Romania Occidentalis – Romania Orientalis
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RITI, MASCHERE E CERIMONIALI CON RAMI VERTI
DELLA FESTA DI SANGIORGIO NELLA TRANSILVANIA SETTENTRIONALE.
UN APPROCCIO ETNO-ANTROPOLOGICO*
Bogdan Neagota, Ileana Benga
In Transilvania, la festa di Sangiorgio (Sângeorz), centrale nel calendario cerimoniale di
primavera (23 aprile), comporta almeno quattro categorie di pratiche regionali specifiche.
Il rituale più diffuso, non soltanto in Transilvania (Fochi 1976: 285-299. Ghinoiu 2003: 281-283),
ma anche nelle regioni settentrionali e nel Banat (Ghinoiu 2002: 218-220), è collegato alla magia della
manna/mană1, che circoscrive le pratiche offensive (il furto del potere del latte e del grano) e quelle
apotropaiche (la difesa magica delle mucche e delle pecore contro il furto magico della virtù del latte)
(Pavelescu 19982: 212-265. Benga 2002: 261-280). Nella vigilia del giorno di Sangiorgio, sono portati a
casa diversi rami di albero ricchi di fogliame (che differiscono secondo la regione) o di spugli spinosi (rosa
canina)/rug sălbatic2, che si mettono all’ingresso del cortile oppure sulla porta della stalla e del fienile
come protezione contro il furto della manna (il potere del latte delle mucche e delle pecore). Dobbiamo
precisare che la festa di Sangiorgio, che funziona per l’economia simbolica rurale come un Anno Nuovo
pastorale, delinea l’inizio di un periodo estrememente attivo dal punto di vista magico. Passata la festa di
Sangiorgio, si formano le greggi e si misura la quantità di latte prodotto da ogni grege (nell’ambito di
un’altra festa, La Misurazione del latte/Măsurişul laptelui3) e si costituiscono le mandrie dei villaggi
* Testo tradotto dal romeno da Vasile Rus ed Enzo Palmisciano. Nel volume “Romania Occidentalis, Romania
Orientalis”, a cura di Alina Branda e Ion Cuceu, Editura Fundaţiei pentru Studii Europene/Editura Mega, Cluj-
Napoca, 2009, pp. 405-428. 1 Il termine rumeno mană, ampiamente attestato nella cultura popolare rumena (Dicţionarul Limbii Române 1965/VI,
I: 76-77), proviene dai testi liturgici bizantini-slavi medievali, (Pavelescu 19982: 97, 116; cf. Evseev 1997: 252.
Vulcănescu 1985: 300). Ci sono qualche feste di mană, nel calendario popolare rumeno, tramite quale il Sangiorgio
occupa una posizione centrale (Cuceu, Ion e Maria: 201-214, 1981/II: 207. Benga 2005: 131). 2 La loro provenienza è, di solito, liminale: per assicurare l’eficienza magica, i rami di spugli spinosi sono apportati da
una regione di limite di una proprietà (“de pe hotar”) e da dove “il gallo non canta” (“unde cocoş nu cântă”)
(Informazioni del campo da Ciureni, Sălaj; Ciubăncuţa e Ciubanca, Cluj, 20-22.04.2005). 3 La Misurazione del latte delle pecore/Măsurişul laptelui si fa di solito al Sangiorgio Vecchio/Sângeorzu Bătrân, la
festa secondo il calendario giuliano, quando si formano le greggi nelle regioni agro-pastorali. Nell’ambito di questa
festa, che comporta vari riti apotropaici (di difesa della manna delle pecore), riti di purificazione della gregge (con
aqua benedetta/aghiasmă ed incenso/tămâie) e rami verti, con i quali si addobba la stalla delle pecore/staulul ed il
pecorile/stâna (a Suciu de Jos, Maramureş – si veda il materiale etnologico-vizivo dall’Orma, raccolto da Emil
Chitian in 20.04.2009) oppure le processioni del Păpălugăra (le maschere con rami verti). Per il Păpălugăra della
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(Fochi 1976: 301-305. Cuceu 1973: 447-448); solo dopo questo periodo è permesso il pascolo sui prati di
proprietà del villaggio, visto che l’erba è già cresciuta sufficientemente per essere pascolata. Nella parte
meridionale della Transilvania (nella regione di Zarand), il giorno dopo, cioè il 24 di Aprile, viene
festeggiato il cosìddetto Sangiorgio del bestiame, mentre nella Romania sud-carpatica due giorni più tardi
un tempo si festeggiava il Sanmarco dei buoi (Marian 19942: 314). Il giorno è caratterizzato dal divieto di
usare il bestiame all’aratro o di mettergli il giogo (Marian 1899: 203, 261, 286-287, 292).
Il lancio di grida sul villaggio/strigatu peste sat è una pratica di tipo carnevalesco (charivari),
fatta dalla ceata de feciori, gruppo amalgamato di giovani del villaggio e consiste nel recitare ad alta voce
piccoli testi satirici che si riferiscono ai compaesani, attorno a un grande fuoco, e nel far rotolare ruote
incendiate sul pendio del colle verso il villaggio (Manolescu, 1967: 111-150). Questo cerimoniale non è
specifico soltanto del Sangiorgio, ma è eseguito anche in altri periodi dell’anno: tra San Nicola e l’Anno
Nuovo o l’Epifania, quando è accompagnato da altre pratiche carnevalesche (lo spostamento dei portoni, la
preparazione di pupazzi maschili o femminili fatti con paglie e pezza, il Vecchione/Moşul e la
Vecchiona/Baba, che sono messi davanti alle case dei celibi e delle zitelle ecc.), prima della Quaresima,
nel Giovedi Santo, a Pasqua, a San Giovanni Battista. Il cerimoniale è molto diffuso, essendo attestato
ancora in aree estese negli anni ’80, in Maramureş, Crişana e Banat (Ghinoiu 2002: 279-280), nella
Transilvania (2003: 366-369) ed in Oltenia ciscarpatica (Ghinoiu 2001: 340-343).
Nella maggioranza dei villaggi transilvani, è attestata la pratica della Bagnatura (Udatul) di
Sangiorgio, accompagnata o non dall’orticazione (a volte per innaffiare ci si aiuta con un mazzo di
ortiche4), che consiste nel lanciarsi acqua reciprocamente tra gli abitanti del villaggio (particolarmente i
giovani e le ragazze) durante il giorno della festa (Fochi 1976: 305. Ghinoiu 2002: 220 e 2003: 283).
Precisiamo che il lancio generalizzato dell’acqua tra compaesani in occasione di Sangiorgio e l’aspersione
cerimoniale praticata nei riti per l’invocazione della pioggia (parte del complesso delle paparude
meridionale) sono due cose distinte, che presentano alcuni isomorfismi a causa delle loro radici culturale
comuni, cioè un’ideologia magico-religiosa arcaica di tipo agrario (Cuceu 1973: 449 e 1988: 131).
Infine, un cerimoniale meno diffuso nei nostri giorni, ormai vicino alla scomparsa, è la
processione per le vie del villaggio di un giovanotto chiamato
Gheorghe/Sângeorzul/Burduhoasa/Goţoiul/Bloaja/Băbăluda ecc., vestito con la vegetazione del bosco,
accompagnato da un corteggio di giovani e bagnato con aqua dai suoi compaesani. L’usanza, ampiamente
attestata nelle culture popolari europee5, è in stretto legame con i riti d’invocazione delle piogge e con le
pratiche magiche per favorire il potere germinativo a tutti i livelli (vegetale, animale, umano).
festa del Misurazione del latte, si vedano la descrizione del cerimoniale negli anni ‘70 in due villaggi di Bistriţa-
Năsăud, Ţagu e Ţăgşor (Badea 1975: 367-369) e le nostre ricerche sui Păpărugi nel contesto del Împreunatu oilor nei
quattro villagi, due dalla regione di Cluj (Geaca e Cămăraşu) e due dal Sălaj (Dragu e Voivodeni). 4 Informazione presa a Vârtop, Roşia Montană (Alba), nei Monti Apuseni (Carpazi Occidentali). 5 Per quanto riguarda le possibili aperture comparatistiche europee, rimandiamo alla bibliografia classica: la
processione del Verde Giorgio in Slovenia, Carinzia, Craina e Russia (Frazer 1992: 157-159. Mannhardt 19042, I:
311-333), fra gli Zingari della Transilvania (Frazer 1992: 157-159), in alcuni villaggi nei dintorni di Trieste ed
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*
La nostra ricerca si sta svolgendo intorno a quest’ultimo cerimoniale, che stiamo seguendo di pari
passo nei documenti degli archivi, nei materiali pubblicati (per le attestazioni dell’usanza nel periodo tra le
due guerre mondiali e nell’immediato dopoguerra) ed anche nella realtà del villaggio romeno di oggi. Nelle
regioni dove il costume è gia fuori pratica cerchiamo una sua ricostruzione tramite le interviste con
interlocutori appartenenti a diverse età, per osservare le trasformazioni e la scomparsa del costume stesso
nel contesto dei cambiamenti socio-economici e politici più grandi, che hanno sconvolto decisamente il
sistema culturale rurale tradizionale6.
Dal punto di vista metodologico, sosteniamo un’approccio che prenda in considerazione sia il
cerimoniale come testo morfodinamico, in collegamento intertestuale con altri testi cerimoniali d’inverno e
di primavera7, che come parte integrante di un contesto storico (sociale, economico, ideologico, politico)8.
isolatamente nella Slovenia, fino al quinto decennio (ap. Gherman 1987: 90). Nella fase attuale della ricerca sul
complesso cerimoniale del Păpălugăra, possiamo soltanto rimarcare i parallelismi ed alcuni isomorfismi possibili
negli usi cerimoniali delle maschere vegetale nel calendario festivo agricolo, nelle culture popolari dell’Europa
meridionale, centrale ed orientale, per poter identificare in seguito le determinazioni specifiche di questo complesso
cerimoniale. Certo, il problema può essere abbordato tanto con parametri diffusionisti e di circolazione culturale
storicamente analizzabile, quanto in termini metastorici (la trasmissione “cognitiva” delle invarianti cerimoniali, in un
contesto prevalentemente orale ricorrendo ai meccanismi della memoria e dell’intertestualità). 6 Si tratta di fenomeni che hanno trasformato radicalmente, dopo 1945, la società contadina dalla Romania: la seconda
guerra mondiale e l’occupazione sovietica, il terrore ideologico del quinto decennio dello scorso secolo, la
cooperativizzazione dell’agricoltura sulla scia del modello sovietico, il continuo pendolarismo e lo spostamento socio-
economico verso la città negli anni ’70-’80, il contributo addiritura a-culturante della politica culturale di Ceauşescu,
l’impatto duro dei mass-media visuali dopo la caduta del regime comunista ed alla fine la migrazione economica
generalizzata dei giovani romeni verso l’Europa Occidentale (più intensa dopo il 2001). 7 Tutti questi cerimoniali e pratiche magico-religiose, calendaristici e familiari, della tradizione culturale del villaggio
preso in considerazione, sono legati intertestualmente in una solidarietà cognitiva, strutturale, archetipica ecc., in virtù
del carattere sistemico dell’“ethos folclorico” (Creţu 1980: 114): i testi folclorici sono costruiti secondo alcune “regole
cognitive” che strutturano il macro-sistema culturale folclorico romeno oppure i microsistemi folclorici regionali e
locali (Neagota 2005: 44-46). La prospettiva morfodinamica sulla vita cerimoniale rurale ci apre anche livelli di
comprensione etnologica: le trasformazioni subite da un costume locale al livello dei protagonisti, dell’abbigliamento
cerimoniale, delle sequenze cerimoniali e degli atti compiuti, così come si succedono da una generazione all’altra
(rintracciabile attraverso interviste con rappresentanti di ogni generazione), in collegamento con lo stesso costume
oppure con altre usanze a carattere stagionale dei villaggi limitrofi o di quelli con cui si hanno rapporti commerciali; le
trasformazioni del cerimoniale. 8 Ad un altro livello cognitivo, il problema delle trasformazioni morfodinamiche del costume è meso in riferimento
alla dinamica sociale dei gruppi umani che sostengono il cerimoniale: allora ci interessa la relazione tra i cerimoniali
stagionali e la loro base sociale costante, cioè il gruppo cerimoniale dei giovani (la “schiera dei giovani”), che
amministrava o amministra ancora questi costumi (le confraternità di canti natalizi, le società paramilitari di tipo
tradizionale, i sodalizi arcaici del tipo dei Căluşari) ed riti di passaggio (riti pubertari, riti prenuziali). La schiera
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In questo quadro, precisiamo che la ricerca sul campo relativamente alle maschere vegetale, cominciata da
noi proprio nel 2004 in Muncel e continuata sistematicamente in una ricerca di tipo rete, con i membri
della nostra associazione etnologica, è ancora in corso, tanto che il nostro discorso si limiterà a quegli
aspetti trattati da noi fino ad oggi ed qualche zone unitarie. Nonostante la nostra intenzione sia quella di
superare la dicotomia tra la ricerca testuale (morfologica, strutturalista) e quella contestuale (la sociologia
dei costumi calendarisitici), allo stadio attuale delle ricerche (vista la natura del materiale etnologico a
nostra disposizione) dobbiamo limitarci ad un’analisi prevalentemente morfologica. La diacronia non viene
messa tra parentesi, ma assunta in una prospettiva metastorica, tramite una morfodinamica integrante
(Culianu 1998: 8-9, 22-28), insufficiente però se non viene contestualizzata.
Poi, le interviste audio e video sono supportate da un approccio antropologico-visuale, cioè dalla
riproduzione su scanner delle fotografie provenienti dagli archivi personali degli interlocutori,
accompagnate dai commenti esplicativi. Nei pochi paesi dove il cerimoniale è ancora celebrato,
l’investigazione si concentra sulla realizzazione di fimati in situ del cerimoniale nelle sue diverse fasi.
Un altro aspetto è costituito dalla relazione intertestuale assai intensa fra le cerimonie stagionali di
primavera e d’estate. In questo senso, una ricerca concentrata sul cerimoniale del Păpălugăra non può
essere fatta isolatamente, ma solo in relazione alle altre usanze contadine (il Bue incoronato, l’Aratore, il
Sangiorgio, le Sânziene, la Corona della messe) e ai fattori contestuali menzionati sopra. Così,
“cartografare” una regione assai vasta non cerca una descrizione di tipo morfologico, attendibile in una
monografia statica, ma solo una radiografia morfodinamica di questi costumi negli ultimi 70-80 anni. La
ricerca archivistica (includiamo qui anche gli archivi particolari, fotografici o videoregistrati, le fotografie
con i Păpălugăre dagli archivi dei contadini dei villaggi esaminati) è rafforzata da una ricerca svolta dai
gruppi di ricercatori del Centro Orma di Studi Etnologici e Storico-Religiosi, per cogliere le tradizioni
stagionali nelle loro varie articolazioni intertestuali e contestuali.
Non possiamo dare una spiegazione generale nè sulle circonstanze che hanno portato alla
scomparsa del costume nella maggior parte dei villaggi, perché la motivazione varia da un posto ad altro,
nè sulla sua “sopravvivenza” in alcune località, che si presenta in una sorta di sistema insulare o di
arcipelago. Il fatto che ci ha colpito è innanzitutto il carattere profondamente locale del cerimoniale del
Păpălugăra: gli attanti cerimoniali e gli abitanti di ciascun villaggio vivono con la coscienza della quasi-
unicità e specificità esclusiva di questo costume, come se fosse realizzato soltanto in quel luogo e
nonostante sappiano dell’esistenza di un cerimoniale simile in altri villaggi, considerano la propria
tradizionale di giovani si è trasformata progressivamente nel Novecento, fino all’occultamento o la scomparsa dei
cerimoniali stagionali. Nello stesso tempo, in seguito all’attenuarsi del legame di solidarietà tra generazioni, i
meccanismi tradizionali di trasmissione dei costumi hanno cominciato a presentare alcune disfunzioni, fino alla rottura
attuale (il disinteresse dei giovani per la tradizione culturale locale). Il nouvo contesto storico del dopoguerra (la
sovietizzazione della Romania negli anni ’50, il nazional-comunismo di Ceauşescu negli anni ’70-’80, la migrazione
economica interna ed esterna, la turisticizzazione di alcuni cerimoniali agricoli, le manipolazioni politiche dei
cerimoniali dopo 1990, l’impatto dei mass media ecc.) ha avuto un impatto decisivo sulla vita cerimoniale rurale della
Romania.
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variante come “la più bella” (cea mai faină). Infatti, una delle possibili spiegazioni della freschezza
straordinaria del costume è la sua non-inclusione, nel periodo della rivoluzione culturale nazionalista-
comunista promossa da Ceauşescu, nella sindrome dei movimenti culturali ed ideologici di massa (il
fenomeno del “Cantare la Romania”), una cosa che gli ha permesso di mantenersi in una forma
relativamente “tradizionale”. Questa sfida del regime nei confronti del cerimoniale lo ha protetto da una
morte subita per via della spettacolarizzazione, conservandolo nella sua finalità primaria, quella
comunitaria. Laddove esso è sparito, “la richiesta sociale” era troppo debole o addirritura inesistente nelle
giovani generazioni. Questo cerimoniale, come gli altri, è dipendente dalla presenza dei giovani nel luogo e
dalla loro motivazione cerimoniale.
La documentazione archivistica esistente9, che ci interessa per la nostra attuale ricerca, si riferisce
alla parte centrale (la Valle del Arieş e la regione di Alba) ed alla metà settentrionale (le Valli di Someşu
Mic, Someşu Mare e Lăpuş) della Transilvania: per il Novecento (specialmente il periodo interbellico)
abbiamo varie descrizioni, più o meno dettagliate10. La nostra ricerca sul campo circoscrive il costume in
qualche regioni diversi: la Valle del Someş (Muncel, Câţcău, Sălişca ecc.)11; la regione di Dej (Codor12 e
Nireş13); la Valle del Someşu Mic (Ţop/Pădurenii, Mintiu Gherlii, Mănăstirea) e la Valle del Ţibleş, a circa
30 km di distanza (Căianu Mic e Căianu Mare), dove la processione con maschere vegetale accompagna il
cerimoniale del Bue Incoronato di Pentecoste14; la Valle del Arieş (Buru15); le regioni di Alba
9 Si tratta di due manoscritti del Museo Etnografico della Transilvania, del materiale raccolto nell’ambito delle
ricerche dell’Atlante Linguistico Romeno (la questione no 4251), dei documenti dall’Archivio del Folklore
dell’Accademia Romena di Cluj – la descrizione del cerimoniale in 18 località (alcune delle aree del Someş e di Cluj)
e dei documenti dell’Archivio personale di Traian Gherman, che riguardano il cerimoniale in 90 località. Tutto questo
materiale è stato raccolto nel quarto decennio (1932-1939) tramite questionari postali (Cuceu 1981: 205-206). Per gli
anni 2000, abbiamo raccolto un materiale etnografico-visivo assai ricco in alcune regioni (la Valle di Someş, la
regione di Cluj, la Valle di Arieş, la regione di Alba, Sălaj), che si trova nell’Archivio del Centro Orma di Studi
Etnologici e Storico-Religiosi (COSEIR) di Cluj-Napoca. 10 Frâncu e Candrea 1888: 129. Densuşianu 1896, ap. Fochi 1976: 305-306. Hasdeu Téglás 1910: 1910, 243-246.
Gherman 1924: 25, 57-59 e 1986: 89-118. Viciu 1926: 53-55. Cosma 1933: 40. Lazăr 1977: 57-60 ecc.) e alcuni saggi
etnologici sistematici (Rădulescu 1938: 148-155. Retegan 1957: 38-49. Cuceu 1973: 449-450 e 1981: 201-214. Badea
1975: 367-369. Gherman 198710: 89-118. 11 Il cerimoniale del Sangiorgio svolto in Muncel è monitorizzatto da noi con mezzi etnografico-visivi cominciando
dal 2004: 2004 (Bogdan Neagota, Ileana Benga); 2005 (Bogdan Neagota, Cosmina Timoce, Anamaria Iuga, Levente
Arany); 2006 (Ileana Benga, Mădălin Amzolini); 2007 (Bogdan Neagota, Cosmina Timoce, Mihai Leaha, Anamaria
Iuga); 2008 (Mihai Leaha, Adina Tulai), 2009 (Ileana Benga, Bogdan Neagota, Olimpiu Drăgan). 12 Il cerimoniale dei Goţoi di Pentecoste di Codor è stato monitorizzatto da noi con mezzi etnografico-visivi nel
periodo 2005-2007: 2005 (Bogdan Neagota, Ileana Benga); 2006 (Bogdan Neagota); 2007 (Ioana Mureşan). 13 Il cerimoniale dei Păpărugi di Ispas è monitorizzatto da noi con mezzi etnografico-visivi cominciando dal 2008
(Bogdan Neagota, Mihai Leaha, Adela Ambruşan, Vasile Mathe). 14 Per l’elenco delle nostre ricerche sui Buoi cerimoniali di Pentecoste si veda il sito internet del Centro Orma di Studi
Etnologici e Storico-Religiosi: www.orma.ro (Archivio – Le feste di primavera).
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(Măhăceni16, Limba17) e di Cluj (Şoimeni18); il Păpălugăra alla festa della Misurazione del latte19. Finora,
ci abbiamo concentrato sulla metà settentrionale della Transilvania, dove il costume si è mantenuto
relativamente attivo fino agli anni ’80, per entrare nella sua fase terminale negli ultimi 10 anni. I villaggi
menzionati comprendono aree più estese, che devono essere investigate sistematicamente, per circoscrivere
la morfodinamica regionale del costume, assieme alle sue particolarità locali.
Nella fase attuale della ricerca non possiamo avanzare considerazioni di ordine tipologico sulle
aree nelle quali se estende il costume, sulla base di alcune sequenze cerimoniali ricorrenti e del periodo
della celebrazione compreso fra l’equinozio di primavera ed il solstizio d’estate. Osserviamo, però, sulle
tracce delle considerazioni di Gherman, la differenza primaria fra le varianti più semplici del costume
(attestate nei villaggi dove il cerimoniale viene praticato independentemente) e le varianti mescolate agli
altri costumi ovvero prodotte tramite la stratificazione di due usanze (Gherman 1987: 98). Questi ultimi
tipi cerimoniali sono espressioni dell’isomorfismo morfologico tra il cerimoniale del Sangiorgio e gli altri
costumi agrari di primavera, L’aratore (Plugarul) ed Il bue incoronato (Boul împănat/înstruţat), d’estate
(Le Păpărude – un cerimoniale d’invocazione magica della pioggia) o d’inverno (le danze con maschere a
Capodanno), con i quali si intreccia. In tutti questi casi si osserva la migrazione di alcuni invarianti
cerimoniali e gesti rituali così come del giorno di celebrazione, da un costume all’altro, nell’ambito del
periodo circoscritto del solstizio d’inverno, dell’equinozio di primavera ed del solstizio d’estate. Questi
movimenti hanno, come si vedrà, un carattere profondamente sistemico, che si basa sui meccanismi interni
dell’ethos folklorico, sotteso da un’“intenzionalità cosciente e lucida” (Creţu 1980: 111). Essendo
strutturalmente un “microsistema del macrosistema della cultura tradizionale”, il costume si manifesta
come una realtà culturale dinamica e aperta a tutti gli influssi all’interno e fuori dall’ethos (Creţu 1980:
98).
Per l’illustrazione di questi processi culturali presenteremo alcuni tipi processionali del
Sangiorgio, visti in un approccio unitario (“sintagmatico”), che permetta di rintracciare i paradigmi e
comprendere i significati di ogni pratica cerimoniale nella sua dinamica morfologica e storica (Pop 1976:
5).
15 La Băbăluda di Sangiorgio è monitorizzatta da noi etnologicamente cominciando dal 2005: 2005 (Bogdan Neagota,
Ileana Benga); 2006 (Bogdan Neagota, Mihai Leaha); 2007 (Bogdan Neagota, Mihai Leaha, Anamaria Iuga); 2008
(Mihai Leaha, Adina Tulai, Mihaela Giurgiu); 2009 (Ileana Benga, Bogdan Neagota. Mihai Leaha, Mihaela Giurgiu). 16 La Băbăluda di Sangiorgio è monitorizzatta da noi dal 2008: 2008 (Bogdan Neagota, Anamaria Iuga, Adela
Ambruşan); 2009 (Emil Chitian). 17 La Borbolatiţa di Sangiorgio è monitorizzatta da noi dal 2007: 2007 (Ileana Benga, Mădălin Amzolini); 2008
(Vasile Mathe); 2009 (Mihai Leaha). 18 Il Păpălugăra di Şoimeni, è monitorizzatta da noi dal 2008: 2008 (Mihai Leaha), 2009 (Anamaria Iuga). 19 Le ricerche sul campo sono state svolte dal 2007: Geaca – 2007 (Bogdan Neagota, Ileana Benga, Mădălin
Amzolini) e 2009 (Bogdan Neagota, Adela Ambruşan, Emil Chitian); Cămăraşu – 2006 (Cosmina Timoce, Mădălin
Amzolini, Anamaria Iuga), 2007 (Ileana Benga, Bogdan Neagota, Mihai Leaha) e 2009 (Ileana Benga, Bogdan
Neagota, Anamaria Iuga); Voivodeni – 2008 (Ioan Augustin Goia, Adela Ambruşan, Vlad Gheorghiţeanu) şi Dragu –
2008 (Bogdan Neagota, Adela Ambruşan).
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*
Cominciamo quindi con la descrizione di un cerimoniale autonomo di Sângeorz, come si fa ogni
anno nel villaggio di Muncel (comune di Câţcău, regione del Someş). Le varie tappe sono inquadrate nel
contesto festivo dei due giorni (la vigilia e la festa)20.
I. Nella vigilia della festa di Sangiorgio, alcuni paesani escono dal villaggio e portano rami di rosa
canina e di salice, i quali vengono fissati sugli ingressi dei cortili e sulle porte delle stalle per proteggere il
bestiame (le mucche, le pecore ecc.) contro le aggressioni magiche (il furto del latte oppure della “manna”
da parte delle streghe). In 2004, uno dei protagonisti di questo rituale in Muncel, una donna 58 anni, Lucia
Birtaş, precisava brevemente la funzione della rosa canina: “per pungere con le spine le streghe quando
vengono a rubare il latte!”. Oggi, la maggioranza di coloro che rispettano il costume, lo fanno in virtù della
tradizione, senza conoscere davvero il significato magico della pratica. Ma le pratiche apotropaiche
vegetali della festa di Sangiorgio sono generali ed ancora praticate in Transilvania.
II. Nello stesso pomeriggio, i fanciulli portano in cima al colle pneumatici consumati di
automobili, raccolti nell’ultimo periodo di tempo. Alla sera, dopo il tramonto, si radunano i giovani su uno
o due colli diversi e accendono un fuoco gigantesco, si siedono intorno al fuoco e poi incomincia il vero
grido, che consiste nella “chiamata” satirica delle zitelle e degli uomini non sposati ai quali vengono
attribuiti dei possibili ovvero ridicoli compagni di vita con i quali non hanno niente in comune21.
L’intenzione satirica è palese, simile a quella delle battute grottesche durante le nozze (le strigături), però
qui ha una struttura dialogica: si tratta di un dialogo ritmato fra due gruppi di giovani, posti su due colli
vicini.
Negli ultimi anni, quando la maggior parte dei giovani del paese sono partiti per lavorare
all’estero, i giovani rimasti si sono raggruppati sullo stesso colle, per sostenere insieme l’intero dialogo:
“Voi, di là!” (“Băi!”) “Che cosa?” (“Ce-i?”) “Piselli alla parete/ Si adattano proprio bene!” (“Mazăre-n
părete,/ Bine li să şede!”) “A chi?” (“La cine?”). Poi viene la battuta vera e propria: “A questa (N*) con
questo (N*)!”. E aggiungono nello stesso stile scherzoso: “Maiale e porcile, / Zappa e vanga” (Porcu şi
coteţu, / Sapa şi hârleţu!) (cioè coloro che vengono chiamati a voce alta vanno insieme come i termini di
paragone citati). Sotto, nel villaggio, la gente ascolta le “gridate” dei giovanotti e si diverte. Le gridate
vengono prolungate oltre la mezzanotte, dopo di che i giovani danno fuoco agli pneumatici e li lanciano
giù per il pendio del colle. Una volta venivano usate le ruote di legno dei carri ai quali erano attaccate torce
di paglia. Anni fa, il grido dal pendio (strigatul din coastă) era rivolto anche alle streghe che rubavano il
latte delle mucche e la “manna” dal campo (di grano), visto il carattere profondamente magico della notte
di Sangiorgio. Oggi, la funzione dello “smascherare” le streghe è stata assunta in alcune regioni (per
20 Le osservazioni risalgono dalle nostre ricerche sul campo a Muncel (all’incrocio delle aree etnografiche di Cluj e
Sălaj), svolte nel periodo 2004-2009. 21 Nelle varianti tradizionali della gridata al di sopra del villaggio, la partecipazione a questo rituale era proibito alle
donne ed alle fanciulle.
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esempio, nel sud dei Carpazi Occidentali22), dal prete, che menziona nell’omelia natalizia o pasquale la
presenza nel villaggio di tante streghe (indica il loro numero, non certo i nomi), esortandole a non rubare
più la “manna”, perché è peccato mortale.
III.1. La mattina della festa di Sangiorgio (una volta cominciava prima dell’alba), prima che
finisca la Messa, i giovani (ma non le ragazze, perché la loro presenza non è accettata), senza neanche
andare in chiesa, si radunano in uno dei boschi al confine del villaggio e cominciano a tagliare rami di
faggio (o di betulla, sulla valle del Arieş) per vestire il Sangiorgio (Sângeorz)/Giorgio (Gheorghe) (questo
è il nome cerimoniale del’attante, che viene scelto tra i giovani più robusti, perché è necessaria la forza
fisica per portare gli ornamenti attraverso l’intero villaggio). I bambini e i ragazzi raccolgono i rami,
strappano i ramoscelli e si confezionano dei piccoli pifferi (flişcoaie) e delle grosse buccine (buciume) con
la corteccia degli alberi (ormai questa pratica è caduta in disuso a causa delle difficoltà della lavorazione),
mentre i ragazzi più grandi abbigliano il Sangiorgio. La tecnica dell’abbigliamento si vede nelle immagini
del filmato: essa segue il modello delle squame di pesce, così che l’acqua scorra e non appesantisca troppo
l’attrezzatura. Giorgio viene tutto coperto da ramoscelli ed è dotato di una coda attaccata con un filo di
ferro perché rimanga in posizione eretta e di una clava (oppure una lunga verga con un mazzo di ortiche
sulla punta, nella valle dell’Arieş) con la quale deve difendere il suo abbigliamento vegetale per non essere
derubato da quelli che vogliono strappare rami verdi senza pagare un pegno. Due ragazzi vanno a
scortecciare un albero (di solito un ciliegio silvestre oppure un carpine) per confezionare una maschera,
cioè un elmo in cima al quale si mette un ciuffo di ramoscelli di faggio (un mazzo di ortiche invece, nella
valle dell’Arieş).
III.2. Dopo la vestizione, il Sangiorgio viene appoggiato su due pertiche di legno ed è portato fino
in cima al colle sdraiato sul dorso, fingendo la sua morte temporanea. Là aspettano le ragazze, alle quali
viene proibita la partecipazione alla vestizione del Sangiorgio e viene tenuta nascosta la sua identità;
infatti, vista la scarsità di giovani, tutti sanno chi è il Sangiorgio di quell’anno. Lì viene rimesso in piedi
dai membri del corteo e fa il suo ingresso nel villaggio sulle proprie gambe, marciando con una certa
gravità cerimoniale scortato dalle grida degli accompagnatori e dal fischio dei pifferi (flişcoaie).
III.3. La processione del Sangiorgio segue la via principale del villaggio ed il corteo aumenta
strada facendo, da una casa all’altra. Gheorghe non ha il permesso di parlare (è ammutolito) ed i ragazzi
attorno a lui gridano periodicamente: “Chi non bagna Sangiorgio/ Che non abbia fortuna coi porci!” (“Cīne
nu udă Sângēorzu / Să n-aībă norōc la pōrci!”). Da ogni cortile viene fuori qualcuno che cerca di tirar via
un ramoscello dall’abbigliamento vegetale del Sangiorgio, visto che possiede delle facoltà magiche:
quando si va al mercato con un’animale da vendere, questo viene toccato con il ramoscello strappato
dall’abbigliamento del Sangiorgio per avere numerosi compratori (“Si affollino i compratori a
quest’animale come si affolla la gente al Sangiorgio!”). Per questo ramoscello si deve dare in cambio un
po’d’acquavite ovvero una cifra simbolica di denaro (di solito da 10 000 a 20 000 lei, cioè da 25 a 50
centesimi di euro) che è ricevuta dal cassiere accanto a Gheorghe; nella contea di Alba (villaggio Limba,
comune di Ciugud), Borbolatiţa (la variante locale del Sangiorgio) riceve delle uova (Muntean e Sabău
22 Ibid.
413
2004). In altri villaggi della contea di Sălaj – Chinzeni, Călacea (Gherman 1987: 100-101), il Giorgio
ballava davanti ad ogni casa. A ogni portone, il corteo viene aspettato dai padroni con un secchio d’acqua
che è gettato in testa al Giorgio ed all’improvviso anche in testa alle altre persone intorno, gesto che
scatena spesso un lancio di acqua generalizzato (gli anziani bagnano le donne della stessa età, i giovanotti
di solito le ragazze o viceversa, i fanciulli bagnano le ragazzine e così via).
III.4. La scena si ripete decine di volte fino al confine del villaggio dove, accanto al ruscello, si
esegue la spoliazione del Sangiorgio: Gheorghe si sdraia sul dorso, il suo vestito vegetale viene strappato
assieme all’elmo di corteccia, ed entrambi vengono calpestati ed abbandonati sul posto (perché il potere
magico di quel vestito sia annullato), la sua clava invece viene gettata lontano. In altri paesi, sulla valle del
Someşul Mic, il Sangiorgio è gettato nell’acqua e poi viene spogliato in riva al ruscello (Cuceu 1981: 212-
213) oppure è svestito in un campo seminato, dove sono dispersi i rami e le foglie per stimolare la
fecondità vegetale (Rădulescu 1938: 153-154) o per la difesa magica del raccolto dagli uccelli e del grano
dal carbonchio (Cuceu 1981: 212); a Fodora, le donne raccoglievano le foglie dall’abbigliamento del
Sangiorgio conservandole come medicina per la malaria (Gherman 1987: 101) mentre in altre località i
ramoscelli erano rubati/presi dai partecipanti al rito finale e portati a casa, dove si mettevano sul semenzaio
per la protezione delle pianticelle di cavolo dalle pulci (Cuceu 1981: 213). I giovani vanno poi in riva
all’acqua, dove l’attante principale si mette addosso un abito asciutto, visto che alla fine della processione
è interamente bagnato, e bevono dall’acquavite ricevuta dalla gente. Poi vanno a spendere insieme
all’osteria i soldi raccolti, giocano a pallone e verso sera vanno in discoteca. Anni fa, si organizzava un
ballo nel pomeriggio del Sangiorgio ed un banchetto della gioventù del villaggio.
*
Il secondo esempio si riferisce ad un cerimoniale processionale sincretico, situato all’incrocio tra
la Păpălugăra di Sangiorgio23 e l’Aratore (Plugarul), un’usanza che festeggiava il primo uomo del
villaggio uscito per l’aratura ed era celebrato nella stessa festa del Sangiorgio (nella Valle del Someş) o a
Pasquetta (in altre aree etnografiche della Transilvania). Qui, le due usanze, L’Aratore e La Păpălugăra
sono confluite in un cerimoniale complesso celebrato a Sangiorgio. Di consequenza prevalgono le pratiche
specifiche del Sangiorgio, mentre L’Aratore gioca un ruolo secondario “nell’insieme del rituale” (Gherman
1981: 184): a casa dell’uomo che è uscito per primo in quell’anno con l’aratro viene un giovane vestito con
paglia e rami verdi, accompagnato da ragazzi e ragazze, con suonatori di strumenti musicali che vengono
accolti e serviti tutti quanti, come auspicio di un buon raccolto (Kádár 1900/VI: 302, ap. Gherman 1981:
184). Per illustrare questo sincretismo cerimoniale presentiamo brevemente la descrizione dell’uso in
alcuni villaggi nella Valle del Someşul Mare, verso la zona di Lăpuş (cioè i villaggi Jichişu de Sus, Şigău,
Căşeiu, Vale, Ciubăncuţa, Escu, Feleac e.a.), così come è stato praticato fino agli anni ’50 (Gherman 1981:
184-186):
23 Păpălugăra/Papaluga (nella regione delimitata dalle Valli del Someşu Mare e del Lăpuş) e Goţoiul (in alcuni
villaggi della Valle del Arieş) sono varianti regionali del Sângeorz presentato sopra. Questi cerimoniali sono stati
praticati fino agli anni ’60 – ’70 dello scorso secolo.
414
1. Il travestimento di un giovane nel bosco, nella notte della vigilia di Sangiorgio, da parte della
schiera dei giovani: un’abbigliamento di foglie verdi, cucite sugli abiti con filo confezionato dalla corteccia
di ciliegio più una maschera fatta con la corteccia di ciliegio posta sul viso con foglie verdi cucite sopra
(Jichişu de Sus) / un’elmo fatto con corteccia di ciliegio / tiglio sul viso con delle foglie verdi e con delle
aperture corrispondenti agli occhi, al naso ed alla bocca (Vale).
2. L’ingresso di Păpăluga/Păpăluhăra nel villaggio, accompagnato da tutti i giovani, che
l’aspettano al limite dell’abitato, dopo l’uscita dalla chiesa e l’aspersione di esso con acqua davanti a tutte
le porte. Nel villaggio di Vale (dove il costume è stato praticato fino all’introduzione del nuovo
calendario), Păpălugăra veniva circondato da moltissimi ragazzini travestiti da Goţoi (vestiti con abiti
rovinati e con la faccia sporca di fuliggine, ognuno con un lungo palo in mano sulla cui punta si trova una
palla di panni – in romeno regionale motroaşcă – piena di cenere, con il quale colpivano tutti quelli che
osavano avvicinarsi troppo al Păpălugăra). Il corteo comprendeva ancora altri personaggi: un ragazzo
vestito da pastore (păcurar < lat. picurarius), con un bastone in mano ed una sacca fatta con corteccia,
legata intorno al collo e tenuta dietro la testa + le pecore (i bambini); un ragazzo travestito da prete,
mascherato con corteccia d’albero, che porta il Vangelo + un diacono con un libro di corteccia + un
sagrestano (făt) con un turibolo di corteccia; due tamburini (romeno regionale dobaşi) + due o quattro
gendarmi con sciabole e fucili di legno di nocciolo; suonatori di buccine (in romeno buciumaşi) con
strumenti di corteccia ed un flautista (in romeno regionale flotaş); un giovane travestito da serva (ancilla)
con un canestro in mano. La sceneggiatura sviluppata davanti a ogni portone parodiava la lettura del
Vangelo da parte del prete (popa) con un ragazzo mascherato da spazzacamino (goţoi), nascosto sotto la
pianeta, le risposte del diacono ed il movimento del turibolo verso il goţoi da parte del sagrestano. Ogni
tentativo di bagnare il prete veniva punito dal goţoi, che colpiva il temerario con la palla piena di cenere. Il
prete riceveva soldi dai padroni di casa, la serva invece raccoglieva delle uova.
3. L’itinerario di Păpălugăra finisce davanti al portone di colui che era uscito per primo nel
campo per arare. Tutta la gente entra nel cortile, dove sono condotti all’aperto tutti gli attrezzi per arare.
Sei ragazzi di quelli che avevano abbigliato il Păpăluhăra si mettono sulle spalle il giogo dell’aratro e
tracciano un solco in mezzo al cortile (Jichişu de Sus). In un altro villaggio, il Păpăluga prende la guida
dell’aratro mentre alcuni giovani danno in pegno l’aratro all’osteria del villaggio per due o tre litri
d’acquavite (Căşeiu). In Ciubăncuţa (dove l’uso è sparito molto prima del 1953), se il primo aratore non
voleva ricevere ed ospitare il Păpălugăra ed il suo corteo, gli venivano tolti l’aratro e le rotelle e pignorate
all’osteria in cambio di bevande. In Feleac (1953), una volta bagnato il Păpălugăra nel cortile del primo
aratore, questi offriva un ricevimento per l’intero corteo. L’abbigliamento vegetale del Păpălugăra era
conservato per il giorno dopo, per essere posto sull’aratro, sul giogo e sulle corna dei buoi, quando si
usciva in processione fino al limite dell’abitato; questo abbigliamento veniva gettato poi a forma di croce
sopra i campi seminati. Nel villaggio di Vale, l’ultimo padrone di casa visitato era il primo aratore del
villaggio, che aspettava il corteo con l’aratro già piazzato nel cortile, con violinisti e bevande: si
dsipongono tutti in un grande circolo ed il padrone balla con il Păpălugăra seguendo il ritmo della musica,
ma non lo bagna, sparpagliandogli invece grano sulla testa durante la danza. Finita la danza, il padrone
415
porta il Păpălugăra e le altre persone mascherate nel fienile o nella stalla e le spoglia del loro
abbigliamento vegetale, che viene disposto sull’aratro (e dopo la festa è messo sull’erpice e sulla
mangiatoia).
4. La rimozione della maschera del Păpăluhăra nel cortile, sotto gli occhi di tutti e l’invito a
tavola per il Păpăluhăra ed il suo corteo.
*
Nella Valle del Someşu Mic, il cerimoniale del Păpăruga interferisce con il complesso
cerimoniale del Bue incoronato (Boul împănat) che si svolge alla Pentecoste. Esamineremo quattro
cerimoniali, ai quali abbiamo partecipato negli ultimi anni, due nella Valle del Someşu Mic (Mănăstirea e
Mintiu Gherlii) e due nella Valle del Ţibleş (Căianu Mare e Căianu Mic).
Così, a Mănăstirea (comune di Mica, provincia di Cluj), abbiamo osservato per sette anni di
seguito (2003-2009) la festa del Bue incoronato, che presenta due componenti principali: il cerimoniale
dell’abbigliamento e la processione del Bue, da una parte, e dall’altra, la presenza di alcune persone
mascherate, Il Portatore di foglie (Frunzarul), alias Păpălugăra, e i Portatori di cenere (Cenuşoarcele),
isomorfi con i Goţoii del villaggio di Vale, che proteggono il Portatore di foglie contro il lancio di acqua
con l’aiuto di qualche lungo palo. Il ruolo dei Cenuşoarce è ricoperto da alcuni ragazzi, vestiti con abiti
stracciati e mascherati oppure con la faccia nera di fuliggine, armati ognuno di un palo lungo che ha sulla
punta una calza piena di cenere. L’altro personaggio, il Frunzar, è interpretato da un giovane coperto
interamente da una struttura di rami e fogliame a forma di campana.
Secondo le descrizioni più vecchie dell’usanza, dalla fine degli anni ‘60 (Pavelescu 1977: 281-
288. Nicola 1982: 537-553), i Cenuşoarce partecipavano in pieno alla processione del Bue incoronato
accompagnati da due personaggi oggi scomparsi24, con la funzione di difendere il Bue ed il Frunzar dagli
altri partecipanti al cerimoniale, i bagnatori (udătorii), che cercano di bagnare i protagonisti con secchi
pieni d’acqua. Il corteo del Bue incoronato cresce man mano che la processione avanza. I paesani escono
per bagnare il Bue ed il Portatore di foglie, ma i Portatori di cenere si oppongono con i pali colpendo con
la calza piena di cenere, così che alla fine scoppia una battaglia tra i bagnatori ed i Cenuşoarce, che hanno
anche il compito di spaventare la gente e chiedere una tassa di passaggio.
L’intero corteo viene annunziato e preceduto da cavalieri (călăreţi), due ragazzi, una volta
mascherati con corteccia di quercia e di pioppo (prima del 1967), oggi in completo abito popolare o in abiti
comuni, che montano cavalli ornati con una piccola corona di fiori (romeno regionale peană), simile a
quella del bue. Attualmente, la sequenza cerimoniale segnalata dall’apparizione dei Cenuşoarce e del
Frunzar viene distinta dalla processione vera e propria del Bue incoronato, visto che la precede: quando il
bue è quasi pronto, nella parte dell’itinerario che attraversa il centro del villaggio di Mănăstirea, fanno il
24 Il così-detto Grande Puttaniere (Curvoiul) e la Puttana (Curva), personaggi spariti prima del 1967: un giovane
mascherato portava sulle spalle un manichino feminile fatto di panni e paglia, la Curva, che ogni tanto abbracciava e
baciava, osando addirritura simulare l’atto sessuale.
416
loro ingresso i Cenuşoarce ed il Frunzar, che percorrono più volte quella porzione del cammino, circondati
dalla gente, mentre cercano di evitare i secchi d’acqua che sono gettati loro addosso all’improvviso.
É davvero significativa l’attestazione, nell’ambito della stessa zona del comune di Mica, del
cerimoniale dei Păpărugi, celebrato nel villaggio di Nireş alla festa dell’Ascensione di Cristo (romeno
Ispas/Înălţare), nella quale atti rituali simili25 sono eseguiti indipendentemente dalla cerimonia del Bue
incoronato. Infatti, in questo villaggio, il cerimoniale del Bue non è conosciuto, non si è mantenuto nella
memoria passiva degli anziani e non disponiamo di documenti di archivio che ne attestino la presenza
prima della prima guerra mondiale. Nireş è un villaggio misto, romeno-ungherese ed l’usanza romena è
stata acquisita anche dagli ungheresi; all’inizio veniva celebrata all’Ispas, poi è stata scelta una domenica
vicina a Ispas, conveniente per entrambe le comunità etniche (visto che la data della festa dell’Ascensione
varia secondo la data della Pasqua, differente per ortodossi, cattolici e protestanti). Il costume è stato
praticato fino agli anni ’90; poi ci sono stati ancora alcuni tentativi senza successo di risuscitarlo da parte
di Virgil Medan, un etnomusicologo dall’Istituto “Archivio del Folclore” di Cluj, che è originario di
Nireş26. Il cerimoniale dei Păpărugi è stato ricostituito poi dalla comune di Mica, cominciando dal 2008,
alla festa delle Pentecoste.
Nel villaggio di Mintiu Gherlii, il cerimoniale del Bue incoronato è migrato da Ţop/Pădurenii
negli anni ’70 assieme ai giovani trasferitisi da un villaggio isolato tra le colline nel centro abitato
principale. Poi, negli anni 80, nelle ambedue località, in Ţop ed in Mintiu, il costume dei Păpărugi della
25 Le tappe del cerimoniale delle Păpăruge a Nireş, nel 1976, erano le seguenti (Lazăr 1978: 57-60): (1) Le due file di
Păpărugi, “coloro che chiedono la pioggia”, cioè una schiera di circa 40 giovani vestiti in cortecce di ciliegio, con
maschere, elmi forniti ciascuno di una secchia d’acqua come arma difensiva, procedono sulla strada principale. Tra le
due file di Păpărugi avanza il frunzar/goţoi (protetto massiciamente con rami di quercia), cioè una maschera portata
da un giovane che nasconde la sua identità. (2) La folla intorno prende in giro le Păpărugi e viene da queste bagnata.
Ne risulta una “battaglia” dell’acqua fra il Frunzar e le Păpărugi (che difendono il Frunzar) da una parte e la gente
sui margini della via e nei cortili dall’altra, che prosegue fino al ponte situato al margine inferiore del villaggio. (3)
Dietro al Frunzar ed alla guardia delle Păpărugi si presenta la Turca accompagnata da due maschere, il marito e la
moglie, e la banda (taraful) di suonatori di corde – primo violinista, un altro violinista che risponde al primo ed un
violoncellista (in romeno primaş, contraş e gordonaş); raramente un suonatore di piffero) che suona continuamente la
melodia tradizionale delle Păpărugi (Medan 1968: 7, 139 – la melodia nr. 126: le Păpăruge di Nireş). Questo corteo,
seguito dalla folla, si ferma a ogni portone ed i padroni di casa lo accoglie con dei soldi gettati in terra, da dove
vengono raccolti con il muso dalla Turca e consegnati per essere conservati alla moglie, che a sua volta li da al marito
per metterli nella tasca della tunica (romeno regionale laibăr); personaggi simili sono presenti nel corteggio del Bue
coronato nel villaggio di Mănăstirea (Nicola 1982: 537-553). (4) La festa continua al centro culturale (romeno
căminul cultural) con la danza. 26 È necessario osservare anche il coinvolgimento degli intellettuali locali nella realizzazione del costume sottoposto
talvolta al tentativo di stravolgerlo e di trasformarlo in uno spettacolo folcloristico. Il fenomeno ha dei precedenti nella
cultura dei romeni della Transilvania nel XIX secolo, quando alcune associazioni culturali (come L’Astra di Sibiu) si
sono impegnate attivamente nel riportare in vita alcuni costumi che stavano per sparire (I Căluşeri dall’Altopiano
della Transilvania) e nella manipolazione ideologica di altri, nel contesto del movimento di emancipazione dei romeni
transilvani.
417
festa dell’Ascensione ha migrato verso le Pentecoste, diventando un cerimoniale satellite presso il
complesso cerimoniale del Bue coronato pentecostale. Il ragione di questa migrazione cerimoniale e molto
semplice: il Giovedi dell’Ascensione era ed è ancora giorno lavorativo, e la maggior parte della gente e
partita dal villaggio per lavoro, mentre che le Pentecoste sono celebrate Domenica. Cosi, negli ultimi 30
anni, il complesso cerimoniale del Bue coronato includeva anche la processione dei Păpărugi della festa
dell’Ascensione, organizzata dai ragazzi di meno di 18 anni. I Păpărugi (interpretati dagli adolescenti e dai
ragazzi con pettorali e visiere confezionati con legno di ciliegio) ed il Goţoi (un ragazzino vestito
interamente di fogliame) seguono il corteo del Bue incoronato, difendendosi con lunghe verghe contro la
folla che cerca di bagnarli.
A Mintiu Gherlii, fino agli anni ’80, la processione del Păpălugăra si faceva nella festa
dell’Ascensione e veniva organizzata dai giovani reclutati nella primavera di quell’anno: questi
impegnavano in anticipo due uomini, il Păpălugăra e la Chioccia (romeno Cloşca), poi andavano nel
bosco, dove confezionavano cinque elmi con corteccia di ciliegio, quattro cinture con diagonali e quattro
baionette di legno con foderi di corteccia e una verga di due metri. Poi venivano vestiti il Păpălugăra
(elmo, rami verdi e verga) e la guardia formata da quattro giovani (elmo, cintura e sciabola). La
processione era costituita dal Păpălugăra, affiancato da due gendarmi per ogni lato con le sciabole
sguainate, seguito da tre suonatori di strumenti a corda e dalla Chioccia, che aveva in mano una brocca
(romeno corfă). Il Păpălugăra ed i Gendarmi venivano bagnati ad ogni casa e la Chioccia raccoglieva le
uova ricevute dai padroni di casa27. Arrivati al termine del villaggio, il Păpălugăra con il suo corteo
tornava nel bosco, nello stesso luogo dove era stata fatta la preparazione, si svestiva del suo abito vegetale
interrandolo. Le armi degli accompagnatori venivano regalate ai bambini, le uova invece erano date come
ricompensa al Păpălugăra.
L’esempio che segue proviene da due villaggi vicini alla Valle del Ţibleş (nella zona di Bistriţa-
Năsăud), Căianu Mic e Căianu Mare, dove il cerimoniale si svolge il lunedi di Pentecoste. Qui, il
cerimoniale comporta due componenti distinti, il Bue incoronato (che veniva preparato e condotto da otto
persone senza maschera – quattro ragazzi e quattro ragazze) ed i Diavoli (romeno Dracii28), che
improvvisano delle pantomime e abbracciano le ragazze. La schiera dei Dracii è esclusivamente maschile
e prevede la participazione da parte di tutti i giovani del villaggio (oggi sono accettati anche i bambini).
Per individuare le trasformazioni del cerimoniale in questi villaggi abbiamo a disposizione le osservazioni
del sociologo G. Retegan, dal 1939 (Retegan 1957: 38-48. cf. Nicola 1982: 536-553), la descrizione
realizzata da una squadra dell’Istituto di Etnografia e Folklore di Bucarest nel 1980 (Comănici e Maier
1981: 125-136), in occasione della realizzazione di un filmato etnologico, e la nostra ricerca sul campo
nelle Pentecoste del 2004-2006.
Negli anni’40 – ‘50, la preparazione del cerimoniale era più complessa. Dopo la mezzanotte del
primo giorno di Pentecoste, i giovani che si mascheravano da Dracii si dirigevano verso il luogo della
riunione (Coasta lui Sas/Il Pendio di Sas o Pădurea Poieniţei/Il Bosco della Piccola Radura), dove
27 cf. la Borbolatiţa da Limba (contea di Alba) e la Păpălugăra da Buru (contea di Cluj) 28 ro. Dracii < lat. Dracones
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andavano a scortecciare i ciliegi silvani (con la corteccia si confezionavano larghe cinture, con la parte
lucida all’esterno, gambali da applicare intorno alle gambe e cuffia – un’elmo con la punta pungente, con
un ramo di quercia oppure un fiore) e accendevano intanto un grande fuoco con ceppi secchi, per ottenere
la più grande quantità di cenere possibile. Si dicevano delle barzellette senza sipario. Dopo l’alba si
ungevano il viso con un po’di grasso, poi spargevano un grosso strato di cenere29. Ciascuno aveva in mano
una verga lunga e flessibile sulla punta della quale lasciavano qualche ramoscello per rendere più stridente
il sibilo. Poi veniva abbigliato un bambino come Foresta (Pădurea), coperto da foglie di quercia e faggio e
un giovane travestito da Puttana (Curva), dopo di che tutti uscivano dal bosco, in un punto in cui erano già
arrivati i giovani e le ragazze che dovevano incoronare il bue e che erano vestiti in abiti comuni ed eleganti
(Retegan 1957: 43). [Poi seguiva la incoronazione del bue]. E proprio in quel momento arrivava anche la
banda dei suonatori (due violini ed un contrabasso).
Le trasformazioni fondamentali avvennero sul piano dei personaggi (alcuni sono spariti dal
cerimoniale – la Puttana, negli anni ’80 e la Foresta, negli anni ’90) e del loro abbigliamento: visto il
divieto da parte delle autorità comuniste (1949) della scortecciatura dei ciliegi silvani, i giovani hanno
confezionato i loro vestiti da Diavoli con pelli di pecora, agnello oppure lepre, cuffie con la pelliccia
rivoltata all’ interno, cinture dagli avanzi di lamina e maschera antigas senza cartuccia; hanno portato con
loro da casa la cenere, visto l’esistenza del divieto ufficiale di bruciare la legna dal bosco. Sembra che
qualche trasgressione era possibile ogni tanto, perché già nel 1980, i Dracii avevano maschere
confezionate con “corteccia d’albero ed erano travestiti parzialmente (tramite l’applicazione di alcuni rami
verdi sopra gli abiti comuni) oppure totalmente ( con un’abito da donna), avendo in mano lunghe clave,
alcune ornate con piante verdi (Retegan 1957: 42). Nel 2004, soltanto due giovani di Căianu Mic avevano
ancora l’abbigliamento vegetale, che era stato rifatto da loro seguendo il consiglio degli anziani e
guardando le vecchie fotografie. Per il resto, prevalgono maschere standard di gomma, comprate nei
negozi e la vestizione delle maschere si fa in gruppi, a casa di uno dei giovani.
Fino agli anni ‘60, il corteo processionale era più complesso di oggi: la Foresta veniva per prima,
seguita dalla schiera dei Dracii, in mezzo alla quale si trovava la Puttana; poi la banda dei suonatori, il
ragazzo con la bandiera nazionale, che precedeva di pochi passi il bue incoronato, che veniva trascinato
per ogni corno da un giovane, mentre gli altri due e le ragazze chiudevano il corteo, che si dirigeva verso il
villaggio senza cantare nè gridare. Fino in prossimità del villaggio si andava in ordine sparso, poi il corteo
prendeva la forma stabilita dalla tradizione. Se i Dracii, strada facendo, incontravano persone di altri
villaggi, le spaventavano e chiedevano loro un pegno in denaro. Alla fine della cerimonia, il corteggio
entrava nel villaggio, accolto dagli uomini e dai bambini che correvano davanti ai Dracii e cominciava una
rappresentazione di tipo carnevalesco: i Draci eseguivano una pantomima muta ballando sulla musica
ritmata della banda, un Drac, non importa quale, simulava l’atto sessuale con la Curva, la Foresta girava
sempre fra i Dracii, dai quali era protetta contro gli sguardi troppo curiosi. Poi la gente rompeva il circolo
29 Questo tipo di mascheramento e la reclusione forestiera dei giovanni, assieme con alcune pratiche rituali specifiche
sono argomenti per includere il cerimoniale dei Păpărugi nel complesso più largo dei riti pubertari maschili. In questo
senso, si veda la nostra dimostrazione nel saggio sulla Băbăluda di Buru (Neagota 2009).
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formatosi nel frattempo, perché i Dracii potessero continuare il loro cammino accompagnati dal pubblico. I
Dracii ripetavano lo spettacolo in ogni luogo in cui incontravano gruppi più numerosi di persone, ma nel
centro del villaggio, dove erano aspettati da tutti i paesani e dalle autorità, la rappresentazione durava più a
lungo. I Dracii cercavano i giovani non mascherati e li mettevano in fuga, colpendoli con le verge.
Entravano nei cortili della gente e non rifiutavano niente di quello che si offriva loro. Non si facevano
discorsi, soltanto esortazioni oscene. Per tutto il tempo, l’identità dei personaggi mascherati (Dracii, Curva
e Pădurea) rimaneva segreta.
Una volta arrivati all’altra estremità del villaggio, sulla via principale, i Dracii tornavano e, nella
stessa configurazione, conducevano il bue incoronato alla stalla del padrone. Qui il bue veniva liberato
degli ornamenti e la croce del bue veniva consegnata al padrone di casa30, i Dracii si toglievano le
maschere che gettavano nel cortile del padrone del bue insieme a tutti gli oggetti (la verga, l’elmo, la
cintura, le gambiere), dopo di che andavano al fiume per fare il bagno e cambiarsi gli abiti da diavoli per
indossare abiti festivi portati da qualcuno della famiglia. Alla fine aveva luogo una festa nella casa del
padrone del bue con un ballo, che durava fino dopo il tramonto.
Nel 2004, il corteo era già impoverito a causa della scomparsa di alcuni personaggi e della
riduzione dell’itinerario: i Dracii si sono riuniti al margine del villaggio, dove fermavano tutti passanti e le
macchine, chiedendo tasse doganali e facendo delle pantomime lubriche. Poi è cominciata la processione
con il bue incoronato, con soste in cui si ballava, fino ad una casa scelta prima della festa, dove ha avuto
luogo la spoliazione del bue. La festa popolare è continuata poi con manifestazioni preelettorali e con
l’inaugurazione della statua di una personalità locale dal periodo rinascimentale, Ioan Căianu, finita con
due tipi di feste parallele: una, ufficiale, nella scuola del villaggio, con le autorità locali e quelle venute dal
“centro” (dalla città di Bistriţa) e altre riservate ai contadini, nella corte dove il bue è stato liberato degli
ornamenti e in vari altri luoghi.
Lo scenario di Căianu Mic ci sembra molto simile agli altri tre casi esaminati finora: si tratta di
personaggi che somigliano molto a soldati, equipaggiati con colletti/cinture larghe, gambali ed
elmi/maschere fatti con corteccia di ciliegi selvatici, che hanno in mano lunghe clave o verghe, alcune
ornate con piante verdi. Si chiamano Draci (Căianu Mic), Paparuge (Nireş, Mintiu Gherlii) e Cenuşorce31
(Mănăstirea), e proteggono un personaggio centrale, vestito tutto di rami e foglie – la Foresta (Căianu
Mic), il Fogliame (Nireş, Mintiu Gherlii), Goţoi (Nireş) – dall’intrusione dei curiosi (Căianu Mic) e dal
lancio di acqua (Mănăstirea, Nireş, Mintiu Gherlii)32. Anche se l’itinerario processionale di Muncel è
30 La croce assieme alle corone di fiori e di foglie viene fissata sopra la stalla del bestiame, dove resta fino a quando
non marcisce. 31 Le Cenuşorce non hanno attualmente elementi vegetali nel loro abbigliamento, però compiono una funzione simile
a quella dei Dracii e delle Păpăruge (c’è un isomorfismo più funzionale che morfologico). 32 In altri villaggi dalla Valle del Someş, accanto alla maschera principale del Sangiorgio c’erano le maschere dei
Goţoi (vestiti e armati in modo simile alle Cenuşorce), ed a Vad (Someş), il corteggio era composto dal Vecchietto
(Moşuţ), che realizza un scenario simile a quello della Păpălugăra, però senza essere bagnato, e gli 6-12 Spettri
(Moroi) (Cuceu 1981: 210).
420
diverso, esso presenta alcuni isomorfismi con lo scenario precedente: il Sangiorgio/Gheorghe è dotato di
una lunga mazza, con la quale si difende dai curiosi e da quelli che vogliono prendere i rami del suo
abbigliamento senza pagare. Il suo costume cerimoniale, inoltre, ha tratti comuni con tutte e due le
categorie di personaggi menzionati: un elmo fatto di corteccia (con un ramo di quercia sulla punta), la
sequenza isomorfica Dracii – Păpărugile, e un abbigliamento vegetale, come nel caso del complesso
Pădurea – Frunzarul – Goţoiul.
Un secondo tipo di corteo è formato da personaggi mascherati in modo simile, ma con un
comportamento cerimoniale assai ambivalente, suscettibili di interpretazioni varie: custodi transumani del
Bue Pentecostale oppure incarnazione di demoni silvestri, opposti simbolicamente - nel contesto del
cerimoniale - al Bue, che è un’espressione della natura addomesticata. I Dracii di Căianu Mare, muniti di
maschere di gomma (nel 2004) ed i Zuzzurelloni (Bdiduşii/Ghiduşii) di Tăure, con maschere di corteccia e
foglie (negli anni ’70) e di caucciù (nel 2002), vestiti di stracci (come le Cenuşorce di Mănăstirea), muniti
di una larga cintura con campanacci (drongi, in romeno dialettale) e pertiche lunghe (rude), dovevono
difendere il bue processionale dai curiosi, anche durante la notte che precede la Pentecoste33 (Petri 1975:
277-278); negli anni ’60 – ’70, a Tăure c’erano ancora due schiere di Bdiduşi, che venivano da due
direzioni opposte e, incontrandosi sul ponte al margine del villaggio, si battevano con pertiche di quercia
(ruzi), lunghe 6-10 metri, per formare poi una sola schiera e dirigersi verso il bue (Timoce 2003: 132).
Questi attanti mascherati eseguono una danza grotesca, ritmata dal suono dei campanacci, prima e
durante la processione (Petri 1975: 277. Timoce 2003: 131). I Vecchietti (Moşcei/Moştei/Moşitei) di
Cristur-Şieu, un gruppo di 40 giovani mascherati con maschere di corteccia di tiglio, con abbigliamento di
rami di pisello selvatico, e randelli sulle spalle, accompagnavano il Bue, ballando una “danza demoniaca”
su una melodia specifica dei Căluşari, “Banul Mărăcine” (Lăpuşneanu 1973: 10 e 1978: 61-61).
Altri isomorfismi significativi si osservano tra questi personaggi primaverili e gli attanti
mascherati del periodo carnevalesco tra il Natale e l’Anno Nuovo: l’uso della cenere per truccarsi34 (come i
Dracii e le Cenuşorce) e delle calze da donna (le Cenuşorce), le maschere confezionate con pelle di
montone (i Dracii/Bgiduşii di Pentecoste ed i Dracii dell’Anno Nuovo), con mantelli alla rovescia, cinture
larghe e campanacci (Nistor 1973: 6-7, 29-50), le pantomime eseguite a passo di danza, con caratteri
lubrici (Nistor 1973: 13-17).
*
Infine, la terza interferenza cerimoniale si è prodotta fra il corteggio del Sangiorgio – costituito
esclusivamente da giovani, e talvolta da giovani sposati, che si presenta dunque come una variante della
33 Secondo Ovidiu Petri, i Bgiduşii avevano un ruolo apotropaico rispetto al Bue Pentecostale, vegliando tutta la notte
prima della Pentecoste sulle vie del villaggio, per allontanare gli uomini (con le pertiche) e gli spiriti malefici (con il
suono dei campanacci) (Petri 1975: 277). 34 cf. il mascherare la faccia con la fuliggine, diffusissimo nelle culture arcaiche, ma significati molto complessi: non è
soltanto una modalità per nascondersi o proteggersi contro gli spiriti, ma anche una tecnica elementare che ha come
finalità l’integrazione magica nel mondo degli spiriti (Eliade 1997: 164).
421
schiera tradizionale dei giovani (Cuceu 1988: 84) – ed il corteggio dei Paparude – una confraternita
maschile, composta di adolescenti o di giovani nella Transilvania meridionale, Oltenia e Muntenia
Ciscarpatiche, sud della Moldavia, e femminile nel resto del paese35.
Secondo Traian Gherman, Il Păpălugăra è l’espressione complessa dell’incontro tra due
cerimoniali una volta indipendenti l’una dall’altra, il Sângeorz e le Păpărude. Il cerimoniale che ne è
risultato, innestato sullo scenario processionale del Sângeorz classico, è festeggiato in una data fissa (nel
giorno di Sangiorgio), non mobile come le Păpărude, ma chiamato con nomi che sono varianti dei
cosidetti Păpălugăra, Păpăluhăra, Păpălugă, Băbăludă ecc.) (Gherman 1987: 103-105). Per la descrizione
del costume usiamo la tipologia cerimoniale della Paparuda, realizzata secondo criteri morfologici da Lia
Stoica-Vasilescu in un saggio classico dagli anni ’70 dello scorso secolo36 e la monografia tipologica
realizzata da Ion e Maria Cuceu in base al materiale raccolto nel periodo interbellico dall’Archivio del
Folclore di Cluj (Cuceu 1988: 77-243).
Il tipo A del cerimoniale (secondo la tassonomia di Stoica-Vasilescu) è il più esteso nella parte
meridionale della Romania e senza legame con qualche festa con data fissa: nel periodo di siccità, una
persona, generalmente di genere femminile, senza abiti o con abiti stracciati viene ornata, dalla vita in sù,
con varie foglie sostenute con un filo (salice, cardo, faggio, quercia, arno) oppure con ramoscelli d’albero e
una corona di foglie sulla testa (talvolta erba aromatica del latte di cuculo – in romeno laptele cucului)37
oppure viene completamente coperta con rami, così che la sua faccia non si veda più. La Paparuda,
accompagnata da un gruppo femminile della stessa età e dalla sua mamma e/o da donne più anziane, gira
nel villaggio. Si percorre l’intero villaggio, o soltanto lungo le strade, o fermandosi a ogni casa ed entrando
nel cortile. Lì, la Paparuda balla, mentre gli accompagnatori applaudono cantando talvolta con musica di
zampogna o del piffero. La Paparuda può girare intorno a un blocco di sale posto nel mezzo cortile. Il
padrone di casa esce portando un vaso con acqua / siero / siero e acqua / latte / farina passata con un
setaccio e lo getta sulla Paparuda; il gesto può essere ripetuto anche dagli accompagnatori che portano
secchi con acqua. La Paparuda salta e si scuote per far cadere l’acqua dai suoi abiti bagnando coloro che si
trovano intorno a lei e gridando: “Paparuga ossia paparuda”, o “Paparuda, che vengano le piogge!”
(“Paparuda, ploile să vină!”). I padroni di casa offrono regali alla fine del ballo: soldi, alimenti (farina,
grano, pani santi, pane di casa, uova, fagioli etc.) oppure oggetti (covone di canapa), ricevuti da chi
impersona la Paparuda o da qualcuno incaricato della schiera. In un’altra variante del cerimoniale, la
Paparuda, ornata con foglie, è portata a uno o più pozzi, dove viene bagnata abbondantemente, mentre gira
intorno alla “fonte” gridando: “Pioggia! Pioggia!” (“Ploaie! Ploaie!”) o cantando il canto suddetto. I regali
vengono poi divisi tra i membri della schiera e la parte più consistente è destinata alla Paparuda. In alcuni
35 Nella ricerca condotta da Lia Stoica-Vasilescu, gli agenti cerimoniali sono per ecellenza le donne (23, 7 %), le
ragazze (20, 6 %) ed i bambini (46 %); talvolta viene indicata anche la categoria indetermminata di genere, “un
uomo” (9 %) (Stoica-Vasilescu 1970: 387). 36 Si veda la tipogia morfologica del rituale (Stoica-Vasilescu 1970: 377-379) e la mappa della sua estensione
territoriale, realizzata secondo il metodo storico-geografico (Stoica-Vasilescu 1970: 386-387, 389-393) 37 cf. il tedesco Milchkraut
422
casi, soltanto i membri del corteo si riuniscono in un pranzo comune oppure si organizza una tavola con i
regali ricevuti alla quale sono invitati tutti gli abitanti del villaggio.
Dopo aver osservato gli isomorfismi fra la danza della Paparuda ed alcune danze rituali della
stessa regione – il ballo del piccolo Lazzaro (Lăzărel)38 ed il ballo del vecchione di capra (jocul moşului
de turcă) –, compreso il getto dell’acqua, comune a molte pratiche magico-religiose39, l’autrice distingue
questi atti magico-cerimoniali simili per la loro finalità effettiva40: “lo scopo principale del cerimoniale era
considerato lo sviluppo dell’energia riproduttiva, per ottenere un raccolto massimo tramite la provocazione
della pioggia. Nella finalità dell’usanza coesiste anche un altro aspetto, comunque secondario, collegato al
culto dei morti ed ad un significato apotropaico.” (Stoica-Vasilescu 1970: 379) Sfortunatamente, l’autrice
si perde alla fine in un’ipotesi geografico-storica sulla contaminazione alto-medioevale del tipo A della
Paparuda, considerato “antichissimo”, con alcuni influssi magico-religiosi slavi (il culto del dio Perun41),
che hanno conferito al cerimoniale una sfumatura cultuale, collocandolo in date fisse (tipo B), e generando
“forme intermedie” in Moldavia e nella Muntenia orientale (Bîrlea 1981: 399).
Secondo noi, ques’ipotesi storicista è difficile da difendere, basandosi soltanto su un’etimologia
incerta e alcune affinità linguistiche con i Balcani. D’altronde, l’autrice riprendeva qui, con argomenti
simili, una teoria più vecchia, che attribuiva al cerimoniale delle Păpărude un’origine tracia (Teodorescu
1874: 128-134), di cui modifica l’origine dell’influenza. Altri ricercatori hanno proposto anche un’ipotesi
indoeuropea, sulla base del materiale etnologico citato da Frazer, cioè il cerimoniale del re della pioggia in
India (Bîrlea 1981: 399). I criteri storico-geografici (la semplicità della variante più vecchia e la sua
diffusione), in base ai quali il tipo A è considerato come la forma originaria della Paparuda, e le altre
come forme derivate, sono insufficienti per sostenere tale ipotesi. In particolare, l’autrice non si riferisce
affatto al tipo maschile del Sangiorgio, quello presentato da noi all’inizio (la processione di un giovane
vestito di rami e foglie e bagnato da tutta la comunità campagnola), diffusa in tutta l’area settentrionale e
centrale della Transilvania.
Al contrario di Lia Stoica-Vasilescu, Dumitru Pop avvicina le Paparude e il Sângeorz non
soltanto al livello morfologico (secondo il quale il Sangiorgio può essere considerato un tipo regionale di
Paparudă42, nel senso che le pratiche specifiche delle Paparude si sono innestate sul complesso magico-
religioso del Sangiorgio), ma anche dal punto di vista calendaristico (nella regione transilvana delle
Târnave e in quella abitata dai sekleri, la Paparuda si celebrava nel giorno del Sangiorgio, secondo il
38 Si veda il saggio di Narcisa Ştiucă, Coutumes du Samedi de Lazare au sud-est de la Roumanie. 39 cf. l’aspersione della corona del grano, l’aspersione alla nascita, l’aspersione magica nei miracoli ecc. 40 “Ciò che individualizza questi atti, ciò che conferisce loro una certa significazione è proprio lo scopo del costume.
Essi sono efficienti, ‘essi fanno’ solo se guardano allo scopo al quale sono consacrati.” (Stoica-Vasilescu 1970: 387) 41 L’autrice deriva il romeno paparuda, attestato con varianti simile nella Penisola Balcanica (cf. alb. peperona, serbo
peperuga, bulg. peperuda, peperuga) dal nome Perun, il dio della vegetazione e delle piogge degli Slavi orientali e
presupposto anche per gli Slavi del sud (s.n.) (Stoica-Vasilescu 1970: 386). 42 “Crediamo... che la presenza di un giovane nel ruolo della Paparuda oppure la composizione del corteo con ragazze
e ragazzi in età da matrimonio deve essere collegata al costume di Sângeorz.” (Pop 1989: 139)
423
calendario iuliano). L’ipotesi di due cerimoniali paralleli che potrebbero incontrarsi nella stessa festa deve
essere graduata con qualche evidenza storico-etnologiche: l’attestazione della Paparuda in tutte le regioni
abitate dai romeni (a eccezione della parte settentrionale, il Maramureş e la Bucovina) e l’influenza
balcanica su alcuni tipi cerimoniali della Paparuda nella pianura del Danubio (Pop 1989: 142). L’esegeta
considera che la Paparuda è stata in origine un “rito di tappa”, come altri costumi (il Caloian, il Sângeorz
e la Drăgaica), che “si officiava in una data fissa, con lo scopo di garantire le condizioni di fertilità – prima
di tutto della pioggia – per il periodo inaugurato dalla festa della Paparuda”; questa festa era celebrata nel
periodo postpasquale, a data fissa tempo fa, che coincideva con la festa del Sângeorz, ambedue fissate
secondo criteri religiosi precristiani (il ciclo della vegetazione) (Pop 1989: 144).
Riguardando la struttura di genere dei cerimoniali suddetti, si potrebbe sostenere la coesistenza nel
perimetro culturale abitato dai romeni di una pluralità di cerimoniali, alcuni eseguiti dalla schiera di
giovani (il corteo del Sangiorgio) oppure da quella dei ragazzi (Păpărugile), altri invece dalle confraternità
femminili (in età puberale oppure no), in legame reciproco fra di loro tramite relazioni intertestuali palesi.
Non abbiamo studiato in profondità i collegamenti fra i due gruppi di pratiche, ma sembra sicuro, a nostro
avviso, il loro radicarsi in un fondo magico-religioso comune, perché hanno finalità affini, ma con
dinamiche sociali e simboliche distinte, a causa della loro esecuzione in ambiti sociali differenti
(confraternite maschili e femminili strutturate secondo l’età): in alcune regioni, il cerimoniale è stato
trasmesso ed organizzato al livello della schiera di giovani (in questo caso abbiamo il costume del
Sangiorgio / Giorgio), in altri villaggi è passato, per motivi particolari, come compito della schiera di
adolescenti (il costume delle Păpărugi), invece nel sud e nell’est dei Carpazi è stato attribuito in maniera
quasi esclusiva alla schiera delle ragazze puberi oppure alle donne sposate.
Dall’altra parte, si osserva lo spostamento di questo cerimoniale dai giovani in età di matrimonio
ai ragazzi ed agli adolescenti (il caso di Mintiu Gherlii). Le spiegazioni sono numerose e contestuali: la
dissoluzione della schiera tradizionale di giovani dopo l’introduzione del servizio militare obbligatorio ed
il suo scambio con l’organizzazione secondo generazioni/contingenti, la migrazione dei giovani verso la
città dopo la seconda guerra mondiale e lo spopolamento dei villaggi dopo 1990 ecc. In questo contesto, le
espressioni cerimoniali delle schiere di giovani adulti si caraterizzano anche per la presenza di elementi
militari (divise militari, attrezzature militari, divisa da gendarme, sciabola ecc.), spiegabile
contestualmente con l’impatto del servizio premilitare (nel periodo interbellico), e nelle regioni di frontiera
della Transilvania l’influsso è di data ancora più lontana; inoltre, gli elementi militari sono una costante
dele confraternite maschili e delle iniziazioni specializzate, come nel caso dei Giovani di Braşov/Junii
Braşoveni (Muşlea 1930/1972, II: 37-139) e dei Căluşarii (Vuia 1922/1975: 110-140). Infatti, lo
spostamento di alcune pratiche dalle forme cerimoniali eseguite dagli adulti verso il folklore dei bambini è
un sintomo palese della deritualizzazione e dell’occultamento di queste in manifestazioni ludiche.
Sul piano di un scenario processionale che si mantiene costante attraverso tutte le varianti, i
significati attribuiti ai comportamenti ceremoniali manifestano una dinamica occultatoria, essendo
l’espressione diretta dell’interazione tra il sistema degli usi calendaristici e i vari contesti culturali, sociali,
economici ecc. (Creţu 1980: 98). In questo senso, i significati intracomunitari, quelli attribuiti dai
424
protagonisti, sono elementari e rimandano ad una ideologia magico-religiosa agraria: l’invocazione delle
piogge abbondanti per l’intero anno, le pratiche magiche per ottenere raccolti abbondanti43 e riti
apotropaici per la protezione dei campi (Cuceu 1981: 212) e della manna44, pratiche magiche di difesa e di
sollecitazione della fertilità del bestiame attraverso l’utilizzazione magica dell’abbigliemento vegetale del
Sângeorz (Gherman 1987: 114-115), l’auspicio di robustezza e salute per i giovani (Gherman 1987: 115).
Per altro verso, il problema dei significati cerimoniali appartiene più ai ricercatori e meno ai
protagonisti, che non hanno inquietudini epistemologiche. Comunque, passiamo in rassegna le
interpretazioni etnologiche romene più importanti, invocando la necessità di una comprensione contestuale
di esse. N. Al. Rădulescu rimarcava nel suo saggio del 1938 il carattere di “survival” del cerimoniale
suddetto, considerandolo una “pratica magica di purificazione”, della quale “si è perso il senso della
processione, ma è rimasta la pratica”: essa mirava una volta alla conversione del potere vegetativo della
foresta nei confronti dei campi seminati tramite un intermediario rituale, rappresentato da un’albero
addobbato o dall’uomo mascherato di foglie e rami (espressione del demone della vegetazione), costretto
dai contadini ad entrare nel villaggio, a lasciarsi bagnare mentre poi i rami verdi dal suo abbigliamento
sono disseminati sul campo di grano in vista di un trasferimento magico-imitativo di potere germinativo
(Rădulescu 1938: 156).
Più tardi, nel 1958, Traian Gherman, dopo aver accennato ai significati intracomunitari, ha
proposto un’interpretazione storica-religiosa: il Sangiorgio/la Păpălugăra è, all’origine, un rito
d’espulsione dei demoni malefici dallo spazio domestico e di purificazione del villaggio attraverso uno
schiamazzo cerimoniale, prodotto dall’intero corteo del Sângeorz (Gherman 1987: 115)45. Egli rimarcava il
carattere equinoziale della festa di Sangiorgio, nel contesto della sovrapposizione dei significati cristiani (il
San Giorgio, vincitore del dragone) e quelli precristiani (Il Goţoi) (Gherman 1987: 116-117). La sua
interpretazione del Sângeorz va incontro l’analisi proposto per un’altro cerimoniale primaverile, da noi
menzionato più sopra, l’Aratore (Plugarul), considerato un rituale di possessione, nel senso che il
contadino uscito per primo ad arare ha disturbato il potere ctonico e ne diventa posseduto, bisognoso
quindi di riti di purificazione (l’immersione battesimale nel fiume) prima della reintegrazione nella
comunità del villaggio (Gherman 1981: 188-189). Gherman menziona anche un altro esempio di
possessione cerimoniale, cioè la danza della Capra (Turca) a Natale e a Capodanno (il ragazzo che “danza
43 L’atto rituale dello spogliare il Sângeorz e la dispersione degli ornamenti vegetali nel campo, quello del
Păpălugăra nel cortile del primo Aratore del paese, spargere il grano sul Păpălugără ecc. (Gherman 1987: 113-114) 44 Una informazione presa in situ nella Valle dell’ Arieş rimanda ai riti di difesa della manna campestre. Il
personaggio che fa la parte del compagno del Goţoiul, che viene chiamato La grandiosa saggia (Măreaţa cea
înţeleaptă) fa sapere ai paesani: “Datevi da fare, cari amici paesani, perché sta per arrivare il Goţoi e se non lo bagnate
vi toglie tutta la manna dal confine!” (“Săriţi, oameni buni, că vine Goţoiul şi, dacă nu li-ţi uda, vă ia toată mana din
hotar!”) (Gherman, 1987: 116). Il Goţoi (che può togliere la manna dal campo) rappresenta qui l’espressione di un
demone silvano dalla classe morfologica della Filia del Bosco (Fata Pădurii), che può togliere la manna dalle mucche
e dalle pecore). 45 Similmente, un’altro esegeta considera che l’entrata rumorosa del Sângeorz nello spazio della comunità del
villaggio “rappresenta un atto rituale con significati apotropaici” (Cuceu 1981: 210).
425
la capra” non può entrare nella chiesa per un certo periodo di tempo). Negli anni ’80, Ion Cuceu considerò
la processione di Sangiorgio qualcosa di più che un rituale d’invocazione della pioggia, cioè un rituale
autonomo di tipo manna (Cuceu 1981: 213).
Ci fermiamo qui con la parte ermeneutica, per ricordarci che si tratta di un cerimoniale arcaico,
ormai nella sua fase terminale e troppo poco studiato dagli specialisti. E in questi anni, mentre i vecchi
esecutori dell’usanza sono ancora vivi, dobbiamo fare ricerche sul campo e raccogliere il più vasto
materiale possibile. Bisogna precisare che lo stadio attuale delle ricerche, insufficienti per quello che
riguarda il cerimoniale del Sangiorgio e per gli altri costumi agrari di primavera, ci impedisce di avanzare
una teoria certa riguardante l’intera area della Transilvania e della zona ciscarpatica. In questo senso,
preferiamo un’analisi contestuale, decentralizzata, seguendo microregioni ed evitando l’estensione delle
nostre conclusioni da un’area culturale all’ altra. Tutti questi cerimoniali presentati brevemente nel nostro
saggio sono legati tra loro da una sintassi intertestuale e formano un sistema socio-culturale in cui i
significati di ogni parte non possono essere rintracciati che in relazione con le altre parti e con il sistema in
generale. Noi, comunque, non crediamo nella perennità del sistema, qualunque sia la sua natura
epistemica, strutturalista (Pop 1976: 6) o cognitivista (Eliade e Culianu 1993: 17). Contrariamente
all’asserzione che i costumi, visti come “espressioni attive dello spirito umano”, “non scompaiono come
modalità creatrice di cultura, come sistema, ma soltanto si trasformano e si rigenerano” (Pop 1976: 6),
dobbiamo ammettere un fatto evidente: il sistema socio-culturale detto tradizionale è lontano dall’essere
così perenne, alcune cose spariscono e i loro spazi rimangono vuoti.
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