Sentenza n. 2824/2016 pubbl. il 18/05/2016 RG n. … 1 di 14 RG n. 33455/2014 REPUBBLICA ITALIANA IN...
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RG n. 33455/2014
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO DI TORINO
SEZIONE SPECIALIZZATA IN MATERIA DI IMPRESA
Il collegio composto dai magistrati:
dott. Umberto Scotti Presidente
dott.ssa Maria Cristina Contini Giudice
dott. Luca Martinat Giudice rel.
ha pronunciato la seguente
SENTENZA DEFINITIVA
Nella causa civile iscritta al n. 33455/2014
Promossa da
Oma s.r.l., rappresentata e difesa dagli Avv.ti Maurizio Rogora, Alessandro Lavagno ed Elisabetta
Lavagno, ed elettivamente domiciliata in Torino, via Botero n. 17, per procura a margine dell’atto di
citazione;
- PARTI ATTRICE -
contro
Anchieri Claudio, rappresentato e difeso dagli avv.ti Marisa Zariani, Patrizia Adamczik ed Elena
Papurello, ed elettivamente domiciliato in Torino, corso Ferrucci n. 8, per procura in calce alla comparsa
di costituzione;
- PARTE CONVENUTA –
Camera di consiglio: in data e nella composizione del 6 maggio 2016
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CONCLUSIONI DELLE PARTI:
Parte attrice:
“Voglia l’Ill.mo Tribunale, respinta ogni contraria domanda ed eccezione,
- accertato che l’uso del patronimico <<Anchieri>> nell’ambito dell’attività di impresa funebre determina un
illecito ed in particolare concorrenza sleale a danno della società OMA srl,
- accertato quindi il diritto della OMA srl di utilizzare in via esclusiva il patronimico <<Anchieri>> nell’ambito
dell’attività di impresa funebre,
- accertato altresì che anche l’associazione dell’immagine del sig. Anchieri Claudio alla ditta La Storica
determina un illecito ed in particolare concorrenza sleale a danno della società OMA srl,
- nonché a conferma del provvedimento cautelare emesso:
a) inibire radicalmente al sig. Claudio Anchieri di utilizzare il nome “ANCHIERI” nell’ambito dell’attività
commerciale di onoranze funebri, condannando il medesimo a non farne uso, nonché inibire al sig. Claudio
Anchieri di utilizzare la propria immagine per pubblicizzare la neocostituita impresa funebre La Storica,
condannando all’uopo il medesimo ad eliminare e/o rimuovere ogni pubblicità che utilizza la propria
immagine;
- in subordine inibire al sig. Claudio Anchieri di usare ai fini di informazione pubblicitaria, e comunque in
relazione a tutti i luoghi e i modi con cui si comunica o si informa terzi - inclusi i richiami pubblicitari,
indicazioni, pieghevoli promozionali, inserzioni in pubblicazioni a stampa o via internet, ed ogni altro simile
mezzo di richiamo - il nome “ANCHIERI” nell’ambito dell’attività commerciale di onoranze funebri e la propria
immagine associata alla neocostituita impresa funebre La Storica;
b) ordinare per l’effetto al sig. Anchieri Claudio di eliminare e/o rimuovere dagli elenchi telefonici e da tutti i
siti web il patronimico “Anchieri” laddove associato anche indirettamente all’attività di impresa funebre;
c) fissare ai sensi dell’art. 614 bis c.p.c. una somma di denaro dovuta dal sig. Anchieri Claudio per ogni
violazione o inosservanza dell’emananda sentenza dell’Ill.mo Tribunale;
d) condannare il sig. Anchieri Claudio a risarcire i danni arrecati alla OMA srl nella misura in cui verranno
quantificati in causa, oltre interessi e rivalutazione.
Con favore di spese competenze ed onorari di causa”.
Parte convenuta:
“Ogni contraria istanza, azione od eccezione respinta,
Voglia l'Ill.mo Tribunale di Torino,
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previa rimessione della causa in istruttoria per l’ammissione delle prove richieste dal convenuto con le
memorie ex art. 183, comma VI° C.p.c. n.° 2 e 3, datate, rispettivamente, 12.10.2015 e 29.10.2015;
NEL MERITO: contestato integralmente sia l’an che il quantum delle pretese ex adverso formulate,
respingere integralmente tutte le domande avanzate dalla Società attrice nei confronti del convenuto, poiché
infondate in fatto ed in diritto, previa sospensione e/o revoca del provvedimento d’urgenza, emesso in data
30.09.2014 e di tutte le statuizioni ivi contenute, ivi compresa la misura di cui all’art. 614 Bis C.p.c., così come
da ultimo modificata con ordinanza del 7.12.2015;
CON FAVORE di spese, diritti ed onorari di giudizio e di ripetizione di tutte le somme riconosciute all’attrice, a
seguito dell’esecuzione del provvedimento d’urgenza del 30.09.2014, dell’ulteriore provvedimento, di
riduzione della penale, adottato in data 25.03.2015, nonché dell’ultimo, in ordine di tempo, provvedimento
modificativo assunto in data 7.12.2015.
Con favore di spese, diritti ed onorari di giudizio”.
MOTIVI DELLA DECISIONE IN FATTO ED IN DIRITTO
1) Nel presente giudizio Oma s.r.l. citava in giudizio Anchieri Claudio esponendo: 1) che la società Oma
era stata costituita nell’anno 1995 e le sue quote sociali erano state intestate, nella misura del 50%
ciascuno, a Mandrini Claudio (suo attuale legale rappresentante) ed al Sig. Tartaglione Alfredo
(quest’ultimo quale interposto del convenuto Anchieri, effettivo proprietario delle quote; 2) che il
convenuto aveva ricoperto la carica di amministratore unico della Società dal 01.06.1997 al 14.09.2002; 3)
che, sempre nel 1995, Oma aveva acquistato l’azienda della Società Anchieri Snc, di Anchieri Villi
Pasqualina e C., società che sin dall’anno 1957 aveva svolto in Domodossola e circostanti valli l’attività di
pompe funebri, con la ditta e l’insegna “IMPRESA ONORANZE FUNEBRI ANCHIERI”; 4) che, da allora, la
OMA aveva svolto l’attività inerente i servizi di pompe funebri, esponendo tale insegna; 5) che, in data
14.09.2002, il convenuto aveva ceduto al Sig. Mandrini Claudio le proprie quote, pari al 50%,
impegnandosi nella scrittura privata di cessione a “non svolgere alcuna attività concorrenziale con quella
svolta alla data odierna dalla Società OMA SRL, né personalmente, con interposta persona e tantomeno alle
dipendenze”; 6) che il convenuto, tuttavia, aveva immediatamente posto in essere una serie di atti di
concorrenza sleale ed in violazione del patto di non concorrenza, già oggetto di precedenti procedimenti
giudiziari, di cui il primo risalente all’anno 2003, quando l’Anchieri avrebbe speso il proprio nome e la
propria professionalità, in collaborazione con la Società MAAP (costituita nell’anno 2002), al fine di sviare
la clientela a danno della Società Oma (circostanze oggetto di procedimento ex art. 700 c.p.c e successivo
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giudizio di merito, conclusosi con la sentenza del Tribunale di Verbania, Sezione Distaccata di
Domodossola, n. 66/2005 con la quale era stato ingiunto alla MAAP ed all’odierno convenuto di cessare
ogni attività concorrenziale nei confronti di Oma); 7) che il secondo atto di concorrenza sleale si ebbe
nell’anno 2007, allorquando l’Anchieri, che in quell’anno 2007 aveva avviato una propria impresa
individuali di pompe funebri, utilizzò il patronimico ANCHIERI in maniera sleale, fatto che diede origine ad
altro procedimento cautelare avanti al Tribunale di Verbania conclusosi con l’ingiunzione al convenuto di
cessare immediatamente di far uso del nome ANCHIERI nell’ambito dell’attività commerciale di onoranze
funebri da lui intrapresa; 8) che, in seguito, l’odierno convenuto aveva cessato di far uso del patronimico;
9) che, tuttavia, nel 2014 il convenuto avrebbe compiuto un terzo atto di concorrenza sleale, oggetto del
presente procedimento, avente ad oggetto, ancora una volta, l’utilizzo del patronimico, nell’ambito
dell’attività dallo stesso esercitata, comparendo il nome ANCHIERI nell’elenco delle pagine bianche e
gialle ed in numerosi siti internet; 10) che, conseguentemente, Oma aveva introdotto un procedimento
cautelare (ove il convenuto non si costituiva) avanti al Tribunale delle Imprese di Torino che, con
provvedimento del 30.09.2014, aveva inibito al convenuto l’utilizzo del nome ANCHIERI nell’ambito
dell’attività commerciale di onoranze funebri, ordinato al convenuto di rimuovere dagli elenchi telefonici
e dai siti web il nome ANCHIERI, laddove associato all’attività d’impresa e fissato, a carico del Sig.
CLAUDIO ANCHIERI, una penale pari ad Euro 500,00, per ogni violazione del provvedimento e per ogni
giorno di ritardo nell’esecuzione; 11) che in questo giudizio di merito Oma intendeva ottenere la conferma
dei provvedimenti cautelari, oltre al risarcimento del danno.
Anchieri Claudio, quindi, costituitosi in giudizio, negava di aver compiuto atti di concorrenza sleale in
quanto: 1) il nome “Anchieri” non compariva affatto sugli elenchi telefonici delle pagine bianche e gialle,
già da alcuni anni, dato che la sua ditta individuale era pubblicizzata esclusivamente quale “Impresa
Funebre Valdossola”; 2) nessuno dei siti Web in cui il suo patronimico era accostato all’impresa funebre da
lui esercitata gli apparteneva, né era stato da lui creato e/o registrato, né risultava a lui in alcun modo
ricollegabile, in termini di titolarità del dominio; 3) egli, infatti, non aveva mai stipulato alcun contratto
con le Società che gestiscono o risultano, comunque, titolari dei siti di cui sopra, né aveva mai sottoscritto
alcun servizio al fine di consentire a tali Società di inserire i propri riferimenti e dati anagrafici all’interno
dei suddetti portali, tant’è vero che, una volta venuto a conoscenza, anche a seguito della notifica degli
atti esecutivi, scaturiti dopo la pronuncia dell’ordinanza cautelare del settembre 2014, che il patronimico
“ANCHIERI” compariva su ciascuno su tali siti, associato alla Ditta di cui egli risulta titolare (“Impresa
Funebre Ossolana) cliccando, semplicemente, il cognome ANCHIERI, si era attivato inoltrando a ciascuna
delle suddette società espressa diffida a non voler trattare i suoi riferimenti anagrafici ed, anzi,
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invitandole alla cancellazione degli stessi, ai sensi e per gli effetti dell’art. 7 del Codice in materia di
protezione dei dati personali.
A seguito dell’udienza del 25.03.2015, quindi, il convenuto si impegnava a cessare la propria ditta
individuale ed ad esercitare sotto altra forma l’attività di pompe funebri, cosa effettivamente avvenuta,
ma in modo non sufficiente per parte attrice in quanto la moglie del signor Anchieri (Chiara Merlo) aveva
costituito una ditta individuale denominata “La Storica“ gestita di fatto dal marito, circostanza che,
unitamente all’utilizzo a caratteri cubitali di una fotografia del convenuto nelle comunicazioni
pubblicitarie, continuava a rappresentare secondo Oma una forma di concorrenza sleale, dal momento
che con tale condotta il convenuto cercava di far apparire come fosse la ditta della moglie l’impresa vera,
originaria di pompe funebri in Val d’Ossola.
La causa giungeva, infine, a decisione previe alcune modificazioni apportate dal giudice istruttore al
provvedimento cautelare emesso ante causam, e senza l’assunzione dei mezzi istruttori dedotti dalle
parti.
2) Tanto premesso, il Collegio in via preliminare rileva come le parti, anche in forza della sentenza n.
66/2005 del Tribunale di Verbania passata in giudicato, siano concordi nel ritenere che il convenuto non
possa esercitare l’attività di pompe funebri in Val d’Ossola pubblicizzandola e/0 rappresentandosi al
pubblico al fine di contraddistinguere l’impresa con l’impiego del patronimico “Anchieri”.
Analogamente, le parti sono concordi che l’Anchieri possa di per sé svolgere, in proprio o alle dipendenze
di terzi, l’attività di pompe funebri in Val d’Ossola, purché tale attività sia esercitata nel rispetto dei diritti
di proprietà intellettuale/segni distintivi (marchio di fatto, insegna, ditta) di spettanza di Oma, la quale
infatti legittimamente dal 1995 pubblicizza e contraddistingue la propria attività mediante l’impiego nella
propria ditta/insegna/marchio di fatto del patronimico “Anchieri”, per averlo acquisito dalla società
storica ossolana di pompe funebri fondata e gestita dai genitori dell’odierno convenuto (che pure
partecipò all’acquisto nel 1995 quale socio occulto di Oma).
Deve, quindi, procedersi all’individuazione dell’esatto contenuto del giudicato della sentenza del
Tribunale di Verbania la cui autorità è stata in questa sede invocata da parte attrice a fondamento della
propria domanda.
Al riguardo va in primo luogo rilevato che parte del contenuto di quella sentenza non ha rilievo per i fatti
oggetto di questo procedimento in quanto fondata sulla violazione del patto di non concorrenza
sottoscritto dall’Anchieri nel 2002 allorquando vendette la propria quota di Oma: tale patto, dunque,
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rendeva di per sé illecita ogni attività concorrenziale esercitata dal convenuto (fino alla sua scadenza
avvenuta nel 2007), ipotesi non più attuale.
Rileva in questa sede, dunque, la parte della sentenza del Tribunale di Verbania che tratta dell’attività di
concorrenza sleale ex art. 2598 c.c., ed in particolar modo il dispositivo in cui è stato deciso che il
convenuto “ha compiuto atti di concorrenza sleale nei confronti di Oma a r.l. ingenerando confusione nella
clientela servendosi del nome “Anchieri” – caratterizzante invece la ditta e l’insegna facenti capo all’Impresa
Oma s.r.l. – in varia guisa”.
Per sapere, quindi, quali fossero le modalità dell’utilizzo del nome Anchieri contestate dal Tribunale di
Verbania occorre far riferimento alla parte motiva della sentenza (infatti, “il giudicato esterno è
assimilabile agli "elementi normativi", sicché la sua interpretazione deve effettuarsi alla stregua dell'esegesi
delle norme, non già degli atti e dei negozi giuridici, e la sua portata va definita dal giudice sulla base di
quanto stabilito nel dispositivo della sentenza e nella motivazione che la sorregge, potendosi far riferimento,
in funzione interpretativa, alla domanda della parte solo in via residuale”: Cassazione civile, sez. I,
10/12/2015, n. 24952).
Nella parte motiva, quindi, la sentenza di Verbania, oltre a trattare di questioni (quali il rapporto diretto
con la clientela tenuto dall’Anchieri per conto della società MAAP per cui all’epoca lavorava) più legate
alla violazione del patto di non concorrenza che in questa sede non rilevano (essendo tale patto ormai
scaduto, infatti, il convenuto può legittimamente esercitare l’attività di pompe funebri in Val d’Ossola in
proprio o alle dipendenze di terzi), enfatizza “la notorietà e l’importanza del nome Anchieri” nel settore
delle pompe funebri ossolane e quindi la scorrettezza concorrenziale commessa allorquando “sull’elenco
telefonico è stato apportato in grassetto maiuscolo con la colorazione tipica delle attività commerciali
(azzurro) il nome Claudio Anchieri” per pubblicizzare l’attività della società MAAP.
L’Anchieri, inoltre, pure appose sulla vetrina del negozio MAAP un cartello con scritto “Anchieri Claudio”,
come anche stigmatizzato dalla sentenza del Tribunale di Verbania.
Alla luce di quanto appena esposto, ritiene dunque il Collegio che il convenuto, in forza del giudicato
sopra ricordato ed in forza dei diritti sull’insegna, sulla ditta e sul marchio di fatto di titolarità di Oma, non
possa fare uso del proprio patronimico al mero fine di pubblicizzare e contraddistinguere al pubblico un
impresa di pompe funebri esercente in Val d’Ossola.
Così, del resto, si è pure pronunciat0 nel 2007 in sede cautelare sempre il Tribunale di Verbania (doc. n. 20
e 21 di parte attrice), allorquando ha inibito al convenuto l’esercizio dell’attività di pompe funebri sotto la
denominazione ampiamente pubblicizzata (sulla stampa locale e sulla vetrina del negozio) al pubblico di
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“Impresa funebre Valdossola di Anchieri Claudio”, dal momento che l’uso evidenziato ed esaltato
graficamente del nome “Anchieri” a meri fini di pubblicitari rappresentava un illecito confusorio.
Il Collegio, in questa sede, non può quindi che ribadire che l’utilizzo del patronimico “Anchieri” al mero
fine di pubblicizzare presso il pubblico un’impresa di pompe funebri in Val d’Ossola deve essere interdetto
al convenuto, in quanto atto costituente illecito concorrenziale confusorio ai danni di Oma, come già
accertato da un giudicato vincolante fra le parti.
Da quanto precede, tuttavia, non può farsi discendere il divieto per l’Anchieri di esercitare un’impresa di
pompe funebri nel territorio ossolano mediante una propria ditta individuale (come infatti regolarmente
avvenuto fra il 2007, dopo la seconda pronuncia del Tribunale di Verbania sopra citata; ed il 2014),
indicando sé stesso quale il titolare (o comunque l’esercente), come invece sembrerebbe sostenere parte
attrice.
Il contenuto del giudicato della sentenza di Verbania sopra citata, infatti, deve essere interpretato – alla
luce della giurisprudenza menzionata – nel contesto normativo generale, ovvero in modo particolare
tenendo in considerazione l’art. 8 c.p.i. secondo cui, “I nomi di persona diversi da quelli di chi chiede la
registrazione possono essere registrati come marchi, purché il loro uso non sia tale da ledere la fama, il credito
o il decoro di chi ha diritto di portare tali nomi. L'Ufficio italiano brevetti e marchi ha tuttavia la facoltà di
subordinare la registrazione al consenso stabilito al comma 1. In ogni caso, la registrazione non impedirà a chi
abbia diritto al nome di farne uso nella ditta da lui prescelta sussistendo i presupposti di cui all'articolo 21,
comma 1”, e per l’appunto il suddetto art. 21 secondo cui “I diritti di marchio d'impresa registrato non
permettono al titolare di vietare ai terzi l'uso nell'attivita' economica, purche' l'uso sia conforme ai principi
della correttezza professionale:
a) del
loro nome e indirizzo;
b) di indicazioni relative alla specie, alla qualita', alla quantita', alla destinazione, al valore, alla
provenienza geografica, all'epoca di fabbricazione del prodotto o di prestazione del servizio o ad altre
caratteristiche del prodotto o del servizio”.
L’esistenza, quindi, di diritti di proprietà intellettuale o la titolarità di segni distintivi dell’impresa su
determinati nomi di persone non impedisce quindi inevitabilmente al portatore di quel nome di farne uso,
se tale uso è conforme alla correttezza professionale.
Infatti, come anche recentemente statuito dal Tribunale delle Imprese di Venezia (sent. n. 2602/2015,
caso Cipriani, assai simile a quello oggetto del presente procedimento dato che ha riguardato l’esame
delle legittimità o meno del marchio/insegna “By Cipriani” da parte di esponente della famiglia Cipriani
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dopo che questa aveva ceduto il marchio “Cipriani” ad una società terza) “la coincidenza fra un nome e un
marchio non consente al titolare del marchio di impedire al portatore del nome di impiegare tale nome
nell’attività economica, specie se la spendita di quel nome è finalizzata a fornire un’informazione in ordine ai
soggetti che quell’attività svolgono, in via diretta o in via indiretta, ed al patrimonio di esperienza, personale e
familiare, con il solo limite del rispetto dei principi di correttezza professionale”.
Un siffatto uso, di conseguenza, prosegue la citata sentenza “rispondendo all’esigenza di fornire,
attraverso l’indicazione del nome, un’informazione sulla provenienza e sulla qualità dei servizi resi per il fatto
di essere gestiti da specifiche persone, riveste valenza descrittiva e non distintiva”.
Nello stesso senso si è anche pronunciata la Corte di Appello di Milano, Sezione specializzata in materia di
Imprese (sent. 3443/2015 del 21.08.2015, caso Fiorucci), che, rifacendosi ai propri precedenti (fra cui
quello di cui alla sentenza 881/2013), ha ritenuto concorrenzialmente lecita l’indicazione da parte del noto
stilista Elio Fiorucci del proprio nome (mediante l’utilizzo di un’espressione quale “By Fiorucci”) al fine di
farsi identificare quale creatore di determinati prodotti malgrado la precedente cessione del marchio
“Fiorucci” ad un terzo.
In particolare, la citata sentenza d’appello del 2013 ebbe a confermare la sentenza di primo grado del
Tribunale di Milano delli 18.09.2008 (in Diritto industriale, n. 1/2009, pag. 40 sg), la quale stabilì che l’uso
del nome è consentito anche come uso distintivo di un’attività economica, a condizione che il segno
stesso non sia rivolto a contraddistinguere il prodotto ma costituisca una parte della comunicazione tesa
a far conoscere qualità o altre caratteristiche del prodotto stesso fra le quali la provenienza dallo stilista o
dal designer che lo ha disegnato, progettato o realizzato.
In considerazione, quindi, di questo principio il Tribunale di Milano prima e la Corte d’Appello poi
considerarono legittimo l’uso come marchio del nome e cognome di Elio Fiorucci preceduto dalla
particella “by” con una scritta in rilievo grafico minore rispetto alle altre componenti denominative
utilizzate e con carattere corsivo onde meglio rappresentare l’apposizione di una firma, ed in posizione
subalterna e defilata rispetto ai disegni e agli altri termini che componevano i marchi contestati, dal
momento che da tali elementi si poteva ricavare che l’utilizzo del nome veniva effettuato quale mera
firma dell’autore rispetto al prodotto così presentato.
L’uso del proprio nome, quindi, qualora abbia finalità di individuare l’autore di un determinato prodotto o
servizio deve essere considerato legittimo se conforme alla correttezza professionale, circostanza da
ritenere sussistente qualora il nome impiegato sia idoneo a comunicare informazioni rilevanti al pubblico
dei consumatori, come avviene nel caso del convenuto.
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Non può essere messo in dubbio, infatti, come questi non solo provenga da una nota famiglia ossolana
attiva nel settore delle pompe funebri (avendo da essa Oma acquistato l’azienda e la ditta/insegna
contenente anche il patronimico Anchieri), ma sia lui stesso attivo da sempre nel suddetto settore
commerciale, il che gli ha sicuramente consentito di acquisire esperienza e notorietà nel settore.
L’utilizzo, quindi, del patronimico Anchieri deve essere ritenuto legittimo se destinato esclusivamente ad
indicare l’autore dei servizi di pompe funebri in quanto esso richiama un substrato esperienziale,
personale e famigliare, di cui il convenuto è indubbiamente titolare, sicché deve essere ritenuto
legittimato a comunicare tale circostanza al pubblico, non potendosi infatti pretendere dal convenuto una
totale cancellazione da parte sua della comunicazione a terzi del patrimonio professionale di cui è in
possesso.
Tale principio, anche di recente, è stato indirettamente ribadito dalla Suprema Corte nella seguente
pronuncia (che ha trattato il caso opposto in cui non vi era alcun motivo specifico per utilizzare il
patronimico oggetto di marchio altrui), secondo cui “ai sensi degli artt. 21, comma 1, lett. a), e 22 del d.lgs.
10 febbraio 2005, n. 30, un segno distintivo costituito da un nome anagrafico validamente registrato come
marchio non può essere, di regola, adottato, in settori merceologici identici o affini, né come marchio, né
come denominazione sociale, salvo il principio della correttezza professionale, neppure dalla persona che
legittimamente porti quel nome, in quanto, nell'ambito dell'attività economica e commerciale, il diritto al
nome subisce una compressione ove sia divenuto oggetto di registrazione ad opera di altri. Ne consegue che
non è conforme alla correttezza professionale l'inserimento, nella denominazione sociale, del nominativo di
uno dei soci, coincidente con il nome proprio precedentemente incluso in un marchio registrato da terzi, che
non sia giustificato dalla sussistenza di una reale esigenza descrittiva inerente all'attività, ai prodotti o ai
servizi offerti, la cui ravvisibilità non può consistere nella sola circostanza che il nome sia patronimico di un
socio” (Cassazione civile, sez. I, 25/02/2015, n. 3806).
Ed ancora, in modo diretto: “in materia di marchi, ai sensi dell'art. 21 d.lg. 10 febbraio 2005 n. 30,
l'utilizzazione commerciale del nome patronimico, corrispondente al marchio già registrato da altri, non può
avvenire in funzione distintiva, ma solo descrittiva, in quanto l'avvenuta modifica normativa, rispetto alla
previsione dell'art. 1 bis r.d. 21 giugno 1942 n. 929 (con la soppressione dal testo normativo delle parole «e
quindi non in funzione di marchio, ma solo in funzione descrittiva»), lascia ferma la necessità che l'uso del
marchio debba essere conforme ai principi della correttezza professionale” (Cassazione civile, sez. I,
14/03/2014, n. 6021).
L’uso, dunque, da parte del convenuto del proprio patronimico per contraddistinguere la propria attività
nel settore delle pompe funebri deve essere considerato lecito se realizzato a fini meramente
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identificativi/distintivi dell’autore delle prestazioni svolte, il che esclude l’utilizzo a meri fini pubblicitari,
come tali finalizzati esclusivamente a contraddistinguere presso il pubblico i servizi resi mediante
l’impiego di un determinato patronimico.
Ritiene, quindi, il Collegio, visti anche i precedenti giurisprudenziali citati (casi Fiorucci e Cipriani, che
hanno delibato le condizioni concrete in forza delle quali l’uso del patronimico doveva essere considerato
lecito), che l’uso del patronimico da parte del convenuto nell’esercizio dell’attività di pompe funebri
nell’ossolano debba essere considerato legittimo se: 1) caratterizzato da modalità grafiche che prevedano
l’uso di caratteri di dimensioni uguali o inferiori rispetto a quello delle altre parole che necessariamente
devono essere presenti; 2) il patronimico non risulti evidenziato mediante segni distintivi quali l’utilizzo
del grassetto o di colorazioni particolari; 3) il patronimico occupi una parte minoritaria della
denominazione; 4) il patronimico sia accompagnato dalla presenza di altri elementi testuali quali “by” o
“di”, che siano chiaramente ed univocamente idonei ad indicare la provenienza dei servizi dalla specifica
persona del convenuto; 5) il patronimico sia completo del nome e del cognome del convenuto, in quanto il
nome non è oggetto dei diritti di Oma, ragion per cui la spendita congiunta del nome e del cognome da
parte del convenuto è maggiormente idonea ad evitare confusione fra le due imprese ed ad individuare
l’impresa del convenuto.
Da quanto precede discende altresì la legittimità da parte del convenuto all’utilizzo della propria
immagine personale a supporto della ditta/insegna della propria impresa: tale utilizzo, infatti, è
manifestamente rivolto a comunicare al pubblico la persona fisica che concretamente si occupa di gestire
l’attività di pompe funebri, e come tale deve essere sicuramente considerato legittimo in quanto assolve
alla legittima funzione di identificare l’autore materiale delle prestazioni commerciali.
Alla luce di quanto precede deve quindi essere esaminato se le condotte concretamente imputate al
convenuto in questo giudizio abbiano travalicato i limiti sopra indicati.
Ritiene, quindi, il Collegio che il convenuto in passato abbia indubbiamente utilizzato il proprio
patronimico in maniera incompatibile con la correttezza professionale: al riguardo è sufficiente notare
come nel 2007 (doc. n. 13, 14, 15, 16 e 17 parte attrice) l’Anchieri fosse solito pubblicizzare la propria
impresa individuale mediante una sovraesposizione più volte ripetuta del proprio patronimico,
caratterizzata da caratteri in grassetto il triplo se non il quadruplo più grandi di qualsiasi altra parola: tali
condotte, tuttavia, sono state già oggetto di valutazione da parte del Tribunale di Verbania nel 2007, e
non sono pertanto oggetto di questo giudizio.
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Successivamente alla pronuncia di Verbania del 2007, in effetti, il convenuto ha iniziato ad esercitare la
propria attività sotto l’insegna “Impresa funebre Valdossola di Anchieri Claudio”, senza particolari
caratterizzazioni grafiche riguardanti il patronimico.
Tale modalità comunicativa (presente pure sulla vetrina dell’esercizio), dunque, ad avviso del Collegio
deve essere considerata legittima in forza di quanto appena esposto: l’uso del patronimico da parte del
convenuto, infatti, è chiaramente volto ad individuare l’esercente l’attività di pompe funebri, non è
caratterizzato da evidenze grafiche, assolve allo scopo di comunicare che l’attività è svolta da soggetto
con grande esperienza nel settore di riferimento e, infine, contiene altresì il nome proprio del convenuto.
Le forme di pubblicizzazione della propria impresa riconducibili con certezza (in quanto da lui
commissionate) all’Anchieri (ci si riferisce alle pagine bianche e gialle cartacee prodotte da parte
convenuta: doc. da 1 a 7) rispettano pure esse i criteri sopra indicati, dal momento che negli anni più
risalenti (2011/2012, 2012/2013) l’espressione “Onoranze funebri Valdossola” compariva in grassetto con
caratteri da 2 a 3 volte più grandi del nominativo del convenuto, che peraltro si firmava semplicemente
“di A. Claudio”, in tal modo neppure utilizzando il proprio cognome, mentre dal 2013/2014 in poi era pure
scomparso qualsiasi riferimento al nome ed al cognome del convenuto: alcun illecito concorrenziale,
dunque, può essere ascritto all’Anchieri in relazione alle suddette condotte.
Né a diversa conclusione può giungersi valorizzando le pagine web prodotte da parte attrice (doc. da n. 23
in poi).
Tali pagine, infatti, non sono chiaramente in alcun modo riconducibili alla volontà del convenuto (la
circostanza, in effetti, neppure è stata contestata in corso di causa da Oma), essendo al contrario frutto
dell’opera di vari portali di ricerca su internet (pagine bianche.it, tuugo.it, aziende.it, cercoimprese.com,
misterimprese.it, tuttoindirizzi.it, informazione-azeinde.it….), i quali, attingendo a banche dati di
pubblica consultazione (quali ad esempio la Camera di commercio ove la denominazione dell’impresa
esercitata dal convenuto compariva per esteso, ivi compresi pertanto il nome ed il cognome
dell’Anchieri), contemplavano mediante l’utilizzo dei loro motori di ricerca la ditta di pompe funebri del
convenuto, dando evidenza più o meno marcata al patronimico dello stesso.
La maggior parte di tali portali, peraltro, rispettava le regole di comunicazioni sopra descritte, ragion per
cui anche sotto tale profilo alcun illecito può essere ravvisato.
In ogni caso, la non riconducibilità alla volontà del convenuto di tali pagine web (egli, infatti, non ha né
commissionato né autorizzato i vari portali all’utilizzo dei propri dati) unitamente all’inoltro da parte sua
ai suddetti portali di diffide dal continuare a pubblicizzare la sua attività commerciale con le modalità
contestate da Oma impediscono di ritenere illecita la condotta.
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Infatti, per poter imputare all’Anchieri una condotta concorrenzialmente illecita, avrebbe dovuto essere lo
stesso convenuto l’autore delle condotte illecite, presupposto non esistente nella fattispecie in esame
ove, di tutta evidenza, la menzione della sua azienda presso innumerevoli portali di ricerca su internet
(anche internazionali) è dipesa dall’acquisizione da parte dei suddetti portali di dati messi –
legittimamente – a disposizione del pubblico da parte di pubblici registri.
In ogni caso, con considerazione assorbente, va pure detto che il convenuto ha successivamente inoltrato
delle diffide ai suddetti portali, in tal modo ponendo in essere quanto ragionevolmente a lui pretendibile
per far cessare la menzione della sua impresa presso i suddetti portali.
L’Anchieri, dunque, ad avviso del Collegio non ha posto in essere alcun illecito concorrenziale con le
condotte contestate da Oma con l’atto di citazione, dal momento che le forme di comunicazione a lui
riconducibili sono da ritenere scriminate dagli art. 8 e 21 c.p.i., mentre quelle a lui non riconducibili o
erano a loro volta rispettose degli art. 8 e 21 c.p.i. (con conseguente loro liceità per ciò solo) oppure,
proprio per il non essere a lui riconducibili, non possono essergli imputate, specie dopo che il convenuto si
attivò per farne cessare la pubblicazione.
Con la memoria n. 2 parte attrice ha quindi esposto come il convenuto, in adempimento di un impegno
assunto durante il corso di un’udienza di questo giudizio, avesse cessato la propria ditta individuale,
continuando tuttavia ad esercitare l’attività di pompe funebri mediante una ditta individuale intestata alla
moglie Chiara Merlo, ditta chiamata “La Storica” e pubblicizzata mediante la fotografia dell’Anchieri (doc.
da n. 33 in poi parte attrice).
All’udienza di precisazione delle conclusioni, infine, parte attrice ha chiesto di accertare altresì che “anche
l’associazione dell’immagine del sig. Anchieri Claudio alla ditta La Storica determina un illecito ed in
particolare concorrenza sleale a danno della società OMA srl”, con correlata richiesta di inibitoria.
Tali domande, tuttavia, ad avviso del Collegio devono essere dichiarate inammissibili in quanto tardive,
essendo state formulate per la prima volta all’udienza di precisazione delle conclusioni (osservandosi al
riguardo che la giurisprudenza citata da parte attrice a fondamento dell’ammissibilità delle suddette
domande attiene a modifiche apportate alle domande con la prima memoria istruttoria, quando è in
effetti ancora possibile procedere a modificazione ed aggiustamenti delle domande, e non quindi
all’udienza di precisazione delle conclusioni).
Peraltro, l’utilizzo dell’immagine dell’Anchieri non è nuovo, avendo il convenuto già impiegato proprie
fotografie per pubblicizzare la propria ditta individuale almeno sino al 2012/2013, senza ricevere
contestazioni di sorta da Oma.
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L’asserito illecito concorrenziale perpetrato con la ditta “La Storica” di titolarità della moglie del
convenuto ed attuato mediante l’associazione con l’immagine del volto dell’Anchieri, in effetti,
rappresenta un illecito concorrenziale del tutto nuovo rispetto a quello dedotto con l’atto di citazione, e
come tale non può essere oggetto di questo giudizio.
Trattasi, in ogni caso, in ipotesi più di una concorrenza sleale per appropriazione di pregi che confusoria
(contrariamente a quanto pare sostenere parte attrice), dal momento che “La Storica” sembrerebbe voler
far intendere di essere lei l’autentica ed originaria ditta di pompe funebri dell’ossolano: comunque, per
quanto sopra esposto, di tale vicenda non si può tener conto in questa sede.
Alla luce di quanto precede, quindi, non può che essere revocato il provvedimento cautelare adottato
ante causam in data 30.09.2014 (e successive modificazioni, con conseguente diritto del convenuto ad
ottenere la restituzione di quanto eventualmente già pagato), non avendo l’Anchieri compiuto alcun
illecito concorrenziale mediante le condotte contestate con l’atto di citazione.
Né può disporsi un’inibitoria generale per il futuro, necessitando una tale misura l’attualità della condotta
illecita da parte del convenuto, attualità che allo stato non sussiste (non rilevando, lo si ribadisce, in
questa sede le contestazioni relative alla ditta “La Storica”).
In assenza di illecito, infine, la domanda di risarcimento del danno formulata da parte attrice non può che
essere disattesa.
3. Le spese di lite, stante l’esito del giudizio e la complessità delle questioni trattate anche alla luce dei
precedenti giurisprudenziali intercorsi fra le parti, devono essere integralmente compensate ex art. 92
c.p.c.
P.Q.M.
IL TRIBUNALE DI TORINO
SEZIONE SPECIALIZZATA IN MATERIA DI IMPRESA
in composizione collegiale,
definitivamente pronunciando,
respinta ogni altra istanza, eccezione o deduzione,
nel contraddittorio delle parti,
1) accerta che l’uso del patronimico “Anchieri” a meri fini di pubblicità (volto cioè a contraddistinguere i
servizi resi presso il pubblico) dell’attività di un’impresa funebre nel territorio della Val d’Ossola
costituisce atto di concorrenza sleale ai danni della società OMA s.r.l.;
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2) accerta il diritto della OMA s.r.l. di utilizzare in via esclusiva il patronimico “Anchieri” a fini di pubblicità
(al fine cioè di contraddistinguere i servizi resi presso il pubblico) dell’attività di un’attività di impresa
funebre nel territorio della Val d’Ossola;
3) accerta la legittimità dell’uso del proprio patronimico da parte del convenuto Anchieri Claudio per
identificare quanto alla provenienza soggettiva un’impresa di pompe funebri attiva nella Val d’Ossola se:
1) caratterizzato da modalità grafiche che prevedono l’uso di caratteri di dimensioni uguali o inferiori
rispetto a quello delle altre parole che necessariamente devono essere presenti nella
ditta/insegna/marchio di fatto; 2) il patronimico non risulta evidenziato mediante segni distintivi quali
l’utilizzo del grassetto o di colorazioni particolari; 3) il patronimico occupa una parte minoritaria della
denominazione; 4) il patronimico è accompagnato dalla presenza di altri elementi testuali quali “by” o
“di”, che siano chiaramente ed univocamente idonei ad indicare la provenienza dei servizi dalla specifica
persona del convenuto; 5) il patronimico è completo del nome e del cognome del convenuto;
4) Dichiara inammissibili le domande attoree concernenti la ditta “La Storica”;
5) Revoca l’ordinanza 30.09.2014, ivi comprese le successive modificazioni apportate in corso di causa.
6) Rigetta ogni altra domanda formulata da parte attrice.
7) Compensa integralmente fra le parti le spese di lite.
Così deciso dalla Sezione specializzata in materia di Impresa in data 06.05.2016.
Il Presidente
Umberto Scotti
Il Giudice Estensore
Luca Martinat
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