Segnalazioni giuridiche a cura N. 5 Anno XXI del Servizio ... · Le società Enel S.p.A. (Enel) ......

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Segnalazioni giuridiche a cura del Servizio Centrale Legale N. 5 Anno XXI Maggio 2016 INDICE: CONCORRENZA Abuso di posizione dominante e settore energetico - Enel ed Enel Distribuzione presentano degli impegni nell’ambito dell’istruttoria sullo smart-metering, di Chiara Campolongo - p. 2 DIRITTO INDUSTRIALE Marchi e domain names: alcune problematiche nei rapporti di distribuzione internazionale, di Mariaelena Giorcelli - p. 2 LEGISLAZIONE OSSERVATORIO - Privacy: pubblicato il nuovo regolamento generale - p. 5 - Interventi di domotica e ECObonus 65% I Chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate - p. 6 RINNOVABILI - Aiuti di stato e energie rinnovabili - Il Tribunale dell’UE conferma che la legge tedesca sulle energie rinnovabili del 2012 comporta degli aiuti di Stato, di Cecilia Carli p. 7 - Legittimo affidamento e settore delle energie rinnovabili Il Consiglio di Stato conferma la linea dura adottata dai giudici amministrativi in merito all’assenza di alcuna situazione di legittimo affidamento incisa dal “Quarto conto energia”, di Martina Bischetti p. 8 - Energia / Regolazione tariffaria e servizi ausiliari Per il TAR può essere incentivata solo l’energia netta, di Martina Bischetti p. 8 SICUREZZA PRODOTTI E IMPIANTI Efficacia diretta nell’ordinamento italiano delle direttive comunitarie di prodotto non tempestivamente recepite - La portata della circolare del MISE del 21.3.2016, di Claudio Gabriele e Maria Sole Lora - p. 9 APPROFONDIMENTO DEL MESE: Il nuovo codice dei contratti pubblici e concessioni, di Andrea Stefanelli

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Segnalazioni giuridiche a cura del Servizio Centrale Legale

N. 5 Anno XXI Maggio 2016

INDICE:

CONCORRENZA Abuso di posizione dominante e settore energetico - Enel ed Enel Distribuzione presentano degli impegni nell’ambito dell’istruttoria sullo smart-metering, di Chiara Campolongo - p. 2 DIRITTO INDUSTRIALE Marchi e domain names: alcune problematiche nei rapporti di distribuzione internazionale, di Mariaelena Giorcelli - p. 2 LEGISLAZIONE OSSERVATORIO - Privacy: pubblicato il nuovo regolamento generale - p. 5 - Interventi di domotica e ECObonus 65% – I Chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate - p. 6 RINNOVABILI - Aiuti di stato e energie rinnovabili - Il Tribunale dell’UE conferma che la legge tedesca sulle energie

rinnovabili del 2012 comporta degli aiuti di Stato, di Cecilia Carli – p. 7 - Legittimo affidamento e settore delle energie rinnovabili – Il Consiglio di Stato conferma la linea dura

adottata dai giudici amministrativi in merito all’assenza di alcuna situazione di legittimo affidamento incisa dal “Quarto conto energia”, di Martina Bischetti – p. 8

- Energia / Regolazione tariffaria e servizi ausiliari – Per il TAR può essere incentivata solo l’energia netta, di

Martina Bischetti – p. 8 SICUREZZA PRODOTTI E IMPIANTI Efficacia diretta nell’ordinamento italiano delle direttive comunitarie di prodotto non tempestivamente recepite - La portata della circolare del MISE del 21.3.2016, di Claudio Gabriele e Maria Sole Lora - p. 9

APPROFONDIMENTO DEL MESE: Il nuovo codice dei contratti pubblici e concessioni, di Andrea Stefanelli

TeLex ANIE maggio 2016 2

CONCORRENZA

ABUSO DI POSIZIONE DOMINANTE E

SETTORE ENERGETICO - ENEL ED ENEL

DISTRIBUZIONE PRESENTANO DEGLI

IMPEGNI NELL’AMBITO DELL’ISTRUTTORIA

SULLO SMART-METERING

Le società Enel S.p.A. (Enel) ed Enel Distribuzione

S.p.A. (ED) hanno presentato degli impegni nell’ambito

dell’istruttoria avviata dall’Autorità Garante della

Concorrenza e del Mercato (AGCM) in data 10

dicembre 2015, al fine di verificare l’eventuale abuso di

posizione dominante nella rilevazione avanzata dei dati

di consumo elettrico (c.d. smart-metering) e della loro

messa a disposizione ai clienti finali.

L’istruttoria aveva preso avvio a seguito della

segnalazione presentata dalla società AEM Acotel

Engineering and Manufacturing S.p.A. (Acotel), attiva

nel settore dei servizi di monitoraggio avanzato dei

consumi elettrici. Su richiesta dei propri clienti, tale

società appone sul contatore dell’energia elettrica,

precedentemente installato da ED, un dispositivo di

rilevazione degli impulsi (c.d. dispositivo GPM,

“General Pulse Meter”, detto anche conta-impulsi, in

grado di rilevare il lampeggio del led del contatore e di

raccogliere in tal modo dati sul consumo). Le condotte

segnalate da Acotel, ed in relazione alle quali l’AGCM

a colto un fumus di illegittimità, consistono:

1. nel distacco, da parte di ED, dei dispositivi GPM dai

contatori installati presso i clienti;

2. nella mancata collaborazione con i clienti in relazione

a richieste di intervento per permettere l’installazione di

dispositivi GPM su contatori a media e alta tensione,

che si trovano all’interno di coperture, grate o teche; e

3. nel mancato riscontro da parte di ED alle numerose

richieste formulate da Acotel per aver accesso alle

informazioni tecniche che consentono di collegare

dispositivi HID (“Human Interface Device”, ossia

dispositivi che interagiscono direttamente con le

persone) ai contatori installati da ED stessa.

Tali condotte, se confermate, ad avviso dell’AGCM

potrebbero costituire un abuso di posizione dominante

da parte di ED ed Enel, costituito da condotte poste in

essere nei mercati a monte dei servizi di distribuzione e

misura dell’energia elettrica, con effetti escludenti nei

confronti di Acotel nei mercati della vendita di energia

elettrica e del monitoraggio avanzato dei consumi, a

valle.

Allo scopo di superare le preoccupazioni sollevate

dell’AGCM, ED ha presentato i seguenti impegni:

i. premesso che il distacco dei dispositivi GPM avviene

solo quando sia imprescindibile per effettuare

l’intervento di manutenzione, ED si impegna ad

informare tramite e-mail i clienti finali, che abbiano

fatto apporre un dispositivo GPM sul contatore, degli

interventi sullo stesso che rendano necessaria la

rimozione temporanea del conta-impulsi. In tal modo, in

caso di interventi programmati, i clienti ne saranno a

conoscenza anticipatamente e potranno organizzare la

reinstallazione del dispositivo;

ii. ED adotterà delle linee guida per gli interventi sui

contatori provvisti di dispositivi conta-impulsi e formerà

il proprio personale operativo in modo che la procedura

prevista nelle linee guida sia applicata;

iii. con specifico riferimento ai contatori di media e alta

tensione, situati in quadri di alloggiamento sigillati, ED

si impegna a collegarli all’esterno con una linea elettrica

in modo da permettere ai clienti di apporvi dispositivi

GPM;

iv. verrà inoltre istituito un tavolo tecnico al quale

potranno partecipare gli operatori attivi nel settore dei

dispositivi conta-impulsi per discutere della loro

installazione sui contatori; infine

v. ED metterà a disposizione degli operatori che ne

facciano richiesta il modulo integrabile con i dispositivi

HID, il quale consente la comunicazione dei dispositivi

a interfaccia umana con i contatori (con le relative

istruzioni e specifiche tecniche).

Inoltre, anche Enel ha presentato degli impegni. La

società garantisce

(i) l’effettiva attuazione degli impegni da parte di ED, e

(ii) che, nei suoi rapporti commerciali e non com-

merciali, ED praticherà le stesse condizioni alle società

del Gruppo Enel e a società terze.

Il market test fornirà indicazioni se le misure offerte

siano effettivamente in grado di superare le

preoccupazioni sollevate nel procedimento di avvio.

Avv. Chiara Campolongo

Freshfields Bruckhaus Deringer

DIRITTO INDUSTRIALE

MARCHI E DOMAIN NAMES: ALCUNE

PROBLEMATICHE NEI RAPPORTI DI

DISTRIBUZIONE INTERNAZIONALE

Nell’ambito dei rapporti di distribuzione internazionale

sono assai frequenti i conflitti tra il produttore e i

soggetti che a vario titolo si inseriscono nella fase di

distribuzione dei suoi prodotti (agenti, distributori,

franchisee) in punto marchi e domain names.

Ciò si verifica soprattutto quando il produttore intende

entrare in un nuovo mercato - o cambiare la precedente

rete distributiva operante nel territorio-, nel quale, non

avendo mai operato direttamente, non si è curato di

registrare il proprio marchio e/o domain name. In tali

casi, può accadere che il soggetto a cui il produttore ha

affidando la promozione e/o distribuzione dei prodotti

abbia registrato a proprio nome il marchio e/o il domain

name. Una volta terminato il rapporto con tale soggetto,

sarà essenziale per il produttore poter disporre del

proprio marchio e/o domain name.

TeLex ANIE maggio 2016 3

Quale tutela ha il produttore a fronte dell'illegittima

registrazione di un marchio da parte del proprio

agente/distributore?

1. La Convenzione d’Unione di Parigi (CUP)

Uno dei primi passi intrapresi per la tutela della

proprietà industriale in un ambito sovranazionale è

costituito dalla Convenzione dell'Unione di Parigi per la

protezione della proprietà industriale firmata a Parigi

nel 1883.

La Convenzione di Parigi è stata adottata da ben 176

Paesi. Tra i Paesi aderenti, oltre all'Italia, vi sono i paesi

europei, Stati Uniti, Russia, Korea e molti paesi africani

ed arabi. Grande assente è invece la Cina. Per elenco

completo dei paesi aderenti si veda il sito

http://www.wipo.int.

L’art. 6 septies della Convenzione sull’Unione di Parigi

dispone:

“ 1. Se l’agente o il rappresentante del titolare di un

marchio in uno dei Paesi dell’Unione domanda, senza

esserne autorizzato, la registrazione a suo nome di tale

marchio, in uno o più di suddetti Paesi, il titolare avrà

diritto di opporsi alla registrazione richiesta o di

domandarne la cancellazione o se la legge del suo

Paese lo permette, il trasferimento a suo favore di detta

registrazione, a meno che l’agente o il rappresentante

non giustifichi il proprio operato. 2. Il titolare di un

marchio avrà, con le riserve di cui al precedente alinea

1, il diritto di opporsi all’utilizzazione del suo marchio

da parte del proprio agente o rappresentante, se egli

non abbia autorizzato tale utilizzazione. 3. Le

legislazioni nazionali possono prevedere un equo

termine entro il quale il titolare di un marchio dovrà far

valere i diritti previsti nel presente articolo”.

La finalità della norma è chiaramente quella di

prevenire dei comportamenti scorretti tra titolare del

marchio straniero e il soggetto che nel paese di

importazione si incarica di curare la vendita dei prodotti

contraddistinti da tale marchio.

Pertanto alla luce dell’art. 6 septies se l’agente ha

registrato il marchio dei prodotti che promuove nel

territorio affidatogli dal preponente, senza

l’autorizzazione di quest’ultimo, il preponente potrà

opporsi a tale registrazione provando:

a) la titolarità di un marchio registrato in uno dei Paesi

dell'Unione che sia uguale o simile a quello di cui

l'agente ha chiesto la registrazione;

b) la sussistenza del rapporto di agenzia (la Corte di

legittimità ha ritenuto con sentenza del 17/03/2000 n.

3100 la necessità della prova della sussistenza del

rapporto di agenzia al momento in cui l'agente ha

provveduto alla registrazione del marchio del

preponente).

Spetterà invece all'agente difendersi provando eventuali

cause giustificative, come l'esistenza di

un'autorizzazione da parte del preponente. A tal fine non

è necessario che l'autorizzazione rivesta la forma scritta

essendo sufficiente un'autorizzazione verbale. E'

tuttavia, pacifico che tale autorizzazione non si può

ricavare dal fatto della mera conclusione di un contratto

di agenzia per la promozione dei prodotti recanti il

marchio, dovendo viceversa risultare un consenso del

titolare del marchio medesimo.

In considerazione della finalità dell'art. 6 septies, è stato

ritenuto da parte della dottrina che tale disposizione,

sebbene si riferisca espressamente solo all'agente o

rappresentante del titolare, debba interpretarsi in

maniera estesa comprendendo quantomeno anche il

distributore. L’interpretazione dell’art. 6 septies da

parte della giurisprudenza non è tuttavia uniforme nei

vari Paesi dell'Unione. In Italia, sembra prevalere un’interpretazione letterale e

restrittiva della portata dell’articolo in esame

ritenendolo applicabile solo ai rapporti di agenzia.

(crf. Corte d’Appello di Miano, sez.I, 27/09/1996,

Tribunale Roma 28/11/1987 che hanno espressamente

escluso l'applicabilità della norma ai distributori; anche

se Tribunale Ancona 14 ottobre 2008 e Tribunale

Torino 6/10/1980 lasciano aperta la strada

all'applicazione della norma anche al distributore).

In altri Paesi dell'Unione (ad es. Germania, Francia) si

ritiene invece che l’art. 6 septies CUP si estenda

quantomeno al distributore.

Il Fabbricante che invochi la tutela dell'art. 6-septies

CUP nei confronti non solo del proprio agente ma anche

nei confronti del proprio distributore dovrà dunque

verificare l’effettiva portata dell’articolo 6 septies CUP

nel paese ove è stata richiesta la registrazione del

marchio. Si consiglia pertanto di tutelarsi

preventivamente da ipotesi di un'illegittima

registrazione del marchio da parte del proprio agente e

distributore straniero prevedendo espressamente a

livello contrattuale una clausola che vieti espressamente

all'agente/distributore di registrare, nel proprio

territorio, i marchi del preponente e/o altri segni

distintivi dello stesso.

Ad es. "E’ fatto divieto all’agente di depositare e/o far

depositare nel Territorio o altrove, i marchi, nomi o

altri segni distintivi del Preponente né altri segni

distintivi che siano simili e confondibili con quelli del

preponente".

2. Il Regolamento CE 2009/207/CE sul marchio

comunitario

Il Regolamento CE 2009/207/CE contiene alcune

disposizioni specificatamente volte a tutelare il titolare

di diritto sul marchio contro comportamenti illegittimi

di un suo agente o rappresentante (in questo caso si

tratta di una nozione ampia di "agente"), prevedendo

all'art. 8, comma 3, che, in seguito all’opposizione del

titolare del marchio anteriore, il marchio richiesto è

escluso dalla registrazione:

" se l’agente o il rappresentante del titolare del marchio

presenta la domanda a proprio nome e senza il

consenso del titolare, a meno che tale agente o

rappresentante non giustifichi il suo modo di agire".

In tali casi il titolare del diritto sul marchio potrà altresì

proporre domanda di nullità del marchio comunitario

registrato dal proprio agente o rappresentante (cfr. art.

53 Reg. CE 2009/207/CE).

TeLex ANIE maggio 2016 4

Inoltre, ai sensi dell'art. 11 Reg. CE 2009/207/CE, se un

marchio comunitario viene registrato, senza

l’autorizzazione del titolare del marchio a nome

dell’agente o rappresentante di colui che di tale marchio

è titolare, quest’ultimo ha il diritto di opporsi all’uso

del marchio da parte dell’agente o rappresentante, senza

la sua autorizzazione, a meno che l’agente o il

rappresentante non giustifichi il proprio modo di agire"

Infine, l'art. 18 del Reg. CE 2009/207/CE prevede la

possibilità di ottenere il trasferimento a proprio favore

del marchio registrato illegittimamente a nome

dell'agente

Tale disciplina, chiaramente ispirata ai principi dettati

dall'art. 6 septies CUP, è applicabile a tutti i soggetti

inseriti nel sistema distributivo del titolare del marchio,

dovendosi interpretare la nozione di "agente" in senso

ampio, così da ricomprendere non solo l'agente di

commercio, ma anche il distributore. Proprio sulla

nozione di agente il Tribunale UE, con sentenza del 13

aprile 2011 (nel proc. T-262/09) ha ritenuto che: "I

termini "agente" e "rappresentante" di cui all'art. 8 n.3

del Regolamento CE 2009/207 devono essere

interpretati in senso ampio, per abbracciare ogni tipo di

rapporto basato su qualsiasi accordo contrattuale ai

sensi del quale una delle parti rappresenti gli interessi

dell'altra, indipendentemente dal nomen juris del

rapporto contrattuale intercorrente tra il titolare o il

mandante e il richiedente il marchio comunitario, che

sia atto a creare in rapporto fiduciario che imponga

un dovere generale di agire in buona fede e lealmente

con riguardo agli interessi del titolare del marchio"

(cfr. anche direttive sull'opposizione dell'UAMI). Viene

comunque escluso che un semplice acquirente possa

essere considerato agente o rappresentante ai fini

dell'applicazione della norma.

La stessa sentenza, ha inoltre ritenuto che non è

necessario che il rapporto tra le parti sia ancora in

vigore al momento del deposito della domanda di

registrazione del marchio comunitario, ben potendo

applicarsi ad accordi scaduti, purché il tempo trascorso

abbia una durata tale da consentire di presumere

ragionevolmente che l'obbligo di buona fede e di

riservatezza fosse ancora esistente al momento del

deposito della domanda di marchio comunitario.

Presupposti per la tutela sono dunque i seguenti:

a) essere titolare di un marchio anteriore; (prova che

grava su chi invoca la tutela);

b) che il richiedente la registrazione di marchio

comunitario sia o sia stato agente, inteso in senso

ampio, o rappresentante del titolare del marchio (prova

che grava su chi invoca la tutela);

c) che il deposito riguardi segni e prodotti identici o

simili (prova che grava su chi invoca la tutela);

d) che non vi siano ragioni legittime che giustifichino la

condotta dell'agente/rappresentante; (spetterà

all'agente/distributore provare l'esistenza di una causa di

giustificazione).

3. Mala fede del richiedente la registrazione

- Regolamento 2009/207/CE sul marchio comunitario;

- Direttiva CE 2008/95 sul ravvicinamento delle

legislazioni degli Stati Membri in materia di marchi

di impresa;

- D.lgs. n.30 del 2005 Codice della proprietà

industriale (CPI).

I diritti del fabbricante per il caso di registrazione

illegittima da parte dei soggetti che a vario titolo

operano ai fini della distribuzione dei suoi prodotti,

possono essere tutelati invocando le norme comunitarie

e/o nazionali dettate con riguardo alla registrazione in

mala fede del marchio. L'art. 52 del Regolamento 2009/207/CE, prevede su

domanda presentata all'Ufficio o su domanda

riconvenzionale in un'azione per contraffazione che, il

marchio comunitario è dichiarato nullo se: al

momento del deposito della domanda il richiedente ha

agito in mala fede. La Direttiva 2008/95/CE e in particolare dall'art. 3,

comma 2, lettera d, stabilisce che ogni Stato membro

può prevedere che un marchio di impresa sia escluso

dalla registrazione o, se registrato, possa essere

dichiarato nullo se e nella misura in cui: [...] il

richiedente abbia fatto in malafede la domanda di

registrazione del marchio di impresa.

A livello nazionale, l'art. 19, comma 2, CPI prevede che

"Non può ottenere una registrazione per marchio di

impresa chi ne abbia fatto domanda in mala fede".

La portata generica di queste norme ha portato a

ricomprendere una molteplicità di casi, caratterizzati da

un comportamento, non mera consapevolezza di violare

l'altrui diritto, ma di abuso specificamente volto a

pregiudicare le altrui legittime aspettative di tutela.

Le norme sulla registrazione in malafede consentono

dunque al Fabbricante

di tutelarsi anche nei confronti di figure diverse

dall'agente nei Paesi, come l'Italia, in cui l'art. 6 septies

CUP viene interpretato restrittivamente.

A questo proposito si segnala che, il Tribunale Milano,

con sentenza del 19/03/2012 ha ravvisato un'ipotesi di

malafede e dunque ha dichiarato la nullità del marchio

registrato dall'ex distributore ex art. 19 CPI in un caso in

cui l'ex distributore italiano aveva depositato domanda

di registrazione del marchio del Fabbricante in Italia,

ben 5 giorni dopo la risoluzione del rapporto di

distribuzione con il Fabbricante, rapporto di

distribuzione durato solo qualche mese.

In un altro caso interessante, il Tribunale di Bologna,

con sentenza del 23/11/2007, ha così statuito:

"La qualità di non semplice acquirente occasionale, ma

quanto meno, di distributore del prodotto, qualifica

come mala fede la registrazione del marchio effettuata

dal distributore. La circostanza che il distributore ha

immesso sul mercato italiano i prodotti del fabbricante

per lunghi anni rende certa la sua mala fede all'atto

della richiesta di registrazione del marchio del

fabbricante a proprio nome e ciò non solo perché era a

conoscenza delle legittime aspettative del fabbricante

sul marchio, ma proprio anche perché per tale via era

pienamente consapevole del fatto che ciò avrebbe

TeLex ANIE maggio 2016 5

danneggiato il fabbricante portando gli abituali

consumatori a ritenere che altri in realtà avesse titolo

di utilizzarlo, fatto particolarmente grave proprio per

l'abuso che per tale via si compiva del precedente

rapporto di collaborazione e quindi della specifica

conoscenza anche della clientela italiana." (In questo

caso il fabbricante ha ottenuto la declaratoria di nullità

del marchio, l'inibitoria a carico del convenuto di

qualsivoglia utilizzo del marchio stesso).

Quando si invoca la malafede del registrante l'onere

probatorio è tuttavia maggiore in quanto occorre fornire

la prova della mala fede che non può presumersi. Tale

principio è stato ribadito di recente dalla Corte di

Giustizia CE, con sentenza del 27/06/2013, nella causa

C-320/12 "L'esistenza della malafede deve essere

valutata complessivamente, tenuto conto di tutti i fattori

pertinenti del caso di specie esistenti al momento del

deposito della domanda di registrazione. Il fatto che il

terzo sappia o debba sapere che un terzo utilizza un

segno identico o simile per un prodotto identico o

simile, non è di per sè sufficiente a provare la malafede

di detto richiedente. Occorre prendere in

considerazione inoltre l'intenzione del richiedente al

momento del deposito della domanda di registrazione di

un marchio, elemento soggettivo che deve essere

determinato con riferimento alle circostanze oggettive

del caso di specie (cfr. Corte di Giustizia CE

11/06/2009, C-529/07)

Domain Names registrati dai propri agenti e

distributori. I principi sopra esposti in materia di

registrazione del marchio in malafede sono applicabili

anche alla registrazione dei nomi a dominio da parte dei

soggetti che si inseriscono nella fase di distribuzione dei

suoi prodotti in virtù di rapporti di collaborazione con il

produttore.

Tanto che il nome a dominio viene ormai pacificamente

ritenuto suscettibile di entrare in conflitto con altri segni

distintivi tipici in particolare con il marchio.

Già a livello di registrazione del nome a dominio, la

maggior parte delle domain name registration

Authorities, consentono di opporsi alla registrazione ed

uso del nome a domino avvenuta in mala fede, sino ad

ottenere anche il trasferimento del nome a dominio (ad

es. ICANN ".com", NIC (.it) ecc....).

Per quanto riguarda poi il nome a dominio ".eu", il

stesso Regolametno Ce n. 874/2004 che stabilisce le

disposizioni applicabili alla messa in opera e alle

funzioni del dominio di primo livello .eu e i principi

relativi alla registrazione , che indica tra le ipotesi di

registrazione speculativa e abusiva del domain name

"eu", che danno luogo alla revocazione della

registrazione, anche la registrazione in mala fede.

Molte controversie tra fabbricanti e distributori per

registrazione abusiva del domain name vengono risolte

ricorrendo al servizio di mediazione e arbitrato della

WIPO (World Intellectual Property Organisation),

fermo restando il diritto ovviamente ad ricorrere

all'autorità giudiziaria. Per questo, si rinvengono un

maggior numero rese nell'ambito della procure adr della

WIPO.

Nell'ambito delle decisioni rese dalla WIPO, è stata

ravvisata la malafede del distributore, nei casi di

avvenuta cessazione del rapporto di distribuzione con il

fornitore in quanto il distributore non aveva più alcun

diritto o interesse legittimo ad usare il domain name

(identico o confondibile con il marchio del fabbricante).

La malafede è stata ravvisata pure nei casi in cui, pur in

costanza del rapporto di distribuzione, il fornitore aveva

chiaramente manifestato la propria contrarietà a che il

distributore registrasse il marchio del produttore come

domain name o come parte del domain name.

Diversamente, non è stata ravvisata la mala fede ma è

stato ritenuto sussistente un diritto o un interesse

legittimo del distributore al domain name in presenza

delle seguenti circostanze:

a) quando il distributore effettivamente vende i prodotti

e/o i servizi in questione (in costanza del rapporto di

distribuzione);

b) quando effettivamente utilizza il domain name per

vendere i prodotti contraddistinti dal marchio del

produttore e non solo altri prodotti;

c) quando il distributore non abbia impedito al

fabbricante/titolare del marchio di registrare anche altri

domain name di primo livello, che pertanto possono

ancora essere registrati dal fabbricante.

(www.wipo.int/amc/en/domains/decisions)

In conclusione, come si è visto anche per i marchi,

sebbene vi siano degli strumenti di tutela "a posteriori",

è importante chiarire sin dall'inizio del rapporto con la

propria rete distributiva, con una clausola ad hoc da

inserire nel contratto, che il fabbricante non autorizza

l'uso del proprio marchio o altri segni distintivi, come

domain name e/o come parti di domain names da parte

del distributore, al fine di avere buone possibilità di

ottenere la tutela dei propri diritti qualora il distributore

dovesse ciò non ostante contravvenire a tale divieto.

Avv. Mariaelena Giorcelli

BBM Partners, Buffa, Bortolotti & Mathis

LEGISLAZIONE OSSERVATORIO

PRIVACY: PUBBLICATO IL NUOVO

REGOLAMENTO GENERALE

E’ stato pubblicato sulla GUUE n. L 119 del 4 maggio

scorso il nuovo regolamento generale sulla protezione

dei dati personali, ossia il Regolamento UE n. 679/2016,

che si applicherà a decorrere dal 25 maggio 2018. Come

noto, i regolamenti comunitari, a differenza delle

direttive, sono direttamente applicabili in ciascuno degli

Stati Membri, con la conseguenza che dal 25 maggio

2018, la previgente normativa interna difforme che non

sia stata formalmente abrogata o modificata, dovrà

comunque essere disapplicata.

TeLex ANIE maggio 2016 6

Il nuovo regolamento, che disciplina la protezione dei

dati personali delle sole persone fisiche, come già il D.

Lgs. 196/03 a seguito delle più recenti modifiche

introdotte dal legislatore nazionale, conferma l’impianto

della vigente normativa tra cui: la necessità di rispettare

alcuni principi base nel trattamento dei dati personali;

l’obbligo di informativa e consenso; il riconoscimento

di diritti fondamentali all’interessato tra cui il diritto di

accesso ed il diritto di opposizione; l’individuazione di

categorie di dati personali; l’obbligo di rispettare nel

trattamento misure di sicurezza.

Vi sono però importanti elementi di novità che

segnaliamo sinteticamente tra cui:

- Ampliamento dei principi da rispettare nel

trattamento dei dati al principio della trasparenza

(le informazioni destinate al pubblico o

all’interessato debbono essere facilmente accessibili

e di facile comprensione e deve essere utilizzato un

linguaggio semplice e chiaro) e al principio

dell’accountability (legato all’onere di provare, in

ogni momento, di aver adottato tutte le misure atte a

garantire la compliance al regolamento).

- Ampliamento dei diritti dell’interessato al diritto

all’oblio e al diritto alla portabilità dei dati (questo

in particolare consente all’interessato di ottenere i

suoi dati in formato strutturato, di uso comune e

leggibile a macchina e di trasferirli ad altri).

- Introduzione della c.d. privacy by design, intesa

come obbligo, sin dalla fase di progettazione e

sviluppo di un trattamento dati, di mettere in atto

misure tecniche e organizzative adeguate, quali la

pseudonimizzazione, volte ad attuare in modo

efficace i principi di protezione dei dati, quali la

minimizzazione ed a integrare nel trattamento le

necessarie garanzie.

- Introduzione della c.d. privacy by default, intesa

come obbligo di mettere in atto misure tecniche e

organizzative adeguate per garantire che siano

trattati, di default, solo i dati personali necessari per

ogni specifica finalità del trattamento; ciò vale per la

quantità dei dati raccolti, l'estensione del

trattamento, il periodo di conservazione e

l'accessibilità.

- In caso di Data breach, ossia di violazioni dei dati

personali realizzate da soggetti non autorizzati,

obbligo del titolare del trattamento di notificare al

Garante le violazioni e, in presenza di determinate

circostanze, di estendere tale notificazione anche

all’interessato.

- Obbligo di effettuare una valutazione di impatto

sulla protezione dei dati, quando un tipo di

trattamento possa presentare un rischio elevato per i

diritti e le libertà delle persone fisiche (per l'uso di

nuove tecnologie). Tra gli altri casi, la valutazione

d'impatto sulla protezione dei dati è richiesta nel

caso di sorveglianza sistematica di una zona

accessibile al pubblico su larga scala. L'autorità di

controllo redige e rende pubblico un elenco delle

tipologie di trattamenti soggetti al requisito di una

valutazione d'impatto sulla protezione dei dati.

- Obbligo di tenuta di un Registro delle attività di

trattamento, ad eccezione di imprese o

organizzazioni con meno di 250 dipendenti

(anch’esse però debbono tenere il registro, qualora il

trattamento che effettuano, possa presentare un

rischio per i diritti e le libertà dell'interessato, non

sia occasionale o includa il trattamento di categorie

particolari di dati come quelli sensibili e giudiziari).

- Designazione del Data Protection Officer nelle

ipotesi in cui il trattamento sia svolto da un ente

pubblico oppure sia fatto utilizzo di dati su larga

scala o siano trattati dati sensibili o giudiziari (la

nuova figura non va confusa con quella del

Responsabile del trattamento dei dati, che risponde

al Titolare, laddove il Data Protection Officer deve

essere autonomo e indipendente).

- Incoraggiamento di meccanismi di certificazione

della protezione dei dati nonché di sigilli e marchi di

protezione dei dati allo scopo di dimostrare la

conformità al Regolamento dei trattamenti effettuati

dai responsabili del trattamento e dagli incaricati del

trattamento.

- Introduzione di pesanti sanzioni amministrative

pecuniarie.

All’argomento sarà riservato ogni necessario

approfondimento nei prossimi numeri del Telex ANIE.

INTERVENTI DI DOMOTICA E ECOBONUS

65% – I CHIARIMENTI DELL’AGENZIA DELLE

ENTRATE

Come noto, la Legge di stabilità 2016 (L. 208 del

28.12.2015, art.1, comma 88) ha esteso per l’anno 2016

la detrazione IRPEF e IRES per il risparmio energetico

(c.d. ECOBONUS) nella misura del 65% per gli

interventi di “domotica” consistenti nell'acquisto,

installazione e messa in opera di dispositivi

multimediali per il controllo da remoto degli impianti di

riscaldamento o produzione di acqua calda o di

climatizzazione delle unità abitative, volti ad aumentare

la consapevolezza dei consumi energetici da parte degli

utenti e a garantire un funzionamento efficiente degli

impianti. Tali dispositivi devono:

a) mostrare attraverso canali multimediali i consumi

energetici, mediante la fornitura periodica dei dati;

b) mostrare le condizioni di funzionamento correnti e la

temperatura di regolazione degli impianti;

TeLex ANIE maggio 2016 7

c) consentire l'accensione, lo spegnimento e la

programmazione settimanale degli impianti da

remoto.

In merito, interviene ora l’Agenzia delle Entrate con

alcune indicazioni fornite nella circolare 20/E del 18

maggio scorso.

In particolare, viene chiarita la possibilità di beneficiare

della detrazione anche nell’ipotesi in cui l'acquisto,

l'installazione e la messa in opera dei dispositivi

multimediali siano effettuati successivamente o anche in

assenza di interventi di riqualificazione energetica.

Inoltre, considerato il costo ridotto degli interventi in

esame, la detrazione è fruibile nella misura del 65% del

totale delle spese sostenute per l’acquisto,

l’installazione e la messa in opera dei dispositivi

multimediali, senza alcun tetto massimo, visto che non è

previsto dalla legge.

Rimangono comunque ancora da chiarire gli specifici

adempimenti (documentazione da inviare all’ENEA)

necessari per fruire dell’Ecobonus per i citati interventi

di domotica.

RINNOVABILI

AIUTI DI STATO E ENERGIE RINNOVABILI -

IL TRIBUNALE DELL’UE CONFERMA CHE LA

LEGGE TEDESCA SULLE ENERGIE

RINNOVABILI DEL 2012 COMPORTA DEGLI

AIUTI DI STATO

La legge tedesca sulle energie rinnovabili del 2012

(EEG 2012) comportava aiuti di Stato. Questo è il

verdetto del nuovo capitolo appena conclusosi nella

controversia tra Germania e la Commissione europea

(Commissione) sugli aiuti di Stato nel settore

energetico. Con la sentenza dello scorso 10 maggio,

infatti, il Tribunale dell’UE (Tribunale) ha respinto il

ricorso presentato dalla Germania avverso la decisione

della Commissione che nel 2014 aveva qualificato come

aiuti di Stato il sostegno alle imprese produttrici di

elettricità a partire da fonti di energia rinnovabili e la

riduzione di una sovrattassa per alcune imprese a forte

consumo di energia elettrica, pur avendo ritenuto la

maggior parte di tali misure compatibili con le regole

del mercato interno.

La legge EEG 2012 prevedeva un meccanismo di

sostegno destinato appunto alle imprese che producono

elettricità con fonti rinnovabili e a partire da gas da

estrazioni minerarie (ossia derivanti dall’estrazione ad

esempio del carbone), in grado di garantire a tali

imprese un prezzo di vendita dell’energia elettrica

superiore a quello di mercato. Per finanziare tale misura,

la EEG 2012 prevedeva anche una sovrattassa

(sovrattassa EEG) a carico dei fornitori, che a loro volta

dovevano versarla ai gestori delle reti di trasmissione

interregionale ad alta ed altissima tensione, e che

andava a gravare in ultima istanza sui clienti finali.

Inoltre, le imprese a forte consumo di energia elettrica

potevano sottrarsi parzialmente alla sovrattassa EEG

grazie a degli sconti loro concessi dalla EEG 2012

stessa. L’obiettivo era quello di salvaguardare la

competitività internazionale delle aziende tedesche,

sgravandole di una parte dell’onere per finanziare

l’elettricità rinnovabile. Sia il sostegno alle imprese

produttrici di energia verde, sia la riduzione della

sovrattassa, erano finiti tuttavia sotto il faro della

Commissione che, nel 2014, aveva qualificato dette

misure come aiuti di Stato, anche se in parte compatibili

con il mercato interno (la Commissione aveva imposto

quindi un recupero solo parziale).

Il Tribunale, con la sentenza in commento, ha

confermato le conclusioni cui era giunta la

Commissione ed ha affermato che la riduzione della

sovrattassa EEG per gli energivori conferiva loro “…un

vantaggio ai sensi del diritto dell’Unione in materia di

aiuti di Stato...”. Secondo il Tribunale, la Commissione

aveva ritenuto giustamente che la riduzione della

sovrattassa EEG liberasse dette imprese da un onere che

di regola avrebbero dovuto sostenere. Le motivazioni

sottese a una misura di sostegno, infatti, non possono

ritenersi sufficienti a sottrarre per se una simile misura

dalla qualificazione come aiuto. Inoltre, la Commissione

aveva anche rilevato correttamente che l’EEG 2012

implicava l’utilizzazione di risorse statali. Infatti, i

meccanismi previsti dalla EEG 2012 rientravano nel

quadro dell’attuazione di una politica pubblica di

sostegno ai produttori di elettricità definita dallo Stato.

In primo luogo, i fondi generati dalla sovrattassa EEG

rimanevano sotto l’influenza dominante dei pubblici

poteri, con ciò differenziando il caso di specie dal

meccanismo introdotto dalla legge tedesca oggetto di

scrutinio nel precedente caso PreussenElektra, in cui

l’esistenza di un aiuto di Stato era stata esclusa: i fondi

in discussione in detta causa non potevano essere

considerati una risorsa statale in quanto non erano sotto

controllo pubblico in alcun momento. In secondo luogo,

gli importi generati dalla sovrattassa EEG costituivano

fondi che comportavano una risorsa dello Stato,

assimilabili a una tassa. Infine, le competenze e le

funzioni attribuite ai fornitori consentivano di

concludere che questi ultimi non agivano liberamente e

per proprio conto, bensì in qualità di gestori di un aiuto

concesso loro mediante fondi statali, alla stregua di un

ente che esegue una concessione statale.

In conclusione, la sentenza in commento fa presagire

una modifica dell’impianto normativo tedesco in tale

peculiare settore, sinora basato essenzialmente sugli

incentivi finanziati grazie ad una sovrattassa pagata dai

consumatori finali di energia. Ad oggi, tuttavia, il

quadro dei possibili sviluppi rimane ancora incerto. Non

resta che vedere come verranno conclusi gli altri dieci

ricorsi, proposti da differenti imprese, attualmente

ancora pendenti dinanzi al Tribunale avverso la

medesima decisione della Commissione, che erano stati

sospesi in attesa della sentenza in commento.

Avv. Cecilia Carli

Freshfields Bruckhaus Deringer

TeLex ANIE maggio 2016 8

LEGITTIMO AFFIDAMENTO E SETTORE

DELLE ENERGIE RINNOVABILI – IL

CONSIGLIO DI STATO CONFERMA LA LINEA

DURA ADOTTATA DAI GIUDICI

AMMINISTRATIVI IN MERITO ALL’ASSENZA

DI ALCUNA SITUAZIONE DI LEGITTIMO

AFFIDAMENTO INCISA DAL “QUARTO

CONTO ENERGIA”

Il restringimento delle condizioni per l’accesso alle

tariffe incentivanti per la produzione di energia da fonti

rinnovabili disposta con l'introduzione del c.d. “Quarto

conto energia” (attuato con il decreto ministeriale 5

maggio 2011, Decreto), e la correlata riduzione del

periodo di vigenza del precedente “Terzo conto energia”

da dicembre 2013 al 31 maggio 2013, non violano il

principio di legittimo affidamento.

A ribadirlo è stato il Consiglio di Stato (CdS), il quale

ha respinto il ricorso presentato da Renew Consorzio

Energie Rinnovabili, attivo nella produzione di energia

elettrica da impianti fotovoltaici, contro la sentenza

pronunciata dal TAR Lazio nel febbraio 2013.

Con una motivazione volutamente “sintetica” (sul

presupposto che la questione in esame fosse già stata

trattata in più occasioni da parte dei giudici

amministrativi), il CdS si è limitato a confermare quanto

dallo stesso già affermato in merito all’assenza di una

situazione di legittimo affidamento in capo agli

operatori incisa dall’intervenuto Decreto. In particolare,

il CdS non ha ravvisato alcun “…investimento

meritevole di essere salvaguardato, perché la

rimodulazione legislativa non è affatto incerta o

improvvisa, ma conosciuta dagli operatori (accorti) del

settore come in itinere (la nuova direttiva comunitaria

[ossia la direttiva che ha determinato l’introduzione del

“Quarto conto energia” ad opera del Decreto] è infatti

del 2009)…”.

Il CdS ha altresì negato che il Decreto in esame, e le

connesse limitazioni operate all’allora vigente regime

degli incentivi, violi la Costituzione. Sotto tale profilo,

appare quantomeno curiosa la motivazione resa dal CdS

che, nel negare la sussistenza di una violazione dell’art.

3 Cost. e del principio di ragionevolezza, ha ritenuto di

considerare i “danni alle aziende” determinati dal

Decreto e lamentati dalla ricorrente alla stregua di meri

“…inconvenienti di fatto non direttamente riconducibili

alla norma denunciata, che in quanto tali non sono

idonei a rendere costituzionalmente illegittima la

normativa in esame…”.

Con la sentenza in commento, il CdS ha pertanto

confermato la linea dura che da tempo i giudici

amministrativi hanno inteso adottare con riferimento ad

una tematica che, benché a detta di questi ultimi non

determini alcuna situazione di legittimo affidamento

“giuridicamente” tutelabile in capo agli operatori del

settore, ha sicuramente inciso sulla situazione

economica e finanziaria di tutte quelle aziende che, sulla

base del precedente regime incentivante previsto dal

“Terzo conto energia”, avevano pianificato e, in molti

casi, già effettuato cospicui investimenti, determinando

conseguenze a dir poco gravose per le medesime.

Conseguenze, queste, che il CdS ha oggi ricondotto a

meri “inconvenienti di fatto”.

Avv. Martina Bischetti

Freshfields Bruckhaus Deringer

ENERGIA / REGOLAZIONE TARIFFARIA E

SERVIZI AUSILIARI – PER IL TAR PUÒ

ESSERE INCENTIVATA SOLO L’ENERGIA

NETTA

Ai fini del computo della tariffa onnicomprensiva

l’energia elettrica incentivabile è solo quella netta

immessa in rete, ad esclusione (fra l’altro) di quella

assorbita dai servizi ausiliari.

A precisarlo è stato il TAR Lombardia (TAR), il quale

ha respinto il ricorso proposto da Lario Green Energy

(LGE), titolare di un impianto di produzione di energia

elettrica alimentato a biomassa vegetale e qualificato

come IAFR (Impianto a fonte rinnovabile), avverso la

decisione del Gestore dei Servizi Energetici (GSE) di

diminuire la tariffa incentivabile in regime di tariffa

onnicomprensiva della quota corrispondente all’energia

utilizzata per il funzionamento del diverso impianto di

essicazione di biomassa vegetale, utilizzata poi da LGE

come combustibile.

Il GSE aveva infatti considerato l’attività svolta nel

suddetto impianto di essicazione alla stregua di un

servizio ausiliario all’attività di produzione di energia

elettrica di LGE, risolvendo di incentivare con la tariffa

onnicomprensiva solo l’energia elettrica netta, ossia il

totale dell’energia immessa in rete dall’impianto di LGE

detratta quella acquistata sul mercato ed impiegata nel

processo produttivo della prima.

Simile conclusione è stata condivisa dal TAR, il quale,

pur ammettendo come lo stesso avesse in passato

riconosciuto la differenziazione tra il sistema di

incentivazione tramite certificati verdi, ancorato al

concetto di produzione annua netta, e quello basato sulla

tariffa onnicomprensiva, in cui ad essere incentivata

avrebbe dovuto essere tutta l’energia immessa in rete

(energia lorda), ha tuttavia risolto che “…anche alla

luce di una recente decisione emessa dal Giudice

d’appello, […] queste conclusioni meritino un

ripensamento (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 22

gennaio 2016, n. 204)…”.

Ed infatti, a giudizio del TAR, il riferimento alla

produzione annua netta contenuto nella definizione di

“energia elettrica incentivata” ai sensi del DM 18

dicembre 2008 avrebbe valenza generale, riferendosi sia

al regime dei certificati verdi, sia a quello della tariffa

onnicomprensiva.

In altre parole, unico discrimine esistente tra i due

sistemi incentivanti sarebbe dato dal fatto che “…per il

regime della tariffa onnicomprensiva […] l’energia

netta (unica ad essere incentivabile) deve essere

calcolata in funzione dell’energia effettivamente

immessa nel sistema elettrico e non già in funzione

TeLex ANIE maggio 2016 9

dell’energia prodotta, come può avvenire invece per i

certificati verdi […] Ciò tuttavia non significa che deve

essere incentivata tutta l’energia immessa in rete,

essendo riferito questo dato funzionale alla

determinazione delle modalità di calcolo dell’energia

netta (unico dato veramente rilevante), la quale, come

visto, si ottiene sottraendo all’energia immessa in rete

(fra l’altro) quella assorbita dai servizi ausiliari…”.

Una significativa pronuncia, quella del TAR, che

conferma il recente mutamento giurisprudenziale

operato dai giudici amministrativi in materia,

probabilmente dovuto alla “…davvero infelice

formulazione della norma…”, come espressamente

riconosciuto dal giudice di prime cure.

Avv. Martina Bischetti

Freshfields Bruckhaus Deringer

SICUREZZA PRODOTTI E IMPIANTI

EFFICACIA DIRETTA NELL'ORDINAMENTO

ITALIANO DELLE DIRETTIVE COMUNITARIE

DI PRODOTTO NON TEMPESTIVAMENTE

RECEPITE - La portata della circolare del MISE

del 21.3.2016

A decorrere dal 20 aprile 2016 sono divenute applicabili

otto nuove Direttive dell'Unione Europea, molte delle

quali presentano una specifica rilevanza ai fini della

"immissione sul mercato" e successiva “messa a

disposizione” di “prodotti” elettrici ed elettronici.

Ci si riferisce in particolare alle direttive 2014/30/UE

"sulla compatibilità elettromagnetica", 2014/33/UE

sugli "ascensori e sui componenti di sicurezza per

ascensori", 2014/34/UE sugli "apparecchi e sistemi di

protezione destinati a essere utilizzati in atmosfera

potenzialmente esplosiva" e 2014/35/UE "sul materiale

elettrico destinato a essere adoperato entro taluni limiti

di tensione".

L'Italia, allo stato attuale, non ha ancora provveduto a

recepire e pubblicare i decreti di attuazione e

recepimento delle suddette direttive 1

ma ha provveduto

invece ad emanare, tramite Ministero dello Sviluppo

Economico, la circolare del 21.3.2016. Tale circolare

sarebbe specificamente volta, per espressa indicazione

del Ministero suddetto, ad assicurare l'applicazione in

via urgente e provvisoria delle nuove direttive sulla base

di una asserita pacifica diretta applicabilità delle stesse

nel diritto interno dei paesi membri. Tale circolare ha

destato forti dubbi tra gli "operatori economici", in

particolare "fabbricanti", "importatori" e "distributori"

di prodotti elettrici ed elettronici, in merito agli obblighi

legislativi effettivamente vigenti fino alla data di

effettiva attuazione in Italia delle nuove direttive. La

circolare del Ministero appare infatti contraddire alcuni

principi consolidati di diritto comunitario che

riguardano l'"efficacia" delle direttive dell'Unione

Europea e che riguardano i soggetti diretti destinatari

degli obblighi previsti dal legislatore comunitario.

Al fine di valutare la effettiva portata degli obblighi che

fanno capo agli "operatori economici" a partire dal 20

aprile u.s. fino al momento dell’entrata in vigore dei

provvedimenti di recepimento delle nuove direttive,

occorre quindi valutare la correttezza dell'affermazione

del Ministero dello Sviluppo Economico secondo la

quale le direttive non recepite sono direttamente e

pacificamente applicabili nel diritto interno.

La risposta a tale quesito risulta di fondamentale

importanza in quanto dalla stessa potranno derivare

specifiche e importanti conseguenze riguardanti

l'applicabilità di sanzioni sia amministrative che penali,

nonché riguardanti la legittimità di eventuali misure

restrittive della libera circolazione dei prodotti quali

"fermi in dogana", "sequestri", "confische" , "ritiri" e

"richiami" dei prodotti dal mercato, che fossero basati

sulla pretesa violazione delle direttive dell'Unione

Europea non ancora recepite dall’Italia.

Il necessario fondamento di ogni possibile risposta deve

essere costituito dal rilievo che le direttive UE, sulla

base dell'art. 288 del Trattato sul Funzionamento

dell'Unione Europea vincolano solo gli Stati Membri

che hanno l’obbligo di recepirle ed attuarle

tempestivamente nell’ordinamento interno per mezzo di

atti aventi portata legislativa. Solo gli atti di

recepimento delle direttive comunitarie hanno infatti

portata vincolante per i privati e per gli "operatori

economici".

Le direttive non sono pertanto atti legislativi self

executive e non sono direttamente applicabili nei

confronti dei singoli in quanto le stesse non hanno quali

destinatari diretti i cittadini e le imprese dell'Unione

Europea. L'Italia, in qualità di Stato membro della UE,

avrebbe dovuto quindi provvedere alla tempestiva

attuazione delle nuove direttive UE tramite

l'emanazione dei necessari provvedimenti di attuazione

e recepimento che, nel caso specifico, avrebbero dovuto,

in primo luogo, identificare le autorità di vigilanza del

mercato e, in secondo luogo, provvedere alla istituzione

di nuovi apparati sanzionatori effettivi, proporzionati ed

efficaci nel rispetto delle disposizioni delle nuove

direttive comunitarie. Nessuna altra previsione

normativa era richiesta all'Italia dato che tutte le nuove

direttive rientrano nell'ambito delle direttive di

“armonizzazione totale” che comportano possibilità

minime di intervento da parte del legislatore nazionale.

Ad onore del vero gli schemi dei decreti legislativi di

recepimento delle nuove direttive erano pronti da tempo

ma, inspiegabilmente, sono rimasti a lungo al vaglio

delle pertinenti commissioni parlamentari e del

Consiglio dei Ministri.

Le direttive UE si differenziano, quindi, notevolmente

rispetto ai Regolamenti UE, sempre più utilizzati ai fini

dell'emanazione della normativa di prodotto 2, che

hanno, a differenza delle prime, portata generale e che

risultano obbligatori e direttamente applicabili ai singoli

in tutti i propri elementi sin dalla data di applicabilità

TeLex ANIE maggio 2016 10

fissata dal legislatore dell'Unione Europea. Tale diretta

applicabilità nei confronti dei singoli non è in alcun

modo “translabile” sulle direttive UE che proprio per

tale aspetto si differenziano dai Regolamenti.

Nell'ambito di tale quadro legislativo "fabbricanti",

"importatori" e "distributori" sono pertanto solo dei

destinatari indiretti delle previsioni delle direttive di

prodotto che rimarranno tali fino all’emanazione di

specifici provvedimenti legislativi di attuazione e di

recepimento delle direttive dell'Unione Europea.

Ne deriva che nessuna sanzione amministrativa

pecuniaria e nessuna sanzione penale potrà essere

pertanto applicata agli “operatori economici” per la

violazione delle direttive non recepite dall’Italia o da

eventuali altri paesi inadempienti dell’Unione Europea.

Al pari, nessun altro provvedimento di vigilanza del

mercato o misura limitativa della libera circolazione dei

prodotti potrà essere applicata agli "operatori

economici" che, in assenza di specifici atti di attuazione

e recepimento, abbiano continuato ad "immettere nel

mercato" italiano ed a commercializzare prodotti

conformi alle precedenti direttive ed ai rispettivi decreti

nazionali di attuazione, la cui applicabilità risulterà,

quindi, di fatto, prorogata fino alla effettiva entrata in

vigore dei provvedimenti di attuazione delle nuove

direttive. Ne deriva inoltre che eventuali violazioni

delle nuove disposizioni non potranno neanche

comportare l'irrogazione di sanzioni già in vigore

nell'ordinamento italiano nell’ambito di disposizioni

legislative aventi carattere trasversale quali sono quelle

previste dal "Testo Unico in materia di sicurezza sul

lavoro" 3 e dal "Codice del consumo" rispettivamente

per l'"immissione sul mercato" di prodotti "non

conformi" alle disposizioni di recepimento delle

direttive comunitarie e per l'”immissione sul mercato”

di prodotti “pericolosi”.

La Corte di Giustizia UE al riguardo ha infatti rilevato

che:

“…il principio della certezza del diritto osta a che le

direttive possano, di per se stesse, creare obblighi in

capo ai singoli. Le direttive non possono quindi essere

fatte valere in quanto tali dallo Stato membro contro

singoli” 4

Quanto qui da ultimo esposto risulta ovviamente valido

per ogni altro paese che non abbia tempestivamente

recepito le nuove direttive. Tutti i paesi che abbiano

invece recepito tempestivamente le nuove direttive

potranno invece pretendere la puntuale applicazione

delle stesse da parte degli "operatori economici" di

tutta la UE.

Alla luce del quadro legislativo fin qui esposto si ricava

che l'unica possibile violazione delle disposizioni delle

nuove direttive dell'Unione Europea risulta essere

proprio quella compiuta dallo stesso Stato italiano nei

confronti del quale potrà essere attivata una procedura

di infrazione comunitaria dovuta al mancato tempestivo

recepimento delle nuove direttive di prodotto.

Premesso quanto sopra occorre altresì fare chiarezza

sulle questioni che risultano purtroppo equivocate nella

circolare in oggetto e che riguardano fondamentalmente

la efficacia diretta delle direttive comunitarie che gli

operatori economici possono volontariamente invocare

esclusivamente nei confronti delle Autorità

amministrative e giudiziarie degli Stati membri ma che

questi ultimi non possono invocare nei confronti dei

privati in ambito UE.

L'efficacia diretta si basa sul presupposto che le

violazioni del diritto dell'Unione Europea poste in

essere dallo Stato membro non devono ricadere sui

singoli e, quindi, sugli “operatori Economici” che

avranno quindi il diritto di fare valere verticalmente, nei

confronti dello Stato membri inadempiente, le

disposizioni delle direttive di prodotto non recepite.

A tale riguardo la giurisprudenza della Corte di giustizia

UE ha infatti efficacemente statuito che:

“basti rilevare al riguardo che, come discende dalla

sentenza 26 febbraio 1986 Marschall, la giurisprudenza

sulla possibilità di fare valere direttive nei confronti

degli enti statali è fondata sulla natura cogente

attribuita alla Direttiva dall’art. 249 CE (ex art. 189),

natura cogente che esiste solo, nei confronti dello Stato

membro cui è rivolta. Detta giurisprudenza mira ad

evitare che uno Stato possa trarre vantaggio dalla sua

trasgressione del diritto comunitario …”5.

Gli "operatori economici" potranno pertanto applicare

su base volontaria le nuove direttive di prodotto non

ancora recepite da parte dell'Italia senza che tale diretta

applicazione possa comportare l'applicazione di

sanzioni o di misure limitative della libera circolazione

dei prodotti. Nel caso in questione sussistono infatti tutti

i requisiti indicati dalla giurisprudenza della Corte di

Giustizia dell'Unione Europea ai fini dell'applicabilità

diretta verticale dei diritti dei singoli verso i vertici

istituzionali in quanto:

a) risultano ormai scaduti i termini per il recepimento

nell’ordinamento nazionale delle nuove direttive;

b) le nuove direttive sono sufficientemente precise,

trattandosi di direttive incondizionate e di

armonizzazione totale.

In presenza di questi requisiti risulterebbe quindi

illegittimo il diniego da parte delle autorità statali

relativo alla applicazione diretta di direttiva europee da

parte degli “operatori economici” anche in assenza di

atti legislativi e/o regolamentari di recepimento.

Occorre però precisare che l’“efficacia diretta” delle

direttive non recepite risulta invocabile solo

verticalmente nei confronti degli Stati membri

inadempienti e non già a livello orizzontale nei rapporti

tra soggetti privati a meno che non sussistano al

riguardo specifiche pattuizioni contrattuali.

Pertanto, in conclusione le amministrazioni interessate

dalla Circolare del Mise del 21.316 non hanno alcun

TeLex ANIE maggio 2016 11

diritto di dare applicazione urgente e provvisoria alle

direttive non recepite nei confronti degli “operatori

economici”, mentre questi ultimi avranno il diritto di

fare valere, su base volontaria, l’efficacia diretta delle

direttive non recepite al fine anche di non subire

pregiudizi nella commercializzazione dei propri prodotti

nel mercato unico europeo.

Avv. Claudio Gabriele, Avv. Maria Sole Lora

Studio Associato Oddo Lora Gabriele

Note:

1 Il Consiglio dei Ministri ha approvato in data 16/5/2016 i

decreti di recepimento delle nuove direttive. Al momento della

stesura del presente articolo non è ancora nota la data di

pubblicazione dei suddetti decreti in Gazzetta Ufficiale della

Repubblica Italiana e conseguentemente non è nota la data di

effettiva entrata in vigore degli stessi.

2 v. a titolo di esempio Reg. (UE) 305/2011 sui materiali da

costruzione e Reg. (UE) 1223/2009 sui prodotti cosmetici e

Reg. (UE) 425/2016 sui dispositivi di protezione individuale.

3 v. combinato disposto artt. 23 e 57, c. 2 del D.lgs. 81/08 e

112, c.2 del “Codice del consumo” in attuazione della

direttiva 2001/95/CE sulla sicurezza generale dei prodotti.

4 v. Corte di Giustizia CE Sentenza 5.7.2007, causa C-321/05

– v. anche sentenze 11 giugno 1987, causa 14/86, Pretore di

Salò/X, Racc. pag. 2545, punti 19 e 20; 8 ottobre 1987, causa

80/86, Kolpinghuis Nijmegen, Racc. pag. 3969, punti 9 e 13;

26 settembre 1996, causa C-168/95, Arcaro, Racc. pag. I-

4705, punti 36 e 37, nonche 3 maggio 2005, cause riunite C-

387/02, C-391/02 e C-403/02, Berlusconi e a., Racc. pag. I-

3565, punti 73 e 74.

5 Vedere Sentenza del 14.7.1994 in causa C- 91/92

DIRETTORE RESPONSABILE

Maria Antonietta Portaluri

REDAZIONE

Alessandra Toncelli – Mirella Cignoni

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TeLex Anie

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Telex ANIE Maggio 2016 1

Approfondimento del mese di Maggio 2016

IL NUOVO CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI E CONCESSIONI

In data 19 aprile 2016 è entrato in vigore il nuovo Codice dei contratti pubblici e concessioni, che abroga il precedente D.Lgs.n. 163/2006, destinato quindi ad andare definitivamente in pensione. Non risulta infatti previsto alcun periodo transitorio, il che significa che tutte le nuove gare (aperte e ristrette) il cui bando risulta pubblicato dopo l’entrata in vigore del nuovo Codice, nonché tutte le procedure (negoziate) la cui lettera di invito è stata spedita dopo il 19/4 u.s., devono essere regolamentate dal D.Lgs.n. 50/2016 mentre, per quanto concerne le procedure di gara in corso, queste continuano ad essere regolamentare secondo i dettami del “vecchio” D.Lgs.n. 163/2006. Ma cosa cambia in concreto con l’entrata in vigore del nuovo Codice ? Diciamo subito che le novità sono tantissime, sia per le stazioni appaltanti che per i concorrenti, con l’introduzione di nuovi sistemi di qualificazione e nuove procedure di gara, con la modifica sostanziale dei requisiti di partecipazione e dei criteri di valutazione, con l’innovazione in tema di commissioni giudicatrici nonché l’introduzione del concetto di “ciclo di vita”, con il nuovo Documento di gara unico europeo (però solo dal 18/4/2018) ecc... e tutto questo solo nei settori ordinari. Una disciplina a parte, infatti, è stata finalmente prevista per i cd. settori speciali (gas, energia termica, elettricità, acqua, trasporti, servizi aeroportuali, servizi postali), senza dover continuamente riferirsi - per la loro specifica regolamentazione - alla parte generale, come nel precedente D.Lgs.n. 163/2006. Altra importantissima novità è poi rappresentata dalla prima normativa (dettagliata ed organica) in tema di concessioni pubbliche, con il definitivo superamento dell’art. 30 del vecchio Codice, sostituito da una quindicina d’articoli (dal 164 al 178), in cui si delineano le caratteristiche tipiche di questo istituto, sono fissati gli importi e regolamentate le procedure, viene definito il concetto di “rischio operativo “ ecc.. Si proceda tuttavia con ordine in quanto, prima d’entrare nel merito della trattazione delle singole novità, è opportuno evidenziare alcuni importanti principi d’ordine generale del nuovo Codice. Innanzitutto si consideri come il D.Lgs.n. 50/2016 rappresenti la norma di recepimento delle 3 direttive comunitarie 23, 24 e 25/2014, rispettivamente emanate nell’ambito delle concessioni, dei settori speciali e dei settori ordinari e, come nel precedente D.Lgs.n. 163/2006, il Legislatore italiano abbia ritenuto opportuno riunire, in un unico corpus normativo, tutti e tre i diversi settori (opere, forniture e servizi) degli appalti pubblici, mantenendo inoltre la medesima regolamentazione sia per gli appalti d’importo soprasoglia comunitaria che per quelli sottosoglia (con qualche piccola differenza relativamente a questi ultimi). Le 3 direttive comunitarie avevano poi una particolare mission rappresentata dalla volontà del Legislatore comunitario di rilanciare l’economia europea - attraverso la leva macroeconomica degli appalti pubblici - mentre il Legislatore italiano ha deciso di perseguire, con l’introduzione della nuova disciplina su appalti e concessioni, un altro obiettivo strategico ovvero la lotta alla corruzione, che si declina anche (e soprattutto) attraverso la semplificazione delle procedure di gara. È dunque partendo da questi obiettivi che si comprende, da un lato, la meritoria opera di riduzione del numero di articoli, che passano dai 616 del precedente corpus normativo (257 articoli + 27 allegati il vecchio Codice, 359 articoli + 15 allegati il suo Regolamento attuativo) agli attuali 217 articoli, drastica riduzione che tuttavia dev’essere compensata da costanti rinvii e rimandi ad altre forme di regolamentazione di dettaglio; per questo il Legislatore italiano ha deciso, per sopperire alla carenza di regolamentazione - ma senza venir meno all’obiettivo di semplificazione legislativa - di ricorrere alla tecnica del Soft law, ovvero di rinvio ad “atti attuativi di livello non normativo”, la cui tipologia più nota sono le cd. “Linee-guida” dell’A.N.AC. In questo modo, tuttavia, non solo si perde la spinta “codicistica” di normazione, in un unico testo, di tutti gli aspetti di regolamentazione di un determinato settore (che era stato il grande pregio del Codice De Lise, dopo oltre 100 anni di norme sugli appalti sparse in oltre 150 differenti leggi), ma crea dall’altro un grosso problema - per il momento irrisolto – ovvero stabilire quale sia il potere “coercitivo” di dette

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Linee-guida rispetto, ad es., ad una lex specialis di una gara difforme ad alcuni dettami di una linea-guida ecc., con non pochi problemi interpretativi, di certo forieri di un futuro contenzioso. Venendo poi al dettaglio delle novità del nuovo Codice, sono da evidenziare quanto segue. La struttura: Come si è avuto modo di precisare, il D.Lgs.n. 50/2106 consta di 217 articoli, suddivisi in Parti, Titoli e Capitoli; per una sua più agevole lettura si è qui voluto fornire uno schema riassuntivo, per permettere di rintracciare più velocemente gli argomenti d’interesse: - PRINCIPI GENERALI (oggetto, competenza Stato-Regioni, Definizioni)…….... artt. 1-3 - CONTRATTI ESCLUSI (quelli a cui NON si applica il presente Codice) …….… artt. 4-20 - PROGRAMMAZIONE/Pianificazione ………………………………………..….…. artt. 21-27 - PRINCIPI COMUNI (trasparenza, RUP, controlli, principi ecc.) …………….…… artt. 28-34 - SOGLIE e QUALIF. STAZIONI APPALTI …………………………………………. artt. 35-43 - TIPOLOGIA CONCORRENTI ……………………………………………..…….…. artt. 44-49 - LOTTI/ACCESSO ……………………………………………………..…………..…. artt. 51-53 - APPALTI ELETTRONICI ………………………………………………..……….….. artt. 54-58 - SETTORI ORDINARI …………………………………………………..……….…… artt. 59-93 - AGGIUDICAZIONE/FASE ESECUTIVA …………………………………………… artt. 94-113 - SETTORI SPECIALI ………………………………………………………………..… artt. 114-141 - APPALTI PARTICOLARI (sociali, culturali, concorsi progetti. ecc.) ………….…. artt. 142-163 - CONCESSIONI ……………………………………………………………………….. artt. 164-178 - PARTENARIATO Pubbl.- Priv./Contr. Generale …………………………………... artt. 179-203 - CONTENZIOSO ……………………………………………………………………….. artt. 204-211 Non potendo tuttavia affrontare la trattazione di tutti gli istituti, ci si limita a segnalare le più importanti novità rispetto al precedente D.Lgs.n. 163/2006, seguendo l’indice cronologico con cui si incontrano. Programmazione (art. 21): La prima novità è l’obbligo, imposto a tutte le Amministrazioni, di pubblicare il programma biennale d’acquisti futuri di beni e servizi (d’importo superiore a 40.000€) nonché il programma triennale di realizzazione di opere pubbliche (d’importo superiore a 100.000€), da pubblicarsi entrambe sul sito della P.A. appaltante nonché su quello del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (d’ora in poi solo M.I.T.); è poi previsto che nel mese d’ottobre di ogni anno, relativamente ai beni e servizi, venga stilato un Elenco degli acquisti programmati d’importo superiore ai 1.000.000€, da inviare al Tavolo tecnico dei Soggetti Aggregatori al fine di determinare quali, fra detti beni e servizi, saranno appaltati tramite convenzioni e/o accordi-quadri dai Soggetti Aggregatori. Il presente articolo va poi letto in combinato disposto con l’art. 1, comma 505 Legge Stabilità 2016 (L. 28/12/2015, n. 208) che prevede, oltre all’obbligo di programmazione biennale per gli acquisti di b/s, anche la programmazione annuale per l’individuazione delle risorse finanziarie necessarie per procedere a tali acquisti, con la precisazione che quelli “fuori programma” non saranno più finanziati (ovvero non avranno più copertura economica). Il che porta conseguentemente a ritenere come, oramai, una delle attività principale di ogni P.A. debba essere la corretta programmazione dei propri approvvigionamenti. Trasparenza (art. 29): Direttamente collegato alla programmazione è poi l’obbligo di pubblicare tutti gli atti delle PP.AA. (compresi quelli relativi alle gare nonché all’affidamento delle concessioni), sul sito della stessa P.A, su quello del M.I.T. nonché su quello dell’A.N.AC, con la precisazione che i provvedimenti d’esclusione, le valutazioni relative ai requisiti soggettivi, economico-finanziari e tecnico-professionali nonché la composizione della Commissione Tecnica debbano essere pubblicati entro 2 gg. dalla loro adozione in quanto, ai sensi del nuovo comma 2-bis dell’art. 120 Codice processo amministrativo (come introdotto dall’art. 204 del nuovo Codice appalti), il termine dei 30 gg. per l’impugnazione di detti provvedimenti decorrerà dalla data di loro pubblicazione sul profilo di committenza della P.A. appaltante e non più da quella di ricevimento della relativa comunicazione ex art. 79, comma 5° D.Lgs. n. 163/2006. Soglie comunitarie (art. 35): Sono modificate, con l’introduzione di una nuova soglia relativa ai servizi sociali nonché con l’introduzione di quella sulle concessioni

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Settori Ordinari 135.000 € per Forniture e Servizi aggiudicati da PP.AA. governative 209.000 € per Forniture e Servizi aggiudicati da tutte altre PP.AA. 750.000 € per Servizi sociali e altri ex alleg. IX 5.225.000 € per Lavori e Concessioni Settori Speciali 418.000 € per Forniture, Servizi e concorsi progettazione 1.000.000 € per Servizi sociali e altri ex alleg. IX 5.225.000 € per Lavori Appalti sottosoglia (art. 36): Per gli affidamenti sottosoglia si deve procedere come segue: - Per lavori/forniture/servizi sotto i 40.000 € Affidamento Diretto - Per lavori da 40.000€ a 150.000€ Procedura Negoziata con minimo 5 invitati - Per forniture/servizi da 40.000€ a 209.000€ Procedura negozia-ta con minimo 5 invitati - Per lavori da 150.000€ a 500.000€ Procedura Ristretta con minimo 10 invitati - Per lavori da 500.000€ a 5.225.000€ Procedura Aperta Qualificazione Stazioni appaltanti (art. 37-41): Altra grande novità è l’introduzione del concetto di “qualificazione” anche per le stazioni appaltanti, che si inserisce nel più ampio quadro di politica di centralizzazione degli acquisti; come noto, infatti, le normative note come di “Spending Review” hanno disegnato uno scenario nuovo relativamente alle P.A. appaltanti, stante l’intento del Legislatore di ridurne drasticamente il numero (da 32.000 ad appena 30) tramite l’introduzione della figura dei cd. “Soggetti Aggregatori” (Consip, una centrale di committenza per ogni regione, oltre a qualche “grande” Stazione appaltante). E’ in questo quadro che si inserisce la nuova disposizione secondo cui, da un lato, è stabilito che anche le PP.AA. debbano “qualificarsi” (in base al numero di gare esperite nel precedente triennio, alla professionalità del proprio personale, alla valutazione dell’ANAC ecc.) dopodiché iscriversi all’Elenco tenuto dall’ANAC che, di conseguenza, non rilascerà più i CIG per le future gare se non alle PP.AA. iscritte in detto Elenco. Ciò comporta di conseguenza che le amministrazioni “semplici” (cioè quelle non iscritte all’Elenco ANAC), possono procedere autonomamente solo all’acquisizione di forniture e servizi d’importo inferiore ai 40.000€ nonché di lavori d’importo inferiore ai 150.000€, mentre per importi superiori sono obbligate a ricorrere ad accordi–quadri o convenzioni stipulati dai Soggetti Aggregatori, mentre le amministrazioni “qualificate” possono procedere anche agli acquisti di beni/ servizi dai 40.000€ ai 209.000€ nonché all’affidamento di opere di valore dai 150.000€ al 1.000.000€ tramite ricorso al MePa o, in mancanza, attraverso procedure ordinarie. Conflitto d’interesse (art. 42): Nell’ambito invece della lotta alla corruzione è stato introdotto un apposito articolo che, per la prima volta, descrive quando si configura un conflitto d’interesse in una procedura per l’affidamento di un appalto o di una concessione (ma valevole anche in fase esecutiva), ovvero quando “personale di una stazione appaltante” o di un operatore economico interviene nello svolgimento di una gara – anche solo per “influenzarne in qualsiasi modo il risultato” - in quanto nutre un interesse diretto o “indiretto”, di natura finanziaria, economica ma anche di “altro tipo” (purché personale), tale da poter essere (anche solo) “percepito” – non è quindi necessario che tale influenza abbia portato ad una effettiva distorsione della concorrenza – come una minaccia all’imparzialità ed indipendenza della procedura di gara, configurandosi in tal un “conflitto d’interesse”. Ben si comprende come l’estrema genericità ed indeterminatezza dei concetti sopraesposti renda particolarmente “estendibile” l’applicazione del nuovo istituto, con conseguente enorme difficoltà circa la sua corretta configurazione. Indicazione nominativa personale (art. 45): E’ interessante sottolineare come, negli appalti di servizi e lavori, è concessa alla P.A. appaltante la facoltà di richiedere ai concorrenti l’indicazione nominativa e la qualifica professionale del personale che sarà adibito alla prestazioni oggetto dell’appalto messo in gara.

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Associazione temporanea d’imprese (art. 48): Da sottolineare tre importanti novità ovvero la possibilità, nel caso d’inadempimento della mandataria, di revoca del mandato collettivo e di pagamento diretto da parte della P.A. appaltante alle singole mandanti adempienti; in secondo la possibilità che la medesima P.A. possa far valere la responsabilità direttamente in capo alle singole mandanti nonché, infine, l‘ammissibilità del recesso di una o più associate, esclusivamente tuttavia per motivi organizzativi e mai per eludere la carenza iniziale di requisiti in capo all’intero raggruppamento. Consultazioni di mercato (art. 66): Altra novità assoluta è rappresentata dalla possibilità, concessa finalmente alle PP.AA., di una interlocuzione ed un confronto fra le stesse ed il mercato per una migliore predisposizione delle procedure di gara, con l’unico limite rappresentato dal divieto di falsare la concorrenza nonché di violare i principi di trasparenza e non discriminazione. Il Legislatore non regolamenta in alcun modo la “procedura” di consultazione, lasciandola quindi alla più ampia libertà delle stazioni appaltanti, ragion per cui sarà molto interessante vedere come questo nuovo strumento verrà utilizzato, anche tenuto conto del portato dell’art. 42 sul conflitto d’interessi. Commissione tecnica (art. 77): Altra grande novità, assunta sempre nell’ottica della lotta alla corruzione, è l’introduzione dell’obbligo d’individuazione dei Commissari tecnici non più scelti dalla stazione appaltante ma selezionati tra una rosa “doppia” di candidati, estratti a rotazione da un Elenco tenuto dall’A.N.AC.; unica deroga è rappresentata dalle gare d’importo inferiore ai 150.000€ nonché dalle gare telematiche. Come questa novità, di rilevantissimo impatto sia in termini economici che di rispetto della tempistica delle pubbliche gare, riuscirà ad andare effettivamente a regime è certamente un altro aspetto di sicuro interesse. Requisiti moralità (artt. 80-81): Per quanto riguarda i requisiti d’ordine generale si riscontra un definitivo superamento dell’art. 38 nonché della tecnica d’elencazione di tutte le cause d’esclusione dalle pubbliche gare, con la diversa previsione di rinvii al codice penale nonché conseguente (estrema) difficoltà d’individuazione delle esatte fattispecie di reato. E’ poi previsto che la dimostrazione del possesso di detti requisiti sarà esclusivamente possibile attraverso l’accesso alla Banca Dati Nazionale degli Operatori Economici, alla cui adozione tuttavia si rinvia a dopo l’emanazione di un apposito decreto del M.I.T.. Si segnala poi che, relativamente ad uno degli aspetti che maggiormente hanno caratterizzato il contenzioso negli ultimi anni (ci si riferisce all’esatta individuazione dei soggetti che devono rilasciare la dichiarazione ex art. 38), il nuovo articolo non contribuisce al superamento di detta problematica, limitandosi a prescrivere l’obbligo d’accertamento dei requisiti di moralità in capo ai soggetti “muniti di rappresentanza”, senza precisare altro. Soccorso istruttorio (ancora art. 83): Relativamente al cd. soccorso istruttorio “rafforzato” (introdotto dal comma 2-bis del vecchio art. 38) ed a tutte le problematiche successive alla sua introduzione, il nuovo Codice risolve due delle questioni più dibattute in giurisprudenza ovvero, da un lato, stabilisce che la sanzione pecuniaria può essere comminata solo in caso di prosieguo del concorrente nella partecipazione alla gara, dall’altro che la sanatoria è obbligatoria relativamente ad irregolarità anche solo “formali” ma senza quindi, in tal caso, alcun obbligo di pagamento della sanzione pecuniaria. Offerta economicamente più vantaggiosa (art. 95): Ad una prima lettura di questo articolo sembrerebbe intendersi che il Legislatore abbia voluto abrogare il criterio del prezzo più basso, lasciando quindi solo quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa; trattasi in realtà di una ”falsa” novità, in quanto il Legislatore ha previsto che la scelta del futuro contraente avverrà in base al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa che, a sua volta, si declina o nel miglior rapporto prezzo-qualità, oppure “sulla base dell’elemento prezzo o del costo, seguendo un criterio di comparazione costo/efficacia”, anche tenuto conto del nuovo concetto di “ciclo di vita” (di cui all’art. 96); entrambi i criteri sono quindi rimasti (anche se non si parla più di “prezzo più basso”).

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Ciclo di vita (art. 96): Grandissima novità è rappresentata dall’introduzione del concetto di ‘ciclo di vita’, che non risulta limitato ai soli prodotti ma che può trovare valida applicazione anche ai servizi e lavori. Il Legislatore ha voluto sottolineare come, nel giudizio circa un bene/ servizio/lavoro, il ‘prezzo’ non sia l’unico elemento di valutazione, non rappresentando l’unico costo poiché, oltre all’acquisizione, occorre tener conto anche dei costi d’utilizzazione, di manutenzione, di smaltimento/riciclaggio nonché, infine, delle cd. “esternalità ambientali”. Oggi dunque la Stazione appaltante può valuterà un bene/ servizio/lavoro relativamente al suo effettivo ‘costo’ stimato nell’arco dell’intero ciclo di vita dello stesso ma, in tal caso, non solo deve espressamente indicarlo in lex specialis, ma altresì deve indicare ai concorrenti su quali dati formulerà il giudizio nonché con quale metodo determinerà i costi del ciclo di vita dell’oggetto di gara. Subappalto (art. 105): Viene confermato il limite del 30%, con la precisazione tuttavia che non costituiscono subappalto – nei lavori pubblici – né la fornitura senza prestazione di manodopera, né i noli a caldo, né la fornitura con posa in opera, sempreché l’importo di dette sia inferiore a 100.000€, sia meno del 2% dell’importo dei lavori e (solo per i noli a caldo e le pose in opera) che il costo della manodopera non superi il 50% dell’importo dei lavori. Le novità risiedono tuttavia nell’obbligo d’indicare espressamente, nel bando di gara, la facoltà di subappaltare (comma 4° lett. a) - con ciò lasciando quindi intendere che, in assenza d’espressa prescrizione, non sia consentito il subappalto - nonché nell’obbligo d’indicare una “terna” di subappaltatori, ciò tuttavia solo quando l’appalto è d’importo superiore alle soglie comunitarie e non è richiesta alcuna particolare specializzazione. Molte altre sono ancora le novità contenute nel nuovo Codice (il Partenariato per l’innovazione, i nuovi requisiti economici, il DGUE, le nuove funzioni del RUP ecc.) relativamente ai settori ordinari, ma si ritiene necessario rinviare a successiva trattazione che riguarderà anche i Settori speciali, le Concessioni, il Partenariato Pubblico Privato, il Contenzioso ecc.

Avv. Andrea Stefanelli Studio Legale Stefanelli (Bologna)