Sbob. Di Salvo Jessica TUMORI...

14
1 3/11/2015 Prof. Altavilla Sbob. Di Salvo Jessica TUMORI RENALI I tumori renali si classificano in: 1) TUMORI MALIGNI Due tumori abbastanza frequenti: - Carcinoma a cellule renali (rappresenta l’ 80-85% ed è quello di cui oggi parleremo) - Carcinoma a cellule transizionali (è un tumore non del parenchima renale ma che si trova a livello della pelvi renale, quindi un tumore della via escretrice che dal punto di vista della storia naturale si avvicina molto al tumore della vescica di cui poi parleremo e quindi facendo la storia naturale del tumore della vescica ci rifaremo anche a questo tipo di tumore renale) Due tumori più rari: - Tumore di Wilms (molto raro nell’ incidenza generale ma frequentissimo in una classe di età che va da 0 a 5 anni, quindi nei bambini; tra l’ altro è un tumore molto particolare perché è uno dei tumori che se diagnosticato correttamente in tempo porta alla guarigione al 100 %) - Sarcomi (molto rari) 2) TUMORI BENIGNI - Oncocitoma - Angiolipoma CARCINOMA A CELLULE RENALI EPIDEMIOLOGIA Il tumore a cellule renali rappresenta l’ 80-85% dei tumori renali. Nasce a livello della corteccia renale, costituisce il 2-3% di tutte le neoplasie maligne e nel 2015 sono attesi 12000 nuovi casi di tumori del rene, con un rapporto maschi : femmine di 2:1(quindi una netta prevalenza negli uomini rispetto alle donne). Per quanto riguarda l’ incidenza (curva superiore) vi è un incremento costante nel tempo sia negli uomini (del 1,1%) che nelle donne (dello 0,8%). Per quanto riguarda la mortalità, il dato del 2012 ci dice che nel 2012 sono morti di carcinoma renale 3299 pazienti, di cui il 64% erano uomini. La curva di mortalità (quella in basso) è piuttosto rettilinea, quindi stabile nel tempo.

Transcript of Sbob. Di Salvo Jessica TUMORI...

1

3/11/2015

Prof. Altavilla

Sbob. Di Salvo Jessica

TUMORI RENALI

I tumori renali si classificano in:

1) TUMORI MALIGNI

Due tumori abbastanza frequenti:

- Carcinoma a cellule renali (rappresenta l’ 80-85% ed è quello di cui oggi parleremo)

- Carcinoma a cellule transizionali (è un tumore non del parenchima renale ma che si trova a livello della

pelvi renale, quindi un tumore della via escretrice che dal punto di vista della storia naturale si avvicina

molto al tumore della vescica –di cui poi parleremo e quindi facendo la storia naturale del tumore della

vescica ci rifaremo anche a questo tipo di tumore renale)

Due tumori più rari:

- Tumore di Wilms (molto raro nell’ incidenza generale ma frequentissimo in una classe di età che va da 0

a 5 anni, quindi nei bambini; tra l’ altro è un tumore molto particolare perché è uno dei tumori che se

diagnosticato correttamente in tempo porta alla guarigione al 100 %)

- Sarcomi (molto rari)

2) TUMORI BENIGNI

- Oncocitoma

- Angiolipoma

CARCINOMA A CELLULE RENALI

EPIDEMIOLOGIA

Il tumore a cellule renali rappresenta l’

80-85% dei tumori renali.

Nasce a livello della corteccia renale,

costituisce il 2-3% di tutte le neoplasie

maligne e nel 2015 sono attesi 12000

nuovi casi di tumori del rene, con un

rapporto maschi : femmine di 2:1(quindi

una netta prevalenza negli uomini

rispetto alle donne).

Per quanto riguarda l’ incidenza (curva

superiore) vi è un incremento costante

nel tempo sia negli uomini (del 1,1%)

che nelle donne (dello 0,8%).

Per quanto riguarda la mortalità, il dato

del 2012 ci dice che nel 2012 sono morti

di carcinoma renale 3299 pazienti, di

cui il 64% erano uomini.

La curva di mortalità (quella in basso) è

piuttosto rettilinea, quindi stabile nel

tempo.

2

FATTORI DI RISCHIO

-Non vi è dubbio che anche per il tumore

renale il fumo di sigaretta rappresenta il

maggiore fattore di rischio, ma accanto a

questo vi sono due condizioni proprie della

sindrome metabolica (fattori di rischio

particolarmente importanti nelle donne per

il carcinoma della mammella) cioè l’

obesità e l’ ipertensione.

Già questi tre fattori vi fanno capire perchè

questo tumore sia prevalente nei paesi ad

alto tenore di vita cioè paesi occidentali.

-Inoltre anche fattori genetici sono stati

correlati al tumore renale: i parenti di

primo grado dei pazienti affetti da

carcinoma renale hanno un rischio 4 volte

superiore rispetto alla popolazione

generale di sviluppare questa neoplasia.

Il tumore renale è nella maggior parte dei casi (ricordatelo sempre) una forma sporadica e non legata a fattori genetici

ereditari, però vi sono dei quadri di carcinoma renale ereditario che insorgono prevalentemente nell’ ambito di quadri

sindromici particolari che sono:

1) La SINDROME DI VON HIPPEL LINDAU

2) Il CARCINOMA PAPILLARE EREDITARIO

3) La LEIOMIOMATOSI EREDITARIA

4) La BIRT-HOGG-DUBE’

- La SINDROME DI VON

HIPPEL LINDAU si

trasmette con modalità

autosomica dominante. Oltre

al tumore renale vi sono

neoplasie di altri organi

(emoangioblastomi della

retina e/o del SNC,

feocromocitomi, tumori a

cellule insulari del pancreas).

Il 35% circa di pazienti con

tale sindrome sviluppa

carcinomi renali, più spesso

bilaterali (capite la qualità di

vita di questi pazienti se

sottoposti a un intervento

chirurgico); in questi tumori

renali associati a tale sindrome

inoltre vi è una mutazione a

carico di entrambe le copie del

gene oncosoppressore VHL localizzato in corrispondenza

del braccio corto del

cromosoma 3.

3

- Il CARCINOMA PAPILLARE

EREDITARIO è una sindrome anch’

essa trasmessa con un meccanismo

mendeliano di tipo autosomico

dominante, associata alla mutazione

del protoncongene MET codificante

una tirosin-chinasi recettoriale; si

associa quindi a carcinoma renale

papillare di tipo 1 che si associa ad

altre neoplasie.

- La LEIOMIOMATOSI

EREDITARIA si trasmette anch’ essa

con modalità autosomica dominante e

si associa alla mutazione del gene FH

predisponendo allo sviluppo di

leiomiomi benigni della cute e dell’

utero, leiomiosarcomi uterini e

carcinoma renale papillare di tipo 2.

- La BIRT-HOGG-DUBE’ è dovuta

alla mutazione del gene BHD che

codifica per la follicolina, quindi predispone allo sviluppo di tumori cutanei benigni, cisto polmonari e carcinomi

renali spesso multipli e bilaterali (soprattutto carcinomi cromofobi).

ANATOMIA PATOLOGICA

-Dal punto di vista MACROSCOPICO, nella

maggior parte dei casi il carcinoma a cellule renali

si sviluppa a livello della corticale renale (l’

abbiamo già detto) e solo nelle fasi più tardive si

estende verso la pelvi.

Tali tumori sono circondati da una pseudocapsula

e al taglio l’ aspetto è spesso variegato con zone

emorragiche, necrotiche e calcifiche.

Il carcinoma a cellule chiare (istotipo più

frequente) ha tipicamente un colore giallastro per

l’ abbondante contenuto lipidico

intracitoplasmatico.

-Da un punto di vista

MICROSCOPICO vi è una

classificazione istologica che

classifica il carcinoma renale in_

1) CARCINOMI A CELLULE

CHIARE (è l’ istotipo prevalente, nel

75-85% dei casi)

2) CARCINOMI DI TIPO

CROMOFILO, tipico è il carcinoma

PAPILLARE (10-15%) *

3) CARCINOMI CROMOFOBI (5-

10%)

4) ONCOCITOMI (meno dle 2%)

4

5) CARCINOMI DEI DOTTI COLLETTORI DI BELLINI (molto raro).

* Il CARCINOMA PAPILLARE origina dal tubulo contorto distale, presenta aree di necrosi, emorragie e

degenerazione cistica; ne distinguiamo due tipi:

- TIPO 1

- TIPO 2 (ha un grading molto alto, dove per “grading” intendiamo una sdifferenziazione rispetto alla

cellula normale; essendo più sdifferenziato avrà una prognosi più sfavorevole).

GRADING

Se il grading è quello che normalmente utilizziamo a

scopo prognostico, nel tumore renale vi è invece un

punteggio definito “PUNTEGGIO DI FURHMAN”

secondo il quale viene dato un numero da 1 a 4 (sulla

base del diametro, della forma del nucleo, delle

caratteristiche della cromatina e dei nucleoli),

rappresentando questo un FATTORE PROGNOSTICO

DECISIVO (è comunque meglio applicato al carcinoma a

cellule chiare, un po’ meno per gli altri istotipi).

STORIA NATULARE

Molto spesso il tumore del rene è un tumore che si riscontra occasionalmente, ad esempio durante un’ ecografia

eseguita per un problema addominale (cui si ricorre molto più spesso rispetto ad un esame clinico obiettivo); quindi

spesso è asintomatico e viene ad essere riscontrato occasionalmente.

Tenete presente che il carcinoma renale ha una storia naturale molto strana:

-Quando parleremo della chemioterapia, vi dirò che in realtà la chemioterapia non ha mai avuto un’ azione nel rene

per cui abbiamo creduto per molto tempo di raggiungere con la chemioterapia una situazione di stabilizzazione della

malattia, ma in realtà la chemioterapia non faceva nulla e il tumore era stabile perché nella sua storia naturale molto

spesso è indolente, tant’ è vero che ci sono dei casi in cui il tumore renale è stato occasionalmente riscontrato nell’

esame autoptico di pazienti morti per altri motivi.

-Sono dei tumori strani però: abbiamo il caso di una paziente operata nel 2001 per tumore del rene a cellule chiare che

dopo 14 anni ha sviluppato metastasi polmonari, quindi è vero che anche a distanza di parecchi anni il paziente con

tumore del rene può sviluppare delle metastasi a distanza.

MODALITA’ DI DIFFUSIONE

Il carcinoma renale può estendersi a livello

locale (ESTENSIONE DIRETTA) infiltrando

la capsula renale di Gerota e diffondendosi a

livello dei tessuti circostanti, ma la più rilevante

estensione diretta del tumore renale è comunque

quella trombotica: va sempre cercato il trombo

neoplastico a livello delle vena renale; molto

spesso è una trombosi imponente, massiva, che

coinvolge anche le vene più a valle (infatti uno

dei possibili sintomi di esordio del tumore

potrebbe essere un varicocele nell’ uomo per

una trombosi della vena spermatica.

Poi abbiamo una possibile diffusione a distanza

quindi una DIFFUSIONE LINFATICA e una

5

DIFFUSIONE EMATOGENA (quest’ ultima provoca nel 75% dei casi metastasi polmonari; questa deve essere ben

gestita perché se interessa solo un lobo va sempre trattata chirurgicamente sia nel caso in cui sia una metastasi

sincrona alla diagnosi del tumore renale sia nel caso di una metastasi metacrona cioè che compaia dopo perché, per il

tipo di storia naturale del tumore renale, l’ azione sulla metastasi può essere decisiva ai fini dell’ incremento della

sopravvivenza del paziente).

SEGNI E SINTOMI

La presentazione clinica è molto

variabile.

Spesso è ASINTOMATICA ma quando

il paziente manifesta dei sintomi questi

sono:

- EMATURIA

- DOLORE

- MASSA ADDOMINALE

PALPABILE

Questa triade sintomatologica così

caratteristica è presente solo nel 10-15%

dei casi; in altri casi vi sono segni

aspecifici quali:

- CALO PONDERALE

- CACHESSIA

- ASTENIA

- ANEMIA IPOCROMICA

- FEBBRE

DIAGNOSI

L’ ESAME CLINICO è sicuramente il

primo approccio per la diagnosi, ma

certamente alla palpazione dei reni non

è sempre possibile individuare la

presenza di un tumore in quanto l’

evidenza di un tumore (con la

palpazione bimanuale) al polo inferiore

del rene così cresciuto tale da rendersi

palpabile è un evenienza piuttosto rara

in quanto dovrebbe essere un tumore

estremamente avanzato. Però il paziente

deve comunque sempre essere visitato

(potrebbe ad esempio riportare un

varicocele).

Non c’ è dubbio che la diagnostica per

immagini è quella che ci permette di

risolvere il problema in termini

diagnostici, a partire da una banalissima

ECOGRAFIA (che spesso è il primo momento diagnostico), la TC (molto più precisa), non si esegue più l’

UROGRAFIA semmai facciamo l’ URO-TC e infine la PET (Attenzione: tenete presente che per quanto riguarda il

tumore renale, la PET può essere negativa in presenza di metastasi perché il fluoro-desossi-glucosio non viene captato

molto bene dalle cellule del rene. L’ ipercaptazione riscontrata nella PET è solitamente un fattore prognostico molto

negativo in quanto sta a significare la presenza di un tumore altamente indifferenziato).

Vi ho detto sempre che la diagnosi di certezza è una DIAGNOSI ISTOLOGICA e un po’ in tutte le neoplasie di cui

abbiamo parlato (tumore del colon, del polmone) abbiamo sempre pensato al ruolo dell’ agobiopsia; tuttavia per il

6

rene è un errore fare un’ agobiopsia trans-

addominale eco- o TC- guidata (a meno che il

paziente non sia ampiamente metastatizzato e non

pensiamo di doverlo operare) perché la probabilità

di diffusione addominale delle cellule neoplastiche

in corso della metodica invasiva di tipo

agobioptico è estremamente elevata; quindi di

norma se c è una massa renale intanto la

asportiamo e poi facciamo l’ esame istologico

(ESPLORAZIONE CHIRURGICA), mentre nel

caso in cui il paziente sia diffusamente

metastatizzato e quindi non operabile ecco il

ricorso all’ AGOBIOPSIA.

SISTEMA TNM

Chiaramente bisogna tener conto del sistema TNM che per quanto riguarda il tumore renale è molto semplice.

7

Tenendo conto del sistema TNM, gli stadi sono molto semplici:

Questo porta ad una variazione

della prognosi dopo un

eventuale intervento chirurgico

estremamente varia perché

considerando il I stadio con una

sopravvivenza a 5 anni del 95%

passiamo, al II stadio con un

88%, al III stadio con un 59%

e infine al IV stadio con un

20%.

8

FATTORI PROGNOSTICI

Lo stadio, il grado di differenziazione, l’

istotipo sono importanti dal punto di vista

prognostico però il Dott. Motzer ha

sviluppato una valutazione prognostica tale

che quando un paziente arriva dall’

oncologo in fase metastatica ci permette di

categorizzarlo in 3 fasce di rischio: basso,

medio, alto.

Tale rischio di Motzer viene valutato sulla

base di alcuni parametri, quali:

- Stato di validità secondo Karnofsky

- Livelli di LDH (>1.5)

- Anemia

- Calcemia

- precedente nefrectomia

Dunque sulla base di questi paramtri:

Un paziente con almeno uno di questi

fattori ha una buona prognosi con un’

aspettativa di vita circa 30 mesi

Un paziente con 2 di questi fattori ha

una prognosi intermedia con un’

aspettativa di vita di circa 15 mesi

Un paziente con più di 2 fattori ha una

scarsissima prognosi con un’

aspettativa di vita di circa 4 mesi e

mezzo.

TERAPIA

TERAPIA CHIRURGICA

La chirurgia è quella che deve essere effettuata in maniera radicale, cosa che molto spesso implica una

NEFRECTOMIA, ma tenete presente che questo tipo di intervento deve essere commisurato allo stato funzionale del

paziente (quindi attenzione ai pazienti con insufficienza renale o ai pazienti mono-rene o ai pazienti trapiantati), quindi

se la nefrectomia è l’ intervento più garantista dal punto di vista oncologico, talvolta tuttavia anche un intervento più

ridotto può essere accettato per mantenere una certa qualità di vita.

Abbiamo parlato di metastasi e abbiamo detto come queste, specie le metastasi polmonari, devono essere inseguite nel

corso della storia naturale di un paziente con tumore renale o insieme ad un intervento di nefrectomia al momento

della diagnosi di metastatizzazione.

Un ruolo controverso è invece quello della nefrectomia in un paziente pluri-metastatico perché nella realtà dei fatti

non si sa quale contributo questa nefrectomia possa dare in termini di mutazione della storia naturale; certo, una

nefrectomia è da eseguire in un paziente che abbia un’delle ematurie imponenti.

9

RADIOTERAPIA

La radioterapia non ha un ruolo importante nel

trattamento del tumore del rene se non nella fase

metastatica e per il trattamento delle metastasi;

pensiamo alle metastasi ossee in cui la radioterapia ha

una certa attività, così come anche alle metastasi

cerebrali in cui una irradiazione encefalica ci consente

in qualche modo di ridurre l’ edema peri-lesionale.

CHEMIOTERAPIA

La chemioterapia non funziona per un

semplice motivo: il carcinoma del rene è un

tumore che esprime in maniera elevata la

proteina Pgp-170, una proteina localizzata a

livello della membrana, che iper-espressa

determina quel meccanismo di “multidrugs

resistence” cioè “resistenza a molti farmaci”

attraverso un sistema di maggiore apertura

di canali che permette un iperafflusso del

chemioterapico dall’ interno della cellula

(che aveva permeato) verso l’ esterno.

L’ adriblastina è stato il farmaco più

utilizzato ma la percentuale di risposta

obiettiva è pari al 6% , e devo dire che le

stabilizzazioni che si osservavano non erano

legate al trattamento chemioterapico ma

erano piuttosto legate al tipo di storia

naturale del tumore.

ORMONOTERAPIA

Il tumore del rene ci ha dato veramente delle ampie

condizioni di disperazione perché in realtà per

lunghissimo tempo non si sapeva cosa fare e

abbiamo cercato di inventarcene tutte, dal momento

che la chemioterapia non funzionava.

Si è anche pensato al medrossiprogesterone

acetato (un ormone progestinico) in quanto si

pensava che questo potesse antagonizzare l’ attività

degli estrogeni dal momento che nei modelli

sperimentali di criceti si è visto che tali estrogeni

stimolavano la crescita del tumore renale. In realtà

non abbiamo mai avuto delle risposte nei pazienti

trattati con il medrossiprogesterone acetato; al più,

abbiamo avuto dei miglioramenti dal punto di vista

sintomatologico, ma ciò era legato a un qualcosa

che poi è stato associato all’ attività del medrossiprogesterone acetato che oggi ha una precisazione specifica nelle

terapie palliative come farmaco anti-cachettico perché in realtà tale sostanza (che è un progestinico) ha una

10

componente nella sua struttura chimica che è di tipo cortisolo-simile, quindi ha meno effetti collaterali del cortisolo

ma la sua stessa attività pro cinestetica.

IMMUNOTERAPIA

Ci sono dei tumori renali che hanno dei comportamenti

imprevedibili: lunghi intervalli liberi da progressione,

talvolta regressioni spontanee; ciò induce a ritenere che l’

immunità possa avere un certo ruolo nel modificare la

storia naturale della malattia. Ecco l’ importanza dell’

immunoterapia.

-Fino ai giorni nostri, la nostra immunoterapia è stata una

immunoterapia che tendeva a stimolare la risposta

immunitaria del soggetto neoplastico.

Abbiamo sempre utilizzato dei farmaci in oncologia che

hanno dato delle tossicità pazzesche e dei risultati

sostanzialmente inconsistenti e i due

tumori che hanno fatto le spese di

questo tipo di trattamento sono stati il

tumore del rene e il melanoma, proprio

perché per certi versi erano i tumori

“più orfani” dal punto di vista delle

possibilità terapeutiche.

In questo senso, l’ Interferone e l’

Interleuchina-2, specie quest’ ultima

utilizzati a dosaggi molto elevati, sono

stati somministrati a pazienti con

tumori del rene dando delle risposte

obiettive che non superavano il 15%,

delle sopravvivenze poco impattanti

rispetto a quelle che potevano essere

legate alla storia naturale del tumore

ma una forte tossicità (personalmente

ho visto morire tante persone per

tossicità da interleuchina-2 tanto che il

suo utilizzo era da temere ma

necessario in mancanza di altre opzioni

nel trattamento del tumore del rene).

-In realtà oggi la MODERNA

IMMUNOTERAPIA dei

tumori è una immunoterapia

che non da una stimolazione

del sistema immunitario ma da

luogo a una slatentizzazione di

quei fattori che bloccano l’

immunità del soggetto

neoplastico (di questi fattori ve

ne parlerò più

approfonditamente quando

affronteremo il melanoma).

Sostanzialmente nei tumori

succede che l’ attività di una

T-cell viene bloccata da una

serie di interazioni (che sono

per certi versi rivolti anche al

tumore stesso) che bloccano il

11

recettore CTL4 oppure ancora vi è proprio una interazione della cellula tumorale-Tcell che viene ad essere soppressa

perché il tumore produce un ligando che si lega ad un recettore presente sulla cellula T-cell bloccandone la sua

attività.

La scoperta di questo ha portato nell’ arco di 5-6 anni allo sviluppo di anticorpi monoclonali che servono a bloccare

questi meccanismi specifici, quindi slatentizzano praticamente l’ attività del sistema immunitario del soggetto che è

inibito dalla presenza del tumore.

Questo ha sconvolto per esempio il trattamento del melanoma, che pertanto oggi da la possibilità di risposte obiettive

enormi rispetto al passato con una sopravvivenza fino a 2 anni (stiamo parlando di un tumore che in fase metastatica

dava una sopravvivenza di vita di 3 mesi)

E’ stato certamente utilizzato prima nel melanoma e oggi vi posso dire anche nel tumore del rene, con un anticorpo

monoclonale diverso chiamato Nivolumab (che è stato anche utilizzato nel melanoma ma soprattutto nel tumore del

polmone e nel tumore del rene)

Però è questo un razionale che non è adattabile solo ai tumori che pensavamo immunogeni ma è adattabile a tutti i

tumori quindi si sta aprendo una nuova strada al trattamento dei tumori, che sarà probabilmente quella del prossimo

decennio, che con molta probabilità supererà sia la chemioterapia sia le terapie target sfruttando questo tipo di attività

basata sulla slatentizzazione dell’ attività immunitaria del soggetto, incrementandola e quindi determinando la

distruzione del tumore o comunque una riduzione del tumore stesso.

Quindi oggi abbiamo questo tipo di immunoterapia che si sta sviluppando per il tumore del rene.

TARGET THERAPY

Ma il tumore del rene in realtà è un tumore che fino al 2007 ci faceva dire: “ma che cosa faccio? L’ adriblastina (che

non serve a nulla)? L’ interleuchina-2 (che da tossicità e non serve a molto)?”, quindi eravamo davvero confusi.

Nel 2007 però c’ è stata una irruzione di farmaci legata alla comprensione dei meccanismi di sviluppo molecolare

della neoplasia: della conoscenza di quello che è il recettore di EGF (epidermal growth factor) cioè del recettore

tirosin-chinasico che determina tutta una serie di eventi a livello della cellula portandola alla proliferazione ma

soprattutto del fatto che certi tumori (tra cui quello renale) sono tumori avidi di neovascolarizzazione.

Nel tumore del rene, e in

particolare in un modello

sperimentale della sindrome di

Von Hippel lindau, si è visto che

nel momento in cui vi è questa

mutazione genica vi è

sostanzialmente la produzione di

un fattore inducibile l’ ipossia che

stimola le cellule neoplastiche a

produrre fattori neoangiogenici

quindi il VEGF, un altro fattore di

crescita che è il PDGF (fattore

legato alle piastrine che determina

la stabilizzazione delle cellule

endoteliali), tutte condizioni che

favoriscono la vascolarizzazione.

-Quindi il razionale è stato quello

di dar luogo all’ inibizione di

questo meccanismo che nel

tumore del rene era iperespresso,

attraverso fattori anti-

neoangiogenetici cioè:

1) fattori che potessero controbilanciare il VEGF quali il famoso Bevacizumab (che utilizziamo molto bene nel

tumore del colon)

12

2) ma soprattutto - perché è questo che gli studi clinici hanno dimostrato - inibitori tirosin-chinasici che inibiscono l’

attività del recettore del VEGF più a valle, inibitori che definiamo “multi-target” perché quando parliamo di

farmaci come Sunitinib , Sorafenib, Pazopanib parliamo di inibitori che hanno una doppia attività: sia sul recettore

di VEGF, sia sul recettore di EGF; dunque questi farmaci hanno la potenza di agire simultaneamente sia sulla cellula

neoplastica (VEGF) sia sulla cellula neoplastica (EGF). La loro attività nell’ ambito del tumore del rene è stata

sconvolgente, nel senso che le risposte obiettive sono state immediatamente più che triplicate rispetto a quelle della

chemioterapia e la sopravvivenza è aumentata fino a sopra i 24 mesi.

Ma il fattore inducibile l’ ipossia oltre

a lavorare attraverso la stimolazione

della cellula a produrre dei fattori

solubili che determinano poi la

neoangiogenesi, agisce anche su un

altro meccanismo.

Questa proteina m-TOR che sta a

valle di quegli eventi causati dal

ligando EGF che interagisce con il

suo specifico recettore e che è

continuamente attivata proprio dal

fattore inducibile l’ ipossia determina

una iperproliferazione della cellula

per stimolazione autocrina.

-Allora è razionale inibire questo

meccanismo e un’ altra categoria di

farmaci, i farmaci anti-mTOR, sono

stati applicati nell’ ambito del

trattamento dei tumori del rene e sono

il Temsirolimus e l’ Everolimus

dando dei risultati estremamente importanti.

QUALE FARMACO UTILIZZARE?

Oggi quindi abbiamo una serie di farmaci che mettono addirittura un po’ in difficoltà l’ oncologo nel scegliere il tipo

di farmaco da utilizzare.

Questo ci ha portato a categorizzare il TRATTAMENTO DI PRIMA LINEA che:

nei pazienti con buono o rischio intermedio di Motzer si basa su farmaci con un’ attività anti-tirosichinasica

(qualunque farmaco esso sia –adesso vi dirò come sceglierlo *) o di tipo anti-neoangiogenetico

(Bevacizumab).

13

* Questi farmaci li utilizziamo sulla base delle esperienze che siamo andati maturando però c’ è stato uno studio del

tutto recente che ha confrontato il risultato tra due inibitori tirosin-chinasici che sembravano sostanzialmente

equivalenti in termini di risposte obiettive in quanto davano gli stessi risultati solo che però questi farmaci nell’ ambito

dello studio stesso sono stati somministrati a mesi alterni nello stesso paziente e lo stesso paziente veniva poi invitato

a indicare qual era la sua preferenza dell’ uno o dell’ altro farmaco; questo ha portato a comprendere che in realtà tra

tutti questi farmaci quello maggiormente preferito dal paziente, cioè quello con meno effetti collaterali è il Pazopanib.

Ecco il motivo per il quale oggi si usa il Pazopanib come trattamento di prima linea (il Sunitib come alternativa al

Pazopanib o come trattamento di seconda linea).

nei pazienti invece a basso rischio (con scarsissimi indici prognostici con una sopravvivenza media di 4-5

mesi) si basa su farmaci inibitori m-TOR, quindi non è un discorso di anti-angiogenesi ma si doveva bloccare

il meccanismo di replicazione cellulare direttamente.

Il Temsirolimus ha dimostrato di essere estremamente attivo in questi pazienti tanto da essere usato nel

trattamento di prima linea

RISULTATI DELLA TARGET THERAPY

I risultati della target therapy ve

li ho giù detti: questi farmaci

sono estremamente straordinari

rispetto ai vecchi farmaci; ci

hanno aperto una prospettiva per

questi pazienti inimmaginabile

fino a poco tempo fa e se pensate

al discorso del Nivolumab vi

rendete conto che abbiamo

aperta un’ autostrada che ci

consente attraverso questa

terapia a bersaglio molecolare

(perché anche gli

immunoterapici sono una terapia

a bersaglio molecolare, cioè

hanno un bersaglio molecolare

con cui devono confrontarsi) di

raggiungere certi obiettivi dal

punto di vista terapeutico.

Questi farmaci biologici oltretutto ci sta facendo tornare sempre più medici perché il rischio in oncologia è molto

spesso quello per cui l’ oncologo diventi un “medico da tavolino” cioè che vada ad applicare dei protocolli. E’ un

rischio soprattutto nei grossi centri dove non esiste il paziente ma esiste il caso e il caso è catalogato con una certa

14

stadiazione della malattia e questa stadiazione della malattia va trattata in un certo modo, molto spesso stando poco

attenti a quelli che possono essere i fattori confondenti.

Tuttavia questi farmaci, i farmaci biologici, hanno degli effetti collaterali che sono del tutto nuovi e se per quanto

riguarda il Sunitinib, il Pazopanib possiamo confrontarli in termini di variazione dell’ aspetto somatico (per esempio

il Pazopanib da una variazione, un aspetto somatico del paziente che lo porta ad essere vecchieggiante in pochissimi

mesi con un incanutimento dei capelli che non cadono e delle sopracciclia o talvolta il Sunitinib da delle

manifestazioni cutanee di tipo acneico), i nuovi farmaci biologici anti-CTL4 slatentizzano l’ immunità quindi

predispongono a reazioni di tipo autoimmune che potrebbero anche portare a morte il paziente in quanto

predispongono soprattutto a tiroidite autoimmune e a ipofisite autoimmune, tutte condizioni che vanno attentamente

riconosciute e controllate, il che rende molto più di prima la necessità di avere NON un oncologo ma un MEDICO-

ONCOLOGO!