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DIDONE ABBANDONATA La Didone abbandonata, rappresentata per la prima volta a Napoli nel 1724 con dedica al viceré di Napoli Michele Federico d'Althann, fu l'opera con la quale Metastasio si affermò sulla scena teatrale italiana. Il ruolo di Didone era interpretato da Marianna Benti Bulgarelli, detta la Romanina, che aveva incoraggiato gli esordi di Metastasio sulla scena napoletana e aveva già cantato con successo nell'azione teatrale Gli orti esperidi nel 1721. Il melodramma inaugura la prima fase (dal 1724 al 1730, anno della partenza per Vienna) della produzione melodrammatica metastasiana e corona un periodo di intensa attività poetica e teatrale, durante il quale Metastasio aveva sperimentato diverse modalità di scrittura (epitalami, versi, azioni teatrali) alla ricerca di un suo specifico linguaggio poetico. Il successo dell'opera fu determinante nella vita di Metastasio che abbandonò la pratica forense e si dedicò definitivamente al teatro. La storia fu tratta dal quarto libro dell'Eneide di Virgilio: novità significative sono il motivo dell'innamoramento della sorella di Didone per Enea e dell'amore di Osmida per Selene, che introduce il modulo della doppia coppia di innamorati, tipico dei testi metastasiani successivi. Su tutti i personaggi domina la figura di Didone, uno dei ritratti femminili più significativi di Metastasio; il modello virgiliano era però ben lontano, come nota De Sanctis, che sottolinea la compresenza di influssi letterari e teatrali diversi: «La Didone virgiliana è sfumata; qui vedi l'Armida del Tasso messa in musica, ma è un'Armida col comento della Bulgarelli». Passionale, impetuosa, volitiva, Didone è una figura femminile autentica che emoziona nella sua fragilità di donna abbandonata dall'amante, stupisce nella veemenza degli spergiuri contro gli dei, impressiona per la maestà e la dignità regali con cui domina incontrastata la scena. L'eroismo passionale che la spinge al suicidio non ha nulla di scontato o di prevedibile, ma cresce nello sviluppo narrativo del dramma fino allo spettacolare tragico epilogo (il rogo in scena) che concludeva l'opera, con evidenti concessioni al gusto del teatro barocco. Di fronte a lei Enea risulta personaggio più sbiadito, impietrito nel conflitto irresolubile tra l'obbedienza al destino e agli dei e l'amore per Didone, nella dialettica senza uscita tra dovere e piacere che invece, nei drammi più maturi, si risolverà positivamente in nome di quella alleanza ragione-passione, sentimento e disegno provvidenziale che ricomponeva, nell'ambito della razionalità arcadico-illuminista, le fratture tra l'individuo e la società; eroe predestinato, Enea perde in realtà l'identità eroica virgiliana e, con essa, la giustificazione del suo atteggiamento di amante infedele e diventa il tipico eroe melodrammatico dominato da una logorante perplessità che lo spinge a indugiare, a ravvedersi, a rimettere continuamente in discussione le sue strategie. Il pius Enea subisce gli eventi, opponendo loro una dialettica dell'irresolutezza e dell'incertezza che diventerà uno dei moduli tipici del linguaggio melodrammatico. Anche degli altri personaggi viene suggerito un ritratto psicologico, anche se appena accennato: Selene, la sorella di Didone, è figura secondaria eppure importante per lo svolgimento,

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DIDONE ABBANDONATA

La Didone abbandonata, rappresentata per la prima volta a Napoli nel 1724 con dedica al viceré di Napoli Michele Federico d'Althann, fu l'opera con la quale Metastasio si affermò sulla scena teatrale italiana. Il ruolo di Didone era interpretato da Marianna Benti Bulgarelli, detta la Romanina, che aveva incoraggiato gli esordi di Metastasio sulla scena napoletana e aveva già cantato con successo nell'azione teatrale Gli orti esperidi nel 1721. Il melodramma inaugura la prima fase (dal 1724 al 1730, anno della partenza per Vienna) della produzione melodrammatica metastasiana e corona un periodo di intensa attività poetica e teatrale, durante il quale Metastasio aveva sperimentato diverse modalità di scrittura (epitalami, versi, azioni teatrali) alla ricerca di un suo specifico linguaggio poetico. Il successo dell'opera fu determinante nella vita di Metastasio che abbandonò la pratica forense e si dedicò definitivamente al teatro.La storia fu tratta dal quarto libro dell'Eneide di Virgilio: novità significative sono il motivo dell'innamoramento della sorella di Didone per Enea e dell'amore di Osmida per Selene, che introduce il modulo della doppia coppia di innamorati, tipico dei testi metastasiani successivi. Su tutti i personaggi domina la figura di Didone, uno dei ritratti femminili più significativi di Metastasio; il modello virgiliano era però ben lontano, come nota De Sanctis, che sottolinea la compresenza di influssi letterari e teatrali diversi: «La Didone virgiliana è sfumata; qui vedi l'Armida del Tasso messa in musica, ma è un'Armida col comento della Bulgarelli». Passionale, impetuosa, volitiva, Didone è una figura femminile autentica che emoziona nella sua fragilità di donna abbandonata dall'amante, stupisce nella veemenza degli spergiuri contro gli dei, impressiona per la maestà e la dignità regali con cui domina incontrastata la scena. L'eroismo passionale che la spinge al suicidio non ha nulla di scontato o di prevedibile, ma cresce nello sviluppo narrativo del dramma fino allo spettacolare tragico epilogo (il rogo in scena) che concludeva l'opera, con evidenti concessioni al gusto del teatro barocco. Di fronte a lei Enea risulta personaggio più sbiadito, impietrito nel conflitto irresolubile tra l'obbedienza al destino e agli dei e l'amore per Didone, nella dialettica senza uscita tra dovere e piacere che invece, nei drammi più maturi, si risolverà positivamente in nome di quella alleanza ragione-passione, sentimento e disegno provvidenziale che ricomponeva, nell'ambito della razionalità arcadico-illuminista, le fratture tra l'individuo e la società; eroe predestinato, Enea perde in realtà l'identità eroica virgiliana e, con essa, la giustificazione del suo atteggiamento di amante infedele e diventa il tipico eroe melodrammatico dominato da una logorante perplessità che lo spinge a indugiare, a ravvedersi, a rimettere continuamente in discussione le sue strategie. Il pius Enea subisce gli eventi, opponendo loro una dialettica dell'irresolutezza e dell'incertezza che diventerà uno dei moduli tipici del linguaggio melodrammatico. Anche degli altri personaggi viene suggerito un ritratto psicologico, anche se appena accennato: Selene, la sorella di Didone, è figura secondaria eppure importante per lo svolgimento,

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animata dalla passione inconfessata per Enea e patetica in questo suo amore sommerso e continuamente affiorante; Osmida, cortigiano traditore incapace di reggere fino in fondo il suo ruolo; Iarba, figura più sfumata, sulla quale convergono alcuni stereotipi (rozzezza di comportamento, irruenza, scarsa finezza) della figura del barbaro.La Didone abbandonata fu interpretata da alcuni critici come un primo esempio di libretto che contiene già alcuni elementi del dramma metastasiano maturo come l'accordo recitativo-aria, il conflitto amore-passione, il modello dell'eroe indeterminato, che troveranno però una dimensione più definita e organica nei drammi successivi; altri critici interpretarono la Didone come il risultato di un momento di straordinaria creatività artistica mai più ripetuto da Metastasio. Il successo dell'opera fu immediato e notevolissimo; la Didone fu il libretto più utilizzato di tutti i tempi e numerosissimi sono i compositori che lo hanno musicato. Metastasio fece anche una seconda versione più breve dell'opera nel 1751 (poi pubblicata, assieme alla versione originaria nell'edizione di Parigi del 1755), su richiesta di Carlo Broschi, che intendeva rappresentarla alla corte di Madrid.Alla Didone era accompagnato, secondo la consuetudine dell'epoca, l'intermezzo comico L'impresario delle canarie, composto da due deliziosi quadretti da rappresentarsi negli intervalli del melodramma serio, che contengono una satira contro le abitudini del teatro contemporaneo, come le arie di bravura, slegate dal contesto organico dell'opera, e contro il protagonismo dei cantanti. Il linguaggio comico-parodico de L'impresario delle canarie è un raro esempio di un'escursione di Metastasio in una direzione che non sarà poi approfondita, fatta eccezione per i versi dello Scherzo estemporaneo e per l'azione teatrale Le Cinesi.

CATONE IN UTICA

Composto negli anni romani, prima della partenza per Vienna, Catone in Utica risale a una fase di sperimentalismo, di ricerca, che segue il successo della Didone, in cui Metastasio provò formule poetiche e teatrali diverse. Nel Siroe, ad esempio, rappresentato nel 1726, si approfondisce la tematica sentimentale; nella Semiramide riconosciuta, del 1729, si intensifica l'intreccio e si introducono meccanismi tipici del teatro classico come il riconoscimento, il travestimento e l'agnizione finale.Nel Catone in Utica prevale invece il modello graviniano, la tragedia di argomento romano in cui vengono celebrati la virtù, l'eroismo e il rigore morale dell'individuo. Il dramma narra la fine di Marco Catone detto l'uticense, sostenitore di Pompeo che si suicidò alla notizia della vittoria di Cesare. Celebrato in epoca rivoluzionaria come uno strenuo difensore della libertà, Catone era già simbolo, fin dalla tradizione dantesca, di estremo rigore etico e patriottico.Nella prima rappresentazione, avvenuta a Roma nel gennaio del 1728, Catone moriva in scena e la didascalia finale si soffermava sui dettagli sanguinosi del suicidio; l'episodio suscitò scandalo perché contrastava con le regole consuete del melodramma che censurava gli

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aspetti più cruenti; al teatro d'Alibert detto delle Dame dove il Catone si rappresentava, fu trovata una satira («Metastasio crudel, tu ci hai ridotto/tutti gli eroi del Tebro in un condotto») giocata sull'equivoco che poteva suggerire la didascalia finale del libretto che si soffermava sulla scena del suicidio ambientata in una «strada sotterranea» che poteva essere scambiata per una cloaca. Algarotti, nell'Epistola a Fillide interpretò polemicamente la scelta di Metastasio della morte in scena come una concessione alla dipendenza della parola dalla musica.Di fronte alle critiche Metastasio reagì con insolita violenza e scrisse dei versi impetuosi e polemici, pubblicati per la prima volta da Brunelli, in difesa del suo dramma. A chi accusava Catone di essere «rustico troppo e arrogante», Metastasio rispondeva ironicamente che forse l'eroe, per essere accettato, avrebbe dovuto esprimersi come un «cavalier francese» che parla alle dame; e giustificava il suicidio finale come un gesto di grandissimo eroismo, «d'alma atroce generoso effetto», da parte di un eroe che tanto amò la libertà latina «che meno amò la vita». Difendeva inoltre l'uso di immagini cruente e la sentenziosità severa della lingua, necessarie a esprimere con coerenza lo stato d'animo del personaggio, secondo il criterio classicista della conguenza tra soggetto e registro stilistico, ribadito anche nelle note alla traduzione dell'Arte poetica di Orazio.La polemica di Metastasio in difesa della dimensione tragica del Catone rientrava d'altronde nella sua convinzione, espressa nell'Estratto dell'arte poetica, che il melodramma fosse una derivazione della tragedia aristotelica, aperto quindi a epiloghi drammatici.Nonostante la difesa convinta della soluzione più cruenta e realistica, Metastasio acconsentì a scrivere un altro finale, in cui Catone non moriva più in scena e la sua morte veniva raccontata dalla figlia Marzia. Per l'edizione parigina Metastasio voleva che fosse data la priorità a quest'ultima versione; tuttavia, per un errore dell'editore, la lectio anteriore fu stampata prima e la seriore inserita solo in appendice.Al centro del dramma la figura di Catone, chiusa nella sua impenetrabile convinzione di virtù e eroismo; rarissime smagliature (qualche accenno di pietà paterna, notevolmente più accentuato nella seconda versione) non incrinano un ritratto compatto, assolutamente irreale nella sua fissità. Nonostante le premesse e nonostante l'ammirazione di Metastasio per il cittadino amante della libertà latina, Catone non si presenta come un eroe dinamico, travolgente, non si impone con la forza delle sue motivazioni, ma piuttosto con la risolutezza inappellabile delle sue azioni. E la fine feroce e cruenta è in fondo l'esito naturale di un atteggiamento contraddistinto dall'eccesso, sia nella difesa della tradizione, sia nella mancanza di capacità di ragionare senza pregiudizi. La seconda versione del dramma però proponeva non solo un intreccio leggermente diverso, ma ridefiniva anche in parte la figura dell'eroe che appariva animata da una maggiore inquietudine e sensibilità, da un maggiore spirito patetico, nonostante l'identico esito tragico. L'aria finale con la quale Catone si congeda dal pubblico, inserita ex novo solo nella lectio seriore, presenta un'immagine corretta dell'eroe, preoccupato per il destino della

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figlia e animato da una sensibilità più patetica che eroica; anche le scelte metriche e lessicali dell'aria sottolineano la somiglianza di Catone con tanti eroi perplessi metastasiani. La virtus romana veniva in questo modo rivista in funzione di un'immagine certamente ancora eroica e solenne ma non esente da una certa fragilità che avvicinava il personaggio dell'eroe alla sensibilità contemporanea.Personaggio decisamente più metastasiano in entrambe le redazioni è Cesare: forte della sua posizione di vincitore, Cesare dimostra una generosità solo superficiale e priva comunque di vera grandezza d'animo; animato allo stesso tempo da una evidente volontà di dominio, che si risolve tuttavia in risoluzioni e sentenze spesso inopportune, e dalla passione contrastata per Marzia, la figlia di Catone, Cesare sembra inclinare verso quel modulo della perplessità tipico dei personaggi metastasiani. Ma anche lui, pur attante di un linguaggio amoroso, si dibatte artificiosamente in una lotta tra amore e gloria-dovere che non riesce mai davvero a imporsi con sufficiente convinzione.Marzia è il personaggio più autentico, proprio perché nella sua oscillazione tra l'obbedienza al padre, la difesa della virtus romana da un lato e l'amore per Cesare dall'altro impersonifica il conflitto tipico tra amore-dovere, reso più acuto dalla guerra fratricidia che incombe sul popolo romano e che dilata le ragioni personali in una dimensione di dramma collettivo. Marzia fa parte della schiera di eroine romane, come Clelia e Vitellia, animate da passioni autentiche, figure di indubbio spessore, che solo con non indifferenti sofferenze e compromessi vengono ricondotte all'ordine e a un disegno razionale. Il dramma fu musicato, oltre che da Leonardo Vinci, da Hasse, Vivaldi, Jommelli e molti altri. Fu rappresentato anche, sia a Roma che a Napoli, durante le repubbliche del 1799, per il messaggio di libertà che ispirava.

DEMETRIO

Primo melodramma scritto da Metastasio a Vienna, un anno dopo il suo arrivo, il Demetrio inaugura quella che viene in genere riconosciuta come la seconda fase della produzione di Metastasio (1730-1740), quella dei capolavori viennesi. Musicato da Antonio Caldara, autore della musica anche di drammi successivi come l'Olimpiade e il Demofoonte, il Demetrio riscosse un grande successo alla corte viennese, nonostante i timori di Metastasio che temeva che l'opera «tutta delicata» e priva di «pennellate forti», esempio di elegante dramma sentimentale, non soddisfacesse il gusto viennese. L'anno successivo l'opera fu rappresentata a Roma e Metastasio fornì alla Bulgarelli, interprete del ruolo principale femminile, indicazioni molto precise sulla recitazione delle singole battute e sui movimenti scenici, dimostrando di aver partecipato a tutte le fasi dell'allestimento dello spettacolo, con esiti da lui giudicati soddisfacenti: «Questo ordine io ho tenuto, ed ho veduto pianger gli orsi. Fate voi».Il Demetrio presenta la tipica situazione del conflitto passione-

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dovere impersonificata in questo caso soprattutto dalla protagonista femminile, Cleonice, che oscilla tra un'identità di sovrana meritevole e equilibrata e l'amore per Alceste, un amore contrastato per la presunta estrazione sociale inferiore di quest'ultimo. Il riconoscimento di Alceste come principe di sangue reale, legittimo erede al trono, ricompone opportunamente, all'interno di un disegno provvidenziale e razionale, i movimenti del cuore.Cleonice è una delle figure femminili meglio delineate dei drammi di Metastasio, svelata nei suoi sentimenti, passioni, incertezze, nell'atteggiamento contraddittorio nei confronti del ruolo di sovrana che non le appartiene per diritto naturale. Personaggio genuino, coraggioso e onesto, Alceste richiama il Megacle dell'Olimpiade, incapace di provare sentimenti negativi e impersonifica il tipo, fin troppo scoperto, dell'eroe positivo al quale si contrappone Olinto, personaggio invece caratterizzato da una cieca e ingiustificata sete di potere che lo spinge ad atteggiamenti irragionevoli e malvagi.Il rispetto della regola classica dell'unità temporale e l'incombere di successive ineludibili scadenze, accelerano lo sviluppo narrativo del dramma e gli conferiscono un ritmo vivace, sostenuto da una articolazione recitativo-aria ben calibrata. Il dramma fu musicato, oltre che da Caldara, da Hasse, Leo, Albinoni, Gluck, galuppi, Jommelli, Scarlatti, Piccinni e molti altri.

OLIMPIADE

Rappresentata a Vienna il 28 agosto del 1733, la «divina Olimpiade», come la definì Carducci, fu considerata fin dalla sua apparizione il capolavoro del poeta. Così scriveva Metastasio, con apparente falsa modestia, all'editore Bettinelli promettendogli l'invio della nuova opera appena composta: «Nella scorsa settimana ho terminata una nuova opera, la quale così per mio parere, come per voto di tutti quei letterati a' quali l'ho comunicata, è senza contrasto la meno imperfetta di quante fin ora io ne abbia scritto». L'Olimpiade presenta una sintesi perfetta degli elementi tipici dei drammi metastasiani: il conflitto amore-dovere, complicato dai risvolti affettivi dell'amicizia; la struttura della doppia coppia di innamorati che funziona come un meccanismo perfetto, con i protagonisi maschili legati da un profondo legame di amicizia messo in crisi dall'amore per la stessa donna, Aristea, e le protagoniste femminili animate dalla accorata difesa delle proprie inclinazioni contro le convenzioni sociali e gli impedimenti esterni; il giusto equilibrio tra scene in cui prevale un linguaggio idillico patetico e concitati momenti narrativi di progressione dell'azione. L'articolazione tra aria, momento lirico, e recitativo, momento narrativo, raggiunge nell'Olimpiade un equilibrio perfettto e compone un ingranaggio drammaturgico estremamente funzionale allo svolgimento del dramma. Alcune arie dell'Olimpiade come quella di Megacle, «Se cerca, se dice» sono tra le arie più famose del repertorio operistico settecentesco.Il rispetto delle unità classiche e lo scenario arcade, bucolico

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contribuirono a fornire al dramma una dimensione di elegante compostezza e allo stesso tempo di perfetto meccanismo scenico, all'origine del suo successo.Alla fine si ribadisce la supremazia del sentimento amoroso, che sfida le convenzioni e supera gli ostacoli, e, lungi dall'avere un potere disgregante o sovversivo, finisce per coincidere con la verità, la giustizia, l'onore e conduce, in modo molto più efficace della fredda razionalità, all'armonia personale e sociale. Il linguaggio patetico-sentimentale dell'Olimpiade colpì il suo stesso autore che si commosse di fronte a una scena che stava scrivendo e compose, per esprimere la sua reazione, il sonetto Sogni e favole io fingo, in cui analizza il potere fatico del linguaggio letterario, documento fondamentale per la comprensione della poetica di Metastasio e per l'immagine del teatro come sogno, illusione.Eroe «perplesso», ma privo di sbavature e limpido nella sua alternanza tra amore e amicizia, Megacle si pone di fronte agli eventi in modo esemplare, con una ragionevolezza che viene eccitata, ma mai dissolta dalla passione amorosa. A lui si contrappone Licida, personaggio ambiguo, sviato dal retto cammino da una passione proibita, all'origine di una serie di azioni nefaste e colpevoli, riscattate solo dal riconoscimento finale che permette il superamento dei conflitti in nome dell'amore e degli affetti familiari, legittimi.Ricche di spessore entrambe le figure femminili, Argene che si emancipa, grazie alla sua forza di volontà e all'impeto dei suoi sentimenti, da uno scenario arcade artificioso e irreale che la circonda ma non la assorbe e Aristea, saggiamente proiettata verso il lieto fine e verso il compimento del suo disegno amoroso.L'opera fu musicata, oltre che dal Caldara, da più di cinquanta compositori, tra cui Antonio Vivaldi, Giovan Battista Pergolesi, Giuseppe Scarlatti, Baldassarre Galuppi, Johann Adolf Hasse, Johann Christian Bach, Domenico Cimarosa e Giovanni Paisiello.

DEMOFOONTE

Composto pochi mesi dopo l'Olimpiade, il Demofoonte fu ideato in fretta da Metastasio, che stentava a trovare un soggetto per un nuovo dramma, dopo la conclusione del precedente: «Mi volete suggerire un soggetto per l'opera che ho da cominciare? si o no? Io sono in un abisso di dubbi».Finalmente il soggetto fu trovato e il dramma fu rappresentato a Vienna il 4 novembre del 1733, con musica del Caldara. L'intreccio è assai complesso: le due coppie di innamorati dovevano fronteggiare, per realizzare la loro unione, conflitti familiari, oscure profezie oracolari, questioni dinastiche, minacce di relazioni incestuose, la stessa ragione di stato; l'amore di Timante, creduto principe ereditario, e di Dircea, oltre ad essere ostacolato dalla differenza sociale, viene minacciato anche dal conflitto fra i genitori, Matusio e Demofoonte, il sovrano che per vendetta verso Matusio, padre di Dircea, si accanisce sulla figlia e la designa come vittima per il sacrificio annuale di una vergine richiesto da un oscuro

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oracolo; l'amore tra i due è inoltre ostacolato da una promessa di matrimonio tra Timante e Creusa e, in ultimo, anche dal sospetto di una relazione incestuosa presto dissipato in funzione dell'inevitabile lieto fine. L'intreccio, risolto grazie a un doppio riconoscimento, si dipana sullo sfondo di uno scenario non arcade-bucolico, come nell'Olimpiade, ma incupito da nascondigli, segrete, altari del sacrificio, prigioni cupe, che rendono più atteso e sospirato il lieto fine .I personaggi si fronteggiano con una conflittualità particolarmente lacerante. Timante si dibatte all'interno di conflitti apparentemente irresolubili con un'irruenza irriflessa giovanile e impetuosa, che ne caratterizza l'atteggiamento sia nei momenti di estrema sofferenza (quando pensa di aver commesso un incesto), che in quelli di tensione assoluta (quando si trova a sfidare direttamente il padre); gli manca però la grazia e la vulnerabilità di altri più convincenti personaggi metastasiani e le sue reazioni sono più funzionali a meccanici quadri narrativi che a effettivi movimenti del cuore. Per la sua indole contraddittoria viene paragonato da Metastasio al Rinaldo della Gerusalemme liberata, tipico esempio di personaggio da un lato «ragionevole e considerato», dall'altro «trasportato e violento». Anche Demofoonte, il sovrano, garante della moralità, dell'onore, della ragione di stato è un personaggio leggermente inconseguente, irrigidito nelle sue convinzioni, inflessibile e insensibile per tutto il dramma, ma che si lascia inaspettatamente convincere alla fine senza che il suo ritratto lasci intravedere un possibile svolgimento in questo senso. Figura dominante almeno dal punto di vista psicologico è quella di Dircea, animata da un amore puro reso più intenso dalla sua condizione di madre, rispettosa e equilibrata anche nei momenti disperati; è lei la vera artefice della risoluzione del dramma, assieme a Creusa, altra figura di donna di sicuro spessore, equilibrata e saggia.Sentimento e ragione, amore e ordine sociale, rispetto delle convenienze, moralità coincidono alla fine in un quadro dove, come in un ingranaggio perfetto, tutto si risolve alla fine e si giustifica. Il dramma fu intonato da moltissimi compositori, tra cui Leonardo Leo e Domenico Sarro, Gaetano Latilla, Leonardo Vinci, Cristopher Gluck, Johann Adolph Hasse, Nicola Piccinni, Giovanni Paisiello e altri, fino a Ottocento inoltrato.

LA CLEMENZA DI TITO Melodramma del ciclo di argomento romano, La Clemenza di Tito fu composto nel 1734, e rappresentato alla corte di Vienna per il compleanno dell'Imperatore. Come i grandi drammi del '33, l'Olimpiade e il Demofoonte, anche La clemenza di Tito fu intonato da Caldara e, in seguito, da molti altri musicisti tra i quali il più famoso è Mozart che musicò però un libretto profondamente modificato da Caterino Mazzolà.Dopo gli scenari arcadi, della Grecia classica, dell'Olimpiade e del Demofoonte, Metastasio ritornava su soggetti romani, con un

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argomento, la celebrazione del buon governo imperiale, che aveva necessariamente un risvolto encomiastico.Il modello di riferimento è Cinna di Corneille, anche se, come fa notare Elena Sala di Felice, rispetto al modello di Corneille, alla forte tensione tragica che conduce il protagonista al dominio sulle proprie passioni, in Metastasio si insiste maggiormente sui sentimenti generosi e magnanimi dell'imperatore.Le fonti sono numerose e comprendono molti storici di epoca romana; la storia rimane però soltanto uno sfondo, all'interno del quale l'autore seleziona un aspetto, in questo caso la celebrazione della virtù e della clemenza, maggiormente funzionale a una trattazione drammatica, secondo dei criteri, validi per tutti i drammi di Metastasio, enunciati dall'autore in una suggestiva lettera al fratello: «Se per suggerire soggetti bastasse formare un indice di eroi romani, voi me ne avreste fornito a dovizia: ci vuol altro che pannicelli caldi. Bisogna trovare un'azione che impegni; che sia capace di soffrire il telaio; che sia una; che possa terminarsi in un luogo ed in un giorno solo; che sospenda l'attenzione o per le vicende di un innocente sventurato, o per la caduta di qualche malvagio punito, o per le dilazioni di qualche felicità sospirata, o pel rincontro in fine di tali eventi che diano occasione al contrasto degli affetti, e campo di porre nel suo lume qualche straordinaria virtù per ispirarne l'aborrimento».Della vita dell'imperatore Tito, Metastasio seleziona quindi un episodio, una congiura contro di lui voluta da Vitellia, figlia di Vitellio e pretendente al trono, capace di «sospendere l'attenzione» e di dare occasione al «contrasto degli affetti».L'amore è anche in questo dramma la molla dei comportamenti umani (soprattutto per la figura di Servio animatore della rivolta contro Tito per amore di Vitellia ma in fondo fedele all'imperatore), ma il tema centrale del melodramma è l'estrema generosità dell'imperatore, che dopo aver rinunciato all'amore di Berenice per il bene dello stato, dopo aver dimostrato clemenza negli affari di stato, perdona anche ai suoi aggressori. Generosità, buon governo, virtù coincidono, favoriti dal destino provvidenziale che favorisce e salvaguardia Tito e quindi, in una trasposizione fin troppo facile, la stirpe imperiale; il personaggio di Tito non riesce tuttavia a rivestirsi di una dimensione sacrale, non ha la solennità di certi personaggi degli oratori, ammantati dall'origine biblica, e sembra quasi stordito da questa scelta irrefutabile di clemenza che gli impedisce quasi di analizzare con perspicacia la situazione.Figura imponente e tragica, nonostante il lieto fine, è quella di Vitellia, accecata da passione e sete di potere e di rivalsa, una sorta di eroina romana come Clelia o Catone, sfasata però rispetto ai tempi, rispetto al periodo effettivamente eroico di Roma repubblicana, e inserita in un contesto in cui ormai, nell'ordine imperiale, l'eroismo non aveva più giustificazione se non all'interno del riconoscimento dei valori ufficiali.Servio, traditore suo malgrado, impersonifica il tipo dell'eroe «perplesso», dilaniato da affetti contrastanti, intempestivo nelle sue risoluzioni, patetico e debole nella sua incertezza, ma capace di suscitare, proprio per la sua ingenua generosità, l'ammirazione dello spettatore.

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Come negli altri melodrammi di argomento romano, anche qui non manca la dimensione, quasi epica, di partecipazione collettiva; sullo sfondo si intravede, più sfumato rispetto ai grandi affreschi dell'Attilio Regolo o del Trionfo di Clelia, il popolo romano, elemento drammaturgico più che narrativo, la cui importanza è notevole proprio per la forte presenza scenica.

ATTILIO REGOLO

Vera tragedia, come anche il Catone in Utica, l'Attilio Regolo fu considerato da Metastasio il suo capolavoro, l'opera «la più solida, la più matura, la meno abbondante di difetti, e quella finalmente ch'io, a preferenza di tutte le altre conserverei, se non potessi conservarne che una sola». Conclusa nel 1740, l'opera non poté essere rappresentata per la morte di Carlo VI; fu però consegnata a Maria Teresa che nel 1749 la restituì a Metastasio per farne dono al principe di Sassonia; fu quindi finalmente rappresentata a Dresda, con la musica di Hasse. Per la composizione della musica Metastasio lavorò a stretto contatto con l'Hasse, al quale fornì indicazioni molto precise e dettagliate sull'indole dei personaggi, in funzione della loro raffigurazione scenica e musicale, e suggerimenti per la musica dei recitativi che dovevano sottolineare in modo particolare alcuni snodi dell'azione. La lettera all'Hasse del 20 ottobre 1749 è importante come documento dell'estrema sensibilità drammaturgica del poeta che non si limitava alla stesura del testo ma seguiva tutte le fasi dell'allestimento teatrale e aveva una competenza estesa a tutti gli ambiti (musica, regia, scenografia) dello spettacolo operistico.Regolo è una figura di un eroismo solenne e compatto, rigidamente austera e proprio per questo irreale; nelle indicazione a Hasse Metastasio raccomandava che Regolo non alzasse la voce che due o tre volte, per acquisire, attraverso il dominio totale dei propri sentimenti, maggiore solennità. Regolo ambisce a rappresentare un ideale eroico assoluto, anche se risulta eccessivo, artificioso, poco convincente. Nella sua fissità è un personaggio capace di riempire tutta la scena di una luce irreale e sinistra, che si riflette innanzitutto sui figli, Attilia e Publio, entrambi divisi tra la fedeltà e l'obbedienza al padre che impone loro il sacrificio degli affetti familiari in nome di un ideale eroico patriottico e l'affluire dei «molli affetti», dei sentimenti filiali naturali. Tuttavia il personaggio di Regolo, nonostante l'indubbia maestosità del testo, appare in parte rivisto nella lettera all'Hasse, nella quale Metastasio suggerisce un'immagine più mossa dell'eroe: «Con queste qualità interne - concludeva Metastasio la didascalia al personaggio - io attribuivo al mio protagonista un esteriore maestoso ma senza fasto, riflessivo, ma severo, autorevole ma umano, uguale considerato e composto ecc.» con questo procedimento avversativo anaforico di pregnanza semantica che connota Regolo non come un eroe-maschera, secondo l'immagine consegnataci dal testo, ma come un personaggio sicuramente eroico, ma anche «sensibile», «buon

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padre», «umano». Il ritratto in prospettiva scenica completa dunque e corregge il testo letterario che invece suggeriva l'immagine di un personaggio immoto nella sua risolutezza.Importante la figura di Attilia, la cui opposizione alla volontà paterna, ispirata da pietà filiale, si placa in un dolore autentico, in uno sgomento verisimile appena turbato dal solito disegno amoroso della doppia coppia (Attilia/Licinio, Barce/Amilcare), il cui rilievo nell'intreccio complessivo è però qui decisamente attenuato. Attilia è il vero antagonista affettivo di Regolo e rivendica, con autentica passione, la forza dei sentimenti; anche lei è in fondo un personaggio eroico perché persegue con costanza un obiettivo giusto e legittimo, la vita del genitore, anche se questo eroismo viene in parte sminuito dal fatto che l'estrema sensibilità di Attilia viene attribuita non a costanza, vigore, virtù, ma alla sua natura femminile.Il ritratto degli altri personaggi è espresso con grande incisività dallo stesso poeta nella lettera all'Hasse: Publio è un «leoncino che promette tutta la forza del padre ma non ne ha ancora le zanne e gli artigli»; Licinio è un giovane «appassionato oltre il dovere»; infine Barce, la cartaginense interprete di un'umana perplessità nei confronti dell'estremo sacrificio di Regolo, ha sicuramente una delle didascalie più efficaci e sentite che indica come la sua qualità anti-eroica, lungi dall'essere condannata e disprezzata, riequilibrava, nel nome di un sano buon senso, l'eccessivo e astratto eroismo romano di Regolo. Barce è dunque una «bella, vezzosa e vivace africana. Il suo temperamento, qualità propria della nazione è amoroso, la sua tenerezza è Amilcare e da quello e da questa prendono unicamente moto tutti i suoi timori, tutte le sue speranze, i pensieri tutti e tutte le cure sue: è più tenace del suo amante medesimo della morale africana, non solo non aspira al par di quello di imbeversi delle magnifiche idee di gloria che osserva in Roma, ma è molto grata agli Dei che l'abbiamo così ben preservata da quel contagio».Come il Catone in Utica anche l'Attilio Regolo ebbe successo negli anni repubblicani e fu rappresentato a Roma nel 1799 durante la Repubblica giacobina. Tuttavia ebbe molto meno successo, probabilmente per la fine tragica, delle altre opere di Metastasio e dopo l'intonazione dell'Hasse ne ebbe pochissime altre.

IL TRIONFO DI CLELIA

Il Trionfo di Clelia, rappresentato a Vienna nel 1762, appartiene all'ultima fase della produzione metastasiana, caratterizzata da una maggiore ripetitività di strutture e schemi già collaudati, ma anche da proposte che sperimentano, con un entusiasmo sicuramente decrescente, percorsi nuovi. Con la morte di Carlo VI nel 1740 si era concluso il primo decennio dell'attività del poeta alla corte di Vienna, durante il quale Metastasio aveva composto alcuni dei suoi massimi capolavori. Dopo il '40 Metastasio rimase ancora quaranta anni al servizio di Maria Teresa che morì nel 1780, due anni prima del suo poeta di corte. Il ritmo della produzione di Metastasio però si diradò; tra il 1744 e il 1754 il poeta compose solo Il re pastore e L'Eroe cinese destinati a essere rappresentate all'aperto; dopo il

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1754 compose ancora opere significative come la Nitteti e Il trionfo di Clelia, limitando tuttavia al minimo la sua produzione.Metastasio si accinse alla stesura del dramma con scarsissimo entusiasmo, spinto dalle richieste di Maria Teresa: «Eccomi di ritorno da un lungo viaggio di Parnaso, dove la mia adorabile padrona mi ha mandato ad implorare un nuovo dramma da messer Apollo per solennizzare l'imminente parto della nostra arciduchessa Isabella. V'imaginerete facilmente che somiglianti corse non son più oggi mai per me di stagione, e che oltre il disagio del cammino dee ragionevolmente rincrescermi a dismisura il personaggio di pitocco importuno che deggio mio malgrado rappresentare appresso al padre guardiano delle Muse tornandolo discretamente ad infastidire, dopo avergli tante e tante volte inaridite le conserve della sua poetica fecondità».Nel Trionfo di Clelia il poeta avanzò alcune concessioni al nuovo gusto operistico nel senso di una maggiore drammatizzazione e dell'inserimento di elementi spettacolari, più in funzione però di un ritorno a una spettacolarità barocca che a un effettivo rinnovamento del gusto, nella direzione percorsa all'opera di fine Settecento verso esigenze di maggiore espressività e drammaticità interiori.Il poeta prese spunto, oltre che dalle fonti storiografiche, dalla festa teatrale di Pariati Costanza e Fortezza del 1723; l'opera conclude il ciclo di drammi di argomento romano inaugurato con il Catone in Utica, e continuato poi con Ezio, Adriano in Siria, La Clemenza di Tito, Attilio Regolo, e altri.Il tema dell'eroismo di Clelia e di Orazio che difesero Roma dall'invasione degli etruschi alleati di Tarquinio era un tema di grande suggestione già presente nei versi scritti dal poeta durante il periodo napoletano. Metatsasio doveva aver presente anche l'esempio di Silvio Stampiglia, storiografo alla corte di Vienna tra il 1709 e il 1714, autore di un'opera intitolata Il trionfo di Camilla. L'intreccio segue gli eventi storici della lotta per la libertà di Roma dai monarchi etruschi; al tema eroico si affianca la tematica amorosa senza che però tra le due componenti si arrivi a un equilibrio effettivo. Ostaggio degli etruschi e concupita da Tarquinio, Clelia è divisa tra la preoccupazione per la difesa di Roma e la forza del sentimento amoroso che la lega a Orazio; in questa dialettica, l'eroina si dibatte ansiosamente rivelando, pur in un intreccio che si sviluppa lentamente e in modo assai farraginoso, un'indole dubitativa e dubbiosa che la rende convincente e simile a tanti personaggi metastasiani. Più rigido nell'ossequio a un ideale assoluto di virtù romana, Orazio rifugge dal linguaggio amoroso ed è mosso soprattutto da una forte tensione eroica, che ne fa il corrispondente maschile di Clelia senza però la ricchezza interiore di quest'ultima. Decisamente schematico e poco approfondito è il personaggio negativo di Tarquinio, l'antagonista morale di Clelia e Orazio, plateale ed eccessivamente prevedibile nella condotta delle sue azioni nefande.Il dramma non ebbe moltissime intonazioni; si ricordano quella di Gluck, Jommelli, Tarchi, Portogallo.

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AZIONI TEATRALI

Le prime azioni teatrali furono composte da Metastasio a Napoli tra il 1721 e il 1722, su commissione di nobili napoletani, per celebrare ricorrenze, onomastici, matrimoni. La prima festa, l'Endimione, fu pubblicata nel 1721 con una lettera di dedica alla contessa Marianna Pignatelli Althann e fu scritta in occasione delle nozze di Antonio Pignatelli. Carattere encomiastico hanno anche le altre tre azioni del periodo napoletano: Gli orti esperidi, la Galatea, l'Angelica. In genere più lunghe delle azioni successive, queste feste presentano uno scenario arcade ricco di riferimenti mitologici; gli intrecci, soprattutto schermaglie amorose e conflitti sentimentali, si dipanano lentamente, appensantiti a tratti dal forte intento encomiastico; permangono, nella ricerca di effetti spettacolari, elementi residui delle feste barocche.A parte La Contesa dei Numi scritta a Roma nel 1729, tutte le altre feste di Metastasio furono scritte a Vienna in occasione di celebrazioni o ricorrenze. Alle rappresentazioni in molti casi prendevano parte gli stessi membri della corte e questo condizionava la composizione dei testi nei quali bisognava evitare ruoli spiacevoli o sconvenienti e rispettare l'equilibrio tra i personaggi. Componimento più breve e meno sottoposto al rispetto delle regole del dramma serio, la festa si prestava particolarmente alla sperimentazione di linguaggi e ambientazioni diverse e a una riflessione metateatrale. Ampiamente usata è la personificazione allegorica che permette di trasferire su un piano di rappresentazione mitologica (come nel Parnaso accusato e difeso) o storica (ad esempio ne Il sogno di Scipione) l'intento moralistico-ideologico presente nei testi. La critica più recente ha infatti superato un giudizio tradizionale limitativo che attribuiva a questi testi essenzialmente una funzione ornamentale, freddamente encomiastica e evasiva, e le ha rivalutate come parte integrante dell'opera metastasiana, momento fondamentale nell'elaborazione ideologica e drammaturgica del poeta. Nelle feste viennesi si rivelerebbe lo spessore di motivi ideologici e morali che animavano la scrittura di Metastasio, la forte proiezione storico-politica del poeta attento a cogliere le trasformazioni del suo tempo e a offrire alla corte viennese la rappresentazione, benché ancorata al breve e illusorio spazio dello spettacolo teatrale, di un mondo rasserenato, dominato dall'ordine, dalla ragione, dalla virtù, dal rispetto delle gerarchie.Tra le azioni teatrali più significative L'isola disabitata è un delizioso quadretto in cui la formula della doppia coppia, tipica dei drammi più elaborati, risalta nella sua nitidezza, sullo sfondo di un intreccio essenziale e privo di complicazioni; il tema dell'odio verso gli uomini, ispirato dalla sorella maggiore alla minore, a causa di un equivoco poi chiarito, si risolve, nel lieto fine, in un'esaltazione dell'amore ritrovato, della giovinezza, dell'innocenza primigenia.Altra azione teatrale significativa è Le cinesi della quale esistono due redazioni, la prima senza il personaggio di Silengo e la seconda nella quale viene inserito il personaggio maschile su richiesta

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precisa di Carlo Broschi, il Farinello, per una rappresentazione alla corte di Spagna. L'ambientazione esotica del testo ha in realtà soprattutto uno scopo decorativo, di costume. Attraverso la caratterizzazione dei personaggi che impersonificano i diversi generi teatrali, Metastasio compie une riflessione, non priva di una sfumatura ironica, sul teatro e afferma la condanna di una concezione rigidamente normativa della rappresentazione teatrale, in virtù del principio dell'equilibrio tra norma, ragione e esigenze dello spettacolo che sarà poi ripreso nell'Estratto dell'arte poetica di Aristotele.

AZIONI TEATRALI SACRE

Il primo oratorio di Metastasio, Per la festività del Santo Natale, è l'unico che fu rappresentato in Italia; fu eseguito in occasione di una riunione degli Accademici Arcadi nel teatro privato del cardinale Pietro Ottoboni, al Palazzo della Cancelleria Apostolica a Roma, nel dicembre del 1727. La struttura riprendeva lo schema tardobarocco della «contesa», e proponeva una discussione tra Fede, Speranza e Amor divino su alcuni argomenti teologici. Tutti gli altri oratori furono scritti per la corte austriaca, il primo La Passione di Cristo mentre il poeta si trovava ancora a Roma e gli altri a Vienna, dove tra gli incarichi di Metastasio, poeta di corte, rientrava anche la compilazione, ogni anno, di un dramma sacro. Tra il 1730 e il 1735, Metastasio rispettò la scadenza annuale, «il solito annuo peso dell'oratorio» e compose cinque oratori. L'ultimo dramma sacro, Isacco figura del redentore, fu composto dopo un intervallo di cinque anni, nel 1740, durante i quali Metastasio, pressato da altri lavori, fu esonerato dall'impegno di scrivere un testo sacro. Tutti gli oratori sono corredati da note esplicative dell'autore, con riferimenti alle fonti bibliche e ai teologi cattolici.L'oratorio prevedeva solo una recitazione cantata senza azione; è stato rilevato però da Giulio Ferroni che le azioni sacre di Metastasio hanno un'«interna tensione rappresentativa», sono cioè animate da una forza drammatica che prescinde dal movimento effettivo ma che «della scena dà tutta la profondità vocale, tutta la allocutività, tutte le intenzioni performative, tutte le estensioni spazio-temporali».I personaggi degli oratori sacri non si risolvono così nell'assoluta fissità biblica, nella mistica religiosa e non sono esenti, in questo simili ai personaggi dei melodrammi, dal dubbio, dall'incertezza; la loro identità sacra, spesso rafforzata dal significato figurale, esplicitamente richiamato in la Morte di Abel e in Isacco, convive con una natura umana caratterizzata da fragilità, perplessità, pateticità che non si annulla nel contesto religioso, solenne. La morte di Abel eseguita nel 1732, è una delle azioni più significative in questo senso proprio per la rappresentazione di una componente negativa dell'animo umano, per la consapevolezza, espressa nei dialoghi animati, della dualità dell'uomo. In Giuseppe riconosciuto, del 1733, la fragilità del destino umano è evidente sia nella caratterizzazione dei personaggi timorosi e titubanti, sia

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nel disegno complessivo che si dipana a fatica, fino alla rivelazione finale. La più nota di questo gruppo di oratori viennesi è la Betulia liberata, scritta nel 1734, redatta su un registro solenne e enfatico che si regge da un lato sulla rappresentazione della figura grave e maestosa di Juditta, uno dei personaggi femminili più spettacolari e enigmatici dell'opera metatsasiana, simile nel suo eroismo passionale, in questo caso animato da un fervore religioso, a Didone, con la quale condivide anche l'estrema determinatezza, l'accettazione di soluzioni estreme; dall'altro sulla veloce e incalzante sequenza narrativa, che si conclude con il sanguinario racconto della morte di Oloferne, appena interrotta da inserti di natura teorica e dottrinale.Gioas re di Giuda, che riprende un argomento trattato anche da Racine in Athalie, è il penultimo dramma sacro composto da Metastasio; il disegno provvidenziale si manifesta qui più nella dimensione narrativa che nella forte ispirazione spirituale religiosa del testo; i momenti più intensi, illuminati da una luce sacrale, riguardano il rapporto tra la madre Sebia, maestosa e insieme fragile nel dramma del suo destino, e il giovane Gioas, personaggio abbastanza debole, vero soprattutto nella sua ansia di ritrovare gli affetti materni. Infine in Isacco, la triade composta da Abramo, Isacco, Sara compone un quadretto familiare in cui la stessa figura di Abramo, pur rispettando rigidamente gli ordini di Dio, pronto a sacrificare il figlio Isacco, sembra apparentemente smarrirsi nel tumulto degli affetti umani, senza conceder però alla fin fine spazio a una dimensione di fragiltà tutta terrena e sentimentale.La Betulia liberata ebbe molte intonazioni, oltre alla prima del Reutter; da segnalare quella di Mozart rappresentata a Padova nel 1772.

CANTATE

Le prime cantate scritte da Metastasio risalgono agli esordi napoletani, e furono composte contemporaneamente alle prime azioni teatrali, attorno agli anni 1721-22. Sono anni, per Metastasio, di forte tensione stilistico-espressiva, che si risolve in uno sperimentalismo non eclettico, ma incuneato nei binari del linguaggio patetico-razionalistico che diverrà poi il modulo espressivo del dramma metastasiano, tra le suggestioni della fervida vita teatrale napoletana che si risolvono nelle prime azioni teatrali e il ricordo del più rigoroso insegnamento graviniano. E la cantata, nella sua dinamica essenzialità, nel suo equilibrato alternarsi di momenti di slancio emotivo e momenti di pacato svolgimento, era un'occasione ideale per sperimentare con disinvoltura temi e scenari, formule espressive, rapporto poesia e musica, sullo sfondo di una predominante suggestione arcade.La struttura della cantata metastasiana è fissa, consta di un numero di recitativi che varia da uno a tre, alternati a un numero corrispondente di arie; la divisione aria-recitativo con Metastasio diventa netta, mentre in precedenza non sempre il momento narrativo era strutturalmente diviso dall'aria. Come nel melodramma il recitativo introduce e espone la situazione mentre l'aria esprime il

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momento della concentrazione lirica; si tratta, come scrive Folena, del «modulo melodrammatico che nella cantata compare allo stato puro». E' l'aria che conclude, in una climax linguistico-musicale, il componimento.Lo scenario della maggior parte delle cantate metastasiane è quello arcadico-bucolico; le situazioni presentano conflitti o discorsi amorosi, variazioni sul tema della gelosia, scene di vita pastorale; protagonisti sono quasi sempre pastori e pastorelle arcadi, ninfe dai suggestivi nomi come Filli, Clori. Solo le cantate encomiastiche dedicate due a Maria Teresa e una a Francesco I e le due cantate che si riferiscono a costumi della vita settecentesca, La cioccolata e Il tabacco, dalla struttura più complessa, esulano da questa tematica patetico-amorosa. Inviando a Carlo Broschi la cantata Il nido degli amori Metastasio ne sottolineava lo «stile più festivo» e suggeriva una lettura autobiografica del testo, che rinvierebbe, secondo le discrete allusioni all'amico, a una situazione amorosa da lui stesso vissuta. Come nel sonetto Sogni e favole io fingo; e pure in carte tra poesia e realtà si stabilisce un rapporto sottile, un gioco di rinvii; e la cantata, nella sua agile struttura, nella sua natura melodica si prestava particolarmente a questo percorso di sottili allusioni, di pacato e illusorio coinvolgimento emotivo. Allo stesso tempo le cantate Il tabacco e La cioccolata, molto più articolate, con una struttura più complessa, a tratti argomentativa, e con un lessico tecnico e ricercato, ben lontano dalla musicale allusività delle cantate arcadi, mostrano la versatilità del genere, atto a condensare in un breve spazio situazioni e ambientazioni molto diverse.Il corpus delle cantate di Metastasio non è ancora del tutto esattamente determinato.Un primo gruppo di dodici cantate fu pubblicato a Londra nel 1735; diciassette cantate furono pubblicate, senza indicazioni precise sulla data della composizione, nell'ottavo volume dell'edizione Hérissant. Altre quattro cantate infine furono pubblicate come inedite a Roma nel 1747 e da Bettinelli a Venezia nel 1748; si tratta delle tre cantate encomiastiche più La pesca intitolata però Il pescator Fileno a Nice pastorella. Cantata. Metastasio scrisse anche alcune cantate a due voci, più assimilabili però al genere delle azioni teatrali perché implicano una rappresentazione scenica.Grazie alle indicazioni fornite da Giovanna Gronda, che ha proposto, sulla base dei non completi dati esistenti, un'almeno parziale datazione della maggior parte dei componimenti, le cantate vengono qui presentate in ordine cronologico (almeno fino all'Armonica). Non ci sono attualmente elementi per datare le cantate che vengono inserite alla fine (da La Scusa a Irene), nonostante non siano le ultime scritte dal poeta.Alla fine di questa sezione sono stati inseriti dei testi simili, nella struttura, alla cantata, composti da un recitativo e da un'aria e destinati a essere musicati. Si tratta di componimenti che dovevano essere cantati da esponenti della corte, in particolare dai figli di Maria Teresa, in occasione di circostanze particolari, come compleanni e ricorrenze. Metastasio scrisse sei Complimenti a voce unica e due Complimenti a due voci, che implicavano una

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rappresentazione scenica.

LA PESCAIL NOME (Scrivo in te l'amato nome XIV)D'AMORE IL PRIMO DARDONEL MIO SONNO ALMEN TALORA (Il sogno XII)TIRSI CHIAMARE A NOMEQUESTE CHE MIRI O NICEVEGGO LA SELVA E IL MONTEOR CHE UNA NUBE INGRATADESTATEVI O PASTORIOH, SE FOSSE IL MIO COREOH DIO, CHE NON E' VERODAL POVERO MIO CORLA GELOSIALA TEMPESTAL'INCIAMPOIL TRIONFO DELLA GLORIAPEL NOME GLORIOSO DI M.T.PEL GIORNO NATALIZIO DI M.T.PEL GIORNO NATALIZIO DI FRANCESCO IIL NIDO DEGLI AMORIIL PRIMO OMAGGIOL'AURORAL'ESTATEL'INVERNOL'ARMONICALa Scusa (musicata da Giovanni Davide Apell, come il sogno e il nome, la gelosia)Il consiglioLa primaveraIl ritornoIl primo amoreAmor timidoLa cioccolataIl TabaccoLa cacciatrice Irene

RIME

Delle rime che Metastasio compose in tutto l'arco della sua vita si conoscono in genere alcuni sonetti (celeberrimo Sogni e favole io fingo; e pure in carte), le canzonette, le strofe per musica; la produzione del poeta è tuttavia vastissima, eterogenea e poco conosciuta e la scelta di proporla integralmente in questa sede corrisponde alla convinzione che, al di là degli effettivi risultati artistici, si tratti di un aspetto importante della carriera dell'artista che copre tutto l'arco della sua vita ed affianca la parallela produzione melodrammatica.I versi furono pubblicati nell'edizione Hérissant senza ordine

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cronologico, a volte riuniti, ma senza sistematicità, per generi; molti componimenti vengono invece inseriti nei volumi in ordine sparso, in base probabilmente a esigenze editoriali.Si rispetta qui la divisione per generi e strutture metriche proposta dall'edizione Brunelli.Gran parte della produzione poetica, tra cui le terzine, i primi tre epitalami, gli idilli, alcuni sonetti risale al periodo giovanile napoletano. Un libro di Poesie, che comprendeva, oltre alla tragedia Giustino, Il convito degli Dei, Il ratto d'Europa, La morte di Catone, L'origine delle leggi, Pel Santo Natale. fu pubblicato a Napoli nel 1717, quando il poeta aveva 19 anni. Il giudizio che darà più tardi Metastasio di questi componimenti giovanili non è positivo. In una lettera del 9 marzo 1754 a Ranieri di Calzabigi che si apprestava a pubblicare l'edizione delle opere di Metastasio di Parigi del 1755, il poeta scriveva: «Vi prego dunque, se non potete risparmiarmi, di differirmi almeno quanto è possibile questo rossore relegando agli estremi confini dell'ultimo volume tutti quei componimenti che sotto il nome di Aggiunta furono dal Bettinelli nella sua prima edizione pubblicati e non trascurando di far che loro preceda la mia cronologica difesa».Lo scopo encomiastico e la natura occasionale, di circostanza dei versi (soprattutto i lunghi epitalami e gli idilli) appesantiscono la tessitura del discorso, modulato su un ricco, anche se a volte ripetitivo, apparato mitologico; l'impianto è nel complesso classicista, tradizionale, con intrecci amorosi, lievi ostacoli che vengono superati in direzione di una risoluzione rasserenante e conciliante. Tuttavia la poesia metastasiana appare fin dall'inizio aperta a uno sperimentalismo che porta il poeta a confrontarsi con varie possibilità espressive, con ambiti e registri diversi. Di impianto decisamente eroico-morale sono le terzine, La strada della gloria dedicata a Gravina e tutta modulata sul modello dantesco dell'incontro con le anime dell'al di là e liberata però da un eccessivo compiacimento letterario dal forte messaggio morale contenuto nei versi e La morte di Catone nella quale appare la prima elaborazione del personaggio poi ripresa nel Catone in Utica. A proposito di questi versi Walter Binni ha notato la presenza di un atteggiamento spregiudicato del primo Metastasio, che nell'esclamazione «E poi perché degg'io Giove superno», sembra farsi interprete di una religiosità non legata al culto, che dimostrerebbe una notevole capacità di elaborazione autonoma del poeta.Molto più note le canzonette, un genere di grande successo nel Settecento, che ebbero una vasta circolazione in tutta Europa; La libertà e Palinodia scritte a Vienna nel 1733 e nel 1746 ebbero diverse intonazioni e furono musicate dallo stesso poeta. Più composta e moraleggiante la produzione encomiastica e di circostanza del periodo viennese che comprende le stanze I voti pubblici, La pubblica felicità, l'ode L'imperial Residenza di Schönbrunn. Se le azioni teatrali di questo periodo ebbero il compito di rappresentare, in una proiezione spettacolare illusoria ma non meno credibile, un ideale politico e morale funzionale alle esigenze di corte, i versi encomiastici viennesi costituiscono il corrispettivo poetico delle azioni drammatiche, redatti su un registro sentenzioso, ispirato da una perfetta consonanza di vedute

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tra il poeta e la corte. Anche quando, come nell'ode, Metastasio scrive dei versi occasionali, in questo caso per rendere omaggio alla reggia di Schönbrunn, non viene meno l'intento fondamentalmente ideologico-morale del suo impegno poetico, all'interno del quale anche la celebrazione diventa l'occasione per ribadire, in modo non superficiale e esteriore, la sincera partecipazione dell'autore alle vicende della dinasta asburgica. Va infine sottolineata nella produzione poetica di Metastasio la presenza di un'insospettabile vena comica, espressa nello Scherzo estemporaneo, composto dopo il 1748 a Vienna, in cui la disavventura di una cantante, puntasi con l'ortica, dà origine a un divertente componimento nel quale l'inserzione di elementi comici, leggermente scurrili, non toglie al testo la connotazione di elegante intrattenimento. A un registro comico-parodico si possono ricondurre pochi altri testi di Metastasio: i versi scritti in risposta alle critiche in occasione della prima rappresentazione di Catone in Utica; l'interemezzo L'impresario delle Canarie; l'azione teatrale Le Cinesi. Nel panorama della poesia del Settecento Metastasio svolse dunque un ruolo importante, si confrontò con tutti generi più diffusi (la canzonetta arcade, il linguaggio comico-parodico, la poesia didascalico-morale, la poesia d'occasione) mostrando di essere, anche in questo ambito, un interprete particolarmente acuto della cultura del suo tempo. Anzi alcuni generi, come il sonetto, furono rivitalizzati dal poeta; sotto la spinta dell'emozione provata componendo L'Olimpiade il poeta scrisse Sogni e favole io fingo che illustra, in un perfetto equilibrio tra moto sentimentale e intento argomentativo, la poetica dell'autore.

ESTRATTO DELLA POETICA DI ARISTOTELE

L'Estratto della poetica di Aristotele fu concluso da Metastasio nel 1773 e fu pubblicato per la prima volta nell'edizione Hérissant, nel 1782. La stesura fu molto lunga; di un trattato teorico Metastasio aveva cominciato a parlare nel 1733; allusione più precise alla traduzione della Poetica di Aristotele compaiono in una lettera ad Algarotti del 1747 e infine in una lettera del 5 ottobre 1772 a Tommaso Filipponi, il poeta aveva precisato alcuni dettagli sulla composizione del testo: «Aggiungete a questo ch'io sono infastidito dalle Muse a segno che per far loro dispetto ho scritto ultimamente un libro in prosa, ed un libro che le tormenta. Questo è l'Estratto della poetica d'Aristotele, da molti anni da me meditato, ma non mai per le assidue mie inevitabili occupazioni eseguito. Ho detto in esso, a seconda delle occasioni, i miei pareri sopra vari punti drammatici, combinando gli esempi de' tragici greci con le regole d'Aristotele, con quelle de' dotti ma inesperti moderni critici, e con quei lumi che la pratica di più di mezzo secolo ha pur dovuto somministrarmi a dispetto de' miei corti talenti». Metastasio desiderava rimanere estraneo alle dispute letterarie e non affrettò in alcun modo, anche dopo la sua conclusione, la pubblicazione dello scritto. Però, nonostante la sua dichiarata e un po' affettata ritrosia a intervenire in polemiche letterarie, il poeta non esitò a

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prendere posizione sui problemi del suo tempo in alcune lettere inviate al cavaliere di Chastellux, a Diodati, a Mattei, che furono poi pubblicate nell'edizione Hérissant con l'Estratto, assieme al quale, con l'aggiunta anche delle Note alla traduzione dell'Arte poetica di Orazio, costituiscono il corpus degli interventi teorici di Metastasio.Nella premessa l'autore spiega i motivi che lo avevano portato a scrivere l'opera: l'abbondanza di commenti alla Poetica di Aristotele non esaudiva l'esigenza di giungere a delle massime precise e chiare; molti passi restavano ambigui e venivano interpretati in modo discordante o eccessivamente pedante. Metastasio aveva dunque deciso di comporre lui stesso un «rigoroso esame» del testo aristotelico, al fine anche di giustificare il proprio lavoro di autore di melodrammi e di soddisfare in questo modo se stesso, «il men discreto» di tutti i suoi giudici. La natura dello studio non era teorico-dottrinale; l'autore intendeva riflettere sul proprio lavoro teatrale per cercare delle risposte a problemi inerenti le dinamiche dello spettacolo, la costruzione del testo, il rapporto con il pubblico; si trattava dunque di un'analisi strettamente connessa con il lavoro del poeta e funzionale all'individuazione e soluzione di determinati problemi.Innanzitutto l'autore intende riaffermare, dopo le dispute della prima metà del Settecento, mai realmente sopite durante tutto il secolo, la derivazione del melodramma dalla tragedia greca; entrambi i generi erano cantati; le arie derivano dai cori (cap. XII); si trattava di rappresentazioni destinate al popolo al fine di dilettare e istruire (cap. XVII).Metastasio commenta in modo sistematico i precetti della Poetica, evitando per lo più di contrapporsi troppo esplicitamente ad Aristotele (anche se in certi casi il dissenso è netto), ma cercando piuttosto delle soluzioni intermedie che da un lato rispettino la normativa tradizionale e dall'altro favoriscano le dinamiche dello spettacolo teatrale. La sua analisi rifiuta dunque le interpretazioni troppo rigide del testo; contro ogni dogmatismo il poeta rivendica le esigenze del buon senso, della ragione, della drammaturgia. Le regole delle tre unità vengono quindi analizzate caso per caso; Metastasio prende le distanze dall'unità di luogo e di tempo, che gli stessi scrittori greci evitavano di fatto di rispettare in modo rigido, come viene accuratamente dimostrato nel cap. V; accetta invece il principio della «discreta unità d'azione», necessaria perché lo spettatore provi «un più sensibile e più perfetto piacere», grazie al fatto che la sua attenzione è «riunita in un solo e illustre e tutto insieme visibile oggetto», anche se rifiuta decisamente le interpretazioni troppo restrittive della regola e le delimitazioni suggerite dallo stesso Aristotele. Nel capitolo VI Metastasio passa a considerare le finalità delle tragedia, il «purgamento di tutte le nostre passioni»; al principio della catarsi aristotelica, soprattutto nella sua realizzazione più estrema, euripidea, Metastasio sostituisce il principio, più consono alla sensibilità settecentesca, dell'imitazione della virtù, dell'azione eroico-virtuosa che deve coinvolgere e emozionare lo spettatore.D'altronde, nel complesso, l'atteggiamento del poeta nei confronti del testo aristotelico è duplice; da un lato Metastasio cerca di

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assecondare, dove è possibile, Aristotele prendendo semmai le distanze dai suoi commentatori; dall'altro dimostra non solo una notevole autonomia di giudizio, in relazione a determinati problemi, ma anche una propensione all'elaborazione poetica e alla riflessione teorica molto più accentuata di quello che le dichiarazioni del poeta nelle lettere e nello stesso Estratto lascerebbero presupporre. Metastasio non è in realtà un semplice commentatore; attraverso l'analisi del testo aristotelico espone la propria riflessione drammaturgica; laddove è necessario integra il testo aristotelico e si avvale spesso, per illustrare le proprie tesi, di altre autorità, soprattutto Tasso e Orazio. Così nell'ultimo capitolo ad esempio, l'autore abbandona il registro espositivo-argomentativo, preciso ed essenziale anche se non privo in certi casi di sfumature ironiche, adottato prevalentemente fino a quel momento e adotta un registro più discorsivo e colloquiale, per affermare, autonomamente e come conclusione del testo, un principio fondamentale della scrittura tragica: l'importanza della conoscenza, da parte del poeta, dell'animo umano; la capacità di superare ogni coinvolgimento personale e di interpretare coerentemente i singoli personaggi che devono vivere di vita autonoma, obiettivo che Tasso era riuscito, mirabilmente, nel Goffredo, a raggiungere.

OSSERVAZIONI SUL TEATRO GRECO

Le Osservazioni sul teatro greco furono pubblicate per la prima volta postume nell'edizione viennese delle opere del poeta curata dal conte Ayala nel 1795. Testimoniano della ricchezza del laboratorio poetico di Metastasio che svolge qui un vero e proprio studio tecnico, linguistico, tematico, strutturale sul funzionamento dei testi teatrali. Metastasio legge i testi del teatro greco attraverso l'esperienza del drammaturgo e utilizza la sua competenza specifica per un'analisi non sistematica ma che mira a cogliere alcuni aspetti peculiari dei singoli testi, le dinamiche di svolgimento, gli sviluppi intrinseci, il funzionamento interno.Il testo è diviso in quattro sezioni (Tragedie di Eschilo, di Sofocle, di Euripide, Commedie di Aristofane) comprendenti ciascuna l'analisi delle tragedie o commedie dei singoli scrittori.Ogni scheda comprende un riassunto del testo, intercalato da commenti dell'autore; i riassunti non sono equilibrati e esaurienti ma sono funzionali agli interventi del poeta, che privilegia una scena o un personaggio e che si sofferma su singoli episodi a seconda dei rilievi che intende fare. Le osservazioni riguardano per lo più incongruenze e oscurità dei testi, il funzionamento delle unità aristoteliche, note inerenti le scenografie e il rapporto tra testo e rappresentazione. Ogni scheda viene conclusa dal calcolo esatto dei versi.Le Osservazioni costituiscono quindi un complemento dell'Estratto dell'Arte poetica e una verifica, in un confronto con i testi, dei rilievi svolti nel trattato; viene sviluppato anche qui il dialogo fittizio con i critici e i commentatori della Poetica e permangono osservazioni di tipo teorico che partono però da situazioni testuali precise. Ma le Osservazioni sono anche un percorso ricco di note tecniche e di analisi specifiche all'interno del mondo del teatro;

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attraverso l'analisi dei singoli testi il poeta cerca di cogliere l'essenza e la peculiarità del testo teatrale, cerca di svelarne tutti i meccanismi intrinseci allo scopo di individuare per ogni problema (intrecci, rispetto delle unità, caratterizzazione dei personaggi, uso di agnizioni, riconoscimenti, sdoppiamenti, funzione e verosimiglianza degli «accidenti», risoluzioni finali) le soluzioni possibili all'interno di una prospettiva strettamente funzionale alla scrittura teatrale.

ANNOTAZIONI DI SOGGETTI

Il testo è in realtà una raccolta di appunti sparsi disordinatamente in fogli e carte di Metastasio, spesso ripetuti più volte, conservati presso la Biblioteca Nazionale di Vienna, e ordinati e disposti per ordine alfabetico da Brunelli.Si tratta di appunti del tutto informali che Metastasio annotava ad uso della propria memoria e che evidentemente utilizzava quando doveva risolvere il gravoso problema di trovare un soggetto per un dramma. La scelta di un soggetto opportuno che rispondesse ai criteri esposti disordinatamente ma in modo efficace nella lettera al fratello citata precedentemente, nella scheda introduttiva alla Clemenza di Tito, era un problema che assillava Metastasio e che viene ripreso più volte nelle sue lettere. Anche a Marianna Bulgarelli il poeta scriveva da Vienna: «Mi volete suggerire un soggetto per l'opera che ho da incominciare? si, o no? Io sono in un abisso di dubbi. Oh non ridete con dire che la malattia è nelle ossa, perché la scelta di un soggetto merita bene questa agitazione e questa incertezza. La fortuna mia si è che bisogna risolversi assolutamente, e non vi è caso di evitarlo». Pressato dagli impegni e dalle scadenze del proprio lavoro di poeta di corte, Metastasio aveva quindi preso l'abitudine di annotare, quando gli si presentava l'occasione, possibili soggetti da utilizzare per la scrittura di drammi.Le Annotazioni di soggetti sono quindi appunti molti eterogenei; in alcuni casi il poeta scrive un vero e proprio breve riassunto, in altri casi cita solo un titolo, accompagnato a volte dall'indicazione della fonte, in funzione di un eventuale approfondimento dell'argomento. Spesso il poeta accompagna le brevi annotazioni con giudizi sintetici, come questo esplicito commento alla voce Arsinoe e Berenice, che mostra chiaramente la finalità pratica degli appunti: «Appare buona materia a fabbricarvi una favola». Alcuni temi qui enunciati, come Clelia, Teti e Peleo, Antigono furono effettivamente sviluppati in drammi e componimenti poetici; altri rimasero semplici appunti. Diversissime sono le fonti che mostrano l'estensione delle conoscenze di Metastasio: storici greci e latini, tragici antichi e moderni, esperti di letterature orientali, poeti e letterati.

METODO PER LO STUDIO DELL'ITALIANO

Il breve trattato fa parte dei Frammenti inediti ritrovati tra le carte di Metastasio conservate alla Biblioteca Nazionale di Vienna e

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pubblicati per la prima volta nell'edizione Brunelli. Come spiega il poeta stesso nella breve premessa al testo, lo scritto nasce da una richiesta precisa, quasi sicuramente di Maria Teresa, che gli aveva domandatoun parere sul metodo da seguire per far studiare l'italiano all'arciduca Giuseppe, poi imperatore. Nonostante il fatto che il poeta ribadisca la sua estraneità al mestiere di maestro, è interessante notare come in realtà Metastasio applichi a un ambito che non gli competeva, come quello della didattica della lingua, un metodo che rispecchia il suo lavoro di scrittore teatrale. Il poeta infatti sottolinea, in linea in questo con molte teorie linguistiche del Settecento, come principio di base per l'apprendimento delle lingue, la necessità di affiancare la pratica alla teoria, l'uso alla ragione. Metastasio distingue tra un apprendimento destinato alla scrittura, molto più rigoroso e normativo, almeno nella teoria, e un apprendimento destinato invece alla conversazione, in cui è necessario privilegiare l'esperienza, la conoscenza diretta, rispetto alla memorizzazione delle regole.La concezione della lingua qui dimostrata è estremamente strumentale, lontana da scrupoli filologici o accademici; ai principianti il poeta suggeriva non di leggere gli originali italiani, da lui giudicati troppo complessi, poco schematici, con periodi eccessivamente lunghi e tortuosi, ma di leggere le traduzioni italiane di testi francesi, che garantivano, nella costruzione dei discorsi e nella struttura dei periodi, chiarezza, ordine, precisione. La lingua che Metastasio immaginava era una lingua depurata da eccessi retorici barocchi, funzionale alle esigenze comunicative della società settecentesca. La lezione di Gravina e Caloprese, la formazione cartesiana del poeta rivista e adattata alle circostanze, sono evidenti in questo breve testo, nel quale convivono, come sempre nel Metastasio prosatore, un intento di piacevole intrattenimento, di dotta conversazione, favorito qui dalla natura estremamente informale dello scritto, con la tenacia e il rigore dei propositi enunciati, che poggiano sempre, nonostante l'apparente disinvoltura, su un solido sistema teorico di riferimento.

. Francesco DE SANCTIS, Storia della letteratura italiana, cap. XIX.. Si veda ad esempio l'interpretazione di Walter BINNI, L'Arcadia e il Metastasio, Firenze, La Nuova Italia, 1963.. Per questa ipotesi propende Mario FUBINI, Introduzione, cit.. Cfr. infra. L'episodio è raccontato da Brunelli , vol. I, p. 1399.. Opere, Venezia, Palese, 1791, I, p. 19.. I, p.1407. Metastasio aveva dato precise indicazioni a Pezzana affinché venisse prima stampata la seconda versione e in appendice la redazione originale; a Parigi, inspiegabilmente, l'ordine fu invece invertito e nell'edizione Hérissant, così come in tutte quelle successive che da questa derivano, figura prima la versione più antica. Cfr. William SPAGGIARI, Giuseppe Spaggiari e l'edizione Hérissant delle opere di Metastasio, in «Italianistica», 1984, I-2, poi in L'arminico tremore. Cultura settentrionale dall'Arcadia

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all'età napoleonica, Angeli, Milano 1990.. Lettera a Marianna Benti Bulgarelli, Vienna, 10 novembre 1731, III, p. 58.. Lettera a Marianna Benti Bulgarelli, Vienna 12 gennaio 1732, ivi, p. 61.. Giosué CARDUCCI, Pietro Metastasio, in Opere, Bologna, Zanichelli, 1909, vol. XIX, p. 82.. Lettera a Giuseppe Bettinelli, Vienna 1 giugno 1733, III, p. 82.. Il sonetto fu inviato a Marianna Bulgarelli, nella lettera scritta da Vienna il 6 giugno 1733, III, p. 83.. Lettera a Marianna Benti Bulgarelli, Vienna 4 luglio 1733, III, p. 85.. Lettera a Giuseppe Bettinelli, Vienna, 10 giugno 1747, III, p. 306.. Elena SALA DI FELICE, Opere, cit.. Lettera a Leopoldo Trapassi, Vienna 25 giugno 1735, III, p.128.. Lettera a Tommaso Filipponi, Vienna 21 febbraio 1750, V, p. 489.. Cfr. lettera datata Vienna 26 febbraio 1749 a Giovanni Claudio Pasquini a Dresda, III, p. 372.. Lettera a Giovanni Claudio Pasquini, Vienna 1 marzo 1762, IV, p. 242.. Fondamentale è stato il contributo di Jacques JOLY, Les fêtes théâtrales de Métastase à la cour de Vienne, Publications de l'Université de Clermond Ferrand, Faculté des lettres et sciences humaines, 1978.. Si veda la lettera inviata a Carlo Broschi a Madrid, datata Vienna, 27 dicembre 1749, III, p. 450.. Cfr. Oratori sacri a cura di Sabrina STROPPA, cit., p. 227.. Lettera a Leopoldo Trapassi, Vienna 23 febbraio 1737, III, 149. Giulio FERRONI, Le «Azioni sacre», Atti del convegno dell'Accademia dei Lincei indetto in occasione del II centenario della morte di Metastasio, cit., p. 200.. Le regole della cantata, in particolare il numero di arie e recitativi, erano state indicate nei dettagli da Metastasio in una lettera a Ranieri Calzabigi, al quale scriveva, con la consueta sensibilità per il momento della rappresentazione dei suoi testi: "La forma del componimento che avete scelta non può ridursi che alla categoria delle cantate a voce sola. Or una cantata di questa specie con quattro ariette non si può eseguire, perché non v'è musico d'organo così instancabile, che possa cantar senza interruzione quattro ariette e un recitativo; e una cantata che non può cantarsi, non è men reprensibile d'una tragedia che non possa essere rappresentata". Lettera a Ranieri di Calzabigi, Vienna 14 febbraio 1755, III, p. 987.. Gianfranco FOLENA, La cantata e Vivaldi, in L'italiano in Europa, Torino, Einaudi, 1983, p. 266.. All'Altezza reale di Federico prencipe reale di Vallia e prencipe elettorale di Hanouer..queste nuovamente composte opre di musica vocale, favorito sollievo delle gravi occupazioni...dedica Nicolò Porpora, Londra 1735.. Giovanna GRONDA, Tra lirica e melodramma: la cantata dal Lemene al Metastasio, in Le passioni della ragione. Studi sul Settecento, Pacini, Pisa 1984, pp. 121-154.. III, p. 907.

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. Cfr. Walter BINNI, Arcadia e Metastasio, cit., p. 259.

. Lettera a Giuseppe Bettinelli, Venezia, datata Vienna 28 febbraio 1733, III, p. 79.. Lettera a Francesco Algarotti, Berlino, datata Vienna 16 settembre 1747, III, p. 320.. V, p. 187.. Lettera del 4 luglio 1733, III, p. 85.