Sante ragioni

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Venire al mondo, il battesimo, l’ora di religione, i simboli religiosi nelle scuole, l’educazione sessuale, il caso Darwin e la marginalizzazione delle materie su cui la chiesa non può far valere la sua posizione, il matrimonio e la vita di relazione, la “politica” riproduttiva (contraccezione, aborto, fecondazione assistita…), il parto e il dolore, la ricerca biomedica (staminali e trapianto di organi), l’8 per mille, il trattamento fiscale della chiesa, i reati sui minori, il testamento biologico, la terapia del dolore, l’eutanasia, i funerali civili… In pratica: la vita, dalla nascita alla morte. Su ognuno di questi temi gli uomini di fede, ma soprattutto le alte gerarchie del Vaticano, ormai da anni esercitano pressione per consolidare una visione del mondo arretrata, irrazionale e violenta.

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Pamphlet, documenti, storie

REVERSE

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Avventura Urbana Torino, Andrea Bajani, Gianni Barbacetto, Stefano Bartezzaghi,Oliviero Beha, Marco Belpoliti, Daniele Biacchessi, David Bidussa, Paolo Biondani,Caterina Bonvicini, Alessandra Bortolami, Giovanna Boursier, Carla Buzza, Olindo Canali, Davide Carlucci, Luigi Carrozzo, Carla Castellacci, Massimo Cirri,Fernando Coratelli, Pino Corrias, Gabriele D’Autilia, Andrea Di Caro, Giovanni Fasanella, Massimo Fini, Fondazione Fabrizio De André, Goffredo Fofi, Massimo Fubini, Milena Gabanelli, Vania Gaito, Mario Gerevini, Gianluigi Gherzi, Salvatore Giannella, Francesco Giavazzi, Stefano Giovanardi, Franco Giustolisi, Didi Gnocchi, Peter Gomez, Beppe Grillo, Ferdinando Imposimato, Karenfilm, Giorgio Lauro, Marco Lillo, Felice Lima, Giuseppe Lo Bianco, Carmelo Lopapa,Vittorio Malagutti, Luca Mercalli, Lucia Millazzotto, Angelo Miotto, Letizia Moizzi, Giorgio Morbello, Alberto Nerazzini, Sandro Orlando, Pietro Palladino, David Pearson (graphic design), Maria Perosino, Renato Pezzini, Telmo Pievani, Paola Porciello (web editor), Marco Preve, Rosario Priore, Emanuela Provera, Sandro Provvisionato, Luca Rastello, Marco Revelli, Gianluigi Ricuperati, Sandra Rizza, Marco Rovelli, Claudio Sabelli Fioretti, Andrea Salerno, Ferruccio Sansa,Evelina Santangelo, Michele Santoro, Roberto Saviano, Matteo Scanni, Filippo Solibello, Bruno Tinti, Marco Travaglio, Carlo Zanda.

chiarelettereAutori e amici di

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PRETESTO1 fa pagina 273

“Un’autorità morale diventasoggetto politico, ma nonaccetta di essere giudicata con criteri politici… Fa appelloalle norme imperative di unsupposto diritto naturale, ma non accetta le evidenzedella natura. Pretende per séil monopolio non soltantodella fede, bensì del ‘rettoragionare’, ma non accettache i suoi argomenti sofisticisiano passati al vaglio dellaragione. E noi tutti siamodiventati senza accorgercene...una comunità in libertàvigilata.”

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fa pagina 10

“Questo non è un libro anticlericale, anchese non vi sarebbe nulla di male…

Qualsiasi potere, qualsiasi casta, più omeno sacerdotale, è bene che abbia un leale

e vigile oppositore che la tenga lontana da tentazioni di impunità.”

fa pagina 96

“Il diritto canonico prevede… che un matrimoniocelebrato in Chiesa… possa essere giudicatofalso. Non tutti sono però autorizzati a giudicare:per questo c’è il tribunale della Sacra Rota. LoStato italiano riconosce le sentenze di questotribunale religioso ed extraterritoriale… Nelmondo civile le unioni si formano e si sciolgono,ma il passato non si annulla. Il matrimoniocattolico, invece, o è eterno o non è mai avvenuto.”

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fa pagina 91PRETESTO2

“Purtroppo… non possiamochiudere le biblioteche delmale, né distruggere le suecineteche che si riproduconocome virus letali.”Angelo Amato, segretario della Congregazione vaticana per la Dottrina della Fede

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“Alla finitezza della condizione umana non c’èrimedio, e noi rispettiamo tutte le religioni per il conforto che possono portare alle persone di fronte alla malattia e alla morte. Ma è una ben misera concezione dell’essere umano quella di chi ancora oggi alimenta la paura e l’ignoranza per farsi giudice delle nostre decisioni. A ben vedere, questa non è una concezione né teologica né antropologica, è una concezione politica.”

“L’esenzione ICI decade per tutte le ‘attività di natura esclusivamente commerciale’… Se all’interno di una lussuosa clinica privata c’è unacappella votiva dove i devoti si riuniscono una voltaalla settimana per attività religiose, il complessosmette di essere esclusivamente commerciale.Geniale. Un albergo di lusso nel centro di Romapuò sempre avere una sezione definita ‘ostello per pellegrini’. Geniale.”

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© Chiarelettere editore srlSoci: Gruppo Editoriale Mauri Spagnol S.p.A.Lorenzo Fazio (direttore editoriale)Sandro ParenzoGuido Roberto Vitale (con Paolonia Immobiliare S.p.A.)Sede: Via Guerrazzi, 9 - Milano

ISBN 978-88-6190-010-3

Prima edizione: novembre 2007

www.chiarelettere.itBLOG / INTERVISTE / LIBRI IN USCITA

Per l’illustrazione a pagina III, copyright © Altan/Quipos.Si ringrazia per la gentile concessione.

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Carla CastellacciTelmo Pievani

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Carla Castellacci vive a Roma in un quartiere dove le strade principali portanoil nome di un papa o di un cardinale, e dove si parcheggiano le auto sui passaggipedonali e le moto sui marciapiedi. Questa condizione poteva spingerla aindagare il rapporto tra sottosviluppo del senso civico e sudditanza verso loStato Pontificio. Invece si è laureata in biologia maturando un interesse per lamedicina, dove «giusto» è ciò che funziona nel maggior numero di casi. Seavesse preso medicina avrebbe probabilmente maturato un interesse per labiologia, dove «giusto» è ciò che spiega il maggior numero di fatti osservati. Hapreso un master in Science, Culture and Communication a Bath, in Inghilterra,poi ha iniziato a lavorare come indipendente nella comunicazione scientifica. Èuna assidua frequentatrice di chiese, per i tesori d’arte che custodiscono, aparziale compensazione di ciò che paghiamo con l’otto per mille. Di questolibro ha scritto le parti su Nascere, Vita di relazione, Figli e Morire.

Telmo Pievani insegna Filosofia della Scienza in un giovane e promettenteateneo milanese. Si è specializzato oltreoceano, dove ha studiato alcuni aspettidell’evoluzione biologica con Niles Eldredge all’American Museum of NaturalHistory di New York. Tornato in Italia, è stato inseguito anche qui dal bizzarrodibattito fra evoluzionisti e creazionisti. È l’autore di Homo sapiens e altrecatastrofi (Meltemi, 2002), Introduzione alla filosofia della biologia (Laterza,2005), La teoria dell’evoluzione (Il Mulino, 2006), Creazione senza Dio (Einaudi,2006), In difesa di Darwin (Bompiani, 2007). Onora la sua seconda passionecome segretario del Consiglio Scientifico del Festival della Scienza di Genova.Ha fondato con alcuni amici Pikaia, il portale italiano dell’evoluzione. Hacurato l’edizione italiana dell’opera monumentale di Stephen J. Gould, Lastruttura della teoria dell’evoluzione (Codice, 2003, pp. 1732), ed è sopravvissuto.Collabora a riviste e giornali, fra i quali «Le Scienze», «Micromega» e «L’Indicedei Libri». Sua moglie, Cinzia, gli ha regalato due bimbi meravigliosi, Giuliae Luca. Un opuscolo di destra lo ha definito, con suo grande orgoglio, «ilbarboncino di Darwin». Del libro che state per leggere ha scritto l’Introduzione,la Conclusione e le parti relative a Educazione e scuola, Bioetica e Vita civile.

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Introduzione 3

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NASCERE

Vite indifese 23

Difendiamo la vita. Ma la vita di chi?

EDUCAZIONE E SCUOLA

La laicità in croce 57

La religione nella scuola italiana? Facoltativamenteobbligatoria

VITA DI RELAZIONE

Affari di famiglia 87

Unioni sacre e unioni profane. Come non si coniuga la diversità

FIGLI

La legge del concepito 117

Quando il Parlamento volle fare miracoli

BIOETICA

La bioetica all’italiana e la scomparsa della logica 155

Valori non negoziabili, per tutti, per legge

Sommario

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VITA CIVILE

Il senso civico della casta ecclesiastica 191

Le religioni sono uguali, ma una è molto più uguale delle altre

MORIRE

Introvabili vie di uscita 229

Quando l’accanimento non conosce fine

Conclusione 255

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Introduzione

In Italia lo Stato costituzionale, alla cui basesta il «principio supremo» di laicità […] siconfronta con una «potenza spirituale» etemporale che si minimizzerebbe assai, se sidicesse che gli è alla pari. L’articolo 7 stabili-sce che lo Stato e la Chiesa (cattolica) sono,ciascuno nel proprio àmbito, indipendenti esovrani. Ma questa non è una fotografia dellarealtà. A dispetto della sua formulazione, èuna norma programmatica, un obiettivo chedeve essere quotidianamente realizzato.

Gustavo Zagrebelsky

Giovanni Nuvoli faceva l’agente di commercio e l’arbitrodi calcio. Aveva cinquantatré anni. È morto il 23 luglio2007 di sclerosi laterale amiotrofica (SLA), una gravissima eper ora incurabile patologia degenerativa che colpisce alcu-ne cellule del midollo spinale, i motoneuroni, procurandoa chi ne soffre un’atrofia muscolare progressiva che portaalla paralisi dei quattro arti e dei muscoli preposti alla de-glutizione e alla parola. Nuvoli però non è morto, precisa-mente, per questa malattia. La SLA è così cinica e perversada non offrire alla sua vittima un colpo di grazia risolutivo.È lenta e inesorabile, non ti lascia andar via facilmente. Tirinchiude in un sarcofago corporeo e ti costringe a osserva-re fino in fondo il modo in cui madre natura può trasfor-mare un essere umano in una silenziosa, larvale e remotaparvenza di se stesso.

Nuvoli quando correva sui campi di calcio pesava circaottantacinque chili, per un metro e ottantaquattro di altez-za. All’ospedale di Sassari e poi sul letto di agonia ad Al-ghero, nella casa trasformata in una sala di rianimazione,era arrivato a pesarne poco più di trentacinque. Per moltotempo aveva comunicato con la moglie Maddalena per

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mezzo del battito delle ciglia, indicando le lettere dell’alfa-beto su una lavagna in plexiglas. Gli avevano anche appli-cato un sintetizzatore vocale. Attraverso questi strumentitecnologici aveva ripetutamente e pubblicamente comuni-cato, in modo lucido, il desiderio di morire senza più sof-frire, addormentandosi dolcemente. A suo tempo nonchiedeva neppure il distacco della macchina, ma soltantodi non ricevere più i medicinali, di interrompere una prati-ca che riteneva ormai un inutile accanimento.

Le aveva tentate tutte, per risparmiarsi le ultime torturedi un’esistenza che considerava ormai divenuta semplicesopravvivenza in un involucro a lui estraneo. Le autorità,per evitare che un anestesista potesse interrompere la ven-tilazione meccanica come era accaduto con PiergiorgioWelby nel 2006, lo tenevano d’occhio. Inutilmente, vistoche per quel gesto caritatevole il medico di Welby fu poiprosciolto dall’accusa di «omicidio del consenziente». Il 10luglio erano intervenute ad Alghero persino le forze del-l’ordine per scongiurare il distacco del respiratore.

Così a quest’uomo non è rimasta altra scelta che moriredi inedia, rifiutando, dal 16 luglio in poi, di assumere ciboe acqua. Nella sonda collegata allo stomaco non è più pas-sato alcun tipo di alimento. Si è spento per deperimento,lentamente, di ora in ora, circondato dai suoi familiari. Ilfisico ha resistito fino alla notte del 23 luglio. Per avere unamorte «naturale», per avere una morte perfettamente lega-le, senza pattuglie delle forze dell’ordine che bussano allaporta, Giovanni Nuvoli ha scelto di morire di consunzio-ne. Forse non riusciamo nemmeno a immaginare cosa pro-veremmo se una situazione simile capitasse a un nostro ca-ro, ma di certo la nostra ragione e un pizzico di immedesi-mazione ci portano a concludere che non abbiamo rispet-tato appieno la sua libertà, la sua dignità e la sua volontà diporre fine a sofferenze divenute intollerabili.

Visto che l’incertezza della legge talvolta sa essere addi-

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rittura paradossale, quando il corpo ha cessato di viverenessuno ha avuto il coraggio di spegnere il respiratore, cheNuvoli non aveva voluto fin dall’inizio e che chiamavaironicamente «mio fratello». Così il suo petto è andatoavanti a battere, imperterrito, irreale, macabro, per alcuneore ancora nella notte. Sorella macchina ha fatto il suomestiere fino alla fine, riempiendo e svuotando i polmonicon la stupida e oscena ripetitività di quel soffio sibilantee sinistro.

Il partito della «vita»

Questi i nudi fatti, che ciascuno può soppesare come me-glio ritiene nella propria coscienza. Se davvero, come ci ri-corda il presidente emerito della Corte Costituzionale Gu-stavo Zagrebelsky, «l’uguale dignità di tutti gli esseri uma-ni» è il fondamento della democrazia e della laicità, casicome questo pongono un serio interrogativo sulla situazio-ne italiana. Dal punto di vista legislativo il problema inItalia consiste in un persistente vuoto giurisdizionale. Il di-ritto posto a base della richiesta di Nuvoli, cioè di rifiutarele cure mediche, è solidamente garantito: è previsto a livel-lo internazionale dall’articolo 5 della Convenzione diOviedo e a livello nazionale dall’articolo 32, comma 2, del-la Costituzione italiana. Tuttavia, permangono molte in-certezze su come un medico possa dare seguito alla richie-sta di un paziente di interrompere un trattamento e sullemodalità per raccogliere e certificare la volontà dei pazien-ti, spesso in questi casi paralizzati e impossibilitati a espri-mersi liberamente. In sostanza, esiste il diritto ma regna laconfusione su come e quando lo si possa applicare. Risul-tato: un uomo muore di consunzione, davanti ai familiari,perché un diritto costituzionale non gli viene riconosciuto.Una soluzione dirimente ci sarebbe, si chiama «testamentobiologico» o «dichiarazione anticipata di volontà», ma per-

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sino una misura minimale come questa nel nostro paesefatica a tradursi in norma.

Alcuni nostri concittadini, appartenenti alla principaleconfessione religiosa italiana, sembrano invece avere le ideechiare su casi come quello di Giovanni Nuvoli. Lo storicoe battagliero presidente del Movimento per la Vita CarloCasini dichiara: «Da un punto di vista giuridico l’unicodato veramente certo è che la vita umana è un bene nondisponibile. Di conseguenza dubito molto che si possa par-lare di un diritto umano a rifiutare le cure».1 Forse per fu-gare i suoi angosciosi dubbi basterebbe rileggere la Costi-tuzione italiana all’articolo 32: «Nessuno può essere obbli-gato a un determinato trattamento sanitario se non per di-sposizione di legge». Per il momento pare che sia ancora invigore. Il filosofo morale Francesco D’Agostino, ex presi-dente del Comitato Nazionale di Bioetica, si è fatto inveceun’idea molto bizantina della vicenda: «Non credo cheGiovanni Nuvoli si sia voluto far morire di fame, credopiuttosto che il suo rifiuto del cibo e il decesso che ne èconseguito siano da addebitare allo stato avanzato dellamalattia che rende il corpo estremamente fragile».2

Un’altra mossa retorica cara a chi ama benedire la soffe-renza redentrice (degli altri) è l’accusa di strumentalizza-zione politica. Si tratta di vicende personali drammatiche,da trattare con pudore, si suole ripetere da entrambi glischieramenti politici con pelosa commiserazione: nondobbiamo trasformarle in bandiere per campagne politi-che di parte. Si potrebbe anche essere d’accordo, ma l’ar-gomento è poco pertinente: qui si tratta infatti di una si-tuazione concreta, che prescinde da qualsiasi militanzaideologica, riguardante un essere umano in carne e ossa, ilquale chiede il riconoscimento di un diritto. Possiamo ne-garglielo, argomentando, ma non possiamo impedire cheil suo caso sia di esempio per altri. È dunque una vicendapubblica, da discutere apertamente in comunità, giacché

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concerne la difesa di un diritto individuale che può valereper chiunque.

Un ulteriore argomento adottato in questi casi per nonriconoscere un diritto – l’argomento forse più odioso escorretto – è quello di chi artatamente cerca di invertire iruoli fra liberali e illiberali. Così commenta enfaticamentela morte di Nuvoli Gianni Gennari sull’«Avvenire» del 26luglio 2007: «Il problema non è disfarsi della vita, ma ac-compagnarla sempre, e la vera contraddizione è di chi,strumentalizzando ogni cosa, non capisce più la differenzatra accompagnare chi muore e ucciderlo. Confonde la vitae la morte, e vuole che la sua confusione detti legge a tutti!Grazie, no!». La prosopopea infiammata del partito della«vita», e del dolore (degli altri), gioca brutti scherzi. Natu-ralmente tutti sappiamo bene che né Giovanni Nuvoli néchi difendeva i suoi diritti intendeva dettar legge a nessu-no. Stavano soltanto chiedendo una possibilità, lasciandodel tutto liberi gli altri – compresi altri malati di SLA diorientamento differente – di fare le proprie scelte. Semmaiè vero esattamente il contrario: una confusione legislativaha negato a un uomo un diritto, con le forze dell’ordine –umanamente imbarazzate – a far la spola fra l’uscio di casae il capezzale.

Infine, un altro espediente sofistico del partito confessio-nale bipartisan italiano – inventato molto più di recente,con il sapor della scappatoia – è quello delle, benemerite,cure palliative. Lasciamo stare i testamenti biologici, si dice,e investiamo nelle terapie che alleviano il dolore. Giustissi-mo, ovviamente. Ma la logica ci impone due osservazioni.

Primo: non si era detto per secoli, e ancora si dice, che ildolore purifica? Non si sono dovute (e si devono ancora)vincere resistenze religiose persino all’introduzione del-l’anestesia epidurale per il parto negli ospedali pubblici?Ma non sottilizziamo e apprezziamo almeno che si sia fat-to un passo avanti. È interessante notare però come in que-

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sti casi non vi sia mai il riconoscimento esplicito del muta-to orientamento. Raramente troviamo scritto, per esem-pio, «ci siamo sbagliati nel fare battaglie per decenni con-tro la medicina lenitiva, pensando che il dolore (degli altri)avesse una funzione nobilitante e catartica, come sta scrit-to in qualche sacra scrittura». La tecnica mediatica è sem-plice ed efficace: le cure palliative adesso sono un argomen-to utile per evitare di affondare in temi più delicati, e scor-diamoci il passato.

Secondo: finanziare le cure palliative è forse in alternati-va al riconoscimento del diritto fondamentale di un indi-viduo a rinunciare a cure mediche che ritiene in cuor suoinutili o personalmente inaccettabili? Morire per non ve-dersi amputata una gamba si può. Morire per non farsi fa-re una trasfusione di sangue si può. Morire per non doversoffrire inutilmente, in una condizione di paralisi totale edi dipendenza da un respiratore, invece no. Quale contrap-posizione vi sarebbe fra il rifiuto di un trattamento medicoe il diritto all’utilizzo della medicina più avanzata per sof-frire il meno possibile? A una persona razionale questi do-vrebbero sembrare due diritti egualmente importanti, eniente affatto in competizione o in sostituzione l’uno del-l’altro. Uno Stato civile e progredito dovrebbe offrire aisuoi cittadini, in teoria, il maggior numero di opzioni leci-te di scelta, evitando per quanto possibile di imporre al sin-golo orientamenti etici di parte.

Comunque sia, per alcuni, laddove non si segua questopalliativo retorico delle cure palliative si finisce dritti nel-l’omicidio. Il gioco si fa duro e spuntano le parole grosse:«cultura della morte», «atteggiamento necrofilo nei con-fronti dei malati», e così via. Carlo Casini su Welby non hadubbi, si tratta di un atto deliberato per uccidere: «Si è co-sì determinata deliberatamente l’immediata e inevitabilemorte del malato che avrebbe potuto sopravvivere a lun-go».3 Ecco, appunto, il problema è proprio che Welby e

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Nuvoli avevano dichiarato al mondo intero di non averepiù intenzione di sopravvivere più a lungo in quel modo.Volevano porre fine a una tortura e noi stiamo afferman-do, senza l’ombra di un’incertezza morale, che quello nonsolo non era un loro diritto, ma che i loro eventuali com-plici commettono un reato punibile per legge. In ultimaistanza, un peccato previsto da una specifica confessionereligiosa fra le altre – voler disporre liberamente della pro-pria vita quando in realtà appartiene a Dio – trasformatoin precetti da un dottore della Chiesa in occasione di unqualche concilio medioevale un millennio e mezzo fa, vie-ne tradotto in un reato nel 2007.

Questo non è un libro sulla fede

Possiamo ritenere che in questo atteggiamento vi sia benpoca pietas cristiana, ma non è questo il punto. Possiamosemmai aggiungere, di passaggio, che forse in Italia si fa-rebbe un buon servizio al pluralismo democratico se si des-se talvolta voce, in questi dibattiti, anche alla legittima in-dignazione morale che molti cittadini provano dinanzi adaffermazioni così intransigenti e inumane. Portare una to-naca o dichiararsi adepti di una religione non implica af-fatto, sappiamo bene, l’essere automaticamente immunida comportamenti immorali e riprovevoli. Ma nemmenoquesta ovvietà rappresenta il punto della questione. Ciòche più ci preme analizzare qui sono gli effetti di questicomportamenti sulla vita di tutti, indipendentemente dal-l’appartenenza religiosa, e sugli spazi di libertà che ciascu-no conserva riguardo alle scelte fondamentali circa la pro-pria esistenza.

In altri termini, la domanda di fondo da cui nasce que-sto libro non è affatto se la religione sia una cosa buona ocattiva in sé. Né ci sfiora il dubbio di negare che temi co-me quelli appena evocati implichino la necessità di una se-

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ria e rigorosa riflessione etica. Attorno al concetto di «euta-nasia», per esempio, si addensano rischi etici reali e moltoseri: qualcuno potrebbe interpretarlo in modo troppo ge-nerale e applicarlo a casi e a metodi che lo travalicano.

La domanda di fondo che ci interessa qui è molto piùsemplice, contingente e concreta: che paese è quello incui può materializzarsi, nell’anno 2007, una storia comequella di Giovanni Nuvoli? A quale tipo di comunità ap-parteniamo oggi, che possa rimuovere dalla coscienza, ogiustificare come necessaria, una vicenda di questo gene-re? E ancora, che tipo di dibattito pubblico è quello incui possiamo trovare argomenti contraddittori e ambi-gui, ma ammantati di «razionalità», come quelli primaesemplificati?

Prima di iniziare sgombriamo il campo da alcuni possi-bili fraintendimenti. Questo non è un libro anticlericale,anche se non vi sarebbe nulla di male. All’anticlericalismoandrebbe riconosciuta in Italia qualche credenziale in più,non solo per il consenso crescente che riscuote – ampia-mente taciuto dai media – ma anche per il legittimo e uti-le contraddittorio che produce nei confronti del sovranna-turalismo diffuso. Qualsiasi potere, qualsiasi casta, più omeno sacerdotale, è bene che abbia un leale e vigile oppo-sitore che la tenga lontana da tentazioni di impunità. An-cor meno questo vuole essere un libro sulla fede, sentimen-to personalissimo di ciascuno, sui fenomeni religiosi, sullesacre scritture o sul catechismo. Non è insomma un librosulla complessità del cattolicesimo né sulla teologia. Non èper la verità nemmeno un libro sulla Chiesa intesa comeplurale, eterogenea e pulsante comunità di credenti. Non èun libro di ricostruzioni storiche di controversie fra Stato eChiesa, e a ben guardare non è neppure un libro sulle ge-rarchie ecclesiastiche in quanto tali.

Non ci occuperemo quindi di molti temi pur interes-santi: della Conferenza di Ratisbona del settembre 2006 e

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dei suoi effetti sul mondo islamico; dell’afasia del cattoli-cesimo democratico; della sferzata al dialogo ecumenicoarrivata il 10 luglio 2007 con la proclamazione, da partedella Congregazione vaticana per la Dottrina della Fede,della Chiesa cattolica come «unica Chiesa di Cristo», conesclusione delle comunità cristiane nate dalla Riforma;della reintroduzione opzionale della messa in latino perriassorbire lo scisma lefreviano; di quanto siano più com-prensivi, umani e «progressisti» altri cardinali. Sono tuttiaspetti che rispettosamente non affronteremo. Ci occupe-remo, invece, delle posizioni di numerosi e potenti uomi-ni di Chiesa contemporanei, o di uomini di fede che almagistero della Chiesa si attengono, su questioni che ri-guardano la vita di tutti. Non pensiamo che le loro ideesiano quelle della Chiesa tout court, ma non reputiamoneppure che il loro interventismo parapolitico sia minori-tario o poco influente. Il punto cruciale per noi è che leloro tesi portano oggi un particolare accento su due carat-teristiche salienti.

La prima è che tendono a essere sempre più tradotte inindicazioni legislative obbligatorie per tutti i cittadini, gra-zie alle pressioni efficaci di una maggioranza parlamentaretrasversale che segue diligentemente gli orientamenti sem-pre più vincolanti e precisi della Conferenza EpiscopaleItaliana. La seconda è che esse vengono frequentementepresentate, soprattutto da Ratisbona in poi, non più comedogmi di fede indiscutibili e oggetto di devota e cieca cre-denza, bensì come autentiche manifestazioni di «raziona-lità» o di «ragionevolezza». Anzi, di una razionalità «piùampia», «superiore». Si è persino scomodato l’aggettivo «il-luministica». La fede si incentrerebbe infatti sulle certezze,evidenti alla ragione, del diritto naturale.

Dalla presunta «razionalità della fede», o dalla premessache la fede sia il compimento del «retto ragionare», derivaun impianto schiettamente ideologico di lettura della con-

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temporaneità. Lo si vede chiaramente nel revisionismoscientifico e nel revisionismo storico al centro di alcune re-centi campagne di opinione. Il primo conduce a negarel’evidenza di conquiste scientifiche acquisite, come la teo-ria dell’evoluzione darwiniana.4 Il secondo conduce a rico-struzioni della figura storica di Gesù che da un lato si am-mantano della razionalità critica del metodo storico, dal-l’altro vendono come dati acquisiti della ricerca storicaquelle interpretazioni letteraliste e fondamentaliste dei te-sti sacri che proprio la ricerca storica più accreditata ha datempo giudicato inconsistenti.

Tuttavia, da un altro punto di vista, questa duplice ma-trice della pervasività sociale e della razionalità è in qualchemodo benvenuta. Se infatti quelle idee condizionano di-rettamente la nostra vita e se davvero sono espressioni del-la razionalità universale umana, siamo allora autorizzati aprenderle in considerazione per ciò che intendono essere ead analizzarle, appunto, usando gli strumenti dell’indaginerazionale. Potremo dunque confrontarle con l’evidenza deifatti, giudicare la fondatezza delle loro premesse di parten-za, verificarne la coerenza interna. Potremo insomma esa-minarle e discuterle da un punto di vista logico e argomen-tativo. Ci attendono dunque, come si addice a una razio-nalità aperta e fallibile, molti dubbi e poche risposte.

Scivoloni naturalistici

In concreto, vediamo dove si infrange questo ardito «nuo-vo illuminismo» quando si tratta di affrontare casi che at-tengono empiricamente alla vita di singoli esseri umani.Torniamo brevemente ai casi di Welby e di Nuvoli. La sa-cralità e l’intangibilità della vita vengono difese, si è detto,ricorrendo a un presunto diritto «naturale». L’uomo nonpuò sostituirsi a Dio – sentiamo ripetere – e quindi allanatura, attraverso la quale la sua volontà si ipostatizza e si

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esplica. Per questo esiste un intero catalogo di comporta-menti che sarebbero «contro-natura», e non soltanto «con-tro-Dio». Di epoca in epoca, i chierici ci hanno spiegatoche sono contro-natura l’omosessualità, la masturbazione,la contraccezione, il sesso prima del matrimonio, e così via.Sarebbero al contrario «naturali» un certo tipo di famiglia,di comportamenti sessuali e di relazioni fra uomo e donna.

Qui però i problemi di coerenza logica e razionale simoltiplicano, per diversi motivi. Se ricorriamo all’evidenzaempirica, vediamo che in natura – se di questo stiamo par-lando – la norma è esattamente all’opposto: promiscuitàsessuale, molteplicità di comportamenti sessuali e di mo-delli di «famiglia». Talvolta vi è persino disgiunzione frasesso e riproduzione. Se proprio vogliamo usare la naturacome metro morale, nulla è più innaturale dell’astinenzasessuale forzata per l’intera durata della vita. Semmai valeil punto di vista inverso, la comparsa di caste sacerdotaliimproduttive e sterili è un fenomeno di evoluzione cultu-rale, figlio a sua volta dell’invenzione dell’agricoltura, dellasedentarietà e di altri processi naturali intervenuti nell’evo-luzione della specie Homo sapiens.

È bene poi ricordare che la sacralità del «diritto natura-le» non è affatto una concezione filosofica scontata per ilcattolicesimo. La natura smette infatti di essere prioritaria-mente il luogo della caduta, della colpa, del peccato, ed èsempre più la natura voluta dal Dio creatore. Ne derivanocosì l’idea della natura violata dall’ingegneria genetica e«manipolata» dagli scienziati, il lamento secolare circa unanaturalità «sacra» violata dalle azioni umane, l’abusato luo-go comune della superbia «prometeica». La vecchia conce-zione della natura corruttibile in quanto tale, della naturacome luogo immanente delle peregrinazioni terrestri in at-tesa di una redenzione, non si adatta bene all’interventi-smo temporale e a incursioni etiche tuttologiche. Non èun caso che, per converso, abbia perso molto appeal, nei

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documenti dottrinari ufficiali, il concetto di trascendenzaassoluta. Meglio un paradossale «bio-teologismo» che indi-vidua di volta in volta i suoi totem sacri qui e ora – l’em-brione, un certo modello di famiglia, la cellula staminale –in base alle contingenze del dibattito pubblico e ai ventimutevoli del potere.5

Poco importa se poi, con buona pace della coerenza cir-ca il mondo «naturale», sono considerati (per fortuna)«conformi alla legge morale» e «grande conquista dellascienza» i trapianti di organi da soggetti ancora in vita. Lasottile linea rossa della naturalità si sposta in funzione delmomento storico. Gli «xenotrapianti» di organi transgeni-ci da animali a esseri umani sono una tecnica, non priva dirischi peraltro, la cui «innaturalità» non ha eguali, eppuresono stati approvati da papa Wojtyla nel 2000. Anche chiè ben lieto di questo placet non può non notare che il par-tito della «vita» non ha agitato in questo caso lo spettro dimostruose chimere uomo-animale, mentre lo fa semprequando si sperimentano tecniche di produzione di embrio-ni misti per fini di ricerca.

Perché il castello di sabbia svanisca, basta andare nellospecifico. I casi di Welby e di Nuvoli in questo contestorappresentano una contraddizione stridente per i nostripensatori confessionali. Si vuole infatti difendere il princi-pio della intangibilità, coatta, di una vita resa del tutto ar-tificiale dalle macchine. Qui si vuole in sostanza garantirela sacralità di un’esistenza – o di una tortura, dipende daipunti di vista (laddove forse il punto di vista del titolare diquella esistenza dovrebbe essere prioritario) – completa-mente innaturale. Welby e Nuvoli in fondo chiedevano, inpiena e libera coscienza, di interrompere quella che consi-deravano, appunto, un’inutile e dolorosa violenza controla natura, presentatasi sotto le sinistre vesti della sclerosi la-terale amiotrofica. Chiedevano che si facesse proprio la vo-lontà della natura o se preferiamo, nella visione di un cre-

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dente (come Nuvoli peraltro si professava), che si facesse lavolontà del Signore. Secondo i nostri teologi, invece, inquesta sottospecie il principio non sussiste. La ventilazionemeccanica è naturale, il polmone artificiale è naturale. Po-tenza degli ossimori.

«Doveva aspettare il suo momento»

Le sottigliezze del sedicente «diritto naturale» sarebberoanche, si dice, il frutto necessario dell’unico vero e «rettoragionare». Vediamo allora dove ci conduce questa bizzarraforma di «razionalità» analizzando un’altra questione signi-ficativa: il paradosso dei funerali religiosi rifiutati a Pier-giorgio Welby nel dicembre 2006 e concessi a GiovanniNuvoli nel luglio 2007. È chiaro che ciascuna confessionereligiosa è liberissima di concedere i funerali, secondo ilproprio rito, a chi vuole. Se decide di concederli ai peggio-ri assassini, ai mafiosi e a dittatori sanguinari, e non a unmalato di SLA, avrà i suoi criteri e ciascuno li valuta perquello che sono. Il diniego vale nel momento in cui vi èuna richiesta da parte di un credente di quella confessione:la moglie nel caso di Welby; l’interessato stesso nel caso diNuvoli. È un problema privato, ma possiamo valutare i cri-teri pubblicamente avanzati per fondare la differenza ditrattamento.

Si sarebbe potuto facilmente giustificare la scelta soste-nendo che Welby non era credente, mentre Nuvoli sì. Pun-to: un’insindacabile questione interna a quella Chiesa. In-vece no: anche qui si vogliono scomodare argomenti appa-rentemente «razionali». Una prima distinzione suona quasiplausibile, volendo essere indulgenti e facendo la tara a tut-to il carico di ipocrisia insito in queste capziose tassonomieteologiche. Si concedono i funerali religiosi ai suicidi per-ché si presume misericordiosamente che il loro gesto siastato inconsulto, frutto di un improvviso e fatale raptus in-

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cosciente. Non si concedono viceversa i funerali religiosi aquei suicidi, come si presume Welby, che hanno espressoanticipatamente e deliberatamente l’intenzione di compie-re l’insano gesto. Ora, tralasciamo di considerare, solo perbrevità, la contraddizione palese a tale principio che si rea-lizza ogniqualvolta vengono concessi i funerali a suicidiche hanno lasciato lettere di addio, prova evidente di pre-meditazione. Ma tra Welby e Nuvoli? Dove sta la differen-za? Entrambi avevano pubblicamente espresso il desideriodi interruzione del trattamento sanitario.

Ebbene, secondo il vicariato di Roma e secondo i nume-rosi teologi intervenuti a margine di questa colossale gaffeperpetrata ai danni del buon senso, la differenza sarebbestata duplice. In primo luogo, la «tecnica» utilizzata: attivanel primo e passiva nel secondo. Ecco cosa ha dichiaratomonsignor Mauro Cozzoli, ordinario di Teologia moralealla Pontificia Università Lateranense: «Nel caso di Welbyci troviamo di fronte a eutanasia attiva, dal momento cheun medico ha aiutato un paziente a morire. Nel caso diNuvoli si tratta, invece, di eutanasia passiva dovuta alla so-spensione degli alimenti al paziente. Entrambe le formesono da considerarsi moralmente inaccettabili, perché lavita umana non è una cosa di cui disporre e di cui disfarsiquando non risponde più alle attese riposte in essa».6

Probabilmente si vuole intendere che nel caso di Welbyc’è stata un’azione causale diretta, nel caso di Nuvoli unasemplice «omissione». A parte il fatto che anche le omis-sioni possono essere «causa» a tutti gli effetti di un evento,dinanzi a un paziente immobilizzato e impotente, che disuo non può fare nulla, che differenza c’è fra staccare il re-spiratore e staccare la sonda degli alimenti? Dopo esserestati sedati, in un caso si muore di soffocamento, nell’altrodi consunzione. Comunque sia, l’atto in sé di interrompe-re un supporto artificiale vitale è il medesimo. Quindi nonsolo è capziosa nella fattispecie la distinzione fra eutanasia

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attiva e passiva – non trattandosi forse di eutanasia né inun caso né nell’altro, bensì di sospensione di un trattamen-to ritenuto, dal diretto interessato, spropositato rispetto aibenefici – ma l’argomentazione è infondata. Un accani-mento terapeutico su ciò che resta della logica.

Ecco ora la gelida e arida motivazione addotta dal vica-riato di Roma il 22 dicembre 2006 per giustificare il rifiu-to dei funerali religiosi a Welby: «In merito alla richiesta diesequie ecclesiastiche per il defunto Dott. PiergiorgioWelby, il vicariato di Roma precisa di non aver potuto con-cedere tali esequie perché, a differenza di casi di suicidionei quali si presume la mancanza delle condizioni di pienaavvertenza e deliberato consenso, era nota, in quanto ripe-tutamente e pubblicamente affermata, la volontà del Dott.Welby di porre fine alla propria vita, ciò che contrasta conla dottrina cattolica (vedi il Catechismo della Chiesa Cat-tolica, nn. 2276-2283; 2324-2325)». È giustamente unaquestione di coerenza: non è che il vicariato non ha «volu-to» concedere le esequie, non ha «potuto». Invece per tuttii suicidi che lasciano interi papiri sulle loro intenzioni difarla finita – e per Nuvoli che aveva persino scritto al Presi-dente della Repubblica – ha «potuto». Misteri della fede.

O forse misteri della politica, perché dinanzi alle esequieconcesse a Nuvoli alcuni teologi, messi alle strette dallalampante contraddizione, hanno ammesso la seconda, rea-le, ragione. Sentiamo monsignor Rino Fisichella: negare ifunerali a Welby è stato «un atto di responsabilità e di fe-deltà al nostro credo». Infatti «quello di Piergiorgio Welbyè diverso dai tanti casi di suicidio nei quali è estremamentedifficile poter accertare le motivazioni e il grado di consa-pevolezza di chi si toglie la vita. Per Welby invece era chia-rissima: c’è stata un’ostinata reiterazione nel chiedere lapropria morte, un’esplicita consapevolezza nel negare iprincìpi fondamentali della fede cristiana riguardanti il va-lore della vita e il senso della sofferenza». Finalmente ci sia-

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mo: quella ostinata richiesta. Il problema è che Welby neha fatto una campagna politica pubblica, per di più in pe-riodo di elezioni, Nuvoli un po’ meno. Bastava dirlo subi-to. Non resta che prendere atto, deduttivamente, che perquesta confessione religiosa il grado di pubblicità e di «po-liticizzazione» dato alla volontà di compiere un gesto pec-caminoso incide sulla sostanza peccaminosa dell’atto me-desimo. Se compiuto in privato, le probabilità di essereperdonati aumentano.

Concorda sull’etica della flagellazione obbligatoria e si-lenziosa delle carni il cardinale Ersilio Tonini: «Il suicidiodi Welby è stato concepito e realizzato con l’obiettivo dipromuovere una legge sull’eutanasia».7 Ancor più netto ildirettore dell’«Avvenire», Dino Boffo: «Anche Welby do-veva aspettare il suo momento». Peccato che il magistratodella Repubblica che ha assolto il medico anestesista nonsia dello stesso avviso, poiché l’articolo 51 del Codice pe-nale prevede la non punibilità per chi adempie a un dove-re, in questo caso il dovere del medico di dare seguito allarichiesta del malato di interrompere le terapie. Viene cosìrispettato e ribadito il diritto all’autodeterminazione delmalato, sancito dall’articolo 32 della Costituzione e ancorain attesa di essere posto in essere da una legge sul testa-mento biologico. Ma forse anche quella «deve aspettare ilsuo momento».

Veniamo infine alla motivazione filosofica di fondo delpartito confessionale: la vita, in senso astratto, non sarebbea disposizione di chi la possiede, cioè dei vivi. Ciascuno dinoi non sarebbe titolare della propria vita, perché solo (illoro) Dio lo è. Ora, ammettiamo per assurdo che la que-stione metafisica stia proprio in questi termini: come si puòdeclinare un simile principio sovrannaturalistico nell’ordi-namento giuridico di uno Stato che, per il momento, non èancora di matrice confessionale? Se il mio Dio magari unpo’ più liberale del tuo, vede la questione in modo diverso,

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come la mettiamo? E poi, schiacciare in questo modo la co-scienza individuale sotto il tallone della legge di Dio non si-gnifica squalificare proprio quel luogo di libera volontà incui dovrebbe risiedere lo spirito? Se poi ricordiamo che l’in-tangibilità della vita non è stata affatto, per secoli, un prin-cipio etico rispettato da quella Chiesa – dato che non ènemmeno ben chiaro come la pensino su questo punto glistessi autori del testo sacro di riferimento – su quale basedovremmo riconoscere tutta questa indiscussa autorità mo-rale? I concili che hanno sancito questi dogmi si sono con-traddetti più volte l’un l’altro, e così i pontefici, perché do-vremmo fidarci? Magari poi cambiano idea un’altra volta,chiedono scusa e intanto abbiamo perso un sacco di tempo.

Come ci comportiamo con un cittadino che, metti caso,non appartiene ad alcuna confessione religiosa, non capi-sce questa etica dell’afflizione prescrittiva e non ha alcunaintenzione di «aspettare il suo momento» fra atroci soffe-renze? Non sarebbe meglio prescindere da ganci sovranna-turali, da controversie dottrinarie, e mettersi d’accordo fraesseri umani liberi e uguali, qui e ora, indipendentementeda cultura e religione di provenienza? A onor del vero, nonvi sarebbe bisogno di alcuna fede per decidere tutti insie-me che la guerra non è sempre uno strumento intelligenteper risolvere i conflitti, che non si tortura la gente, che lapena di morte è un atto indegno, e che forse i Welby diquesto mondo avevano il diritto di morire in modo digni-toso. Se ne discute, e mentre se ne discute la fede forse aiu-ta, o forse no.

Ora immaginiamo il nostro interlocutore ideale e ve-niamo al dunque. Il nostro punto di osservazione è il se-guente: alla luce di quelle argomentazioni irrazionali eillogiche prima evocate – ma vedremo innumerevoli altriesempi di questo illuminismo alla rovescia – e alla lucedel tentativo di tradurle fedelmente in indicazioni legi-slative vincolanti per tutti, può il nostro cittadino italia-

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no aconfessionale e di buon senso considerarsi davverolibero in questo paese nel 2007? Siamo fino in fondo,compiutamente, un paese laico? Proviamo a vedere, ini-ziando dalla nascita.

1 www.zenit.org, 24 luglio 2007.2 www.aduc.it, 24 luglio 2007.3 www.zenit.org, 24 luglio 2007.4 Per una disamina del recente libro Creazione ed evoluzione (Schöp-

fung und Evolution, Sankt Ulrich Verlag, Augsburg, 2007) in cui papaBenedetto XVI e il cardinale di Vienna Christoph Schönborn aderi-scono esplicitamente al neocreazionismo d’oltreoceano, sia lecito ri-mandare a O. Franceschelli, T. Pievani, «L’outing di Ratzinger controil darwinismo», in «Micromega», 5-2007, pp. 111-127.

5 Come ha scritto Alberto Melloni, direttore della Fondazione perle Scienze Religiose Giovanni XXIII di Bologna, ciò che ferisce molticredenti oggi è «la riduzione del cattolicesimo a sindacato dei valori, latrasformazione della partecipazione alla divina liturgia in un’occasioneper schierare ideologicamente le proprie nostalgie pseudotridentine, lasostituzione di una tradizione di erudizione e cultura con una serie diideologumeni dietro i quali l’ignoranza pigra s’accomoda serena, il tut-to accompagnato da una drastica riduzione dell’atto di fede a test d’unapassività interiore, nella quale la fede non può alla lunga resistere, lacarità si dissecca in fund raising e la speranza si eclissa» («Il relativismodella Chiesa di Ratzinger», in «Micromega», 4-2007, p. 29).

6 www.aduc.it, 24 luglio 2007.7 www.aduc.it, 8 febbraio 2007.

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