Segnalazioni giuridiche a cura N. 5 Anno XXI del Servizio ... · Le società Enel S.p.A. (Enel) ......
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Segnalazioni giuridiche a cura del Servizio Centrale Legale
N. 5 Anno XXI Maggio 2016
INDICE:
CONCORRENZA Abuso di posizione dominante e settore energetico - Enel ed Enel Distribuzione presentano degli impegni nell’ambito dell’istruttoria sullo smart-metering, di Chiara Campolongo - p. 2 DIRITTO INDUSTRIALE Marchi e domain names: alcune problematiche nei rapporti di distribuzione internazionale, di Mariaelena Giorcelli - p. 2 LEGISLAZIONE OSSERVATORIO - Privacy: pubblicato il nuovo regolamento generale - p. 5 - Interventi di domotica e ECObonus 65% – I Chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate - p. 6 RINNOVABILI - Aiuti di stato e energie rinnovabili - Il Tribunale dell’UE conferma che la legge tedesca sulle energie
rinnovabili del 2012 comporta degli aiuti di Stato, di Cecilia Carli – p. 7 - Legittimo affidamento e settore delle energie rinnovabili – Il Consiglio di Stato conferma la linea dura
adottata dai giudici amministrativi in merito all’assenza di alcuna situazione di legittimo affidamento incisa dal “Quarto conto energia”, di Martina Bischetti – p. 8
- Energia / Regolazione tariffaria e servizi ausiliari – Per il TAR può essere incentivata solo l’energia netta, di
Martina Bischetti – p. 8 SICUREZZA PRODOTTI E IMPIANTI Efficacia diretta nell’ordinamento italiano delle direttive comunitarie di prodotto non tempestivamente recepite - La portata della circolare del MISE del 21.3.2016, di Claudio Gabriele e Maria Sole Lora - p. 9
APPROFONDIMENTO DEL MESE: Il nuovo codice dei contratti pubblici e concessioni, di Andrea Stefanelli
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CONCORRENZA
ABUSO DI POSIZIONE DOMINANTE E
SETTORE ENERGETICO - ENEL ED ENEL
DISTRIBUZIONE PRESENTANO DEGLI
IMPEGNI NELL’AMBITO DELL’ISTRUTTORIA
SULLO SMART-METERING
Le società Enel S.p.A. (Enel) ed Enel Distribuzione
S.p.A. (ED) hanno presentato degli impegni nell’ambito
dell’istruttoria avviata dall’Autorità Garante della
Concorrenza e del Mercato (AGCM) in data 10
dicembre 2015, al fine di verificare l’eventuale abuso di
posizione dominante nella rilevazione avanzata dei dati
di consumo elettrico (c.d. smart-metering) e della loro
messa a disposizione ai clienti finali.
L’istruttoria aveva preso avvio a seguito della
segnalazione presentata dalla società AEM Acotel
Engineering and Manufacturing S.p.A. (Acotel), attiva
nel settore dei servizi di monitoraggio avanzato dei
consumi elettrici. Su richiesta dei propri clienti, tale
società appone sul contatore dell’energia elettrica,
precedentemente installato da ED, un dispositivo di
rilevazione degli impulsi (c.d. dispositivo GPM,
“General Pulse Meter”, detto anche conta-impulsi, in
grado di rilevare il lampeggio del led del contatore e di
raccogliere in tal modo dati sul consumo). Le condotte
segnalate da Acotel, ed in relazione alle quali l’AGCM
a colto un fumus di illegittimità, consistono:
1. nel distacco, da parte di ED, dei dispositivi GPM dai
contatori installati presso i clienti;
2. nella mancata collaborazione con i clienti in relazione
a richieste di intervento per permettere l’installazione di
dispositivi GPM su contatori a media e alta tensione,
che si trovano all’interno di coperture, grate o teche; e
3. nel mancato riscontro da parte di ED alle numerose
richieste formulate da Acotel per aver accesso alle
informazioni tecniche che consentono di collegare
dispositivi HID (“Human Interface Device”, ossia
dispositivi che interagiscono direttamente con le
persone) ai contatori installati da ED stessa.
Tali condotte, se confermate, ad avviso dell’AGCM
potrebbero costituire un abuso di posizione dominante
da parte di ED ed Enel, costituito da condotte poste in
essere nei mercati a monte dei servizi di distribuzione e
misura dell’energia elettrica, con effetti escludenti nei
confronti di Acotel nei mercati della vendita di energia
elettrica e del monitoraggio avanzato dei consumi, a
valle.
Allo scopo di superare le preoccupazioni sollevate
dell’AGCM, ED ha presentato i seguenti impegni:
i. premesso che il distacco dei dispositivi GPM avviene
solo quando sia imprescindibile per effettuare
l’intervento di manutenzione, ED si impegna ad
informare tramite e-mail i clienti finali, che abbiano
fatto apporre un dispositivo GPM sul contatore, degli
interventi sullo stesso che rendano necessaria la
rimozione temporanea del conta-impulsi. In tal modo, in
caso di interventi programmati, i clienti ne saranno a
conoscenza anticipatamente e potranno organizzare la
reinstallazione del dispositivo;
ii. ED adotterà delle linee guida per gli interventi sui
contatori provvisti di dispositivi conta-impulsi e formerà
il proprio personale operativo in modo che la procedura
prevista nelle linee guida sia applicata;
iii. con specifico riferimento ai contatori di media e alta
tensione, situati in quadri di alloggiamento sigillati, ED
si impegna a collegarli all’esterno con una linea elettrica
in modo da permettere ai clienti di apporvi dispositivi
GPM;
iv. verrà inoltre istituito un tavolo tecnico al quale
potranno partecipare gli operatori attivi nel settore dei
dispositivi conta-impulsi per discutere della loro
installazione sui contatori; infine
v. ED metterà a disposizione degli operatori che ne
facciano richiesta il modulo integrabile con i dispositivi
HID, il quale consente la comunicazione dei dispositivi
a interfaccia umana con i contatori (con le relative
istruzioni e specifiche tecniche).
Inoltre, anche Enel ha presentato degli impegni. La
società garantisce
(i) l’effettiva attuazione degli impegni da parte di ED, e
(ii) che, nei suoi rapporti commerciali e non com-
merciali, ED praticherà le stesse condizioni alle società
del Gruppo Enel e a società terze.
Il market test fornirà indicazioni se le misure offerte
siano effettivamente in grado di superare le
preoccupazioni sollevate nel procedimento di avvio.
Avv. Chiara Campolongo
Freshfields Bruckhaus Deringer
DIRITTO INDUSTRIALE
MARCHI E DOMAIN NAMES: ALCUNE
PROBLEMATICHE NEI RAPPORTI DI
DISTRIBUZIONE INTERNAZIONALE
Nell’ambito dei rapporti di distribuzione internazionale
sono assai frequenti i conflitti tra il produttore e i
soggetti che a vario titolo si inseriscono nella fase di
distribuzione dei suoi prodotti (agenti, distributori,
franchisee) in punto marchi e domain names.
Ciò si verifica soprattutto quando il produttore intende
entrare in un nuovo mercato - o cambiare la precedente
rete distributiva operante nel territorio-, nel quale, non
avendo mai operato direttamente, non si è curato di
registrare il proprio marchio e/o domain name. In tali
casi, può accadere che il soggetto a cui il produttore ha
affidando la promozione e/o distribuzione dei prodotti
abbia registrato a proprio nome il marchio e/o il domain
name. Una volta terminato il rapporto con tale soggetto,
sarà essenziale per il produttore poter disporre del
proprio marchio e/o domain name.
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Quale tutela ha il produttore a fronte dell'illegittima
registrazione di un marchio da parte del proprio
agente/distributore?
1. La Convenzione d’Unione di Parigi (CUP)
Uno dei primi passi intrapresi per la tutela della
proprietà industriale in un ambito sovranazionale è
costituito dalla Convenzione dell'Unione di Parigi per la
protezione della proprietà industriale firmata a Parigi
nel 1883.
La Convenzione di Parigi è stata adottata da ben 176
Paesi. Tra i Paesi aderenti, oltre all'Italia, vi sono i paesi
europei, Stati Uniti, Russia, Korea e molti paesi africani
ed arabi. Grande assente è invece la Cina. Per elenco
completo dei paesi aderenti si veda il sito
http://www.wipo.int.
L’art. 6 septies della Convenzione sull’Unione di Parigi
dispone:
“ 1. Se l’agente o il rappresentante del titolare di un
marchio in uno dei Paesi dell’Unione domanda, senza
esserne autorizzato, la registrazione a suo nome di tale
marchio, in uno o più di suddetti Paesi, il titolare avrà
diritto di opporsi alla registrazione richiesta o di
domandarne la cancellazione o se la legge del suo
Paese lo permette, il trasferimento a suo favore di detta
registrazione, a meno che l’agente o il rappresentante
non giustifichi il proprio operato. 2. Il titolare di un
marchio avrà, con le riserve di cui al precedente alinea
1, il diritto di opporsi all’utilizzazione del suo marchio
da parte del proprio agente o rappresentante, se egli
non abbia autorizzato tale utilizzazione. 3. Le
legislazioni nazionali possono prevedere un equo
termine entro il quale il titolare di un marchio dovrà far
valere i diritti previsti nel presente articolo”.
La finalità della norma è chiaramente quella di
prevenire dei comportamenti scorretti tra titolare del
marchio straniero e il soggetto che nel paese di
importazione si incarica di curare la vendita dei prodotti
contraddistinti da tale marchio.
Pertanto alla luce dell’art. 6 septies se l’agente ha
registrato il marchio dei prodotti che promuove nel
territorio affidatogli dal preponente, senza
l’autorizzazione di quest’ultimo, il preponente potrà
opporsi a tale registrazione provando:
a) la titolarità di un marchio registrato in uno dei Paesi
dell'Unione che sia uguale o simile a quello di cui
l'agente ha chiesto la registrazione;
b) la sussistenza del rapporto di agenzia (la Corte di
legittimità ha ritenuto con sentenza del 17/03/2000 n.
3100 la necessità della prova della sussistenza del
rapporto di agenzia al momento in cui l'agente ha
provveduto alla registrazione del marchio del
preponente).
Spetterà invece all'agente difendersi provando eventuali
cause giustificative, come l'esistenza di
un'autorizzazione da parte del preponente. A tal fine non
è necessario che l'autorizzazione rivesta la forma scritta
essendo sufficiente un'autorizzazione verbale. E'
tuttavia, pacifico che tale autorizzazione non si può
ricavare dal fatto della mera conclusione di un contratto
di agenzia per la promozione dei prodotti recanti il
marchio, dovendo viceversa risultare un consenso del
titolare del marchio medesimo.
In considerazione della finalità dell'art. 6 septies, è stato
ritenuto da parte della dottrina che tale disposizione,
sebbene si riferisca espressamente solo all'agente o
rappresentante del titolare, debba interpretarsi in
maniera estesa comprendendo quantomeno anche il
distributore. L’interpretazione dell’art. 6 septies da
parte della giurisprudenza non è tuttavia uniforme nei
vari Paesi dell'Unione. In Italia, sembra prevalere un’interpretazione letterale e
restrittiva della portata dell’articolo in esame
ritenendolo applicabile solo ai rapporti di agenzia.
(crf. Corte d’Appello di Miano, sez.I, 27/09/1996,
Tribunale Roma 28/11/1987 che hanno espressamente
escluso l'applicabilità della norma ai distributori; anche
se Tribunale Ancona 14 ottobre 2008 e Tribunale
Torino 6/10/1980 lasciano aperta la strada
all'applicazione della norma anche al distributore).
In altri Paesi dell'Unione (ad es. Germania, Francia) si
ritiene invece che l’art. 6 septies CUP si estenda
quantomeno al distributore.
Il Fabbricante che invochi la tutela dell'art. 6-septies
CUP nei confronti non solo del proprio agente ma anche
nei confronti del proprio distributore dovrà dunque
verificare l’effettiva portata dell’articolo 6 septies CUP
nel paese ove è stata richiesta la registrazione del
marchio. Si consiglia pertanto di tutelarsi
preventivamente da ipotesi di un'illegittima
registrazione del marchio da parte del proprio agente e
distributore straniero prevedendo espressamente a
livello contrattuale una clausola che vieti espressamente
all'agente/distributore di registrare, nel proprio
territorio, i marchi del preponente e/o altri segni
distintivi dello stesso.
Ad es. "E’ fatto divieto all’agente di depositare e/o far
depositare nel Territorio o altrove, i marchi, nomi o
altri segni distintivi del Preponente né altri segni
distintivi che siano simili e confondibili con quelli del
preponente".
2. Il Regolamento CE 2009/207/CE sul marchio
comunitario
Il Regolamento CE 2009/207/CE contiene alcune
disposizioni specificatamente volte a tutelare il titolare
di diritto sul marchio contro comportamenti illegittimi
di un suo agente o rappresentante (in questo caso si
tratta di una nozione ampia di "agente"), prevedendo
all'art. 8, comma 3, che, in seguito all’opposizione del
titolare del marchio anteriore, il marchio richiesto è
escluso dalla registrazione:
" se l’agente o il rappresentante del titolare del marchio
presenta la domanda a proprio nome e senza il
consenso del titolare, a meno che tale agente o
rappresentante non giustifichi il suo modo di agire".
In tali casi il titolare del diritto sul marchio potrà altresì
proporre domanda di nullità del marchio comunitario
registrato dal proprio agente o rappresentante (cfr. art.
53 Reg. CE 2009/207/CE).
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Inoltre, ai sensi dell'art. 11 Reg. CE 2009/207/CE, se un
marchio comunitario viene registrato, senza
l’autorizzazione del titolare del marchio a nome
dell’agente o rappresentante di colui che di tale marchio
è titolare, quest’ultimo ha il diritto di opporsi all’uso
del marchio da parte dell’agente o rappresentante, senza
la sua autorizzazione, a meno che l’agente o il
rappresentante non giustifichi il proprio modo di agire"
Infine, l'art. 18 del Reg. CE 2009/207/CE prevede la
possibilità di ottenere il trasferimento a proprio favore
del marchio registrato illegittimamente a nome
dell'agente
Tale disciplina, chiaramente ispirata ai principi dettati
dall'art. 6 septies CUP, è applicabile a tutti i soggetti
inseriti nel sistema distributivo del titolare del marchio,
dovendosi interpretare la nozione di "agente" in senso
ampio, così da ricomprendere non solo l'agente di
commercio, ma anche il distributore. Proprio sulla
nozione di agente il Tribunale UE, con sentenza del 13
aprile 2011 (nel proc. T-262/09) ha ritenuto che: "I
termini "agente" e "rappresentante" di cui all'art. 8 n.3
del Regolamento CE 2009/207 devono essere
interpretati in senso ampio, per abbracciare ogni tipo di
rapporto basato su qualsiasi accordo contrattuale ai
sensi del quale una delle parti rappresenti gli interessi
dell'altra, indipendentemente dal nomen juris del
rapporto contrattuale intercorrente tra il titolare o il
mandante e il richiedente il marchio comunitario, che
sia atto a creare in rapporto fiduciario che imponga
un dovere generale di agire in buona fede e lealmente
con riguardo agli interessi del titolare del marchio"
(cfr. anche direttive sull'opposizione dell'UAMI). Viene
comunque escluso che un semplice acquirente possa
essere considerato agente o rappresentante ai fini
dell'applicazione della norma.
La stessa sentenza, ha inoltre ritenuto che non è
necessario che il rapporto tra le parti sia ancora in
vigore al momento del deposito della domanda di
registrazione del marchio comunitario, ben potendo
applicarsi ad accordi scaduti, purché il tempo trascorso
abbia una durata tale da consentire di presumere
ragionevolmente che l'obbligo di buona fede e di
riservatezza fosse ancora esistente al momento del
deposito della domanda di marchio comunitario.
Presupposti per la tutela sono dunque i seguenti:
a) essere titolare di un marchio anteriore; (prova che
grava su chi invoca la tutela);
b) che il richiedente la registrazione di marchio
comunitario sia o sia stato agente, inteso in senso
ampio, o rappresentante del titolare del marchio (prova
che grava su chi invoca la tutela);
c) che il deposito riguardi segni e prodotti identici o
simili (prova che grava su chi invoca la tutela);
d) che non vi siano ragioni legittime che giustifichino la
condotta dell'agente/rappresentante; (spetterà
all'agente/distributore provare l'esistenza di una causa di
giustificazione).
3. Mala fede del richiedente la registrazione
- Regolamento 2009/207/CE sul marchio comunitario;
- Direttiva CE 2008/95 sul ravvicinamento delle
legislazioni degli Stati Membri in materia di marchi
di impresa;
- D.lgs. n.30 del 2005 Codice della proprietà
industriale (CPI).
I diritti del fabbricante per il caso di registrazione
illegittima da parte dei soggetti che a vario titolo
operano ai fini della distribuzione dei suoi prodotti,
possono essere tutelati invocando le norme comunitarie
e/o nazionali dettate con riguardo alla registrazione in
mala fede del marchio. L'art. 52 del Regolamento 2009/207/CE, prevede su
domanda presentata all'Ufficio o su domanda
riconvenzionale in un'azione per contraffazione che, il
marchio comunitario è dichiarato nullo se: al
momento del deposito della domanda il richiedente ha
agito in mala fede. La Direttiva 2008/95/CE e in particolare dall'art. 3,
comma 2, lettera d, stabilisce che ogni Stato membro
può prevedere che un marchio di impresa sia escluso
dalla registrazione o, se registrato, possa essere
dichiarato nullo se e nella misura in cui: [...] il
richiedente abbia fatto in malafede la domanda di
registrazione del marchio di impresa.
A livello nazionale, l'art. 19, comma 2, CPI prevede che
"Non può ottenere una registrazione per marchio di
impresa chi ne abbia fatto domanda in mala fede".
La portata generica di queste norme ha portato a
ricomprendere una molteplicità di casi, caratterizzati da
un comportamento, non mera consapevolezza di violare
l'altrui diritto, ma di abuso specificamente volto a
pregiudicare le altrui legittime aspettative di tutela.
Le norme sulla registrazione in malafede consentono
dunque al Fabbricante
di tutelarsi anche nei confronti di figure diverse
dall'agente nei Paesi, come l'Italia, in cui l'art. 6 septies
CUP viene interpretato restrittivamente.
A questo proposito si segnala che, il Tribunale Milano,
con sentenza del 19/03/2012 ha ravvisato un'ipotesi di
malafede e dunque ha dichiarato la nullità del marchio
registrato dall'ex distributore ex art. 19 CPI in un caso in
cui l'ex distributore italiano aveva depositato domanda
di registrazione del marchio del Fabbricante in Italia,
ben 5 giorni dopo la risoluzione del rapporto di
distribuzione con il Fabbricante, rapporto di
distribuzione durato solo qualche mese.
In un altro caso interessante, il Tribunale di Bologna,
con sentenza del 23/11/2007, ha così statuito:
"La qualità di non semplice acquirente occasionale, ma
quanto meno, di distributore del prodotto, qualifica
come mala fede la registrazione del marchio effettuata
dal distributore. La circostanza che il distributore ha
immesso sul mercato italiano i prodotti del fabbricante
per lunghi anni rende certa la sua mala fede all'atto
della richiesta di registrazione del marchio del
fabbricante a proprio nome e ciò non solo perché era a
conoscenza delle legittime aspettative del fabbricante
sul marchio, ma proprio anche perché per tale via era
pienamente consapevole del fatto che ciò avrebbe
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danneggiato il fabbricante portando gli abituali
consumatori a ritenere che altri in realtà avesse titolo
di utilizzarlo, fatto particolarmente grave proprio per
l'abuso che per tale via si compiva del precedente
rapporto di collaborazione e quindi della specifica
conoscenza anche della clientela italiana." (In questo
caso il fabbricante ha ottenuto la declaratoria di nullità
del marchio, l'inibitoria a carico del convenuto di
qualsivoglia utilizzo del marchio stesso).
Quando si invoca la malafede del registrante l'onere
probatorio è tuttavia maggiore in quanto occorre fornire
la prova della mala fede che non può presumersi. Tale
principio è stato ribadito di recente dalla Corte di
Giustizia CE, con sentenza del 27/06/2013, nella causa
C-320/12 "L'esistenza della malafede deve essere
valutata complessivamente, tenuto conto di tutti i fattori
pertinenti del caso di specie esistenti al momento del
deposito della domanda di registrazione. Il fatto che il
terzo sappia o debba sapere che un terzo utilizza un
segno identico o simile per un prodotto identico o
simile, non è di per sè sufficiente a provare la malafede
di detto richiedente. Occorre prendere in
considerazione inoltre l'intenzione del richiedente al
momento del deposito della domanda di registrazione di
un marchio, elemento soggettivo che deve essere
determinato con riferimento alle circostanze oggettive
del caso di specie (cfr. Corte di Giustizia CE
11/06/2009, C-529/07)
Domain Names registrati dai propri agenti e
distributori. I principi sopra esposti in materia di
registrazione del marchio in malafede sono applicabili
anche alla registrazione dei nomi a dominio da parte dei
soggetti che si inseriscono nella fase di distribuzione dei
suoi prodotti in virtù di rapporti di collaborazione con il
produttore.
Tanto che il nome a dominio viene ormai pacificamente
ritenuto suscettibile di entrare in conflitto con altri segni
distintivi tipici in particolare con il marchio.
Già a livello di registrazione del nome a dominio, la
maggior parte delle domain name registration
Authorities, consentono di opporsi alla registrazione ed
uso del nome a domino avvenuta in mala fede, sino ad
ottenere anche il trasferimento del nome a dominio (ad
es. ICANN ".com", NIC (.it) ecc....).
Per quanto riguarda poi il nome a dominio ".eu", il
stesso Regolametno Ce n. 874/2004 che stabilisce le
disposizioni applicabili alla messa in opera e alle
funzioni del dominio di primo livello .eu e i principi
relativi alla registrazione , che indica tra le ipotesi di
registrazione speculativa e abusiva del domain name
"eu", che danno luogo alla revocazione della
registrazione, anche la registrazione in mala fede.
Molte controversie tra fabbricanti e distributori per
registrazione abusiva del domain name vengono risolte
ricorrendo al servizio di mediazione e arbitrato della
WIPO (World Intellectual Property Organisation),
fermo restando il diritto ovviamente ad ricorrere
all'autorità giudiziaria. Per questo, si rinvengono un
maggior numero rese nell'ambito della procure adr della
WIPO.
Nell'ambito delle decisioni rese dalla WIPO, è stata
ravvisata la malafede del distributore, nei casi di
avvenuta cessazione del rapporto di distribuzione con il
fornitore in quanto il distributore non aveva più alcun
diritto o interesse legittimo ad usare il domain name
(identico o confondibile con il marchio del fabbricante).
La malafede è stata ravvisata pure nei casi in cui, pur in
costanza del rapporto di distribuzione, il fornitore aveva
chiaramente manifestato la propria contrarietà a che il
distributore registrasse il marchio del produttore come
domain name o come parte del domain name.
Diversamente, non è stata ravvisata la mala fede ma è
stato ritenuto sussistente un diritto o un interesse
legittimo del distributore al domain name in presenza
delle seguenti circostanze:
a) quando il distributore effettivamente vende i prodotti
e/o i servizi in questione (in costanza del rapporto di
distribuzione);
b) quando effettivamente utilizza il domain name per
vendere i prodotti contraddistinti dal marchio del
produttore e non solo altri prodotti;
c) quando il distributore non abbia impedito al
fabbricante/titolare del marchio di registrare anche altri
domain name di primo livello, che pertanto possono
ancora essere registrati dal fabbricante.
(www.wipo.int/amc/en/domains/decisions)
In conclusione, come si è visto anche per i marchi,
sebbene vi siano degli strumenti di tutela "a posteriori",
è importante chiarire sin dall'inizio del rapporto con la
propria rete distributiva, con una clausola ad hoc da
inserire nel contratto, che il fabbricante non autorizza
l'uso del proprio marchio o altri segni distintivi, come
domain name e/o come parti di domain names da parte
del distributore, al fine di avere buone possibilità di
ottenere la tutela dei propri diritti qualora il distributore
dovesse ciò non ostante contravvenire a tale divieto.
Avv. Mariaelena Giorcelli
BBM Partners, Buffa, Bortolotti & Mathis
LEGISLAZIONE OSSERVATORIO
PRIVACY: PUBBLICATO IL NUOVO
REGOLAMENTO GENERALE
E’ stato pubblicato sulla GUUE n. L 119 del 4 maggio
scorso il nuovo regolamento generale sulla protezione
dei dati personali, ossia il Regolamento UE n. 679/2016,
che si applicherà a decorrere dal 25 maggio 2018. Come
noto, i regolamenti comunitari, a differenza delle
direttive, sono direttamente applicabili in ciascuno degli
Stati Membri, con la conseguenza che dal 25 maggio
2018, la previgente normativa interna difforme che non
sia stata formalmente abrogata o modificata, dovrà
comunque essere disapplicata.
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Il nuovo regolamento, che disciplina la protezione dei
dati personali delle sole persone fisiche, come già il D.
Lgs. 196/03 a seguito delle più recenti modifiche
introdotte dal legislatore nazionale, conferma l’impianto
della vigente normativa tra cui: la necessità di rispettare
alcuni principi base nel trattamento dei dati personali;
l’obbligo di informativa e consenso; il riconoscimento
di diritti fondamentali all’interessato tra cui il diritto di
accesso ed il diritto di opposizione; l’individuazione di
categorie di dati personali; l’obbligo di rispettare nel
trattamento misure di sicurezza.
Vi sono però importanti elementi di novità che
segnaliamo sinteticamente tra cui:
- Ampliamento dei principi da rispettare nel
trattamento dei dati al principio della trasparenza
(le informazioni destinate al pubblico o
all’interessato debbono essere facilmente accessibili
e di facile comprensione e deve essere utilizzato un
linguaggio semplice e chiaro) e al principio
dell’accountability (legato all’onere di provare, in
ogni momento, di aver adottato tutte le misure atte a
garantire la compliance al regolamento).
- Ampliamento dei diritti dell’interessato al diritto
all’oblio e al diritto alla portabilità dei dati (questo
in particolare consente all’interessato di ottenere i
suoi dati in formato strutturato, di uso comune e
leggibile a macchina e di trasferirli ad altri).
- Introduzione della c.d. privacy by design, intesa
come obbligo, sin dalla fase di progettazione e
sviluppo di un trattamento dati, di mettere in atto
misure tecniche e organizzative adeguate, quali la
pseudonimizzazione, volte ad attuare in modo
efficace i principi di protezione dei dati, quali la
minimizzazione ed a integrare nel trattamento le
necessarie garanzie.
- Introduzione della c.d. privacy by default, intesa
come obbligo di mettere in atto misure tecniche e
organizzative adeguate per garantire che siano
trattati, di default, solo i dati personali necessari per
ogni specifica finalità del trattamento; ciò vale per la
quantità dei dati raccolti, l'estensione del
trattamento, il periodo di conservazione e
l'accessibilità.
- In caso di Data breach, ossia di violazioni dei dati
personali realizzate da soggetti non autorizzati,
obbligo del titolare del trattamento di notificare al
Garante le violazioni e, in presenza di determinate
circostanze, di estendere tale notificazione anche
all’interessato.
- Obbligo di effettuare una valutazione di impatto
sulla protezione dei dati, quando un tipo di
trattamento possa presentare un rischio elevato per i
diritti e le libertà delle persone fisiche (per l'uso di
nuove tecnologie). Tra gli altri casi, la valutazione
d'impatto sulla protezione dei dati è richiesta nel
caso di sorveglianza sistematica di una zona
accessibile al pubblico su larga scala. L'autorità di
controllo redige e rende pubblico un elenco delle
tipologie di trattamenti soggetti al requisito di una
valutazione d'impatto sulla protezione dei dati.
- Obbligo di tenuta di un Registro delle attività di
trattamento, ad eccezione di imprese o
organizzazioni con meno di 250 dipendenti
(anch’esse però debbono tenere il registro, qualora il
trattamento che effettuano, possa presentare un
rischio per i diritti e le libertà dell'interessato, non
sia occasionale o includa il trattamento di categorie
particolari di dati come quelli sensibili e giudiziari).
- Designazione del Data Protection Officer nelle
ipotesi in cui il trattamento sia svolto da un ente
pubblico oppure sia fatto utilizzo di dati su larga
scala o siano trattati dati sensibili o giudiziari (la
nuova figura non va confusa con quella del
Responsabile del trattamento dei dati, che risponde
al Titolare, laddove il Data Protection Officer deve
essere autonomo e indipendente).
- Incoraggiamento di meccanismi di certificazione
della protezione dei dati nonché di sigilli e marchi di
protezione dei dati allo scopo di dimostrare la
conformità al Regolamento dei trattamenti effettuati
dai responsabili del trattamento e dagli incaricati del
trattamento.
- Introduzione di pesanti sanzioni amministrative
pecuniarie.
All’argomento sarà riservato ogni necessario
approfondimento nei prossimi numeri del Telex ANIE.
INTERVENTI DI DOMOTICA E ECOBONUS
65% – I CHIARIMENTI DELL’AGENZIA DELLE
ENTRATE
Come noto, la Legge di stabilità 2016 (L. 208 del
28.12.2015, art.1, comma 88) ha esteso per l’anno 2016
la detrazione IRPEF e IRES per il risparmio energetico
(c.d. ECOBONUS) nella misura del 65% per gli
interventi di “domotica” consistenti nell'acquisto,
installazione e messa in opera di dispositivi
multimediali per il controllo da remoto degli impianti di
riscaldamento o produzione di acqua calda o di
climatizzazione delle unità abitative, volti ad aumentare
la consapevolezza dei consumi energetici da parte degli
utenti e a garantire un funzionamento efficiente degli
impianti. Tali dispositivi devono:
a) mostrare attraverso canali multimediali i consumi
energetici, mediante la fornitura periodica dei dati;
b) mostrare le condizioni di funzionamento correnti e la
temperatura di regolazione degli impianti;
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c) consentire l'accensione, lo spegnimento e la
programmazione settimanale degli impianti da
remoto.
In merito, interviene ora l’Agenzia delle Entrate con
alcune indicazioni fornite nella circolare 20/E del 18
maggio scorso.
In particolare, viene chiarita la possibilità di beneficiare
della detrazione anche nell’ipotesi in cui l'acquisto,
l'installazione e la messa in opera dei dispositivi
multimediali siano effettuati successivamente o anche in
assenza di interventi di riqualificazione energetica.
Inoltre, considerato il costo ridotto degli interventi in
esame, la detrazione è fruibile nella misura del 65% del
totale delle spese sostenute per l’acquisto,
l’installazione e la messa in opera dei dispositivi
multimediali, senza alcun tetto massimo, visto che non è
previsto dalla legge.
Rimangono comunque ancora da chiarire gli specifici
adempimenti (documentazione da inviare all’ENEA)
necessari per fruire dell’Ecobonus per i citati interventi
di domotica.
RINNOVABILI
AIUTI DI STATO E ENERGIE RINNOVABILI -
IL TRIBUNALE DELL’UE CONFERMA CHE LA
LEGGE TEDESCA SULLE ENERGIE
RINNOVABILI DEL 2012 COMPORTA DEGLI
AIUTI DI STATO
La legge tedesca sulle energie rinnovabili del 2012
(EEG 2012) comportava aiuti di Stato. Questo è il
verdetto del nuovo capitolo appena conclusosi nella
controversia tra Germania e la Commissione europea
(Commissione) sugli aiuti di Stato nel settore
energetico. Con la sentenza dello scorso 10 maggio,
infatti, il Tribunale dell’UE (Tribunale) ha respinto il
ricorso presentato dalla Germania avverso la decisione
della Commissione che nel 2014 aveva qualificato come
aiuti di Stato il sostegno alle imprese produttrici di
elettricità a partire da fonti di energia rinnovabili e la
riduzione di una sovrattassa per alcune imprese a forte
consumo di energia elettrica, pur avendo ritenuto la
maggior parte di tali misure compatibili con le regole
del mercato interno.
La legge EEG 2012 prevedeva un meccanismo di
sostegno destinato appunto alle imprese che producono
elettricità con fonti rinnovabili e a partire da gas da
estrazioni minerarie (ossia derivanti dall’estrazione ad
esempio del carbone), in grado di garantire a tali
imprese un prezzo di vendita dell’energia elettrica
superiore a quello di mercato. Per finanziare tale misura,
la EEG 2012 prevedeva anche una sovrattassa
(sovrattassa EEG) a carico dei fornitori, che a loro volta
dovevano versarla ai gestori delle reti di trasmissione
interregionale ad alta ed altissima tensione, e che
andava a gravare in ultima istanza sui clienti finali.
Inoltre, le imprese a forte consumo di energia elettrica
potevano sottrarsi parzialmente alla sovrattassa EEG
grazie a degli sconti loro concessi dalla EEG 2012
stessa. L’obiettivo era quello di salvaguardare la
competitività internazionale delle aziende tedesche,
sgravandole di una parte dell’onere per finanziare
l’elettricità rinnovabile. Sia il sostegno alle imprese
produttrici di energia verde, sia la riduzione della
sovrattassa, erano finiti tuttavia sotto il faro della
Commissione che, nel 2014, aveva qualificato dette
misure come aiuti di Stato, anche se in parte compatibili
con il mercato interno (la Commissione aveva imposto
quindi un recupero solo parziale).
Il Tribunale, con la sentenza in commento, ha
confermato le conclusioni cui era giunta la
Commissione ed ha affermato che la riduzione della
sovrattassa EEG per gli energivori conferiva loro “…un
vantaggio ai sensi del diritto dell’Unione in materia di
aiuti di Stato...”. Secondo il Tribunale, la Commissione
aveva ritenuto giustamente che la riduzione della
sovrattassa EEG liberasse dette imprese da un onere che
di regola avrebbero dovuto sostenere. Le motivazioni
sottese a una misura di sostegno, infatti, non possono
ritenersi sufficienti a sottrarre per se una simile misura
dalla qualificazione come aiuto. Inoltre, la Commissione
aveva anche rilevato correttamente che l’EEG 2012
implicava l’utilizzazione di risorse statali. Infatti, i
meccanismi previsti dalla EEG 2012 rientravano nel
quadro dell’attuazione di una politica pubblica di
sostegno ai produttori di elettricità definita dallo Stato.
In primo luogo, i fondi generati dalla sovrattassa EEG
rimanevano sotto l’influenza dominante dei pubblici
poteri, con ciò differenziando il caso di specie dal
meccanismo introdotto dalla legge tedesca oggetto di
scrutinio nel precedente caso PreussenElektra, in cui
l’esistenza di un aiuto di Stato era stata esclusa: i fondi
in discussione in detta causa non potevano essere
considerati una risorsa statale in quanto non erano sotto
controllo pubblico in alcun momento. In secondo luogo,
gli importi generati dalla sovrattassa EEG costituivano
fondi che comportavano una risorsa dello Stato,
assimilabili a una tassa. Infine, le competenze e le
funzioni attribuite ai fornitori consentivano di
concludere che questi ultimi non agivano liberamente e
per proprio conto, bensì in qualità di gestori di un aiuto
concesso loro mediante fondi statali, alla stregua di un
ente che esegue una concessione statale.
In conclusione, la sentenza in commento fa presagire
una modifica dell’impianto normativo tedesco in tale
peculiare settore, sinora basato essenzialmente sugli
incentivi finanziati grazie ad una sovrattassa pagata dai
consumatori finali di energia. Ad oggi, tuttavia, il
quadro dei possibili sviluppi rimane ancora incerto. Non
resta che vedere come verranno conclusi gli altri dieci
ricorsi, proposti da differenti imprese, attualmente
ancora pendenti dinanzi al Tribunale avverso la
medesima decisione della Commissione, che erano stati
sospesi in attesa della sentenza in commento.
Avv. Cecilia Carli
Freshfields Bruckhaus Deringer
TeLex ANIE maggio 2016 8
LEGITTIMO AFFIDAMENTO E SETTORE
DELLE ENERGIE RINNOVABILI – IL
CONSIGLIO DI STATO CONFERMA LA LINEA
DURA ADOTTATA DAI GIUDICI
AMMINISTRATIVI IN MERITO ALL’ASSENZA
DI ALCUNA SITUAZIONE DI LEGITTIMO
AFFIDAMENTO INCISA DAL “QUARTO
CONTO ENERGIA”
Il restringimento delle condizioni per l’accesso alle
tariffe incentivanti per la produzione di energia da fonti
rinnovabili disposta con l'introduzione del c.d. “Quarto
conto energia” (attuato con il decreto ministeriale 5
maggio 2011, Decreto), e la correlata riduzione del
periodo di vigenza del precedente “Terzo conto energia”
da dicembre 2013 al 31 maggio 2013, non violano il
principio di legittimo affidamento.
A ribadirlo è stato il Consiglio di Stato (CdS), il quale
ha respinto il ricorso presentato da Renew Consorzio
Energie Rinnovabili, attivo nella produzione di energia
elettrica da impianti fotovoltaici, contro la sentenza
pronunciata dal TAR Lazio nel febbraio 2013.
Con una motivazione volutamente “sintetica” (sul
presupposto che la questione in esame fosse già stata
trattata in più occasioni da parte dei giudici
amministrativi), il CdS si è limitato a confermare quanto
dallo stesso già affermato in merito all’assenza di una
situazione di legittimo affidamento in capo agli
operatori incisa dall’intervenuto Decreto. In particolare,
il CdS non ha ravvisato alcun “…investimento
meritevole di essere salvaguardato, perché la
rimodulazione legislativa non è affatto incerta o
improvvisa, ma conosciuta dagli operatori (accorti) del
settore come in itinere (la nuova direttiva comunitaria
[ossia la direttiva che ha determinato l’introduzione del
“Quarto conto energia” ad opera del Decreto] è infatti
del 2009)…”.
Il CdS ha altresì negato che il Decreto in esame, e le
connesse limitazioni operate all’allora vigente regime
degli incentivi, violi la Costituzione. Sotto tale profilo,
appare quantomeno curiosa la motivazione resa dal CdS
che, nel negare la sussistenza di una violazione dell’art.
3 Cost. e del principio di ragionevolezza, ha ritenuto di
considerare i “danni alle aziende” determinati dal
Decreto e lamentati dalla ricorrente alla stregua di meri
“…inconvenienti di fatto non direttamente riconducibili
alla norma denunciata, che in quanto tali non sono
idonei a rendere costituzionalmente illegittima la
normativa in esame…”.
Con la sentenza in commento, il CdS ha pertanto
confermato la linea dura che da tempo i giudici
amministrativi hanno inteso adottare con riferimento ad
una tematica che, benché a detta di questi ultimi non
determini alcuna situazione di legittimo affidamento
“giuridicamente” tutelabile in capo agli operatori del
settore, ha sicuramente inciso sulla situazione
economica e finanziaria di tutte quelle aziende che, sulla
base del precedente regime incentivante previsto dal
“Terzo conto energia”, avevano pianificato e, in molti
casi, già effettuato cospicui investimenti, determinando
conseguenze a dir poco gravose per le medesime.
Conseguenze, queste, che il CdS ha oggi ricondotto a
meri “inconvenienti di fatto”.
Avv. Martina Bischetti
Freshfields Bruckhaus Deringer
ENERGIA / REGOLAZIONE TARIFFARIA E
SERVIZI AUSILIARI – PER IL TAR PUÒ
ESSERE INCENTIVATA SOLO L’ENERGIA
NETTA
Ai fini del computo della tariffa onnicomprensiva
l’energia elettrica incentivabile è solo quella netta
immessa in rete, ad esclusione (fra l’altro) di quella
assorbita dai servizi ausiliari.
A precisarlo è stato il TAR Lombardia (TAR), il quale
ha respinto il ricorso proposto da Lario Green Energy
(LGE), titolare di un impianto di produzione di energia
elettrica alimentato a biomassa vegetale e qualificato
come IAFR (Impianto a fonte rinnovabile), avverso la
decisione del Gestore dei Servizi Energetici (GSE) di
diminuire la tariffa incentivabile in regime di tariffa
onnicomprensiva della quota corrispondente all’energia
utilizzata per il funzionamento del diverso impianto di
essicazione di biomassa vegetale, utilizzata poi da LGE
come combustibile.
Il GSE aveva infatti considerato l’attività svolta nel
suddetto impianto di essicazione alla stregua di un
servizio ausiliario all’attività di produzione di energia
elettrica di LGE, risolvendo di incentivare con la tariffa
onnicomprensiva solo l’energia elettrica netta, ossia il
totale dell’energia immessa in rete dall’impianto di LGE
detratta quella acquistata sul mercato ed impiegata nel
processo produttivo della prima.
Simile conclusione è stata condivisa dal TAR, il quale,
pur ammettendo come lo stesso avesse in passato
riconosciuto la differenziazione tra il sistema di
incentivazione tramite certificati verdi, ancorato al
concetto di produzione annua netta, e quello basato sulla
tariffa onnicomprensiva, in cui ad essere incentivata
avrebbe dovuto essere tutta l’energia immessa in rete
(energia lorda), ha tuttavia risolto che “…anche alla
luce di una recente decisione emessa dal Giudice
d’appello, […] queste conclusioni meritino un
ripensamento (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 22
gennaio 2016, n. 204)…”.
Ed infatti, a giudizio del TAR, il riferimento alla
produzione annua netta contenuto nella definizione di
“energia elettrica incentivata” ai sensi del DM 18
dicembre 2008 avrebbe valenza generale, riferendosi sia
al regime dei certificati verdi, sia a quello della tariffa
onnicomprensiva.
In altre parole, unico discrimine esistente tra i due
sistemi incentivanti sarebbe dato dal fatto che “…per il
regime della tariffa onnicomprensiva […] l’energia
netta (unica ad essere incentivabile) deve essere
calcolata in funzione dell’energia effettivamente
immessa nel sistema elettrico e non già in funzione
TeLex ANIE maggio 2016 9
dell’energia prodotta, come può avvenire invece per i
certificati verdi […] Ciò tuttavia non significa che deve
essere incentivata tutta l’energia immessa in rete,
essendo riferito questo dato funzionale alla
determinazione delle modalità di calcolo dell’energia
netta (unico dato veramente rilevante), la quale, come
visto, si ottiene sottraendo all’energia immessa in rete
(fra l’altro) quella assorbita dai servizi ausiliari…”.
Una significativa pronuncia, quella del TAR, che
conferma il recente mutamento giurisprudenziale
operato dai giudici amministrativi in materia,
probabilmente dovuto alla “…davvero infelice
formulazione della norma…”, come espressamente
riconosciuto dal giudice di prime cure.
Avv. Martina Bischetti
Freshfields Bruckhaus Deringer
SICUREZZA PRODOTTI E IMPIANTI
EFFICACIA DIRETTA NELL'ORDINAMENTO
ITALIANO DELLE DIRETTIVE COMUNITARIE
DI PRODOTTO NON TEMPESTIVAMENTE
RECEPITE - La portata della circolare del MISE
del 21.3.2016
A decorrere dal 20 aprile 2016 sono divenute applicabili
otto nuove Direttive dell'Unione Europea, molte delle
quali presentano una specifica rilevanza ai fini della
"immissione sul mercato" e successiva “messa a
disposizione” di “prodotti” elettrici ed elettronici.
Ci si riferisce in particolare alle direttive 2014/30/UE
"sulla compatibilità elettromagnetica", 2014/33/UE
sugli "ascensori e sui componenti di sicurezza per
ascensori", 2014/34/UE sugli "apparecchi e sistemi di
protezione destinati a essere utilizzati in atmosfera
potenzialmente esplosiva" e 2014/35/UE "sul materiale
elettrico destinato a essere adoperato entro taluni limiti
di tensione".
L'Italia, allo stato attuale, non ha ancora provveduto a
recepire e pubblicare i decreti di attuazione e
recepimento delle suddette direttive 1
ma ha provveduto
invece ad emanare, tramite Ministero dello Sviluppo
Economico, la circolare del 21.3.2016. Tale circolare
sarebbe specificamente volta, per espressa indicazione
del Ministero suddetto, ad assicurare l'applicazione in
via urgente e provvisoria delle nuove direttive sulla base
di una asserita pacifica diretta applicabilità delle stesse
nel diritto interno dei paesi membri. Tale circolare ha
destato forti dubbi tra gli "operatori economici", in
particolare "fabbricanti", "importatori" e "distributori"
di prodotti elettrici ed elettronici, in merito agli obblighi
legislativi effettivamente vigenti fino alla data di
effettiva attuazione in Italia delle nuove direttive. La
circolare del Ministero appare infatti contraddire alcuni
principi consolidati di diritto comunitario che
riguardano l'"efficacia" delle direttive dell'Unione
Europea e che riguardano i soggetti diretti destinatari
degli obblighi previsti dal legislatore comunitario.
Al fine di valutare la effettiva portata degli obblighi che
fanno capo agli "operatori economici" a partire dal 20
aprile u.s. fino al momento dell’entrata in vigore dei
provvedimenti di recepimento delle nuove direttive,
occorre quindi valutare la correttezza dell'affermazione
del Ministero dello Sviluppo Economico secondo la
quale le direttive non recepite sono direttamente e
pacificamente applicabili nel diritto interno.
La risposta a tale quesito risulta di fondamentale
importanza in quanto dalla stessa potranno derivare
specifiche e importanti conseguenze riguardanti
l'applicabilità di sanzioni sia amministrative che penali,
nonché riguardanti la legittimità di eventuali misure
restrittive della libera circolazione dei prodotti quali
"fermi in dogana", "sequestri", "confische" , "ritiri" e
"richiami" dei prodotti dal mercato, che fossero basati
sulla pretesa violazione delle direttive dell'Unione
Europea non ancora recepite dall’Italia.
Il necessario fondamento di ogni possibile risposta deve
essere costituito dal rilievo che le direttive UE, sulla
base dell'art. 288 del Trattato sul Funzionamento
dell'Unione Europea vincolano solo gli Stati Membri
che hanno l’obbligo di recepirle ed attuarle
tempestivamente nell’ordinamento interno per mezzo di
atti aventi portata legislativa. Solo gli atti di
recepimento delle direttive comunitarie hanno infatti
portata vincolante per i privati e per gli "operatori
economici".
Le direttive non sono pertanto atti legislativi self
executive e non sono direttamente applicabili nei
confronti dei singoli in quanto le stesse non hanno quali
destinatari diretti i cittadini e le imprese dell'Unione
Europea. L'Italia, in qualità di Stato membro della UE,
avrebbe dovuto quindi provvedere alla tempestiva
attuazione delle nuove direttive UE tramite
l'emanazione dei necessari provvedimenti di attuazione
e recepimento che, nel caso specifico, avrebbero dovuto,
in primo luogo, identificare le autorità di vigilanza del
mercato e, in secondo luogo, provvedere alla istituzione
di nuovi apparati sanzionatori effettivi, proporzionati ed
efficaci nel rispetto delle disposizioni delle nuove
direttive comunitarie. Nessuna altra previsione
normativa era richiesta all'Italia dato che tutte le nuove
direttive rientrano nell'ambito delle direttive di
“armonizzazione totale” che comportano possibilità
minime di intervento da parte del legislatore nazionale.
Ad onore del vero gli schemi dei decreti legislativi di
recepimento delle nuove direttive erano pronti da tempo
ma, inspiegabilmente, sono rimasti a lungo al vaglio
delle pertinenti commissioni parlamentari e del
Consiglio dei Ministri.
Le direttive UE si differenziano, quindi, notevolmente
rispetto ai Regolamenti UE, sempre più utilizzati ai fini
dell'emanazione della normativa di prodotto 2, che
hanno, a differenza delle prime, portata generale e che
risultano obbligatori e direttamente applicabili ai singoli
in tutti i propri elementi sin dalla data di applicabilità
TeLex ANIE maggio 2016 10
fissata dal legislatore dell'Unione Europea. Tale diretta
applicabilità nei confronti dei singoli non è in alcun
modo “translabile” sulle direttive UE che proprio per
tale aspetto si differenziano dai Regolamenti.
Nell'ambito di tale quadro legislativo "fabbricanti",
"importatori" e "distributori" sono pertanto solo dei
destinatari indiretti delle previsioni delle direttive di
prodotto che rimarranno tali fino all’emanazione di
specifici provvedimenti legislativi di attuazione e di
recepimento delle direttive dell'Unione Europea.
Ne deriva che nessuna sanzione amministrativa
pecuniaria e nessuna sanzione penale potrà essere
pertanto applicata agli “operatori economici” per la
violazione delle direttive non recepite dall’Italia o da
eventuali altri paesi inadempienti dell’Unione Europea.
Al pari, nessun altro provvedimento di vigilanza del
mercato o misura limitativa della libera circolazione dei
prodotti potrà essere applicata agli "operatori
economici" che, in assenza di specifici atti di attuazione
e recepimento, abbiano continuato ad "immettere nel
mercato" italiano ed a commercializzare prodotti
conformi alle precedenti direttive ed ai rispettivi decreti
nazionali di attuazione, la cui applicabilità risulterà,
quindi, di fatto, prorogata fino alla effettiva entrata in
vigore dei provvedimenti di attuazione delle nuove
direttive. Ne deriva inoltre che eventuali violazioni
delle nuove disposizioni non potranno neanche
comportare l'irrogazione di sanzioni già in vigore
nell'ordinamento italiano nell’ambito di disposizioni
legislative aventi carattere trasversale quali sono quelle
previste dal "Testo Unico in materia di sicurezza sul
lavoro" 3 e dal "Codice del consumo" rispettivamente
per l'"immissione sul mercato" di prodotti "non
conformi" alle disposizioni di recepimento delle
direttive comunitarie e per l'”immissione sul mercato”
di prodotti “pericolosi”.
La Corte di Giustizia UE al riguardo ha infatti rilevato
che:
“…il principio della certezza del diritto osta a che le
direttive possano, di per se stesse, creare obblighi in
capo ai singoli. Le direttive non possono quindi essere
fatte valere in quanto tali dallo Stato membro contro
singoli” 4
Quanto qui da ultimo esposto risulta ovviamente valido
per ogni altro paese che non abbia tempestivamente
recepito le nuove direttive. Tutti i paesi che abbiano
invece recepito tempestivamente le nuove direttive
potranno invece pretendere la puntuale applicazione
delle stesse da parte degli "operatori economici" di
tutta la UE.
Alla luce del quadro legislativo fin qui esposto si ricava
che l'unica possibile violazione delle disposizioni delle
nuove direttive dell'Unione Europea risulta essere
proprio quella compiuta dallo stesso Stato italiano nei
confronti del quale potrà essere attivata una procedura
di infrazione comunitaria dovuta al mancato tempestivo
recepimento delle nuove direttive di prodotto.
Premesso quanto sopra occorre altresì fare chiarezza
sulle questioni che risultano purtroppo equivocate nella
circolare in oggetto e che riguardano fondamentalmente
la efficacia diretta delle direttive comunitarie che gli
operatori economici possono volontariamente invocare
esclusivamente nei confronti delle Autorità
amministrative e giudiziarie degli Stati membri ma che
questi ultimi non possono invocare nei confronti dei
privati in ambito UE.
L'efficacia diretta si basa sul presupposto che le
violazioni del diritto dell'Unione Europea poste in
essere dallo Stato membro non devono ricadere sui
singoli e, quindi, sugli “operatori Economici” che
avranno quindi il diritto di fare valere verticalmente, nei
confronti dello Stato membri inadempiente, le
disposizioni delle direttive di prodotto non recepite.
A tale riguardo la giurisprudenza della Corte di giustizia
UE ha infatti efficacemente statuito che:
“basti rilevare al riguardo che, come discende dalla
sentenza 26 febbraio 1986 Marschall, la giurisprudenza
sulla possibilità di fare valere direttive nei confronti
degli enti statali è fondata sulla natura cogente
attribuita alla Direttiva dall’art. 249 CE (ex art. 189),
natura cogente che esiste solo, nei confronti dello Stato
membro cui è rivolta. Detta giurisprudenza mira ad
evitare che uno Stato possa trarre vantaggio dalla sua
trasgressione del diritto comunitario …”5.
Gli "operatori economici" potranno pertanto applicare
su base volontaria le nuove direttive di prodotto non
ancora recepite da parte dell'Italia senza che tale diretta
applicazione possa comportare l'applicazione di
sanzioni o di misure limitative della libera circolazione
dei prodotti. Nel caso in questione sussistono infatti tutti
i requisiti indicati dalla giurisprudenza della Corte di
Giustizia dell'Unione Europea ai fini dell'applicabilità
diretta verticale dei diritti dei singoli verso i vertici
istituzionali in quanto:
a) risultano ormai scaduti i termini per il recepimento
nell’ordinamento nazionale delle nuove direttive;
b) le nuove direttive sono sufficientemente precise,
trattandosi di direttive incondizionate e di
armonizzazione totale.
In presenza di questi requisiti risulterebbe quindi
illegittimo il diniego da parte delle autorità statali
relativo alla applicazione diretta di direttiva europee da
parte degli “operatori economici” anche in assenza di
atti legislativi e/o regolamentari di recepimento.
Occorre però precisare che l’“efficacia diretta” delle
direttive non recepite risulta invocabile solo
verticalmente nei confronti degli Stati membri
inadempienti e non già a livello orizzontale nei rapporti
tra soggetti privati a meno che non sussistano al
riguardo specifiche pattuizioni contrattuali.
Pertanto, in conclusione le amministrazioni interessate
dalla Circolare del Mise del 21.316 non hanno alcun
TeLex ANIE maggio 2016 11
diritto di dare applicazione urgente e provvisoria alle
direttive non recepite nei confronti degli “operatori
economici”, mentre questi ultimi avranno il diritto di
fare valere, su base volontaria, l’efficacia diretta delle
direttive non recepite al fine anche di non subire
pregiudizi nella commercializzazione dei propri prodotti
nel mercato unico europeo.
Avv. Claudio Gabriele, Avv. Maria Sole Lora
Studio Associato Oddo Lora Gabriele
Note:
1 Il Consiglio dei Ministri ha approvato in data 16/5/2016 i
decreti di recepimento delle nuove direttive. Al momento della
stesura del presente articolo non è ancora nota la data di
pubblicazione dei suddetti decreti in Gazzetta Ufficiale della
Repubblica Italiana e conseguentemente non è nota la data di
effettiva entrata in vigore degli stessi.
2 v. a titolo di esempio Reg. (UE) 305/2011 sui materiali da
costruzione e Reg. (UE) 1223/2009 sui prodotti cosmetici e
Reg. (UE) 425/2016 sui dispositivi di protezione individuale.
3 v. combinato disposto artt. 23 e 57, c. 2 del D.lgs. 81/08 e
112, c.2 del “Codice del consumo” in attuazione della
direttiva 2001/95/CE sulla sicurezza generale dei prodotti.
4 v. Corte di Giustizia CE Sentenza 5.7.2007, causa C-321/05
– v. anche sentenze 11 giugno 1987, causa 14/86, Pretore di
Salò/X, Racc. pag. 2545, punti 19 e 20; 8 ottobre 1987, causa
80/86, Kolpinghuis Nijmegen, Racc. pag. 3969, punti 9 e 13;
26 settembre 1996, causa C-168/95, Arcaro, Racc. pag. I-
4705, punti 36 e 37, nonche 3 maggio 2005, cause riunite C-
387/02, C-391/02 e C-403/02, Berlusconi e a., Racc. pag. I-
3565, punti 73 e 74.
5 Vedere Sentenza del 14.7.1994 in causa C- 91/92
DIRETTORE RESPONSABILE
Maria Antonietta Portaluri
REDAZIONE
Alessandra Toncelli – Mirella Cignoni
LA REDAZIONE RINGRAZIA PER LA COLLABORAZIONE
Avv. Mariaelena Giorcelli , BBM Partners, Buffa, Bortolotti & Mathis (Torino) - Avv. Martina Bischetti, Avv. Chiara
Campolongo, Avv. Cecilia Carli, Freshfields Bruckhaus Deringer (Milano, Roma ) - Avv. Claudio Gabriele, Avv.
Maria Sole Lora, Studio Associato Oddo Lora Gabriele (Milano) - Avv. Andrea Stefanelli, Studio Legale Stefanelli
(Bologna)
Proprietario ed editore:
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Direttore Responsabile Maria Antonietta Portaluri
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di Milano al n° 116 del 19/2/1996
TeLex Anie
Pubblicazione a cura di:
Servizio Centrale Legale Viale Lancetti 43, 20158, MI
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e-mail [email protected] Diffusione via web www.anie.it
Telex ANIE Maggio 2016 1
Approfondimento del mese di Maggio 2016
IL NUOVO CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI E CONCESSIONI
In data 19 aprile 2016 è entrato in vigore il nuovo Codice dei contratti pubblici e concessioni, che abroga il precedente D.Lgs.n. 163/2006, destinato quindi ad andare definitivamente in pensione. Non risulta infatti previsto alcun periodo transitorio, il che significa che tutte le nuove gare (aperte e ristrette) il cui bando risulta pubblicato dopo l’entrata in vigore del nuovo Codice, nonché tutte le procedure (negoziate) la cui lettera di invito è stata spedita dopo il 19/4 u.s., devono essere regolamentate dal D.Lgs.n. 50/2016 mentre, per quanto concerne le procedure di gara in corso, queste continuano ad essere regolamentare secondo i dettami del “vecchio” D.Lgs.n. 163/2006. Ma cosa cambia in concreto con l’entrata in vigore del nuovo Codice ? Diciamo subito che le novità sono tantissime, sia per le stazioni appaltanti che per i concorrenti, con l’introduzione di nuovi sistemi di qualificazione e nuove procedure di gara, con la modifica sostanziale dei requisiti di partecipazione e dei criteri di valutazione, con l’innovazione in tema di commissioni giudicatrici nonché l’introduzione del concetto di “ciclo di vita”, con il nuovo Documento di gara unico europeo (però solo dal 18/4/2018) ecc... e tutto questo solo nei settori ordinari. Una disciplina a parte, infatti, è stata finalmente prevista per i cd. settori speciali (gas, energia termica, elettricità, acqua, trasporti, servizi aeroportuali, servizi postali), senza dover continuamente riferirsi - per la loro specifica regolamentazione - alla parte generale, come nel precedente D.Lgs.n. 163/2006. Altra importantissima novità è poi rappresentata dalla prima normativa (dettagliata ed organica) in tema di concessioni pubbliche, con il definitivo superamento dell’art. 30 del vecchio Codice, sostituito da una quindicina d’articoli (dal 164 al 178), in cui si delineano le caratteristiche tipiche di questo istituto, sono fissati gli importi e regolamentate le procedure, viene definito il concetto di “rischio operativo “ ecc.. Si proceda tuttavia con ordine in quanto, prima d’entrare nel merito della trattazione delle singole novità, è opportuno evidenziare alcuni importanti principi d’ordine generale del nuovo Codice. Innanzitutto si consideri come il D.Lgs.n. 50/2016 rappresenti la norma di recepimento delle 3 direttive comunitarie 23, 24 e 25/2014, rispettivamente emanate nell’ambito delle concessioni, dei settori speciali e dei settori ordinari e, come nel precedente D.Lgs.n. 163/2006, il Legislatore italiano abbia ritenuto opportuno riunire, in un unico corpus normativo, tutti e tre i diversi settori (opere, forniture e servizi) degli appalti pubblici, mantenendo inoltre la medesima regolamentazione sia per gli appalti d’importo soprasoglia comunitaria che per quelli sottosoglia (con qualche piccola differenza relativamente a questi ultimi). Le 3 direttive comunitarie avevano poi una particolare mission rappresentata dalla volontà del Legislatore comunitario di rilanciare l’economia europea - attraverso la leva macroeconomica degli appalti pubblici - mentre il Legislatore italiano ha deciso di perseguire, con l’introduzione della nuova disciplina su appalti e concessioni, un altro obiettivo strategico ovvero la lotta alla corruzione, che si declina anche (e soprattutto) attraverso la semplificazione delle procedure di gara. È dunque partendo da questi obiettivi che si comprende, da un lato, la meritoria opera di riduzione del numero di articoli, che passano dai 616 del precedente corpus normativo (257 articoli + 27 allegati il vecchio Codice, 359 articoli + 15 allegati il suo Regolamento attuativo) agli attuali 217 articoli, drastica riduzione che tuttavia dev’essere compensata da costanti rinvii e rimandi ad altre forme di regolamentazione di dettaglio; per questo il Legislatore italiano ha deciso, per sopperire alla carenza di regolamentazione - ma senza venir meno all’obiettivo di semplificazione legislativa - di ricorrere alla tecnica del Soft law, ovvero di rinvio ad “atti attuativi di livello non normativo”, la cui tipologia più nota sono le cd. “Linee-guida” dell’A.N.AC. In questo modo, tuttavia, non solo si perde la spinta “codicistica” di normazione, in un unico testo, di tutti gli aspetti di regolamentazione di un determinato settore (che era stato il grande pregio del Codice De Lise, dopo oltre 100 anni di norme sugli appalti sparse in oltre 150 differenti leggi), ma crea dall’altro un grosso problema - per il momento irrisolto – ovvero stabilire quale sia il potere “coercitivo” di dette
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Linee-guida rispetto, ad es., ad una lex specialis di una gara difforme ad alcuni dettami di una linea-guida ecc., con non pochi problemi interpretativi, di certo forieri di un futuro contenzioso. Venendo poi al dettaglio delle novità del nuovo Codice, sono da evidenziare quanto segue. La struttura: Come si è avuto modo di precisare, il D.Lgs.n. 50/2106 consta di 217 articoli, suddivisi in Parti, Titoli e Capitoli; per una sua più agevole lettura si è qui voluto fornire uno schema riassuntivo, per permettere di rintracciare più velocemente gli argomenti d’interesse: - PRINCIPI GENERALI (oggetto, competenza Stato-Regioni, Definizioni)…….... artt. 1-3 - CONTRATTI ESCLUSI (quelli a cui NON si applica il presente Codice) …….… artt. 4-20 - PROGRAMMAZIONE/Pianificazione ………………………………………..….…. artt. 21-27 - PRINCIPI COMUNI (trasparenza, RUP, controlli, principi ecc.) …………….…… artt. 28-34 - SOGLIE e QUALIF. STAZIONI APPALTI …………………………………………. artt. 35-43 - TIPOLOGIA CONCORRENTI ……………………………………………..…….…. artt. 44-49 - LOTTI/ACCESSO ……………………………………………………..…………..…. artt. 51-53 - APPALTI ELETTRONICI ………………………………………………..……….….. artt. 54-58 - SETTORI ORDINARI …………………………………………………..……….…… artt. 59-93 - AGGIUDICAZIONE/FASE ESECUTIVA …………………………………………… artt. 94-113 - SETTORI SPECIALI ………………………………………………………………..… artt. 114-141 - APPALTI PARTICOLARI (sociali, culturali, concorsi progetti. ecc.) ………….…. artt. 142-163 - CONCESSIONI ……………………………………………………………………….. artt. 164-178 - PARTENARIATO Pubbl.- Priv./Contr. Generale …………………………………... artt. 179-203 - CONTENZIOSO ……………………………………………………………………….. artt. 204-211 Non potendo tuttavia affrontare la trattazione di tutti gli istituti, ci si limita a segnalare le più importanti novità rispetto al precedente D.Lgs.n. 163/2006, seguendo l’indice cronologico con cui si incontrano. Programmazione (art. 21): La prima novità è l’obbligo, imposto a tutte le Amministrazioni, di pubblicare il programma biennale d’acquisti futuri di beni e servizi (d’importo superiore a 40.000€) nonché il programma triennale di realizzazione di opere pubbliche (d’importo superiore a 100.000€), da pubblicarsi entrambe sul sito della P.A. appaltante nonché su quello del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (d’ora in poi solo M.I.T.); è poi previsto che nel mese d’ottobre di ogni anno, relativamente ai beni e servizi, venga stilato un Elenco degli acquisti programmati d’importo superiore ai 1.000.000€, da inviare al Tavolo tecnico dei Soggetti Aggregatori al fine di determinare quali, fra detti beni e servizi, saranno appaltati tramite convenzioni e/o accordi-quadri dai Soggetti Aggregatori. Il presente articolo va poi letto in combinato disposto con l’art. 1, comma 505 Legge Stabilità 2016 (L. 28/12/2015, n. 208) che prevede, oltre all’obbligo di programmazione biennale per gli acquisti di b/s, anche la programmazione annuale per l’individuazione delle risorse finanziarie necessarie per procedere a tali acquisti, con la precisazione che quelli “fuori programma” non saranno più finanziati (ovvero non avranno più copertura economica). Il che porta conseguentemente a ritenere come, oramai, una delle attività principale di ogni P.A. debba essere la corretta programmazione dei propri approvvigionamenti. Trasparenza (art. 29): Direttamente collegato alla programmazione è poi l’obbligo di pubblicare tutti gli atti delle PP.AA. (compresi quelli relativi alle gare nonché all’affidamento delle concessioni), sul sito della stessa P.A, su quello del M.I.T. nonché su quello dell’A.N.AC, con la precisazione che i provvedimenti d’esclusione, le valutazioni relative ai requisiti soggettivi, economico-finanziari e tecnico-professionali nonché la composizione della Commissione Tecnica debbano essere pubblicati entro 2 gg. dalla loro adozione in quanto, ai sensi del nuovo comma 2-bis dell’art. 120 Codice processo amministrativo (come introdotto dall’art. 204 del nuovo Codice appalti), il termine dei 30 gg. per l’impugnazione di detti provvedimenti decorrerà dalla data di loro pubblicazione sul profilo di committenza della P.A. appaltante e non più da quella di ricevimento della relativa comunicazione ex art. 79, comma 5° D.Lgs. n. 163/2006. Soglie comunitarie (art. 35): Sono modificate, con l’introduzione di una nuova soglia relativa ai servizi sociali nonché con l’introduzione di quella sulle concessioni
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Settori Ordinari 135.000 € per Forniture e Servizi aggiudicati da PP.AA. governative 209.000 € per Forniture e Servizi aggiudicati da tutte altre PP.AA. 750.000 € per Servizi sociali e altri ex alleg. IX 5.225.000 € per Lavori e Concessioni Settori Speciali 418.000 € per Forniture, Servizi e concorsi progettazione 1.000.000 € per Servizi sociali e altri ex alleg. IX 5.225.000 € per Lavori Appalti sottosoglia (art. 36): Per gli affidamenti sottosoglia si deve procedere come segue: - Per lavori/forniture/servizi sotto i 40.000 € Affidamento Diretto - Per lavori da 40.000€ a 150.000€ Procedura Negoziata con minimo 5 invitati - Per forniture/servizi da 40.000€ a 209.000€ Procedura negozia-ta con minimo 5 invitati - Per lavori da 150.000€ a 500.000€ Procedura Ristretta con minimo 10 invitati - Per lavori da 500.000€ a 5.225.000€ Procedura Aperta Qualificazione Stazioni appaltanti (art. 37-41): Altra grande novità è l’introduzione del concetto di “qualificazione” anche per le stazioni appaltanti, che si inserisce nel più ampio quadro di politica di centralizzazione degli acquisti; come noto, infatti, le normative note come di “Spending Review” hanno disegnato uno scenario nuovo relativamente alle P.A. appaltanti, stante l’intento del Legislatore di ridurne drasticamente il numero (da 32.000 ad appena 30) tramite l’introduzione della figura dei cd. “Soggetti Aggregatori” (Consip, una centrale di committenza per ogni regione, oltre a qualche “grande” Stazione appaltante). E’ in questo quadro che si inserisce la nuova disposizione secondo cui, da un lato, è stabilito che anche le PP.AA. debbano “qualificarsi” (in base al numero di gare esperite nel precedente triennio, alla professionalità del proprio personale, alla valutazione dell’ANAC ecc.) dopodiché iscriversi all’Elenco tenuto dall’ANAC che, di conseguenza, non rilascerà più i CIG per le future gare se non alle PP.AA. iscritte in detto Elenco. Ciò comporta di conseguenza che le amministrazioni “semplici” (cioè quelle non iscritte all’Elenco ANAC), possono procedere autonomamente solo all’acquisizione di forniture e servizi d’importo inferiore ai 40.000€ nonché di lavori d’importo inferiore ai 150.000€, mentre per importi superiori sono obbligate a ricorrere ad accordi–quadri o convenzioni stipulati dai Soggetti Aggregatori, mentre le amministrazioni “qualificate” possono procedere anche agli acquisti di beni/ servizi dai 40.000€ ai 209.000€ nonché all’affidamento di opere di valore dai 150.000€ al 1.000.000€ tramite ricorso al MePa o, in mancanza, attraverso procedure ordinarie. Conflitto d’interesse (art. 42): Nell’ambito invece della lotta alla corruzione è stato introdotto un apposito articolo che, per la prima volta, descrive quando si configura un conflitto d’interesse in una procedura per l’affidamento di un appalto o di una concessione (ma valevole anche in fase esecutiva), ovvero quando “personale di una stazione appaltante” o di un operatore economico interviene nello svolgimento di una gara – anche solo per “influenzarne in qualsiasi modo il risultato” - in quanto nutre un interesse diretto o “indiretto”, di natura finanziaria, economica ma anche di “altro tipo” (purché personale), tale da poter essere (anche solo) “percepito” – non è quindi necessario che tale influenza abbia portato ad una effettiva distorsione della concorrenza – come una minaccia all’imparzialità ed indipendenza della procedura di gara, configurandosi in tal un “conflitto d’interesse”. Ben si comprende come l’estrema genericità ed indeterminatezza dei concetti sopraesposti renda particolarmente “estendibile” l’applicazione del nuovo istituto, con conseguente enorme difficoltà circa la sua corretta configurazione. Indicazione nominativa personale (art. 45): E’ interessante sottolineare come, negli appalti di servizi e lavori, è concessa alla P.A. appaltante la facoltà di richiedere ai concorrenti l’indicazione nominativa e la qualifica professionale del personale che sarà adibito alla prestazioni oggetto dell’appalto messo in gara.
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Associazione temporanea d’imprese (art. 48): Da sottolineare tre importanti novità ovvero la possibilità, nel caso d’inadempimento della mandataria, di revoca del mandato collettivo e di pagamento diretto da parte della P.A. appaltante alle singole mandanti adempienti; in secondo la possibilità che la medesima P.A. possa far valere la responsabilità direttamente in capo alle singole mandanti nonché, infine, l‘ammissibilità del recesso di una o più associate, esclusivamente tuttavia per motivi organizzativi e mai per eludere la carenza iniziale di requisiti in capo all’intero raggruppamento. Consultazioni di mercato (art. 66): Altra novità assoluta è rappresentata dalla possibilità, concessa finalmente alle PP.AA., di una interlocuzione ed un confronto fra le stesse ed il mercato per una migliore predisposizione delle procedure di gara, con l’unico limite rappresentato dal divieto di falsare la concorrenza nonché di violare i principi di trasparenza e non discriminazione. Il Legislatore non regolamenta in alcun modo la “procedura” di consultazione, lasciandola quindi alla più ampia libertà delle stazioni appaltanti, ragion per cui sarà molto interessante vedere come questo nuovo strumento verrà utilizzato, anche tenuto conto del portato dell’art. 42 sul conflitto d’interessi. Commissione tecnica (art. 77): Altra grande novità, assunta sempre nell’ottica della lotta alla corruzione, è l’introduzione dell’obbligo d’individuazione dei Commissari tecnici non più scelti dalla stazione appaltante ma selezionati tra una rosa “doppia” di candidati, estratti a rotazione da un Elenco tenuto dall’A.N.AC.; unica deroga è rappresentata dalle gare d’importo inferiore ai 150.000€ nonché dalle gare telematiche. Come questa novità, di rilevantissimo impatto sia in termini economici che di rispetto della tempistica delle pubbliche gare, riuscirà ad andare effettivamente a regime è certamente un altro aspetto di sicuro interesse. Requisiti moralità (artt. 80-81): Per quanto riguarda i requisiti d’ordine generale si riscontra un definitivo superamento dell’art. 38 nonché della tecnica d’elencazione di tutte le cause d’esclusione dalle pubbliche gare, con la diversa previsione di rinvii al codice penale nonché conseguente (estrema) difficoltà d’individuazione delle esatte fattispecie di reato. E’ poi previsto che la dimostrazione del possesso di detti requisiti sarà esclusivamente possibile attraverso l’accesso alla Banca Dati Nazionale degli Operatori Economici, alla cui adozione tuttavia si rinvia a dopo l’emanazione di un apposito decreto del M.I.T.. Si segnala poi che, relativamente ad uno degli aspetti che maggiormente hanno caratterizzato il contenzioso negli ultimi anni (ci si riferisce all’esatta individuazione dei soggetti che devono rilasciare la dichiarazione ex art. 38), il nuovo articolo non contribuisce al superamento di detta problematica, limitandosi a prescrivere l’obbligo d’accertamento dei requisiti di moralità in capo ai soggetti “muniti di rappresentanza”, senza precisare altro. Soccorso istruttorio (ancora art. 83): Relativamente al cd. soccorso istruttorio “rafforzato” (introdotto dal comma 2-bis del vecchio art. 38) ed a tutte le problematiche successive alla sua introduzione, il nuovo Codice risolve due delle questioni più dibattute in giurisprudenza ovvero, da un lato, stabilisce che la sanzione pecuniaria può essere comminata solo in caso di prosieguo del concorrente nella partecipazione alla gara, dall’altro che la sanatoria è obbligatoria relativamente ad irregolarità anche solo “formali” ma senza quindi, in tal caso, alcun obbligo di pagamento della sanzione pecuniaria. Offerta economicamente più vantaggiosa (art. 95): Ad una prima lettura di questo articolo sembrerebbe intendersi che il Legislatore abbia voluto abrogare il criterio del prezzo più basso, lasciando quindi solo quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa; trattasi in realtà di una ”falsa” novità, in quanto il Legislatore ha previsto che la scelta del futuro contraente avverrà in base al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa che, a sua volta, si declina o nel miglior rapporto prezzo-qualità, oppure “sulla base dell’elemento prezzo o del costo, seguendo un criterio di comparazione costo/efficacia”, anche tenuto conto del nuovo concetto di “ciclo di vita” (di cui all’art. 96); entrambi i criteri sono quindi rimasti (anche se non si parla più di “prezzo più basso”).
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Ciclo di vita (art. 96): Grandissima novità è rappresentata dall’introduzione del concetto di ‘ciclo di vita’, che non risulta limitato ai soli prodotti ma che può trovare valida applicazione anche ai servizi e lavori. Il Legislatore ha voluto sottolineare come, nel giudizio circa un bene/ servizio/lavoro, il ‘prezzo’ non sia l’unico elemento di valutazione, non rappresentando l’unico costo poiché, oltre all’acquisizione, occorre tener conto anche dei costi d’utilizzazione, di manutenzione, di smaltimento/riciclaggio nonché, infine, delle cd. “esternalità ambientali”. Oggi dunque la Stazione appaltante può valuterà un bene/ servizio/lavoro relativamente al suo effettivo ‘costo’ stimato nell’arco dell’intero ciclo di vita dello stesso ma, in tal caso, non solo deve espressamente indicarlo in lex specialis, ma altresì deve indicare ai concorrenti su quali dati formulerà il giudizio nonché con quale metodo determinerà i costi del ciclo di vita dell’oggetto di gara. Subappalto (art. 105): Viene confermato il limite del 30%, con la precisazione tuttavia che non costituiscono subappalto – nei lavori pubblici – né la fornitura senza prestazione di manodopera, né i noli a caldo, né la fornitura con posa in opera, sempreché l’importo di dette sia inferiore a 100.000€, sia meno del 2% dell’importo dei lavori e (solo per i noli a caldo e le pose in opera) che il costo della manodopera non superi il 50% dell’importo dei lavori. Le novità risiedono tuttavia nell’obbligo d’indicare espressamente, nel bando di gara, la facoltà di subappaltare (comma 4° lett. a) - con ciò lasciando quindi intendere che, in assenza d’espressa prescrizione, non sia consentito il subappalto - nonché nell’obbligo d’indicare una “terna” di subappaltatori, ciò tuttavia solo quando l’appalto è d’importo superiore alle soglie comunitarie e non è richiesta alcuna particolare specializzazione. Molte altre sono ancora le novità contenute nel nuovo Codice (il Partenariato per l’innovazione, i nuovi requisiti economici, il DGUE, le nuove funzioni del RUP ecc.) relativamente ai settori ordinari, ma si ritiene necessario rinviare a successiva trattazione che riguarderà anche i Settori speciali, le Concessioni, il Partenariato Pubblico Privato, il Contenzioso ecc.
Avv. Andrea Stefanelli Studio Legale Stefanelli (Bologna)