Scarica questo file PDF

14
Stefano Redaelli Uniwersytet Warszawski [email protected] SOPRA-VIVERE NELL’INFERNO: UNA EREDITÀ CALVINIANA SURVIVING IN THE “INFERNO”: A LEGACY OF CALVINO Abstract: The present study aims to highlight two survival strategies in the “inferno of the living” that emerge from the analysis of Invisible Cities: lightness and gaze. The value of lightness is visible in the “thin cities”, which share a fragile architecture, the contrary reaction opposing the heaviness of living, the distance from the ground. “The hidden cities”, in turn, provide the motive for a reflection (a lecture) on gaze, with the aim of training the gaze to “recognize that which is not hell”: the happy city inside the unhappy city. In Invisible Cities, Calvino’s gaze still has an ethical and civic function (present in The Day of a Scrutineer). This function, however, will give way to the epistemic and scientific function of Mr. Palomar (from The Cosmicomics onwards), whose eye is exclusively concerned with measuring the limits of knowledge, which never extends, in a revealing way, from the natural world to the human world. Thirty years after Calvino’s death, amongst the many legacies left by his multifaceted literary work, we can recover the ethical and civic dimension expressed by the values of lightness and gaze. Keywords: lightness, gaze, distance, literature, ethics How to reference this article Redaelli, S. (2016). Sopra-vivere nell’inferno: una eredità calviniana. Italica Wratislaviensia, 7, 163–176. DOI: http://dx.doi.org/10.15804/IW.2016.07.09 Published: 1/06/2016 ISSN 2084-4514 e-ISSN 2450-5943

Transcript of Scarica questo file PDF

Page 1: Scarica questo file PDF

Stefano RedaelliUniwersytet Warszawski [email protected]

SopRa-viveRe nell’infeRno: Una eRedità calviniana

SURviving in the “infeRno”: a legacy of calvino

Abstract: the present study aims to highlight two survival strategies in the “inferno of the living” that emerge from the analysis of Invisible Cities: lightness and gaze. the value of lightness is visible in the “thin cities”, which share a fragile architecture, the contrary reaction opposing the heaviness of living, the distance from the ground. “The hidden cities”, in turn, provide the motive for a reflection (a lecture) on gaze, with the aim of training the gaze to “recognize that which is not hell”: the happy city inside the unhappy city. in Invisible Cities, calvino’s gaze still has an ethical and civic function (present in The Day of a Scrutineer). this function, however, will give way to the epistemic and scientific  function  of  Mr. Palomar (from The Cosmicomics onwards), whose eye is exclusively concerned with measuring the limits of knowledge, which never extends, in a revealing way, from the natural world to the human world. thirty years after calvino’s death, amongst the many legacies left by his multifaceted literary work, we can recover the ethical and civic dimension expressed by the values of lightness and gaze.

Keywords: lightness, gaze, distance, literature, ethics

How to reference this articleRedaelli, S. (2016). Sopra-vivere nell’inferno: una eredità calviniana. Italica Wratislaviensia, 7, 163–176. DOI: http://dx.doi.org/10.15804/IW.2016.07.09

Published: 1/06/2016ISSN 2084-4514 e-ISSN 2450-5943

Page 2: Scarica questo file PDF

Stefano Redaelli164

nel trentesimo della morte di italo calvino1, vogliamo proporre una rilettura de Le città invisibili, focalizzata su una importante eredità

etico-letteraria. nella famosa chiusa sull’inferno dei viventi “che abi-tiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme”, di fronte alla pro-spettiva di diventarne parte, “fino al punto di non vederlo più”, Marco polo offre un’alternativa: “cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno e farlo durare e dargli spazio” (2015, p. 160). con il presente studio2 cercheremo di mettere in evidenza due strategie di sopravvivenza nell’inferno dei viventi: la leggerezza e lo sguardo, che emergono da una rilettura dell’opera.

ampliamente studiato da letterati, urbanisti, psicoanalisti, semiolo-gi3, Le città invisibili vuole essere “un ultimo poema d’amore alle cit-tà, nel momento in cui diventa sempre più difficile viverle come città”, “un sogno che nasce dal cuore delle città invivibili” (calvino, 2015, p. iX). abbiamo a che fare con un’opera onirica, nostalgica, poetica, surreale, geometrica (la lista degli attributi sarebbe lunga), ma, di certo, non apocalittica. A Calvino non interessa profetizzare catastrofi4, quanto piuttosto riflettere sulle “ragioni segrete che hanno portato gli uomini a vivere nelle città, ragioni che potranno valere al di là di tutte le crisi” (2015, p. X), sul rapporto tra città e desiderio: “le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure, anche se il filo del  loro discorso è segreto, le loro regole assurde, le prospettive ingannevoli, e ogni cosa ne nasconde un’altra” (2015, p. 42).

1 il presente saggio è stato scritto in occasione del trentesimo della morte di italo calvino (19.09.1985). 2  Questo lavoro è finanziato dal Centro Nazionale delle Scienze della Polonia, attraverso il grant n. dec-2012/07/d/hS2/03673. 3  Per citare (a scopo esemplificativo, non certo esaustivo) solo alcuni degli studi più  importanti dedicati a Le città invisibili: Citati, 1979; Pasolini, 1979; Mengaldo, 1975; eco, 1985; Segre, 2005; cases, 1987; Barenghi, 2011; Berardinelli, 1991. 4  “Ma libri che profetizzano catastrofi e apocalissi ce ne sono già tanti; scriverne un altro sarebbe pleonastico, e non rientra nel mio temperamento, oltretutto” (calvino, 2015, pp. X–Xi).

Page 3: Scarica questo file PDF

Sopra-vivere nell’inferno: una eredità calviniana 165

per quanto scevro di toni apocalittici, il libro ci offre immagini in-quietanti di città “infernali”. Sono presenti, trasfigurate, le nuove mega-lopoli che calvino chiama “città continue”, ovvero omologate e indistin-guibili, come trude, con gli stessi alberghi, negozi, aeroporti: “il mondo è ricoperto da un’unica Trude che non comincia e non finisce, cambia solo il nome dell’aeroporto” (2015, p. 125); o come pentesilea, fatta interamente di sobborghi; “pentesilea è solo periferia di se stessa e ha il suo centro in ogni luogo?” si chiede l’autore, e ancora: “fuori da pen-tesilea esiste un fuori? o per quanto ti allontani dalla città non fai che passare da un limbo all’altro e non arrivi ad uscirne?” (2015, p. 153).

Il libro si presenta come una serie di relazioni di viaggio che Marco polo fa a Kublai Kan, discendente di gengis Kan. le relazioni si al-ternano ai dialoghi dei due: da una parte il melanconico imperatore, in cui cresce, silenziosa, la percezione della rovina del mondo, dell’im-plosione del suo impero sconfinato (ha conquistato tutto, ma teme che il tutto volga al nulla5); dall’altra il viaggiatore visionario che racconta di città impossibili: concentriche, sospese su un abisso, fatte di tubatu-re… a tratti il gioco si capovolge ed è l’imperatore a immaginare e de-scrivere città: “− Mettiti in viaggio, esplora tutte le coste e cerca questa città, − dice il Kan a Marco − Poi torna a dirmi se il mio sogno risponde al vero” (2015, p. 53).

la dialettica tra mondo ideale e mondo reale pervade il libro, come osserva pier paolo pasolini: “nella letteratura di calvino è saltato fuori il platonismo, sotto il cui segno quella letteratura è nata. tutte le cit-tà che Calvino sogna, in infinite forme, nascono invariabilmente dallo scontro tra una città ideale e una città reale” (pasolini, 2015, p. 164). per pasolini, tuttavia, che considerava Le città invisibili non solo il libro più bello di calvino, ma un libro “bello in assoluto”, questo scontro non va oltre “un surrealismo che è la delizia delle delizie”, “non si risolve sto-ricamente in nulla. i due opposti non si superano in un rapporto dialetti-

5 “a forza di scorporare le sue conquiste per ridurle all’essenza, Kublai era ar-rivato all’operazione estrema:  la conquista definitiva, di cui  i suoi multiformi  tesori dell’impero non erano che involucri illusori, si riduceva a un tassello di legno piallato: il nulla…” (calvino, 2015, p. 119).

Page 4: Scarica questo file PDF

Stefano Redaelli166

co!” (ibidem). di fronte allo scarto tra mondo ideale e mondo reale, che si rivela spesso “inferno dei viventi”, calvino suggerisce due strategie di sopravvivenza. la prima ha a che fare con la ben nota leggerezza e trova visibilità principalmente nelle “città sottili” (ma anche “nelle città e il cielo”); la seconda si basa sullo sguardo, che va educato a sco-prire le “città nascoste”.

leggeRezza

intrecciando il discorso dei poeti al discorso della scienza, partendo da lucrezio, il quale in De rerum natura, poema della materia, vuole mostrare che “la vera realtà di questa materia è fatta di corpuscoli in-visibili” (2007, p. 13), per arrivare alla visione della scienza moderna, secondo la quale “il mondo si regge su entità sottilissime: come i mes-saggeri del dna, gli impulsi dei neuroni, i quarks, i neutrini vaganti nello spazio dall’inizio dei tempi” (2007, p. 12), calvino intesse, nelle Lezioni americane, un grande elogio della leggerezza (prima lezione). la leggerezza a cui ambisce è innanzitutto una “reazione al peso di vi-vere” (2007, p. 33). essa non è sinonimo di frivolezza, è piuttosto una “leggerezza pensosa” che “può far apparire la frivolezza come pesante e opaca” (2007, p. 15). ne Le città invisibili questo valore trova forma attraverso “le città sottili”, come lalage, ottavia, zenobia. l’imperatore ha capito che “è il suo stesso peso che sta schiacciando l’impero” e co-mincia a sognare città leggere:

− Ti racconterò cosa ho sognato stanotte, − dice a Marco. − In mezzo a una terra piatta e gialla, cosparsa di meteoriti e massi erratici, vedevo di lontano elevarsi le guglie d’una città dai pinnacoli sottili, fatti in modo che la luna nel suo viaggio possa posarsi ora sull’uno ora sull’altro, o dondolare appesa ai cavi delle gru.

E Polo: − La città che hai sognato è Lalage. Questi inviti alla sosta nel cielo notturno i suoi abitanti disposero perché la luna conceda a ogni cosa nella città di crescere e ricrescere senza fine. – C’è qualcosa che tu non sai, − aggiunse il Kan. − Riconoscente la Luna ha dato alla città di Lalage un pri-vilegio più raro: crescere in leggerezza (2015, pp. 71–72).

Page 5: Scarica questo file PDF

Sopra-vivere nell’inferno: una eredità calviniana 167

Nella descrizione di Lalage la leggerezza è evocata dalla Luna, fi-gura molto amata ed utilizzata da calvino6, proprio perché “ha avuto sempre il potere di comunicare una sensazione di levità, di sospensione, di silenzioso e calmo incantesimo” (2007, p. 31). la crescita in legge-rezza che la luna dona a lalage è sinonimo di “sottrazione di peso” (2007, p. 7), e potrebbe essere rappresentata come un movimento ascen-dente. nelle Confessioni, Sant’Agostino, riflettendo sul peso e le forze che muovono la natura e l’uomo, scrive:

ogni corpo a motivo del suo peso tende al luogo che gli è proprio. Un peso non trascina soltanto al basso, ma al luogo che gli è proprio. il fuoco tende verso l’alto, la pietra verso il basso, spinti entrambi dal loro peso a cercare il loro luogo. l’olio versato dentro l’acqua s’innalza sopra l’acqua, l’acqua versata sopra l’olio s’immerge sotto l’olio, spinti entrambi dal loro peso a cercare il loro luogo. fuori dall’ordine regna l’inquietudine, nell’ordine la quiete. il mio peso è il mio amore; esso mi porta dovunque mi porto. il tuo dono ci accende e ci porta verso l’alto. (agostino, 1992, p. 79)

Se applicassimo questa  categorie  agostiniana − operazione azzar-data, considerando la distanza tra i due autori (uno scrittore agnostico e un padre della chiesa) − alla poetica di Calvino, potremmo dire che il suo “amore” (“dono”) è la letteratura, il cui movimento porta verso l’alto, attraverso una sottrazione di peso: “ho cercato di togliere peso ora alle figure umane, ora ai corpi celesti, ora alle città; soprattutto ho cer-cato di togliere peso alla struttura del racconto e del linguaggio” (calvi-no, 2007, p. 7). il peso della letteratura calviniana è antigravitazionale: eleva, aumentando la leggerezza; “il luogo che gli è proprio”, per dirla come agostino, è in alto. prendiamo, come esempio, la città di Bersebea

6 in Le lezioni americane, calvino confessa che avrebbe voluto dedicare alla luna l’intera lezione sulla leggerezza, per poi ammettere che “andava lasciata tutta a leopardi” (2007, p. 31). in Le cosmicomiche la luna è protagonista e sfondo di molti racconti, quasi rappresenti per calvino il sistema di riferimento privilegiato da cui inventare la sua letteratura cosmica. Sulla presenza della luna nell’opera di calvino e sul suo rapporto con la tradizione (dante, ariosto, galilei, leopardi) vedi greco, 2009.

Page 6: Scarica questo file PDF

Stefano Redaelli168

(annoverata tra “le città e il cielo”), che si modella sulla sua immagine celeste:

l’immagine che la tradizione ne divulga è quella d’una città d’oro massic-cio, con chiavarde d’argento e porte di diamante, una città–gioiello, tutta intarsi e incastonature, quale un massimo di studio laborioso può produrre applicandosi a materie di massimo pregio. fedeli a questa credenza, gli abi-tanti di Bersabea tengono in onore tutto ciò che evoca loro la città celeste: accumulano metalli nobili e pietre rare, rinunciano agli abbandoni effimeri, elaborano forme di composita compostezza. […] nelle credenze di Bersabea c’è una parte di vero e una d’errore. vero è che due proiezioni di se stessa accompagnino la città, una celeste e una infernale; ma sulla loro consistenza ci si sbaglia. […] intenta ad accumulare i suoi carati di perfezione, Bersabea crede virtù ciò che è ormai un cupo invasamento a riempire il vaso vuoto di se stessa; non sa che i suoi soli momenti d’abbandono generoso sono quel-li dello staccare da sé, lasciar cadere, spandere. pure, allo zenit di Bersabea gravita un corpo celeste che risplende di tutto il bene della città, racchiuso nel tesoro delle cose buttate via […]. la città celeste è questa e nel suo cielo scorrono comete dalla lunga coda, emesse a roteare nello spazio dal solo atto libero e felice di cui sono capaci gli abitanti di Bersabea, città che solo quan-do caca non è avara calcolatrice interessata. (2015, pp. 109–110)

la città celeste, ideale, non è fatta di oro massiccio, tanto prezioso quanto pesante, al contrario, è composta di scarti. paradossalmente, l’at-to della defecazione è quanto di più celeste gli abitanti di una città grave di gioielli siano capaci di compiere; un atto di svuotamento, espulsione di rifiuti, in realtà più nobili dei beni accumulati, perché leggeri. 

diversa è la resistenza di ottavia alla gravitazione del mondo terre-no, che spinge in basso, verso un precipizio. ottavia, “città ragnatela”, sfida il vuoto sospesa su una rete:

c’è un precipizio in mezzo a due montagne scoscese: la città è sul vuoto, legata alle due creste con funi e catene e passerelle. Si cammina sulle traver-sine di legno, attenti a non mettere il piede negli intervalli, o ci si aggrappa alle maglie di canapa. Sotto non c’è niente per centinaia e centinaia di metri: qualche nuvola scorre; s’intravede più in basso il fondo del burrone. Questa è la base della città: una rete che serve da passaggio e da sostegno. tutto il resto, invece d’elevarsi sopra, sta appeso sotto: scale di corda, amache, case fatte a sacco, attaccapanni, terrazzi come navicelle, otri d’acqua, becchi

Page 7: Scarica questo file PDF

Sopra-vivere nell’inferno: una eredità calviniana 169

del gas, girarrosti, cesti appesi a spaghi, montacarichi, docce, trapezi e anel-li per giochi, teleferiche, lampadari, vasi con piante dal fogliame pendulo. (2015, p. 73)

Qui la leggerezza è rappresentata dalla struttura architettonica ri-dotta a un sistema di corde, cesti, sacchi, spaghi (invece di funi metalli-che, cemento, ascensori). gli abitanti di ottavia vivono sospesi, leggeri, ma precari e consapevoli della propria precarietà: “Sospesa sull’abisso, la vita degli abitanti d’ottavia è meno incerta che in altre città. Sanno che più di tanto la rete non regge” (2015, p. 73).

Altro  esempio  di  città  leggere  −  dunque  vivibili  −  sono Zenobia e Bauci, che hanno in comune la distanza dalla terra: entrambe cercano la loro felicità in alto. Zenobia è annoverata tra le “città sottili”, Marco Polo la definisce “mirabile”:

benché posta su terreno asciutto essa sorge su altissime palafitte, e le case sono di bambù e di zinco, con molti ballatoi e balconi, poste a diversa al-tezza, su trampoli che si scavalcano l’un l’altro, collegate da scale a pioli e marciapiedi pensili, sormontate da belvederi coperti da tettoie a cono, bari-li di serbatoi d’acqua, girandole marcavento, e ne sporgono carrucole, lenze e gru. (2015, p. 34)

Bauci, pur essendo “sottile”, addirittura eterea poiché oltre i suoi sottili trampoli non ci è dato vedere altro che un’ombra, è annoverata tra “le città e gli occhi”, e in certo modo costituisce un ponte tra la strategia delle leggerezza e quella dello sguardo:

dopo aver marciato sette giorni attraverso boscaglie, chi va a Bauci non riesce a vederla ed è arrivato. i sottili trampoli che s’alzano dal suolo a gran distanza l’uno dall’altro e si perdono sopra le nubi sostengono la città. ci si sale con scalette. a terra gli abitanti si mostrano di rado: hanno già tutto l’occorrente lassù e preferiscono non scendere. Nulla della città tocca il suo-lo tranne quelle lunghe gambe da fenicottero a cui si appoggia e, nelle gior-nate luminose, un’ombra traforata e angolosa che si disegna sul fogliame. (2015, p. 75)

Sull’architettura di Bauci, in particolare sulla sua separatezza dalla terra, calvino formula tre ipotesi; nella prima la separatezza è sinoni-

Page 8: Scarica questo file PDF

Stefano Redaelli170

mo di odio per la terra, nella seconda di rispetto e nella terza di amore per la sua primitiva bellezza, non ancora contaminata dall’uomo, con-templabile solo da una distanza, dall’alto, con “cannocchiali e telescopi puntati in giù” (ibidem).

le città leggere, “sottili”, quali luoghi per opporsi al peso della vita, per sopravvivere nell’inferno dei viventi, appaiono separate dalla terra. in lalage, ottavia, zenobia, Bauci, si tratta letteralmente di so-pra-vivere: vivere sopra la terra, su guglie dai pinnacoli sottili che toccano la luna, su case fatte a sacco, sospese sul precipizio, su palafitte, trampoli… su alberi, se pensiamo a Il barone rampante, che porta que-sto stile di vita alle estreme conseguenze.

tale forma di sopravvivenza, per quanto suggestiva, poetica – erano le pagine che Calvino preferiva: “forse queste figure più filiformi (‘città sottili’ o altre) sono la zona più luminosa del libro” (2015, p. XI) – può sembrare troppo eterea. non tutti i critici dell’opera calviniana elogiano la leggerezza di cui lo scrittore si fa promotore. abbiamo già visto l’accusa di pasolini7 al platonismo di calvino, che “non si risolve sto-ricamente in nulla”, se non in “un surrealismo che è la delizia delle delizie”. Ben più critico è Claudio Giunta, che considera la leggerez-za proposta da calvino “un concetto declinabile a piacimento un po’ in tutti gli ambiti e le discipline, dall’architettura al teatro […], dallo show-business […] al management” (Giunta, 2010, p. 6). La superficia-le citabilità di questo valore (come di altri: esattezza, rapidità, ecc.) ha suscitato, a detta di giunta, una vera e propria “infatuazione collettiva”, la cui responsabilità ricade in parte su calvino: “le Lezioni americane si prestano troppo bene a quest’abuso perché un frammento di colpa non debba ricadere anche su di loro” (ibidem). cesare cases parla, invece, a proposito del Barone rampante, di “pathos della distanza” (1987), che a sua volta può trasformarsi, secondo alfonso Berardinelli, in “confort della distanza” (1991, p. 42), che non è tanto l’atteggiamento scientifico 

7 noto è il saggio-confronto di carla Benedetti (1998) tra pasolini e calvino, Pa-solini contro Calvino. Per una lettura impura, in cui l’autrice contrappone la scrittura di calvino, tesa a descrivere il mondo, con i suoi valori astratti di esattezza, leggerez-za, rapidità, a quella di pasolini, che attraverso la scrittura vuole agire nel mondo.

Page 9: Scarica questo file PDF

Sopra-vivere nell’inferno: una eredità calviniana 171

di chi indaga con lo sguardo, ma quello cauto, di chi non vuole correre rischi, compromettersi con quello che guarda. Mario Barenghi conside-ra tale immagine di calvino “deformata ma non cervellotica”, poiché è possibile leggere calvino anche in questo modo e chiedersi se il suo amore per la leggerezza non nasca dal “desiderio inconfessato di evi-tare il dramma”, di “escludere il dramma dalla sua rappresentazione letteraria” (Barenghi, 2015, p. 319).

in ogni modo, come calvino stesso suggerisce in Una pietra sopra, “è al lettore che spetta di far sì che la letteratura esplichi la sua forza cri-tica, e ciò può avvenire indipendentemente dell’intenzione dell’autore” (2011a, p. 224). a noi, dunque, suoi lettori e studiosi, cogliere la forza (pensosa) e la debolezza (eterea) della sua eredità di leggerezza, nelle immagini letterarie che ci ha lasciato, come strategia per sopravvivere nell’inferno dei viventi.

SgUaRdo

la seconda strategia ha a che fare con lo sguardo; per non “accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più”, occorrono “attenzione e apprendimento continui”, occorre aguzzare lo sguardo, per riconoscere “ciò che inferno non è” (Calvino, 2015, p. 169). Mar-co polo, descrivendo all’imperatore Raissa, una delle “città nascoste”, mostra che “a ogni secondo la città infelice contiene una città felice che nemmeno sa di esistere”:

non è felice, la vita a Raissa. per le strade la gente cammina torcendosi le mani, impreca ai bambini che piangono, s’appoggia ai parapetti del fiume con le tempie tra i pugni, alla mattina si sveglia da un brutto sogno e ne co-mincia un altro. [….] dentro le case è peggio, e non occorre entrarci per sa-perlo: d’estate le finestre rintronano di litigi e piatti rotti. Eppure, a Raissa, a ogni momento c’è un bambino che da una finestra ride a un cane che è sal-tato su una tettoia per mordere un pezzo di polenta caduto a un muratore che dall’alto dell’impalcatura ha esclamato: – gioia mia, lasciami intingere! – a una giovane ostessa che solleva un piatto di ragù sotto la pergola, contenta di servirlo all’ombrellaio che festeggia un buon affare. (2015, pp. 144–145)

Page 10: Scarica questo file PDF

Stefano Redaelli172

felicità e infelicità (bene e male) si intrecciano, si contengono reci-procamente, non è possibile dividerle in modo netto (come calvino ha ampliamente mostrato ne Il visconte dimezzato); è possibile riconoscere l’una nell’altra (se lo sguardo è capace di farlo). non a caso, tra le ripartizioni del libro in capitoli e sezioni (“le città continue”, “le città nascoste”, “le città sottili”, “le città e gli occhi”, etc.) non troviamo quel-la in città infelici e città felici, così come in citta giuste e città ingiuste, anche queste ugualmente “avvolte l’una dentro l’altra, strette pigiate in-districabili”, in un “doppio involucro”:

nel seme della città dei giusti sta nascosta a sua volta una semenza maligna; la  certezza  e  l’orgoglio  d’essere  nel  giusto −  e  d’esserlo  più  di  tanti  altri che si dicono giusti più del giusto − fermentano in rancori rivalità ripicchi, e il naturale desiderio di rivalsa sugli ingiusti si tinge della smania d’essere al loro posto a far lo stesso di loro. Un’altra città ingiusta, pur sempre diversa dalla prima, sta dunque scavando il suo spazio dentro il doppio involucro delle Berenici ingiusta e giusta. […] dal mio discorso avrai tratto la con-clusione che la vera Berenice è una successione nel tempo di città diverse, alternativamente giuste e ingiuste. (2015, p. 157)

Un altro esempio di città duplici8 ci è dato da Marozia; come per Berenice, le due anime (quella del topo e quella della rondine) più che coesistere, si avvicendano nel tempo:

oggi Marozia è una città dove tutti corrono in cunicoli di piombo come bran-chi di topi che si strappano di sotto i denti dei topi più minacciosi; ma sta per cominciare un nuovo secolo in cui tutti a Marozia voleranno come le rondini nel cielo d’estate, chiamandosi come in un gioco, esibendosi in volteggi ad ali ferme, sgombrando l’aria da zanzare e moscerini. – È tempo che il secolo del topo abbia termine e cominci quello delle rondini, dissero i più risoluti. E di fatto già sotto il torvo e gretto predominio topesco si sentiva, tra la gente meno in vista, covare uno slancio da rondini, che puntano verso l’aria tra-sparente con un agile colpo di coda e disegnano con la lama delle ali la curva d’un orizzonte che s’allarga. […] Marozia consiste di due città: quella del topo e quella della rondine; entrambe cambiano nel tempo; ma non cambia

8 la categoria della duplicità venne inizialmente considerata da calvino per la  suddivisione del  libro, ma poi  fu abbandonata: “Alcune potevo definirle Le città duplici, ma poi mi venne meglio di distribuirle in altri gruppi” (2015, p. vii).

Page 11: Scarica questo file PDF

Sopra-vivere nell’inferno: una eredità calviniana 173

il loro rapporto: la seconda è quella che sta per sprigionarsi dalla prima. (2015, pp. 150–151)

la dualità delle “città nascoste” non è una proprietà assoluta, og-gettiva; essa dipende, in certo modo, dai suoi abitanti. a Raissa la città felice “nemmeno sa di esistere”, a Marozia anche nell’era delle rondini, “gente che crede di volare ce n’è, ma è tanto se si sollevano dal suolo sventolando palandrane da pipistrello”. perché “le città nascoste” (che rappresentano  per  lo  più  città  felici)  diventino  visibili  sono  necessari una presa di coscienza e uno sguardo diversi, come Marco Polo spiega, descrivendo zemrude, catalogata tra “le città e gli occhi”:

È l’umore di chi la guarda che dà alla città di zemrude la sua forma. Se ci passi fischiettando, a naso librato dietro al fischio, la conoscerai di sotto in su: davanzali, tende che sventolano, zampilli. Se ci cammini col mento sul petto, con le unghie ficcate nelle palme, i tuoi sguardi si impiglieranno raso-terra, nei rigagnoli, i tombini, le resche di pesce, la cartaccia […]. per tutti presto o tardi viene il giorno in cui abbassiamo lo sguardo lungo i tubi delle grondaie e non  riusciamo più a  staccarlo dal  selciato.  Il  caso  inverso non è escluso, ma è più raro: perciò continuiamo a girare per le vie di Zemrude con gli occhi che ormai scavano sotto alle cantine, alle fondamenta, ai pozzi. (2015, p. 64)

per quanto la chiusa di questa descrizione suoni pessimistica, ri-mandando a luoghi bassi e bui, dove gravità e cecità prevalgono, Mar-co polo sta dando una lezione di educazione dello sguardo: “le città nascoste” si stagliano dall’inferno in cui ci tocca vivere, solo se impa-riamo a riconoscerle, tenendo lo sguardo in su, covando “uno slancio da rondini”, sovvertendo il “predominio topesco”. È un “caso raro”, ma “non è escluso”. Il fine dichiarato delle esplorazioni di Marco Polo è mi-surare il buio: “scrutando le tracce di felicità che ancora s’intravvedo-no, ne misuro la penuria” (2015, p. 57). Se da una parte l’oggetto delle misurazioni è l’oscurità, dall’altra, la tecnica di misurazione consiste nell’ “aguzzare lo sguardo sulle fioche luci lontane” (ibidem). Ne Le cit-tà invisibili lo sguardo di calvino è ancora portatore di una funzione etico-civile, che lascerà il posto progressivamente (da Le cosmicomiche in poi) a quella scientifico-epistemica di Palomar, il cui sguardo – oc-

Page 12: Scarica questo file PDF

Stefano Redaelli174

chio – è tutto intento a misurare il limiti della conoscenza, attraverso “l’attenzione a campi di osservazioni limitati” (calvino, 2011d, p. vii), che non si estendono mai, in modo rivelatore, dal mondo naturale (una giraffa, un’onda, la pancia del geco, le stelle, etc.…) al mondo umano. Al contrario, nella lezione di Marco Polo sentiamo l’eco, o meglio ve-diamo il riflesso, seppur labile, di uno sguardo presente in La giornata di uno scrutatore:

amerigo teneva lo sguardo su di loro, forse per riposarsi (o schivarsi) da al-tre viste, o  forse  ancor di più,  in qualche modo affascinato.  […] Ora che il giovane idiota aveva terminato la sua lenta merenda, padre e figlio, seduti sempre ai lati del letto, tenevano tutti e due appoggiate sulle ginocchia le mani pesanti d’ossa e di vene, e le teste chinate per storto – sotto il cappello calato il padre, e il figlio a testa rapata come un coscritto – in modo di conti-nuare a guardarsi con l’angolo dell’occhio.

ecco, pensò amerigo, quei due, così come sono, sono reciprocamente necessari.

e pensò: ecco, questo modo d’essere è amore.E poi: l’umano arriva dove arriva l’amore; non ha confini se non quelli 

che gli diamo. (1992, pp. 62–69)

la fugace epifania di amerigo9, presto ricondotta al dubbio – “si sa come sono quei momenti in cui pare d’aver capito tutto: magari un mo-mento dopo si cerca di definire quel che si è capito e tutto scappa” (Cal-vino, 1992, p. 70) – ci appare come un inatteso svelamento, “in mezzo all’inferno” del cottolengo, “di ciò che inferno non è”.

a distanza di trent’anni dalla morte di calvino, tra le numerose ere-dità che la sua poliedrica opera letteraria ci lascia, possiamo recupera-re una dimensione etico-civile, espressa dai valori della leggerezza e dello sguardo, rappresentati con visibilità ne Le città invisibili. il primo (la leggerezza) fornisce una spinta verso l’alto – da cui è mossa gran parte della letteratura calviniana –, capace di sottrare il peso che al-

9 come osserva pierpaolo antonello, i termini pietà, carità, amore, ripetutamente usati in La giornata di uno scrutatore, “spariranno del tutto dal vocabolario e dall’oriz-zonte concettuale calviniano” (2005, pp. 183–184), mentre si farà spazio l’intuizione che “ogni scelta etica rispetto al dolore del mondo doveva essere fatta probabilmente al di fuori della letteratura” (ibidem).

Page 13: Scarica questo file PDF

Sopra-vivere nell’inferno: una eredità calviniana 175

trimenti schiaccerebbe l’impero del Kan – simbolo di ogni umano desi-derio di imperare – e causa separatezza, per cui sopravvivere è sinonimo di vivere-sopra = distanti dalla terra. Il secondo (lo sguardo) − seppur anch’esso rivolto verso l’alto: “di sotto in su” – è focalizzato nella re-altà, non cerca platonicamente (altrove) un mondo ideale in cui vivere, piuttosto si esercita a discernere, nel loro “doppio involucro”, le città felici da quelle infelici, spesso “strette pigiate indistricabili”.

nella ricerca di un arco ideale tra descrizione del mondo (che impli-ca sempre una distanza) e azione responsabile in esso (dunque presenza, prossimità) o se si preferisce tra cultura scientifica (teoretica) e cultura umanistica (assiologica)10, la letteratura calviniana ci lascia in eredità una tensione al tempo stesso estetica ed etica.

BiBliogRafia

antonello, p. (2005). Il Ménage a quattro. Scienza, filosofia, tecnica nella let-teratura italiana del Novecento. Firenze: Le Monnier Università.

Barenghi, M. (2011). Postfazione. La forma dei desideri. L’idea di letteratura di calvino. in i. calvino, Mondo scritto e mondo non scritto (pp. 307–322). Milano: Mondadori.

Bendetti, c. (1998). Pasolini contro Calvino. Per una lettura impura. torino: Bollati Boringhieri.

Berardinelli, a. (1991), calvino moralista, ovvero come restare sani dopo la fine del mondo. Dario, vii, 9, 42.

calvino, i. (1992). Romanzi e racconti. Vol. II  (a  cura  di  M.  Marenghi  e B. Falcetto). Milano: Mondadori.

calvino, i. (1993). Il visconte dimezzato. Milano: Mondadori.calvino, i. (2007). Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio.

Milano: Mondadori.calvino, i. (2011a). cibernetica e fantasmi. in i. calvino, Una pietra sopra

(pp. 202–225). Milano: Mondadori.calvino, i. (2011b). Le cosmicomiche. Milano: Mondadori.calvino, i. (2011c). Mondo scritto e mondo non scritto. Milano: Mondadori.

10 Usiamo qui la distinzione di giulio preti (1974) tra cultura teoretica (basata sulla conoscenza), tipica del mondo scientifico, e cultura assiologica (basata sui valo-ri), tipica del mondo umanistico.

Page 14: Scarica questo file PDF

Stefano Redaelli176

calvino, i. (2011d). Palomar. Milano: Mondadori.calvino, i. (2015). Le città invisibili. Milano: Mondadori.cases, c. (1987). Patrie lettere. torino: einaudi.citati, p. (1979). le città invisibili di italo calvino. parabola morale e allegoria

metafisica. In P. Citati, Il velo nero (pp. 258–261). Milano: Rizzoli.eco, U. (1985). la combinatoria dei possibili e l’incombenza della morte.

in U. eco, Sugli specchi ed altri saggi (pp. 209–211). Milano: Bompiani.giunta, c. (2010). le «lezioni americane» di calvino 25 anni dopo: una pietra

sopra? Belfagor, lXv 6, 649–66.greco, p. (2009). L’astro narrante. La Luna nella scienza e nella letteratura

italiana, Milano: Springer.heaney, S. (2011). postfazione. in i. calvino, Palomar (pp. 113–117). Milano: 

Mondadori.Mengaldo,  P.V.  (1975).  L’arco  e  le  pietre  (Calvino,  «Le  città  invisibili»). 

In P. V. Mengaldo, La tradizione del Novecento. Da D’Annunzio a Mon-tale (pp. 406–426). Milano: Feltrinelli.

pasolini p.p. (2015). postfazione. in i. calvino, Le città invisibili (pp. 161–166). Milano: Mondadori.

pasolini, p.p. (1979). italo calvino, «le città invisibili». in p.p. pasolini, De-scrizioni di descrizioni (pp. 34–39). torino: einaudi.

preti, g. (1974). Retorica e logica. Le due culture. torino: einaudi.Sant’agostino (1992). le confessioni. in e. cavallari (a cura di), L’anima mia

ha sete di te. Preghiere da «Le confessioni». Roma: città nuova.Segre, c. (2005). italo calvino. «le città invisibili» e la vertigine epistemica.

in c. Segre, Tempo di bilanci. La fine del Novecento (pp. 99–108). to-rino: einaudi.

Riassunto: il presente studio vuole mettere in evidenza due strategie di sopravvivenza nell’“inferno dei viventi” che emergono dall’analisi de Le città invisibili: la leggerezza e lo sguardo. il valore della leggerezza trova visibilità nelle “città sottili”, accomunate da un’architettura esile, dalla reazione contraria e opposta al peso del vivere, dalla distanza dalla terra. “le città nascoste”, a loro volta, offrono lo spunto per una riflessione (lezione) sullo sguardo, al fine di educarlo a “riconoscere ciò che inferno non è”: la città felice contenuta nella città infelice. ne Le città invisibili, lo sguardo di calvino è ancora portatore di una funzione etico-civile (presente ne La giornata di uno scrutatore), che lascerà il posto (dalle Cosmicomiche in poi) a quella scientifico-epistemica di Palomar, il cui occhio è intento esclusivamente a misurare il limiti della conoscenza, che non si estende mai, in modo rivelatore, dal mondo naturale a quello umano. a trent’anni dalla morte di calvino, tra le numerose eredità che la sua poliedrica opera letteraria ci lascia, possiamo recuperare una dimensione etico-civile, espressa dai valori della leggerezza e dello sguardo.

Parole chiave: leggerezza, sguardo, distanza, letteratura, etica