva interruzione ed abbandono dei lavori stessi,

conseguente al ritrovamento di reperti storici ed archeologici nell’area del cantiere, danno

quantificato in euro 126.772,36, pari alla liquidazione del primo (ed unico) SAL alla Ditta

esecutrice Gemini Appalti, avvenuta il 19.05.2011.

Premette la Procura che, come afferma la delibera comunale (D.G. n.183 del 04.04.2011), “durante

i lavori di scavo del costruendo parcheggio interrato in località Montuno sono stati trovati ruderi di

una antica costruzione di epoca romana...e che tale ritrovamento...impedisce la costruzione del

parcheggio"; a seguito di tale ritrovamento l’esecuzione dell’appalto ha subito tre interruzioni ed

infine, con la citata delibera, dando atto di tali ritrovamenti, il Comune ha deciso di “rinunziare ai

lavori in itinere a fine di riformulare una nuova progettazione anche in virtù dell’antieconomicità

dell’eventuale realizzazione di un parcheggio di dimensioni ridotte….”, ed ha conferito “mandato al

Dipartimento LL.PP di redigere apposito progetto per il ripristino dei luoghi”. L’opera sarebbe stata

pertanto non cantierabile sin dall’inizio, circostanza questa che sarebbe stata verificabile solo se

fossero state rispettate le norme in materia di attività di progettazione e le prescrizioni urbanistiche

e di vincolo esistenti sull’area.

Nell’atto di citazione si contesta, infatti, che i lavori sarebbero stati affidati senza che in sede di

progettazione preliminare fosse stata compiuta la verifica dell’interesse archeologico, in violazione

dell’art. 95, comma 1, del D.lgs. n. 163/2006, senza la preventiva approvazione del progetto da

parte del locale Sovrintendente regionale, in violazione dell’art. 96, comma 2, del medesimo D.lgs.

ed in base alle disposizioni del Piano Particolareggiato approvato dalla Regione con atto n.2163 del

28.04.1980, ricadendo l’area nell’ambito del piano stesso, come risulterebbe da certificato di

destinazione urbanistica del 14.12.2006 (nulla osta richiesto dal Comune di Terracina solo il

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03.06.2009, e cioè successivamente alla consegna del lavori, con la motivazione che “considerata la

criticità dell’area, prima di dare inizio ai lavori di sbancamento….occorre un sopralluogo congiunto

in modo da valutare l’opportunità di effettuare delle indagini preliminari..”). Tali omissioni

integrerebbero “carenze progettuali” di cui all’art.163, comma 6, del D.lgs. n. 163/2006, nonché un

non efficace svolgimento delle attività del RUP, in particolare di quelle di validazione del progetto,

condotte in contrasto con quanto disposto dall’art.47 del DPR n.554/1999 e dall’art.112 del d.lgs. n.

163/2006, atteso che, a fronte delle omissioni suddette, lo stesso RUP, nel verbale di validazione del

13.10.2008, aveva invece affermato che era stata verificata “l’esistenza delle indagini geologiche e,

ove necessario, archeologiche nell’area di intervento e la conseguenza dei risultati di tali indagini

con le scelte progettuali”, imputabili pertanto al progettista e al RUP a titolo di colpa grave.

Afferma la Procura che il ritrovamento archeologico era sicuramente destinato ad emergere dallo

sbancamento della collina di Montuno, essendo l’area interessata, oltre che dal vincolo

paesaggistico e urbanistico, proprio da vincolo archeologico di cui al D.M. del 23.11.1965, e che la

forte probabilità di ritrovamenti archeologici sarebbe senz’altro emersa ad esito delle verifiche

preliminari obbligatoriamente previste, e non effettuate, per cui in dette omissioni e carenze

progettuali e di validazione ha individuato il nesso causale con il danno e, richiamando

l’esposizione dei fatti come relazionata nella determina della AVCP n.0051110 del 24.05.2012

(intervenuta nel corso della fase preprocessuale del giudizio) e le relative conclusioni in diritto, in

parte riportate nell’atto di citazione, ha imputato il predetto danno all’Ing. Percoco Armando, nella

sua qualità di estensore del progetto preliminare ed esecutivo e di Direttore dei Lavori, al Geom.

Leone Alberto, in qualità di RUP dell’intera opera, ed all’Ing. Fusco Vincenzo, Dirigente dei

Lavori Pubblici all’epoca dei fatti, tutti già costituiti in mora dall’amministrazione il 02.05.2012.

Nell’atto di citazione si fa anche cenno alle ulteriori vicende che interessano ad oggi l’area, ivi

compreso il processo penale attualmente pendente per i medesimi fatti.

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Leone Alberto si è costituito il 11.02.2014 tramite l’Avv. Domenico Bonaiuti, depositando

successive memorie di difesa, ed ha pregiudizialmente eccepito la nullità dell’atto di citazione per

violazione del termine di 90 gg a difesa, ex art. 163 bis, comma 1, c.p.c. (tra la notifica dell’atto di

citazione, avvenuta il 16.12.2013, e la fissazione dell’udienza del 13.03.2014, violazione dell’art.

166 c.p.c. che assegna al convenuto 20 giorni liberi prima dell’udienza per il deposito di memorie,

in quanto al convenuto è stato assegnato termine sino al 20.02.2014 per il deposito di memorie e

documenti); all’udienza del 13.03.2014 con sentenza/ordinanza n. 314/2014, l’eccezione è stata

respinta e sono stati assegnati termini a difesa alle parti convenute, con fissazione dell’udienza al

08.07.2014.

La difesa del Leone ha inoltre eccepito sempre in via preliminare la nullità dell’atto di citazione per

genericità, ex artt. 112 c.p.c. e 164, comma 4, c.p.c., ed ex art. 1 del R.D. n. 1038/33, per mancanza

di alcuna specificazione dei singoli profili di responsabilità in relazione al titolo di imputazione

(colpa grave), nonché della quantificazione della parte che viene addebitata al convenuto nella

fattispecie di corresponsabilità parziaria, avendo la Procura chiesto la condanna con richiamo alle

“quote che saranno ritenute di giustizia”, ed il difetto di giurisdizione, in quanto la citazione

introdurrebbe una domanda restitutoria e non risarcitoria, essendo il petitum di ammontare identico

al SAL liquidato alla ditta esecutrice dei lavori.

Nel merito, dopo ampia ricostruzione della vicenda inserita nel programma triennale dei lavori

pubblici del comune di Terracina, ha ribadìto la tesi, già sostenuta in sede di istruttoria, che l’area

interessata ai lavori oggetto del presente giudizio sarebbe esente da ogni vincolo, per cui non

sussisterebbe alcun profilo di illiceità collegato alle contestate omissioni in sede progettuale; in

particolare, corroborando le osservazioni anche con una relazione a firma dell’Archeologo Dr.

Pietro Longo depositata il 18.06.2014:

-l’area rimarrebbe estranea al perimetro del bacino portuale, il cui limite è individuato nella tav.9

del PPE del Centro Storico (approvato con D.G.R. n.2163 del 28.04.1980), e pertanto sarebbero

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inconsistenti le censure di violazione delle prescrizioni del PPE rilevate dalla Procura e dalla

AVCP, nonché di omessa richiesta del preventivo parere alla Sovrintendenza, obbligatorio solo per

le aree ivi ricomprese;

-l’area non sarebbe gravata da vincolo paesaggistico di cui al D.lgs. n. 42 del 22.01.2004, atteso che

essa non ricadrebbe nelle previsioni del PTP Regionale approvato con DGR n. 2280 del 28.04.1987

e con L.R. n. 24 del 06.07.1988, se non per la fascia di tutela del c.d. Canale Linea Pio VI;

-essa non ricadrebbe nel vincolo archeologico di cui al D.M. del 23.11.1965, che neanche si

riferirebbe ai “ruderi costituenti l’antico Porto di Terracina”. La circostanza sarebbe avvalorata dal

fatto che, con nota n.1261 del 22.10.2010, la stessa Sovrintendenza, interpellata prima dell’inizio

dei lavori, avrebbe ritenuto di dover effettuare specifiche verifiche archeologiche solo per

scongiurare l’eventualità di rinvenimenti imprevisti ed imprevedibili, poiché l’area era esterna al

perimetro dell’antico porto; pertanto, correttamente l’amministrazione avrebbe omesso, in sede di

progettazione, la richiesta di parere preventivo alla Sovrintendenza archeologica, in applicazione

delle stesse raccomandazioni della deliberazione regionale n. 2163 del 28.04.1980, che non la

prevedono come obbligatoria per le aree esterne a detti vincoli, e delle previsioni del D.lgs. n.

163/2006 e del D.P.R. n. 554/99 (l’art. 95 del D.lgs. non prevede come obbligatoria la trasmissione

del progetto preliminare alla Sovrintendenza per interventi che non comportino scavi o nuova

edificazione a quote diverse da quelle già impegnate da manufatti esistenti, e l’area sarebbe

immediatamente circondata da immobili anche superiore a quattro piani fuori terra con quote di

scavo certamente superiori a quelle dell’area interessata a parcheggio) .

La difesa del Leone ha poi rilevato la mancanza di colpa grave sia dall’assenza d’illecito, sia dal

fatto (attestato nel verbale di sopralluogo effettuato dal competente funzionario della

Sovrintendenza il 22.10.2010) che, pure a fronte dell’estraneità dell’area a vincolo di qualsiasi tipo,

e della non attribuibilità della collina di Montuno all’epoca di effettuazione degli scavi per la

realizzazione del porto romano (relazione citata), i movimenti di terra effettuati sino a quel

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momento erano stati finalizzati alla preparazione dell’area onde consentire l’esecuzione di ulteriori

indagini di accertamento o varianti per la realizzazione di parcheggio di dimensioni ridotte, e che

una tale variante è stata poi effettivamente approvata (DGC n.568 del 16.12.2011 che ha deciso un

aumento di parcheggi in Via Manzoni con ripristino dello stato dei luoghi) senza rilievi

dall’Assessorato delle Politiche della Mobilità e del Trasporto della regione Lazio nota 186555 del

27.04.2012), ed assistita da finanziamento integrale regionale, senza che la Regione abbia rilevato

alcun contrasto con la variante medesima e l’art. 132, comma 1, del D.lgs. n. 163/12006. La

circostanza, per la difesa, dimostrerebbe definitivamente sia la mancanza di colpa grave che la

correttezza sostanziale dell’operato del convenuto; ha eccepito infine l’assenza di danno, in quanto i

lavori effettuati costituirebbero solo lavori di scavo e pertanto sarebbero i medesimi che si

sarebbero effettuati nella fase delle indagini preliminari che la Procura censura siano state omesse,

ed anzi avrebbero impegnato un costo assai minore di quelli, ed ha concluso per l’accoglimento

delle eccezioni pregiudiziali e preliminari, e nel merito, per l’assoluzione da ogni addebito,

chiedendo in via gradata l’applicazione del potere riduttivo dell’addebito ed il computo dell’utile

conseguito dall’amministrazione.

Il Sig. Percoco Armando si è costituito il 21.02.2014 tramite l’Avv. Susanna Chiabotto.

Sostanzialmente simili sono le argomentazioni a difesa: ha eccepito pregiudizialmente difetto di

giurisdizione per identità del petitum con un’azione di tipo restitutorio, in via preliminare ha

eccepito la nullità dell’atto di citazione per violazione del termine a difesa ex art. 163 bis c.p.c. e per

genericità ex art.164 c.p.c, per mancata illustrazione dello specifico fatto ascritto al convenuto e dei

tratti distintivi della sua responsabilità in una fattispecie in cui concorrono altri corresponsabili,

nonché del preteso danno; nel merito ha sostenuto anch’egli che l’area non sarebbe interessata da

vincolo archeologico né paesistico, per cui la successiva richiesta di parere alla Sovrintendenza, che

il DL ha inoltrato dopo l’inizio dei lavori, ha costituito frutto di suo puro scrupolo, ed ha consentito

il ritrovamento del manufatto di epoca romana, a seguito del quale detto reperto è stato ricoperto di

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terra, i lavori sono stati prima sospesi e poi definitivamente rinunziati (DG Comunale n.183 del

04.04.2011), ed il progetto per il parcheggio è stato approvato con variante in altra area (DC

n.568/2011), evidenziadosi così agli atti la mancanza, oltre che della colpa grave, anche del danno,

considerati sia la mancata valorizzazione del rudere, sia il minor costo dei lavori di scavo eseguiti

rispetto a quelli che sarebbero stati eseguiti se si fosse dato corso ad indagini preliminari in fase

progettuale. Anche la difesa del Sig. Percoco, infine, ha concluso per l’accoglimento delle eccezioni

pregiudiziali e preliminari, e, nel merito, per l’assoluzione da ogni addebito, chiedendo in via

gradata l’esercizio del potere riduttivo dell’addebito ed il computo dell’utile.

L’Ing. Fusco Vincenzo ha presentato memoria di costituzione e difesa personale con la quale ha

sostenuto l’estraneità alla vicenda, nella sua qualità di Dirigente p.t. LL.PP del Comune di

Terracina, estraneo pertanto all’intero procedimento di realizzazione dell’opera, non avendo egli

ricoperto funzioni né di D.L., né di progettista, né di RUP, né di responsabile della sicurezza, unici

soggetti ai quali il D.lgs.n.163/06 ed il citato regolamento n.554/9 collegano le responsabilità

imputate nell’atto di citazione. Ciò premesso, in punto di fatto ha ritenuto di chiarire quanto rilevato

nella propria relazione tecnica del 25.03.2011 (redatta con riferimento alla nota del Corpo Forestale

dello Stato di Terracina n.14965/2011, con la quale si chiedeva di relazionare in ordine al medesimo

esposto inviato anche a questa Corte, e nella quale si sosteneva l’insussistenza di vincoli

archeologici o paesaggistici con argomentazioni oggi riprese, nel presente giudizio, dalle due difese

dei convenuti Percoco e Leone), precisando che l’area interessata dai lavori è ricompresa nel Piano

Particolareggiato Esecutivo per il “Centro Storico in declivio e pianura e Area Archeologica

Portuale”, ma non nella più particolare zona inclusa nell’Area Archeologica Portuale, per la quale

il medesimo piano prevedeva l’obbligo di richiedere il nulla osta preventivo alla Sovrintendenza; il

giudizio di “criticità dell’area” che la Sovrintendenza ha emesso in sede di sopralluogo ed ha

comunicato nella nota del 01.10.2009 n.9806 non potrebbe valere ad estendere ad essa la rilevanza

del “rischio archeologico” che, a norma del precitato PPE, rimarrebbe circoscritto alle sole aree

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vincolate con le procedure previste per legge. Ha eccepito poi, similmente alle difese degli altri

convenuti, che non sussisterebbe alcun danno per l’identità dei lavori di scavo eseguiti rispetto a

quelli necessari in fase d’indagini preliminari, ed anzi di spesa assai inferiori a quelli, ed ha

concluso per il rigetto della citazione e, in via subordinata, per l’esercizio del potere riduttivo

dell’addebito.

Con sentenza/ordinanza n.304/2014 pronunziata all’udienza del 13.03.2014, è stata respinta

l’eccezione di nullità dell’atto di citazione ex art. 164 c.p.c., per violazione dei termini di cui all’art.

163 bis c.p.c., ed è stato disposto il rinvio dell’udienza alla data del 08.07.2014, onde consentire

adeguata difesa ai convenuti.

Con memoria del 07.07.2014 l’Ing. Percoco ha nominato difensore l’Avv. Giancarlo Laganà del

foro di Roma, che per l’udienza del 08.07.2014 ha conferito delega all’Avv. Musacchio e depositato

memoria di difesa ed allegati, e alla stessa udienza il V.P.G. Peccerillo e l’Avv. Bonaiuti, che ha

depositato documentazione, hanno concluso come in atti.

DIRITTO

1. L’eccezione di difetto di giurisdizione è infondata.

L’azione di responsabilità erariale esercitata dalla Procura contabile, anche nell’ipotesi in cui il

preteso danno sia determinato nell’esatto ammontare di pagamenti o liquidazioni effettuate in

violazione di norme di legge, non ha né contenuto, né finalità sovrapponibile con l’azione

meramente risarcitoria che rientra nella giurisdizione del giudice civile, ma è finalizzata

all’accertamento di responsabilità patrimoniale amministrativa (e, difatti, è munita di tutti i

correttivi di natura processuale e sostanziale volti a proporzionare l’addebito al tipo ed alla

dimensione della partecipazione del convenuto, sia sotto il profilo dell’elemento soggettivo che di

quello oggettivo e causale, ed al danno sofferto dall’amministrazione). Per tale motivo essa non

costituisce affatto una duplicazione di quella esercitabile in sede civile, nell’ambito dei rapporti con

i terzi, dall’amministrazione che si pretenda danneggiata. Il principio è del tutto consolidato nella

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giurisprudenza della Corte dei Conti e della Corte di Cassazione (cfr., tra le recenti, Corte dei Conti,

Sez. Terza Appello, n. 433/2014, che cita Corte di Cassazione nn. 6581/2006, 27092/2009 e

63/2014: “le due azioni sono e restano autonome e operano su piani del tutto distinti, e l'avere

entrambe per oggetto il medesimo danno, con le specificità proprie dell’uno e dell’altro giudizio,

non osta alla loro coesistenza, ne' comporta rischi di duplicazione del risarcimento, atteso che la

giurisdizione civile e quella contabile sono reciprocamente indipendenti nei loro profili istituzionali,

sicché il rapporto tra le due azioni si pone in termini di alternatività anziché di esclusività, dando

luogo a questioni non di giurisdizione , ma di proponibilità della domanda.). Ciò vale ad escludere,

senza più profuse argomentazioni, l’eccezione di difetto di giurisdizione sulla odierna azione,

essendo essa anzi espressamente riservata alla giurisdizione esclusiva della Corte dei Conti

dall’art.1, comma 4, della legge n.20/94, per il quale “la Corte dei Conti giudica sulla

responsabilità amministrativa degli amministratori e dipendenti pubblici”.

2. E’ pure infondata l’eccezione di prescrizione.

Il termine prescrizionale per l’azione di responsabilità erariale inizia a decorrere quando sussistono

entrambi i presupposti perché possa essere esercitato il diritto al risarcimento, e cioè quando si

realizzi sia l’elemento oggettivo, dell’effettiva depauperazione patrimoniale, che quello soggettivo,

della conoscibilità dell’illecito da parte dell’amministrazione; il che nella fattispecie si è avuto solo

dopo che l’amministrazione, con il verbale redatto dall’Ing. Pietro Carlo Innico (incaricato con

determinazione n.19/V del 10.02.2010), che ha dato atto del rinvenimento di un reperto

archeologico nell’area interessata ai lavori di scavo, è venuta a conoscenza della non cantierabilità

dell’opera nelle modalità e caratteristiche con le quali essa era stata deliberata, e con l’emissione del

certificato di pagamento n. 1 del 13.04.2011 ha liquidato il SAL alla ditta esecutrice dei lavori.

Rispetto a tale momento, pertanto, l’atto di citazione, emesso il 02.12.2013, è ampiamente

tempestivo, anche non considerando la preventiva messa in mora da parte della stessa

amministrazione, avvenuta nel 2012.

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3. In relazione al petitum ed alla causa petendi, e con particolare riguardo alle norme la cui

violazione è imputata ai convenuti, l’eccezione di nullità dell’atto di citazione per genericità è del

tutto infondata per l’Ing. Percoco e per il Geom. Leone, in quanto detta sanzione è comminata

dall’ordinamento solo quando l’atto introduttivo del giudizio manchi degli elementi che siano

sufficienti a determinare con certezza tali due elementi essenziali dell’azione.

Per l’Ing. Percoco e per il Geom. Leone, in citazione è fatta specifica menzione delle norme la cui

violazione, in tesi, costituisce, ad un tempo, elemento oggettivo dell’illecito (violazione artt. 95 e 96

del D.lgs. n. 163/2006; carenze progettuali ex art. 132 del D.lgs. n. 163/2006, e di validazione del

progetto ex art. 47 del D.P.R. n. 554/99) e comportamento omissivo ascrivibile ai soggetti che, per

legge, sono direttamente tenuti all’applicazione delle norme medesime. Sono, altresì, chiaramente

indicati i comportamenti che, in base a dette norme, la Procura ritiene che siano stati pretermessi e

la responsabilità, conseguentemente, è imputata a titolo di omissione. La chiamata in giudizio,

infine, è stata esplicitamente effettuata in ragione delle specifiche competenze rivestite

nell’amministrazione e coinvolte nella fase della progettazione: a fronte dell’asserita “carenza

progettuale”, l’Ing. Percoco è stato citato “nella sua qualità di estensore del progetto preliminare e

di D.L.”, ed il Geom. Leone nella sua qualità di Responsabile Unico del Procedimento, per un “non

efficace svolgimento delle attività del RUP” e con descrizione analitica di tutte le omissioni che la

Procura afferma a lui imputabili nella fase della progettazione. Essi sono i soggetti ai quali la legge

direttamente riferisce gli obblighi che la Procura afferma omessi, ed ai quali detta omissione,

perciò, è direttamente riferibile. In tale contesto, così dettagliatamente descritto, è palesemente

infondata anche l’eccezione di nullità sollevata dalla difesa dei convenuti sotto il profilo che l’atto

di citazione non descriverebbe separatamente i tratti della responsabilità ascrivibile a due convenuti

in responsabilità parziaria.

Quanto alla posizione dell’Ing. Fusco, che è stato chiamato a rispondere dei medesimi fatti in

qualità di Dirigente p.t. del servizio LL.PP. del Comune di Terracina, rileva il Collegio che le citate

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disposizioni non sono a lui dirette, avendo come destinatari i referenti della progettazione

dell’opera; a lui non può imputarsi la paventata violazione delle norme sulla verifica preventiva del

progetto preliminare, senza descrivere più compiutamente comportamenti o circostanze a lui

direttamente o indirettamente ascrivibili, o da lui tollerati, che in qualche modo lo coinvolgano

causalmente nel preteso danno. E’ pur vero, come risulta agli atti, che egli ha del tutto “sposato” la

tesi del D.L. e del RUP (cfr. la sua relazione tecnica sulla realizzazione dei parcheggi in zona

Montuno del 25.03.2011, redatta su richiesta del Comando di Polizia Locale-Ufficio Polizia

Giudiziaria ed Ecologica), non rilevando egli in quella sede l’esistenza di un rischio archeologico

nella zona e sostenendo l’assenza di vincoli nell’area dei lavori, ma, in assenza di una più specifica

contestazione di fatti rientranti nelle sue competenze e strettamente inerenti la fase della

progettazione e delle verifiche preliminari, o che possano altrimenti coinvolgerlo - descrizioni, che

non si rinvengono nell’atto di citazione - l’addebito nei suoi confronti è generico e non soddisfa i

requisiti minimi di cui agli artt. 163 e 164 c.p.c..

Conseguenzialmente, la citazione deve essere dichiarata inammissibile nei suoi confronti.

4. L’eccezione di violazione dei termini a difesa fissati dall’art. 163 bis c.p.c. per la comparizione

delle parti, riproposta dalla difesa anche dopo il rinvio della discussione all’odierna udienza, è

infondata.

Con la sentenza/ordinanza pronunziata nel presente giudizio all’udienza del 13 marzo 2014 è stata

respinta l’eccezione di nullità dell’atto di citazione, sollevata con riferimento agli artt. 163 e 164

c.p.c., e, in relazione all’eccezione di violazione dei termini per comparire, ed a tutela del

contraddittorio e del diritto di difesa, è stato concesso termine alle parti mediante rinvio della

discussione all’odierna udienza dell’8 luglio 2014.

Sostiene la parte che i termini a comparire sono rispettati solo se è lasciato al convenuto l’intero

periodo di 90 giorni, non interrotto, tra la comunicazione d’udienza e la data dell’udienza stessa.

Ciò non sarebbe avvenuto nel presente giudizio, né con riferimento alla prima data di udienza

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(13.03.2014), né con riferimento all’odierna udienza, alla quale la prima era stata rinviata proprio

per concedere alla parte termine a difesa.

Osserva il Collegio, conformemente all’univoca giurisprudenza di questa Corte (fatta eccezione di

un solo precedente: Sez. Appello Sicilia del 2009, che non suffraga però la contraria conclusione

con motivazioni specifiche sul punto), che la sanzione di nullità che nel giudizio di responsabilità

civile inficia l’atto di citazione privo dell’indicazione dei termini a comparire, o con termini a

comparire inferiori a quelli minimi previsti dall’art. 163 bis, non è compatibile con la struttura del

giudizio di responsabilità patrimoniale amministrativa, poichè questo è introdotto con una citazione

priva dell’indicazione dei termini a comparire di cui al medesimo art. 163 bis: la data di udienza è,

infatti, fissata con decreto del Presidente dopo il deposito della citazione presso la Sezione (artt. 45

e 46 del r.d. n. 1038/33). Una tale sanzione, dalla quale si ricavi la perentorietà dei suddetti termini,

non si riscontra neanche nell’ambito delle norme procedurali di cui al regio decreto n. 1038/1933,

non essendo essa contenuta né nell’art. 7 ( secondo il quale il termine per comparire dinanzi alla

Corte dei Conti è quello stabilito dall'articolo 148 codice 1865 - oggi, art. 163 bis c.p.c. - a

decorrere dalla notifica dell'atto che intima la comparizione ), né altrove.

Da tale fatto la giurisprudenza, anche di appello, trae argomento per affermare che “il Presidente

della Sezione ben può stabilire una data per l’udienza di discussione della causa tale che il termine

per comparire sia inferiore a quello stabilito dal menzionato art. 163-bis “ (Sezione Terza Appello,

n. 52/2013), e che “ Il termine che deve essere lasciato libero dalla data di notificazione dell'avviso

di fissazione di udienza e la data dell'udienza non è espressamente regolato, per cui esso deve

rispondere unicamente ai criteri di congruità e deve essere, comunque, coerente con il termine che

il Presidente, nello stesso decreto di fissazione di udienza, deve fissare per il deposito degli atti e

documenti” (Sezione Prima Appello n. 322/2014; nei termini, Sezione Prima Appello, n. 73/2002;

Sezione Seconda Appello, n. 268/2010). Si osserva anche (Sez. Prima Sezione Appello, sentenza

n.545/2009) che “giusto il disposto dell’art. 26 del r.d. n. 1038/1933, il rinvio dinamico al codice di

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13

rito (anche quello effettuato dall’art. 7, comma 1, del suddetto decreto in merito ai termini di

comparizione) è da considerarsi operante nei limiti della compatibilità con il complessivo sistema

processuale della responsabilità amministrativa”, traendone la conseguenza che, atteso che le norme

specifiche del processo contabile disciplinano il termine per comparire (art.7 Reg. Proc., che non lo

individua quale contenuto necessario della citazione in quanto è fissato con decreto Presidenziale),

mentre “il termine che deve essere lasciato libero tra la data di notificazione dell’avviso di fissazione

di udienza e la data dell’udienza non è invece espressamente regolato”, né la citazione deve

contenere l’indicazione di tali termini, né essa può esse inficiata di nullità nel caso in cui tali termini

non siano rispettati (così anche la citata Sez. Prima Appello n.322/2014).

Questo Collegio ritiene che, in assenza di un’espressa previsione di nullità o di altra sanzione

collegata all’inosservanza dei termini di cui all’art. 163 bis c.p.c., si deve escludere che l’eventuale

violazione dei termini previsti dal suddetto art. 163 bis comporti questioni d’invalidità dell’atto di

citazione (e se ciò si deve escludere per la prima udienza di comparizione, si deve parimenti

escludere anche per l’udienza alla quale la discussione sia rinviata eventualmente senza il rispetto

dei termini di cui all’art 163 bis; nel presente caso, comunque, il rinvio disposto all’udienza del 13

marzo 2014 ha lasciato alla difesa ben oltre il termine di 90 giorni liberi tra la data di udienza e la

successiva odierna udienza del 8 luglio 2014).

La violazione dei termini di cui all’art. 163 bis comporterà, invece, riflessi sul piano

dell’accertamento della regolare costituzione del contraddittorio, dovendosi garantire alle parti

convenute di poter esercitare senza difficoltà ed adeguatamente il diritto di difesa, nell’ambito del

generalissimo principio del giusto processo al quale il giudizio di responsabilità amministrativa, al

pari degli altri riti, deve informarsi. Una seppur risalente, ma chiara, pronunzia della Corte di

Cassazione conforta il Collegio in tale conclusione: in Cass. Civ., Sez. I, 16 luglio 1996, n. 6432 si

mette in chiara correlazione l’art. 163 bis c.p.c. con il giudizio con citazione a comparire a data

fissa, e si precisa che “nel giudizio di responsabilità amministrativa la notificazione della citazione è

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elemento esterno alla citazione medesima, diretto unicamente ad instaurare il contraddittorio”,

ponendosi, pertanto, il principio che tutte le questioni scaturenti o connesse con la notificazione

dell’atto introduttivo del giudizio nel giudizio di responsabilità erariale si riflettono esclusivamente

sulla verifica del rispetto del contraddittorio (e non sul piano della validità dell’atto introduttivo del

giudizio). In base a tale principio, si deve escludere che comporti invalidità dell’atto di citazione

anche il mancato rispetto dei 90 giorni liberi tra la sua notifica e la data di comparizione, poiché i

termini per comparire decorrono, appunto, dalla notificazione dell’atto di citazione, e si deve

accertare la regolarità e la adeguatezza del contraddittorio.

Posto ciò in punto di diritto, quanto alla verifica della situazione difensiva delle parti convenute il

Collegio osserva che, nella fattispecie, hanno costituito adeguata garanzia del rispetto dei diritti

della difesa il rinvio ad udienza successiva, disposto dal Presidente alla precedente udienza del 13

marzo 2014, ed il termine che, tra tale rinvio e l’odierna udienza del 8 luglio 2014, è stato concesso.

Anzi, il termine risulta adeguato e congruo sin dalla prima notificazione dell’atto di citazione. Le

parti, infatti, già alla prima udienza avevano ampiamente argomentato tutte le rispettive tesi

difensive, specificatamente contro tutti i fatti e le conclusioni che la Procura ha loro ascritto

nell’atto di citazione; la circostanza è evidente dal raffronto tra l’atto di citazione, la

documentazione depositata dalla Procura e gli atti difensivi depositati dalle parti, ed è ulteriormente

comprovata dal fatto che per l’odierna udienza del 8 luglio 2014 le difese, pur disponendo di ampio

termine all’uopo concesso (abbondantemente superiore ai 90 giorni liberi), non hanno sollevato

ulteriori censure o rilievi, fatta eccezione per la censura di violazione dell’art. 163 bis. In tale

contesto difensivo, pertanto, il diritto dei convenuti al contraddittorio ed a una adeguata difesa in

giudizio sono stati perfettamente rispettati e garantiti.

5. Nel merito, l’imputazione del danno conseguente alla liquidazione del SAL all’impresa

esecutrice dei lavori, come da contratto di appalto aggiudicato dal Comune di Terracina, è basata

sull’affermazione che l’opera, così come progettata ed appaltata, non era ab origine cantierabile,

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poiché la realizzazione di un parcheggio interrato in zona interessata da vincolo archeologico è

inevitabilmente destinata ad essere interrotta e rinunziata, come in definitiva è avvenuto nella

fattispecie, a fronte dei futuri ed inevitabili ritrovamenti di reperti, e sulla conseguente inutilità dei

lavori liquidati all’impresa. L’elemento oggettivo dell’illecito è costituito, in tesi, dalla violazione

delle norme che disciplinano la progettazione preliminare imponendo verifiche del rischio

archeologico nelle zone interessate dalle opere, richiamandosi la Procura sia agli artt. 95 e 96 del

D.lgs. n. 163/2006, sia alle specifiche disposizioni dei piani urbanistici che rimandano ad esse, o

coinvolgono la Sovrintendenza nei relativi accertamenti in fase progettuale.

La documentazione agli atti conferma che i lavori sono stati rinunziati a causa del ritrovamento di

reperti archeologici, e non tanto per la tutela dell’interesse archeologico coinvolto, bensì per la

tipologia dei reperti stessi, trattandosi di un “poderoso muro romano” (nota della Sovrintendenza

del 22.10.2010) portato in luce per una lunghezza di mt.15 ed altezza di mt. 3,5 e che continua ad

inoltrarsi nel fianco collinare contiguo (relazione dell’Archeologo Carlo Innico, incaricato dalla

Sovrintendenza agli scavi-indagine), il quale “impedisce la completa edificazione del

parcheggio…e rende antieconomica la realizzazione di un parcheggio di dimensioni ridotte”

(Deliberazione G.C. n. 183 del 04.04.2011). E’ pertanto evidente, come risulta anche dal fatto che la

variante successivamente approvata e finanziata dalla Regione non interessa affatto la stessa zona

sulla quale sono stati effettuati i lavori di scavo (deliberazione G.C. n.568/12, di approvazione del

progetto di variante in corso d’opera per la realizzazione del parcheggio in Via Manzoni ed il

ripristino dello stato dei luoghi), che detti lavori erano inutilizzabili e sono rimasti inutilizzati ai fini

della realizzazione dell’opera poi concretamente realizzata.

E’ anche incontestato tra le parti che non sono state effettuate indagini preliminari in sede di

progettazione per la verifica dell’interesse archeologico, e che sul progetto non è stata

preventivamente interpellata a tal fine la Sovrintendenza, alla quale il D.L. ha richiesto solo il

03.06.2009, cioè dopo la consegna dei lavori (avvenuta il 20.02.2009), di effettuare un sopralluogo

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per valutare l’opportunità di eseguire delle indagini archeologiche preliminari. La Sovrintendenza,

con nota del 01.10.2009, ha chiesto di eseguire indagini preventive, le quali si sono concretate in

sbancamenti-indagine durante i quali è avvenuto il ritrovamento del reperto, a seguito del quale

l’amministrazione si è subito determinata per individuare altro sito per l’opera (deliberazione C.C.

n.26 del 24.05.2010).

Il punto della questione sta, invece, nella legittimità o meno della procedura di progettazione

dell’opera sotto il profilo della pretesa violazione degli obblighi a carico del progettista-D.L. e del

RUP, relativi all’acquisizione del nulla osta della Sovrintendenza e della preventiva validazione del

progetto con riferimento alla tutela dell’interesse archeologico; carenze ammesse dai convenuti,

come si è visto, ma per le quali essi sostengono l’assenza di qualsiasi illegittimità, difendendo sin

dalla fase delle deduzioni la tesi dell’inesistenza di vincoli sulla zona interessata ai lavori, e la

conseguente inapplicabilità dell’obbligo di preventive indagini archeologiche. Essi affermano, anzi,

che l’aver chiesto un parere alla Sovrintendenza pur in assenza di vincoli esistenti sulla zona depone

a favore di un particolare scrupolo tecnico ed operativo del D.L. e del RUP, non costituendo un

obbligo di legge.

6. La materia è disciplinata dagli artt.95 e 96 del D.lgs. n. 163/2006 (Procedura di verifica

preventiva dell'interesse archeologico), che riproducono le diposizioni degli articoli 2-quater e 2-

quinquies, D.L. n. 63/2005 conv. nella legge n. 109/2005.

In base a tali norme, le stazioni appaltanti hanno l’obbligo di “trasmettere al soprintendente

territorialmente competente, prima dell'approvazione, copia del progetto preliminare

dell'intervento o di uno stralcio di esso sufficiente ai fini archeologici….”. Tale obbligo è

previsto in via generale e “per tutte per le opere sottoposte all'applicazione delle disposizioni del

presente codice in materia di appalti di lavori pubblici”…, “ai fini dell'applicazione dell'articolo

28, comma 4, del codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio

2004, n. 42”, e cioè al fine di mettere in grado la Sovrintendenza , “In caso di realizzazione di opere

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pubbliche ricadenti in aree di interesse archeologico, anche quando per esse non siano intervenute

la verifica di cui all'articolo 12, comma 2, o la dichiarazione di cui all'articolo 13” , di esercitare

la facoltà, ivi prevista, di richiedere l'esecuzione di saggi archeologici preventivi sulle aree

medesime a spese del committente dell'opera pubblica.

La valutazione preventiva della Sovrintendenza sul progetto preliminare, pertanto, è prevista quale

obbligo generale per tutti i progetti di opere, e non è limitata alla preesistenza di un accertato

vincolo archeologico sulla zona stessa; del resto, non poteva di certo il legislatore, perché non

avrebbe avuto alcun senso, limitare l’obbligo di trasmissione del progetto alla Sovrintendenza,

finalizzato alla valutazione della opportunità di disporre indagini e misure cautelari (quali le

suddette indagini sono espressamente definite dal citato art. 28 del codice dei beni culturali e del

paesaggio) a opere ricadenti in zone nelle quali sia stata già accertata l’esistenza di reperti, ed è

invece perfettamente coerente, sia con la logica che con il principio di buona amministrazione che

da essa discende, che nell’ottica della tutela preventiva dell’interesse archeologico, perseguita con i

predetti articoli 95 e 96 del D.lgs. n. 163/2006 e con il citato codice dei beni ambientali e culturali ,

tali indagini “preventive” debbano essere compiute su aree che presentino, per le loro

caratteristiche, un interesse archeologico anche potenziale, sia al fine di scongiurare il rischio di

rinvenimento di reperti in corso d’opera, sia, nel caso in cui siano rinvenuti reperti rilevanti, al fine

di addivenire all’imposizione del vincolo stesso (il citato codice prevede, appunto, che nei casi in

cui, a seguito delle indagini preliminari, si accerti un interesse archeologico su specifici reperti o

zone, siano di seguito attivati i poteri del Ministero dei beni Ambientali e Culturali ai fini

dell’apposizione del relativo vincolo ai sensi degli articoli 12 e 13 del codice dei beni culturali e del

paesaggio).

Con ciò cade la tesi dei convenuti, e cioè che l’assenza del vincolo archeologico giustifichi

l’omesso invio del progetto alla Sovrintendenza, omissione che, come la Procura correttamente

afferma, costituisce violazione dell’art. 95, comma 1, del citato D.lgs. n.163/2006; infatti a tale

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verifica preventiva della Sovrintendenza il progetto avrebbe dovuto essere sottoposto in ogni caso,

in attuazione della generale regola sopra illustrata e dettata dagli art.95 e 96 del D.lgs. n. 163/2006,

anche indipendentemente dall’assenza di vincolo archeologico sull’area dei lavori, ed anche

indipendentemente dalla circostanza se l’area medesima ricadesse o meno nell’ambito di quelle per

le quali il Piano Particolareggiato prevedeva l’obbligo di acquisire il previo nulla osta della

Sovrintendenza.

Restano escluse dalle procedure della legge in esame (comma 7) solo le opere ricadenti in aree e

parchi archeologici di cui all'art. 101, cioè quelle già vincolate, nonchè le “zone d'interesse

archeologico” ex art. 142 del Codice, per le quali vigono le disposizioni già contenute in

quest'ultimo, per le quali entrambe, essendo già accertato l’interesse archeologico, la relativa tutela

segue procedure diverse da quella specificatamente dettata dall’art.95 ai fini di una valutazione del

tutto preventiva e cautelare.

Se tale adempimento risulta derogabile nei casi previsti dall’art. 95, comma 1, ultimo periodo, che

limita l’ambito della deroga (per cui non è necessaria la trasmissione alla Sovrintendenza) agli

“interventi che non comportino nuova edificazione o scavi a quote diverse da quelle già impegnate

da manufatti esistenti”, il fatto addotto dalla difesa, che l’area sarebbe “immediatamente circondata

da immobili di altezza anche superiore a quattro piani fuori terra con quote di scavo certamente

superiori a quelle dell’area interessata a parcheggio”, non integra la fattispecie disegnata dalla

norma derogatoria, che parla di manufatti “esistenti sull’area”, e non attigui alla stessa; del resto,

come più avanti si vedrà, l’area interessata dal progetto era attigua anche a zona già sottoposta a

vincolo archeologico, per cui, fermo rimanendo che la norma in esame deve essere intesa come

riferita a edifici esistenti sulla medesima area interessata dai lavori, non è comunque comprensibile

la ragione per la quale, in sede di esame della sussistenza o meno dell’obbligo di invio del progetto

preliminare alla Sovrintendenza, dovrebbe darsi una tale rilevanza derogatoria al fatto che esistano

edifici nelle zone attigue all’area, e, al contrario, nessuna al fatto, senz’altro maggiormente

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indiziario sotto il profilo della possibile sussistenza di un interesse archeologico, della contiguità

dell’area con zona vincolata.

In conclusione, il progetto in esame doveva, in applicazione dei citati artt. 95 e 96 del D.lgs. n.

163/2006, essere inviato alla Sovrintendenza prima dell’approvazione, per l’esame del “rischio

archeologico” e per porre l’amministrazione di tutela nella possibilità di verificare l’opportunità di

indagini preliminari; il tardivo interpello della Sovrintendenza non è dunque esaustivo degli

obblighi di legge, ed interviene in una fase - dopo la progettazione definitiva e la consegna dei

lavori - nella quale si è già realizzato proprio il risultato che la legge intende scongiurare, costituito

dal fatto che la stazione appaltante ha intrapreso l’esecuzione di opere in una zona nella quale è alto

il rischio che esse non possano essere eseguite nei modi in cui sono state affidate, o non possano

essere eseguite affatto, come infatti è avvenuto nella fattispecie.

7. In merito al profilo soggettivo dell’illecito, atteso che, come si è visto, a seguito delle nuove

disposizioni della legge n. 109/2005 (l’art. 2-ter ha introdotto la fase della verifica preliminare

dell’interesse archeologico ad integrazione delle precedenti disposizioni della legge n. 109/94), la

portata dell’obbligo di trasmissione del progetto alla Sovrintendenza è del tutto generale, in quanto

la valutazione del “rischio archeologico” è operazione che spetta a tale ultimo organo e non ai

singoli progettisti e RUP, non rilevano ai fini difensivi, e specificatamente al fine di escludere

l’elemento soggettivo della colpa grave, le argomentazioni dei convenuti tese a dimostrare

l’imprevedibilità del ritrovamento. La norma, generale e di chiara interpretazione, imponeva al

progettista un obbligo inderogabile nell’assolvimento del quale egli non era tenuto a valutazioni

tecniche o discrezionali, tutte rimesse alla Sovrintendenza.

Peraltro, osserva il Collegio che dell’esistenza di un rischio collegato al ritrovamento di reperti di

interesse archeologico il progettista era ben conscio, come dimostra la sua stessa relazione tecnica

del 08.10.2008, nella quale egli dichiara che “l’intervento non presenta particolari difficoltà

esecutive se non per la presenza di testimonianze storico ambientali che necessitano di ulteriori

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approfondimenti in fase esecutiva”; e, del resto, egli avrebbe senz’altro dovuto esserlo, a causa

dell’immediata contiguità della zona ad una area già vincolata per l’esistenza di reperti di tale tipo

(come risulta dalla stessa planimetria della zona, depositata agli atti, che mostra che essa risulta

confinante con “vincolo l.24.06.2939, n.1497”, e come ha considerato la stessa Sovrintendenza

laddove, una volta interessata del progetto, ha rilevato l’opportunità di dare corso ad indagini

archeologiche proprio per la “prossimità delle antiche strutture portuali e di edifici pubblici e privati

di epoca romana noti da bibliografia…”, elementi tutti che evidenziavano già per tabulas, e

preventivamente rispetto a qualsiasi ritrovamento, la presenza possibile, ed anzi molto probabile, di

ulteriori reperti. Il progettista, pertanto, contravvenendo ad una disposizione che lo obbligava in via

del tutto generale a trasmettere alla Sovrintendenza il progetto e gli allegati utili ai fini della

valutazione del rischio archeologico, ne ha pretermesso la trasmissione obbligatoria per legge; tale

omissione, già di per sé grave perché trasgressiva di un obbligo di natura generale e chiaramente

interpretabile, assume un connotato di particolare gravità nella particolare fattispecie dell’area di

Montuno, attigua all’area dell’antico porto di Terracina ed a zona già vincolata, in quanto tali

elementi evidenziano l’intuibile rischio che la zona presentava, ed il conseguente pericolo che ne

fosse compromessa la sua concreta fattibilità.

7.1 Analoga posizione, rispetto alle contestate violazioni, assume il RUP, soggetto che nella fase

della progettazione svolge un ruolo di garanzia del rispetto dei suindicati connotati di legittimità ed

esaustività del progetto preliminare. Sia il progettista che il RUP, infatti, sono tenuti alla verifica

dell’osservanza delle norme che disciplinano la redazione del progetto preliminare, essendone il

progettista il diretto firmatario ed il RUP il garante della completezza e corrispondenza a tutti gli

obblighi di legge, in quanto preposto alla verifica della legittimità e congruenza della

documentazione relativa a tutta la procedura, e specificatamente a quella della fase progettuale.

L’art.8, comma 1, del DPR n. 544/98 gli affida, infatti, compiti specifici in materia di accertamento

ed indagini preliminari : “Il responsabile del procedimento, fra l’altro: a) promuove e sovrintende

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agli accertamenti ed alle indagini preliminari idonei a consentire la verifica della fattibilità tecnica,

economica ed amministrativa degli interventi;.. c) redige, secondo quanto previsto dall’articolo 16,

commi 1 e 2 della Legge, il documento preliminare alla progettazione (il quale contiene, tra l’altro

“l’indicazione delle regole e norme tecniche da rispettare” e “dei vincoli di legge relativi al contesto

in cui l’intervento è previsto”;…e) coordina le attività necessarie al fine della redazione del progetto

preliminare, verificando che, nel rispetto del contenuto del documento preliminare alla

progettazione, siano indicati gli indirizzi che devono essere seguiti nei successivi livelli di

progettazione ed i diversi gradi di approfondimento delle verifiche, delle rilevazioni e degli

elaborati richiesti;…o) effettua, prima dell'approvazione del progetto in ciascuno dei suoi livelli, le

necessarie verifiche circa la rispondenza dei contenuti del documento alla normativa vigente”.

L’art.93, comma 2, del D.lgs. n. 163/2006 gli affida il potere di integrare la documentazione tecnica

allegata al progetto preliminare, nei casi in cui egli la ritenga non sufficiente: “ Le prescrizioni

relative agli elaborati descrittivi e grafici contenute nei commi 3, 4 e 5 sono di norma necessarie

per ritenere i progetti adeguatamente sviluppati. Il responsabile del procedimento nella fase di

progettazione qualora, in rapporto alla specifica tipologia e alla dimensione dei lavori da

progettare, ritenga le prescrizioni di cui ai commi 3, 4 e 5 insufficienti o eccessive, provvede a

integrarle ovvero a modificarle.” In sede di procedura di validazione, prevista dall’art.112 del

D.lgs. n. 163/2006, l’art.47 affida al RUP in via principale, in contraddittorio con il progettista, il

compito di provvedere “a verificare la conformità del progetto esecutivo alla normativa vigente ed

al documento preliminare alla progettazione.

Viceversa, il RUP Geom. Leone, che firma unitamente all’Ing. Percoco il verbale di validazione del

progetto ai sensi dell’art.47 del D.P.R. n. 544/99, dà atto dell’esistenza e completezza delle

“indagini geologiche, geotecniche, e, ove necessario, archeologiche, nell’area di intervento…”,

pure a fronte dell’inesistenza agli atti del progetto di qualsiasi indagine archeologica , o valutazione

della sua necessità da parte della competente Sovrintendenza, e pur nella consapevolezza, che anche

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egli, nella sua qualità ed anche solo in via intuitiva, doveva avere del rischio archeologico dell’area.

Tali tipologia di indagini non risulta effettuata neanche documentalmente, con una mera

prospezione dei ritrovamenti esistenti e del probabile sviluppo degli edifici già vincolati; allegata

alla documentazione tecnica preliminare al progetto è solo la relazione geologica tecnica redatta dal

geologo Massimo Mattioli, la quale però si limita ad un esame geologico del terreno e non copre

gli aspetti del rischio archeologico. La documentazione, necessaria per la completa ed esaustiva

definizione della progettazione preliminare, è incompleta, e di tale fatto egli non ha tenuto conto in

nessuna fase di esercizio delle sue competenze.

E’ pertanto corretta la conclusione che la Procura ne trae, e cioè che il preteso danno derivante dalla

liquidazione delle opere eseguite in zona Montuno in esecuzione dell’appalto, e che sono state

definitivamente rinunziate dall’amministrazione, costituisce un illecito imputabile a colpa grave sia

del progettista che del RUP.

8. E’ inoltre del tutto corretto, da parte dell’accusa, sostenere che l’opera non era cantierabile, e che

la mancata valutazione di tale elemento da parte dell’amministrazione sia dovuta a colpa grave del

progettista e del RUP, poiché la concreta fattibilità amministrativa e tecnica è oggetto di una distinta

valutazione del progettista in sede di progettazione preliminare, ed è accertata attraverso quelle

“indispensabili indagini di prima approssimazione” che il disposto dell’art. 93, comma 3, del D.lgs.

n. 163/2006 impone tra i contenuti essenziali del progetto preliminare; la fase della progettazione

preliminare è ben lungi dall’essere una fase più “approssimativa” di identificazione dell’opera, se

non per quanto concerne strettamente gli aspetti esecutivi dei lavori, ed anzi, per tutto ciò che

concerne l’esatta definizione dell’opera nel suo insieme, il suo inquadramento nell’ambiente nel

quale essa si inserirà, la sua funzionalità, il rispetto del territorio sul quale andrà ad incidere, il

rispetto dei limiti di costo – cioè, dell’elemento economico in base al quale l’amministrazione deve

valutare il rapporto costi/benefici- essa, nelle intenzioni del legislatore, deve costituire la precisa

traduzione in documenti tecnici, progettuali ed illustrativi della valutazione concreta ed attendibile

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di tutti gli aspetti sopra detti. Pertanto, se è vero che l’identificazione concreta degli elementi di

fattibilità dell’opera è frutto di una valutazione di discrezionalità amministrativa e tecnica del

progettista, rimane certo che l’omessa valutazione del rischio archeologico (per la mancata

trasmissione del progetto preliminare alla Sovrintendenza) fa venir meno anche un elemento

determinante ai fini della decisione sulla concreta fattibilità dell’opera.

9. Né la Procura né le difese dei convenuti si soffermano in modo particolare sulla contestazione

dell’esistenza del danno, e ciò, presumibilmente, perché è del tutto intuitivo, alla luce dei fatti e

dell’esito finale dell’opera intrapresa con l’affidamento dell’appalto – come premesso al punto 4

della presente sentenza, l’opera è stata definitivamente rinunziata, essendosi l’amministrazione

determinata a realizzare altro parcheggio in altra area – che la liquidazione di lavori rimasti

inutilizzati costituisce danno erariale.

Piuttosto, le difese dei convenuti si sono soffermate sulla quantificazione del danno, chiedendo la

valorizzazione del costo di lavori di scavo e sostenendo che essi coprirebbero interamente i costi di

quelle che sarebbero state le indagini preliminari archeologiche se svolte nei tempi di legge (cioè

preventivamente alla consegna dei lavori), eccependo, sostanzialmente, l’integrale compensazione

del preteso danno con il relativo costo, che quantificano in una somma addirittura superiore a

quella che è stata liquidata all’impresa.

La stessa disciplina dell’esecuzione delle verifiche preliminari, e ragioni di logica applicate

all’analisi delle circostanze che si sono verificate nella fattispecie, impediscono di accedere a tale

tesi.

L’ampiezza e la tipologia dei lavori effettuati (e liquidati) non sono affatto paragonabili a quanto

avrebbe dovuto essere compiuto in sede di indagine preliminare.

La documentazione allegata al SAL evidenzia lavori di scavo esteso e di sbancamento, di

abbattimento di alberi di alto fusto (pioppi), e di demolizione di muratura, che, sommati ai lavori di

scavo ed ai costi dei mezzi di trasporto e del personale, ammontano ad euro 115.247,60 (poi

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liquidati in euro 126.772,36). Nell’esecuzione di indagini archeologiche il citato art. 96, comma 1,

impone invece un forte criterio di gradualità, sia per contenere i costi di tale fase, sia per evitare una

compromissione irreversibile, se non ad alto costo, del territorio nei casi in cui altri tipi di indagine,

meno invasiva, permettano di accertare la presenza di reperti che impediscano la realizzazione

dell’opera e non siano meritevoli di valorizzazione.

Per la predetta norma, “La procedura di verifica preventiva dell'interesse archeologico si articola in

due fasi costituenti livelli progressivi di approfondimento dell'indagine archeologica”, e nella

prima fase, finalizzata alle verifiche preliminari rispetto all’effettuazione di scavi-indagine, più

costosi ed invasivi, esse constano in “carotaggi, prospezioni geofisiche e geochimiche o saggi

archeologici tali da assicurare una sufficiente campionatura dell'area interessata dai lavori”.

Nella seconda fase, che l’art. 96, comma1, lett. b) prevede integrativa della progettazione definitiva

nell’eventualità che siano emersi elementi archeologicamente significativi all'esito della fase

precedente, è prevista “l’esecuzione di sondaggi e di scavi, anche in estensione”: il che dimostra

che, comunque, neanche in questa fase, e cioè neanche dopo il rinvenimento della prima traccia del

reperto, lo scavo in estensione è il mezzo che elettivamente deve essere utilizzato al fine di definire

l’importanza del rischio archeologico, potendo scavi di minor portata, carotaggi e sondaggi fornire

sufficienti elementi per valutare il rapporto costi/benefici dell’opera con riferimento a tutte le

componenti di interesse pubblico, sia relative alla fattibilità dell’opera che alla valorizzazione del

reperto.

In realtà, gli atti dimostrano che l’amministrazione, nonostante la prescrizione della Sovrintendenza

(01.10.2009) e nelle more dell’effettuazione delle prescritte indagini archeologiche, intendeva

comunque procedere alla realizzazione dell’opera come progettata, come mostra il fatto che proprio

a tal fine, sempre nell’ottobre del 2009 (delibera C.C. n.135 del 27.10.2009, adottata, quindi, subito

dopo detta nota della Sovrintendenza), aveva approvato una variante al PPE “Centro storico in

declivio e pianura –Area archeologica portuale”, nella quale prevedeva che “Per una porzione

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dell’area facente parte dell’area Montuno è consentita anche la realizzazione di parcheggi

entroterra, fermo restando la destinazione del suolo sovrastante a verde pubblico attrezzato” -

delibera richiamata, infatti, dalla difesa dei convenuti proprio al fine di confermare la legittimità del

progetto sotto l’aspetto di conformità alle previsioni urbanistiche. Conformemente si è orientato il

D.L., come emerge dalle numerose interruzioni e riprese dei lavori: per i lavori che erano rimasti

sospesi a seguito della citata nota della Sovrintendenza, il D.L. (verbale di ripresa dei lavori del

18.02.2010) ordina “…la ripresa a regola d’arte dei lavori in oggetto”, senza affatto limitare detti

lavori a più circoscritte operazioni di indagine archeologica, che erano state prescritte da detta nota.

Ma vi è di più.

Che detti lavori non siano stati elettivamente diretti a tale tipologia di indagini e scavi mirati è

dimostrato anche dal fatto che solo nell’aprile del 2010 il Comune conferisce incarico al Dr. Carlo

Innico per la “sorveglianza dello scavo stratigrafico e di rilievo archeologico di dettaglio” del

realizzando parcheggio (convenzione del 08.04.2010), attività che si è conclusa in soli giorni 10 di

lavoro (fattura di cui alla nota n.45116 del 10.08.2010); prima di essa, dunque, i lavori sono

proseguiti come antecedentemente, ed immediatamente dopo, e, finalmente, l’amministrazione dà

atto del ritrovamento del reperto (delibera C.C. del 24.05.2010). I lavori, che vengono nuovamente

sospesi il 05.06.2010 “a seguito del ritrovamento del reperto ed in attesa delle determinazioni della

Sovrintendenza”, vengono ripresi (verbale del D.L. del 07.02.2011) facendo riferimento alla

necessità di porre in essere le prescrizioni della Sovrintendenza di cui alla nota del 22.10.2010. E’

bene qui precisare che con la nota ultima citata la Sovrintendenza non aveva escluso la fattibilità

dell’opera ma aveva imposto: 1) l’effettuazione di ulteriori indagini nell’eventualità che

l’amministrazione intendesse proseguire nella realizzazione dell’opera, reputando accettabile la

prescrizione di un importante ridimensionamento dell’opera; 2) la tutela del ritrovamento e la sua

valorizzazione; 3) la rimodulazione dell’opera con notevole ridimensionamento, per cui la

Sovrintendenza reagisce all’ennesima ripresa dei lavori, non avendo concordato affatto alcuna

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modalità esecutiva di ulteriori indagini né con il D.L. né con il tecnico nominato dal Comune,

ordinando ancora al D.L. di disporre per la sospensione dei lavori stessi (nota della Sovrintendenza

n. 2000 del 16.02.2011, alla quale è seguito il verbale di sospensione dei lavori del D.L. in

medesima data); a tali lavori, effettuati dal 08.02.2011 al 15.02.2011, si riferisce la “lista n. 2 dei

mezzi d’opera” liquidata con il SAL . Detti lavori costituiscono gli ultimi effettuati, in quanto, sulla

base delle suindicate prescrizioni finali della Sovrintendenza (citata nota del 22.10.2010),

l’amministrazione ha infine proceduto ad una diversa valutazione dell’opportunità dell’opera,

proprio in rapporto ai suoi costi (delibera C.C. n.183 del 04.04.2011), ed al ripristino dello stato dei

luoghi quanto al reperto ritrovato (che è stato reinterrato: nota del D.L al MBBAACC n. 20605/U

del 19.04.2011).

Nel verbale del sopralluogo eseguito il 24.02.2011 dalla Dr.ssa Nicoletta Cassieri della

Sovrintendenza per verificare sia la consistenza dei resti rinvenuti, sia i lavori eseguiti dal 7 all’11

febbraio, si afferma che detti lavori erano consistiti in “opere di disboscamento e di movimento

terra”, e che erano stati finalizzati “alla preparazione dell’area per consentire l’esecuzione delle

ulteriori indagini di accertamento da parte di ditta specializzata in possesso di idonea certificazione

SOA OS25 qualora la rimozione dell’intero strato sabbioso evidenzi resti di natura archeologica,

nonché per la redazione di una variante al progetto iniziale per la realizzazione di un parcheggio di

dimensioni ridotte”, e che “il movimento terra ha riguardato la parte sommitale dell’altura non

scendendo in nessun punto al di sotto della quota della cresta dei muri raggiunta in precedenza..”.

Nessuna ulteriore indagine archeologica risulta effettuata successivamente, dall’ultima sospensione

sino al definitivo abbandono dell’opera (verbale di ripresa dei lavori del 27.04.2011, con il quale il

D.L. ordina lavori di ripristino dello stato dei luoghi).

Dunque, in conclusione, risulta agli atti che sono stati compiuti lavori, anche di scavo e

sbancamento (lista dei mezzi d’opera n.1, dal 10.05.2010 al 21.05.2010, e lista dei mezzi d’opera

n.2, dal 08.02.2011 al 15.02.2011), ma che essi non sono affatto sovrapponibili, né nell’estensione,

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né nelle modalità esecutive, a quelli che sarebbero stati necessari e sufficienti ad effettuare indagini

archeologiche ai sensi della normativa vigente (art.96 del citato D.lgs.).

Ritiene, più precisamente, il Collegio che possano essere riferibili a lavori di indagine archeologica

solo quelli eseguiti nei 10 giorni nei quali essi sono stati seguiti dall’incaricato Dr. Innico, e cioè i

lavori svolti nel mese di maggio del 2010, di cui alla lista n.1 dei mezzi d’opera allegata al SAL

(che indica lavori per circa 10 giorni, dal 10 al 21 di maggio), per un importo che può essere

valutato equitativamente in euro 50.000,00 (tra costi dei mezzi di trasporto sabbia ivi documentati

in euro 29.688,00, e costi diversi, non ricavabili esattamente dalla documentazione agli atti).

Non possono, invece, essere ricondotti a costi effettivi e necessari d’indagine archeologica

preliminare quelli di cui alla successiva lista n.2 allegata al SAL, eseguiti nel febbraio del 2011, in

quanto espressamente disconosciuti dalla Sovrintendenza (citata nota del 16.02.2011), non consistiti

in operazioni di indagine ma in generici lavori di “preparazione dell’area per consentire

l’esecuzione delle ulteriori indagini di accertamento da parte di ditta specializzata” (verbale della

Dr.ssa Cassieri sopra citato), e non esitati in ulteriori approfondimenti archeologici rispetto a quanto

già rinvenuto e documentato nella relazione del Dr. Innico (depositata al Comune il 10.08.2010,

prot. 45118/I). I relativi costi sono, anzi, la prova che l’interruzione di un’opera non correttamente

valutata nella fase della sua progettazione preliminare rimane un episodio che incide negativamente

sul patrimonio dell’amministrazione committente, che si trova ad affrontare costi di approntamento

di cantiere, costi di sospensione dei lavori, costi di ripristino dello stato dei luoghi, oltre ai costi

“indiretti” derivanti dalla perdita di utilità del finanziamento ottenuto (o di quella che sarebbe

derivata dal corretto utilizzo delle somme a disposizione).

Né è utile per la difesa (non ai fini dell’esclusione del nesso causale e non ai fini di un

ridimensionamento del danno) richiamare la variante che è stata successivamente approvata

dall’amministrazione comunale “senza rilievi” da parte della Regione, poiché detta variante insiste

su area del tutto diversa da quella interessata dal progetto preliminare qui in esame, ed anzi, anche a

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prescindere da ogni valutazione di legittimità, che non rileva nella presente sede, essa semmai

dimostra quanto la Procura afferma, e cioè che l’opera, così com’era stata progettata ed approvata,

non era cantierabile nel sito di cui all’originario progetto ed alle condizioni indicate dalla

Sovrintendenza nella nota del 22.10.2010, così com’è stato ritenuto dall’amministrazione nella

citata delibera C.C. n.183 del 04.04.2011.

Tantomeno, infine, può ritenersi incidente in alcun modo, sotto il profilo causale, la sopra rilevata

persistente volontà dell’amministrazione comunale, fortemente indirizzata all’effettuazione delle

opere come già previste, se non a costo di un’inaccettabile inversione dei termini della questione:

se l’amministrazione fosse stata sin dall’inizio, e cioè prima dell’approvazione del progetto

preliminare dell’opera, in grado di pronunziarsi sulla fattibilità tecnica e amministrativa alla luce

delle indicazioni che la Sovrintendenza ha esposto nella citata nota del 22.10.2009, tale volontà non

vi sarebbe stata (come non vi è stata una volta assunte le necessarie informazioni), e la decisione di

realizzare un parcheggio sarebbe stata presa con modalità o in siti diversi.

Pertanto, il danno conseguente all’illecito deve essere determinato in euro 76.772,00, somma che

costituisce la differenza tra quanto liquidato dall’amministrazione in esecuzione dei lavori di cui

trattasi, cioè euro 126.772,36, e la quota corrispondente a quanto, di detti lavori, può essere detratto

in accoglimento parziale dell’eccezione di compensazione (euro 50.000,00).

10. Venendo, infine, alla determinazione della quota di detto danno che è concretamente imputabile

a ciascuno dei convenuti per i quali é stata qui accertata la responsabilità a titolo di colpa grave,

rileva il Collegio che da detta somma va detratta la quota pari ad un terzo, contestata all’Ing. Fusco

a titolo di responsabilità parziaria pro quota, nei cui confronti la citazione è stata dichiarata

inammissibile, per cui il danno imputabile ai due convenuti è, complessivamente, di euro 51.181,00.

Di tale danno essi devono rispondere in parti eguali, e cioè per euro 25.590,00 ciascuno, perché, per

il ruolo da essi ricoperto nella predisposizione del progetto preliminare, che comporta responsabilità

di pari rilievo nella verifica della rispondenza del progetto preliminare alla legge, eguale ne risulta il

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rispettivo apporto alla causazione del fatto; oltre a tale somma, comprensiva della rivalutazione, essi

dovranno corrispondere gli interessi nella misura legale dalla presente decisione sino al soddisfo.

11. Quanto alle spese del giudizio, i convenuti dovranno rifondere le spese nella misura che è

liquidata in dispositivo, per la metà ciascuno.

Nulla è a disporre per l’Ing. Fusco, né quanto alle spese del giudizio, stante la soccombenza della

Procura, né quanto alla refusione delle spese legali, sia per l’assenza di procuratore costituito, sia

perché il convenuto in parola è stato assolto con sentenza di rito e senza un accertamento nel merito.

P . Q . M .

La Corte dei Conti - Sezione giurisdizionale per la Regione Lazio, definitivamente pronunziandosi,

respinta l’eccezione di difetto di giurisdizione,

DICHIARA

inammissibile la citazione per Fusco Vincenzo. Nulla per le spese.

Respinte le eccezioni preliminari,

CONDANNA

Leone Alberto e Percoco Armando a rifondere al Comune di Terracina la somma di euro 25.590,00

ciascuno, oltre interessi legali dalla presente decisione sino al soddisfo. Condanna gli stessi al

pagamento degli oneri processuali che si liquidano in euro 715.74 (settecentoquindici/74)

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 08.07.2014.

Il Relatore Il Presidente

F.to Chiara Bersani F.to Ivan De Musso

Depositata in segreteria il 2 ottobre 2014

P.IL DIRIGENTE

IL RESPONSABILE DEL SETTORE

GIUDIZI DI RESPONSABILITA’

F.to Dott. Luigi De Maio