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1 BENEDETTO XVI SANTUARIO DELLA BEATA VERGINE DEL SANTO ROSARIO DI POMPEI 1 19 OTTOBRE 2008 Il pellegrinaggio di Benedetto XVI Annunciamo con gioia profonda e intensa commozione che il Santo Padre Benedetto XVI Domenica 19 ottobre 2008 verrà in visita pastorale al Santuario della Beata Vergine Maria del S. Rosario di Pompei. Il Santo Padre celebrerà la S. Messa nel corso della quale reciterà la “Supplica”, la celebre preghiera scaturita dalla fede per Maria SS.ma, del nostro fondatore, il Beato Bartolo Longo e che si è prodigiosamente propagata in tutta la Chiesa. Il Santo Padre affiderà all‟intercessione della Madre del Signore e nostra le riflessioni e le conclusioni del Sinodo dei Vescovi che si terrà in Vaticano nel prossimo mese mariano d‟ottobre. Il Santo Padre Benedetto XVI raccomanderà ai Vescovi di tutta la Chiesa le famiglie di tutto il mondo e chiederà alla SS.ma Vergine insieme con la Chiesa che è in Pompei e con i milioni e milioni di fedeli che recitano il S. Rosario, l‟unità nelle famiglie, la fedeltà tra i coniugi, il coraggio di educare i figli alla fede. Pompei, 26 luglio 2008 Mons. Carlo Liberati Arcivescovo Prelato di Pompei 1 http://www.santuario.it/ SANTUARIO DELLA BEATA VERGINE DEL SANTO ROSARIO Piazza Bartolo Longo, 1 - 80045 Pompei (Napoli) Piazza Bartolo Longo, 1 - 80045 Pompei (Napoli) Telefoni 0818577379 - 0818577000 Fax (+39) 1782238781 - Fax (+39) 081 8577482 www.santuario.it [email protected]

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BENEDETTO XVI SANTUARIO DELLA BEATA VERGINE

DEL SANTO ROSARIO DI POMPEI1

19 OTTOBRE 2008

Il pellegrinaggio di Benedetto XVI

Annunciamo con gioia profonda e intensa commozione che il Santo Padre Benedetto XVI Domenica 19 ottobre 2008 verrà in visita pastorale al Santuario della Beata Vergine Maria del S. Rosario di Pompei. Il Santo Padre celebrerà la S. Messa nel corso della

quale reciterà la “Supplica”, la celebre preghiera scaturita dalla fede per Maria SS.ma, del nostro fondatore, il Beato Bartolo Longo e che si è prodigiosamente propagata in tutta la Chiesa. Il Santo

Padre affiderà all‟intercessione della Madre del Signore e nostra le riflessioni e le conclusioni del Sinodo dei Vescovi che si terrà in Vaticano nel prossimo mese mariano d‟ottobre. Il Santo Padre Benedetto XVI raccomanderà ai Vescovi di tutta la Chiesa le famiglie di tutto il mondo e chiederà alla SS.ma Vergine insieme con la Chiesa che è in Pompei e con i milioni e milioni di fedeli che recitano il S. Rosario, l‟unità nelle famiglie, la fedeltà tra i coniugi, il coraggio di educare i figli alla fede.

Pompei, 26 luglio 2008 Mons. Carlo Liberati

Arcivescovo Prelato di Pompei

1 http://www.santuario.it/

SANTUARIO DELLA BEATA VERGINE DEL SANTO ROSARIO Piazza Bartolo Longo, 1 - 80045 Pompei (Napoli) Piazza Bartolo Longo, 1 - 80045 Pompei (Napoli) Telefoni 0818577379 - 0818577000 Fax (+39) 1782238781 - Fax (+39) 081 8577482 www.santuario.it [email protected]

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«DALLA VISITA DEL SANTO PADRE CI ASPETTIAMO CHE CI SIA UN RINNOVAMENTO DELLA VITA CRISTIANA»

Intervista con mons. Carlo Liberati,

Arcivescovo Prelato di Pompei e Delegato Pontificio per il Santuario - a cura di Isabella Piro -

D. - Eccellenza, come si sta preparando la Prelatura di Pompei alla visita del Santo Padre Benedetto XVI? R. – Con un grande fervore, di carattere prima di tutto liturgico e orante, nella preghiera. Noi a Pompei, tutti i giorni, dalle sei alle sette di sera, dinanzi al Santissimo Sacramento solennemente esposto, celebriamo il Santo Rosario, che poi si conclude con la Benedizione Eucaristica. Non facciamo altro che obbedire al Magistero della Chiesa, ma che si inserisce nella nostra

tradizione ormai da 130 anni, da quando nel 1876, è arrivata qui a Pompei l‟attuale effigie della Madonna del Santo Rosario. Quindi, questa visita del Sommo Pontefice la stiamo preparando da un punto di vista eminentemente spirituale ed ecclesiale. D. – L’allora card. Ratzinger si recò a Pompei a maggio del 1998 e rimase colpito, in quell’occasione in particolare, dalla “pietà popolare”. Quali sono i rapporti tra essa e la fede? R. – Noi sappiamo che il Verbo si è fatto carne: non può esistere la fede in Dio senza l‟incarnazione nella realtà della vita. Gesù ci ha detto che dobbiamo mettere in pratica le sue parole, che la fede non esiste se non si manifesta attraverso le opere della nostra vita personale e poi di quella comunitaria e sociale della Chiesa. Quindi, il rapporto tra la “pietà popolare” e la fede è un rapporto necessario. La mia fede, io la devo non solo far vedere, renderla visibile, ma trasmetterla attraverso le opere della fede. E quali sono i mezzi attraverso i quali io posso rendere la mia fede visibile nel popolo di Dio? Con un‟attività straordinaria e indispensabile: la celebrazione dell‟Eucaristia, attraverso la quale, con Cristo, noi veniamo presentati al Padre e ci facciamo con lui dono. L‟Eucaristia è il sacrificio del Cristo Crocifisso e Risorto con noi Chiesa. E questo miracolo si realizza nella pietà popolare, che è fatta anche da tante preghiere, che nasce dall‟Eucaristia. E tra le preghiere più belle c‟è il Santo Rosario, la “catena dolce” che ci unisce a Dio, come dice Bartolo Longo, il vincolo di amore che ci fa fratelli e che ci unisce agli angeli del

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Paradiso, noi peccatori e pellegrini sulla Terra, ma che aspiriamo a diventare Santi. D. – Il Beato Bartolo Longo è stato il creatore di numerose opere sociali: come le porta avanti, oggi, la Prelatura di Pompei? R. – Abbiamo creato un centro polifunzionale per l‟educazione, per il momento, di 150 bambini presi dalla strada. Sono figli di carcerati, di separati, di divisi, di ragazze madri o di famiglie sfortunatissime. E noi diamo loro il cibo, il vestiario, la scuola paritaria, il pranzo, il doposcuola, l‟educazione civica e l‟educazione religiosa. Insieme a loro, abbiamo creato un gruppo-appartamento per l‟accoglienza

residenziale delle giovani prossime ai 18 anni; la “Casa Emmanuel” per l‟accoglienza di gestanti e madri di bambini in difficoltà; il “Centro di aiuto alla vita”, che sostiene donne in difficoltà che decidono di non abortire. Abbiamo creato anche un centro di ascolto “Miryam”, per l‟accoglienza, l‟informazione, l‟orientamento e l‟accompagnamento di persone afflitte da varie emergenze sociali, con particolare riguardo alle necessità delle donne immigrate. Inoltre, abbiamo creato una

casa-famiglia, chiamata “Il giardino del sorriso” per l‟accoglienza residenziale di minori da zero a dieci anni, e stiamo portando a

termine la “Casa della madre del bambino” nelle ex case-operaie di Bartolo Longo, perché noi siamo nati per educare e per l‟amore alla vita. D. – Nell’ambito dell’evangelizzazione, proprio sulla scia di Bartolo Longo, qual è il ruolo che si può attribuire ai laici? R – Noi risentiamo della crisi generale del laicato, in questo momento. E dobbiamo impegnarci di più; stiamo cercando di farlo potenziando nelle parrocchie la catechesi, le associazioni, i movimenti di spiritualità perché non si può dimostrare la fede se non l‟abbiamo prima dentro di noi. D. – Quale valore di attualità possiamo attribuire al Rosario? Ricordiamo che il Papa si reca a Pompei in ottobre, mese Mariano… R – Il Rosario e l‟Eucaristia hanno un legame assoluto, perché nel Rosario preghiamo la Madre, la prima discepola della Santissima Trinità e la prima seguace di Cristo che, con il suo “sì”, con la sua offerta, ha trasformato la sua vita di madre, donna e vergine in una preghiera continua al Padre, crescendo nella fede. Noi, ogni giorno, ci educhiamo a dire “sì” al Signore attraverso il Rosario, per mezzo della sua mamma, perché il Signore non solo ci ascolti, gradisca la nostra preghiera, ma la renda efficiente nei fatti della nostra vita. Il 16

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ottobre 2002, il Santo Padre Giovanni Paolo II, con una splendida

Lettera apostolica, “Rosarium Virginis Mariae”, ha ricordato a tutta la Chiesa che congiungendo il “sì” di Cristo con il “sì” di Maria, offerto ed abbracciato fino alla fine ai piedi della Croce, noi come cristiani troveremo il segreto del nostro successo, della nostra vittoria e della nostra santificazione. D. – Eccellenza, qualche dato sulla Prelatura che Lei guida: dal punto di vista vocazionale e in particolare della pastorale giovanile, qual è la situazione? R. – La pastorale giovanile conosce in questo momento un grosso rinnovamento, anche per opera di sacerdoti giovani. Abbiamo già

alcune manifestazioni, come il “Meeting dei giovani”, il primo maggio, e quest‟anno abbiamo anche tentato “La notte degli angeli”, che illustra l‟opera educativa che facciamo nei nostri centri educativi. Le devo dire che a Pompei, dal venerdì alla domenica sera, confluiscono forse 5 mila giovani dai centri vicini della Campania: vengono a fare di tutto, anche tutto il male possibile! E per noi ciò è un grosso cruccio. Il che vuol dire che siamo sempre in viaggio nelle iniziative di carattere pastorale, cercando di inventare il futuro, avendo fiducia nella presenza attiva e dinamica dello Spirito Santo tra noi e dell‟intercessione di Maria Santissima. D . Quindi, mons. Liberati, quali aspettative ripone nella visita del Papa a Pompei?

R. – Un rinnovamento deciso della vita cristiana. Ormai, siamo un popolo da rievangelizzare. Faccio un esempio: ogni giorno, qui vengono persone per farsi benedire la macchina con l‟acqua santa. Io ho avuto il coraggio di affrontare quattro-cinque di questi signori e ho detto loro: “State attenti, potrebbe essere una superstizione! Prima di tutto, voi dovete rinnovare il vostro cuore, la vostra coscienza, il vostro comportamento di vita cristiana. Se voi non osservate la segnaletica stradale, le leggi dello Stato, se voi dentro la macchina fate anche cose contro i Comandamenti, a che serve la nostra Benedizione?” Allora li ho visti impressionati. Ed ho aggiunto: “Non agite per superstizione o per abitudine, ma cercate di cambiare la vostra vita, perché i peccati non li commette la macchina, ma li commettiamo noi”. Ecco: noi dalla visita del Santo Padre ci aspettiamo che ci sia un rinnovamento della vita cristiana ed anche una maggiore intensità di fede dei nostri pellegrini che, dall‟incontro con Maria Santissima, cerchino sempre di essere oblativi al Signore che li chiama ogni giorno dal profondo del cuore. Spero che la visita del Santo Padre ci aiuti a rinnovare questa spiritualità.

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Un ritorno a dieci anni di distanza

Il Santo Padre Benedetto XVI, visitò Pompei e il suo santuario il 17 maggio 1998. L‟allora cardinale Prefetto Joseph Ratzinger, assieme al fratello sacerdote Georg e a numerosi collaboratori della Congregazione per la dottrina della fede, visitò il Santuario mariano restando a lungo in preghiera e ascoltando tutto quanto gli veniva illustrato sulla storia del santuario. Dopo essersi devotamente inginocchiato a pregare ai piedi dell‟icona della Vergine del Rosario, fu accompagnato in Prelatura, accolto calorosamente dal Delegato Pontificio del tempo, Mons. Francesco Saverio Toppi. Nel libro dei

visitatori illustri c‟è la sua firma autografa con la scritta “Nos cum prole pia benedicat Virgo Maria” (“La Vergine Maria ci benedica con il suo Figlio Gesù”).

La visita del Card. Ratzinger, faceva parte del pellegrinaggio della Congregazione per la dottrina della fede, dicastero vaticano dove ogni anno si recita la “Supplica alla Madonna di Pompei”. Quel giorno, gli illustri pellegrini della Curia romana dedicarono anche un po‟ del loro tempo a visitare i “Musei degli scavi archeologici di Pompei”.

Le cronache dell‟epoca ricordano l‟ammirazione e lo stupore del cardinale Joseph Ratzinger, e delle persone che lo accompagnavano, di fronte alla pietà popolare napoletana. Quello della religiosità popolare era un tema molto a cuore

al card. Prefetto J. Ratzinger. Insieme con numerosi esperti, si era occupato ampiamente della questione durante la redazione del Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC), che fu promulgato nel 1992 e nella sua versione tipica latina nel

1997. Nel Catechismo, al numero 1674, si legge: “Oltre che della liturgia dei sacramenti e dei sacramentali, la catechesi deve tener conto delle forme della

pietà dei fedeli e della religiosità popolare. Il senso religioso del popolo cristiano, in ogni tempo, ha trovato la sua espressione nelle varie forme di pietà che accompagnano la vita sacramentale della Chiesa, quali la venerazione delle

reliquie, le visite ai santuari, i pellegrinaggi, le processioni, la « via crucis », le danze religiose, il Rosario, le medaglie, ecc..”

E sempre il Catechismo, parlando della pietà popolare cita il Documento di Puebla in cui si afferma: «La religiosità popolare, nell'essenziale, è un insieme di valori che, con saggezza cristiana, risponde ai grandi interrogativi dell'esistenza. Il

buon senso popolare cattolico è fatto di capacità di sintesi per l'esistenza. È così che esso unisce, in modo creativo, il divino e l'umano, Cristo e Maria, lo spirito e il corpo, la comunione e l'istituzione, la persona e la comunità, la fede e la patria,

l'intelligenza e il sentimento. Questa saggezza è un umanesimo cristiano che afferma radicalmente la dignità di ogni essere in quanto figlio di Dio, instaura

una fraternità fondamentale, insegna a porsi in armonia con la natura e anche a comprendere il lavoro, e offre motivazioni per vivere nella gioia e nella serenità, pur in mezzo alle traversie dell'esistenza. Questa saggezza è anche, per il popolo,

un principio di discernimento, un istinto evangelico che gli fa spontaneamente percepire quando il Vangelo è al primo posto nella Chiesa, o quando esso è

svuotato del suo contenuto e soffocato da altri interessi».

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STORIA DEL SANTUARIO

La storia comincia così … Il terreno dove oggi sorge il Santuario, una vasta area detta “Campo Pompeiano”, fu feudo prima di Luigi Caracciolo e poi di Ferdinando d‟Aragona, finché nel 1593 divenne proprietà di Alfonso Piccolomini. Da questo momento inizia un lento e inesorabile declino di tutta l‟area al quale pose termine Bartolo Longo, un avvocato della provincia di Brindisi, che giunse qui per amministrare le proprietà della Contessa De Fusco, che sposò nel 1885. Fu allora che i coniugi Longo

decisero di impegnarsi nella divulgazione della fede. Istituirono nella chiesa del SS. Salvatore la “Confraternita del Santo Rosario” per la raccolta di fondi atti a costruire il Santuario dedicato alla Vergine. Il Santuario, dunque, fin dal primo momento oltre ad essere legato alla religiosità dei coniugi Longo, s‟ intreccia intimamente con il Santo Rosario. Basilica Pontificia. Il Santuario fu consacrato il 7 maggio del 1891. Nel 1901 il tempio fu elevato a Basilica Pontificia per volere di Papa

Leone XIII. La Basilica è a croce latina con tre navate e quella centrale culmina in una cupola di ben 57 metri d‟altezza. Il progetto porta la

firma dell‟architetto Antonio Cua che si occupò dei lavori a titolo gratuito. A lui subentrò nel 1901 Giovanni Rispoli che diresse i lavori della facciata monumentale, sormontata con una statua della Vergine

del Rosario, opera di Gaetano Chiaromonte, scolpita in un unico blocco di marmo di Carrara. La costruzione. Il Santuario è stato costruito in tempi diversi. L‟originario, a croce latina con una sola navata, fu eretto tra il 1876 e il 1891 e misurava 420 mq. Per accogliere i numerosissimi fedeli, tra il 1934 e il 1939, il Santuario è stato ampliato, passando da una a tre navate, mantenendo la struttura a croce latina. Il progetto fu ideato

dall‟architetto e sacerdote mons. Spirito Maria Chiapetta, che ne diresse anche i lavori. Le due navate minori, che hanno tre altari per ogni lato, si prolungano sin dietro l‟abside in un ambulacro arricchito da quattro piccole cappelle semicircolari. L‟insieme delle costruzioni è armonizzato da strutture contrastanti, in perfetto equilibrio di masse. L‟interno, di 2.000 mq, può accogliere circa 6.000 persone. La cubatura totale è di 40.000 metri. La facciata. La Facciata, eretta come monumento alla Pace Universale, è costruita a doppio ordine, con portico a tre arcate, su modello delle basiliche romane, in travertino (del monte Tifata). La

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costruzione, su progetto dell‟architetto Giovanni Rispoli di Napoli, fu iniziata il 15 maggio 1893. Il 5 maggio 1901 fu inaugurata dal Cardinale Raffaele Monaco La Valletta2. L‟ordine inferiore è in stile ionico, con quattro colonne binate di granito rosa e capitelli marmorei sui pilastri delle arcate. Tra i due ordini corre un fregio di granito

con la scritta in bronzo: “Virgini SS. Rosarii Dicatum”. L‟ordine superiore è in stile corinzio con colonne binate di granito grigio, cornicione e

timpano di mensole scolpite. Al centro si apre la “Loggia Papale”, ornata da due colonne in granito di Finlandia. A coronamento del finestrone della loggia c‟è un angelo di bronzo e, più in alto, lo

stemma marmoreo di Leone XIII. La facciata culmina con la statua della Vergine del Rosario (180 quintali, 3,25 metri), opera di Gaetano Chiaromonte, ricavata da un solo blocco di marmo di Carrara, sotto la quale sono poste le scritte “Pax - MCMI”. In corrispondenza dei due finestroni laterali, in due tondi, sono posti un orologio elettrico, a sinistra, e una meridiana, sulla destra. Nel pronao della Basilica si

aprono quattro nicchie con le statue dei beati: Luigi Guanella e Ludovico da Casoria e dei santi Francesca Saverio Cabrini e Leonardo Murialdo (di Domenico Ponzi – 1970).

Il campanile. È un‟opera dell‟architetto, Servo di

Dio Aristide Leonori, costruito tra il 1912 e il 1925 e richiama il modello tradizionale delle torri

campanarie. Il Leonori, coadiuvato dal fratello Pio, fu anche direttore dei lavori, disegnatore delle campane, dei portali e degli angeli. All‟esterno è di granito grigio con elementi di marmo bianco; è realizzato in stile corinzio e composito, con cinque ordini architettonici rastremati dal basso verso l‟alto, raccordati da colonne lucidate a specchio. All‟interno, di mattoni pressati, un‟armatura metallica a castello sostiene una scala di ferro di

360 scalini su 36 rampe. La porta frontale è di bronzo con in

altorilievo la scena dell‟apparizione del Sacro Cuore di Gesù a Santa Margherita Maria Alacoque. Sui piedistalli del terzo ordine, si stagliano quattro angeli trombettieri in bronzo. Nel quarto ordine, in una nicchia, è posta una statua in marmo di Carrara del Sacro Cuore di

2 Raffaele Monaco La Valletta (L'Aquila, 23 febbraio 1827 – Agerola, 14 luglio 1896) è stato un cardinale italiano. Papa Pio IX lo elevò al rango di cardinale nel concistoro del 13 marzo 1868. Il 5 maggio 1891 consacrò il Santuario della Beata Vergine del Rosario di Pompei. Morì il 14 luglio 1896 all'età di 69 anni.

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Gesù, alta 6 m. Le scritte: “Venite a me Omnes” e “Cordi Jesu Sacrum” “Anno Iubilaei MCMXXV”, come le quattro fiamme agli angoli sono di bronzo dorato a fuoco. Il monumento è coronato da una cupola, sormontata da una croce gemmata in rame e bronzo, alta 6 m, benedetta da Pio XI, prima del trasporto a Pompei. Nel Campanile, di 80 metri d‟altezza, trovano posto 8 campane. A seguito dei danni subiti a causa del terremoto del 1980, furono eseguiti alcuni lavori di restauro e di consolidamento, dal 1986 al 1988. Dalla porticina posteriore del campanile si sale al belvedere con l‟ascensore, da dove è possibile ammirare il panorama circostante.

La cupola centrale. Fiancheggiata ai capocroce da quattro “cupolini”, si compone di due tamburi sovrapposti: l‟inferiore è terminato con un ciborio, il superiore è traforato da finestroni e coperto da una lanterna con “capolino”. Si eleva a 57 metri di altezza e in essa è sistemato il secondo organo, collegato con quello della cantoria. L‟affresco della cupola è una delle

ultime e più pregevoli opere del pittore Angelo Landi di Salò. Il Landi, in primo luogo, volle

fondere in un'unica composizione le due cupole, rendendo pittoricamente i due tamburi come due gironi d‟ascesa verso il cielo. L‟affresco, con 360 figure dipinte su ben 509 mq di muratura, rappresenta “La visione o sogno di San Domenico”, nel quale la Vergine fa del Rosario una mistica catena accogliendo sotto il suo manto santi e fedeli. Nella calotta inferiore domina san Domenico con attorno una folla di angeli osannanti, al suono di strumenti musicali, e di santi domenicani. Lungo il tamburo che fa da base alla

composizione, sono ritratti: Pio X e Leone XIII, un gruppo di orfanelle, i vescovi Antonio Anastasio Rossi e Vincenzo Celli, il fondatore Bartolo Longo con gruppi di figli e figlie di carcerati, Pio XI e Pio XII, una

simbologia della carità e due angeli che reggono lo stemma di Pio XII. L‟azione, che nell‟affresco della calotta inferiore appare statica, in quella superiore diventa dinamica e suggestiva: la Regina del Rosario trionfa e, nel volo verso Dio, spiega il manto come un‟immensa vela, nel suo turbine sono attratti verso di lei cherubini e serafini, schiere di religiosi e religiose e terziari dell‟Ordine Domenicano, tra cui

Simone di Monfort, vincitore degli eretici Albigesi, recante il vessillo delle Crociate. Sotto il cornicione della cupola si legge: “In mea gratia Omnis viae et Veritatis, In me omnes Spes viatae et Virtutis”. Nei pennacchi dei quattro pilastri che sorreggono la cupola, gli affreschi dei quattro Evangelisti e, sui pilastri stessi, quattro mosaici allegorici. Nelle campate della cupola, quattro affreschi, in cornici tonde, che

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riproducono fatti salienti della storia del Santuario. A nord, Papa

Leone XIII lancia al mondo una delle sue encicliche sul Rosario. A ovest, Bartolo Longo offre a Papa Leone XIII il Santuario. A sud, la processione del Quadro in occasione del 50º anniversario dell‟arrivo a

Pompei. A est, il dono, da parte di Bartolo Longo, a Papa Pio X delle opere di carità. Negli archivolti, medaglioni con vari santi. Nella crociera trovano posto gli altari dei protettori speciali del Santuario: san Michele Arcangelo, a sinistra, e san Giuseppe, a destra. Le otto lunette accanto alle porte della crociera sono tappezzate da migliaia di ex voto in argento e oro. Nell‟arco maggiore, incastonata nel mosaico,

l‟invocazione: “Regina Sacratissimi Rosarii Ora pro Nobis”. Il presbiterio. Elevato su tre gradini, è circondato da una balaustra in marmo con colonnine e quattro cancelli. Le cinque statue del cancello centrale, in argento massiccio, rappresentano, da sinistra, la Carità, la Speranza, la Religione, la Purità e la Fede; sulle volute terminali del frontone a sinistra la Giustizia e a destra la Fortezza. Sullo zoccolo di base, in quattro nicchie circolari e una rettangolare, sono rappresentati al centro il Mistico Agnello e, da sinistra, i simboli degli Evangelisti: Marco, Matteo, Luca e Giovanni. Due colonne monolitiche di cipollino antico sostengono l‟arco maggiore. Le otto colonne che circondano il presbiterio, separandolo dal resto del tempio, sono di marmo, e sono sormontate da capitelli di Carrara di finissima fattura e da pulvini in Botticino sui quali poggiano gli archi della volta dell‟abside. Il pavimento del presbiterio forma un tappeto a disegni di marmo rosso chiazzato e sagomato da un filo di tessere da mosaico. Le due lampade nel presbiterio, in bronzo, sono del napoletano Vincenzo Catello. L’altare maggiore. Si eleva su una predella marmorea di cinque gradini. Sotto la mensa, tra colonnine di rosso fulvo e capitelli di bronzo dorato, il mosaico a fondo d‟oro rappresentante il Mistico Agnello; ai lati gli stemmi di Bartolo Longo e della Contessa De Fusco.

Davanti, un altare in vetro di Murano, realizzato dall‟architetto Renato Renosto. Il ciborio, su modello di un tempietto classico, è ricco di marmi e metalli preziosi: ai quattro lati, due colonne binate di colore rosso; ai lati della facciata, due mensole reggono le statuette in bronzo patinato dei santi Pietro e Paolo. La porticina della custodia rappresenta l‟Ultima Cena. La copertura del ciborio è formata da un cornicione corinzio in bronzo dorato, con fregio diasprino, sormontato da un attico a balaustra dorata. Negli otto angoli, sporgenti dalla balaustra, sono collocate otto statuine di bronzo di santi e dottori della Chiesa. Sopra un tamburo circolare si erge la cupola, ripartita a costoloni cesellati e con intermezzi lavorati a traforo. Corona l‟opera

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un lanternino, con colonnette opali, coperto da una calotta a smalto, sormontata dalla Croce. Le navate laterali. Hanno tre altari per lato: a sinistra, vi sono quelli

dedicati a san Vincenzo Ferreri, santa Margherita Maria Alacoque e san Tommaso d’Aquino. A destra, quelli di san Domenico di Guzman, san Francesco d’Assisi e sant‟Alfonso Maria de’ Liguori. Dietro il trono (da sinistra verso destra), quelli intitolati a santa Rosa da Lima, san Giovanni Battista de la Salle, san Pio V e santa Caterina da Siena. Nei catini degli altari laterali, ci sono ricchi mosaici con i misteri del Rosario, eseguiti dalla Scuola del Mosaico Vaticano.

STORIA DEL QUADRO DELLA VERGINE

DEL SANTO ROSARIO DI POMPEI

L‟icona della Beata Vergine del Santo Rosario di Pompei (alta cm 120 e larga cm 100) presenta l‟immagine della Madonna in trono con Gesù in braccio; ai suoi piedi, san Domenico e santa Caterina da Siena. La Vergine reca nella mano sinistra la corona del Rosario che porge a santa Caterina, mentre Gesù, poggiato sulla sua gamba destra, la porge a san Domenico. In questo quadro si possono riconoscere tre grandi spazi. I tre spazi. Lo spazio in alto, nel quale l‟umile ma solenne figura di Maria in trono invita la Chiesa a portarsi verso il mistero della Trinità. Lo spazio in basso è quello della Chiesa, il corpo mistico, la famiglia che ha in Gesù il suo capo, nello

Spirito il suo vincolo, in Maria il suo membro eminente e la sua Madre. Lo spazio laterale, rappresentato dagli archi, porta al mondo, alla storia, verso cui la Chiesa ha il debito di essere “sacramento”, offrendo il servizio dell‟annuncio evangelico per la costruzione di una degna città dell‟uomo. La via che unisce questi spazi è il Rosario, sintesi orante della scrittura, posta quasi come fondamento ai piedi del trono, e consegnato dal Figlio e dalla Madre come via di meditazione e assimilazione del Mistero. La storia. Questa icona fu data a Bartolo Longo da Suor Maria Concetta De Litala, del Convento del Rosariello a Porta Medina di Napoli. La religiosa l‟aveva avuta in custodia da padre Alberto

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Radente, confessore del Beato. Per trasportarlo a Pompei, il Longo l‟affidò al carrettiere Angelo Tortora che, avvoltala in un lenzuolo, l‟appoggiò su di un carro di letame. Era il 13 novembre 1875: data di nascita della Nuova Pompei, ricordata ogni anno con una giornata di preghiera, durante la quale i fedeli, ammessi alla venerazione diretta del Quadro, affidano alla Vergine le loro speranze. È straordinario vedere come, fin dalle prime ore del mattino, migliaia e migliaia di persone di ogni età, provenienza e ceto sociale, si mettano ordinatamente in fila ed attendano, anche diverse ore e, talvolta, in situazioni climatiche veramente difficili, per stare più vicini alla Madonna ed esprimerle con affetto i loro sentimenti più intimi. Il quadro, però, richiedeva di un restauro e fu posto alla venerazione dei fedeli soltanto il 13 febbraio 1876. Il primo miracolo. Nello stesso giorno, a Napoli, avvenne il primo miracolo per intercessione della Madonna di Pompei: la dodicenne Clorinda Lucarelli, giudicata inguaribile dall‟illustre prof. Antonio Cardarelli, guarì perfettamente da terribili convulsioni epilettiche. In seguito, Bartolo Longo affidò l‟Icona al pittore napoletano Federico Maldarelli per un nuovo restauro, chiedendogli anche di trasformare l‟originaria Santa Rosa in Santa Caterina da Siena. Nel 1965, fu effettuato, al Pontificio Istituto dei Padri Benedettini Olivetani di Roma, un restauro altamente scientifico, durante il quale, sotto i colori sovrapposti nei precedenti interventi, furono scoperti i colori originali che svelarono la mano di un valente artista della scuola di Luca Giordano (XVII secolo). Nello stesso anno, il 23 aprile, il Quadro fu incoronato da Paolo VI nella Basilica di San Pietro. Nel 2000, per il 125° anniversario, il Quadro ha sostato per cinque giorni nel Duomo di Napoli, dove è stato venerato da migliaia di fedeli. Il ritorno a Pompei è stato fatto a piedi, seguendo il tracciato del 1875, con diverse soste nelle città della provincia. Per tutto il giorno centinaia di migliaia di persone hanno affollato il percorso di trenta chilometri che separa Pompei dal capoluogo. Quando, in piena notte, il Quadro è tornato a Pompei, è stato accolto da una città in festa. Il 16 ottobre 2002, il Quadro è tornato a piazza San Pietro, per esplicita richiesta del Papa Giovanni Paolo II, che, accanto alla “bella immagine venerata a Pompei”, ha firmato la Lettera Apostolica “Rosarium Virginis Mariae”, con la quale ha introdotto i cinque nuovi misteri della luce, ed ha indetto l‟ Anno del Rosario. Anche durante il suo secondo pellegrinaggio a Pompei, il 7 ottobre 2003, Papa Giovanni Paolo II è stato accolto sul palco posto dinanzi alla Basilica dall‟icona della Vergine di Pompei, da lui tanto amata.

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L’INGRESSO DEL QUADRO DELLA MADONNA IN POMPEI (Da «Storia del Santuario di Pompei» di Bartolo Longo)

I tre missionari, e

segnatamente il reverendo D.

Michele Gentile, cui spettava di predicare il Rosario, avevano inculcato al popolo di recitare ogni

giorno questa preghiera, tanto cara alla Vergine. Sul finire della sacra

Missione, adunque, io cominciava a vedere compiute le mie speranze, e ne rendeva somme grazie a Dio. Ma

per stabilire a consuetudine di questo popolo la recita in comune della Corona, e per fare guadagnare

le sante Indulgenze della Confraternita del Rosario, mi parve

indispensabile porre in venerazione un quadro qualsiasi della Madonna del Rosario, innanzi al quale quella

gente potesse ogni sera radunarsi per la recita della Corona.

Un quadro che rappresentasse

il Rosario qui non vi era, tranne quello litografico, che come innanzi ho riferito, aveva io donato al vecchio Parroco. Ma per essere un quadro esposto alla

pubblica venerazione, e per potersi guadagnar le Indulgenze, conforme è ordinato nella liturgia ecclesiastica, esso dev‟essere un dipinto ad olio. Oltre di che, non voleva la missione fosse finita senza che prima non venisse esposta la divota

effige, affìnchè i tre Sacerdoti avessero lasciato al popolo, come ricordo della Missione, che dovesse ogni sera raccogliersi dinanzi a quella sacra Immagine e in

comune recitar la Corona. Poichè questa era l‟ultima meta che io vagheggiava nel mio pensiero.

La Missione terminava la domenica, 14 novembre. Era, dunque, necessario

che io corressi a Napoli, per provvedermi di urgenza di una Immagine del Rosario dipinta ad olio. E mi recai a Napoli il mattino di sabato, giorno indimenticabile, 13 novembre di quello stesso anno ricordevole, 1875.

Cominciai a pensare e discorrere meco stesso, a chi rivolgermi per acquistare il quadro che mi bisognava. E ricordai che, passando per Via Toledo,

presso la piazza dello Spirito Santo, avevo spesse volte gettato lo sguardo dentro la bottega nella quale erano esposti vari quadri e ritratti ad olio, e tra gli altri mi pareva d‟aver veduto una Vergine del Rosario. Il pittore era a me ignoto, anche di

nome: ma per l‟aggiunto che gli si apponeva, forse dalla sua città nativa di Foggia, era comunemente chiamato il Foggiano.

Colà, dunque, determinai di andare. Se non che mi prese un certo timore di trovarmi in impaccio, non essendo stato mai buono a litigare i prezzi e discendere a patti come si usa a Napoli. - Oh, se io potessi condurre meco il P. Radente! -

pensai. - Egli si, come napoletano, ha maniera di riuscire nei contratti. Ma, come e dove trovare a quest‟ora il P. Radente? Sapevo che il buon Padre da dieci anni, da che furono espulsi i Frati da S. Domenico Maggiore, conviveva con due suoi

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confratelli, in una casetta tolta a pigione: sapeva pure che egli era uso celebrare

Messa tutte le mattine nella Chiesa del Rosario a Porta Medina. - Sta bene, - dissi in cuor mio: - mi avvierò per Toledo: se vuole Iddio, incontrerò il mio amico:

altrimenti farò da me. Ma la Provvidenza, che con mano invisibile guidava le file di un

avvenimento che sarebbe stato indi a poco straordinario, volle che, giunto al

Largo dello Spirito Santo, poco lungi dallo studio del pittore, m‟imbattessi nel venerando Frate.

Cotesto santo Frate fu l‟uomo a me mandato da Dio nel mezzo della mia

vita burrascosa. Altrove dirò, per gratitudine, qualche cosa di lui e delle virtù sue; e come fu da me conosciuto. Oggi dico solo che c‟incontrammo nell‟esilio di

questa vita nel 1865; e nell‟anno 1885 ci separammo quaggiù. Ma nell‟epoca di mezzo e precisamente nel 1875, accadde quel che ora dirò.

La intimità, della quale mi onorava il Padre Radente, mi fece correre col

pensiero a lui, nel dover comprare un quadro, al quale, come ho detto, io non sapeva apporre il giusto prezzo. - Oh, Padre! - gridai tosto che l‟ebbi veduto - per

buona ventura v‟incontro. E gli esposi tutto per ordine quanto era accaduto in quei giorni a Pompei, e

della venuta del Vescovo di Nola (Mons. Formisano), e del disegno di edificare una

Chiesa, e di stabilirvi una Confraternita del Rosario, e finalmente del quadro che io voleva comprare. - Lo studio del Foggiano è qui vicino: - osservò il Frate: - andiamo. E vi entrammo insieme. Era in quella stanza terrena una tela della

Vergine del Rosario, ma senza misteri attorno e di piccola misura: non raggiungeva forse un metro. - Quanto costa quel quadro? - Quattrocento lire. - È

troppo veramente! - esclamò il Padre. Io forse mi sarei piegato a comprarlo; ma il Padre, ammiccandomi: - Usciamo fuori.

E quando fummo sulla via: - Perché spendere quattrocento lire, -

soggiunsemi, - per un piccolo quadro, quando tu ora hai la intenzione di sostenere le spese di una nuova chiesa? Sai che mi è passato per la mente, ora

ch‟eravamo là nella bottega del Foggiano? Io diedi da più anni a Suor Maria Concetta De Litala, nel Conservatorio del Rosario a Porta Medina, un vecchio quadro del Rosario, che comprai da un rivendugliolo in mezzo la via della

Sapienza. Tu va a vederlo. Se ti piace, e ti pare che possa servirti, logoro com‟è, chiedilo a lei, perché ella di certo te lo darà. È vero che è un quadro di nessun valore: lo comprai per otto carlini (3,40): ma tanto basterà per la recita del

Rosario ai contadini di Pompei. Difilato corro al Conservatorio di Porta Medina. - Desidero parlare a Suor

Maria Concetta De Litala, - gridai io di fuori della grata del parlatorio. Poco stante vidi scendere la suora, che da più tempo conosceva. - Il P. Maestro Radente mi manda a voi, affinché, se vi piace, mi diate quel vecchio quadro della Madonna

del Rosario che egli vi diede. Sappiate che a Pompei i poveri contadini non dicono il Rosario perché non hanno la immagine; e questa sera debbo portarla, acciocchè i Missionari la mostrino al popolo, che la Missione è finita. Quella fervorosa

terziaria, che era veramente una santa donna, oggi passata al gaudio di eterna vita, - Sono contenta, - ripeté: sono assai contenta che quell‟abbandonato quadro

debba servire per sì bella occasione. Vado subito a prenderlo. Pochi minuti dopo vedo discendere la buona Suora col quadro.

Ohimè! provai una stretta al cuore al primo vederlo. Era non solo una

vecchia e logora tela, ma il viso della Madonna, meglio che di una Vergine benigna, tutta santità e grazia, pareva piuttosto quello di un donnone ruvido e

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rozzo. - Chi mai dipinse questo quadro? Misericordia! - non potei io trattenermi

dall‟esclamare con un‟aria tra lo spavento e lo sconforto. In cuor mio sentiva che i poveri Pompeiani assai malagevolmente si sarebbero disposti a divozione

rimirando quella brutta immagine. Oltre alla deformità e spiacevolezza del viso, mancava pure sul capo della

Vergine un palmo di tela; tutto il manto era screpolato e roso dal tempo e

bucherellato dalla tignuola, e per le screpolature erano distaccati e caduti qua e là brani di colore. Nulla è a dire della bruttezza degli altri personaggi. San Domenico a destra sembrava non già un Santo, ma un idiota da trivio; ed a

sinistra era una Santa Rosa, con una faccia grossa, ruvida e volgare come una contadina, incoronata di rose. Anche il concetto storico era sbagliato in quel

dipinto. La Regina del Rosario vi era rappresentata seduta e senza diadema in capo: ed in luogo di porgere il Rosario a San Domenico, come è di storia, lo dava a Santa

Rosa: e per contrario il Bambino è quegli che consegnava la corona al Patriarca

Gusmano. Stetti in forse se lasciarlo stare, o

pure portarlo così in quella distretta. Mi

crucciava il pensiero che la Missione era sul finire, e quella sera stessa io aveva promesso ai tre Missionari ed al popolo il

quadro del Rosario. E tutti sapevano che io era venuto a bella posta in Napoli per

acquistarlo, e lo aspettavano al mio ritorno. Come comportarmi? - Non ci fate troppe riflessioni, - disse con dolce accento di

rimprovero la pia suora. - Portatevi il quadro ora stesso: sarà sempre buono a

fare che innanzi ad esso si reciti un‟Ave Maria.

Costretto dalla necessità, ma non certo di buon animo, acconsentii. Ma

come portarmelo? Ecco un altro intoppo. La grandezza di esso, largo un metro ed alto un metro e quaranta centimetri, eccedeva lo spazio concessomi dalle vetture di ferrovia. Né io poteva metter tempo in mezzo ad ordinare scatole per mandarlo

altrimenti, avendo già deliberato, come ho detto, di portarlo allora meco. - Ma via, portatelo con voi, - soggiungeva santamente insistendo la suora; che fa che

andate in piedi nel vagone? Portate la Madonna!... Ma questa proposta, che per attuarsi esigeva che io andassi sul treno in quarta classe, ritto in piedi, e tenendo il quadro, non mi andava a sangue.

Sopraggiunse la Contessa, mia moglie, in porteria; e la buona suora, accesa in volto, quasi donna ispirata: - Voi dovete portarlo con voi questo quadro, - le disse: - ed in questo momento. E la Contessa, per tenerla contenta, si fece dare il

quadro, ravvolto alla meglio in un lenzuolo. E così in carrozza lo portammo a casa nostra, che allora era in via Salvator Rosa, n. 290. Ma il difficile era farlo

pervenire la sera stessa a Valle di Pompei. Pensando a ciò, mi venne a mente che in quel giorno il carrettiere di Pompei, a nome Angelo Tortora, (unico che faceva i viaggi da Napoli a Valle) doveva tornare colà col suo carico. Egli soleva vuotare del

letame le stalle dei signori di Napoli e venderlo per la campagna.

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Mandai per lui. Angelo Tortora a quell‟ora aveva già riempito il suo carretto,

ed era in sulle mosse di partire per Pompei. Avuta la mia ambasciata, corse di tutta fretta a casa nostra. - Angelo, - gli dissi: - tu mi farai il piacere di portare

oggi stesso alla Parrocchia di Valle questo quadro, perché domani, domenica, i Padri Missionari debbono esporlo in chiesa ed introdurre nel popolo per la recita del Rosario ogni sera. Subito che sarai giunto a Valle di Pompei, lo consegnerai ad

uno dei tre Missionari. Angelo Tortora è proprio quegli che ebbe parte nelle mie fatiche dei primi anni. Era uno dei capi di tutti i coloni della Valle, e dei più ricchi. Grande nella persona, tarchiate le membra e le spalle quadrate, di voce

forte e sonora, era uso di parlar sempre alto, come parlasse a sordi. Di lui mi era valso più volte per farmi accompagnare, allorché andavo attorno per la campagna

in accatto di granturco e di cotone per le mie feste del Rosario e per le clamorose arriffe. Egli montato su di un pancone in mezzo della via provinciale, rimpetto alla Parrocchia, sotto il casino De Fusco (l‟antica Taverna), con la sua voce sonora,

sorteggiava la famosa lotteria, e nella sua ruvida impostatura chiamava a nome tutti i vincitori delle anella e dei crocifissi e dei quadretti, che distingueva uno per

uno in mezzo ad una folla stivata per la via. Era dunque colui il mio uomo, e non se lo fece dire due volte. - Sta bene, - mi rispose. - E preso il quadro, andò via.

E così, mentre l‟Immagine era in cammino per la strada provinciale alla

volta di Pompei sul carretto di Angelo Tortora, io correva alla stazione ferroviaria per precedere il suo arrivo. Ma qual fu il rincrescimento che provammo, quando giunti la sera a Valle di Pompei, sapemmo che il Tortora aveva portato il quadro,

non altrimenti che allogandolo al di sopra del letame, di cui aveva già caricato il suo carro! Egli volenteroso di servirmi, non aveva saputo fare altrimenti. Pure

quando lo chiamai per pagarlo, il brav‟uomo non volle la vettura, dicendo bastargli aver condotta una Immagine della Madonna. Poveretto! Non avrebbe mai creduto che il suo nome sarebbe apparso in questa storia, che durerà quanto il

Santuario della Vergine di Pompei. Speriamo che oggi in cielo la Vergine Beata lo rimuneri di quel che operò pel suo tempio.

Or chi avrebbe creduto possibile che quella vecchia tela, pagata poco più di tre lire, e che faceva allora il suo ingresso in Pompei sopra un carro di letame, era nei disegni della Provvidenza ordinata ad istrumento di salvezza di innumerevoli

anime? E che sarebbe diventata così preziosa, da essere incoronata di fulgidissimi brillanti e di rare gemme? E poco appresso sarebbe sollevata sopra un ricchissimo trono in un tempio monumentale eretto apposta per essa? E che

avrebbe chiamato ai suoi piedi non solo i poveri contadini di Pompei a recitare il Rosario, ma una folla di adoratori e di pellegrini di tutte le nazioni, divenendo ad

un ora centro di religione, di civiltà, di gloria? E che avrebbe attirato l‟attenzione e l‟affetto del sommo Capo di tutta la Cristianità da sospingerlo a dichiarare suo il Santuario di Pompei, rendendolo Pontificio sotto l‟immediata giurisdizione del

Successore di Pietro? Oh, se l‟avessimo potuto vaticinar noi!... se l‟avessero saputo quanti sono oggi figli prediletti della Regina di Pompei che corrono ad offrirle insieme con le suppliche l‟obolo della gratitudine, da Malta, da Madrid, da

Liverpool, da Coblenza, da Bruxelles, da Varsavia, da Vienna, da Blois, dalla Svizzera, dall‟Africa, dall‟Oceania, per nulla dire dell‟Italia nostra a nessuna

seconda in onorarla! Oh! se avessimo potuto indovinare quel sublime arcano! Saremmo corsi a toglierla da quel sudiciume: e recatala sulle nostre braccia, avremmo voluto portarla a questa Valle abbandonata fra una pioggia di fiori e tra

gli osanna di mile voci esclamanti: - Benedetta Colei che è mandata dalla Misericordia del Signore!

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I PAPI E IL SANTUARIO DELLA MADONNA DI POMPEI

L’auspicio profetico del Beato Bartolo Longo Dopo le due precedenti visite di Giovanni Paolo II, primo Pontefice a recarsi in pellegrinaggio al Santuario della Madonna di Pompei (21 ottobre 1979 e 7 ottobre 2003), quella di Benedetto XVI sarà la terza in ordine di tempo e farà di Papa Benedetto XVI il secondo Successore di Pietro che visita e prega in uno dei santuari mariani del mondo più frequentati. Questi fatti fanno venire subito in mente quanto disse, oltre un secolo fa, il Beato Bartolo Longo e che non può essere irrilevante in queste circostanze. Il 5 maggio 1901, nel discorso inaugurale della monumentale facciata del Santuario, fece un

auspicio profetico: «Un giorno da quella loggia noi vedremo la bianca figura del Rappresentante di Cristo benedire le genti accolte in questa piazza, acclamanti la pace universale».

Il beato Longo e i Papi Il Santuario di Pompei, sede di una Delegazione Pontificia, ha avuto sin dall‟inizio della sua storia un particolare legame con la Santa Sede. Bartolo Longo che fu il protagonista umano, nel nome della Vergine del Rosario, di una straordinaria esperienza di fede e di carità donò al Vicario di Cristo tutto quello che aveva realizzato nella città mariana. Da allora la Sede Apostolica governa il Santuario mariano e le opere di carità attraverso un suo Delegato Pontificio. Bartolo Longo aveva conosciuto e avuto rapporti con diversi Pontefici: Pio IX (1846 – 1878)3, Leone XIII (1878 – 1903)4, Pio X (1903 – 1914)5, Benedetto XV (1914 - 1922)6 e, infine, Pio XI (1922 – 1939)7. Con Leone XIII, in modo particolare, ci fu un‟ampia e profonda condivisione progettuale, che si manifestò soprattutto in occasione del reciproco impegno nella promozione e nella diffusione del Rosario. Leone XIII, definito “il Papa del Rosario” per i suoi numerosi interventi e documenti sulla preghiera mariana, ebbe nell‟Avvocato Longo il suo

3 Pio IX, nato Giovanni Maria Mastai Ferretti (Senigallia, 13 maggio 1792 – Roma, 7 febbraio 1878), è stato proclamato beato nel 2000. Il suo pontificato, di 31 anni, 7 mesi e 23 giorni, rimane il più lungo della storia della Chiesa cattolica, dopo quello di San Pietro. 4 Leone XIII, nato Gioacchino Vincenzo Raffaele Luigi Pecci (Carpineto Romano, 2 marzo 1810 – Roma, 20 luglio 1903). 5 Pio X, nato Giuseppe Melchiorre Sarto (Riese, 2 giugno 1835 – Roma, 20 agosto 1914), è stato proclamato santo nel 1954. 6 Benedetto XV, nato Giacomo Della Chiesa (Genova, 21 novembre 1854 – Roma, 22 gennaio 1922). 7 Pio XI, nato Ambrogio Damiano Achille Ratti (Desio, 31 maggio 1857 – Città del Vaticano, 10 febbraio 1939).

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più convinto sostenitore. D‟altra parte il Pontefice ricambiava invitando i cristiani di tutto il mondo a recarsi in pellegrinaggio al Santuario di Pompei, definito da lui stesso “parrocchia del mondo”. Il rapporto tra Bartolo Longo e Leone XIII, e, in seguito, tra Pompei e i suoi successori, ha avuto una straordinaria e significativa continuità, che ha raggiunto il suo apice, soprattutto, durante il pontificato di Giovanni Paolo II.

Quattro tappe Sono quattro gli eventi che, come pietre miliari, indicano il cammino di questo percorso, che ha le sue tappe fondamentali nei due pellegrinaggi di Papa Giovanni Paolo II a Pompei (1979 e 2003), nella Beatificazione di Bartolo Longo (1980) e nell‟indizione dell‟ Anno del Rosario (2002).

La prima volta del Papa nella città mariana risale all‟ottobre 1979. Giovanni Paolo II era appena ritornato dal suo viaggio apostolico in Irlanda e nell' America del Nord. Durante la consueta Udienza Generale del mercoledì (10 ottobre 1979) ne diede egli stesso

l‟annuncio: «Per ringraziare la Vergine Santissima con maggiore fervore e per implorare la grazia della conversione e della pace, vi comunico ora con immensa gioia che domenica 21 ottobre mi recherò in pellegrinaggio al Santuario di Pompei». Era il primo abbraccio con le popolazioni del Sud d‟Italia. Si realizzava in questo modo l‟auspicio profetico di Bartolo Longo.Da quella loggia, prima della recita dell‟Angelus, il Papa

fece una particolare consegna ai giovani presenti in piazza: «Carissimi giovani! La vostra presenza, così numerosa, e il vostro incontenibile entusiasmo sono la conferma che il messaggio di Cristo non è un messaggio di morte, ma di vita; non di vecchiume, ma di novità; non di tristezza, ma di gioia! Ditelo ai vostri coetanei, a tutti gli uomini, con i vostri canti, con i vostri ideali, ma specialmente con la vostra vita!». Al termine dell‟Angelus il Santo Padre si fermò a lungo con i giovani cantando in polacco.

Quasi un anno dopo, il 26 ottobre 1980, Giovanni Paolo II riconosceva, a nome della Chiesa, lo straordinario percorso di vita, di opere e di santità di Bartolo Longo, con il solenne rito della beatificazione. Quel giorno, in Piazza San Pietro, insieme al Fondatore del Santuario della Beata Vergine Maria del Rosario di Pompei e delle annesse Opere di carità, furono proclamati Beati Suor Maria Anna Sala, delle Suore Marcelline, e don Luigi Orione, proclamato, poi, santo il 16 maggio 2004. Nell‟omelia pronunciata per quell' occasione, il Santo Padre, presentando le caratteristiche dei tre nuovi Beati, a

proposito dell‟Avvocato pompeiano affermava: «Infine, ecco ancora Bartolo Longo, ... egli è l’apostolo del Rosario, il laico che ha vissuto totalmente il suo impegno ecclesiale… “l’uomo della Madonna”: per

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amore di Maria divenne scrittore, apostolo del Vangelo, propagatore del Rosario, fondatore del celebre Santuario in mezzo ad enormi difficoltà ed avversità; per amore di Maria creò istituti di carità, divenne questuante per i figli dei poveri, trasformò Pompei in una vivente cittadella di bontà umana e cristiana...».

Fu ancora un giorno felice per Pompei il 16 ottobre 2002, quando, sul sagrato di San Pietro e davanti all‟icona della Vergine del Rosario, da lui voluta per la particolare circostanza, Giovanni Paolo II

consegnò alla Chiesa la Lettera Apostolica “Rosarium Virginis Mariae”, e indisse l‟Anno del Rosario. Ben cinque volte - mai prima era avvenuto in un documento pontificio - il Papa citava il beato Bartolo Longo inserendolo nella grande schiera dei Santi che hanno trovato nella preghiera mariana un‟autentica via di santificazione.

Il secondo pellegrinaggio di Giovanni Paolo II, avvenuto il 7 ottobre 2003 a conclusione dell‟Anno del Rosario, costituisce per Pompei quasi un testamento spirituale del Papa mariano, una consegna ed una missione per il Terzo Millennio dell‟era cristiana.

LA TESTIMONIANZA CRISTIANA DEL BEATO BARTOLO LONGO NEL MAGISTERO DI GIOVANNI PAOLO II

Omelia del giorno della beatificazione Bartolo Longo fu strumento della provvidenza per la difesa e la testimonianza

della fede cristiana e per l‟esaltazione di Maria santissima in un periodo doloroso di scetticismo e di anticlericalismo. A tutti è nota la sua lunga vita, ispirata da una fede semplice ed eroica e densa di episodi suggestivi, durante la quale sgorgò

e si sviluppò il miracolo di Pompei. Iniziando dall‟umile catechesi ai contadini della valle di Pompei, e dalla recita del rosario davanti al famoso quadro della

Madonna, fino all‟erezione dello stupendo santuario e all‟istituzione delle opere di carità per i figli e le figlie dei carcerati, Bartolo Longo portò avanti con intrepido coraggio un‟opera grandiosa che ancora oggi ci lascia stupiti ed ammirati. Ma

soprattutto è facile notare che tutta la sua esistenza fu un intenso e costante servizio della Chiesa in nome e per amore di Maria. Bartolo Longo, terziario

dell‟ordine domenicano e fondatore della istituzione delle suore “Figlie del Santo Rosario di Pompei”, si può veramente definire “l‟uomo della Madonna”: per amore di Maria divenne scrittore, apostolo del Vangelo, propagatore del rosario,

fondatore del celebre santuario in mezzo ad enormi difficoltà ed avversità; per amore di Maria creò istituti di carità, divenne questuante per i figli dei poveri, trasformò Pompei in una vivente cittadella di bontà umana e cristiana; per amore

di Maria sopportò in silenzio tribolazioni e calunnie, passando attraverso un lungo Getsemani, sempre fiducioso nella provvidenza, sempre ubbidiente al Papa

e alla Chiesa. Egli, con in mano la corona del rosario, dice anche a noi, cristiani della fine del XX secolo: “Risveglia la tua fiducia nella santissima Vergine del rosario... Devi avere la fede di Giobbe!... Santa Madre adorata, io ripongo in te

ogni mia afflizione, ogni speranza, ogni fiducia!” (11 marzo 1905).

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IL BEATO BARTOLO LONGO

Bartolo Longo è nato il 10 febbraio 1841 a Latiano (BR). Morì a Pompei il 5 ottobre 1926. Aveva 85 anni. Fu beatificato da Papa Giovanni Paolo II nel 1980.

La giovinezza. Bartolo Longo era figlio di Bartolomeo, medico e di Antonia Luparelli. Fu battezzato tre giorni dopo la nascita, il 13 febbraio 1841. Di fisico minuto ma di acuta intelligenza, Bartolo Longo fu posto nel collegio dei Padri Scolopi di Francavilla Fontana, all‟età di 5 anni, come era d‟uso a quell‟epoca. Nel 1863 giunse a Napoli per completare gli studi di Giurisprudenza. Avvenuta l'annessione del Regno delle due Sicilie al Regno d'Italia, con la legge Casati estesa a tutto il Regno d'Italia, gli studi subirono un forte

mutamento, per cui i titoli conseguiti non erano riconosciuti. Per tale ragione, Bartolo Longo dovette ricominciare gli studi di giurisprudenza, proprio quando si apprestava a dare inizio alla sua professione di avvocato.

Lo spiritismo. Attraverso amici e professori si avvicinò al mondo dello spiritismo, abbandonando completamente la fede cattolica nella quale era stato educato. In quegli anni, a Napoli, specie nell'ambiente accademico, come in molti ambienti culturali, vi era un forte anticlericalismo. Bartolo Longo, dopo la lettura del libro “Le Vie de Jesus” del filosofo francese Ernest Renan, aderì completamente alla contestazione anticlericale; assistette anche alle lezioni di Lettere e Filosofia di Augusto Vera, Bertrando Spaventa e Luigi Settembrini, lezioni improntate al positivismo dominante, e quindi alla negazione del soprannaturale. Entrò successivamente a far parte di un'associazione spiritica e si impegnò a divenire “sacerdote di spiritismo” in opposizione alla Chiesa cattolica.

L’inizio della svolta. Con il passare del tempo tuttavia si verificò in lui una profonda crisi. Dopo una notte di incubi, quando si rivolse al Prof. Vincenzo Pepe. Pepe fu amico, compaesano ed uomo molto religioso, il quale lo pose sotto la direzione spirituale di Padre Radente dell'ordine dei Domenicani. Fu proprio Padre Radente ad aggregarlo al Terzo Ordine di San Domenico. La Madonna del Rosario ha un culto molto antico che risale all'epoca dell‟istituzione dei Domenicani (XII secolo), i quali furono i maggiori propagatori del culto del S. Rosario. Ciò quindi animò in Bartolo Longo la propagazione della devozione al

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S. Rosario. Bartolo volle così tornare dai suoi ex-compagni di spiritismo per tentare invano di evangelizzarli, riuscendo però solo a rendersi il loro zimbello. Nel 1864 si laureò in giurisprudenza, tornò al paese natio, abbandonò la professione di avvocato, fece voto di castità e si prodigò in opere assistenziali. Infatti, dalla divisione patrimoniale familiare, aveva ottenuto una cospicua somma di denaro e notevoli beni immobili che gli garantivano una rendita annua di oltre 5.000 lire, una somma elevata per l'epoca, che gli consentì di assegnare vitalizi e sostenere periodiche spese di ammalati e bisognosi.

Il matrimonio con la contessa De Fusco. Per seguire questa vocazione ad aiutare i bisognosi, tornò a Napoli dove conobbe Caterina Volpicelli (proclamata poi beata). Nella Casa Centrale che la Volpicelli aveva aperto a Napoli, Bartolo conobbe la contessa Marianna Farnararo De Fusco (Monopoli, 13 dicembre 1836 – Pompei, 9 febbraio 1924), donna impegnata fortemente in opere caritatevoli ed assistenziali. Questa nel 1864 era rimasta vedova del conte Albenzio De Fusco di Lettere (NA), i cui possedimenti si estendevano anche nella Valle di Pompei. Alla contessa, vedova di soli 27 anni con cinque figli in tenera età, serviva un amministratore per i beni De Fusco, nonché un precettore per i figli. Fu così che Bartolo accettò di stabilirsi in una residenza dei De Fusco per assolvere a tali compiti. Questa conoscenza segnò una svolta fondamentale nella vita di Bartolo Longo, poiché egli ne divenne l'inseparabile compagno nelle opere caritatevoli. Tale amicizia tuttavia diede luogo a parecchie maldicenze, per cui dopo un'udienza da Papa Leone XIII, i due nel 1885 decisero di sposarsi, con il proposito però di vivere come buoni amici, in amore fraterno, come avevano fatto fino ad allora. Il matrimonio fu celebrato senza gli atti civili e le pubblicazioni di rito.

La chiesa in rovina. Il primo vero contatto di Bartolo Longo con i Pompeiani avvenne nel 1872, quando egli si recò nella Valle di Pompei per sistemare i rapporti economici tra la contessa e gli affittuari dei suoi possedimenti. In tale occasione ebbe modo di notare lo stato di abbandono in cui i circa 1.000 abitanti della zona vivevano e notò in quale stato di rovina si trovava la Parrocchia del SS. Salvatore, umile antica chiesa (le sue origini risalgono al 1093), intorno alla quale si raggrupparono i primi abitanti dell'Agro pompeiano. Un giorno, vagando per quei campi, in contrada Arpaia, Bartolo sentì una voce misteriosa che gli diceva: “Se propaghi il Rosario, sarai salvo!”. E subito dopo udì l‟eco di una campana lontana, suonante l'Angelus di

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mezzogiorno, che lo fece inginocchiare sulla nuda terra e pregare fino al raggiungimento di una grande pace interiore, mai provata prima. A quel punto ebbe ancora più chiara la missione da compiere. Iniziò così a ideare la costituzione di una “pia società” intitolata al Rosario da realizzare proprio li, in quella valle abbandonata. Una nuova chiesa. Capì, dunque, la sua vocazione e si propose di non allontanarsi da Valle di Pompei, senza aver diffuso il culto alla Vergine del Rosario. Cominciò col catechizzare i contadini; ristrutturò, poi, la piccola chiesa parrocchiale del Santissimo Salvatore, risalente all‟Anno Mille e decise, su consiglio del Vescovo di Nola, di erigere una nuova chiesa, dedicata alla Madonna del Rosario. Nei tre anni successivi tornò tra i Pompeiani a propagandare la sua idea di Rosario, ma realizzò presto che, a tale scopo, gli occorreva un quadro della Madonna del Rosario, dipinto ad olio, come prescriveva la liturgia. Si recò così a Napoli per comprarne uno. L'idea era quella di acquistarne uno già visto in un negozio, ma le cose non andarono così. Per puro caso infatti incontrò in Via Toledo Padre Radente che allo scopo gli suggerì di andare al Conservatorio del Rosario di Portamedina e di chiedere, in suo nome, a Suor Maria Concetta De Litala un vecchio quadro del Rosario che egli stesso le aveva affidato dieci anni prima. Bartolo seguì tale suggerimento, ma fu presto preso da sgomento quando la suora gli mostrò il quadro: una tela corrosa dalle tarme e logorata dal tempo, mancante di pezzi di colore, con la Madonna in atteggiamento antistorico, cioè con la Vergine che porge la corona a Santa Rosa, anziché a Santa Caterina da Siena, come nella tradizione domenicana. Bartolo Longo fu sul punto di declinare l'offerta, ma ritirò comunque il dono per l'insistenza della suora. L’icona della Madonna di Pompei. Nel tardo pomeriggio del 13 novembre 1875, l'immagine della Madonna giunse così a Pompei, su un carretto guidato dal carrettiere Angelo Tortora e adibito al trasporto di letame. Fu scaricata con la sua lurida copertura di fronte alla fatiscente Parrocchia del SS. Salvatore, ove ad aspettarla c'erano l'anziano parroco Cirillo, Bartolo e altri abitanti. Lo sgomento iniziale di Bartolo colse anche tutti gli altri presenti quando, tolta la coperta, fu mostrato il quadro. Furono tutti d'accordo che l'immagine non si potesse esporre, per timore di interdetto, prima di un restauro anche solo parziale. Al primo restauro, nel corso degli anni, ne seguirono altri e per i primi tre anni il quadro fu esposto nella Parrocchia del SS. Salvatore. Di fronte a tanto interesse religioso e devozionale, il vescovo di Nola (nella cui diocesi era compresa allora anche la Valle di Pompei) suggerì a Bartolo Longo di iniziare la costruzione di una nuova chiesa, in un terreno indicato dallo stesso vescovo. Iniziarono così le peregrinazioni di Bartolo Longo e della contessa in cerca dei

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fondi necessari, mediante la sottoscrizione di “un soldo al mese”. Il 13 febbraio 1876, giorno in cui per la prima volta il quadro della Madonna veniva esposto, dopo il restauro, alla pubblica venerazione, si verificò il primo prodigio: la completa guarigione della dodicenne Clorinda, giudicata inguaribile dal celebre professore Antonio Cardarelli, e per la cui salvezza la zia Anna aveva aderito alle offerte per la nascente chiesa. Era il primo di una lunga serie di miracoli e grazie nella storia del Santuario di Pompei. Da Napoli e successivamente da molte altre parti del mondo iniziarono a giungere offerte per la costruzione della nuova chiesa la cui prima pietra fu posta l'8 maggio 1876. Il quadro fu quindi posto su un altare provvisorio in una cappella (detta poi di Santa Caterina), nella erigenda chiesa. L'architetto Antonio Cua si offrì gratuitamente di

redigere il progetto e dirigere i lavori della nuova chiesa. La "Supplica"8. Nel 1877 Bartolo Longo scrisse e divulgò la pratica dei "Quindici Sabati". Due anni dopo, guarì lui stesso da una grave malattia grazie alla recita della Novena, da lui composta e della quale ci furono, immediatamente, novecento edizioni, in ventidue lingue. Il 14 ottobre 1883, ventimila pellegrini, riuniti a Pompei recitarono, per la prima volta, la "Supplica alla Vergine del Rosario", scritta da Bartolo Longo, in risposta all'Enciclica Supremi Apostolatus Officio (1°

settembre 1883), con la quale Leone XIII, di fronte ai mali della società, additava come rimedio la recita del Rosario. Nel 1884 fondò il periodico “Il Rosario e la Nuova Pompei”, tuttora stampato e diffuso in tutto il mondo. Nel frattempo intorno al grande cantiere per la chiesa, Bartolo Longo diede forma alla nuova città, con le case per gli operai (primo esempio di edilizia sociale), il telegrafo, un piccolo ospedale, l'osservatorio meteorologico e quello geodinamico. Nel 1887 fondò l‟Orfanotrofio Femminile, la prima delle sue opere di carità a favore dei minori. Il 6 maggio 1891 il cardinale Raffaele Monaco La Valletta consacrò il nuovo Tempio. Nel 1898 Bartolo Longo fece ricostruire la Parrocchia del SS. Salvatore, tale quale oggi è, in modo che potesse continuare la sua esistenza in modo autonomo dalla nascente chiesa, divenuta sin dal 1894, Basilica Pontificia. Ospizio per i figli dei carcerati. In questo periodo Bartolo Longo maturò la sua intuizione più originale e cioè: non solo credere nella possibilità del recupero dei figli dei carcerati, ma scommettere sul

8 Il testo integrale della Supplica nelle pagine 51 e 52.

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fatto che essi, a loro volta, avrebbero potuto salvare i loro genitori dalla disperazione. Nel 1892 veniva così collocata la prima pietra dell'Ospizio per i figli dei carcerati, retto, a partire dal 1907, dai Fratelli delle Scuole Cristiane di San Giovanni Battista de La Salle. Dopo appena sei anni gli allievi erano oltre cento. In seguito accolse anche le figlie dei carcerati che affidò alla cura delle Suore Domenicane Figlie del Santo Rosario di Pompei, da lui fondate nel 1897. Si trattava di un'opera difficile perché combattuta dalla cultura e dalla scienza positivista del tempo, che non riconosceva l'educabilità del figlio di un delinquente. L‟opera di Bartolo Longo dimostrò il contrario. Queste opere miravano ad accogliere ed educare tutti i bambini e ragazzi orfani o abbandonati e che quindi non avevano punti di riferimento familiari per la propria crescita umana e sociale. Il 5 maggio 1901 fu così inaugurata la facciata del Santuario della Beata Vergine del Rosario di Pompei, frutto di offerte proveniente da tutto il mondo e dedicata alla Pace Universale. In tale occasione Bartolo Longo promise ai Pompeiani che un giorno la Basilica sarebbe stata visitata dal Papa, cosa che si è poi verificata per ben due volte, il 21 ottobre 1979 e il 7 ottobre 2003, da parte di Giovanni Paolo II. Su Bartolo tuttavia caddero ingiurie e calunnie che arrivarono fin sul

tavolo di Papa Pio X. Bartolo e la Contessa decisero così, il 12 settembre 1906, di donare l'Opera di Pompei al Papa. Papa Pio X, venuto a conoscenza della verità, mostrò grande stima per il Fondatore della nuova Pompei e approvò la Pia Unione Universale per la recita del Rosario in comune e nelle famiglie, proposta dal Longo, volendo esserne il primo iscritto. Numerose opere di carità. L'opera di Bartolo Longo così si arricchì ulteriormente con l'istituzione della Supplica alla madonna di Pompei (da egli stesso scritta) l'8 maggio e la Prima domenica di ottobre, la promozione del Movimento Assunzionista per ottenere la definizione del dogma dell'Assunzione di Maria, l'Orfanotrofio Femminile, l'Istituto per i Figli dei Carcerati, l'Istituto per le Figlie dei Carcerati, la Congregazione femminile delle Suore Domenicane Figlie del S. Rosario di Pompei, con lo scopo primario

di assistenza e di educazione dei bambini e delle ragazze delle Opere, le Case Operaie per i dipendenti, la tipografia con annessa legatoria anche artistica, le officine, la scuola di arti e mestieri e la scuola serale, la stazione ferroviaria per la quale offrì il terreno. Bartolo Longo tuttavia intuì che la nascente città avrebbe avuto una forte vocazione turistica sia per l'interesse archeologico verso gli Scavi

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dell'antica Pompei, sia per il sempre maggiore interesse religioso che portava ormai migliaia di pellegrini presso la Basilica. Si adoperò pertanto affinché nella città sorgessero farmacie, luoghi di ristoro ed accoglienza per i visitatori, nonché una stazione ferroviaria con annessa piazza antistante (per le quali offrì il suolo), un ufficio postale, nuove strade e tutto quanto potesse rendere la città più bella e funzionale; trasformando quindi una valle desolata, in penoso stato di abbandono e degrado, in una moderna bella città a forte vocazione turistica, dotata di tutti i confort e servizi.

Gli ultimi anni e l'amicizia di San Giuseppe Moscati. La contessa De Fusco morì il 9 febbraio 1924. Ciò provocò giorni di terribile sofferenza a Bartolo Longo che, per sfuggire alle possibili ritorsioni da parte degli eredi della nobildonna, si trasferì prima a Napoli, presso il nipote ingegnere, poi, dopo un mese, a Latiano. Infatti poco dopo, a tutela del patrimonio, gli ufficiali del Tribunale di Salerno entrarono nella casa che fu della contessa e di Bartolo ed inventariarono mobili e beni. Il 23 aprile 1925, dopo quattordici mesi e molte sollecitazioni da parte dei pompeiani, Bartolo tornò a

Pompei. E lo fece come quando vi era giunto per la prima volta nel 1872: senza possedere più nulla, ma stavolta trovando una città in festa ad aspettarlo. Il 30 maggio 1925 fu insignito della Gran Croce del Santo Sepolcro. Negli ultimi mesi di vita, Bartolo Longo poté godere della splendida amicizia del dottor Giuseppe Moscati (proclamato santo il 25 ottobre 1987 da Papa Giovanni Paolo II) che spesso vedeva per consulti medici. I due strinsero una filiale amicizia che si concluse solo quando, nella mattinata del 5 ottobre 1926, il Moscati andò a Pompei per assisterlo per l'ultima volta. Nel pomeriggio di quel giorno, infatti, tornando a Napoli, senza saper nulla di quello che accadeva a Pompei, disse ai suoi familiari: «Don Bartolo è passato in cielo». Bartolo Longo così morì poverissimo, potendo disporre soltanto del proprio lettino poiché tutto il mobilio dell‟appartamento era stato inventariato e vincolato da un sequestro conservativo ottenuto contro di lui da parenti in agguato. Bartolo Longo morì il 5 ottobre 1926. Le sue spoglia riposano, insieme a quelle della contessa, di Padre Radente e di Suor Maria Concetta de Litala, nell'ampia cripta sottostante la Basilica della Madonna del Santo Rosario di Pompei.

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Marianna Farnararo De Fusco Longo

Cofondatrice Santuario di Pompei Monopoli, Bari, 13 dicembre 1836 – Pompei, 9 febbraio 1924

La contessa Marianna De Fusco, fa parte di quel

numeroso gruppo di cattolici, che in secondo piano, spesso nell‟ombra, hanno dato l‟occasione, lo stimolo e l‟aiuto concreto, a tante figure sante della Chiesa e della

società , nel realizzare le loro opere di beneficenza, di culto, di formazione sociale e di assistenza. Quando si

pensa al Santuario Pontificio di Pompei, non si può non abbinare il ricordo del suo fondatore, la grande figura della santità cattolica laica moderna, il beato Bartolo

Longo. "Bartolo Longo, dal 1885 era sposato con la contessa Marianna Farnararo vedova De Fusco, che come diremo appresso, fu colei che diede l‟opportunità,

divenendone poi l‟anima sostenitrice, della fondazione delle Opere e della devozione mariana a Pompei; a ben

ragione ne è considerata la cofondatrice, anche se di lei si parla poco, tutti attirati dalla santità straordinaria di

questo professionista cattolico, fra l‟altro, lui laico, fondatore della Congregazione

femminile delle «Suore Domenicane Figlie del Rosario di Pompei» e ideatore e compilatore della celebre Supplica alla Madonna, che si recita - come gi detto - due volte l‟anno, con grande solennità e partecipazione di pellegrinaggi, l‟8 maggio

e la prima domenica d‟ottobre”.9 Le sue origini e il trasferimento a Napoli. Anche Marianna Farnararo era

originaria della Puglia, essendo nata a Monopoli (Bari) il 13 dicembre 1836, da Biagio Farnararo e Rosa Martinelli, discendenti da antiche e benestanti famiglie pugliesi; da loro nacquero 4 maschi e 3 femmine. Quando Marianna aveva 8 anni,

morì il padre nel febbraio 1845; rimasta orfana fu collocata in un collegio religioso, per avere un‟adeguata istruzione ed educazione. Aveva 14 anni, quando

la madre donna Rosa Martinelli, decise di trasferirsi a Napoli, capitale del Regno delle Due Sicilie, probabilmente per sfuggire alla miseria che opprimeva Monopoli in quel periodo, ricordato come la “fame del „48” e per allontanarsi dalla città, in

preda ad un clima politico antiborbonico; la seguirono l‟adolescente Marianna e il figlio Francesco avvocato. A Napoli la famiglia Farnararo si stabilì in Via Port‟Alba n. 30, nel palazzo della famiglia Volpicelli e in questo luogo, Marianna conobbe

l‟allora quindicenne e futura Beata, Caterina Volpicelli10 a cui si legò da profonda amicizia, partecipando con lei alle attività dell‟Associazione del “Cuore SS. di

Maria per la conversione dei peccatori”, dedita soprattutto all‟adorazione del SS. Sacramento, i cui membri si alternavano durante tutto il giorno, pratica molto diffusa e sostenuta dall‟arcivescovo di Napoli, il Servo di Dio card. Sisto Riario

Sforza.11 Sposa, madre, contessa. Il 21 febbraio 1852, Marianna Farnararo andò sposa al

conte Albenzio De Fusco (1824-1864), giovane ventottenne di Lettere (Napoli),

9 Questo profilo biografico è tratto dell‟articolo di Antonio Borrelli (Avvenire, 14 dicembre 2006). 10

Napoli, 21 gennaio 1839 – 28 dicembre 1894. 11

Napoli, 5 dicembre 1810 – 29 settembre 1877.

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proprietario terriero. Probabilmente era un matrimonio preparato dalle famiglie,

com‟era usanza fra i ceti nobiliari del tempo. Gli sposi andarono ad abitare a Lettere e il loro matrimonio fu allietato dalla nascita di cinque figli: Giovanna

(1852), Francesco (1853), Biagio (1856), Vincenzo (1859), Enrico (1862). Divenuta contessa De Fusco, Marianna Farnararo, s‟inserì bene nella nobiltà napoletana, si fece conoscere ed apprezzare, frequentando con assiduità la società mondana

della capitale, quindi i balli ed i passatempi dei nobili; grazie al marito Albenzio, poté allacciare amicizie e relazioni sociali di rango, che successivamente sfruttò abilmente per la realizzazione delle Opere pompeiane.

Vedovanza e amicizia con la beata Caterina Volpicelli. Dopo 12 anni di matrimonio, la morte colpì il conte Albenzio De Fusco il 26 febbraio 1864 a soli

42 anni, lasciando vedova Marianna, ancora giovane di 27 anni e cinque figli in tenera età; il decesso era avvenuto a Napoli alla Via Medina, 17, dove da qualche tempo la famiglia De Fusco si era trasferita da Lettere. I primi anni di vedovanza

furono molto duri per la giovane Marianna, che si trovò sola ad allevare ed educare i cinque figli, dei quali ben quattro maschi, inoltre ad amministrare i beni

terrieri ricevuti in eredità dal defunto marito. Con gli anni i tre figli maggiori le procurarono molte amarezze e preoccupazioni, tutto era ingigantito dalla solitudine della vedovanza, e nel 1870 Marianna ritornò nel palazzo Volpicelli,

ospitata dall‟amica Caterina, abitando con i due figlioletti più piccoli un modesto appartamento; qui si dedicò alle pratiche religiose, affinando la sua spiritualità e desiderio di Dio. Intanto Caterina Volpicelli non era più la semplice giovinetta di

un tempo: a Napoli era diventata l‟apostolo del Sacro Cuore di Gesù, tramite “l‟Apostolato della Preghiera” di cui era zelatrice, coinvolgendo comunità religiose,

chiese e parrocchie; aveva dato inizio alla Pia Unione delle Ancelle ed Oblate del Sacro Cuore, per giungere poi alla fondazione dell‟Istituto religioso delle “Ancelle del Sacro Cuore”, approvato nel 1874 dall‟arcivescovo Sisto Riario Sforza. La

contessa Marianna le fu sempre vicina e l‟aiutò nell‟avvio delle sue opere e fu tra le prime cinque compagne che si consacrarono al Terz‟Ordine del Sacro Cuore; la

vicinanza e il carisma della futura beata Caterina Volpicelli, fu essenziale per accrescere l‟educazione religiosa e la spiritualità di Marianna, i cui primi germi erano maturati nelle Confraternite religiose della natia Monopoli, particolarmente

quella domenicana del Santo Rosario. Si avvicinò sempre più alla pratica della recita del Santo Rosario in gruppi di preghiera; ogni sera partecipava alla recita della preghiera mariana in casa Volpicelli e fu durante queste frequentazioni, che

conobbe tra il 1867 e il 1868, l‟avv. Bartolo Longo, il quale poi nel 1870 andò in pensione nello stesso palazzo della Volpicelli; anch‟egli partecipava al gruppo di

preghiera e alla recita del Rosario serale. L’avvocato Bartolo Longo. L‟avvocato Bartolo Longo, come già ricordato, era

originario di Latiano (Brindisi) e dopo il periodo

della fanciullezza e adolescenza, trascorso in un collegio gestito dai Padri Scolopi, nel 1864 a 23 anni si trasferì a Napoli, per completare gli studi

di Giurisprudenza già intrapresi a Lecce, laureandosi in Legge. Conquistato dallo spirito

anticlericale del tempo, si allontanò dalla Chiesa, ma per sua fortuna, incontrò saggi e prudenti consiglieri e amici, come il domenicano padre

Alberto Radente, che l‟aiutarono a tornare in seno alla Chiesa Cattolica e a ritrovare l‟originaria

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genuina fede. Fu invitato a diffondere la devozione al Sacro Cuore di Gesù,

indirizzato per questo alla Beata Caterina Volpicelli e alla sua zelatrice contessa De Fusco. Ecco perché ogni sera partecipava alla recita del Rosario in casa

Volpicelli, dove incontrò e conobbe Marianna Farnararo vedova De Fusco. Due apostolati. La coabitazione di entrambi nel palazzo Volpicelli, durò un anno, perché nel 1871 Marianna De Fusco e Bartolo Longo, dovettero lasciare quella

residenza per trasferirsi in un palazzo di Largo Salvator Rosa, aiutati in ciò dal padre confessore della contessa. I motivi di tale trasferimento, furono senz‟altro la diversificazione dell‟azione di apostolato di Marianna e di Longo prettamente

mariano, mentre Caterina Volpicelli proseguiva e consolidava quello al Sacro Cuore di Gesù; inoltre restare in quel palazzo, acuiva ogni giorno di più il dolore

subito dalla contessa De Fusco per la morte, il 10 maggio 1870, del piccolo figlio Enrico di 8 anni, annegato nel pozzo che era in costruzione. A tutto ciò si associò una ristrettezza economica della contessa, dovuta alle scarse rendite del suo

patrimonio in Valle di Pompei, tanto che una ricca zia materna, venuta da Corato (Bari) e associata all‟Istituto della Volpicelli, la soccorse con un assegno mensile

di 50 ducati. Conosciuto così l‟avvocato Bartolo Longo e apprezzandone le doti umane, spirituali e organizzative, Marianna De Fusco gli affidò l‟amministrazione delle sue proprietà terriere a Lettere, Gragnano e Valle di Pompei, nel tentativo di

farle fruttare a dovere e togliersi dallo stato di indigenza in cui si trovava. A Valle di Pompei. A Valle di Pompei il terreno era fertile, grazie ai periodici straripamenti del vicino fiume Sarno che lo concimavano; ma anch‟essa come

molte zone del Meridione, era infestata da briganti. Bartolo Longo giunse per la prima volta a Taverna di Valle, presso il “Casino di campagna” del fu conte De

Fusco nel 1872, rimanendo colpito dalla miseria del luogo e degli abitanti, compreso la decrepita chiesa parrocchiale. Come era ormai sua abitudine, anche a Valle di Pompei volle diffondere la recita del Rosario, e in pieno accordo con il

parroco don Giovanni Cirillo, invitava i coloni ogni sera, a casa De Fusco per la recita del Rosario. Qui dopo alcuni giorni, fu invaso da una profonda crisi al

ricordo dei peccati commessi, che lo fece disperare nell‟incertezza del perdono del Signore, ma mentre vagava senza meta in preda allo sconforto, sentì una voce che gli sussurrava: “Se cerchi la salvezza propaga il Rosario. Son promesse di Maria.

Chi propaga il Rosario è salvo!”. Da quel momento la sua vita cambiò in un crescendo di impegni religiosi e di apostolato, prima come catechista, poi organizzatore di feste religiose, collaboratore della parrocchia e infine promotore

del Tempio dedicato alla Santa Vergine del Rosario. Ada Ignazzi,12 così descrive l‟unione d‟intenti della contessa e di Bartolo Longo: “Quando Bartolo Longo iniziò

il suo apostolato tra la gente abbandonata di Pompei, trovò in Marianna un‟abile, intelligente e preziosa collaboratrice. Insieme iniziarono un cammino di vita e di fede che li vide uniti e con un solo intento: la cura delle anime dei contadini della

Valle e la promulgazione del culto mariano con la recita del Rosario. Pur tuttavia i loro caratteri erano molto differenti; la contessa era risoluta, pronta nelle decisioni, vivace, ma nello stesso tempo poco tollerante; l‟avvocato era pacifico,

placido, sempre in cerca di pareri e consigli e ben disposto a mitigare ogni difficoltà e contrarietà con una filosofica risata. Fra loro si venne a determinare

una stima profonda che li affratellava. Perseguivano con modalità diverse un solo obiettivo: far del bene al prossimo”. Ma questa comunione di attività,

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Ada Ignazzi, “Marianna Farnararo, contessa De Fusco” (Edizione Laterza, Bari,

2004).

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l‟utilizzazione dei ricavi del loro patrimonio per fini di apostolato e volontariato,

peraltro svolta da un avvocato che aveva fatto voto di castità e da una nobildonna appartenente al Terz‟Ordine del Sacro Cuore, non era ben vista; suscitò critiche

per tanto entusiasmo e dedizione e ben presto si formularono contro di loro opinioni malevoli, tanto che le volgarità da solo pensate, divennero dicerie e le dicerie mormorazioni e poi calunnie.

Il matrimonio di Bartolo Longo e Marianna Farnararo. A questo punto Marianna decise di ritirarsi dall‟azione diretta di volontariato e apostolato, contro il parere dello stesso Bartolo Longo; si ricorda che l‟opera a Pompei era già ben

avviata, il 13 novembre 1875, era stato portato a Pompei dall‟avvocato il quadro della Madonna del Rosario, regalatogli da una suora di Napoli, il trasporto

avvenne “su un carro di letame”; dal 1876 era in corso una questua pubblica per raccogliere fondi, che coinvolgeva Napoli e dintorni; l‟8 maggio 1876 c‟era stata la posa della prima pietra del Santuario, il quadro della Vergine aveva avuto due

restauri nel 1876 e 1879. I consigli di Papa Leone XIII. Tutta l‟opera dei due generosi apostoli pugliesi a

Pompei, era conosciuta ed approvata dalle Autorità ecclesiastiche diocesane e dalla stessa Santa Sede, il papa li riceveva spesso, e fu proprio papa Leone XIII, informato della situazione determinatasi con le calunnie e maldicenze, a

consigliare loro di sposarsi per porre fine alle dicerie, dispensandoli dai voti assunti in precedenza. Il matrimonio si celebrò il 1° aprile 1885, nella Cappella privata del Vicario Generale di Napoli, nella chiesa parrocchiale di Santa Maria

delle Vergini; Marianna Farnararo aveva 48 anni e Bartolo Longo 44. La “contessa” e “don Bartolo”. Nel volume “Bartolo Longo e il Santuario di

Pompei” di Scotto di Pagliara D., Pompei, 1943, si legge: “Marianna De Fusco, restò anche allora per Bartolo Longo “La contessa”, la donna cioè che cooperava alla sua intrapresa e spesso gliene spianava il sentiero; nel modo stesso che

l‟avvocato Longo restò per lei “don Bartolo”, l‟uomo provvidenziale, l‟apostolo del Rosario, il salvatore dell‟infanzia più sventurata, colui che meritava ogni stima e

ogni venerazione”. Come già detto, di caratteri diametralmente opposti, duro, fermo e autoritario quello della contessa, dolce, benevolo, generoso, quello dell‟avvocato; la loro unione si dimostrò comunque salda, perché fondata sulla

profonda stima, sul reciproco rispetto, la comune fede religiosa, sull‟impegno per le opere di carità e la divulgazione del Rosario. Per questo Marianna Farnararo, è considerata unanimemente cofondatrice del Santuario e delle Opere a Pompei, da

dove non si allontanò più fino alla morte. La morte della contessa Marianna. La contessa De Fusco, morì a Pompei il 9

febbraio 1924 all‟età di 87 anni, precedendo il marito Bartolo di poco più di due anni. Aveva trascorso a Pompei insieme al futuro Beato, più di 50 anni. I funerali furono solenni, con la partecipazione di autorità civili, militari e religiose; poi con

un treno speciale della Circumvesuviana, la cui stazione pompeiana è situata nelle adiacenze del Santuario, la salma fu trasportata nel cimitero di Napoli (Cappella della Congregazione del Rosario). Ma sei anni dopo, il 6 febbraio 1930, i

suoi resti mortali furono di nuovo portati a Pompei e tumulati nella Basilica. Il 3 novembre 1938, i suoi resti furono definitivamente tumulati nella cripta del

Santuario, accanto al marito Bartolo Longo, dove riposa tuttora, anche se le reliquie del Fondatore, sono state poi sistemate in una apposita cappella, adiacente le navate superiori, per la venerazione dei fedeli.

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LA CHIESA DI POMPEI Prelatura territoriale suffraganea di Napoli13

La Chiesa di Pompei è costituita da una peculiare identità giuridica e pastorale: in un modesto spazio di territorio convivono la Prelatura Territoriale e la Delegazione Pontificia per il Santuario e le Opere di carità. Due realtà, che conservano una intrinseca autonomia, ma che operano insieme nella pastorale per il territorio, nel servizio di carità a favore delle Opere sociali e nell‟accoglienza ai pellegrini che ogni giorno accorrono nella città di Maria. Presiede la comunità l'Arcivescovo-Prelato e Delegato Pontificio, Mons. Carlo Liberati, originario di Matelica (MC).

Sacerdoti, Religiosi, Religiose, offrono il loro servizio in un ventaglio di attività che vanno dall‟evangelizzazione all‟apostolato per la formazione cristiana del popolo, dalla cura pastorale delle comunità parrocchiali all‟assistenza dei ragazzi e ragazze delle Opere, dall‟amministrazione di tutto il complesso alla gestione dei relativi servizi. Oltre ai Religiosi e alle Religiose, buona parte del Clero secolare vive in comunità. Già il beato Bartolo Longo aveva costruito una casa del Clero che operava nella Basilica, la cosiddetta canonica, ubicata alle spalle del Santuario. Nello stesso edificio, in tempi successivi, hanno dimorato i Padri Domenicani, i Padri Redentoristi e, attualmente, i Sacerdoti di Don Orione. I Sacerdoti secolari incardinati hanno le loro camere nell‟edificio della Prelatura.

L‟origine della comunità cristiana a Pompei è molto antica. È certo, comunque, che, dopo l‟immane catastrofe del 79 d. C., una popolazione cristiana dimorò in questa terra occupando prevalentemente la zona Sud, verso il fiume Sarno. La comunità si intitolò al SS.mo Salvatore, nell‟ambito della Diocesi di Nola e, crescendo, divenne Parrocchia assai fiorente, arricchita con Bolla Pontificia del privilegio del Patronato dei Capi di Famiglia. Attualmente, tale privilegio è cessato per rinuncia da parte del popolo, in data 10 ottobre 1966. Lo splendore della comunità cristiana e del Casale detto di Valle (così si chiamò la rinata cittadina) si eclissò, nel

13 Abitanti: 25.9156 Superficie: 12 km q Parrocchie: 5 Numero dei sacerdoti secolari: 50 Numero dei sacerdoti regolari: 10 Numero dei diaconi permanenti: 5 Fonti: Annuario Pontificio, edizione 2008 e Archivio dell'Istituto Centrale per il sostentamento del clero (aggiornamento mensile).

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secolo XVII, a seguito di inondazioni del Sarno, provocate dalla cattiva amministrazione feudale. L‟epidemia della peste spazzò via ogni superstite segno di vita tra la popolazione. Nel 1740, distrutta l‟antica chiesa parrocchiale del SS.mo Salvatore, i pochi abitanti di Valle costruirono, col permesso del Vescovo di Nola e con Decreto della Congregazione dei Vescovi e Regolari, lungo la via delle Calabrie, di fronte alla cosiddetta Taverna di Valle, una piccola Chiesa sempre intitolata al SS.mo Salvatore. Nel 1840, avendo la popolazione raggiunto il numero di 300 e più unità, Mons. Gennaro Pasca, Vescovo di Nola, per venire incontro alle esigenze pastorali della nuova comunità, chiese ed ottenne con Decreto Regio di Ferdinando II (18/3/1840) la piena reintegrazione della Parrocchia nella sua specifica missione della cura d‟anime. Nel 1843, con voto popolare, veniva eletto il primo Parroco della rinata Valle di Pompei: don Giovanni Cirillo. Nel 1872 Bartolo Longo è a Pompei. Qui, in località Arpaia, all‟inizio di ottobre, in una straordinaria esperienza spirituale sente la sua chiamata all‟apostolato del Rosario. Comincia, nell‟umiltà più estrema, la storia della Nuova Pompei. Mons. Giuseppe Formisano, Vescovo di Nola, incoraggiò e difese Bartolo Longo agli inizi del suo cammino, soprattutto quando la Vergine del Rosario incominciò a far sperimentare ai devoti, con prodigi e miracoli, la sua materna e potente intercessione. Quanto capitava a Pompei non sfuggì, però, al Sommo Pontefice Leone XIII, il quale - per felice coincidenza - pubblicava già nel 1883 la sua prima Enciclica sul Rosario. Ed infatti mostrò la sua compiacenza per Bartolo Longo ricevendolo in udienza privata nel 1884. Nel 1890, nominò il Card. Raffaele Monaco La Valletta protettore del Santuario. L‟anno 1894 segnò una svolta strategica nei rapporti tra il Vaticano e Pompei: Bartolo Longo offrì al Papa la proprietà del Santuario, con tutto ciò

che conteneva. Leone XIII accettò il dono e con il Breve “Qua Providentia” staccò il Santuario della Diocesi di Nola, dichiarandolo Pontificio e ponendolo sotto l‟immediato governo della Santa Sede. I Fondatori, Bartolo Longo e la consorte, contessa Marianna Farnararo, furono nominati amministratori a vita: tale eccezionale investitura fu la risposta alle voci maligne sulla gestione di Bartolo Longo. Nel 1897 il Card. Camillo Mazzella fu nominato Protettore del Santuario, in sostituzione del predecessore defunto.

Il 1900 segnò la prima apoteosi di Pompei. Felice la coincidenza dell‟Anno Santo, celebrato in Roma, con il primo Giubileo celebrato a Pompei (1875-1900). Papa Leone diventò l‟araldo delle meraviglie operate a Pompei, esortando i pellegrini: “Andate a Pompei: andate a pregare per il Papa nel Santuario del Papa!”. La gelosia per lo sviluppo del Santuario e delle Opere spinse alcune persone - tra cui anche

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religiosi - a darne un‟interpretazione errata e maligna. Si cercò di travolgere i Fondatori e la loro Opera. Tali voci arrivarono ancora una volta all‟orecchio del Papa. Erano tempi difficili per la Chiesa, soprattutto per l‟eresia modernistica. Tutto questo “allarmò” Pio X, che ricevette i Fondatori il 23 novembre 1903. Bartolo Longo soffrì tanto e scrisse questa “giustificazione”: «Il mio unico scopo in 33 anni di lavoro, è stato quello di salvare l‟anima mia e quella del prossimo diffondendo il SS. Rosario ed educando figli di carcerati, orfanelle della Vergine di Pompei, fanciulli della nascente città Pompeiana».

Nel 1906 Bartolo Longo donò alla Santa Sede anche le Opere di carità. L‟8 maggio 1926, Mons. Carlo Cremonesi diventò Delegato Pontificio e primo Prelato della “Praelatura nullius”, cioè immediatamente soggetta alla Santa Sede. Alla morte di Bartolo Longo, nel 1926, l‟assetto giuridico del Santuario ed Opere annesse era completo e definitivo. La successione dei Delegati Pontifici per il Santuario, che sono anche Prelati di Pompei, diventò fatto di ordinaria amministrazione. Fino al 1935 l‟autorità del Vescovo di Pompei era limitata al santuario e alle opere annesse. L‟8 maggio 1935, con Decreto della Sacra Congregazione Concistoriale, furono mutati i confini della “Praelatura Nullius” della Beata Vergine del SS. Rosario di Pompei”. Oltre al santuario e alle opere essa comprendeva anche il territorio della parrocchia del SS. Salvatore, sottratto alla diocesi di Nola. Il comune di Pompei, nato nel 1928, inglobava nel suo territorio anche due parrocchie della diocesi di Castellammare di Stabia (che ne fanno parte tuttora). Un ulteriore cambiamento dell‟ordinamento giuridico avvenne nel 1978, con la nomina dell‟Ordinario Mons. Domenico Vacchiano. La Prelatura non era più “immediatamente soggetta alla Santa Sede” ma entrava a far parte - come le altre diocesi - della Conferenza Episcopale. Si sottolineava, in questo modo, la preminenza dell‟aspetto pastorale su quello amministrativo. Il Prelato di Pompei diventava anche Delegato Pontificio per il Santuario e per le Opere.

I VESCOVI-PRELATI E DELEGATI PONTIFICI

Dal Vescovo di Nola, mons. Giuseppe Formisano, ad oggi, ben quattordici Prelati si sono susseguiti, con diverse modalità, nella responsabilità giuridico-ecclesiastica del Santuario di Pompei. Di seguito l‟elenco dei Vescovi-Prelati e Delegati Pontifici. 1) Mons. Giuseppe Formisano, Vescovo di Nola. Nato a Torre Annunziata il 16 aprile 1811, fu nominato Vescovo il 16 maggio 1855. Consacrato il successivo 7 ottobre, morì il 6 gennaio 1890.

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2) Card. Raffaele Monaco La Valletta. Nominato protettore del Santuario di Pompei il 28 marzo 1890, ne prese possesso nel maggio successivo. Vicario di Papa Leone XIII per il Santuario di Pompei dal 13 marzo 1894, morì il 14 luglio 1896 ad Agerola (NA). 3) Card. Camillo Mazzella. Nominato Vicario di Papa Leone XIII per il Santuario di Pompei il 26 agosto 1896, ne prese possesso il successivo 15 settembre. Morì a Roma il 26 marzo 1900. 4) Card. Giuseppe Prisco. Nominato Vicario di Papa Leone XIII per il Santuario di Pompei il 6 aprile 1900, ne prese possesso il 29 aprile successivo. Sostituito da Mons. Augusto Silj il 20 febbraio 1906, morì a Napoli il 4 febbraio 1923. 5) Card. Augusto Silj, Prelato Domestico di Papa Pio X. Nominato Delegato Straordinario della Santa Sede, il 10 febbraio 1906, ne prese possesso il 20 febbraio successivo. Nominato Vescovo il 22 dicembre 1906, fu consacrato il 13 gennaio 1907, con il titolo di Arcivescovo tit. di Cesarea del Ponto. Nominato Cardinale nel Concistoro del 15-18 dicembre 1919. Morì il 27 febbraio 1926 a Roma. 6) Mons. Carlo Cremonesi, Arcivescovo tit. di Nicomedia. Nominato Delegato Pontificio di Pompei il 12 marzo 1926, prese possesso della “Praelatura Nullius” di Valle di Pompei il 22 maggio successivo. Si dimise dal mandato perché gravato da altri incarichi, il Papa accettò le sue dimissioni il 28 settembre 1928. Morì il 25 novembre 1943 nella Città del Vaticano. 7) Mons. Antonio Anastasio Rossi, Patriarca di Costantinopoli. Nato a Milano il 18 luglio 1864. Nominato Delegato Pontificio il 28 settembre 1928. Morì a Pompei il 29 marzo 1948. 8) Mons. Roberto Ronca, Arcivescovo tit. di Lepanto. Consacrato Vescovo l‟11 luglio 1948. Presa di possesso il 19 luglio successivo. Il 20 dicembre 1955 tornò a Roma, dove morì il 25 settembre 1977. 9) Mons. Giovanni Foschini. Amministratore Apostolico dal 22 dicembre 1955 al 19 giugno 1957. Morì a Imola (BO) il 29 aprile 1963. 10) Mons. Aurelio Signora, Arcivescovo tit. di Nicosia. Nominato Delegato Pontificio il 18 marzo 1957, fu consacrato il successivo 25 aprile. Presa di Possesso il 19 giugno 1957. Lasciò per limiti di età nel 1978. Morì a Budoia (PN) il 30 aprile 1990. 11) Mons. Domenico Vacchiano. Nato a Cicciano (NA) il 2 settembre 1914. Nominato Delegato Pontificio e Arcivescovo-Prelato il 5 aprile 1978, ne prese possesso il 29 aprile successivo. Lasciò per limiti di età nel 1990. Morì a Cicciano il 24 maggio 2001. 12) Mons. Francesco Saverio Toppi. Nato a Brusciano (NA) il 26 giugno 1925. Nominato Delegato Pontificio del Santuario di Pompei ed Arcivescovo-Prelato il 13 ottobre 1990. Ordinazione episcopale e presa di possesso il 7 dicembre successivo. Lasciò per limiti di età nel 2001.

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13) Mons. Domenico Sorrentino. Nato a Boscoreale (NA) il 16 maggio 1948. Nominato il 17 febbraio 2001, consacrato il 19 marzo e presa di possesso il 7 aprile successivi. Nominato Sottosegretario della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, dal 2 agosto 2003 al 24 gennaio 2004 è stato Amministratore Apostolico. Attualmente è Vescovo di Assisi (PG). 14) Mons. Carlo Liberati. Nato a Matelica (MC) il 6 novembre 1937. Nominato il 5 novembre 2003, consacrato il 10 gennaio 2004. Presa di possesso il 24 gennaio successivo.

CENNI SULLA STORIA DI POMPEI I primi insediamenti risalgono all‟Età del Ferro, ovvero al IX – VII secolo a. C.,

quando c‟era la cultura delle "tombe a fosso". Pompei fu fondata intorno all‟VIII secolo a.C. dagli Osci che si insediarono, distinti in 5 villaggi, alle pendici

meridionali del Vesuvio non molto distanti dal fiume Sarno allora navigabile. Dal numero cinque, in lingua osca, molto probabilmente deriva il toponimo della città. Pompei, in quell‟epoca, era un centro commerciale molto rilevante, sicché

entrò nelle mire espansionistiche dei Greci e degli Etruschi prima, dei Sanniti poi. Ai Sanniti spetta il merito di aver ingrandito la cinta muraria della cittadina,

conservandole un grande sviluppo urbanistico. In seguito, come accadde per tutta la Campania, fu conquistata dai Romani, riuscendo ad entrare, nell‟ultimo quarto del III secolo a.C. a pieno titolo nel circuito economico romano; ciò potè

verificarsi perché il Mediterraneo era sotto il totale controllo di Roma e le merci circolavano liberamente sicchè, anche Pompei, gran produttrice di vino e di olio, fu in grado di esportare liberamente fino in Provenza e in Spagna. In quest‟epoca

ci fu un forte impulso architettonico: furono ricostruiti il Foro rettangolare ed il Foro triangolare e nacquero importanti edifici come il Tempio di Giove, la Basilica

e la Casa del Fauno che ha le dimensioni di un palazzo ellenistico. Nella stessa epoca è eretto anche il Tempio di Iside che è una chiara testimonianza degli scambi commerciali di Pompei con l‟Oriente. Sotto il dominio di Roma Pompei

divenne prima municipium e poi colonia "Veneria Cornelia Pompeianorum" perché governata dal dittatore Publio Cornelio Silla che la conquistò nell‟89 a.C. e le

diede gli appellativi appena citati: Cornelia, dal nome di Cornelio Silla e Veneria perché Venere era particolarmente adorata dal dittatore. Durante questo periodo la cittadina visse una profonda umiliazione perché molte terre furono confiscate

per essere cedute ai veterani. Inoltre, la città si "romanizzò" al punto che sia il suo lato architettonico sia il lato istituzionale erano molto simili a Roma. Pompei

divenne la "residenza di villeggiatura" del patriziato romano ed, in età imperiale, molte famiglie favorevoli alla politica di Augusto, si trasferirono qui e fecero costruire edifici come il Tempio della Fortuna Augusta e l‟Edificio di Eumachia.

Sotto Nerone la Campania subì ingenti danni a causa di un sisma verificatosi nel 62 o 63 d.C. Il Senato romano ne ordinò subito la ricostruzione, ma tutto fu vano, perché il 24 Agosto del 79 d. C., quando erano ancora in corso le opere di

rifacimento della cittadina, una disastrosa eruzione del Vesuvio cancellò del tutto Pompei e con essa Ercolano, Stabia (attuale Castellammare di Stabia) ed Oplonti

(attuale Torre Annunziata). Non ci fu scampo quasi per nessuno e della fiorente Pompei rimase solo un manto lavico spesso fino a tre metri che cementificò gli

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abitanti e distrusse ogni sorta di vita. I calchi di gesso sono la testimonianza

sconcertante di come perirono gli abitanti della città. L‟eruzione del 79 d.C. è ricordata anche come “eruzione pliniana” perché il naturalista Plinio il Vecchio fu

la più illustre vittima dell‟eruzione.

Il VESUVIO Il monte Vesuvio è un vulcano attivo (esplosivo) situato in Campania nel territorio dell'omonimo Parco nazionale istituito nel 1996.14 Fa parte del sistema montuoso Somma - Vesuvio ed è alto 1281 metri. È situato leggermente all'interno della

costa del golfo di Napoli, ad una decina di chilometri ad est del capoluogo campano. Dal 1944 non si sono più avute sue eruzioni. Pur tuttavia, essendo il

vulcano considerato in stato di quiescenza, alcuni interventi legislativi hanno individuato una zona rossa (comprendente 18 Comuni) per un piano di emergenza di evacuazione che viene costantemente aggiornato. Nell'antichità si

riteneva che il Vesuvio fosse consacrato all'eroe semidio Ercole, e la città di Ercolano, alla sua base, prendeva da questi il nome, così come anche il vulcano, seppur indirettamente. Ercole infatti era il figlio che il dio Giove aveva avuto da

Alcmena, una donna di Tebe. Uno degli epiteti di Giove era "Üès", cioè colui che fa piovere. Così Ercole divenne "Üesouüios, cioè il figlio di Üès, da cui deriva il latino

Vesuvius (pron Uesuuius). Una tradizione popolare della fine del Seicento, vorrebbe invece che la parola derivi dalla locuzione latina "Veh suis" ("Guai ai suoi"), giacché la maggior parte delle eruzioni sino ad allora accadute, avevano

sempre preceduto o posticipato avvenimenti storici importanti, e quasi sempre carichi di disgrazie per Napoli o la Campania. Si ritiene che già 400.000 anni fa la zona del Vesuvio sia stata soggetta ad attività vulcanica, tuttavia sembra che la

montagna abbia iniziato a formarsi 25.000 anni fa, probabilmente come vulcano sottomarino nel Golfo di Napoli; emersa successivamente come isola, si unì alla

terraferma per l'accumulo dei materiali eiattati. Tra i 19.000 anni fa e il 79 ebbero luogo una serie di violente eruzioni intercalate da periodi di quiete del vulcano. Tutte queste eruzioni, per la loro immane violenza, ma anche perché simili a

quella che distrusse Pompei, sono chiamate “eruzioni Pliniana” (dal nome dei due Plinio, studiosi Romani che furono testimoni dell'eruzione del 79). Per fare un

esempio, ciascuna delle eruzioni più violente avvenute dopo il 79, dette “Subpliniane”, sono potenti almeno la metà di una regolare eruzione pliniana. Invece tra quelle precedenti, in particolare vogliamo ricordare l'eruzione

denominata Avellino in quanto ha lasciato tracce fino all'omonima città campana e che ha seppellito l'area dove oggi sorge Napoli. L'Avellino tra quelli accertati si può considerare il cataclisma vulcanico più importante che abbia avuto luogo in

Europa negli ultimi millenni. Una data dell'eruzione del Vesuvio del 79 ci è stata trasmessa da Plinio il giovane attraverso una lettera contenuta nel suo epistolario

spedita a Tacito in cui si legge "nonum kal. septembres cioè nove giorni prima delle Calende di settembre", data che corrisponde al 24 agosto (cosidetta "datazione estiva"). Un ultimo rinvenimento numismatico però ha permesso di

accertare l'effettiva infondatezza della datazione estiva. Un denario d'argento trovato il 7 giugno 1974 nello scavo a Pompei, vicino la Casa del bracciale d'oro

(Insula Occidentalis) porta sul retto impressa l'iscrizione che permette di affermare che l'eruzione avvenne, ovviamente, dopo l'emissione di questa moneta.

14

Ente Parco Nazionale del Vesuvio Riserva Mondiale di Biosfera del MAB UNESCO Piazza Municipio, 8 - San Sebastiano al Vesuvio (Napoli) tel 081.7710911 - fax 081.7718215

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GIOVANNI PAOLO II E LA MADONNA DI POMPEI

I due pellegrinaggi del Pontefice (1979 – 2003) Papa Giovanni Paolo II visitò il Santuario della Beata Maria Vergine del S. Rosario di Pompei in due occasioni: il 21 ottobre 1979 e il 7 ottobre 2003. Furono due pellegrinaggi brevi ma intensi, che tuttora tutti ricordano a Pompei.

1979

Il primo pellegrinaggio fu la domenica 21 ottobre 1979 e si svolse, la prima parte presso il Santuario di Pompei e la seconda a Napoli, con due incontri: prima a Piazza Trieste e Trento e poi Piazza Plebiscito.

ARRIVO NELLA PIAZZA ANTISTANTE IL SANTUARIO DELLA MADONNA

La gratitudine e la commozione del Papa

"Nel mettere piede sul suolo benedetto di questa Prelatura di Pompei, nella quale sorge il celebrato Santuario della Beatissima Vergine

Maria del Santissimo Rosario, desidero manifestare la mia profonda riconoscenza" agli

"abitanti di Pompei e di quanti sono qui venuti pellegrini da tutta la regione campana e da quelle vicine, richiamati dalla presenza del Papa

e dalla dolce attrattiva che la Vergine Santissima non cessa di esercitare sui suoi figli devoti. Sono lieto di trovarmi in mezzo a voi e vi ringrazio

vivamente per l‟invito che mi avete rivolto, (...) a visitare questa antica terra! Essa ha conosciuto

prove e calamità naturali, ma è stata pure illuminata da tanti secoli di fede cristiana, la quale ha dato alla storia più recente nobili e forti figure di testimoni del Vangelo, tra cui quella fulgidissima del venerabile Bartolo Longo, ispirato

fondatore del Santuario. Vi ringrazio soprattutto perché avete voluto unirvi a me in questa importante circostanza che mi consentirà fra poco di inginocchiarmi

davanti al quadro venerato della Vergine del Rosario per esprimerle il mio filiale grazie e rinnovarle la mia fiducia incondizionata".

Lo sguardo della Madonna sulle nostre famiglie, su l’Italia, su l’Europa, sul mondo

Qui dove la voce e l‟opera di Maria risuonano per proclamare la lode di Dio e annunziare la salvezza degli uomini, vada un pensiero riconoscente a quanti,

sacerdoti, religiosi, religiose e laici, si prodigano perché tali nobili intenti

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raggiungano in pienezza la loro realizzazione. Un memore saluto vada anche a

tutti coloro che si dedicano alle opere benefiche fiorite all‟ombra del Santuario per l‟assistenza e la promozione delle classi meno fortunate, cioè dei poveri, degli

oppressi e degli emarginati. Penso agli asili, alle scuole, ai ricreatori, alle officine e soprattutto all‟orfanotrofio femminile e ai convitti per i figli e le figlie dei carcerati, che sono particolarmente bisognosi di umana e cristiana comprensione. Possa

trovare la vostra attività nel pio e costante riferimento a Maria il più valido sostegno e il più eletto conforto! Da parte mia, non cesso di pregare la Vergine del Rosario, perché vegli dal suo Santuario su tutti voi abitanti di questa valle di

Pompei e guardi sempre “sulle nostre famiglie, su l‟Italia, su l‟Europa, sul mondo”, come supplicava il venerabile Longo. Con tali sentimenti vi benedico,

mentre ci apprestiamo a varcare la soglia del Santuario.

VISITA AL SANTUARIO DELLA MADONNA DEL ROSARIO DI POMPEI

Un mio segreto voto di pietà, di gratitudine e di amore

Sono venuto in questo Santuario, nello spirito di un fervido ed umile pellegrinaggio, per venerare la Vergine Santissima e per sciogliere quasi un mio segreto voto di pietà, di gratitudine e di amore. Ho salutato anzitutto lei, la

Madonna che, dalla venerata e prodigiosa effigie, ci unisce tutti con quella “catena dolce”, che è il santo Rosario; essa ce l‟offre, ce lo propone, ce lo

raccomanda come mezzo semplice, umile, ma ricco ed efficace, di preghiera cristiana. (...) Questo tempio, dedicato alla Madonna di Pompei, è un luogo in cui si prega, in cui cioè l‟uomo viene per compiere il gesto di adorazione e di supplica

verso Dio, Creatore e Redentore; è un luogo in cui si ascolta religiosamente la Parola di Dio, perché diventi luce per il nostro cammino; è un luogo in cui l‟uomo ritrova il perdono del Padre celeste. So quanto il vostro continuo impegno

apostolico sia talvolta duro e stancante, quasi sempre nascosto e silenzioso, noto soltanto a Dio, il quale saprà ricompensarvi con ogni sovrabbondanza.

Continuate con generosità il vostro ministero, consapevoli di essere, nelle mani di Dio, strumenti di salvezza, donatori di pace e di serenità per tante anime.

Il messaggio del Venerabile Beato Bartolo Longo

Il mio saluto va anche a voi, carissime Sorelle Religiose, che perpetuate la straordinaria e spirituale eredità del vostro Fondatore, il Venerabile Bartolo

Longo, il suo messaggio e i suoi esempi di fede e di carità. Egli, come è noto, spinto dalla sua ardente devozione alla Madre di Dio e confidando nella divina Provvidenza, nel maggio del 1876 iniziò la costruzione di questo tempio, oggi

celebre in tutto il mondo; ma attorno al Santuario egli volle anche creare tutta una serie di mirabili opere educative e caritative, in particolare a favore dei bambini e delle bambine, tanto da far definire tale complesso “la cittadella vivente

della carità”. Alla base di tutte queste realizzazioni, c‟era nel Venerabile la profonda convinzione che chi ama Dio ama anche il prossimo (cf. 1Gv 4,21).

Pertanto, nella vostra consacrazione religiosa, vivete l‟amore verso Dio, al quale avete donato tutta la vostra vita, tutto il vostro cuore, tutta la vostra volontà; ma vivete anche, non meno intensamente e concretamente, l‟amore ai fratelli

bisognosi, specialmente ai piccoli, con generosa disponibilità e con immensa gioia, coscienti che “chi ama il prossimo ha adempiuto la legge” (Rm 13,8).

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SANTA MESSA NELLA PIAZZA DEL SANTUARIO DI POMPEI

La missione vuol dire essere mandati

“Missus est Angelus...”. “L‟Angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea chiamata Nazaret” (Lc 1,26). Con una particolare emozione pronunciamo

queste parole oggi, sulla piazza del Santuario di Pompei, in cui è circondata con una singolare venerazione la Vergine, che si chiamava Maria (cf. Lc 1,27). Quella Vergine alla quale fu mandato Gabriele. Con una particolare emozione ascoltiamo

quelle parole oggi, in questa domenica d‟ottobre, che ha il carattere della domenica missionaria. Eppure le parole del Vangelo di San Luca parlano

dell‟inizio della Missione. La missione vuol dire essere mandati, ed essere incaricati di svolgere una determinata azione. Fu mandato da Dio Gabriele a Maria di Nazaret per annunziare a lei e, in lei, a tutto il genere umano la missione

del Verbo. Ecco, Dio vuole mandare l‟eterno Figlio affinché, diventando uomo, possa donare all‟uomo la vita divina, la figliolanza divina, la grazia e la verità. La

Missione del Figlio inizia proprio in quel momento a Nazaret, quando Maria ascolta le parole pronunciate dalla bocca di Gabriele: “Hai trovato grazia presso Dio. Ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù” (Lc 1,30-

31). La missione di questo Figlio, Verbo eterno, inizia allora, quando Maria di Nazaret, Vergine “promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe” (Lc 1,27), ascoltando queste parole di Gabriele, risponde: “Eccomi,

sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1,38).

Diventa Madre del Figlio di Dio, pur rimanendo Vergine

In quel momento inizia la missione del Figlio sulla terra. Il Verbo della stessa

sostanza del Padre diventa carne nel grembo della Vergine. La Vergine stessa non può comprendere come si realizzi tutto questo. Pertanto, prima di rispondere: “Avvenga di me”, chiede: “Come è possibile? Non conosco uomo” (Lc 1,34). E

riceve la risposta determinante: “Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell‟Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque

santo e chiamato Figlio di Dio... nulla è impossibile a Dio” (Lc 1,35-37). In quel momento Maria già capisce. E non domanda più. Dice soltanto: “Avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1,38). E il Verbo diventa carne (cf. Gv 1,14). Inizia la

missione del Figlio nello Spirito Santo. Inizia la missione del Figlio e la missione dello Spirito Santo. Su questa prima tappa la missione viene indirizzata a lei sola: alla Vergine di Nazaret. Prima su di essa scende lo Spirito Santo. Essa, nella sua

umana e verginale sostanza, viene adombrata con la potenza dell‟Altissimo. Grazie a questa potenza, e a causa dello Spirito Santo, essa diventa Madre del

Figlio di Dio, pur rimanendo Vergine. La missione del Figlio inizia in lei, sotto il suo cuore. La missione dello Spirito Santo, che “procede dal Padre e dal Figlio”, giunge pure prima a lei, all‟anima che è la sua Sposa, la più pura e la più

sensibile.

Il Rosario, la nostra preghiera prediletta

Maria trasferisce la stessa profondità della preghiera anche su questo luogo privilegiato in terra italiana, non lontano da Napoli, al quale oggi veniamo in

pellegrinaggio. È il santuario del rosario, cioè il santuario della preghiera mariana; di questa preghiera che Maria dice insieme a noi come pregava insieme

agli Apostoli nel Cenacolo. Questa preghiera si chiama il rosario. Ed è la nostra

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preghiera prediletta, che rivolgiamo a lei: a Maria. Certamente. Non

dimentichiamo però che contemporaneamente il rosario è la nostra preghiera con Maria. È la preghiera di Maria con noi, con i successori degli Apostoli, che hanno

costituito l‟inizio del nuovo Israele, del nuovo Popolo di Dio. Veniamo dunque qui per pregare con Maria; per meditare, insieme con lei, i misteri, che essa come Madre meditava nel suo cuore (cf. Lc 2,19), e continua a meditare, continua a

considerare. Poiché questi sono i misteri della vita eterna. Hanno tutti la loro dimensione escatologica. Sono immersi in Dio stesso. In quel Dio che “abita una luce inaccessibile” (1Tm 6,16) sono immersi tutti questi Misteri, così semplici e

così accessibili. E così strettamente legati alla storia della nostra salvezza.

ANGELUS

C’è un legame molto stretto tra l’Angelus e il Rosario

Provo oggi una grande gioia perché posso recitare la preghiera dell‟Angelus insieme con voi qui, nel Santuario dedicato alla Madonna del Rosario di Pompei. C‟è legame molto stretto tra l‟Angelus e il Rosario, l‟uno e l‟altro preghiere

eminentemente cristologiche e, nello stesso tempo, mariane: ci fanno infatti contemplare e approfondire i misteri della storia della salvezza, nei quali Maria è

intimamente unita al figlio suo Gesù. E questo Santuario risuona perennemente del Rosario, la preghiera mariana semplice, umile ma per questo non meno ricca di contenuti biblici e teologici, e così cara, nella sua lunga storia, ai fedeli di tutti i

ceti e di tutte le condizioni, accomunati nella professione di fede a Cristo, morto e risorto per la nostra salvezza. Questo luogo sacro alla preghiera è nato dalla

mente e dal cuore di un grande Laico, il venerabile Bartolo Longo, vissuto tra il secolo scorso e il nostro secolo, quindi un nostro contemporaneo: egli ha voluto innalzare un tempio, dove fossero proclamate le glorie alla Madre di Dio e dove

l‟uomo potesse trovare rifugio, conforto, speranza e certezza. Fra qualche istante noi reciteremo insieme l‟Angelus, che ci ricorda il gioioso annuncio del mistero dell‟Incarnazione del Figlio di Dio; e lo reciteremo con un‟intensità e con una

devozione particolari, perché vorremo proclamare insieme la nostra fede cristiana e, altresì, ringraziare Dio per le meraviglie, che ha operato e continua ad operare

per l‟intercessione di Maria Santissima, alla quale diremo tutta la nostra filiale venerazione. (...)

La Vergine vi sorrida e vi protegga sempre!

Carissimi giovani! La vostra presenza, così numerosa, e il vostro incontenibile

entusiasmo sono la conferma che il messaggio di Cristo non è un messaggio di morte, ma di vita; non di vecchiume, ma di novità; non di tristezza, ma di gioia! Ditelo tutto questo ai vostri coetanei, a tutti gli uomini, con i vostri canti, con i

vostri ideali, ma specialmente con la vostra vita! “Il deserto diventerà un giardino” aveva detto il profeta Isaia parlando dei tempi messianici (Is 32,15). Se noi diamo

uno sguardo a questa zona, troviamo le rovine impressionanti dell‟antica città dei tempi romani, ridotta ad una città “morta” e di “morte” dalla terribile eruzione dell‟anno 79 dopo Cristo. Ma dove sembrava dominare la morte, dopo circa 1800

anni è cominciato a fiorire, come un giardino spirituale, questo Santuario, centro di vita eucaristica e mariana, segno profetico di quella pienezza, che Gesù è venuto a portarci e a comunicarci. Giovani carissimi! Guardate Maria! Amate

Maria! Imitate Maria! Imitate la sua totale apertura verso Dio, del quale ella si

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professa “serva” disponibile ed obbediente, la sua silenziosa, generosa ed operosa

apertura verso i fratelli e le sorelle, bisognosi di aiuto, di assistenza, di conforto; la sua continua, perseverante “sequela” del Figlio Gesù, dalla mangiatoia di

Betlemme fino alla croce del Calvario. La Vergine vi sorrida e vi protegga sempre!

INCONTRO CON I MALATI RADUNATI

NEL PIAZZALE GIOVANNI XXIII DI POMPEI

La Redenzione si opera concretamente attraverso la Croce!

Carissimi fratelli e sorelle! Voi sapete già che il Papa, a imitazione di quel Gesù di cui è Vicario sulla terra, predilige gli infermi e i sofferenti: considera questa sua

particolare attenzione come uno dei doveri più alti del suo ministero pastorale. Ho perciò desiderato questo incontro per stringervi in un solo vincolo di paterna

effusione, parlarvi cuore a cuore, lasciarvi un messaggio di fede, dirvi una parola di incoraggiamento e di speranza. L‟uomo creato da Dio e da lui elevato alla sublime dignità di figlio, porta in sé un anelito insopprimibile per la felicità ed

avverte naturale avversione ad ogni sorta di sofferenza. Gesù invece, nella sua opera evangelizzatrice, pur chinandosi sui malati e sui sofferenti per guarirli e per consolarli, non ha soppresso la sofferenza stessa, ma ha voluto sottoporsi a tutto

il dolore umano possibile, quello morale e quello fisico, nella sua passione sino all‟agonia mortale nel Getsemani (Mc 14,23), fino all‟abbandono del Padre sul

Calvario (Mt 27,46), alla lunga agonia, alla morte di Croce. Per questo ha dichiarato beati gli afflitti (Mt 5,4) e quelli che hanno fame e sete di giustizia. La Redenzione si opera concretamente attraverso la Croce! Questo atteggiamento di

Gesù rivela un profondo mistero di giustizia e di misericordia, che tutti ci coinvolge, e per il quale ogni uomo è chiamato a partecipare alla Redenzione.

La Redenzione è un mistero di amore e di vita divina

Ecco qui, carissimi malati, il primo motivo che rende più generosa ed operante la

vostra fede: voi potete dire, secondo gli esempi del Salvatore: noi siamo il segno della futura gioia che unirà Dio e i suoi figli, il giorno in cui “asciugherà le lacrime

di tutti i volti” (Is 25,8); la nostra sofferenza ci prepara ad accogliere il regno di Dio e ci consente di “rivelare le opere di Dio” (Gv 9,3); “la gloria di Dio e quella del Figlio di Dio” (Gv 11,4) il nostro dolore non solo non è inutile, ma si dimostra, a

somiglianza di quello del divino Maestro, preziosa energia di fecondità spirituale. I nostri sacrifici non sono vani, non è sciupata la nostra esistenza, dal momento che come cristiani non “siamo più noi che viviamo, ma è Cristo che vive in noi”

(cf. Gal 2,20); le sofferenze di Cristo sono le nostre sofferenze (cf. 2Cor 1,5); il nostro dolore ci configura a Cristo (cf. Fil 3,10), e come Gesù “pur essendo Figlio,

imparò per le cose patite, l‟ubbidienza” (Eb 5,8), anche noi dobbiamo accettare con costante impegno la prova, anche se dura, sollevando i nostri occhi verso Colui che è il Capo della nostra fede e che volle, tuttavia, sopportare la Croce (cf.

Eb 12,1ss.). E poiché il mistero della Redenzione di Cristo è nella sua essenza un mistero di amore e di vita divina, in quanto manifestazione della carità del Padre

“che tanto ha amato il mondo da dargli il suo figlio unico” (Gv 3,16); ed è al tempo stesso l‟espressione dell‟amore del Figlio per il Padre e per gli uomini (Gv 10,11; 1Gv 3,16), è a voi offerta la straordinaria occasione di toccare il vertice delle

umane possibilità: quella di saper accettare e di voler sopportare l‟infermità e le difficoltà che l‟accompagnano in un dono di sublime amore, e di un abbandono totale alla volontà del Padre.

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2003

Chiusura dell’Anno del Santo Rosario

Il secondo pellegrinaggio al Santuario

di Pompei, Papa Giovanni Paolo II lo compì il 7 ottobre 2003 in un arco di tempo breve

in considerazione delle sue condizioni di salute. Dopo l'arrivo all'Eliporto allestito nella Palestra Grande degli Scavi

archeologici di Pompei, il Papa salutò le autorità e poi si trasferì in auto panoramica alla Piazza B. Longo di Pompei. Nel Sagrato

della Basilica della Beata Maria Vergine del S. Rosario, Giovanni Paolo II presiedette la

Recita del Santo Rosario per la pace nel mondo e la recita della "Supplica" alla Beata Vergine Maria. Alla fine, rivolgendosi ad

migliaia di fedeli il Papa cominciò il suo discorso dicendo "La Vergine Santa mi ha

concesso di tornare ad onorarLa in questo celebre Santuario, che la Provvidenza ispirò al Beato Bartolo Longo perché fosse un centro di irradiazione del Santo Rosario.

L‟odierna visita corona, in certo senso, l‟Anno del Rosario. Ringrazio il Signore per i frutti di questo Anno, che ha prodotto un significativo risveglio di questa preghiera, semplice e profonda insieme, che va al cuore della fede cristiana ed

appare attualissima di fronte alle sfide del terzo Millennio ed all‟urgente impegno della nuova evangelizzazione".

Quelle rovine parlano

A Pompei questa attualità è particolarmente evidenziata dal contesto dell‟antica Città romana sepolta sotto le ceneri del Vesuvio nel 79 dopo Cristo. Quelle rovine

parlano. Esse pongono la decisiva domanda su quale sia il destino dell‟uomo. Sono testimonianza di una grande cultura, di cui tuttavia rivelano, insieme con le

luminose risposte, anche gli interrogativi inquietanti. La Città mariana nasce nel cuore di questi interrogativi, proponendo Cristo risorto quale risposta, quale “vangelo” che salva. Oggi, come ai tempi dell‟antica Pompei, è necessario

annunciare Cristo ad una società che si va allontanando dai valori cristiani e ne smarrisce persino la memoria. Ringrazio le Autorità italiane per aver contribuito all‟organizzazione di questo mio pellegrinaggio iniziato dall‟antica Città. Ho

percorso così il ponte ideale di un dialogo certamente fecondo per la crescita culturale e spirituale. Sullo sfondo dell‟antica Pompei, la proposta del Rosario

acquista il valore simbolico di un rinnovato slancio dell‟annuncio cristiano nel nostro tempo. Che cosa è infatti il Rosario? Un compendio del Vangelo. Esso ci fa continuamente ritornare sulle principali scene della vita di Cristo, quasi per farci

“respirare” il suo mistero. Il Rosario è via privilegiata di contemplazione. E‟, per così dire, la via di Maria. Chi più di Lei conosce Cristo e lo ama?

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Il carattere contemplativo e cristologico del Rosario

Ne era persuaso il Beato Bartolo Longo, apostolo del Rosario, che proprio al carattere contemplativo e cristologico del Rosario prestò speciale attenzione.

Grazie al Beato, Pompei è diventata un centro internazionale di spiritualità del Rosario.. Ho voluto che questo mio pellegrinaggio avesse il senso di una supplica per la pace. Abbiamo meditato i misteri della luce, quasi per proiettare la luce di

Cristo sui conflitti, le tensioni e i drammi dei cinque Continenti. Nella Lettera apostolica Rosarium Virginis Mariae ho spiegato perché il Rosario è una preghiera

orientata per sua natura alla pace. Lo è non solo in quanto ce la fa invocare, forti dell‟intercessione di Maria, ma anche perché ci fa assimilare, con il mistero di Gesù, anche il suo progetto di pace. Al tempo stesso, con il ritmo tranquillo della

ripetizione dell‟Ave Maria, il Rosario pacifica il nostro animo e lo apre alla grazia che salva. Il Beato Bartolo Longo ebbe un‟intuizione profetica, quando, al tempio dedicato alla Vergine del Rosario, volle aggiungere questa facciata come

monumento alla pace. La causa della pace entrava così nella proposta stessa del Rosario. E‟ un‟intuizione di cui possiamo cogliere l‟attualità, all‟inizio di questo

Millennio, già sferzato da venti di guerra e rigato di sangue in tante regioni del mondo.

La Vergine del Santo Rosario ci benedica

L‟invito al Rosario che si leva da Pompei, crocevia di persone di ogni cultura attratte sia dal Santuario che dal sito archeologico, evoca anche l‟impegno dei

cristiani, in collaborazione con tutti gli uomini di buona volontà, ad essere costruttori e testimoni di pace. Accolga sempre più questo messaggio la società civile, qui rappresentata da autorità e personalità che saluto cordialmente. Sia

sempre più all‟altezza di questa sfida la comunità ecclesiale pompeiana, che saluto nelle sue diverse componenti: i sacerdoti e i diaconi, le persone consacrate,

in particolare le Domenicane Figlie del Santo Rosario fondate appunto per la missione di questo Santuario, i laici. Un grazie sentito a Mons. Domenico Sorrentino per le calde parole che mi ha rivolto all‟inizio di questo incontro. Un

grazie affettuoso a tutti voi, devoti della Regina del Rosario di Pompei. Siate “operatori di pace”, sulle orme del Beato Bartolo Longo, che seppe unire la preghiera all‟azione, facendo di questa Città mariana una cittadella della carità. Il

nascente Centro per il bambino e la famiglia, che gentilmente mi si è voluto intitolare, raccoglie l‟eredità di questa grande opera. Carissimi Fratelli e Sorelle!

La Vergine del Santo Rosario ci benedica, mentre ci apprestiamo ad invocarla con la Supplica. Nel suo cuore di Madre deponiamo i nostri affanni e i nostri propositi di bene15.

15

Dopo la recita della Supplica, prima di impartire la Benedizione Apostolica conclusiva,

il Santo Padre ha pronunciato le seguenti parole: “Grazie, grazie Pompei. Grazie a tutti i pellegrini per questa calorosa e bellissima accoglienza. Grazie ai Cardinali e ai Vescovi presenti. Grazie alle Autorità del Paese, della Regione, della Città. Grazie per l‟entusiasmo dei giovani. Grazie a tutti. Pregate per me in questo Santuario, oggi e sempre”.

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APPUNTI STORICO-RELIGIOSI

BREVE STORIA DEL «SANTO ROSARIO»

« Il Rosario della Vergine Maria, sviluppatosi gradualmente nel

secondo Millennio al soffio dello Spirito di Dio, è preghiera amata da numerosi Santi e incoraggiata dal Magistero. Nella sua

semplicità e profondità, rimane, anche in questo terzo Millennio appena iniziato, una preghiera di grande significato, destinata a portare frutti di santità. Essa ben s'inquadra nel cammino

spirituale di un cristianesimo che, dopo duemila anni, non ha perso nulla della freschezza delle origini, e si sente spinto dallo Spirito di Dio a «prendere il largo» («duc in altum!») per ridire, anzi

'gridare' Cristo al mondo come Signore e Salvatore, come « la via, la verità e la vita » (Gv 14, 6), come « traguardo della storia umana,

il fulcro nel quale convergono gli ideali della storia e della civiltà».16 Il Rosario, infatti, pur caratterizzato dalla sua fisionomia mariana, è preghiera dal cuore cristologico. Nella sobrietà dei suoi

elementi, concentra in sé la profondità dell'intero messaggio evangelico, di cui è quasi un compendio.17 In esso riecheggia la

preghiera di Maria, il suo perenne Magnificat per l'opera dell'Incarnazione redentrice iniziata nel suo grembo verginale. Con esso il popolo cristiano si mette alla scuola di Maria, per lasciarsi

introdurre alla contemplazione della bellezza del volto di Cristo e all'esperienza della profondità del suo amore. Mediante il

Rosario il credente attinge abbondanza di grazia, quasi ricevendola dalle mani stesse della Madre del Redentore ».

Giovanni Paolo II,

Lettera apostolica "Rosarium Virginis Mariae", 16 ottobre 2002

Com‟è nato e come si è sviluppato il Rosario che Pio XII descrisse come "sintesi di tutto il vangelo, meditazione dei misteri del Signore, corona di rose e inno di lode"? La storia è complessa. Alcuni passaggi non sono storicamente

chiari. Molti sono i Papi che hanno scritto documenti sul

Rosario, a cominciare da Urbano IV (1261-64) fino a

Giovanni Paolo II; ancora di più sono i Papi che, pur non avendo scritto documenti specifici sul Rosario, hanno esaltato e raccomandato questa preghiera. Nei documenti

pontifici il Rosario viene fatto risalire a S. Domenico o comunque si ricorda che i domenicani, per tradizione,

16 Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 45. 17 Cfr Paolo VI, Esort. ap. Marialis cultus (2 febbraio 1974), 42: AAS 66 (1974), 153.

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custodiscono e diffondono questa devozione. Secondo la tradizione sulle origini

del Rosario questa preghiera fu ispirata dalla Madonna a S. Domenico - che ne fu il primo diffusore - e restaurato dal Beato Alano de la Roche per comando della

Vergine (apparsagli più volte dal 1460 in poi). Al Beato Alano sembra risalire il racconto secondo cui l'atto di nascita del Rosario sarebbe una precisa apparizione nella quale la Madonna consegnò nelle mani di S. Domenico la corona del Rosario

(scena che è stata raffigurata da innumerevoli artisti). Il Rosario si è affermato nei secoli XVI e XVII, diventando una pia abitudine

dei fedeli cattolici. Nel secolo XVIII il Rosario ha conosciuto nuovo slancio ad

opera di uno dei santi più mariani, S. Luigi Grignon de Montfort (1673-1716), terziario domenicano. Negli ultimi secoli il Rosario è stato protagonista dei due

più importanti cicli di apparizioni mariane: Lourdes (11 febbraio-16 luglio 1858), dove le apparizioni cominciavano con la recita del Rosario compiuto da S. Bernadette davanti alla “Signora”, che, per sottolineare ancor più l'importanza di

tale preghiera, si mostrava con una corona del Rosario sul braccio; Fatima (13 maggio-13 ottobre 1917), dove la Vergine, in tutte le apparizioni, ha

raccomandato la recita del Rosario. Alla fine del XIX secolo, per iniziativa del Beato Bartolo Longo (Pompei), ha preso inizio, a favore del Rosario, un intenso apostolato, che si è concretizzato nell'edificazione del Santuario di Pompei e in

molteplici attività caritative. I primi documenti pontifici sul rosario riguardano proprio i privilegi e le

indulgenze concesse da papa Sisto IV a queste confraternite, integrate un po' alla

volta dall'ordine dei frati predicatori. Nel 1521 il domenicano Alberto da Castello riduce il numero dei misteri scegliendone 15 principali e solo nel 1569, con la

bolla "Consueverunt romani Pontifices", Papa Pio V consacra definitivamente la pratica del Rosario in questa forma così semplificata, sostanzialmente non dissimile da quella in uso oggi.

Nel 1572 lo stesso Pontefice, canonizzato nel 1712, istituisce con la bolla "Salvatoris Domini" la celebrazione liturgica di «Nostra Signora della Vittoria»,

nella convinzione del possente intervento di Maria del Rosario a favore delle forze navali cristiane contro la flotta turca, distrutta nella battaglia di Lepanto del 7 ottobre 1571. Nell'anno successivo, portando a compimento l'opera del

predecessore, Papa Gregorio XIII con la bolla "Monet Apostolus" istituisce la festa solenne del Rosario, inserendola nel calendario liturgico alla prima domenica

d‟ottobre.

Salterio della Beatissima Vergine Maria

I monaci nei Monasteri, nelle varie ore del giorno, recitavano il Salterio (i

150 salmi della Bibbia) e la Liturgia delle Ore (più comunemente conosciuta come il "Breviario") per obbedire all‟invito del Signore Gesù che li richiamava alla preghiera costante: "Disse loro una parabola sulla necessità di pregare sempre,

senza stancarsi (Lc 18,1) e di s. Paolo: "State sempre lieti, pregate incessantemente, in ogni cosa rendete grazie" (1 Ts 5, 16-18). Nell‟VIII secolo, per

aiutare monaci illetterati e quelli che non conoscevano il latino, si cominciò a dire: "Chi non è capace di salmodiare reciti dei Pater". I salmi, così, vennero sostituiti da 150 Padre Nostro.

Ad un certo punto, all‟inizio del XII secolo, si diffonde in Occidente la recita della prima parte dell‟Ave Maria la cui origine è di alcuni secoli prima. È l‟istinto

della fede che ha condotto i cristiani a comporre l‟Ave Maria: quando è cominciata la salvezza? Nel momento in cui il Verbo di Dio si fece carne. Dal Vangelo di Luca

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ricavarono allora le parole che l‟Angelo Gabriele e santa Elisabetta dissero alla

Vergine (cf. Lc 1,28-42). Certamente, come accennato, il saluto angelico era conosciuto anche prima del XII sec. Ricordiamo che il culto mariano è molto

antico, infatti, la famosa preghiera mariana Sub tuum praesidium risale al III° secolo e l‟archeologia ha portato alla luce notevoli testimonianze del culto mariano fin dai primi secoli, ma la novità è la ripetizione della preghiera come

una devota litania. Più tardi, alla fine del XV secolo, si diffonderà l‟uso della seconda parte dell‟Ave Maria (Santa Maria Madre di Dio...: fu il Concilio di Efeso

del 431 a definire la maternità divina di Maria) con l‟aggiunta del Nome Gesù al centro delle due parti. Ci si chiese: perché non mettere il Nome di Colui che è dichiarato Benedetto? S. Paolo, infatti, nella lettera ai Filippesi, afferma che il

Nome di Gesù è al di sopra di ogni altro nome e dinanzi al Quale occorre prostrarsi (cf Fil 2,10). Le Ave Maria sostituirono i Pater ed ecco quindi la trasformazione del Salterio biblico in un "salterio semplice", o "salterio mariano",

recitabile da chiunque. Nel XIV secolo il certosino Enrico di Kalkar operò un‟ulteriore suddivisione del "salterio mariano" dividendolo in 15 decine e

inserendo, tra una decina e l‟altra, il Padre Nostro. Inoltre in quell‟epoca si diffuse la tradizione che il Rosario fu istituito da S. Domenico, fondatore dell‟Ordine mendicante dei Domenicani, tradizione - come già detto - portata avanti da Alano

de la Roche, domenicano anch‟egli. Tale tradizione ha buoni motivi di veridicità in quanto il Rosario si diffuse dal Medioevo in poi grazie all‟Ordine Domenicano che

lo usava per la predicazione e per le missioni popolari. Nel XV secolo, nell‟ambiente certosino, nasce la proposta di recitare una forma di salterio mariano ridotta, con 50 Ave Maria, ma a ciascuna di esse era aggiunta una

clausola o specificazione inerente la vita di Gesù. Si cominciò così a meditare sui misteri evangelici coniugando preghiera vocale e orazione mentale.

Il popolo del Rosario

Grazie all‟ambiente certosino e ai domenicani la pratica si allargò anche a causa delle confraternite laiche mariane ormai numerose. Tra il popolo, il Rosario ebbe grande favore e la formula si semplificò ulteriormente nel XVI secolo quando

il domenicano Alberto da Castello (gli storici però discutono su questa paternità) scelse 15 misteri tra i tanti ormai esistenti della vita di Gesù e Maria

proponendoli alla meditazione e portando il Rosario alla forma moderna che conosciamo oggi. Un manoscritto del 1501 riportava, come una sintesi storica, queste parole: "Il Rosario ha avuto la sua origine principale dall‟ordine di S.

Benedetto (in particolare la riforma dei Cistercensi), si è rafforzato con i Certosini, ultimamente ha preso sviluppo dall‟ordine dei Predicatori (Domenicani)". Lo "strumento" della corona per pregare, invece, ha un‟origine antica risalente ai

Padri del Deserto del III e IV secolo dopo Cristo, che usavano cordicelle o stringhe per la preghiera ripetitiva. Un‟altra decisiva tappa per la diffusione della preghiera

mariana fu il 12 settembre 1683, quando il re polacco Giovanni Sobieski sconfisse a Vienna i Turchi e impedì definitivamente all‟Islam la conquista dell‟occidente Cristiano. In quest‟occasione il pontefice Innocenzo XI istituì la

festa del “Nome di Maria” il 12 settembre. È importante, inoltre, un accenno al magistero pontificio degli ultimi decenni. Numerosissimi sono i documenti papali

che riguardano il Rosario e più di ogni altro fu Leone XIII, chiamato il “Papa del Rosario”, a diffondere tale pratica. Portano la sua firma 12 Lettere encicliche dedicate alla preghiera mariana. Consacrò ad essa il mese di ottobre ed il suo

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impegno in questo senso fu per aiutare i cristiani a "superare l‟avversione al

sacrificio e alla sofferenza ponendo la propria fede e il proprio sguardo sulle sofferenze di Cristo; l‟avversione alla vita umile e laboriosa si supera da parte del

cristiano meditando sull‟umiltà del Salvatore e di Maria; l‟indifferenza verso i misteri della vita futura e l‟attaccamento ai beni materiali si guariscono meditando e contemplando i misteri della gloria di Cristo, di Maria e dei santi"18.

Pio XII scrisse l‟enciclica Ingruentium malorum, del 15 settembre 1951, con l‟invito a confidare nella Vergine soprattutto nei momenti più difficili e a recitare il

Rosario per custodire la concordia in famiglia, per far crescere le virtù cristiane, per implorare la pace, il rispetto dei diritti della Chiesa e per ottenere conforto ai malati e ai diseredati. Il Beato Giovanni XXIII fece del Rosario parte integrante

della sua spiritualità, cosi come Paolo VI che, nella Marìalis cultus (2 febbraio 1974), descrive gli elementi costitutivi dei Rosario ripresi anche nella Rosarium Virginis Mariae da Giovanni Paolo II: il Rosario come compendio del Vangelo, come preghiera contemplativa e cristologica.

2002 - 2003: Anno Santo del Rosario

Papa Giovanni Paolo II, il 16 ottobre 2003, all'inizio del XXV anniversario del suo pontificato, scrisse una Lettera Apostolica per rilanciare il Rosario ed ha indette un "Anno del Rosario" dall'ottobre del 2002 all'ottobre del 2003. «Proclamo

l'anno che va dall'ottobre 2002 all'ottobre 2003 "Anno del Rosario". Lo faccio non soltanto perché questo anno è il venticinquesimo del mio pontificato, ma anche

perché ricorre il centoventesimo anniversario dell'Enciclica Supremi apostolatus officio, con la quale, il 1° settembre 1883, il mio venerato predecessore, il Papa Leone XIII, dette inizio alla pubblicazione di una serie di documenti dedicati

proprio al Rosario. C'è poi un'altra ragione: nella storia dei Grandi Giubilei vigeva la buona usanza che, dopo l'Anno Giubilare dedicato a Cristo e all'opera della

Redenzione, ne venisse indetto uno in onore di Maria, quasi implorando da Lei l'aiuto per far fruttificare le grazie ricevute». Giovanni Paolo II aggiunge: «Per l'esigente, ma straordinariamente ricco compito di contemplare il volto di Cristo

insieme con Maria, vi è forse strumento migliore della preghiera del Rosario? Dobbiamo però riscoprire la profondità mistica racchiusa nella semplicità di

questa preghiera, cara alla tradizione popolare. Questa preghiera mariana nella sua struttura è, in effetti, soprattutto meditazione dei misteri della vita e dell'opera di Cristo. Ripetendo l'invocazione dell'"Ave Maria", possiamo

approfondire gli eventi essenziali della missione del Figlio di Dio sulla terra, che ci sono stati trasmessi dal Vangelo e dalla Tradizione. Perché tale sintesi del Vangelo sia più completa e offra una maggiore ispirazione, nella Lettera

apostolica Rosarium Virginis Mariae ho proposto di aggiungere altri cinque misteri a quelli attualmente contemplati nel Rosario, e li ho chiamati "misteri della luce".

Essi comprendono la vita pubblica del Salvatore, dal Battesimo nel Giordano fino all'inizio della Passione. Questo suggerimento ha lo scopo di ampliare l'orizzonte del Rosario, affinché sia possibile a chi lo recita con devozione e non

meccanicamente penetrare ancor più a fondo nel contenuto della Buona Novella e conformare sempre più la propria esistenza a quella di Cristo».

18 Nuovo Dizionario di Mariologia, voce Rosario, p.1209.

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BREVE STORIA DELL’«ANGELUS DOMINI»

L’origine tra tradizioni e documenti. L‟antifona mariana dell‟Angelus Domini

raggiunge l‟attuale formulazione verso il XVI secolo. In epoche lontane era

conosciuto e riconosciuto, seppure in forme diverse, come la “Preghiera della pace”. Nei territori di lingua tedesca si

esprimeva con la frase idiomatica “suonare per la pace” (pro pace schlgane).

Va ricordato che, ad ogni modo, fin dagli inizi l‟Angelus fu una preghiera mariana ed esclusivamente serale. Poi si cominciò

a recitarla anche al mattino e per ultimo a mezzogiorno. Secondo alcune tradizioni, che però non trovano riscontri in documenti

attendibili, la preghiera dell‟Angelus viene fatta risalire a Urbano II (Papa tra il 1088 e il 1099) che l‟avrebbe prescritto nel Concilio di Clermont per impetrare

dalla Vergine Santa grazie per le crociate. Altri studiosi ascrivono il merito dell‟Angelus a Gregorio IX (Papa tra il 1227 e il 1241). Si tratta di una tesi che trova molti appigli, anche tipo archeologico (iscrizioni nelle campane dell‟epoca)

soprattutto in Germania, con l‟abitudine del suonare le campane durante l‟elevazione nella Messa e all‟ora dell‟Angelus serale.

Ad ogni modo la prima menzione certa dell‟Angelus serale si trova negli atti del Capitolo generale dei Frati Minori di Pisa (1263). In una “Cronica” si legge: “Nel Capitolo generale di Pisa fu stabilito che i frati nei loro discorsi esortassero il

popolo alla Salutazione Angelica, al segno della campana che si dà dopo la compieta, perché si ritiene che in quest‟ora Maria sua stata saluta dall‟Angelo”. Nel Medioevo, infatti, era opinione diffusa che il Verbo si fosse incarnato nelle ore

vespertina. Nel XIII, a Milano, per opera di Frati Minori agli Umiliati si diffuse la devota

usanza di dar con la campana il segno dell‟Ave Maria (“qui primo fecit pulsari campanas ad Ave Maria Mediolani et in Comitatu”). E così accade in molte altre

regioni dell‟Europa. Gli studiosi sono tutti concordi nel dire che senza possibilità di errore il suono vespertino dell‟Angelus si può datare nei primi anni del trecento. In Ungheria un documento dei vescovi, del 1307, raccomandava ai fedeli

di recitare la sera tre Ave Maria quando sentissero suonare “ad instar tintinnabuli”. A Francoforte sul Meno, nel 1317, i Frati Capitolari adottarono l‟uso

del suono dell‟Ave Maria la sera. Nel secolo XIV negli Statuti della città di Lucerna era proibito il ballo dopo l‟Ave Maria della sera. L’Angelus arriva a Roma. Il celebre mariologo tedesco Joseph Anton Binterim19

asserisce che Giovanni XXII (Papa tra il 1313 e il 1334) lodò l‟uso in vigore presso alcune chiese francesi di suonare la preghiera della sera e concesse indulgenze a

chi, a quel suono, recitasse in ginocchio tre Ave Maria. Nove anni più tardi, lo stesso Giovanni XXII, introdusse la devota usanza anche a Roma. L‟usanza si diffuse rapidamente, in Italia e in tutta Europa, senza una regola costante e

19

Nato il 19 settembre 1779, Düsseldorf. Morto 17 maggio 1855, Düsseldorf-Bilk.

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perciò la recita delle tre Ave Maria al suono dell‟Angelus variava da regione a

regione. In Inghilterra si suonava alle ore 18, a Parigi, fino al XV secolo, alle ventuno.

L’Angelus del mattino. In un documento della città di Parma (Chronica Parmensis), il più antico pervenuto fino a

noi, si legge che nel 1317 era cominciata l‟usanza di suonare tre volte le campane

al mattino e che il vescovo aveva imposto ai fedeli di recitare, a quel suono, tre Pater e tre Ave Maria. Il Sinodo di Lavaur

(1368)fa obbligo ai parroci, sotto pena di scomunica, di far suonare le campane al

mattino come alla sera. Le testimonianze e documenti simili sono interminabili e tutti consentono di affermare che verso la

metà del XV secolo, anche l‟Angelus del mattino era divenuto di uso generale in

tutta Europa. S. Antonio di Firenze nella “Summa” conferma la notizia in modo dettagliato L’Angelus del mezzogiorno. Questa usanza fu introdotta molto più tardi e

sembra che abbia avuto origini in Francia. Un documento del 1460 parla infatti di un legato testamentario fondato a Le Puy perché si prevedesse al suono dell‟Ave

Maria tre volte al giorno. Prima, le campane a mezzogiorno si suonavano ugualmente, ma per altri scopi. Tra questi, predominante era quello di impetrare particolare protezione contro i Turchi che allora minacciavano l‟Europa. Numerosi

ed esaurienti sono i decreti pontifici, promulgati allo scopo di raccomandare ai fedeli questa intenzione. In Francia le prescrizioni pontificia veniva eseguite con una variante: tre Ave Maria recitate per la pace. Questo particolare spiega come

in questa nazione, prima che altrove, il suono delle campane a mezzogiorno sia servito ad indicare l‟ora dell‟Angelus. In Italia l‟Angelus del mezzogiorno fu indotto

ad Imola nel 1506 e San Carlo Borromeo ne parla nella “Istruzioni per i predicatori”. In Inghilterra fu introdotto sotto il pontificato di Sisto V (Papa tra il 1471 e il 1484), su richiesta della moglie di Enrico VII, la regina Elisabetta. In

Germania l‟Angelus del mezzogiorno arrivò con un po‟ di ritardo, poiché i protestanti accusavano i cattolici di “eccessivo culto” a Maria. La formula attuale. San Pio V (Papa tra il 1566 e il 1572), nell‟Ufficio piccolo

della Madonna concessi indulgenze a coloro che recitassero l‟Angelus, ma in realtà il triplice suono quotidiano dell‟Angelus non raggiunse la completa

diffusione se non sotto il pontificato di Benedetto XIII (Papa tra il 1724 e il 1730), quando pure venne adottata in tutta la Chiesa la formula unica della preghiera dell‟Angelus quale oggi è universalmente conosciuta. Il più antico documento

finora conosciuto che racchiude l‟Angelus secondo la formula attuale, è un catechismo stampato a Venezia nel 1560. In esso si legge che Paolo III aveva

concesso, per Napoli, un‟indulgenza a chi praticasse il pio esercizio. Oggi, nel mondo, l‟Angelus (o il Regina Coeli tra Pasqua e la Pentecoste),

giustamente, si associa al Papa e all‟appuntamento dominicale con il suo

magistero, quando a mezzogiorno, a Roma o a Castel Gandolfo, si affaccia sulla finestra del Palazzo apostolico.

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BREVE STORIA DELL’«AVE MARIA»20 L‟Ave Maria, come oggi la recitiamo, non fu una composizione spontanea, ma il risultato di una lenta e secolare elaborazione.

Nella liturgia greca e latina

Benché la Salutazione Angelica (prima parte dell‟Ave), si riscontri nella Liturgia

Greca e Latina fin da tempi antichissimi, ciò non autorizza a credere che fosse fin d‟allora di uso popolare. Non si può d‟altra parte negare che anche in quei tempi

esistessero fedeli che fossero soliti salutare Maria con le parole dell‟Arcangelo Gabriele. S. Giovanni Damasceno nel discorso della festa dell‟Annunciazione: “Eleviamo

noi pure oggi la nostra voce e con accenti pieni d‟amore e d‟esultanza diciamo alla gloriosissima e di luce apportatrice Madre del nostro Dio e Salvatore: Ti saluto

piena di grazia, il Signore è teco, tu sei benedetta fra le donne, e benedetto il frutto del ventre tuo”. In un altro discorso sull‟Annunciazione attribuito a S. Atanasio e che molto

probabilmente risale ad epoca posteriore, si legge questo saluto rivolto alla Madonna: “Ti saluto piena di grazia, il Signore è teco. Intercedi per noi, o Donna e Signora, Regina e Madre di Dio, perché tu sei nata dalla nostra stirpe e da te è

nato il Dio incarnato”. Presso i Latini, la pratica generale della Salutazione Angelica non s‟incontra

prima del XII secolo. Fatto dimostrato da erudita trattazione di Jean Mabillon. Il Mabillon basò la propria tesi sul fatto che, né nelle raccomandazioni dei Vescovi al popolo di pregare, né nei vari manuali di pietà, né nei documenti ecclesiastici

anteriori al dodicesimo secolo, non si trova cenno all‟Ave Maria. Dell‟Ave non parla S. Eligio, vescovo di Noyon, morto nel 660, che nelle sue

pastorali si limita a dire: “Recitate il Credo e l‟Orazione del Signore con fede e devozione”. Ugualmente parlano solo del Credo e del Pater la lettera del Venerabile Beda ad Egberto, il libricino di pietà dell‟abate Pirminio, fondatore

d‟illustri monasteri, i Decreti Sinodali del vescovo Ato di Basilea. Anche nelle pagine del manuale di pietà che fu usto da Emma, moglie di re Lotario, si trova solo il Credo e il Pater; l‟Ave manca, come pure manca nei manuali di pietà in

lingua volgare. Nelle Costituzioni dei Certosini scritte intorno al 1100, si raccomanda molto ai

frati illetterati la recita del Pater, mai una parola dell‟Ave. Come pure non se ne parla nelle regole dei Templari, né degli Umiliati, né nelle primitive regole dei Carmelitani e dei Minoriti.

Prima diffusione dell’Ave Maria

Alla fine del secolo undicesimo, all‟inizio del dodicesimo si comincia a far sentire la diffusione dell‟Ave Maria. S. Pier Damiani, morto nel 1072, in una sua opera

porta l‟esempio di un giovane prete che era solito recitare davanti ad un‟immagine della Madonna questa preghiera: “Ave Maria, gratia plena, Dominus tecum, benedica tu in mulieribus”. Così pure Erimanno di Tournay narra che Ada,

20 Nota di Fernando Bea. RV – Studio 76, Anno XV, 3 maggio 1971.

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moglie del conte Teodorico, benefattrice del monastero di Lescy in Hennegau,

vissuta tra l‟XI e il XII secolo, era solita recitare sessanta volte al giorno la formula della Salutazione Angelica. Nello stesso scritto di Erimanno si legge che

Ada insegnò la prima parte dell‟Ave al nipote Goswino che, a sua volta, la raccomandò ai soldati prima del combattimento. Il primo documento in cui si trova esplicito accenno all‟Ave Maria, risale al 1196.

È un Decreto di Oddone vescovo di Parigi, nel quale si fa obbligo ai sacerdoti di esortare i fedeli alla recita domenicale del Credo, del Pater, della Salutazione Angelica.

Il Concilio di Beziers del 1246, ordina che i fanciulli dopo i sette anni siano condotti in chiesa per apprendere a recitare il Pater, il Credo e l‟Ave.

Così negli Statuti Sinodali di Le Mans del 1247 s‟impone ai parroci d‟insegnare ai fanciulli il Pater, l‟Ave, il Credo. Disposizione confermata nei Concili di Alby nel 1245, di Valenza nel 1255, di Norwich nel 1257, di Rouen nel 1287, di Lüttich nel

1287. I religiosi non rimasero indietro ai laici nel dimostrare la loro adesione alla recita

di questa preghiera. I Cistercensi e i Premostratensi, fin dai primi anni del XII secolo, imposero nelle loro comunità di dire nelle preghiere per la mensa l‟Ave immediatamente dopo il Pater.

Nel 1266 il Capitolo Generale dei Domenicani, radunato a Treviri, stabilì l‟obbligo giornaliero di recitare il Pater con la recita dell‟Ave Maria. È da notare però che anche prima di questa data i Domenicani erano soliti recitare prima e dopo

l‟Ufficio della B. Vergine la “Salutazione Angelica”.

Elaborazione del testo Anticamente l‟Ave terminava con le parole “ventris tui”. La prima aggiunta fu

quella del nome di Gesù, seguito dall‟appellativo di “Christus”. Molti autori, come il Mabillon, l‟Esser ed il Beissel ritengono questa aggiunta essere avvenuta per

intervento di papa Urbano IV (1261-64). A tale proposito l‟Esser scrive: “Già Urbano IV, lo stesso che istituì la festa del Corpus Domini, affidandone la composizione del relativo Officio a S. Tommaso

d‟Aquino, aggiunse al saluto di Elisabetta le parole – Jesus Christus, Amen – concedendo anche per tale aggiunta indulgenze”. Queste e numerose altre testimonianze vi sono riguardo alle indulgenze poste da

Urbano IV e Giovanni XXII, sebbene ricerche ulteriori sembrano far vacillare la tesi del Mabillon.

Studi più completi e recenti hanno accertato, infatti, che, nella lunga e ricca serie di documenti pontifici, non si è trovato quello riguardante la suddetta indulgenza. Le sole indulgenze che risultino concesse da papa Giovanni XXII sono di dieci

giorni ciascuna e sono per la recita dell‟Ave Maria al suono delle campane della sera. È inoltre da osservare che il nome di Gesù veniva già invocato nell‟Ave Maria dal

B. Amedeo, discepolo di San Bernardo, molti anni prima di Urbano IV e che dopo questo Pontefice, molti ancora recitavano l‟Ave senza l‟aggiunta della parola

“Jesus”. Questo sembrerebbe strano se, veramente ci fosse stata una precisa ingiunzione da parte dell‟Autorità ecclesiastica. La seconda parte con cui termina l‟Ave Maria, fece la sua prima comparsa, o

integra o in parte, tra il 1300 e il 1400 in numerose ed ispirate perifrasi che della

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Salutazione scrissero allora i poeti in lingua volgare. Possediamo molti esempi di

tali composizioni poetiche. Si può dire che, in definitiva, queste composizioni non sono che l‟ampliamento

poetico dell‟invocazione che, già da secoli, la Chiesa diceva nelle Litanie dei Santi: Sancta Maria, ora pro nobis! Ancora non si era giunti a specificare il tempo per il quale si chiedeva lo speciale ausilio della Madonna.

È nel secolo XV che l‟invocazione, sempre negli scritti popolari, comincia ad avvicinarsi alla forma completa. In un libro del 1477 edito a Vicenza, che raccoglie le laudi di un poeta veneziano, vi sono parafrasi della Salutazione

Angelica delle quali due specialmente meritano d‟esser ricordate. La prima che comincia con

“Ave dei cieli sancta Imperatrice”

Si chiude con i versi:

“Jesus pro nobis santa Maria adora che ne socorra nunc et mortis hora.”

L‟altra è una specie di composizione, di scarso valore poetico, che in anagramma

dà l‟intera Ave Maria della quale manca solo la parola “peccatoribus”. Siamo nella seconda metà del 1400 ed è da notare che prima che arrivasse questa forma alla universale approvazione, ci vorrà più di un secolo.

Riconoscimento ufficiale

. Nell‟anno 1549 la seconda parte dell‟Ave Maria, cioè il Sancta Maria, non doveva ancora essere stata presa in adozione ufficiale dalla Chiesa, se al Sinodo di

Magonza avvenuto in quell‟anno, si prescriveva ai fedeli la recita obbligatoria dell‟Ave ed a questo scopo se ne esponeva per iscritto la formula con esclusione del “Sancta Maria”.

Solo verso la metà del XVI secolo comincia a diffondersi l‟uso di aggiungere alla Salutazione dell‟Angelo il “Sancta Maria” fino all‟ “ora pro nobis peccatoribus”. Ce ne da prova il Catechismo di S. Pietro Canisio, stampato nel 1563, riportante

l‟Ave Maria nella forma su citata. Fu papa S. Pio V che nel 1568 diede la suprema sanzione alla salutazione

angelica completata dal Sancta Maria. Infatti promulgando in quello stesso anno il nuovo Breviario Riformato, faceva obbligo a tutti i sacerdoti di cominciare la recita dell‟Offizio con un Pater ed un Ave, come ora si recita.

Ma prima che le particolari abitudini dei fedeli cedessero il campo alle disposizioni pontificie ci volle non meno di mezzo secolo dopo la morte di quel

Papa. Solo verso la metà del secolo XVIII l‟Ave Maria, come oggi la conosciamo, entrò in uso universale presso i fedeli.

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Supplica alla Madonna di Pompei del Beato Bartolo Longo

La supplica alla Madonna di Pompei è una pratica devozionale che viene recitata l'8 maggio e la prima domenica di ottobre davanti all'immagine della Madonna di Pompei. Il testo della supplica ha subito diversi ritocchi, anche per depurarla degli aspetti più strettamente collegati alla spiritualità di fine Ottocento. La supplica è stata seguita nel tempo anche dai media radiotelevisivi. Negli anni '50 la Radio Vaticana, in collegamento con le radio nazionali di molti paesi (anche la RAI) aveva il duplice collegamento annuale.

Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.

O Augusta Regina delle Vittorie, o Sovrana del Cielo e della Terra, al cui nome si rallegrano i cieli e tremano gli abissi, o Regina gloriosa del Rosario, noi devoti figli

tuoi, raccolti nel tuo Tempio di Pompei, (in questo giorno solenne), effondiamo gli affetti del nostro cuore e con confidenza di figli ti esprimiamo le nostre miserie.

Dal Trono di clemenza, dove siedi Regina, volgi, o Maria, il tuo sguardo pietoso, su di noi, su le nostre famiglie, su l'Italia, su l'Europa, sul mondo. Ti prenda compassione degli affanni e dei travagli che amareggiano la nostra vita. Vedi, o

Madre, quanti pericoli nell'anima e nel corpo, quante calamità ed afflizioni ci costringono.

O Madre, implora per noi misericordia dal Tuo Figlio divino, e vinci con la clemenza il cuore dei peccatori. Sono nostri fratelli e figli tuoi che costano sangue

al dolce Gesù e contristano il tuo sensibilissimo Cuore. Mostrati a tutti quale sei, Regina di pace e di perdono.

Ave Maria.

E' vero che noi, per primi, benché tuoi figli, con i peccati torniamo a crocifiggere in cuor nostro Gesù e trafiggiamo nuovamente il tuo cuore.

Lo confessiamo: siamo meritevoli dei più aspri castighi, ma tu ricordati che, sul Golgota, raccogliesti, col Sangue divino, il testamento del Redentore moribondo,

che ti dichiarava Madre nostra, Madre dei peccatori. Tu dunque, come Madre nostra, sei la nostra Avvocata, la nostra speranza. E noi,

gementi, stendiamo a te le mani supplichevoli, gridando: Misericordia! O Madre buona, abbi pietà di noi, delle anime nostre, delle nostre famiglie, dei

nostri parenti, dei nostri amici, dei nostri defunti, soprattutto dei nostri nemici, e di tanti che si dicono cristiani, epppur offendono il Cuore amabile del tuo

Figliuolo. Pietà oggi imploriamo per le Nazioni traviate, per tutta l'Europa, per tutto il mondo, perché pentito ritorni al tuo Cuore.

Misericordia per tutti, o Madre di Misericordia!

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Ave Maria

Degnati benevolmente, o Maria, di esaudirci! Gesù ha riposto nelle tue mani tutti

i tesori delle Sue grazie e delle Sue misericordie. Tu siedi, coronata Regina, alla destra del tuo Figlio, splendente di gloria

immortale su tutti i Cori degli Angeli. Tu distendi il tuo dominio per quanto sono distesi i cieli, e a te la terra e le creature tutte sono soggette. Tu sei l'onnipotente per grazia, tu dunque puoi aiutarci. Se tu non volessi aiutarci, perché figli ingrati

ed immeritevoli della tua protezione, non sapremmo a chi rivolgerci. Il tuo cuore di Madre non permetterà di vedere noi, tuoi figli, perduti. Il Bambino che vediamo

sulle tue ginocchia e la mistica Corona che miriamo nella tua mano, ci ispirano fiducia che saremo esauditi. E noi confidiamo pienamente in te, ci abbandoniamo come deboli figli tra le braccia della più tenera fra le madri, e, oggi stesso, da te

aspettiamo le sospirate grazie.

Ave Maria Chiediamo la benedizione a Maria.

Un'ultima grazia noi ora ti chiediamo, o Regina, che non puoi negarci (in questo giorno solennissimo). Concedi a tutti noi l'amore tuo costante e in modo speciale

la materna benedizione.

Non ci staccheremo da te finché non ci avrai benedetti. Benedici, o Maria, in questo momento il Sommo Pontefice. Agli antichi splendori della tua Corona, ai trionfi del tuo Rosario, onde sei chiamata Regina delle Vittorie, aggiungi ancor

questo, o Madre: concedi il trionfo alla Religione e la pace alla umana Società. Benedici i nostri Vescovi, i Sacerdoti e particolarmente tutti coloro che zelano

l'onore del tuo Santuario. Benedici infine tutti gli associati al tuo Tempio di Pompei e quanti coltivano e promuovono la devozione al Santo Rosario.

O Rosario benedetto di Maria, Catena dolce che ci riannodi a Dio, vincolo di amore che ci unisci agli Angeli, torre di salvezza, negli assalti dell'inferno, porto sicuro nel comune naufragio, noi non ti lasceremo mai più?

Tu ci sarai conforto nell'ora di agonia, a te l'ultimo bacio della vita che si spegne.

E l'ultimo accento delle nostre labbra sarà il nome tuo soave, o Regina del Rosario di Pompei, o Madre nostra cara, o Rifugio dei peccatori, o Sovrana consolatrice

dei mesti. Sii ovunque benedetta, oggi e sempre, in terra e in cielo. Amen.

Salve Regina.

***

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Una parte importante di questo testo attinge informazioni pubbliche da numerosi fonti, in particolare online. Nella redazione del libretto sono state utilizzate informazioni prelevate da:

SITI WEB www.santuario.it

http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/travels/sub_index2003/trav_pompei-2003_it.htm

http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/travels/sub_index1979/trav_pompei-napoli_it.htm

http://www.chiesacattolica.it/cci_new/diocesi/pompei.html

http://www.pompei.it/categoria/santuario.htm

http://www.evangelizatio.org/portale/spiritualita/preghiera/rosario/rosario04.html

http://www.domenicani.net/storia_rosario.htm

http://it.wikipedia.org/wiki/Rosario

http://www.acquaviva2000.com/storia%20del%20rosario.htm

http://www.kattoliko.it/leggendanera/modules.php?name=News&file=article&sid=867

http://209.85.135.104/search?q=cache:Vg3wsZHoLZEJ:www.vascon.net/index_file/storiarosario.pdf+storia

+del+rosario&hl=it&ct=clnk&cd=4&gl=it

http://introiboadaltaredei.wordpress.com/2007/04/16/breve-storia-del-s-rosario-della-vergine-maria/

TESTI

- Storia del Santuario di Pompei» di Bartolo Longo. Napoli, 2002.

- Marianna Farnararo, articolo di Antonio Borrelli (Avvenire, 14 dicembre 2006).

- Ada Ignazzi, “Marianna Farnararo, contessa De Fusco” (Edizione Laterza, Bari, 2004).

- Ente Parco Nazionale del Vesuvio Riserva Mondiale di Biosfera del MAB UNESCO

- Nuovo Dizionario di Mariologia, voce Rosario, p.1209.

- Nota di Fernando Bea. RV – Studio 76, Anno XV, 3 maggio 1971.

- Wikipedia - Inglese, italiano e francese

- Monticone Agostino, I quindici sabati della Madonna di Pompei, San Paolo Edizioni, 1995.

- Vitolo Bernardino - Buondonno Enrico, Alla Madonna di Pompei. «Canto del rosario».

Editore: Pontificio Santuario Pompei

- Auletta Gennaro, Bartolo Longo. Le bienheureux, Editore: Pontificio Santuario - Pompei

- Enciclopedia D'Agostini, Italia, 2003

- Treccani, Città d'arte, Pompei, 2008.

Si ringrazia gli autori dei testi.