SCIENZE DELLALIMENTAZIONE E DELLA NUTRIZIONE UMANA Anno 2009-2010 Metodologie didattiche.

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SCIENZE DELL’ALIMENTAZIONE E DELLA NUTRIZIONE UMANA Anno 2009-2010 Metodologie didattiche Il cibo e i media: Il cinema

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SCIENZE DELL’ALIMENTAZIONE E DELLA NUTRIZIONE UMANA

Anno 2009-2010

Metodologie didattiche

Il cibo e i media: Il cinema

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Il cibo è uno degli aspetti più importanti e radicati nelle varie culture mondiali.

“E’ il segno distintivo che diversifica ogni nazione, ogni regione, ogni città, ed identifica una diversa storia, una diversa cultura ed un differente modo di intendere l’esperienza culinaria.”

Si può affermare, senza cadere in eresia, che il cibo è lo specchio di un popolo …

Non vi è da stupirsi, dunque, che il cinema, massima ed emblematica rappresentazione di vizi e virtù, tradizioni ed innovazioni, si sia servito anche del cibo per raccontare le sue storie.

Alta si rivela infatti la probabilità, di trovare in una pellicola di ogni tempo,trama ed ambientazione, o semplici particolari che riportino “più o meno direttamente al mondo del cibo” e del luogo in cui esso stesso trae origine: la cucina.

Introduzione

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Il mondo del cibo è

stato una presenza

costante nel cinema

fin dai suoi albori e,

tuttora, rimane uno

degli ingredienti

principe sia nei film

dove solo si

intravede, sia in

quelli dove è

protagonista

assoluto ed

incontrastato.

Il cibo ha pertanto dato al

cinema un contributo

fondamentale,

“regalandogli piacevoli

spunti dal carattere

giocoso, sensuale,

allegro, triste, a seconda

del contesto in cui si è

andato ad inserire.”

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“Variegati e disparati sono i film in cui gli alimenti o la tavola costituiscono un momento focale della narrazione.

Il cibo è il pretesto per esprimere con semplicità l’intera storia e diventa l’icona di una pellicola.

… Il cibo protagonista nel cinema …

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1920 -1939 “La tradizione contadina e il Ventennio fascista“Alcuni film hanno confrontato la tavola della tradizione

contadina (culti alimentari, superstizioni, usanze) con quella dell’aristocrazia benestante, cogliendo l’occasione per evidenziare, attraverso la simbologia del rito alimentare, le differenza culturali e sociali che animavano le lotte di classe.

Tra questi si ricordano : “NOVECENTO” di Bernardo Bertolucci (realizzato nel 1976) .

In questo , si assiste alla netta contrapposizione tra il modo di mangiare e di stare a tavola di una famiglia ricca e aristocratica da un lato, e di una contadina e povera, dall’altro. La tavola dei ricchi aristocratici impone al figlio di alimentarsi di un cibo da lui detestato ( rane fritte), scelte come emblema di un cibo costoso che antepone il valore simbolico del cibo a quello nutrizionale.

Storia d’Italia a tavola... Vista attraverso il cinema …

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Il ragazzino si ostina a non voler le rane ma, il padre-padrone, che incarna un potere assoluto, le impone al figlio, imboccandolo a forza e minacciandolo di picchiarlo se non si fosse conformato all’uso del resto della famiglia; e quando il giovane, infastidito e nauseato dal sapore della pietanza e dal loro valore simbolico, sputa le rane appena ingerite, sul pavimento, il padre si adira ed impedisce anche alla moglie di scusare e rinfrancare il bambino, appellandosi alla sua autorità patriarcale, che può per questo disporre come meglio crede del destino del figlio.

La tavola è dunque pervasa da: senso di freddezza e di rabbia che spiega facilmente il desiderio di ribellione del giovane.

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La tavola della famiglia contadina e povera, al contrario, pur avendo anch’essa una sua rigida gerarchia (gli uomini e le donne consumano i pasti in due parti distinte, secondo una gerarchia lavorativa), è un piacevole esempio di unione familiare, di allegria, di comunione alimentare e rituale.

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Nel film “Amarcord” di Federico Fellini (1975) :

Si ricostruisce la tavola della tradizione contadina della provincia italiana evidenziando la funzione aggregante della tavola e della figura materna nel ricucire, attraverso il cibo, le naturali separazioni quotidiane della famiglia del regista.

La tavola diviene “un sipario” molto divertente in cui tutti i personaggi recitano un copione sagace di tensioni, arrabbiature e litigi, in cui la figura emblematica della madre funge da “collante” tra le varie generazioni e incarna il ruolo di madre che nutre, figura dominante senza la quale la famiglia si scopre improvvisamente disunita; quando infatti ella muore al termine del film, la sua cucina vuota, e la sua tavola non più imbandita e apparecchiata, divengono l’immagine dello sfaldamento dei rapporti interni alla famiglia.

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1939-1945 La seconda guerra mondiale

Una scena significativa da citare del film “LA GRANDE GUERRA” di Mario Monicelli (1959) è la seguente:

Nel corso di un combattimento tra le due trincee in guerra, italiana e austriaca, appare una gallina viva; i due schieramenti trasformano allora la loro battaglia , volta alla conquista del territorio, in una guerra strategica per la conquista della preda alimentare che potrà rinfrancarli dal solito rancio. I soldati abbassano le armi, intenti a richiamare l’animale avvistato, chi con versi infantili, chi lanciando molliche di pane, finchè si passa alle armi, facendone emergere la natura comune delle 2 fazioni: la fame che li unisce in un’unica vera grande guerra contro gli stenti e le privazioni a cui il contesto bellico obbliga entrambi gli eserciti .

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1945-1948 Il Neorealismo , la fame e il cibo assenteNel film “LADRI DI BICICLETTE” di De Sica (1948) la famiglia

italiana affronta il difficile iter di ricostruzione della quotidianità:Padre e figlio mangiano in un’osteria romana(per loro un “lusso

raro”); stanno degustando cibi semplici e poco costosi, quando il bambino addenta un panino con mozzarella filante. Nel tavolo accanto, una famiglia benestante consuma invece un piatto prelibato. Il figlio della famiglia ricca incrocia più volte lo sguardo con il bambino più povero, e i loro cibi diventano status symbol di 2 diverse condizioni di vita. Il bambino ricco, con aria ostentante, gusta le varie pietanze, ma è circondato da una famiglia distante ed indifferente nei suoi confronti, nessuno parla con lui, nessuno gli si interessa. Il bambino povero invece, consuma il suo pasto frugale parlando con il padre, condividendo il valore economico del pasto che si appresta a consumare e , quando si rende conto del suo valore, appoggia il suo modesto panino sul piatto come a voler partecipare alle difficoltà della famiglia e del padre, evidenziando così una complicità e un’empatia che manca invece nella tavola dell’altro ragazzino.

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Gli anni ‘50 (I PARTE) : Neorealismo Rosa- Il cibo nel genere comico napoletano

La comicità cinematografica che si sviluppa a Napoli dal genio di Eduardo De Filippo e di Totò, vuole rappresentare un’Italia “nuova”, non più disperata ed affamata in quando reduce dalla guerra, ma che con la fame può permettersi “il lusso” di giocare e di far sorridere il pubblico.

La fame, difatti, non è più intesa come bisogno di cibo o di nutrizione materna, bensì golosità, ingordigia insaziabile, che finisce per non suscitare tristezza quanto al contrario, allegria, in una sorta di “ostentazione “comica della fame stessa.

Un “fulgido” esempio dell’uso comico del cibo è costituito dal noto film “NAPOLI MILIONARIA”; in quest’ultimo, Totò mangia un panino farcito con pasta, carne, contorno, una saliera, delle posate ed un tovagliolo. Tutti elementi a testimonianza del fatto che il convivio del protagonista, non sia basato sul “mangiare”, ma sul parlare e sul giocare, spesso “coinvolgendo lo spettatore in un gioco di sguardi che sembra annullare lo schermo di proiezione”.

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In “MISERIA E NOBILTA’ “ resta inoltre memorabile la scena “dell’abbuffata” di spaghetti presi da Totò con le mani, nell’atto di ballare su di un tavolo, e infilati nelle tasche della giacca indossata, come a volerne fare scorta.

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Gli anni ‘50 (II PARTE): Sordi e il modello americano

Sono gli anni del boom economico, in cui la nuova Italia industrializzata può finalmente concedersi il lusso di uscire, in modo definitivo, dalla civiltà contadina, per affacciarsi al mondo dell’automobile per tutti (avvento della Fiat), delle vacanze, dei viaggi …

Nel film “UNA DOMENICA D’ AGOSTO”, protagonisti, tutti originari di Roma, si recano al lido di Ostia in occasione delle vacanze estive, portando con sé il cibo già pronto o preferendo i lussuosi ristoranti sulla spiaggia. Molto interessante e pertinente con l’epoca risulta “l’anticipazione della futura logica anoressica, attraverso il personaggio della giovane Marcella che, disgustata dal cibo materno, si limita a due sole forchettate di pasta.

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Il film più rappresentativo di questo periodo è senz’altro “UN AMERICANO A ROMA”, in cui Alberto Sordi interpreta il ruolo di Nando Morioni, un giovane aspirante artista rapito dall’importazione dei modelli e dei miti americani di comportamento: sogna i pop-corn, le bistecche, si cimenta nel parlare la lingua americana (seppur a proprio modo), e tenta di “mangiare come gli americani” (mostarda, latte, marmellata), rinnegando gli spaghetti lasciati in caldo dalla madre. Alla fine della divertentissima scena in cui Sordi dialoga con gli spaghetti, versa il cibo americano nel bidone (disprezzandolo), oppure lo porge al gatto, alle cimici, e torna agli spaghetti preparati dalla mamma, mettendo in scena una sorta di “inno gastronomico all’italianità e alla famiglia!!”.

Da qui la rivalutazione dell’importanza del cibo come riflesso della cultura nazionale e familiare di appartenenza!

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Gli anni ‘60: La dolce vita

La ricchezza del Paese è sempre maggiore, seguita però da repentini e diffusi cambiamenti sociali che sembrano annunciare un’effettiva “assenza di valori”. “Sull’onda dell’illusione che tutto sia possibile” nascono i primi film di denuncia sociale, sebbene ancora non espliciti come quelli del decennio successivo.

L’esempio più forte è dato dal film “LA DOLCE VITA” (Fellini, 1960). Dietro al titolo allegro e rassicurante si nasconde invece un film tragico e crudele, dove, per espresso volere del regista, il cibo è volutamente assente, e l’unica eccezione è lo champagne, cioè un “non-cibo”. Questo appare effimero, inconsistente, fatto di sole bollicine, come la vita dei personaggi che animano le feste romane trattate nel film.

“L’assenza di cibo”, dunque, sembra voler ammonire che, un eventuale abbandono dei valori familiari e morali, di cui il cibo è notoriamente portavoce, si cadrà in conseguenze piuttosto negative, come accade nella parte tragica del film: uno sterminio familiare.

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Gli anni ‘70: La crisi della famiglia e dei valori sociali

“Sono gli anni della crisi economica, sociale,dei valori e della famiglia . Sono anni bui, anni di contestazione giovanile studentesca, di rivolte, di odio, di violenza, di sequestri politici, di brigate rosse, di rivolte femministe.”

Marco Ferreri, fra gli esponenti più significativi di questo periodo, è da molto riconosciuto come: “il regista del cibo” per eccellenza, cibo che nei suoi film non manca mai, essendone anzi al centro di ogni trattazione.

Il binomio “cibo=morte” e l’ossessione per il cibo, nelle sue infinite sfumature, è onnipresente; “l’atto del mangiare” emerge come metafora dell’uomo contemporaneo.

Il cibo non è più tale, né nutrimento, né sintomo di benessere o ricchezza. E’ assunto invece come il simbolo del disagio, dell’aggressività, sia dell’uomo in quanto tale, sia del decennio in cui vivono i suoi personaggi.

“Il cibo è un’ossessione, portatore di morte.”

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Ferreri darà prova delle sue considerazioni pessimistiche all’interno del suo celebre capolavoro : “LA GRANDE ABBUFFATA” (1973), in cui mette in scena una lotta tra il cibo e l’uomo, e da cui quest’ultimo uscirà sconfitto. (soccomberà tristemente).

La vicenda è quella di 4 amici decisi a mangiare ad oltranza fino a morire, progetto portato a termine nella villa in cui abitò nel 1600 lo scrittore francese Nicolas Boileau. I personaggi sono spogliati dall’atto del pensare, condannati alla ciclicità gastrica del mangiare, vomitare, defecare e ricominciare a mangiare, in cui non vi è più posto per il pensiero.

“Abbuffarsi di cibo” è dunque, come nella “clinica della bulimia”, un modo perfetto per stordire i sensi, per astenersi dal giudizio, proponendo un’analogia tra cibo e droga che i moderni sintomi del comportamento alimentare confermano senza eccezioni.

L’eccesso di cibo diviene un vero e proprio ricorso ad un “oggetto” in grado di coprire temporaneamente il vuoto esistenziale che anima il soggetto,(impotente ed inetto dinanzi alla società) allargando però al contempo, i confini del vuoto stesso.

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Il cibo come patologia …“La passione maligna di Ferreri per il cibo” si ripete in un’altra

scena del film :

Ugo Tognazzi, volendo finire di consumare un enorme pasticcio di patè da lui stesso cucinato, si comprime l’addome, ormai stracolmo di cibo, facendolo scorrere sul tavolo della cucina, come a voler fare ancora un po’ di spazio nel proprio corpo, dilatando di più il suo vuoto interiore per poterlo riempire ulteriormente, godendo di quel senso di riempimento illusorio che la bulimia moderna ci conferma.

Il finale è affidato poi a Philippe Noiret che, diabetico, muore mangiando una torta a forma di seni femminili, simboleggiando nuovamente “il potere cullante “ del cibo.

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Gli anni ‘80 : I nuovi modi di mangiare e l’ossessione delle dieteDopo le difficoltà degli anni ‘70, l’Italia gode di una nuova fase di

crescita economica, generando un’epoca di rinnovata abbondanza in cui compaiono nuovi modi inediti di mangiare, spesso condizionati pesantemente dalla nuova “compagna di vita” degli italiani: “la pubblicità” che invade la tv importando stili e modelli di comportamento.

La novità dal punto di vista nutrizionale è “l’innescarsi di una vera e propria ossessione sociale per la magrezza e dunque per le diete; “ il fiorire di nuovi ideali estetici si avvia però, lentamente, su un “binario patologico”, verso la deriva del “rifiuto anoressico”.

Il cibo, dopo aver prestato il fianco “all’eccesso”, si concede alla “patologia”.

Fantozzi ironizza sui centri di dimagrimento e sulle diete

Bianca: Moretti e il suo enorme vaso di Nutella

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“Pane e pasta non sono più ritenuti cibi sani, giungendo ingiustamente sul banco degli imputati con l’accusa di fare ingrassare.”

Molti film fotografano questa evidente “mania delle diete”:“7 CHILI IN 7 GIORNI” (Verdone, 1987), in cui Pozzetto e

Verdone aprono un centro di dimagrimento basato su bevande “anoressizzanti” e in cui il cibo è totalmente assente, i piatti cioè restano vuoti e ci si nutre “idealmente”, solo con la fantasia.

Emblema del periodo storico vigente è il film “ACQUA E SAPONE” (Verdone, 1983), in cui una madre obbliga una figlia ad una dieta forzata poiché desidera, a tutti i costi, farle raggiungere il successo nel campo della moda. Per tale motivo, agli occhi della bambina, i nuovi simboli della trasgressione diventano all’improvviso i “cibi proibiti” dalla madre (le pizze con le cozze, i bomboloni alla crema, i cannoli).

7 chili in 7 giorni: Verdone e Pozzetto alle prese con la psico-cena, in cui il cibo è assente nei piatti

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Dagli anni ’90 ad oggi … : La nuova fame e i disturbi del comportamento alimentare

Il cibo e la fame sono i depositari delle nuove patologie dilaganti: anoressia, bulimia, fame nervosa, e naturalmente l’obesità.

Il cibo diventa al tempo stesso il più grande desiderio e la più grande paura dell’uomo.

Diversi sono i film che presentano le nuove malattie della fame:

“TRAUMA” (Dario Argento, 1992) che ritrae il personaggio di Aura come una ragazza anoressica (rifiuta totalmente il cibo e quando viene costretta a mangiare lo vomita), ascrivendosi il merito di essere il primo film italiano a parlare esplicitamente di anoressia.

“ISOTTA” (Fiume, 1996), è dedicato invece al tema dell’obesità, e presenta il cibo come il nuovo tabù della società attuale.

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Ne “IL GRANDE COCOMERO” (Francesca Archibugi, 1993), è molto ben evidenziato il valore del cibo come strumento dialettico, di comunicazione tra genitori e figli, come nella scena in cui Anna Galliena, madre di Pippi, bambina ossessionata dal cibo che accetta di nutrirsi solo con pochissime varietà di alimenti, costringendo la madre a estenuanti preparazioni gastronomiche, si interroga insieme a Sergio Castellitto sul valore dialettico di queste necessità della figlia.

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“Quando si parla dei rapporti tra cinema e cibo, ci si limita spesso a citare quei film che esaltano il cibo nei suoi aspetti più squisitamente gastronomici. Occorre invece indagare sulle relazioni tra il cibo e il cinema, interrogarsi sulle connessioni culturali, sociali, e antropologiche che comporta. Il cibo è uno specchio amplificatore di quest’ultime e quindi ci permette di riflettere con la necessaria precisione su tali problematiche. E’ evidente infatti che non si parla solo di una tecnica che l’uomo ha messo in atto per sopravvivere, ma si tratta soprattutto, e per questo alludiamo ad atti alimentari, di una forma di linguaggio, un modo attraverso il quale una società esprima i suoi valori, la propria visione del mondo. D’altra parte il cinema, con il suo “potere aggregatore”, ha promosso l’esportazione di alimenti ed abitudini alimentari da un paese all’altro , contribuendo a creare , in tal modo, quella cultura globale del cibo che contraddistingue il mondo moderno!” …

Conclusione …

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http://www.matteomugnani.com/Cinema_cibo.htm

http://blog.giallozzaferrano.it/index.php/il-cibo-e-il-

cinema/

http//www.pages.mi.it/corrente/saggi/il –cibo -nel - cinema/

(I siti sono stati visitati il 29-05-2010)

… Fonti …

SI RINGRAZIA

PER L’ATTENZION

E