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TOMMASO GAZZOLO Sei lezioni di logica Aristotele, la bottega del barbiere e altre deduzioni  2008

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Aristotele, la bottega del barbiere e altre deduzioni 

2008

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 A Marina,notturno.

“ C ’ è una sola differenza tra un matto e me.

Io non sono matto” .

(S.Dal ’  , diario di un genio)

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IN GUISA D’INTRODUZIONE: DEFINIZIONI 

e lo scopo di tali pagine è quello di offrire dei modelli e delle forme per comprendere lastruttura ed i meccanismi di funzionamento fondamentali della disciplina logico-deduttiva,potrebbe sembrare opportuno aprire il ventaglio delle premesse e dei considerando

giocando sul tavolo la carta della definizione della logica stessa.Tuttavia uno sguardo iniziale su che cosa sia la logica apre più problemi di quanti ne contribuisca achiarire. Tali problemi si pongono - e si sono posti specie nel Novecento- tanto ad un livello

teorico-filosofico, ove la logica cd.aristotelica intesa come organon1

è stata ripensata e discussaall’interno di una più complessa domanda sul ruolo tecnico della filosofia2; quanto ad un livello percosì dire tecnico-specialistico, in quanto la disciplina logica si è frantumata in specchi di discipline,tecniche, in parte autonome  –penso ad esempio al rapporto tra la logica matematica e quellagiuridica3- rendendo difficile pensare strumenti di ragionamento comuni a tutte le materie, e cosìoffrire una nozione unitaria di logica stessa.Tuttavia, il maggior ostacolo, a mio avviso, è che non vi è ostacolo. Chiarendo: non dovremmo,prima di discutere una definizione della logica, chiederci  perché dovremmo discutere unadefinizione della logica? Ossia: che cos’è dunque una definizione? E, nel nostro caso, a cosa puòservire?

Vedremo subito, infatti, che la definizione non ha altra funzione che quella di assolvere ad uncompito meramente pratico. Esse non hanno in sé alcun valore.Si deve a Karl Popper4 una esposizione chiara della differenza metodica che, nel costruire ledefinizioni, separa la concezione scientifica da quello che è il metodo cd. essenzialistico (oaristotelico).Aristotele intendeva la conoscenza intuitiva   –che, nell’impianto sillogistico della conoscenzadimostrativa ha la funzione di mostrare la verità delle premesse (dando vita a quelle premessecd.fondamentali, che non hanno bisogno di prova e sono indubbiamente vere)-, come intuizione 

1 Il termine organon non è aristotelico: esso fu utilizzato da Alessandro di Afrodisia per designare la logica.Etimologicamente, esso signif ica “strumento”, e probabilmente esprimeva l’idea di funzione propedeutico-introduttiva della disciplina logica. In Aristotele, comunque, la logica (chiamata analitica) non è posta nellaclassificazione delle varie scienze proprio perché è intesa come il comune strumentario di queste, ovverosia lemodalità di ragionamento ed i procedimenti dimostrativi di cui esse si avvalgono.2 Mi riferisco in particolare alle discussioni iniziate nell’ambito del cd.Circolo di Vienna aventi ad oggetto importanza eruolo della logica nella filosofia, empirismo, unificazione delle scienze. Su tali temi, si può leggere, tra i molti, HEMPEL-VON WRIGHT-WOLTERS-HALLER, Il circolo di Vienna, Pratiche, Parma, 1992, oltre ovviamente a HAHN-CARNAP-NEURATH, Il circolo di Vienna. La concezione scientifica del mondo, Laterza, Roma-Bari, 1979.3 La logica giuridica costituisce davvero un bagaglio logico peculiare, con propri strumenti. Gabriele Lolli ha dunque

trovato naturale dover introdurre il suo intervento con una accorta captatio benevolentiae: “Venire a parlare di logicain casa di giuristi è come portare carbone a Newcastle, o peggio ancora entrare nella fossa dei leoni” (LOLLI G., Logica

e ragionamento giuridico, in www2.dm.unito.it/personalpages/Lolli/index.htm)4 POPPER K., La società aperta e i suoi nemici. Hegel e Marx falsi profeti , II, Armando, Roma, 2000.

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intellettuale delle essenze delle cose5. In altre parole, per Aristotele c’è scienza quando si conoscel’essenza della cosa.Una premessa fondamentale è dunque un enunciato che coglie e descrive l’essenza della cosa sucui verte.

Partendo da tale sfondo filosofico, la struttura delle definizioni aristoteliche era la seguente.Prendiamo la definizione “Un cucciolo è un cane giovane”6.In essa:

a)  Il termine “cucciolo” è il termine da definireb)  L’espressione “un cane giovane” è la formula definiente, che cioè lo definisce. 

Per Aristotele, il termine da definire è il nome dell’essenza della cosa e la formula è la descrizionedi quella essenza. In una definizione, dunque, noi dovremo prima di tutto indicare il nomedell’essenza, e poi procedere a descriverla.Aristotele, dunque, quando si chiede: “Che cos’è un cucciolo?”, si chiede quale sia l’essenza della“cucciolità” , e come descriverla. Risposta: “un cucciolo è un cane giovane”. 

La domanda, nella definizione, è solleva dal termine che sta a sinistra nella frase, e ad essa si dàrisposta nella seconda parte della definizione. La definizione va dunque letta da sinistra verso

destra.Popper mostra con intelligenza l’errore dell’interpretazione essenzialista:

“…Mentre possiamo dire che l’interpretazione essenzialista legge una definizione «normalmente»,

vale a dire da sinistra a destra, possiamo invece dire che una definizione, quale normalmente si usa

nella scienza moderna, dev’essere letta dall’indietro in avanti o da destra a sinistra” 7 .

Ciò significa che, nella scienza moderna, la definizione “un cucciolo è un cane giovane” non

risponde alla domanda “Che cos’è un cucciolo?” o “Come descrivere l’essenza dell’essercucciolo?”. Noi ci chiediamo invece: “Che cos’è che chiamiamo un cane giovane? ”. Nelle definizioni scientifiche il termini da definire e la formula definiente sono invertiti ed hannodiverse funzioni: incominciamo con la   formula definiente e ci chiediamo soltanto se possiamoaccordarci, a livello lessicale, per trovare per essa una etichetta più breve, che ci consenta dirisparmiare spazio e tempo, evitando ogni volta di dover scrivere “un cane giovane”, limitandoci aparlare di “un cucciolo”.L’uso scientifico delle definizioni pertanto consiste in una lettura non da sinistra a destra, ma da

destra a sinistra (cd.interpretazione nominalista).Possiamo perciò, con Popper, giungere alla seguente conclusione:

“Nella scienza moderna si danno soltanto definizioni nominaliste, il che significa che simboli o

etichette stenografici vengono introdotti per abbreviare al massimo una lunga espressione. E da

ciò possiamo subito renderci conto che le definizioni non svolgono nessun ruolo seriamente

importante nella scienza”8.

5ID., cit .,p.19: “…anche Aristotele credeva che noi otteniamo ogni conoscenza, in ultima analisi, da una apprensione

intuitiva delle essenze delle cose. «Di ogni cosa infatti c’è scienza quando si conosce la pura essenza», scriveAristotele, e «conoscer una cosa è conoscerne la pura essenza». Una «premessa fondamentale» non è altro, secondolui, che un enunciato che descrive la essenza di una cosa. Ma codesto enunciato è appunto ciò che egli chiama una

definizione”. 6ID., cit .,p.19

7 ID., cit .,p.238 ID., cit .,p.23. Per chi volesse completare il discorso popperiano, si vedano le pagine 348-351.

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6PARTE PRIMA 

LOGICA CLASSICA

PROPOSIZIONI CATEGORICHE E SILLOGISMI 

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7LEZIONE I: LOGICA PROPOSIZIONALE

ARGOMENTI E DEDUZIONI.

a prima lezione di questo corso ha per oggetto l’architettura aristotelica della logica che sipresenta, come già ricordato, alla stregua della  forma che deve possedere qualsiasi tipo didiscorso che intenda dimostrare, giustificare qualcosa.

Il termine dimostrazione, giustificazione, evidenzia il carattere  prescrittivo che sottostà a queldiscorso, e lo rende un argomento.→ Un argomento, cioè, può dirsi un discorso che mira a   fornire ragioni del perché le cose chesostiene devono essere così. In tal senso, l’argomento si distingue dalla spiegazione, che inveceattiene al piano dell’essere delle cose, che mira a descrivere come le cose stanno.

Un esempio può chiarire questa distinzione preliminare ma essenziale:Se affermo“Le automobili intasano le vie della città poiché il piano del traffico urbano è del tutto inadeguato” non sto offrendo ragioni del perché le automobili dovrebbero intasare le arterie stradali della città,ma sto diversamente offrendo una spiegazione, ovvero indicando la causa che spiega il perché lecose stanno in quel modo, il perché di questo intasamento del traffico.Qui non siamo dunque sul piano normativo, del dover essere, ma su quello dell’essere.

Un altro modo9 per esprimere la distinzione, potrebbe essere quello di sottolineare come nellaspiegazione si faccia sempre riferimento ad un  fatto certo, indiscusso, di cui mostriamo la catenacausale, mentre nella giustificazione il fatto cui la conclusione fa riferimento è incerto, dubbio, ed èproprio per questo che nelle premesse cerchiamo ragioni che possano sostenerlo, per dimostrarlo.Così, in riferimento all’esempio, il fatto che le automobili intasano le vie della cit tà non è un fattoche intendo dimostrare, ma che sto indicando come sicuro, certo, già dato: non fornisco dunqueragioni per sostenerlo, ma indico le cause che lo hanno prodotto.Se invece sostenessi che“Poiché le automobili procedevano lentamente, quell ’uomo non poteva essere stato investito che

 per una sua disattenzione” avrei svolto un’argomentazione, e non offerto una spiegazione. Infatti, qui, sto adducendo ragionia favore della tesi per cui l’investimento dell’uomo è da attribuire alla sua disattenzione, piuttostoche alla foga degli automobilisti. Stiamo procedendo su un terreno nel quale il fatto alla base della

mia conclusione (la disattenzione del pedone) non è un  fatto certo, ma al contrario è dubbio: èproprio il fatto che intendo dimostrare, a favore del quale adduco cioè ragioni (contenute nellapremessa “poiché le automobili procedevano lentamente”). Nello stesso senso, ma utilizzandouna diversa strategia, possiamo dire che qui siamo davanti ad una argomentazione, e non ad unaspiegazione, poiché ci stiamo muovendo nella sfera del dover essere, e non dell’essere: ladisattenzione del pedone non è collocata sul piano di ciò che è, ma di ciò che deve essere, chedeve seguire dalla mia premessa.Come si nota, le due strategie si equivalgono.

9 Esso è ben descritto ad esempio in IACONA A., L’argomentazione, Einaudi, Torino, 2007, p.30-34

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Chiarito cosa si debba intendere per argomento, e come esso si debba differenziare dallaspiegazione, si può procedere ad una ulteriore summa divisio, che è quella che corre traargomenti deduttivi ed argomenti induttivi .Dovremmo pertanto distinguere la deduzione dall’induzione. Nella nostra analisi, la distinzione

deve poggiare su un particolare aspetto:a)  la deduzione è una modalità di ragionamento che mira a dimostrare, partendo da certe

premesse, la necessità della conclusione;b)  l’induzione invece è una modalità di ragionamento che mira a dimostrare, partendo da

certe premesse, la probabilità, in un certo grado, della conclusione.

La deduzione si definisce come la forma di quel tipo di argomento le cui premesse fornisconoragioni conclusive per la verità della conclusione.→ Un argomento deduttivo può dunque definirsi come un discorso in cui, data la verità delle

 premesse che lo compongono, segue necessariamente, senza bisogno di aggiungere alcunché, la

verità della sua conclusione.

Si parla spesso di validità induttiva e validità deduttiva per distinguere la necessità dalla probabilitàdella conclusione.Tuttavia, al fine di non creare confusioni, potremmo però affermare che la nozione di validità èpropria soltanto degli argomenti deduttivi  ed è una caratteristica di tipo  formale, nel senso cheessa denota la correttezza di un ragionamento in cui, se le premesse sono vere, allora fornisconoragioni decisive per la conclusione.→ Un argomento deduttivo si dice valido quando, nel caso in cui le premesse fossero vere, la verità

della conclusione discende necessariamente da queste.

In caso contrario, esso sarà un argomento invalido.Come si nota, la validità va dunque distinta a sua volta dalla verità.Un ragionamento si dice valido indipendentemente dal controllo sulla verità  delle premesse: èvalido, cioè, perché la sua struttura logica è costruita in modo tale che, se le premesse fosserovere, allora anche la conclusione dovrebbe necessariamente esser vera. Ma nulla la validità ci dicesulla verità o meno delle premesse.Prendiamo un classico sillogismo aristotelico, rappresentato dal seguente argomento:

Premessa I “Tutti gli uomini sono mortali” Premessa II “Socrate è un uomo” 

Conclusione: “Socrate è mortale” 

Siamo di fronte ad un argomento deduttivo valido. In esso infatti dalla verità delle premesse seguenecessariamente la verità della conclusione.Tuttavia, pur essendo valido, nulla ci dice a proposito della verità delle premesse stesse: esso, oltread essere valido, sarà anche vero se e solo se saranno vere le due premesse. Ma esso non ci dicenulla sulla verità di queste. Il fatto che “tutti gli uomini sono mortali ” e che “Socrate è un uomo”non è dimostrato vero dall’argomento.E’ chiara a questo punto la distinzione tra validità e verità.

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La nozione di validità, abbiamo detto, non si applica invece agli argomenti induttivi. La struttura diun argomento induttivo, infatti, non permette di inferire la verità necessaria della conclusionedalla verità delle premesse. Non c’è necessità, ma soltanto probabilità.Dalle premesse noi potremmo soltanto inferire una conclusione che possiede un certo grado di 

 probabilità. A seconda del grado di questa probabilità  – e tale grado potrà essere più o menomisurabile in termini quantitativi, svolgendo un calcolo di probabilità- diremmo allora non chel’argomento è valido o invalido, ma che è un argomento forte o debole.Poiché nel nostro lavoro ci occuperemo soltanto di deduzione, possiamo considerare quanto dettosull’induzione sufficiente per tracciare una distinzione, e passare oltre.

LOGICA ARISTOTELICA: LE PROPOSIZIONI CATEGORICHE.

Aristotele può considerarsi il fondatore della disciplina logica, che intese, come già ricordato, quale  forma comune di ragionamento di tutte le scienze, ossia come il metodo cui si ricorre per

dimostrare asserzioni.La teoria logica aristotelica (detta anche classica) si basa sul concetto di  proposizione, per taleintendendosi il significato che un enunciato apofantico (i.e. dichiarativo) esprime.

→ Un enunciato dichiarativo è una struttura grammaticale minima di senso compiuto. Essoesprime una proposizione, ossia un certo significato. È chiaro che enunciati diversi possonoesprimere la stessa proposizione: se ad esempio dico “the book is on the table” o “il libro è sul 

tavolo”, con due enunciati diversi (sono strutture grammaticali differenti, infatti) sto esprimendola medesima proposizione.

La logica aristotelica si fonda sulla classificazione delle proposizioni, o meglio di un certo tipo di

proposizioni, quelle cd.categoriche.→ Si definiscono proposizioni categoriche gli asserti dichiarativi analizzabili in termini di categorie,

di classi , e che cioè affermano o negano che una certa classe A sia inclusa in un’altra classe B, in

tutto o in parte.Le proposizioni categoriche, in altre parole, esprimono sempre relazioni tra classi , ossia tra insiemidi elementi.→ Posso esprimere questa idea dicendo che un classe è un insieme che contiene una certaproprietà P, di modo che tutte le cose che contengono a loro volta la proprietà P sono membri diquella classe, di quell’insieme.Se ad esempio indico con P la proprietà di essere un uomo che pesa più di cento chilogrammi

come la proprietà della classe U “uomini grassi”, un elemento x apparterrà alla classe U sepossiede la proprietà P: se x pesa più di cento chilogrammi, allora x apparterrà ad U, e sarà cioè unuomo grasso.

Aristotele distinse le proposizioni categoriche per quantità e qualità, a seconda cioè che esseaffermino o neghino qualcosa, e che lo affermino o neghino in modo universale o particolare.Possiamo perciò classificare 4 tipi di proposizioni categoriche:

1.  UNIVERSALE AFFERMATIVA: dice che ogni elemento della classe A è anche un elementodella classe B. Sostiene cioè una inclusione completa dei membri di A in B.

→ Tutti gli A sono BEs: “Tutti i genovesi sono tirchi” 

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La stessa idea può esprimersi dicendo che se qualcosa appartiene alla classe A, alloraapparterrà anche alla classe B. Oppure, potremmo anche dire che se qualcosa possiede laproprietà A’ che lo fa appartenere alla classe A, allora possiederà anche la proprietà B’ cheè quella che contraddistingue i membri di B

Es: “se qualcosa è un genovese, allora è tirchio” 

2.  UNIVERSALE NEGATIVA: dice che ogni elemento della classe A non è un elemento dellaclasse di B. Nega universalmente la relazione di inclusione tra A e B: i membri di A sonointeramente esclusi dalla classe B.→ Nessun A è B Es: “Nessun marinaio è coraggioso” 

3.  PARTICOLARE AFFERMATIVA: dice che almeno un elemento della classe A è anche unelemento della classe B.

Tali proposizioni sono di solito introdotte da espressioni sul tipo di “Alcuni A”: esse vannotradotte con la più chiara “Almeno un membro di A”. → Alcuni A sono B Es: “Alcuni filosofi sono dormiglioni” 

4.  PARTICOLARE NEGATIVA: dice che almeno un elemento della classe A è escluso dalla classeB.→ Alcuni A non sono B Es: “Alcuni funghi non sono commestibili” 

Tradizionalmente, le 4 proposizioni categoriche sono etichettabili con le 4 vocali dell’alfabeto. Seper esprimere le affermative ricorriamo al latino AFFIRMO e per le negative al latino NEGO, dalleloro vocali chiameremo con le lettere:A: universali affermative E: universali negativeI: particolari affermative O: particolari negative

La struttura di queste proposizioni può inoltre esprimersi nel modo seguente:Quantificatore + termine SOGGETTO + copula + termine PREDICATO (“tutti”, “i membri di A”  “sono” “membri di B” “nessuno”, 

“alcuni”) 

Un concetto importante da tener presente in questo quadro di proposizioni categoriche è quello diDISTRIBUZIONE.Con essa si fa riferimento al modo in cui i termini delle proposizioni categoriche possono figurarenelle stesse: si dirà pertanto che una proposizione distribuisce un certo termine quando essa si 

riferisce a tutti gli elementi della classe designata da quel termine.Esempio:Una universale affermativa del tipo “Tutti i genovesi sono italiani ” distribuisce il termine soggetto(i genovesi), poiché fa riferimento a tutti i membri della classe dei genovesi; invece non

distribuisce il termine predicato (gli italiani), poiché non si riferisce a tutti i membri della classedegli italiani (non dice infatti che tutti gli italiani sono genovesi).È così possibile costruire uno SCHEMA della DISTRIBUZIONE:

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-  A UNIVERSALE AFFERMATIVA:termine soggetto distribuitotermine predicato non distribuito

-  E UNIVERSALE NEGATIVA:

termine soggetto distribuitotermine predicato distribuito

-  I PARTICOLARE AFFERMATIVA:termine soggetto non distribuitotermine predicato non distribuito

-  O PARTICOLARE NEGATIVA:

termine soggetto non distribuitotermine predicato distribuito

Tradizionalmente, le 4 proposizioni categoriche sono state collocate all’interno di un diagramma,detto QUADRATO D’OPPOSIZIONE , e legate tra loro da una serie di relazioni logiche, dette appuntoOPPOSIZIONI:

A contrarie E

I subcontrarie O

Le relazioni di opposizione danno luogo a proposizioni che tra loro possono essere:1.  CONTRADDITORIE: due proposizioni si dicono contraddittorie quando una è la negazione

dell’altra, ovvero se non possono entrambe entrambe vere o entrambe false .La relazione di contraddittorietà si ha quando le proposizioni differiscono tra loro sia nellaquantità (universale/particolare) che nella qualità (affermativa/negativa).Nel quadrato sono rappresentate dalle diagonali: sono perciò tra loro contraddittorie leproposizioni A-O e E-I.“Tutti gli S sono P” e “Alcuni S non sono P” sono tra loro contraddittorie: inf atti, se A èvera, O deve essere falsa, e viceversa.

2.  CONTRARIE: due proposizioni si dicono tra loro contrarie se, pur potendo essere entrambe

 false, non possono essere entrambe vere. Dalla verità della prima, segue necessariamente

la falsità della seconda.

Nel quadrato, sono tra loro contrarie A-E, poiché se “Tutti gli S sono P” è vera, “Nessun S èP” è necessariamente falsa, pur potendo entrambe essere false. 

3.  SUBCONTRARIE: due proposizioni sono subcontrarie quando, pur potendo essere entrambe

vere, non possono essere entrambe false. Dalla falsità della prima segue pertanto la verità

della seconda. 

Sono tra loro subcontrarie I e O. 4.  SUBALTERNAZIONE: la subalternazione è la relazione che intercorre tra proposizioni che

hanno lo stesso termine soggetto e lo stesso termine predicato, stessa qualità, ma

differiscono nella quantità. Esse sono tra loro dette corrispondenti , e la universale vienedefinita superalterna, mentre la particolare subalterna. Stanno in questa relazione leproposizioni A-I ed E-O.

   s   u    b   a    l   t   e   r   n   a   z   i   o   n   e

 

contraddittorie

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Dalla verità dell’universale discende la verità della particolare, mentre dalla verità dellaparticolare non segue la verità dell’universale. 

Tali relazioni consentono pertanto di trarre INFERENZE IMMEDIATE, ossia ricavare la verità ofalsità di una proposizione partendo dalla verità o falsità di una sola premessa.Se noi ad esempio sappiamo che “Tutti i cavalli sono battezzati”, da tale premessanecessariamente segue che “Alcuni cavalli sono battezzati” è vera, mentre sono false leproposizioni “Nessun cavallo è battezzato” e “Alcuni cavalli non sono battezzati”. Sulla base del quadrato d’opposizione, è perciò possibile avere il seguente schema di inferenzeimmediate:

se: A E I O

A è vera - Falsa (contraria) Vera (subalterna) Falsa(contraddittoria)

E è vera Falsa (contraria) - Falsa(contraddittoria)

Vera (subalterna)

I è vera Indeterminata(superalterna)

Falsa(contraddittoria)

- Indeterminata(subcontraria)

O è vera Falsa(contraddittoria)

Indeterminata(superalterna)

Indeterminata(subcontraria)

-

A è falsa - indeterminata indeterminata VeraE è falsa Indeterminata - Vera IndeterminataI è falsa Falsa Vera - VeraO è falsa Vera Falsa Vera -

Vi sono poi tre ulteriori tipologie di inferenze immediate, rispettivamente denominate:

1.  CONVERSIONE: con essa si può ottenere, partendo da una proposizione (cd.convertenda)una proposizione logicamente equivalente (cd.conversa) mediante lo scambio tra termine

soggetto e termine predicato.Essa vale per le proposizioni E ed I: infatti dalla proposizione “Nessun uomo è immortale” ottengol’equivalente “Nessun immortale è un uomo”, mentre dalla proposizione “Alcuni giuristi sonofilosofi” ottengo l’equivalente “Alcuni filosofi sono giuristi”.La conversione non vale invece per le proposizioni O (particolari negative): dalla proposizione

“Alcuni uomini non sono coraggiosi”  non segue certo l’equivalente “Alcuni coraggiosi non sonouomini”.Anche per le proposizioni A non vale la conversione come inferenza immediata logicamenteequivalente: da “Tutti i genovesi sono navigatori” non segue che “Tutti i navigatori sono genovesi”.Dalla verità di A, è però possibile inferire la verità di una proposizione I, utilizzando il meccanismodella conversione: dal fatto che tutti i genovesi sono navigatori, segue necessariamente infatti che“Alcuni navigatori sono genovesi”. La proposizione ottenuta, pur essendo conversa, nel senso chesi risulta dallo scambio di soggetto e predicato, non è logicamente equivalente, avendo quantitàdifferente: si dice allora che si è realizzata una CONVERSIONE PER ACCIDENS, o per limitazione.

2. 

OBVERSIONE: con questo tipo di inferenza, partendo da una proposizione (cd.obvertenda)e lasciando soggetto e quantità immutati mentre si cambia la qualità e rimpiazza il 

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  predicato P con il suo complemento non-P10, si deduce la verità della proposizione così

ottenuta (cd.obversa).

Avremo così la tavola seguente:

obvertenda obversa

A: Tutti i mendicanti sono poveri E: Nessun barbone è un non-poveroE: Nessun M è P A: Tutti gli M sono non-PI: Alcuni M sono P O: Alcuni M non sono non-PO: Alcuni M non sono P I: Alcuni M sono non-P

3.  CONTRAPPOSIZIONE: l’inferenza procede rimpiazzando il soggetto della proposizione con il 

complemento del suo predicato, ed il suo predicato con il complemento del soggetto,deducendo così la contrapposta11.

Così, dalla proposizione A “Tutti i mendicanti sono poveri” segue la proposizione A “Tutti i non-

mendicanti sono non-poveri”. E così per le proposizioni O.Per le proposizioni I, invece, la contrapposizione non vale: dato che “Alcuni mendicanti sonopoveri” non segue che “Alcuni non-poveri sono non-mendicanti”. Invece per le proposizioni E,vale la contrapposizione ma solo  per limitazione: da “Nessun mendicante è ricco” posso ottenerela proposizione O “Alcuni non-ricchi non sono non-mendicanti”.

I DIAGRAMMI DI EULERO-VENN. Nella nostra trattazione, si è scelto di non dedicare una parte all’esposizione dello sviluppo storicodella logica classica delle proposizioni, fino al passaggio ai sistemi di logica simbolica. Il lettore siritroverà tra i simboli più avanti, e forse non capirà il perché. Di questo chiedo in anticipo scusa,

ma alla tentazione, pur forte, di un excursus su Leibniz, Boole, Frege e così avanti fino aWittgenstein, non ho ceduto, facendo prevalere l’esigenza di chiarezza e linearità nel discorso.È invece opportuno accennare alla possibilità di inquadrare le proposizioni categoriche e le lororelazioni nella teoria dei diagrammi di Eulero e Venn. Scrivo accennare, poichè in tale sede ciserviamo di tali diagrammi soltanto al fine di rappresentare graficamente le relazioni tra leproposizioni categoricheUn diagramma di Venn è la rappresentazione grafica degli insiemi di elementi (delle classi,potremmo dire) e delle loro relazioni mediante figure chiuse al cui interno si indicano gli elementidegli insiemi stessi:

S Il grafico è la rappresentazione dell’insieme S contenente glielementi 1,2,3,4.Si può anche indicare con S={1;2;3;4}.Poiché l’insieme S non è vuoto, contiene degli elementi,diremmo S≠0 

10 Il complemento di un termine è la negazione di quel termine (P, non-P). Se si ragiona in termini di classi, il

complemento di una classe P è l’insieme di tutti gli elementi o membri che non appartengono a tale classe P. Ilcomplemento, ad esempio, della classe dei poeti è dato dalla classe dei non-poeti.11 Tecnicamente, la contrapposta può definirsi come l’obversa della conversa dell’obversa.

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Le posizioni categoriche esprimono sempre relazioni tra due classi, due insiemi di elementi.Pertanto dovremo rappresentarle servendoci di due insiemi, che staranno tra loro in una qualcherelazione e pertanto saranno graficamente intersecati .L’intersezione esprime, in altre parole, il  prodotto dei due insiemi: se metto in una qualche

relazione la classe P dei poveri e quella M dei mendicanti, il prodotto dell’insieme P e dell’insiemeM, graficamente rappresentato dalla parte intersecata, sarà denominato PM.Proviamo a rappresentare la proposizione A (“Tutti i mendicanti sono poveri ”):L’area colorata di rossa è quella che risulta vuota.Infatti tutti gli elementi della classe M sono anche elementi della classe P.Così il prodotto MP≠ 0

Seguendo questa tecnica, potremo rappresentare le altre proposizioni categoriche:

E: “Nessun mendicante è povero” I: “Alcuni mendicanti sono poveri”12 

O: “Alcuni mendicanti non sono poveri”13 

12 Graficamente, si rappresenta inserendo un elemento “x” nell’intersezione: almeno un membro di M, cioè,

appartiene a P13 Graficamente, l’elemento “x” indica che almeno un membro di M non appartiene a P. 

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SEI LEZIONI DI LOGICA

15LEZIONE II: SILLOGISMI CATEGORICI

SILLOGISMO: MODI E FIGURE.

opo aver chiarito la natura e la struttura delle proposizioni, Aristotele propone una analisidel ragionamento, inteso come discorso volto a stabilire inferenze mediate: non si trattapiù di ricavare la necessità logica di una proposizione da un’altra, ma di costruire

conclusioni a partire da più premesse.→Il sillogismo aristotelico è categorico ed in forma normale, nel senso che è costruito attraversopremesse e conclusioni contenenti  proposizioni categoriche (A,E,I,O): esso può definirsi come unargomento deduttivo in cui la conclusione viene inferita a partire da due premesse14. Posta quindila verità delle due premesse, segue necessariamente la verità della conclusione. O: se le duepremesse sono vere, è impossibile che la conclusione sia falsa.In un sillogismo categorico sono presenti pertanto tre proposizioni categoriche (due premesse ed

una conclusione) che contengono solo tre termini : ogni termine pertanto ricorre in due delleproposizioni.Questi tre termini sono così classificati:

a.  Termine MAGGIORE: è il termine che, nel sillogismo, è posto come  predicato dellaconclusione15.;

b.  Termine MINORE: è il termine che è collocato come il soggetto della conclusione, edavente estensione minore;

c.  Termine MEDIO: è il termine che non figura nella conclusione, ma solo nelle premesse.La premessa che conterrà il termine maggiore sarà detta   premessa maggiore, e quella checontiene il termine minore sarà detta premessa minore .

Nel seguente sillogismo i termini saranno dunque così classificabili:Premessa I Ogni italiano (TERMINE MEDIO) è un navigatore (TERMINE MAGGIORE)

Premessa II Ogni genovese (TERMINE MINORE) è un italiano (TERMINE MEDIO) 

Conclusione Ogni genovese (TERMINE MINORE) è un navigatore (TERMINE MAGGIORE)

Nella costruzione dei sillogismi, Aristotele individua poi due criteri attraverso cui è possibileoperare classificazioni degli stessi.Ogni sillogismo avrà infatti un certo MODO: con esso si fa riferimento alla classificazione delleproposizioni che compongono premesse e conclusione a seconda della loro quantità (universali o

particolari) e qualità  (affermative o negative). Nell’esempio precedente, abbiamo perciò unsillogismo il cui modo è definito come AAA, poiché tutte le proposizioni che lo compongono sonouniversali affermative (A).Ogni sillogismo avrà poi una certa FIGURA: essa indica la posizione che il termine medio ha nellepremesse. Esso infatti potrebbe essere predicato nella prima e soggetto nella seconda, oviceversa, oppure soggetto in entrambe, o predicato in entrambe.Vi sono quindi 4 figure (o schemi tipici) di sillogismo possibili:

14Nella definizione di Aristotele ( Analitici primi, A, 1, in Opere, Laterza, 1973): “Il sillogismo, inoltre, è un discorso in

cui, posti taluni oggetti, alcunché di diverso dagli oggetti stabiliti risulta necessariamente, per il fatto che questi oggettisussistono. Con l’espressione «per il fatto che questo oggetti sussistono» intendo dire che per mezzo di questi oggetti

discende qualcosa, e d’altra parte, con l’espressione «per mezzo di questi oggetti discende qualcosa» intendo dire chenon occorre aggiungere alcun termine esterno per sviluppare la deduzione necessaria”.15 Si dice anche che esso sarà quello tra i tre termini ad avere estensione maggiore. Per estensione si intende ladenotazione, ovvero il numero degli oggetti a cui quel termine può essere applicato.

D

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16FIGURA 1 (sub-prae16) FIGURA 2 ( prae-prae)

Premessa I: termine MEDIO - termine maggiore Premessa I: termine maggiore - termine MEDIO

Premessa II: termine minore - termine MEDIO Premessa II: termine minore - termine MEDIO

Conclusione: termine minore-termine maggiore Conclusione: termine minore-termine maggiore

FIGURA 3 (sub-sub) FIGURA 4 ( prae-sub)

Premessa I: termine MEDIO - termine maggiore Premessa I: termine maggiore - termine MEDIOPremessa II: termine MEDIO - termine minore Premessa II: termine MEDIO - termine minore

Conclusione: termine minore-termine maggiore Conclusione: termine minore-termine maggiore

L’insieme di modo e figura determinano la cd.  forma del sillogismo: così, nell’esempio citato, 

avremo un sillogismo denominato AAA-1Un sillogismo di questo tipo, invece:

I: “Nessun ricco è un infelice”II: “Tutti i mendicanti sono infelici” 

Ergo: “Nessun ricco è un mendicante” 

Ha per forma EAE-2: infatti è composto da una universale negativa, una universale positiva ed unauniversale negativa, ed il termine medio è posto nelle due premesse come predicato ( prae-prae,figura 2).

Combinando modi e figure, è possibile ottenere 256 forme di sillogismi differenti, validi e invalidi.Il medioevo individuò le 15 forme valide di sillogismo categorico, attribuendo a ciascuna di esse unnome proprio (che nelle vocali individua il modo):AAA-1 BarbaraEAE-1 CelarentAII-1 DariiEIO-1 Ferio

AEE-2 CamestresEAE-2 Cesare

AOO-2 BarocoEIO-2 Festino

AII-3 DatisiIAI-3 DisamisEIO-3 FerisonOAO-3 Bocardo

AEE-4 CamenesIAI-4 DimarisEIO-4 Fresison

16 Sub e Prae costituiscono le abbreviazioni latino di “Soggetto” e “Predicato”. 

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17

Non possiamo però pensare che, al fine di controllare la validità di un sillogismo, non vi siano altrimezzi che quello di sfogliare questa tavola di nomi che Kant stesso trovò un poco astrusi, e chesenza dubbio rendono quantomeno scomodo il procedimento di verifica.A questo proposito, i diagrammi di Venn possono rappresentare un utile espediente grafico per il

controllo di validità.Costruiamo dunque un diagramma per rappresentare un sillogismo del tipo:

I: “Alcuni poeti sono navigatori” II: “Tutti i poeti sono santi” 

Ergo: “Alcuni santi sono navigatori” 

Il controllo del sillogismo avviene in questo modo: si rappresentano graficamente le premesse, e siverifica che quanto affermato nella conclusione sia già presente sul piano grafico nel diagramma

senza dover aggiungere nulla.Prendiamo la premessa I: “Alcuni poeti sono navigatori”. Essa è così rappresentabile: 

In essa infatti si dice che almeno un elemento x  di P appartiene a N: almeno un poeta, cioè, èanche un navigatore.Rappresentiamo ora la premessa II: “Tutti i poeti sono santi” 

Poiché tutti gli elementi di P sono anche elementi di S, il prodotto P non-s è vuoto: la zona in rossoè cioè vuota, non contiene alcun elemento.

Il diagramma di Venn permette ora di rappresentare insieme le due premesse. Unendo i due

grafici otteniamo così questa rappresentazione:

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Questo diagramma rappresenta le due premesse.Dobbiamo chiederci: rappresenta anche la conclusione?La conclusione del sillogismo era: “Alcuni santi sono navigatori”. Ovvero: almeno un elemento xdella classe dei santi appartiene alla classe dei navigatori.E questo è esattamente ciò che il diagramma di Venn rappresenta: il sillogismo è valido.Ovviamente, avremmo potuto da subito identificarlo come un sillogismo del tipo IAI-3, ossia comeDisamis.

Proviamo adesso a costruire il diagramma del seguente sillogismo:I: “Tutti i santi sono navigatori” 

II: “Nessun poeta è un santo” 

Ergo: “Nessun navigatore è un poeta” 

Rappresentiamo graficamente le due premesse di questo sillogismo AEE-1:

Le zone rosse sono zone vuote: infatti, per le premesse, non c’è alcun santo che non sia anche unnavigatore e non c’è alcun poeta che sia un santo.

Cosa deduciamo a proposito della conclusione? Essa è falsa, poiché, come si vede dal grafico, nonè vero che nessun navigatore è un poeta: infatti la zona d’intersezione tra navigatori e poeti non ètutta rossa.

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20PARTE SECONDA

LOGICA SIMBOLICA

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21LEZIONE III: PROPOSIZIONI COMPLESSE 

l linguaggio simbolico, un linguaggio pertanto artificiale, convenzionale, costituisce lostrumento più utile per il controllo e l’analisi dei ragionamenti e delle argomentazioni. Illinguaggio comune, con le sue espressioni e strutture grammaticali, i suoi diversi usi, è un

linguaggio ambiguo, spesso vago, sempre pieno di trappole.La logica cd.moderna deve considerarsi perciò una disciplina che ricorre a simboli, il che permettedi analizzare gli argomenti deduttivi in modo più preciso e raffinato di quanto fino adesso visto.Inoltre la logica simbolica non si è costruita sul paradigma del sillogismo aristotelico, ma haaffrontato la ri-costruzione del linguaggio logico a partire dai connettivi logici (congiunzione,

disgiunzione, implicazione, equivalenza) presenti in qualsiasi argomento, abbia esso o meno formasillogistica.

PROPOSIZIONI SEMPLICI E COMPLESSE.

Giunti a questo punto, dobbiamo operare una distinzione: una proposizione infatti può averetanto forma semplice che complessa.Si ha una proposizione in forma semplice quando essa è espressa da un enunciato che noncontiene al suo interno altri enunciati. Se dico “Luigi è un egoista17”, sono di fronte ad unenunciato che esprime una sola proposizione, ossia asserisce che Luigi è un egoista, e non altro.Una proposizione si presenta in   forma complessa, invece, quando è espressa da un enunciatocostituito a sua volta da più enunciati. Se affermo “Luigi è un egoista e Mario è generoso”, stoesprimendo una proposizione costituita da due enunciati legati dal connettivo “e”: essa esprimecioè la congiunzione delle due proposizioni semplici “Luigi è un egoista” e “Mario è generoso”.Le proposizioni complesse si presentano pertanto come proposizioni semplici legate da un

connettivo logico: esso è detto connettivo vero-funzionale.Va chiarito subito il ruolo tecnico che gioca il connettivo.Quando una proposizione complessa è vera? Quale è, in altri termini, la sua condizione di verità

(i.e. la condizione alla quale la proposizione è vera)?Quando la proposizione complessa “Luigi è un egoista e Mario è generoso” è vera?Essa dovrà soddisfare la condizione che le due proposizioni semplici siano entrambe vere: la suacondizione di verità è che Luigi sia un egoista e che Mario sia generoso.Poiché la congiunzione dei due asserti ha come condizione di verità la verità di entrambe leproposizioni semplici, si dice che la congiunzione è una proposizione complessa vero-funzionale, lacui condizione di verità, cioè, dipenda dalla condizione di verità dei suoi componenti come legati

dal connettivo logico18.Esistono diversi tipi di proposizioni complesse, ed è di esse che dovremmo occuparci in questocapitolo.

17Siamo di fronte ad una proposizione non categorica, ossia non appartenente ad alcuna di quelle del quadrato

d’opposizione aristotelico. Come detto, la logica moderna non si limita agli oggetti del ragionamento considerati inAristotele. La proposizione dell’esempio è una proposizione singolare, infatti.18 La definizione proposta da COPI-COHEN, cit ., p.342 è la seguente: “…definiamo vero-funzionale un componente di

un asserto composto a condizione che, se viene sostituito nell’asserto composto da asserti diversi che abbianociascuno lo stesso valore di verità dell’altro, i diversi asserti composti prodotti da quelle sostituzioni avranno ancheessi lo stesso valore di verità dell’altro. Definiamo quindi vero-funzionale un asserto composto se tutti i suoicomponenti sono vero-funzionali”. 

I

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22LA NEGAZIONE (o contraddittoria).La negazione costituisce un tipo di proposizione complessa, dove le proposizioni semplici che lacompongono sono una la negazione dell’altra: si dice cioè che le cose stanno in un certo modo in

una proposizione, e che quelle stesse cose non stanno in quel certo modo nell’altra proposizione.La relazione perciò tra la proposizione p “I poeti sono laureati” e la proposizione non -p “I poetinon sono laureati” è detta negazione, poiché se p è vera non-p deve essere falsa, e viceversa.Il connettivo “non” si esprime con il simbolo “ ~ ” (detto tilde, o curl ).La tavola di verità

19 della negazione, pertanto, è la seguente:

p ~p

V F

F V

LA CONGIUNZIONE.Si ha congiunzione quando due proposizioni semplici formano una complessa essendo legati dallaparola “e”, che simbolicamente si esprime con il punto “•”. I due asserti si dicono congiunti .Un esempio di congiunzione può essere “I marinai salivano sulla nave mentre i musicanti 

suonavano un vecchio twist ”. Qui la proposizione è complessa, ed esprime la congiunzione dei dueasserti dichiarativi: i marinai salivano sulla nave e i musicanti suonavano.Il fatto che nel testo si legga la parola “mentre” anziché “e”, sottolinea l’opportunità dell’utilizzo disimboli nell’analisi della proposizione: non importa la formula lessicale, importa che essa stia

esprimendo l’idea di congiunzione tra le due proposizioni, ossia l’idea che la proposizionecomplessa asserisca che le due azioni si stavano entrambe svolgendo in quel momento20.Quando questa proposizione complessa è vera?Si dà soltanto un caso: essa sarà vera solo se sono veri entrambi i congiunti, solo cioè se i marinaieffettivamente salivano sulla nave e se i musicanti stavano suonando quel pezzo di twist.Non sarà certo vera se, ad esempio, i marinai stavano salendo, ma non si suonava nulla in quelmentre.

19Per tavola di verità si intende (vedi COPI-COHEN, cit ., p.689) la rappresentazione in uno schema di tutti i possibili

valori di verità delle proposizioni complesse, costruita combinando tra loro i possibili valori di verità delle lorocomponenti semplici.20 Quando si ricostruisce la struttura della proposizioni complesse, è bene dunque esprimere i connettivi tramite

simboli. Nella lingua italiana, infatti, molti tranelli lessicali potranno così essere evitati: ad esempio, quando leggiamo“C’è pericolo da una parte o dall’altra” (esempio da COPI-COHEN, cit ., p.348), il connettivo “o” potrebbe farci pensaread una disgiunzione, mentre è del tutto evidente che siamo di fronte ad una congiunzione: il pericolo c’è da questaparte, ed anche da quest’altra.

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23

Se chiamiamo con p e con q le due proposizioni semplici e con p•q la proposizione complessa,ossia la congiunzione di p e q, la tavola di verità sarà la seguente:

p q p•q 

V V V

V F F

F V F

F F F

LA DISGIUNZIONE INCLUSIVA (O DEBOLE).Un altro tipo di proposizione complessa è data dalla disgiunzione inclusiva o debole di due

proposizioni semplici, legate tra loro dalla parola “o”, intesa in un certo significato. Per chiarire lecose, diremmo che si ha disgiunzione inclusiva quando la disgiunzione va intesa nel senso di “uno

dei due, o entrambi ”.Se ad esempio dico: “L’imputato è colpevole in caso di confessione o prove schiaccianti contro dilui”, intendo che l’imputato è colpevole non solo se si otterrà una confessione o si avranno, inmancanza, prove schiaccianti contro di lui, ma anche avremo sia la confessione che le prove. Certol’imputato non potrà sostenere di non essere colpevole perché l’accusa possiede la suaconfessione ed anche altre prove schiaccianti, dicendo che la norma richiede o l’una o l’altra.Per esprimere questo tipo di disgiunzione si utilizza il simbolo “v” (latino vel). Quando dunque una proposizione complessa come quella dell’esempio –e schematicamente, unaproposizione che dica “p o q”- è vera?Evidentemente, è vera quando è vera almeno una delle due proposizioni semplici (ad esempio èvero che si ha una confessione oppure che si possiedono prove schiaccianti), ma anche quandosono vere entrambe.È invece falsa, quando saranno false entrambe le proposizioni semplici che a compongono.La tavola di verità è perciò la seguente:

p q Pvq

V V V

V F VF V V

F F F

LA DISGIUNZIONE ESCLUSIVA (O FORTE).Tale tipo di disgiunzione è detta esclusiva o forte perché, a differenza della prima, richiede, comecondizione di verità, che sia vera o l’una o l’altra delle proposizioni semplice che compongono lacomplessa, ma non entrambe.Se ad esempio dico: “Nella mia famiglia i figli sposavano spesso la loro prima cugina o la loro zia”,

sto affermando che la proposizione è vera se è vero che i figli, all’interno della mia famiglia,sposavano o una loro cugina o una loro zia, ma certo non potevano sposarle entrambe.

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Se una norma permette di portare sull’aereo, per motivi di spazio, un solo bagaglio, dicendo “è

consentito portare uno zaino o una valigetta”, significa che si potrà portare o l’uno o l’altra, manon entrambe.Questo tipo di disgiunzione si esprime con il latino AUT.

La tavola di verità sarà la seguente:

p q p aut q

V V F

V F V

F V V

F F F

LA CONDIZIONALE (O IMPLICAZIONE MATERIALE).Un asserto complesso si dice di tipo condizionale quando le proposizioni semplici che locompongono stanno tra loro in un rapporto di implicazione materiale: con ciò si intende che dallaverità della prima proposizione semplice (espressa in  forma ipotetica) segue necessariamente laverità della seconda.L’implicazione materiale si esprime con il simbolo “→”: p→q significa “Se p, allora q”.  La frase “Se Piero non sparerà per primo al nemico, allora morirà in guerra”, contiene unaantecedente  (o protasi) “Se Piero non sparerà per primo al nemico” ed una conseguente (oapodosi) “allora Piero morirà in guerra”. La relazione tra le due proposizioni si dice di implicazionemateriale nel senso che non si dà il caso che l’antecedente sia vera e la conseguente sia falsa.

Questo è il solo rapporto che la condizionale esprime, e non altro: non dice che la antecedente èvera, né dice alcunché sulla conseguente. Essa si limita a dire che non può mai darsi il caso che,dimostrata la verità dell’antecedente, la conseguente risulti falsa. Il termine implicazione materiale

indica dunque una relazione debole, e non forte: non pone infatti alcuna connessione reale tra le

due proposizioni semplici, ma soltanto si limita a dire che è logicamente impossibile che

l’antecedente sia vera e la conseguente falsa.Se io dico “Se 22=5 allora io sono il Papa”21, non sto affermando che 2+2 faccia 5 né altro, ma stosoltanto dicendo che è impossibile che 2+2 sia uguale a 5 e che io non sia il Papa. Ma poiché 2+2non fa effettivamente 5, la implicazione sarà sempre, in un certo qual modo, soddisfatta, nel sensoche non si verificherà mai la sua impossibilità.

Vi sarà dunque soltanto un caso in cui l’implicazione risulta falsa: quando la antecedente risult avera, e la conseguente falsa.La proposizione complessa “Se Piero non sparerà per primo al nemico, allora morirà in guerra” èfalsa soltanto in un caso: se Piero non sparerà per primo al nemico, ma nonostante questo nonmorirà. Ciò può essere espresso anche, e più correttamente, in questi termini:la proposizione è falsa quando è vera la congiunzione p•~q (“sarà dimostrata la colpevolezza e il 

colpevole non sarà condannato a morte”).

21 Tale frase è alla base di una divertente “dimostrazione” di B.Russell, suggerita dal paradosso dell’implicazionemateriale, che verrà trattato nel corso dell’esposizione. 

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Vediamo allora la tavola di verità:

p q p→q 

V V V

V F F

F V V

F F V

Si può dunque osservare, come già ripetuto, che l’unico caso in cui l’implicazione risulta falsa èche sia vera l’antecedente, e falsa la conseguente.Se l’antecedente è falsa, la implicazione sarà sempre vera.Questa considerazione non dovrebbe stupirci: l’implicazione, infatti, ha carattere debole, nel senso

che non indica una connessione reale tra le proposizioni p e q, non ci dice che p implica q significache p deve essere vera e q anche. L’implicazione si limita a dirci che non è possibile che p sia vera eq sia falsa.Se p è falsa, come si nota dalla tavola, p→q è sempre vera. Ciò –si noti- non ci dice nulla sulla

verità o falsità di q.Se p è falsa, sappiamo che p→q è sempre vera, nel senso che non si potrà mai verificare l’unicaipotesi di falsità dell’implicazione, ossia che p sia vera e q sia falsa. Non sappiamo invece se q siavera o falsa: questo lo dovremo andare a vedere noi ogni volta.È in questo senso che si deve intendere questo fatto: una proposizione falsa implica qualsiasi 

 proposizione.Se il fatto, per come enunciato, lasciò attoniti numerosi filosofi, lo si deve alla trappola linguistica

che suggerisce: detta così, infatti, parrebbe significare che in un rapporto di implicazione dallafalsità dell’antecedente deduciamo sempre la verità dell’antecedente. Come si è invece appenaspiegato, la regola non è da intendersi in questi termini: essa significa solo che la falsitàdell’antecedente rende sempre vera l’implicazione, nel senso che non potrà mai verificarsi l’ipotesi

 –p vera e q falsa- che la renderebbe falsa.E’ in tal senso che asserire “se 22=5, allora io sono il Papa” esprime una implicazione VERA: infatti2+2 non fa 5, quindi non si darà mai il caso che 2+2 sia uguale a 5 ed io non sia il Papa.Possiamo anche ragionare, intorno alle proposizioni condizionali, in termini di condizione

sufficiente: dire p→q significa dire che “p è condizione sufficiente per q”. E’ anche necessaria?La risposta è no: infatti perché q sia vera non è necessario che p sia vera. La proposizione p puòessere falsa, e q essere vera.Può benissimo infatti darsi il caso che Piero sparerà per primo al nemico, ma nonostante questomuoia in guerra lo stesso, magari perché colpito da una pallottola di un altro soldato nemico, o dalnemico stesso cui ha sparato per prima, ma magari non colpendolo in un punto vitale e suscitandola sua sdegnata reazione.

LA BICONDIZIONALE.Un diverso rapporto di implicazione è invece presente in quelle proposizioni complesse in cui laantecedente costituisce non solo condizione sufficiente, ma anche necessaria, per la verità dellaconseguente.

Si prenda ad esempio la seguente affermazione: “Se l’imputato verrà dichiarato colpevole, allorasarà condannato all’ergastolo”. Tale proposizione contiene anch’essa un tipo di implicazione (Se p

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allora q), ma essa non è da intendersi nel senso precedente: essa potrebbe infatti dirsi del tipo “Se,

e solo se p, allora q”.Qui non si dà solo il caso che, se p è vera, allora anche q deve essere vera, ma anche il caso che, se

q è vera, allora anche p deve esserlo. Nella bi condizionale, una proposizione falsa non implica

qualsiasi proposizione.In altre parole: il fatto che l’imputato venga dichiarato colpevole, non solo è condizione sufficienteperché gli venga irrogata la pena dell’ergastolo, ma anche necessario. Se egli non sarà dichiaratocolpevole, non c’è modo diverso che potrebbe render vera la conseguente. Da ciò, possiamo anche dire che, se sappiamo che l’imputato è stato condannato all’ergastolo(ossia q è vera), allora sapremo anche che è stato dichiarato colpevole.Nella bi condizionale, le due proposizioni semplici si implicano a vicenda: scriveremo perciò p→q eq→p, cioè (p→q)•(q→p). La tavola di verità sarà allora la seguente:

p q p→q  q→p  (p→q)•(q→p)22

 

V V V V V

V F F V F

F V V F F

F F V V V

Nel caso di bicondizionalità (p se e sole se q), si parla spesso anche di equivalenza materiale,intendendosi che le due proposizioni p e q sono materialmente equivalenti poiché debbono essereo entrambe vere o entrambe false.Per la equivalenza materiale si usa il simbolo “Ξ” o anche, indicando la bi condizionalità, la doppiafreccia “↔”.

LA TAUTOLOGIA.Una proposizione complessa esprime una tautologia quando tutte le sue esemplificazioni sonovere. In altre parole, avremo tautologia quando, nella tavola di verità, tutti i valori di verità sonoveri: ciò che esprime la proposizione complessa è dunque sempre vero. Non esiste alcun caso difalsità possibile.Un esempio di tautologia è dato dalla proposizione complessa pv~p.Essa è sempre vera:

p ~p pv~p

V F V

F V V

EQIVALENZA LOGICA.La proposizione complessa si dice composta da due proposizioni semplici tra loro logicamente

equivalenti quando l’equivalenza materiale tra questi esprime una tautologia, ossia è sempre vera.Ossia: p e q sono tra loro logicamente equivalenti quando “p se e solo se q” esprime unatautologia.Perché ciò accada, occorre che q sia uguale a ~~p.

22 Vedremo che, simbolicamente, ciò può esprimersi con “pΞq” 

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Infatti:

p ~p ~~p pΞ~~p 

V F V V

F V F V

Si esprime qui il principio di doppia negazione: negare due volte p significa affermare p.

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28LEZIONE IV: ARGOMENTI

FORME DI ARGOMENTI.oiché la validità, come già ricordato, è una nozione formale, che guarda alla struttura di unargomento, noi presenteremo in questa lezione alcune comuni strutture argomentativevalide. Presenteremo, quindi, non argomenti, ma forme di argomenti , ossia sequenze di

simboli che non contengono proposizioni, ma variabili proposizionali .In termini più semplici: presenteremo sequenze di lettere (p,q,r,s…), ciascuna delle quali sta peruna proposizione, e può essere sempre sostituita da questa. È una questione tanto di comoditàquanto di chiarezza.Così, invece di presentare una argomento del tipo:Premessa I: “Se Piero ha sparato, allora ha ucciso qualcuno” Premessa II: “Piero ha ucciso qualcuno” 

Ergo: “Piero ha sparato” 

Scriveremo:p→q q

Ergo: p

Si tratta di una semplificazione, piuttosto opportuna, non c’è che dire, per evitare tanto laambiguità strutturale del linguaggio comune quanto la sua lunghezza.

Ma come si controlla se una forma di argomento di questo tipo sia valida o invalida, volendorimanere sul piano simbolico, senza perciò ricorrere alla cd.analogia logica

23?La risposta è semplice: dobbiamo costruire la tavola di verità della forma di argomento, e vederese c’è almeno un caso in cui le premesse possono essere ve re e la conclusione falsa. Se è così,l’argomento sarà invalido.Vediamolo in concreto, riferendoci alla forma di argomento prima illustrata.

p q p→q 

V V V

V F F 

F V VF F V

Poiché le premesse sono:I p→q II qDovremmo far riferimento alla terza e alla seconda colonna.L’argomento, come detto, è invalido solo se c’è, tra questi quattro (quante sono le righe, ossia lepossibili combinazioni dei valori di verità di p e q: p vera e q falsa, p vera e q vera, etc.), un caso incui le due premesse sono vere e la conclusione falsa.

23Questa tecnica per il controllo di una forma di argomento consiste in ciò: verificare che non esistano

esemplificazioni dell’argomento (ossia argomenti costruiti con proposizioni, e non con variabili proposizionali) che lorenderebbero invalido, ovvero che abbiano premesse vere e conclusione falsa.

P

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Ogni caso rappresenta una possibilità della realtà.Prendiamo allora la terza riga:

p q p→q 

F V V

Q ui abbiamo un caso in cui p→q è vera, q è vera, ma p è falsa.Dunque esiste un caso in cui, pur essendo entrambe le premesse vere, la conclusione è falsa.Questa forma di argomento è dunque invalida. Se ricordate, avevamo infatti definito unargomento deduttivo dicendo che esso è valido quando dalla verità delle premesse segue

necessariamente la verità della conclusione.

La forma di argomento analizzata dunque non da un argomento valido.Se volessimo uscire dai simboli, ciò significa: esiste almeno un argomento, con proposizioni chefungono da premesse vere, in cui la proposizione che sta nella conclusione è falsa.Prendiamo questo argomento:I Se 2+2 fa 5, allora nel 1945 i nazisti persero la guerraII Nel 1945 i nazisti persero la guerra

Quindi 2+2 fa 5.

Tale argomento ha la forma, già analizzata, di p→q, q, quindi p.Qui entrambe le premesse sono vere: sicuramente i nazisti persero la guerra nel 1945. Ed inoltreanche la prima premessa è vera: una proposizione falsa, sappiamo, implica qualsiasi proposizione.Quindi la proposizione complessa “Se 22 fa 5, allora nel 1945 i nazisti persero la guerra” è semprevera, perché non si potrà mai dare il caso che 2+2 faccia 5 ed i nazisti non abbiano perso la guerranel ’45.Abbiamo quindi due premesse entrambe vere.Ma la conclusione è falsa: 2+2 non fa 5.L’argomento, quindi, è invalido.

FORME D’ARGOMENTO VALIDE. Possiamo codificare alcune forme d’argomento valide, in cui cioè, qualsiasi proposizionesostituiate alle variabili, alle lettere, dalla verità delle premesse seguirà sempre la verità dellaconclusione.È sempre possibile utilizzare ogni volta le tavole di verità per controllare la validità di unargomento, ma memorizzare le forme che andremo a vedere può risultare utile, se nonindispensabile, per non perdersi in tavole talvolta davvero lunghe e noiose.

1.SILLOGISMO DISGIUNTIVO.È sempre valida la seguente forma di argomento:I pvq

II ~p

Ergo: q

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Se ci si pensa, è chiaro che da una disgiuntiva debole vera, segue necessariamente che almeno unatra p e q deve essere vera. Ma poiché, come dalla seconda premessa, p è falsa, allora q è vera.Se si volesse controllare questa forma di argomento con una tavola di verità, il lavoro, in questocaso, non sarebbe molto faticoso:

p q pvq ~p

V V V F

V F V F

F V V V

F F F V

Come si vede, non c’è alcun caso in cui le premesse (terza e quarta colonna) siano vere e laconclusione (seconda colonna) falsa.Quindi qualunque argomento costruito in questa forma, sarà un argomento valido.

2.MODUS PONENS.È sempre valido qualunque argomento costruito in questa forma:I: p→q 

II: p

Ergo: q

Non credo ci sia bisogno di riproporre la tavola di verità: al lettore basterà ripescare quella dellacondizionale, e controllare che non è possibile il caso in cui le due premesse siano vere e laconclusione falsa.

3.MODUS TOLLENS.Il modus tollens è così costruito:I: p→q 

II: ~q

Ergo: ~p

4.DILEMMA COSTRUTTIVO.Tale forma di argomento valida è così costruita:I: (p→q)•(r→s) 

II: pvr

Ergo: qvs

Costruiamo la sua tavola di verità (e, data la sua complessità, ci accorgeremo come è benememorizzare tale schema di argomento valido):

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p q R s p→q  r→s  (p→q)•(r→s) pvr qvs

V V V V V V V V VV V V F V F F V VV V F V V V V V VV V F F V V V V VV F V V F V F V VV F V F F F F V FV F F V F V F V VV F F F F V F V FF V V V V V V V VF V V F V F F V VF V F V V V V F VF V F F V V V F VF F V V V V V V V

F F V F V F F V FF F F V V V V F FF F F F V V V F F

Abbiamo sottolineato in rosso le due premesse e la conclusione: come si nota, non c’è alcun casoin cui le premesse siano vere e la conclusione falsa. Pertanto l’argomento è valido. 

5.SEMPLIFICAZIONE.È sempre, ed intuitivamente, valida la seguente forma di argomento:I: p•q 

II: p

Ergo: q

6.ASSORBIMENTO.Forma valida di inferenza immediata:I: p→q 

Ergo: p→(p•q) 

7.CONGIUNZIONE.

Valida anche la seguente operazione:I: p

II: q

Ergo: p•q 

8.ADDIZIONE.I: p

Ergo: pvq

9.SILLOGISMO IPOTETICO.È sempre valido un argomento che abbia la seguente forma:

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I: p→q 

II: q→r 

Ergo: p→r 

In tal caso, ricorrere alla tavola di verità per dimostrare la validità di tale forma di argomento nonè così comodo. La sua costruzione infatti è già abbastanza complessa:

p q R p→q  q→r  p→r 

V V V V V VV V F V F FV F V F V VV F F F V FF V V V V V

F V F V F VF F V V V VF F F V V V

È chiaro, tuttavia, che talvolta, non potendo ricorrere alle regole di inferenza esposte sin qui, citroveremo costretti a costruire tavole di verità, al fine di controllare la validità di una formaargomento.Prendiamo ad esempio la seguente forma (da COPI-COHEN, cit., p.376):I: p→ (q→r) 

II: q→(p→r) 

Ergo: (pvq)→r 

Per sapere se tale forma è valida o invalida, non posso ricorrere a quelle regole appena esplicitate,poiché ci troviamo di fronte ad operazioni logiche più complesse. Dovrò perciò costruire la tavoladi verità:

p q R q→r  p→(q→r)  p→r  q→(p→r) pvq (pvq)→r 

V V V V V V V V VV V F F F F F V FV F V V V V V V V

V F F V V F V V FF V V V V V V V VF V F F V V V V FF F V V V V V F VF F F V V V V F V

A noi interessano la quinta colonna (premessa I), la settima (premessa II) e l’ultima colonna(conclusione): vedremo se in qualche riga di queste c’è un caso in cui le premesse siano vere ma laconclusione falsa.

Vediamo, dunque:

p→(q→r)  q→(p→r) (pvq)→r 

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V V VF F FV V VV V F

V V VV V FV V VV V V

Se analizziamo la quarta riga e la sesta riga, vediamo che in entrambi questi casi le premesse sonovere, ma la conclusione è falsa.L’argomento è pertanto invalido.

I TEOREMI DI DE MORGAN.Riprendiamo per un attimo il concetto di equivalenza logica, già trattato nella lezione precedente.

Consigliamo pertanto al lettore di riprendere in mano i concetti e le tavole di verità riguardantil’equivalenza materiale, la tautologia e l’equivalenza logica. Le equivalenze logiche sono alla base dei due teoremi formulati da De Morgan nel secolo XIX, iquali mettono in relazione alcuni tipi di proposizioni complesse tra loro.De Morgan dimostrò che la negazione della congiunzione di due proposizioni semplici èlogicamente equivalente alla disgiunzione delle negazioni di esse; e che la negazione delladisgiunzione di due proposizioni semplici è logicamente equivalente alla congiunzione dellenegazioni di esse.Vediamo i due teoremi separatamente.Il primo teorema ci dice che, posti p e q, la negazione della loro congiunzione, e quindi ~(p•q), è

logicamente equivalente (Ξ) alla disgiunzione delle loro negazioni, e quindi a ~pv~q.In simboli il primo teorema perciò dice:

~(p•q)Ξ(~pv~q)Ricordiamo che il rapporto di equivalenza logica significa che la equivalenza materiale (o bicondizionalità) delle proposizioni semplici che compongono il rapporto è una tautologia.Costruiamo la tavola di verità, per dimostrare il teorema:

p q ~p ~q p•q  ~(p•q) ~pv~q

V V F F V F FV F F V F V VF V V F F V V

F F V V F V VQui abbiamo i valori di verità delle forme proposizionali che compongono l’equivalenza.Ora non ci resta che verificare se le ultime due colonne della tabella stanno tra loro in un rapportodi equivalenza materiale, ossia di bi condizionalità (se, e solo se, allora):

~(p•q) ~pv~q ~(p•q)Ξ(~pv~q)

F F V

V V V

V V V

V V V

Come si vede, qui l’equivalenza materiale esprime una tautologia.Quindi il primo teorema di De Morgan è dimostrato.

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Vediamo ora il secondo teorema di De Morgan:esso afferma che la negazione della disgiunzione di due proposizioni, e quindi ~(pvq), èlogicamente equivalente alla congiunzione delle loro negazioni, e quindi a ~p•~q.In simboli:

~(pvq)Ξ~p•~q Dimostriamo anche questo teorema ricorrendo alle tavole di verità, evitando però di scomporre ipassaggi come in precedenza:

p q ~p ~q Pvq ~(pvq) ~p•~q  ~(pvq)Ξ~p•~q 

V V F F V F F VV F F V V F F VF V V F V F F VF F V V F V V V

Anche in tal caso, l’equivalenza materiale tra le proposizioni esprime una tautologia. Quindi ancheil secondo teorema di De Morgan è dimostrato.

UTILIZZO PRATICO DELLE FORME D’ ARGOMENTO. Poiché abbiamo introdotto già un buon numero di regole in questa lezione, chiuderemoprovvisoriamente il nostro discorso tentando di analizzare alcuni argomenti, ricorrendo alle regoleed ai teoremi appena visti.Di fronte ad un argomento, come già detto, non possiamo pensare di costruire sempre, e fin dalprincipio, tavole di verità. Prima, quantomeno, dobbiamo tentare di ridurlo ad una formulaaccettabile, o evidenziare quei passaggi logici che vanno o non vanno bene.Ricorderemo, seguendo questo esercizio, le nove regole di inferenza indicate in precedenza ed iteoremi di De Morgan.

Prendiamo questo esempio24:1.q→r 2.~s→(t→u) 3.sv (qvt)4.~sQuindi: rvu5.t→u 6.(q→r)•(t→u) 7.qvt8.rvu

L’argomento è complesso, e la sua conclusione è inserita nel mezzo. Esso è valido? Per il controllo di questo argomento, si devono utilizzare le regole di inferenza viste, ed analizzaredove possono essere eventualmente applicate.

Vediamo subito che un argomento valido interno all’argomento nel suo complesso è quello datodalle righe 4,5 e 2:I: ~s→(t→u) 

II: ~s

24 Tratto da COPI-COHEN, cit ., p.395

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35Ergo: t→u 

Tale argomento è valido, poiché è un classico modus ponens (sarà ancor più ovvio ponendo “~s”=p

e “t→u”=q), che ricordiamo ha la forma: I: p→q II: p

Ergo: q

Passiamo poi a considerare le righe 1, 5,6.Qui abbiamo una semplicissima congiunzione:I: q→r II: t→u 

Ergo: (q→r)•(t→u) 

Vediamo ancora che le righe 3,4 e 7 formano poi un sillogismo disgiuntivo:I: sv (qvt)II: ~s

Ergo: qvt

Infine, avremo un dilemma costruttivo formato dalle righe 8,6, e 7:I: (q→r)•(t→u) II: qvt

Ergo: rvu

Abbiamo dunque mostrato alcuni argomenti validi all’interno dell’argomento più complesso.Bisogna ora ordinare l’argomento complesso, e mostrare le inferenze corrette. Riprendiamo l’argomento nel suo complesso: 1.q→r 

2.~s→(t→u) 3.sv (qvt)4.~sQuindi: rvu5.t→u 6.(q→r)•(t→u) 7.qvt8.rvu

Quali le premesse? E la conclusione è giustificata?

Ovviamente le premesse saranno quelle che non possono essere dimostrate, e sono assunte alfine di dimostrare la conclusione.Premesse di questo argomento saranno le righe 1,2,3,4. La conclusione è “rvu”.

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Essa segue alle premesse? La risposta è si. Ricostruiamo dunque i passaggi logici  dell’argomento,la sua catena logica:

1.~s (PREMESSA) 

2.~s→(t→u) (PREMESSA) Quindi, per modus ponens: 3. t→u (CONCLUSIONE DI 1+2 e PREMESSA PER 5)

4.q→r (PREMESSA)

Dalla 3+4, per congiunzione: 5. (q→r)•(t→u) (CONCLUSIONE DI 3+4, E PREMESSA PER 8) 6. sv (qvt) (PREMESSA) Da 1+6, per sillogismo disgiuntivo: 7. (qvt) (CONCLUSIONE DI 1+6, E PREMESSA PER 8)

Dalla numero 5 e dalla numero 7,abbiamo per dilemma costruttivo la conclusione dell’argomento: 8. rvu

Abbiamo pertanto ricostruito i passaggi logici: l’argomento è valido, si compone di 4 premesse, edogni conclusione intermedia costituisce a sua volta premessa per la conclusione finale.Schematicamente, potremmo rappresentare così l’argomento, dove le premesse vengono indicatecon il colore giallo, le conclusioni intermedie in azzurro, e la conclusione dell’argomento in rosso: 

IL PARADOSSO DELLA BOTTEGA DEL BARBIERE.Lewis Carroll, che fu uno dei talenti logici e letterari più profondi in fatto di giochi e paradossi,

formulò in un suo scritto il seguente paradosso:"Spero soltanto che Carr sia in bottega - disse. - Brown è così maldestro. E la mano di Allen èdivenuta malferma dopo che ha avuto quella febbre".

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"E certo che Carr è in bottega" - disse zio Joe. "Scommetto mezzo scellino che non c'è! " - dissi io.Conserva le tue scommesse per occasioni migliori "- disse zio Joe. "Intendo dire [...] che io posso

 provarlo logicamente. Ciò non ha niente a che vedete col caso".. "Per amor di discussione -cominciò zio Joe - poniamo che Carr sia fuori. Cerchiamo quindi di vedere a che cosa ci

condurrebbe una tale assunzione. A questo scopo ricorrerò alla reductio ad absurdum ".[...] SeCarr è fuori, mi concederai che, se anche Allen è fuori, Brown deve essere in bottega?" "E qualevantaggio deriva dal suo essere in bottega? - disse zio Jim. - Io non voglio che Brown mi rada! Etroppo maldestro ". [...] Quanto a lungo questa discussione avrebbe potuto durare, non ne ho laminima idea. Penso che l'uno e l'altro avrebbero potuto discutere per sei ore di seguito. Maproprio in quel momento arrivammo alla bottega del barbiere, ed entrando trovammo...”25 

Il paradosso può essere parafrasato in questo modo:Almeno uno tra Allen, Carr e Brown deve sempre stare in bottega, per curare il negozio.Pare quindi ovvio affermare che “Se Carr è fuori dalla bottega, allora se anche Allen è fuori, Brown

deve essere dentro”. Ma poiché Brown è un pessimo barbiere, Allen non si fida a lasciarlo mai solo in negozio, così chequando Allen esce, si porta sempre via anche Brown. Quindi possiamo dire che “ Se Allen è fuori,

allora anche Brown lo è”. Così si conclude che allora Carr non potrà mai uscire di bottega.

Tale argomento incute un certo timore, e la sua conclusione suona come vera ad una primaocchiata.Ma c’è un errore che si annida in questo paradosso, ed è il seguente:si assume che “Se Allen è fuori, allora Brown è dentro” e che “Se Allen è fuori, allora anche Brown

è fuori” debbano essere necessariamente una vera e l’altra falsa: non possono essere entrambevere.In altre parole, esse esprimerebbero tra loro una relazione di negazione: si potrebbesimboleggiarle con q (chiamandosi q la proposizione complessa “Se Allen è fuori, allora Brown èdentro”) e non~q (per tale intendendosi la sua negazione, ossia la complessa “Se Allen è fuori,allora anche Brown è fuori”).Pertanto l’argomento avrebbe la seguente forma: 

I: p→q II: ~q

Ergo: ~p

Questo argomento sarebbe perfettamente valido: è il classico modus tollens.Cosa c’è che non va allora, se l’argomento è corretto? Quel che non va è che non è corretto rappresentare le proposizioni complesse “Se Allen è fuori,allora Brown è dentro” “Se Allen è fuori, allora anche Brown è fuori” come l’una la negazionedell’altra.

25CARROLL L.,  A Logical Paradox ,  in Mind , XI, 1894, pp. 436-38. Il brano è contenuto in MUGNAI M. (a cura di), La

logica da Leibniz a Frege, Torino, Loescher, 1981, pp. 296-299.

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L’obiezione potrebbe essere –ed è quella su cui gioca il paradosso- che, insomma, è evidente chese la prima è vera, e dunque Brown è dentro, allora la seconda è per forza falsa, perché Brown nonpuò star fuori.Certo Brown non può essere sia dentro che fuori alla bottega!

Se pensate che le cose stanno così, allora dovrete ripassare il concetto di implicazione materiale.Proviamo ad analizzare le due proposizioni:cosa significa logicamente “Se Allen è fuori, allora Brown è dentro”?Come sappiamo dallo studio delle proposizioni condizionali, ciò non esprime che una necessitàsoltanto: non si dà il caso che Allen sia fuori, e Brown sia fuori anche lui . Tutti gli altri casi possibili,rendono vera la proposizione complessa.E la seconda proposizione “Se Allen è fuori, allora anche Brown è fuori”? Essa dice che non si dà il 

caso che Allen sia fuori, e Brown sia dentro. Anche qui, tutte le altre combinazioni possibilirendono la proposizione complessa vera.Ciò significa che esiste certamente un caso in cui entrambe sono essere vere: quando Allen non è

 fuori, ma è dentro al negozio.In questo caso entrambe le condizionali sono vere: perciò essere non stanno tra loro in unrapporto di negazione, e perciò non possono essere espresse con i simboli q e ~q.Questo paradosso è detto anche paradosso dell’implicazione materiale : esso infatti giocasull’incomprensione del rapporto di condizionalità. Ma noi sappiamo che una proposizione falsa implica qualsiasi proposizione, e che dunque, postoche Allen sia dentro, l’argomento “Se Allen è fuori, allora…” sarà sempre vero qualunque sia ilvalore di verità della conseguente.Le due proposizioni complesse del paradosso sono entrambe vere, quando l’antecedente comunead entrambe è falso. Infatti entrambe debbono riformularsi nel senso che “non si dà il caso che

Allen sia fuori e Brown sia dentro/fuori”. Ma poiché Allen è dentro, non c’è alcun problema.L’errore sta dunque nel simbolizzare le premesse in modo errato, pensandole l’una come lanegazione dell’altra e costruendo l’argomento come modus tollens: ma un modus tollens non lo è,perché “Se Allen è fuori allora Brown è fuori” non rappresenta la negazione di “Se Allen è fuoriallora Brown è dentro”: esse infatti non sono necessariamente l’una vera e l’altra falsa, mapossono essere entrambe vere.L’argomento della bottega del barbiere è perciò un argomento invalido, e ciò lo si vedeimmediatamente se formuliamo le sue premesse correttamente.Proviamo a tradurre in simboli l’argomento:I: C→(A→~B) 

II: A→B 

Ergo: ~C

Come si vede, A→~B e A→B non sono in rapporto di negazione -altrimenti avremmo dovutoscrivere A→~B e ~(A→~B). Ma questo il testo di Carroll non lo dice.

Utilizziamo quindi la tavola di verità per controllare definitivamente l’argomento della bottega del

barbiere:A B C ~B A→~B  C→(A→~B)  A→B ~C

V V V F F F V F

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V V F F F V V V

V F V V V V F F

V F F V V V F V

F V V F V V V F

F V F F V V V V

F F V V V V V F

F F F V V V V V

Come si può vedere anche graficamente, l’argomento è invalido: nella quinta e nella settima colonna, abbiamo infatti due premesse vere cui segue una conclusionefalsa.Se ci si pensa, è chiaro che Carr possa uscire dalla bottega: basta che ci siano dentro sia Allen che

Brown.

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40LEZIONE V: LA REGOLA DI RIMPIAZZAMENTO. 

ALTRE REGOLE DI INFERENZA.ella lezione precedente sono state poste in evidenza alcune regole di inferenza valide, chepossono essere di aiuto essenziale per provare la validità di alcuni argomenti.Tuttavia, non è possibile pensare di esaurire il controllo di validità in sole nove regole.

È però possibile ridurre alcuni passaggi che non riusciremmo ad analizzare mediante una delleregole cui abbiamo fatto riferimento, ad espressioni logiche equivalenti , che invece potrannoessere ricondotte a quelle regole.Si è già visto il significato di equivalenza logica: due forme proposizionali si consideranologicamente equivalenti quando l’ equivalenza materiale – ossia la bi condizionalità- tra queste

esprime una tautologia, ossia è sempre vera. Un esempio che si era già visto era quello dellarelazione tra p e ~~p:

p ~p ~~p p↔~~p 

V F V V

F V F V

La riduzione di forme proposizionali ad altre logicamente equivalenti si chiama regola di 

rimpiazzamento.Essa si estrinseca in otto equivalenze, alcune delle quali abbiamo peraltro già analizzato, e altresono del tutto intuitive, e pertanto non richiedono delucidazioni o avvertenze particolari:

1.TEOREMI DI DE MORGAN.~(p•q)Ξ(~pv~q)~(pvq)Ξ(~p•~q)

2.COMMUTAZIONE.(pvq)Ξ(qvp)(p•q)Ξ(q•p) 

3.ASSOCIAZIONE.[pv(qvr)+Ξ*(pvq)vr]*p•(q•r)+Ξ*(p•q)•r+ 

4.DISTRIBUZIONE.*p•(qvr)+Ξ*(p•q)v(p•r)+ 

[pv(q•r)+Ξ*(pvq)•(pvr)]

5.TRASPOSIZIONE.(p→q)Ξ(~q→~p) 

6.IMPLICAZIONE MATERIALE.(p→q)Ξ(~pvq)

7.EQUIVALENZA MATERIALE.(pΞq)Ξ*(p→q)•(q→p)+ (pΞq)Ξ*(p•q)v(~p•~q)+ 

8.ESPORTAZIONE.*(p•q)→r+Ξ*p→(q→r)+ 

Le regole di inferenze valide e la regola di rimpiazzamento costituiscono un sistema completo: esse permettono una dimostrazione di validità per qualsiasi argomento valido.

COME DIMOSTRARE L’INVALIDITA’. Siamo di fronte ad un argomento. Se riusciremo a dimostrare la sua validità, allora questo saràvalido. Ma se non ci riusciremo?Certo da ciò non segue che esso sia invalido. Potremmo semplicemente non essere riusciti a

trovare la soluzione, che però c’è. È possibile dimostrare l’invalidità? 

N

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Ripeto in questa sede quanto già detto in precedenza: un argomento è invalido quando lepremesse sono vere e la conclusione falsa.Una forma di argomento, perciò, è invalida quando, tra tutte le sue esemplificazioni, vi sia almeno

un caso in cui, postulando la verità delle premesse, la conclusione risulti falsa.

La morale di questa favola non è molto incoraggiante: dovremo sempre costruire le tavole diverità, per scorgere quella esemplificazione.Questo faticoso lavoro, in realtà, viene nei fatti evitato, grazie all’esercizio ed all’assimilazionedelle relazioni più semplici tra proposizioni semplici, di modo che l’occhio, di fronte ad unargomento invalido, scorga quasi automaticamente la riga della tavola di verità  –che risparmiatempo nel non tracciare, in cui a premesse vere segue conclusione falsa.Buon esercizio.

ESERCIZI.Vediamo ora di dilettarci un poco svolgendo tre brevi esercitazioni. Le risposte si trovano, come

ogni manuale che non si rispetti, subito dopo le domande. Tanto per tentarvi.

I: Dimostrare la validità o l’invalidità del seguente argomento: “Non ho ancora capito se sono un genio o un cretino. Se fossi un genio, allora risolverei facilmente

questo esercizio. Ma non ho risolto facilmente questo esercizio. Quindi sono un cretino” 

SOLUZIONE:In simboli:1.GvC2.G→R 

3.~RQuindi: CPropongo questo metodo per dimostrare la validità dell’argomento: la proposizione 2, per implicazione materiale, diventa ~GvR.Così avrò dimostrata ~G, per sillogismo disgiuntivo:2.~GvR3.~RQuindi: 4. ~GQuesta conclusione, insieme alla 1, dimostra la conclusione dell’argomento, ancora con unsillogismo disgiuntivo:

1.GvC4.~GQuindi: CL’argomento è dunque valido.

I-bis: Proviamo ora con questo:“Se fossi un genio, allora risolverei facilmente questo esercizio. Ma io non sono un genio. Quindi 

non risolverò l’esercizio facilmente”  

Anche così è valido?

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SOLUZIONE:Qui simbolicamente scriveremo:1.G→R 2.~G

Quindi: ~R

L’argomento è invalido: è una fallacia pensare che, negando l’antecedente in una condizionale siaffermi la falsità anche del conseguente. Ci si confonde spesso di fronte ad argomenti di questotipo, pensandoli validi sulla base del modus tollens: ma questa regola dice una cosa diversa: infattiil modus tollens dice che se G implica R è vera, ed è vera anche ~R, allora sarà vera ~G.Nel nostro argomento, invece, si è detta un’altra cosa: si è negato non il conseguente, mal’antecedente!Si è commessa quella che viene pertanto definita la cd. fallacia della negazione dell’antecedente.

Attenzione a non cadere mai in questo tranello.D’altra parte, basta tener a mente la tavola di verità dell’implicazione materiale. Sappiamo beneinfatti che, se l’antecedente è falsa, la conseguente potrà assumere qualsiasi valore: unaproposizione falsa implica infatti qualsiasi proposizione.

II: Dimostrate la validità o l’invalidità del seguente argomento26:“Se Smith è intelligente e studia molto, avrà buoni voti e sarà promossa. Se Smith studia molto ma

manca di intelligenza, allora i suoi sforzi saranno apprezzati; e se i suoi sforzi saranno apprezzati,

allora sarà promossa. Se Smith è intelligente, allora studia molto. Quindi Smith sarà promossa” 

SOLUZIONE:Anzitutto utilizziamo simboli, assegnandoli a ciascuna delle proposizioni semplici di cui si componel’argomento:Se Smith è intelligente= p(Se Smith) e studia molto= qSmith avrà buoni voti= vSmith sarà promossa= r.i suoi sforzi saranno apprezzati= s.L’argomento può essere così simbolizzato: 1.(p•q)→(v•r) 

2.*(q•~p)→s+•(s→r) 4.p→q Quindi: q

Come si nota, non ci sono operazioni di inferenza che possiamo fare per semplificare o perdimostrare la validità dell’argomento. Per vedere se è invalido, dobbiamo costruire la tavola diverità.

Lasciando che siate voi a divertirvi nel lavoro, vi indico solo i valori di verità assumendo la seguentecombinazione:

p falsa, q falsa, v vera, r falsa, s falsa. Vediamo la riga della tavola di verità corrispondente:

26 Tratto da COPI-COHEN, cit., p.421

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p q v r s p•q  v•r  (p•q)→(v•r)  q•~p  (q•~p)→s  s→r  *(q•~p)→s+•(s→r)   p→q 

F F V F F F F V F V V V V

Come si vede, le premesse (sottolineate in rosso) sono vere, mentre la conclusione (sottolineata inblu) è falsa: l’argomento è pertanto dimostrato invalido. 

III: dimostrare la validità o l’invalidità del seguente argomento27:1.(Qv~R)vS

2.~Qv(R•~Q) 

Quindi: R→S 

SOLUZIONE:

Vediamo anzitutto quali operazioni logiche si possono applicare per chiarire meglio l’argomento.A) Prendiamo la 2: se applichiamo il principio di distribuzione, potremmo scriverla anche così(~QvR)•(~Qv~Q)B) Qui poi possiamo dire, per commutazione (~Qv~Q) •(~QvR) C) E a sua volta, per semplificazione, diremo soltanto~Qv~Q D) Questa è evidentemente una tautologia: potrò allora scrivere soltanto~Q E) Se poi prendiamo la 1, vedremo che è possibile applicare il  principio associazione e scriverla

così:Qv(~RvS)F) Consideriamo adesso il rapporto tra la E) e la D):Qv(~RvS)~Q Quindi avrò dimostrato con un sillogismo disgiuntivo: ~RvSG) Ottenuto ~RvS, per il principio di implicazione materiale, potrò anche scriverlo comeR→S 

Ho quindi dimostrato la validità dell’argomento. 

IV: esercizio del cd. paradosso della deterrenza.Dimostrate la validità del seguente argomento:“Si può dissuadere un nemico a fare qualcosa soltanto minacciandolo di una ritorsione. Però si sa

che tale ritorsione non la si metterà mai in pratica, perché distruggerebbe anche se stessi. Dunque

non si può dissuadere un nemico minacciando una ritorsione, se si sa di non poterla mettere in

 pratica”.

Soluzione.Traduciamo con lettere le proposizioni dell’argomento:d: “dissuadere un nemico a fare qualcosa” 

m: “minacciare il nemico di una ritorsione” 

27 ID., cit ., p.407

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p: “mettere in pratica la ritorsione” Guardiamo la forma dell’argomento:I: m↔dII: ~p

Quindi: ~dL’argomento è del tutto invalido, sotto il profilo logico: c’è una fallacia cd.di ignoratio elenchi . Laconclusione non segue dalle premesse, perché p ed m non sono in alcun modo collegate.Perché allora l’argomento suona come corretto?L’argomento, in realtà, è corretto solo se letto come entimematico, ossia come contenente unaulteriore premessa sottintesa, ossia che minacciare significa poter mettere in pratica la minaccia:p↔mSi deve sempre ricordare che, nel linguaggio ordinario, è possibile che alcune premesse nonvengano formulate esplicitamente, ma soltanto sottintese, tenute a mente. Un argomentoformulato in tal modo si chiama entimema.

Proviamo ora a ricostruire l’argomento correttamente, esplicitando quanto non detto:1: m↔d2: p↔m3: ~pQuindi: ~d

L’argomento è dunque valido:Dalla 1 e la 2 ottengo per sillogismo ipotetico 4: p↔dQuesta può anche scriversi, per implicazione materiale, come:

5: ~p v dPerò attenzione: io ho tradotto con una disgiunzione non una condizionale, ma una bicondizionale. Essa significava che poter minacciare era condizione non solo sufficiente, ma anchenecessaria per dissuadere il nemico. Dunque la disgiunzione, in tal caso, deve intendersi in senso

 forte o esclusivo (non potranno certo essere entrambe vere: o non posso mettere in pratica laminaccia o posso dissuadere il nemico, ma non entrambe), dalla 3 e la 5 concludo:Quindi: ~d

Certo avrei potuto evitare la traduzione in disgiuntiva, vedendo come nella bi condizionale lafalsità dell’antecedente non implica qualsiasi proposizione, ma la falsità della conseguente.

Basterebbe dunque scrivere:I: p↔dII: ~pQuindi: ~d

V: esercizio del cd. paradosso dell ’ avvocato.Provate ora a risolvere il celebre paradosso di Protagora e del suo allievo Euatlo.Protagora accetta di insegnare ad Euatlo il diritto ed i suoi segreti, a condizione che Euatlo loricompensi, paghi la prestazione ricevuta, con i proventi della prima causa che vincerà.

Tuttavia, dopo l’insegnamento di Protagora, Euatlo non vince nessuna causa, e Protagora allora,passando il tempo e frustrato dal mancato compenso, cita in giudizio Euatlo.Davanti al giudice i due contendenti si difendono così:

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Protagora sostiene: “Se vinco io la causa, Euatlo è costretto a pagarmi; se perdo, Euatlo mi devecomunque pagare, perché avrebbe vinto la sua prima causa e si verificherebbe dunque lacondizione del nostro contratto” Euatlo risponde: “Se Protagora vince, allora io non ho ancora vinto la mia prima causa, e dunque

non sono obbligato a pagarlo; Se Protagora perde, allora vuol dire che non gli devo niente, perchécosì ha deciso il tribunale”.

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46TABELLA RIASSUNTIVA: REGOLE DI INFERENZA E RIMPIAZZAMENTO.

1.SILLOGISMO DISGIUNTIVO.I pvq

II ~p

Ergo: q

2.MODUS PONENS.I: p→q 

II: p

Ergo: q

3.MODUS TOLLENS.I: p→q 

II: ~q

Ergo: ~p

4.DILEMMA COSTRUTTIVO.I: (p→q)•(r→s) 

II: pvr

Ergo: qvs

5.SEMPLIFICAZIONE.I: p•q 

II: p

Ergo: q

6.ASSORBIMENTO.I: p→q 

Ergo: p→(p•q) 

7.CONGIUNZIONE.I: p

II: q

Ergo: p•q 

8.ADDIZIONE.I: p

Ergo: pvq

9.SILLOGISMO IPOTETICO.I: p→q 

II: q→r 

Ergo: p→r 

10.TEOREMI DI DE MORGAN.~(p•q)Ξ(~pv~q) 

~(pvq)Ξ(~p•~q)

11.COMMUTAZIONE.(pvq)Ξ(qvp) 

(p•q)Ξ(q•p) 

12.ASSOCIAZIONE.[pv(qvr)+Ξ*(pvq)vr+ 

*p•(q•r)+Ξ*(p•q)•r+  

13.DISTRIBUZIONE.*p•(qvr)+Ξ*(p•q)v(p•r)+  

*pv(q•r)+Ξ*(pvq)•(pvr)+ 

14.TRASPOSIZIONE.(p→q)Ξ(~q→~p) 

15.IMPLICAZIONE MATERIALE.(p→q)Ξ(~pvq) 

16.EQUIVALENZA MATERIALE.(pΞq)Ξ*(p→q)•(q→p)+ 

(pΞq)Ξ*(p•q)v(~p•~q)+ 

17.ESPORTAZIONE.*(p•q)→r+Ξ*p→(q→r)+  

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47LEZIONE VI:LA QUANTIFICAZIONE

PROPOSIZIONI SINGOLARI E QUANTIFICATORI.

ome si è visto, la logica simbolica è costruita a partire da relazioni logiche tra proposizionisemplici, relazioni che daranno proposizioni complesse.Ma una proposizione che, oltre ad essere semplice, è anche singolare, ossia si riferisce ad un

individuo particolare, sotto il profilo simbolico non riesce pienamente a trovare posto nelleclassificazioni proposte fin qui.Se io infatti scrivo “Kelsen è un giurista”, non è del tutto corretto assegnare a tale proposizione unsimbolo come p, q,r etc. Qui non si ragiona più in termini di classi, o di composizioni degli asserti:tutto ciò che si dice è che un individuo particolare ha una certa proprietà.Scrivere “Kelsen è un giurista” significa affermare che un individuo particolare, di nome Kelsen,possiede la proprietà G di essere un giurista.

Questo tipo di proposizioni si simboleggia nel seguente modo:per far riferimento alla proprietà, si utilizza la lettera maiuscola, e per indicare l’individuo si utilizzala lettera minuscola: Kelsen è un giurista viene scritto come Gk.Poiché una certa proprietà può appartenere a più individui particolari, di solito, generalizzando, siutilizza la lettera minuscola x  per indicare “ogni individuo che possiede quella certa proprietà”:essa è detta variabile individuale, nel senso che potrà sempre essere sostituita dal nome di unindividuo particolare per formare una proposizione singolare.Così, se voglio esprimere l’idea che ogni persona che possiede la proprietà G è un giurista, scriveròG(x).Ma quello delle proposizioni singolari non è l’unico ambito in cui ricorre l’idea che ciò che stoesprimendo è qualcosa del tipo: “data una certa cosa, essa possiede una certa proprietà”.Se ad esempio scrivo “Tutte le cose sono belle”, quello che sto affermando è esattamente questo:“dato un qualsiasi x, esso è bello”. E se invece scrivessi che “Alcune cose sono belle”, quello che voglio dire è che esiste almeno un xtale che x sia bello”.Come si nota, questo tipo di variabile ci riporta al quadrato aristotelico: proposizioni universali,particolari, e diversi modi di intenderle.Introduciamo ora i simboli:→ Per le proposizioni universali (che affermano o negano cioè che una certa proprietà appartengao meno a tutti i membri di una certa classe), si ricorre ad un quantificatore universale detto (x),che significa “Dato un qualsiasi x ”.La proposizione si esprime con tale simbolo: (x)PxChe significa: dato un qualsiasi x, x possiede la proprietà P.→ Per le proposizioni particolari invece (che affermano o negano che una certa proprietàappartenga o meno ad almeno uno dei membri di una certa classe), si ricorre ad un quantificatore

esistenziale ∋(x), che significa “c’è almeno un x tale che”.La proposizione si esprime così: ∋(x)PxChe significa: c’è almeno un x tale che x possieda la proprietà P. 

Le relazioni che sono state viste nel quadrato d’opposizione aristotelico, potranno adesso essereriprodotte con questi simboli.

Si era detto che le proposizioni A-O sono tra loro contraddittorie, ossia non possono essereentrambe vere o entrambe false. Ad esempio: è contraddittorio dire “Tutte le cose sono belle” e“Alcune cose non sono belle”. 

C

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Se indichiamo la proprietà di essere bello con la lettera B, in simboli ciò si esprime:(x)Bx è contraddittorio rispetto a ∋(x)~B

Abbiamo finora parlato di “cose” in senso generico. Ma se scrivessi “Tutti i banditi sono assassini”,

non potrò semplicemente dire (x)Ax: ciò significherebbe affermare che, dato un qualsiasi x, questoè un assassino. Ma io ho circoscritto il campo dei soggetti, ed ho parlato solo di coloro che diprofessione fanno i banditi.Perciò la mia frase significa: “Dato un qualsiasi x, se x è un bandito, allora x è un assassino”. Le proprietà in gioco sono allora due, in un rapporto di implicazione (se, allora): la proprietà B diessere un bandito implica la proprietà A di essere un assassino. Ovviamente anche qui si dovràtenere conto del significato del rapporto di condizionalità: non si dà il caso che x possieda laproprietà B, ma non possieda la proprietà A.Come esprimiamo dunque la proposizione?Simbolicamente, diciamo:

(x)(Bx→Ax) 

Proviamo ora a tradurre in simboli una proposizione del tipo I, ossia una particolare affermativa.Scriviamo: “Alcuni ladri sono gentiluomini”: detta L la proprietà di essere un ladro e G la proprietàdi essere un gentiluomo, io voglio dire che c’è almeno un soggetto x che x è un ladro e x è ungentiluomo: il rapporto tra le due proprietà è di congiunzione, dunque potrò simboleggiarlo così

[(∋x)(Lx•Gx)+ 

Imparate queste due regole di quantificazione, sarà facile tradurre anche le proposizioni universalinegative e particolari negative.

Se scrivo “Nessun ladro di polli è un assassino”, voglio affermare che dato un qualsiasi x che abbiala proprietà L di essere un ladro di polli, allora esso non possiederà la proprietà A di essere unassassino. In simboli dirò:

(x)(Lx→~Ax) 

Se poi scrivo “Alcuni banditi non sono disonesti”, voglio affermare che c’è almeno un x chepossiede la proprietà B di essere un bandito e non possiede la proprietà D di essere disonesto.Simbolicamente:

[(∋x)(Bx•~Dx)]

Possiamo dunque ri-disegnare il quadrato aristotelico di opposizione, sostituendo al posto diA,I,E,O i simboli indicati.Per farlo, si prende di solito le lettere greche “φ” e “ψ” per rappresentare le due proprietà, che poiequivarranno, nella proposizione, rispettivamente a soggetto e predicato:Una universale affermativa avrà perciò forma: (x)(φx→ψx) Vediamo dunque il quadrato:

A: (x)(φx→ψx)  E: (x)(φx→~ψx) 

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I: [(∋x)(φx•ψx)]  O: [(∋x)(φx•~ψx)] 

La quantificazione deve considerarsi dunque un metodo per esprimere sul piano simbolico iltradizionale quadrato aristotelico, ovvero le tradizionali proposizioni A,E,I,O.Varranno pertanto per esse, e si consiglia il lettore di riprendere le rispettive pagine in cui vengonotrattate:

a-  le relazioni interne al quadrato: contrarietà, contraddizione, subcontrarietà; b-  le regole di inferenza già viste c-  le equivalenze logiche espresse nella regola di rimpiazzamento.

Ad esse, si aggiungono altre 4 regole di inferenza specifiche.

1.PRINCIPIO DI ESEMPLIFICAZIONE UNIVERSALE.Il principio che vedremo è quasi ovvio, ma penso sia bene esplicitarlo comunque per gradi.Prendiamo una proposizione universale , ad esempio affermativa: essa dirà (x)(φx→ψx) Come già spiegato, essa significa che tutti gli individui, membri, esemplificazioni di φx, ossia tutticoloro che possiedono la proprietà φ, possiedono necessariamente anche la proprietà ψ.Il principio di esemplificazione universale ci dice che qualsiasi esemplificazione (ovvero: la

sostituzione di una variabile del tipo x con una costante individuale) di una funzione proposizionale

 può essere validamente inferita dalla sua quantificazione universale.

Posso anche scrivere il principio in questi termini:I: (x)(φx) Quindi: φk (dove k sta per qualsiasi simbolo individuale) 

→ Questo principio esprime l’idea che se l’espressione (x)(φx) significa che tutti gli x, ogni x,possiede la proprietà φ, allora k, che è una esemplificazione di x, possiede anch’esso la proprietàφ. Ad esempio: se io dico “Tutti i futuristi sono poeti”, esprimo l’idea che ogni x che abbia laproprietà F di essere un futurista, allora avrà anche la proprietà P di essere un poeta.Se sostituisco x, inteso come ogni elemento che abbia la proprietà F, con una sua esemplificazione,

come ad esempio “Filippo T. Marinetti”, allora potrò dire che Filippo T.Marinetti è un poeta. 

Vediamo ora di analizzare il seguente argomento:

I “Tutti i giuristi sono alti più di tre metri” II “Kelsen è un giurista” 

Quindi: Kelsen è alto più di tre metri

Simbolicamente, devo ricorrere alla quantificazione, e scriverò:

I: (x)(Gx→Ax) (INTENDO QUI G COME LA PROPRIETA’ DI ESSERE UN GIURISTA E A COME PROPRIETA’ DI ESSER ALTO PIU’ DI 3 METRI) II: Gk (INTENDO QUI K COME HANS KELSEN) 

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Quindi: Ak

La validità di Ak come è dimostrata? Semplicemente vedendo come, se k ha la proprietà G (comeaffermato dalla seconda premessa), allora la prima premessa può scriversi dicendo che Gk→Ak.

Riscrivendo l’argomento sapendo quindi che k possiede tutte le proprietà in gioco, vediamo che lavalidità della conclusione è dimostrata per modus ponens:I: Gk→Ak II: GkQuindi: Ak

NOTA:Quando siamo perciò di fronte ad un argomento espresso in termini di quantificazione, perprocedere alla dimostrazione della sua validità o invalidità dovremo riuscire, mediante il principiogià visto e gli altri tre che andremo a esporre, a trasformarlo in una argomento che esprimaproposizioni complesse nella forma che abbiamo già studiato, e per la quale sono perciò applicabili

regole di inferenza e regola di rimpiazzamento già analizzate.

2.PRINCIPIO DI GENERALIZZAZIONE UNIVERSALE.Qui si procede in senso inverso: si può dire che dall’esemplificazione di una funzione

 proposizionale relativa al nome di un individuo qualsiasi scelto arbitrariamente si può inferire la

quantificazione universale di quella funzione stessa.Quello che si dice con tale principio è che se φk significa che un individuo detto k possiede laproprietà φ, allora posso correttamente inferire che dato un qualsiasi x di cui k sia unaesemplificazione, x avrà la proprietà φ. Facciamo un esempio. Se scrivo “Kelsen è un giurista, e perciò è alto più di tre metri”, ciò si

esprime così: Gk→Ak Ma allora potrò anche dire che, dato un qualsiasi x tale che x sia G, allora x avrà la proprietà A.

Se io cioè scrivo φk Allora per generalizzazione universale potrò dire: Quindi (x)(φx) 

3.PRINCIPIO DI ESEMPLIFICAZIONE ESISTENZIALEQuesto principio dice che dalla quantificazione esistenziale di una funzione proposizionale posso

inferire la verità della sua esemplificazione relativa ad una qualsiasi costante individuale che non

sia già stata usata nel contesto.

Se io cioè scrivo(∋x)(φx),la quale significa che esiste almeno un x che possiede la proprietà φ,posso sostituire quell’x con un soggetto che non sia già stato usato di cui costituiscaesemplificazione e che non sia già stato usato nel contesto dell’argomento28.Se tale soggetto lo chiamo k, dirò(∋x)(φx),quindi φk 

28 Questa limitazione può ben spiegarsi pensando all’invalidità di un passaggio del tipo: “Alcuni navigatori sono

genovesi. Alcuni poeti sono genovesi. Quindi alcuni navigatori sono poeti”. Qui ho proceduto a formulare laconclusione mediante una esemplificazione esistenziale che però introduce un termine già usato nel contesto.

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51Proviamo allora a fare un esempio. Se scrivo: “Alcuni navigatori sono genovesi”, voglio dire cheesiste almeno un x che possiede sia la proprietà N di essere un navigatore sia la proprietà G diessere genovese.

Così scrivo [(∋x)(Nx•Gx)+ Se sostituisco a quell’x che possiede sia N che G una sua esemplificazione, come “Cristoforo

Colombo”, potrò scrivere “Cristoforo Colombo è un navigatore genovese”. 

4.PRINCIPIO DI GENERALIZZAZIONE ESISTENZIALEQuest’ultima regola dice che da una qualsiasi esemplificazione vera di una funzione proposizionale

si può inferire validamente la quantificazione esistenziale di quella funzione stessa. In simboli:φk 

quindi: (∋x)(φx)

ESERCIZIO.Si provi a dimostrare la validità del seguente argomento:“Tutti i futuristi sono ex-combattenti. Alcuni pittori sono futuristi. Quindi alcuni pittori sono ex-

combattenti”. 

SOLUZIONE:

Anzitutto traduciamo l’argomento: I: (x)(Fx→Ex) 

II: (∋x)(Px•Fx)Quindi: (∋x)(Px•Ex)

Per dimostrarne la validità dovrò ricorrere ai principi di quantificazione e alle regole di inferenzagià studiate. Vediamo come procedere: il problema sta nella necessità di ricorrere ai principi diquantificazione per poter ridurre le forme quantificate a proposizioni complesse di quelle cheabbiamo già studiato.Vediamo come la prima premessa può essere espressa, mediante il principio di esemplificazione

universale, come Fk→Ek. E la seconda premessa, mediante il principio di esemplificazione esistenziale, puòessere espressa come Pk•Fk. A questo punto abbiamo il seguente argomento:I: Fk→Ek II: Pk•Fk Quindi: (∋x)(Px•Ex). Pensiamo per ora la conclusione come se fosse scritta, per esemplificazioneesistenziale, come Pk•Ek. Dobbiamo mirare a dimostrare questa, partendo dalle premesse.-Possiamo perciò incominciare ad applicare alla seconda premessa la semplificazione, ed isolarequindi Pk.

Inoltre, per commutazione, potrò scrivere sempre la seconda premessa come Fk•Pk, da cui ancoraper semplificazione ricaverò Fk.

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Questo complesso di operazioni potevo anche dedurlo facilmente, senza esplicitarlo: è ovvio cheda Pk•Fk derivi la verità sia di Pk che di Fk. Scriviamo comunque i passaggi fin qui fatti:1. Fk→Ek 

2. Pk•Fk 3. Pk4. FkDalla numero 1 e dalla 4 ora posso, per modus ponens, dedurre la verità di Ek5. EkE così dalla 3 e dalla 5, per congiunzione, posso scrivere:6. Pk•Ek.Questa non è esattamente la dimostrazione della validità dell’argomento. Per completarla, mioccorre un ultima operazione:per il principio di generalizzazione esistenziale,

dal passaggio 6. Pk•Ek posso scrivereErgo: (∋x)(Px•Ex)Ho dimostrato così la validità dell’argomento. 

Si provi adesso a dimostrare la validità o invalidità di quest’altro argomento: “Poeti e scrittori sono artisti. Caproni è un poeta. Quindi Caproni è un artista”  

SOLUZIONE:in questo caso, come vedremo, la dimostrazione è un poco complicata dal fatto che, nel testo, leproposizioni non si presentano nella tipica forma A E I O: qui siamo dunque tutti chiamati,

anzitutto, ad un lavoro di interpretazione del testo, preliminare a qualsiasi ricostruzione deipassaggi logici dell’argomento.Vediamo dunque la prima frase: “Poeti e scrittori sono artisti ”. Anzitutto riconosciamone laquantità: è evidente che si tratti di una universale, di una proposizione che afferma qualcosauniversalmente. Ma che cosa afferma?Leggendo la lettera del testo, e senza rifletter troppo, qualcuno potrebbe dire che qui si affermache tutti gli elementi delle classi dei poeti e degli scrittori sono anche artisti. Ma se così fosse,allora si affermerebbe che ogni x che abbia le proprietà P e S allora ha anche la proprietà A. Ma ciòè insostenibile: nel testo non si dice infatti che solo chi è poeta e scrittore è un artista. Piuttosto, siesprime una disgiunzione: se x ha la proprietà P oppure la proprietà S allora ha anche la proprietà

A.Come si vede, dunque, la prima frase esprime una universale contenente una disgiunzione:diremmo dunque (x)*(Px v Sx)→Ax+ La seconda e la terza frase, ossia “Caproni è un poeta” e “Caproni è un artista”, indicano poi dueproposizioni singolari, che devono pertanto essere scritte in modo appropriato: devo cioè dire che“se qualsiasi x ha la proprietà C di essere Caproni, allora x è un poeta” e “se qualsiasi x possiede laproprietà C di essere Caproni, allora x è un’artista”.Tale operazione va fatta per poter avere un argomento analizzabile, il quale perciò si presenteràcosì:1.(x)*(Px v Sx)→Ax+ 

2.(x)(Cx→Px) Quindi: (x)(Cx→Ax) 

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Posso subito usare i principi già visti in applicazione di esemplificazione universale (utilizzandol’esemplificazione b) per trasformare le tre espressioni in tre proposizioni del tipo:1. (Pb v Sb)→Ab 2. Cb→Pb 

Quindi: Cb→Ab Vediamo quali regole di inferenza possono portarmi a dimostrare la validità dell’argomento.Anzitutto la numero 2 può per implicazione essere scritta come3.~Cb v PbAd essa, per addizione, posso aggiungere Sb nel seguente modo:4.(~Cb v Pb) v SbEssa può ancora, per associazione, divenire:5. ~Cb v (Pb v Sb)Ma la 5, per implicazione, a sua volta non significa che6. Cb→(Pb v Sb) 

Confrontiamo la 6 e la 1: sappiamo che Cb→(Pb v Sb) e che (Pb v Sb)→Ab. Attraverso un semplicesillogismo ipotetico, allora so che7. Cb→Ab Questa non è ancora la dimostrazione della validità dell’argomento. Ci manca l’ultimo passaggio:applichiamo il principio di generalizzazione universale e così:(x)(Cx→Ax) 

Piccola nota bibliografia sulla parte seconda:

• AGAZZI E., La logica simbolica , La Scuola, Brescia, 1990;• BAGNI G.T., Elementi di storia della logica formale, Pitagora, Bologna, 1997;• BOCHENSKI J.M., La logica formale,Einaudi, Torino, 1972;• GOE G., Lezioni di logica, Angeli, Milano, 1983;• LOLLI G., Introduzione alla logica formale , Il Mulino, Bologna, 1991.• MAKINSON D.C., Temi fondamentali della logica moderna, Bollati Boringhieri,Torino, 1979;

• PALLADINO D., Corso di Logica. Introduzione elementare al calcolo dei predicati , Carocci, 2002.