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LA REPUBBLICA 37 MERCOLEDÌ 7 APRILE 2004 D IA R IO di NON mi importa molto degli anni Sessanta. A me sono cari gli anni Cinquanta, perché è in quegli anni che sono cre- sciuto. Ero a Hibbing, gli arrotini venivano giù lungo la strada principale, e ogni tanto arrivava un carro che por- tava in città qualche attrazione, un gorilla in gabbia o, mi ricordo benissimo, una mummia sotto vetro. C’era una straordinaria innocenza e io non ricordo che nulla di ma- le accadde mai. Questi erano gli anni Cinquanta, l’unico periodo del tempo che io ricordo come idilliaco. Certo, quando ascoltavo le canzoni di Cole Porter, o George Gershwin e Rodgers e Hammerstein, capivo che erano grandi canzoni, ma loro scrivevano per la lo- ro generazione, io non sentivo quelle canzoni come mie. La musica che parlava a me era il rock’n’roll. Quando ho ascoltato per la prima volta la voce di Elvis Presley ho su- bito saputo che io non avrei lavorato per nessuno e che nessuno sarebbe stato il mio padrone. Ascoltare la sua voce per la prima volta fu come uscire dalla pri- gione. Non pensai di avere più opzioni o alternative. Il rock’n’roll mi mostrò quale fosse il mio futuro. BOB DYLAN ROCK. I l rock? Una visione della vita, o almeno uno stile per l’esistenza, secondo fondatori e adepti della religione nata cinquant’anni fa. «Una nullità reazionaria», invece, secondo il rocker pentito Sting, l’ex Police proiettato da tempo verso Johann Sebastian Bach. Fra questi due estremi, la storia parla di una musica nata mixando il blues nero e il coun- try bianco; di un can- tante del Michigan, Bill Haley; e di una canzone, Rock around the clock, che sarebbe diventata l’a- pertura musicale di un film, Blackboard Jungle (Il seme della violenza, con Glenn Ford). «One, two, three ‘o clock, four ‘o clock, rock…»: il pezzo era stato scritto nel 1952 da DeKnight e Freedman, messo in repertorio da “Bill Haley & Its Comets”, e poi, do- po due mesi di rifacimenti, inciso per la Decca il 12 aprile 1954. Era una domenica: due anni dopo, i ti- toli di testa del Seme della violenza, accompagnati dalle chitarre di Bill Haley, sconvolsero la platea di un cinema londinese, il Trocadero. Fe- rimenti, svenimenti, vandalismi. Era cominciata la pandemia del rock’n’roll. Non è nemmeno un genere, il rock. È una costellazione, o un pan- tano. Ci sguazzano dentro coloro che hanno voglia di contaminare, scendendo con la musica nella den- sità anche sessuale di quel “rock” e “roll”. Scuoti e dondola, capito? Ca- piscono tutti: Little Richard, vessil- lifero di un’omosessualità vistosa, l’eccentrico grassone Fats Domino; e poi Jerry Lee Lewis, strafatto di sesso e alcol, che in ogni canzone invoca «shake it, baby, shake it», scuotilo, scuotilo. E il povero Buddy Holly, e Bo Diddley, e B. B. King, e il più grande, forse, di tutti, Chuck Berry, un figlio del boogie, l’inven- tore con la chitarra del “sound” del rock’n’roll, anche lui immerso sen- za scampo nel clima dei Cinquanta: «Canto le cose che sono importanti per i giovani: la scuola, l’amore e le automobili». Via allora con Johnny B. Goode, Be Bop A Lula, Roll Over Beethoven, Tutti Frutti. «Roba da delinquenti», secondo il verdetto di Frank Sinatra in un’intervista del 1957: «falsa, oscena, sporca, un afrodisiaco puz- zolente». Per legittimare quella mu- sica, «che piace ai giovani perché non piace ai loro vecchi», ci voleva un protagonista quasi accettabile, un bianco, un interprete borghese dell’insurrezione. Irruppe sulla scena Elvis Presley: era il 1956 e fu il diluvio. Svenimenti delle ragazze negli hotel dove arrivava la giova- nissima star, capace di canzoni ve- loci come Don’t Be Cruel e Heart- break Hotel, ma anche di pezzi me- lodici che facevano singhiozzare le teenager: «Love me tender, love me true, all my dreams fulfill». Prima che i sogni si realizzassero, il giudi- ce convocava in tribunale il ragaz- zo, invitandolo ad «andarci piano», affinché “the Pelvis” non provocas- se nei giovani del luogo eccitazioni indebite. Trovarci una filosofia, dentro il rock, non era semplice, a meno che non si accettasse per modello filo- sofico una ventata molto genera- zionale e consumista. Prima i mo- delli estetici potevano essere il Mar- lon Brando di Il selvaggio e il James Dean di Gioventù bruciata. In se- guito si sarebbero sentiti richiami a On the Road di Jack Kerouac e al- l’Urlo di Allen Ginsberg. Tuttavia l’“idea rock” si sarebbe dimostrata irresistibile perché onnivora, in grado di assimilare qualsiasi signi- ficato. Rock può essere il primo Bob Dylan antimilitarista e utopico, in- sieme ai Beach Boys spensierati di Surfin’Safari, così come il secondo Dylan, quello elettrico, che dopo essere stato contestato al Folk Festi- val di Newport per il suo “tradimen- to” della tradizione stende tutti con un’esecuzione così commovente di It’s All Over Now Baby Blue («the carpet too is moving under you», perfino il tappeto si muove sotto di te, America!) che il pubblico piange pensando al Vietnam, ai diritti civi- li, al sogno della “Grande società”. Che il rock fosse ecumenico lo si sapeva, dato che aveva generato il beat, e il beat aveva lanciato “com- plessi” come gli Who, gli Animals di Eric Burdon, i Them, gli Yardbirds di Jeff Beck, tutti capaci di produrre la loro fusion di rock e blues. Ma c’è anche la prova di ecumenismo più grande di tutte, cioè l’avere consen- tito la convivenza dei Beatles con i Rolling Stones. Paul McCartney con Mick Jagger e soprattutto Keith Richards («Ascolto Bach e mi dico: ah, se quel tipo avesse avuto un buon batterista»): gente che affon- dava nella musica “black and blue” di Muddy Waters. Finché si trattava di una rivalità in fami- glia, perché no: il miele di McCartney veniva inaci- dito al punto giusto da Lennon. Mentre con- frontare la patina genia- le dei Beatles con i riff su- dici della coppia Jagger & Richars, e trovare tutto ciò compatibile è davve- ro il segno dell’ecletti- smo del rock. All You Need Is Love insieme a Sympathy for the Devil, satanisti incalliti insieme con se- guaci di qualche guru indiano di rango divistico internazionale. È quello stesso eclettismo che al- la fine dei Sessanta mostra al mon- do le giornate “peace and love” di Woodstock, e poco più di un decen- nio più tardi l’insurrezione punk dei Sex Pistols, all’insegna dello slo- gan “no future”. Che ha anche con- sentito ai Pink Floyd di vestire una ritmica blues con le sonorità esote- riche di The Dark Side of the Moon e di Wish You Were Here, dopo avere mandato in mille schegge al rallen- tatore il mondo di Zabriskie Point. E permette di considerare apparte- nenti allo stesso universo Madonna e Brian Eno. Oggi, niente più rivoluzioni. Alle spalle, una folla di ombre: Jim Mor- rison, Jimi Hendrix, Bob Marley, Brian Jones, John Lennon, George Harrison, Freddy Mercury e tanti altri. E nel futuro? Dopo il Live Aid di Bob Geldof, dopo le campagne po- litico-umanitarie di Bono degli U2, l’universo musicale è in perenne mutazione e in perenne stasi: so- pravvivono praticamente tutti, in- fatti, quelli del rock duro tipo i Deep Purple con quelli dell’heavy metal loro successori. Dylan è sempre dentro il suo “neverending tour”, Eric Clapton rifà il blues delle origi- ni, Bruce Spingsteen, “l’Omero del rock”, rifà l’Americano “born in the Usa”, e tutti gli altri rifanno più o meno se stessi: perché probabil- mente quello che il rock poteva da- re, con i suoi moduli così semplici, l’ha già dato, e chissà se qualcuno riuscirà a inventarlo di nuovo, co- me è accaduto ogni dieci anni, e co- me potrebbe non accadere più. Era il 12 aprile del 1954 quando Bill Haley incise Rock around the clock Fu grazie al film “Il seme della violenza” che quel pezzo si impose e aprì una nuova epoca CINQUANT’ANNI FA LA PRIMA CANZONE Quandolamusicafecelarivoluzione EDMONDO BERSELLI ROCK ROCK Un francobollo americano celebrativo di Elvis Presley

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LA REPUBBLICA 37MERCOLEDÌ 7 APRILE 2004

DIARIOdi

NON mi importa molto degli anniSessanta. A me sono cari gli anni

Cinquanta, perché è in quegli anni che sono cre-sciuto. Ero a Hibbing, gli arrotini venivano giù lungo lastrada principale, e ogni tanto arrivava un carro che por-tava in città qualche attrazione, un gorilla in gabbia o, miricordo benissimo, una mummia sotto vetro. C’era unastraordinaria innocenza e io non ricordo che nulla di ma-le accadde mai. Questi erano gli anni Cinquanta, l’unicoperiodo del tempo che io ricordo come idilliaco.

Certo, quando ascoltavo le canzoni di Cole Porter, oGeorge Gershwin e Rodgers e Hammerstein, capivoche erano grandi canzoni, ma loro scrivevano per la lo-ro generazione, io non sentivo quelle canzoni come mie.La musica che parlava a me era il rock’n’roll. Quando hoascoltato per la prima volta la voce di Elvis Presley ho su-bito saputo che io non avrei lavorato per nessuno e chenessuno sarebbe stato il mio padrone. Ascoltare lasua voce per la prima volta fu come uscire dalla pri-gione. Non pensai di avere più opzioni o alternative.Il rock’n’roll mi mostrò quale fosse il mio futuro.

BOB DYLAN

ROCK.

Il rock? Una visione della vita, oalmeno uno stile per l’esistenza,secondo fondatori e adepti della

religione nata cinquant’anni fa.«Una nullità reazionaria», invece,secondo il rocker pentito Sting, l’exPolice proiettato da tempo versoJohann Sebastian Bach. Fra questidue estremi, la storia parla di unamusica nata mixandoil blues nero e il coun-try bianco; di un can-tante del Michigan,Bill Haley; e di unacanzone, Rockaround the clock, chesarebbe diventata l’a-pertura musicale diun film, BlackboardJungle (Il seme dellaviolenza, con Glenn Ford).

«One, two, three ‘o clock, four ‘oclock, rock…»: il pezzo era statoscritto nel 1952 da DeKnight eFreedman, messo in repertorio da“Bill Haley & Its Comets”, e poi, do-po due mesi di rifacimenti, incisoper la Decca il 12 aprile 1954. Erauna domenica: due anni dopo, i ti-toli di testa del Seme della violenza,accompagnati dalle chitarre di BillHaley, sconvolsero la platea di uncinema londinese, il Trocadero. Fe-rimenti, svenimenti, vandalismi.Era cominciata la pandemia delrock’n’roll.

Non è nemmeno un genere, ilrock. È una costellazione, o un pan-tano. Ci sguazzano dentro coloroche hanno voglia di contaminare,scendendo con la musica nella den-sità anche sessuale di quel “rock” e“roll”. Scuoti e dondola, capito? Ca-piscono tutti: Little Richard, vessil-lifero di un’omosessualità vistosa,l’eccentrico grassone Fats Domino;e poi Jerry Lee Lewis, strafatto disesso e alcol, che in ogni canzoneinvoca «shake it, baby, shake it»,scuotilo, scuotilo. E il povero BuddyHolly, e Bo Diddley, e B. B. King, e ilpiù grande, forse, di tutti, ChuckBerry, un figlio del boogie, l’inven-tore con la chitarra del “sound” delrock’n’roll, anche lui immerso sen-za scampo nel clima dei Cinquanta:«Canto le cose che sono importantiper i giovani: la scuola, l’amore e leautomobili».

Via allora con Johnny B. Goode,Be Bop A Lula, Roll Over Beethoven,Tutti Frutti. «Roba da delinquenti»,secondo il verdetto di Frank Sinatrain un’intervista del 1957: «falsa,oscena, sporca, un afrodisiaco puz-zolente». Per legittimare quella mu-sica, «che piace ai giovani perché

non piace ai loro vecchi», ci volevaun protagonista quasi accettabile,un bianco, un interprete borghesedell’insurrezione. Irruppe sullascena Elvis Presley: era il 1956 e fu ildiluvio. Svenimenti delle ragazzenegli hotel dove arrivava la giova-nissima star, capace di canzoni ve-loci come Don’t Be Cruel e Heart-break Hotel, ma anche di pezzi me-lodici che facevano singhiozzare leteenager: «Love me tender, love metrue, all my dreams fulfill». Primache i sogni si realizzassero, il giudi-

ce convocava in tribunale il ragaz-zo, invitandolo ad «andarci piano»,affinché “the Pelvis” non provocas-se nei giovani del luogo eccitazioniindebite.

Trovarci una filosofia, dentro ilrock, non era semplice, a meno chenon si accettasse per modello filo-sofico una ventata molto genera-zionale e consumista. Prima i mo-delli estetici potevano essere il Mar-lon Brando di Il selvaggio e il JamesDean di Gioventù bruciata. In se-guito si sarebbero sentiti richiami a

On the Road di Jack Kerouac e al-l’Urlo di Allen Ginsberg. Tuttavial’“idea rock” si sarebbe dimostratairresistibile perché onnivora, ingrado di assimilare qualsiasi signi-ficato. Rock può essere il primo BobDylan antimilitarista e utopico, in-sieme ai Beach Boys spensierati diSurfin’Safari, così come il secondoDylan, quello elettrico, che dopoessere stato contestato al Folk Festi-val di Newport per il suo “tradimen-to” della tradizione stende tutti conun’esecuzione così commovente di

It’s All Over Now Baby Blue («thecarpet too is moving under you»,perfino il tappeto si muove sotto dite, America!) che il pubblico piangepensando al Vietnam, ai diritti civi-li, al sogno della “Grande società”.

Che il rock fosse ecumenico lo sisapeva, dato che aveva generato ilbeat, e il beat aveva lanciato “com-plessi” come gli Who, gli Animals diEric Burdon, i Them, gli Yardbirdsdi Jeff Beck, tutti capaci di produrrela loro fusion di rock e blues. Ma c’èanche la prova di ecumenismo più

grande di tutte, cioè l’avere consen-tito la convivenza dei Beatles con iRolling Stones. Paul McCartneycon Mick Jagger e soprattutto KeithRichards («Ascolto Bach e mi dico:ah, se quel tipo avesse avuto unbuon batterista»): gente che affon-dava nella musica “black and blue”di Muddy Waters. Finché si trattava

di una rivalità in fami-glia, perché no: il miele diMcCartney veniva inaci-dito al punto giusto daLennon. Mentre con-frontare la patina genia-le dei Beatles con i riff su-dici della coppia Jagger &Richars, e trovare tuttociò compatibile è davve-ro il segno dell’ecletti-

smo del rock. All You Need Is Loveinsieme a Sympathy for the Devil,satanisti incalliti insieme con se-guaci di qualche guru indiano dirango divistico internazionale.

È quello stesso eclettismo che al-la fine dei Sessanta mostra al mon-do le giornate “peace and love” diWoodstock, e poco più di un decen-nio più tardi l’insurrezione punkdei Sex Pistols, all’insegna dello slo-gan “no future”. Che ha anche con-sentito ai Pink Floyd di vestire unaritmica blues con le sonorità esote-riche di The Dark Side of the Moon edi Wish You Were Here, dopo averemandato in mille schegge al rallen-tatore il mondo di Zabriskie Point. Epermette di considerare apparte-nenti allo stesso universo Madonnae Brian Eno.

Oggi, niente più rivoluzioni. Allespalle, una folla di ombre: Jim Mor-rison, Jimi Hendrix, Bob Marley,Brian Jones, John Lennon, GeorgeHarrison, Freddy Mercury e tantialtri. E nel futuro? Dopo il Live Aid diBob Geldof, dopo le campagne po-litico-umanitarie di Bono degli U2,l’universo musicale è in perennemutazione e in perenne stasi: so-pravvivono praticamente tutti, in-fatti, quelli del rock duro tipo i DeepPurple con quelli dell’heavy metalloro successori. Dylan è sempredentro il suo “neverending tour”,Eric Clapton rifà il blues delle origi-ni, Bruce Spingsteen, “l’Omero delrock”, rifà l’Americano “born in theUsa”, e tutti gli altri rifanno più omeno se stessi: perché probabil-mente quello che il rock poteva da-re, con i suoi moduli così semplici,l’ha già dato, e chissà se qualcunoriuscirà a inventarlo di nuovo, co-me è accaduto ogni dieci anni, e co-me potrebbe non accadere più.

Era il 12aprile del

1954quando

Bill HaleyinciseRock

around theclock

Fu grazie alfilm “Il semedellaviolenza”che quelpezzo siimpose eaprì unanuova epoca

CINQUANT’ANNI FA LA PRIMA CANZONE

Quando la musica fece la rivoluzioneEDMONDO BERSELLI

ROCKROCKUn francobolloamericanocelebrativodi Elvis Presley

38 LA REPUBBLICA MERCOLEDÌ 7 APRILE 2004D I A R I O

1954 LA NASCITA

Bill Haley incide “Rock around the clock”,Elvis Presley registra il suo primo singolo,“That’s allright mama”. Il dee jay AlanFreed, per definire la nuova musica, coniail termine “rock’n’roll”

1964 LA CONQUISTA DEL MONDO

I Beatles pubblicano “A hard day’s night”e invadono l’America, nascono i RollingStones, Frank Zappa inizia la sua carriera,Bob Dylan pubblica “The times they are a-changin”

1977 PUNK!

In Inghilterra è il momento della rivoluzionepunk, con i Sex Pistols di “God save theQueen” e i Clash di “White riot”. Negli Usala star è Patti Smith, assieme ai Ramonese ai Talking Heads

I DISCHI

VELVET

UNDERGROUND

The VelvetUnderground& Nico(1967)

NIRVANA

Nevermind(1991)

THE BEACH

BOYS

Pet Sounds(1966)

CROSBY,

STILLS, NASH

& YOUNG

Four WayStreet(1971)

THE DOORS

The Doors(1967)

BOB DYLAN

The freewheelinBob Dylan(1963)

TALKING

HEADS

Remain in light(1981)

BRUCE

SPRINGSTEEN

Born to run(1975)

SIMON AND

GARFUNKEL

Bridge overtroubled water(1970)

JIMI HENDRIX

ElectricLadyland(1968)

THE WHO

Tommy(1969)

THE BEATLES

Stg. Pepper’sLonely HeartsClub band(1967)

THE SEX

PISTOLS

Never Mind TheBollocks(1977)

THE ROLLING

STONES

Beggar’sbanquet(1968)

FRANK ZAPPA

We’re only in itfor the money(1968)

LE TAPPE

Anche il rock racconta

l’uomo e la sua vita. E

ha parlato a un numero

di persone giovani

molto più di quanto ha

fatto certa musica colta

ECCO PERCHÉ QUELLA MUSICACI HA DATO DEI CAPOLAVORI

NON IMPORTA STABILIRE SE È ARTE. QUELLO CHE INTERESSA È IL MODO IN CUI COMUNICA

RICCARDO MUTI

(segue dalla prima pagina)

Edèriuscito a parlare a un nu-mero di persone, giovani so-prattutto, molto maggiore

rispetto a quanto ha fatto certamusica “colta” degli ultimi de-cenni, arroccatasi su posizioni fintroppo élitarie. Non voglio entra-re nel merito di questioni di “va-lore”: stabilire, cioè, se questemusiche siano o meno“arte”. Quel chem’interessa è il mo-do in cui sanno co-municare, modifi-care i comporta-menti o anche in-carnarli, esserne te-stimoni. E a questoproposito credo cheil suono distorto del-la chitarra elettricadi Jimi Hendrix pos-sa risultare tantopiù contempora-neo di molta musi-ca scritta dai com-positori “classici”odierni.

Vi sono state,certo, alcune “vet-te” nella storia delrock, che hannorappresentato an-che momenti dicontatto col mon-do della musica clas-sica. Pierre Boulez,per esempio, ha di-retto musica diFrank Zappa; dun-que, anche dal miopunto di vista, inevi-tabilmente “viziato”dal mio tipo di studi,c’è un rock pieno di“sostanza” musi-cale. Penso ancheai Beatles, autoridi piccoli capola-vori di quella cheviene definita la“piccola forma”, ilsong (peccato che initaliano la parola“canzone” non ren-da l’idea), con raffi-natezze armoniche edi strumentazionedi tutto rispetto. Ecompositori co-me Berio, l’olan-dese Andriessen oil giapponese Take-mizu hanno volutoriscriverle, farle pro-prie. Anche Schubertattinse a piene mani,e consapevolmente,al patrimonio popo-lare, trasfigurando-lo, certo, ma mante-nendone intatta lafreschezza: quellaleggerezza che nonha niente a che vede-re con la mediocritào la superficialità. Lo stesso vale,seppure in forme diverse (dovuteai suoi particolari studi etnomu-sicologici), per un compositorecome Bartók. Da tempo, però, èvenuto meno quel flusso ininter-rotto che ha caratterizzato lungovari secoli il rapporto tra musicapopolare e classica. E credo che visia stata più attenzione, da partedi alcuni musicisti rock, nei con-fronti della classica, che non vice-versa. Un esempio, a questo pro-

posito, è l’omaggio di un grupporock come gli “Who” a Terry Riley,uno dei padri del “minimalismo”.

Ma il rock è anche parola, testo,lingua. E pure su questo versantemi pare che riesca a comunicare,e a farsi interprete del propriotempo, più di certa musica “clas-

sica” scritta nei nostri anni, chiu-sa in un suo mondo aulico, cheguarda con estraneità alle miseriedel mondo. Oggi che la parola«guerra» risuona purtroppo tantospesso, canzoni come Blowin’ inthe wind o Master of war di BobDylan, o Imagine di John Lennon,

LA REPUBBLICA 39MERCOLEDÌ 7 APRILE 2004 D I A R I O

1985 LIVE AID

Mentre Bruce Springsteen e gli U2dominano le scene, in mondovisione va inonda il primo concerto “planetario”, contutti i grandi del rock riuniti per raccoglierefondi a favore dell’Etiopia

1991 IL POPOLO DI SEATTLE

Kurt Cobain e i suoi Nirvana scalano leclassifiche di tutto il mondo con“Nevermind” e danno l’avvio alla stagionedel grunge. Seattle, la città di Hendrix,diventa la capitale del rock.

SE UN RITMO TRAVOLGENTECAMBIA IL MODO DI PENSARE

INTERVISTA ALLO SCRITTORE JONATHAN FRANZEN

ANTONIO MONDA

Ho visto le menti

migliori della mia

generazione... /scara-

bocchiare tutta la notte

in un rock& roll su

incantesimi da soffitta

L’Urlo1956

ALLEN GINSBERG

Usava rock arrabbiato

ad alto volume al posto

dei sentimenti reali, e

non gli dispiaceva poi

tanto. A che servivano

i sentimenti reali?

Un ragazzo1998

NICK HORNBY

Partono batteria e

tastiere, tutto: tu senti

un piccolo idiota

brivido sulla schiena, e

quello che ti parte

sotto il sedere è il rock

Barnum 21998

ALESSANDRO BARICCO

IL SEME

DELLA

VIOLENZA

Accanto a“Gioventùbruciata”e “Il selvaggio”la scopertadei “giovani”vestiti di jeanse t-shirt, ribellisenza causa,in una scuoladovedominanole gangRegia diRichardBrooks, del1955, conGlenn Ford eSidney Poitier

A HARD

DAY’S NIGHT

I Beatles intutto il lorosplendore, conil grandehumor checontrad-distinguevail loro rapportocon il cinemaRegia diRichard Lester1964

EASY RIDER

Il “Road movie”per eccellenza,con le suemoto“chopper”, lelunghe straded’America, lacontrocultura,la droga e ilrock comeprotagonisti.Regia di DennisHopper, 1969con PeterFonda eDennis Hopper

WOODSTOCK

“Tre giorni dipace, amore emusica”,il più grandeconcertomai realizzato,il gotha delrock in scenae, soprattuttoil film rock pereccellenzain grado dimettere inscena lacontroculturaRegia diMichaelWaldleigh del 1970

I FILM

LE IMMAGINIIl juke-box è stato uno strumentofondamentale per la diffusione delrock-’n-roll. Negli Stati Uniti, comein tutto il mondo, a partire dagli an-ni Cinquanta, permetteva ai ragaz-zi di ballare al ritmo dei grandi suc-cessi del momento, come nel dise-gno qui a fianco.

Con il rock nasce anche il feno-meno di un autentico culto dellapersonalità per le grandi star: primofra tutti Elvis Presley. In copertina diquesto Diario, un francobollo com-memorativo di “Elvis the Pelvis”

GLI AUTORIEdmondo Berselli è direttore dellarivista “il Mulino”.

Il testo di Bob Dylanche costitui-sce il Sillabario è tratto da un’inter-vista ad Alan Jackson, riportata su“Uncut Legends n°1”, Londra 2003.

Jonathan Franzen, è autore delbest seller “Le correzioni”. Il suo ul-timo libro è “Forte movimento”.Entrambi sono pubblicati da Ei-naudi.

Riccardo Muti è uno dei piùgrandi direttori d’orchestra con-temporanei

possono raccontare a chi verràqualcosa sul mondo odierno, nelbene e nel male, proprio come sa-peva fare (e fa ancora) l’opera ver-diana, o la musica di Beethoven,capace di incarnare tanto profon-damente il suo tempo e di esserneimpregnata. I piani, certo, nonsono confrontabili. Ma penso chela più intensa colonna sonora de-gli ultimi decenni sia stata pro-prio il rock, assieme al jazz e alblues. Non a caso, visto che que-sta musica “altra” è spesso l’uni-ca voce di chi non riesce a farsisentire: il rock, si sa, nasce soprat-tutto dal blues, la musica dei neriamericani, che è anche alla radicedel jazz, musica che parla di san-gue, sudore e lacrime. E al bluesha attinto anche un compositorecome Gershwin, che ha saputo ci-mentarsi sia con la “grande” checon la “piccola” forma, oscillan-do senza soluzione di continuitàtra ambito popolare e accademi-co-classico. Insomma anche ilrock, quando non è troppo asser-vito a logiche mercantili, può far-si portatore di “verità” e “bellez-za”. E abbiamo comunque biso-gno sia della “grande musica” -quella che Bach, Mozart, Beetho-ven, Stravinskij, Berg e altri gran-di scrissero per noi - sia di musi-che come il rock, che accompa-gnano e rendono più tollerabile lanostra vita.

Non m’interessa invece il feno-meno del cosiddetto crossover: le“contaminazioni”, spesso artifi-ciose e forzate, tra “classica” erock. Però in passato le versionirock di capolavori classici - la ri-lettura di Emerson, Lake and Pal-mer dei Quadri di un’esposizionedi Musorgskij, o il Bach e ilBeethoven suonati al sintetizza-tore da Walter Carlos(memorabile la co-lonna sonora diArancia Meccanicadi Kubrick) - contri-buirono a far cono-scere a milioni di gio-vani i grandi compo-sitori, e dunque a di-vulgarli, magari conscorciatoie kitsch.Del resto uno dei pri-mi hit della storia delrock è stato Roll overBeethoven, di JerryLee Lewis: forse l’in-tento era dissacrato-rio, nel segno di quel-la corrente di odio-amore che ha sem-pre contraddistintola relazione tra “clas-sica” e rock, metafo-ra del rapporto pa-dri-figli, con l’auto-rità (e la saggezza) dauna parte, e la conte-stazione e la rivolta(ma anche la creati-vità) dall’altra. Manelle nostre discote-che a casa, oppure inquell’isola deserta incui dovremmo por-tarci solo pochi libri ecd, c’è posto sia per Beethovenche Jerry Lee Lewis. Nell’ordine,certo…

(testo raccoltoda Leonetta Bentivoglio)

Jonathan Franzen è nato unadecina di anni dopo il rock, manon ritiene di sentirsi più gio-

vane della rivoluzione musicaleche ha cambiato radicalmente lasua intera esistenza. «Sono cre-sciuto con i Beatles», racconta nelsuo appartamento minimalistadell’Upper East Side che non la-scia trasparire nulla di un fan dellamusic rock, «ma crescendo sonodiventato un devoto dei “MoodyBlues”. C’è stato quindi il lungoperiodo dell’amore per Jerry Gar-cia ed i “Grateful Dead”, ed infinela svolta, per me assolutamentefondamentale, del 1977, l’anno incui ho finito il liceo».

Cosa è successo?«Sono usciti tre album favolosi

che mi hanno cambiato la vita, ed

ho capito in quel momento come lamusica rock, con la sua energia edil suo irrefrenabile potere di comu-nicazione, avesse la forza di cam-biare la vita di chi l’ascoltava».

Quali erano gli album? «My aim is true di Elvis Costello,

Give ‘em enoughrope dei “Clash”e il disco dei“Talking Heads”che portava il lo-ro nome in co-pertina.

Qual è l’im-portanza socia-le e culturaleche attribuisce al rock? «Preferi-sco rispondere con un dato pretta-mente personale. Ascoltando queidischi ho sentito qualcuno che miconosceva intimamente e che sta-va parlando direttamente con me.

L’uscita degli album acquisiva unadimensione immediatamenteepocale, e l’energia del messaggioera sempre rivoluzionaria: ricordoad esempio che il disco di Elvis Co-stello, che è forse quello che mi hasegnato maggiormente, è uscitonel 1976 in Inghilterra, ma solo unanno più tardi negli Stati Uniti.Quella differenza di tempo, che og-gi può apparire ridicola e margina-le, segnava in realtà momenti dicrescita fondamentali, per me co-me per tanti ragazzi di ogni partedel mondo. Io sentivo che quellecanzoni e quei ritmi cambiavanodrasticamente il mio modo di ve-dere la società in cui vivevo. Per laprima volta mi rendevo conto diessere parte di una comunità mol-to più grande e cosmopolita chenon si sentiva rappresentata senon da quella musica, e provavo unsenso di assoluto inebriamento.

Ho cambiato montatura di occhia-li, taglio di capelli e modo di vesti-re. Ma, cosa più importante, hocambiato il modo di pensare, e leconfesso che ho mantenuto unasensibilità intimamente punk per isuccessivi vent’anni. Su un pianopuramente artistico posso ancheconfidarle che quei dischi hannosegnato sia lo stile che il contenutodei miei libri.

Ritiene che il rock abbia mante-nuto ancora quella forza rivolu-zionaria?

«C’è un gruppo che odio visce-ralmente che si chiama “DaveMatthews Band”. È una band ama-ta in egual misura da genitori cin-quantenni e figli adolescenti, chevanno insieme ai concerti vesten-dosi nello stesso modo. Se pensoalla popolarità di fenomeni di que-sto tipo devo dedurre che sia finitoil rock come espressione di ribel-lione e contrasto. Ma so anche be-ne che questo non può riassumerela totalità del fenomeno, anche seindica una tendenza evidente».

Quali sono invece le degenera-zioni e gli elementi negativi all’in-terno dell’elemento rivoluziona-rio del rock?

«Mi ha sempre colpito e spaven-tato l’uso della musica come droga.Ancora adesso rimango turbatoquando vedo in metropolitana deigiovani che non leggono, ma sen-tono la musica dalle cuffie. L’im-pressione costante è quella di unapproccio passivo, e di un’assenzasconsolante di pensiero. Nelle sueespressioni peggiori il rock ed i suoiderivati rischiano di essere privi dialcun contenuto. E questo vuotopuò essere altamente dannoso».

Lei preferisce il rock inglese oamericano?

«Se devo pensare al rock la primaimmagine che mi viene in mente èamericana: penso ad Elvis e alla suagenerazione. Ma la mia band favo-rita sono i “Rolling Stones”, chenon a caso hanno razziato a manoaperta la musica americana. Ri-guardo a questa contrapposizione,mi ha sempre colpito l’evoluzionedei “Mekons”, un gruppo di Leedsche apprezzo molto. Si tratta di unaband estremamente anti-capitali-sta ed anti-americana in manieraradicale, che tuttavia si è gradual-mente americanizzata. Oggi i com-ponenti del gruppo vivono negliStati Uniti, e si sentono a casa inquesto paese più di quanto succe-da in Gran Bretagna».

Qual è il disco più importantedel rock?

«A mio avviso Exile on MainStreet dei “Rolling Stones”».

E la canzone? «Pure dei “Sonic Youth”».

Ascoltando certi dischi

è stato come provare la

sensazione che qualcuno

ti conosce intimamente

New York

ALVOHXEBbahaajA9 770390 107009

40407

CIDEDSDODLFra le vittime civili ci sarebbero una donna e due bambini. Moqtada al Sadr a Najaf conquistata dagli insorti. Sventato attacco chimico a Londra

La battaglia di NassiriyaFeriti 12 bersaglieri, morti 15 iracheni. Berlusconi: prolunghiamo la missione

NELLA PALUDE

DELL’EUFRATEBERNARDO VALLI

LA STORIA recente di Nas-siriya è scritta sul lungo-fiume. Ad illuminarla c’è

la luce ardente riflessa dalle ac-que poco invitanti dell’Eufrate.La raccontano le case sbreccia-te, le buche scavate sulle stradedall’artiglieria americana, letracce dei proiettili sui muri, i ra-mi degli alberi segati dalleschegge. Ed anche la povertà, lamiseria, scritta sui volti e sugliabiti. Un anno fa non fu facileespugnare la città. Fu uno dei ra-ri centri di resistenza delle mili-zie di Saddam Hussein, durantela breve guerra di primavera.Nel quartiere affacciato sul fiu-me ci sono anche i segni dei sac-cheggi avvenuti subito dopo laliberazione. L’espressione, nelcaso di Nassiriya, è appropriata.Gli americani furono infatti ac-colti come liberatori: ma la po-polazione non perse tempo adapplaudire o a lanciare fiori:manifestò la sua gioia brucian-do e devastando i simboli e gliedifici del regime.

La collera era comprensibile.La città aveva subìto innumere-voli repressioni nei venticinqueanni di dittatura: e si era più vol-te ribellata. Nel ’91, ai tempi del-la guerra del Golfo, aveva datovita a un movimento di guerri-glia, prima favorito e poi abban-donato a se stesso dagli ameri-cani. I sopravvissuti ai rastrella-menti dell’esercito iracheno sierano rifugiati nei vasti acquitri-ni formatisi, attraverso i secoli,nella valle dell’Eufrate; e per sta-narli era stata prosciugata l’in-tera provincia, riducendo allafame la popolazione che vivevadella pesca e del riso che vi veni-va coltivato. L’odio esplosedunque violento quando il regi-me fu spazzato via dai carri ar-mati americani. Le vittime delregime erano state tante: padri,fratelli, figli, spesso anche ma-dri e sorelle: quasi tutti i partitipolitici hanno un loro elenco.Senza tener conto di quel passa-to recente non si può capire l’a-gitata democrazia fuorileggeche fa di Nassiriya uno dei cen-tri più esplosivi dell’Iraq. Co-munque uno dei più difficili dagovernare.

SEGUE A PAGINA 10

La coalizione

senza bussolaLUCIO CARACCIOLO

COSÌ rischiamo di per-dere la guerra. Nonsolo la campagna ira-

chena, ma il confronto stra-tegico con il terrorismo jiha-dista. Un anno dopo la cadu-ta di Saddam, gli Stati Unitinon riescono a venire a capodel puzzle iracheno. I frontisi moltiplicano: prima iguerriglieri sunniti, sprez-zantemente bollati comesaddamiti residuali; poi i ter-roristi filtrati attraverso leporose frontiere mesopota-miche; adesso le “teste cal-de” sciite, sguinzagliate dalgiovane e ambizioso ayatol-lah Muqtada al-Sadr, impe-gnato a conquistare posizio-ni nel suo stesso campo.Mancano all’appello solo icurdi, che per il momentoassistono allo spettacolodell’Iraq arabo in fiamme al-largando la loro area di in-fluenza e rinsaldandonel’indipendenza di fatto.

SEGUE A PAGINA 11

LE IDEE

Il premier: non accetto i conti Ue“Da Prodi una campagna anti-italiana, a gennaio riduco le tasse”. Oggi l’esame di Bruxelles: “Nel 2005 rischiate di sfondare il 4%”

Bersaglieri di pattuglia a Nassiriya DA PAGINA 2 A PAGINA 11

ROMA – «Non accetto le previ-sioni dell’Unione europea suinostri conti pubblici»: SilvioBerlusconi, in tv a Porta a Portasenza contraddittorio, ieri ènuovamente andato all’attac-co della commissione Ue e diRomano Prodi, «che ha comin-ciato la sua campagna elettora-le anti-italiana». Di nuovo il ca-po del governo ha promesso:«A gennaio ridurrò le tasse».Oggi l’esame di Bruxelles suiconti pubblici. L’ultima previ-sione: deficit al 4 per cento nel2005.

LUZI e MAROZZI A PAGINA 18

Il leader radicale: Ciampi faccia un gesto

Allarme dei medici

“Pannella sta male

sospenda il digiuno”GOFFREDO DE MARCHIS

A PAGINA 14

Perugia, era arrivata in ospedale in fin di vita. Fermato un amico di famiglia, datore di lavoro del padre

Bimba di tre anni uccisa dalle sevizieCITTÀ DI CASTELLO – È mortaieri sera all’ospedale di Cittàdi Castello, in provincia di Pe-rugia, la bambina di tre anniviolentata per ore e ricoveratada martedì per traumi gravis-simi. I carabinieri hanno fer-mato con l’accusa di lesionigravissime un uomo di 32 an-ni di Sansepolcro (Arezzo),amico di famiglia e datore dilavoro del papà della bambi-na. È stato lui ad accompagna-re in ospedale la piccola incondizioni disperate. È incen-surato. «Io a quella bambinanon ho fatto nulla» ha ripetu-to nel corso di un lungo inter-rogatorio.

BELLU A PAGINA 16

CINQUANT’ANNI dirock: è passato mezzosecolo da quello spar-

tiacque che furono gli anniCinquanta, gli anni del “do-po”. Dopo il conflitto mondia-le, la bomba atomica, Au-schwitz. Una colonna sonoradella volontà di andare avanti,dimenticare, chiudere un ca-pitolo per guardare il futuro

con ottimismo. «Sono solocanzonette», recita il verso diuna canzone. Eppure aiutanoa vivere, benché in modo di-verso dalla “grande musica”.Anche il rock racconta l’uomoe la sua vita, troppo spesso co-sì difficile.

SEGUE A PAGINA 22 BERSELLI e MONDA

ALLE PAGINE 21, 22 e 23

DIARIO

Quando il rock cambiò il mondo

Marco Pannella

RICCARDO MUTI

Nelle rivolte 176 vittime

Caserma Usapresa d’assalto

strage di marinesDodici soldati caduti

negli scontri a Ramadi

Fedelissimi di Sadr

DELL’OMO A PAGINA 4

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Anno 29 - Numero 82 mercoledì 7 aprile 2004€ 0,90 in Italia