Rivista Senso & Gusto - Marzo 2013

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Ricette, Curiosita, Moda & Tendenze, Nutrizionista, Wedding Planner, Inchieste, Storie del Cibo,e tanto altro .....

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sommario

Senso&Gusto - mensile gratuitoAutorizzazione del Tribunale di Velletri n. 08/12 del 19/04/12

EditoreAC Management di Cristiano Buccierovia dei Ciliegi, 1 - 00040 Pavona (RM)cell. 392 3884281

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Redazione e segreteriaVia Latina, 23 - 00041 Albano Laziale (RM)Tel. 392 3884281 - 335 309696Fax 06 [email protected]

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Editoriale 5

Le storie del cibo 7

Il parere dell’esperto 11

Lo sapevate che... 13

La ricetta del mese 15

Cultura e sapori 9

L’angolo dei golosi 19

Pianeta vino 21

Magie di notte 23

Il benessere a tavola 25

La natura nel piatto 27

Moda e tendenze 29

Il Ristorante 17

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Nel numero di febbraio ho dedicato il mio editoriale aduna trasmissione televisiva (Masterchef). L'ho fattoperché tuttora non riesco a comprendere il motivo del

suo successo, che ritengo inspiegabile, per l'asprezza dei suoitoni e certi atteggiamenti di dubbio gusto di chi giudica. Chi losegue, mi ha spiegato, che piace proprio per quel suo copione“cattivo”. Per carità, ognuno ha i suoi gusti...Proprio per questovoglio tornare a parlare di tv (non accusatemi di monotonia) edi un programma “I menu di Benedetta”, che è l'opposto di“Masterchef” in onda nel tardo pomeriggio su “La 7”.Il format è diverso. Nel primo caso, si tratta di una competizio-ne fra aspiranti chef; nel secondo, di una trasmissione di ricet-te. Non è questa la differenza, ma l'eleganza, la gradevolezza,la genuinità e la spontaneità che Benedetta Parodi, che scriveanche libri di cucina, è riuscita a dare alla sua trasmissione. E'riuscita a trasformare in un momento di piacevole intratteni-mento e divertimento (non mancano le battute salaci), uno spa-zio che parla soltanto di ricette, senza quelle“recite” e quellepiatte formalità, che spesso caratterizzano i programmi (sono41), che parlano di cucina. Benedetta non recita da chef, ma sipone come la donna che tutti i giorni si divide fra casa e lavo-ro, che accudisce i figli e deve fare i conti con un budget, chenon ammette sprechi. La scenografia stessa s'avvicina molto aquella di una cucina che potrebbe essere anche la nostra, conil minimo degli arnesi necessari. Unica eccezione: la presenzadel pubblico, che tra l'altro colloquia con la conduttrice. Nonindossa la divisa da chef, ma il vestitino che ha messo perandare in ufficio e che non è riuscita a toglierselo, comprese lescarpe dal tacco vertiginoso. Perché non ne ha avuto il tempo,perché l'ora della cena incombe.Chiaramente, influisce molto la simpatia e la comunicativa diBenedetta, sempre sorridente che si lecca le dita se si sporca-no di salsa, la sua capacità di sfondare lo schermo e di entrarein sintonia con i telespettatori. Tutto ciò, attraverso una condu-zione spigliata, veloce, spiritosa, con divagazioni che nullahanno a che fare con il tema della trasmissione e condita quae là da qualche improperio, quello che noi tutti diciamo, di fron-te a quegli imprevisti che si presentano in cucina. Ma quelloche più mi piace del programma, è l'informalità. ChiaramenteBenedetta non è una chef di professione, gli altri conduttori sì.Però trovo esagerato l'atteggiamento di alcuni professionistidei fornelli, che nel descrivere e preparare un piatto, sembranoche stiano parlando dei massimi sistemi e non di peperoni,spezzatino, cacio e pepe e crostate, cose normali che fannoparte della nostra vita quotidiana. Sta proprio qui la differenza

tra la trasmissione di Benedetta e quelle in onda su altri cana-li. Lavorare senza maniacalità, presentando a volte, piatti un po'arruffati, non proprio eccelsi da un punto di vista coreografico,comunque appetitosi. E' quello che capita a tutti noi quandocuciniamo. Dico ciò, perché mi diverte il fatto che ogni tanto, mentre sidanna l'anima per fare in sette minuti il piatto “salvacena”,come lo chiama lei, si dimentica di mettere qualche ingredien-te per la fretta di concludere nel tempo stabilito. Ecco, in quelmomento la identifico in tante altre donne o uomini, alle presecon i tempi, che sono sempre troppi stretti. Il resto lo fa la sem-plicità delle sue ricette, che sono alla portata di tutti, bravi omeno bravi, senza uso di ingredienti troppo sofisticati, che rara-mente si trovano in una dispensa di casa. Non sarà alta cucina,ma è quella che noi tutti sviluppiamo quotidianamente, stuzzi-cando la fantasia dello chef che è in noi. Oltre ad aiutarci avariare la cucina di tutti i giorni, in modo semplice, così da nondover ricorrere ai banali e poco salutari bastoncini di pesce oai sughi già fatti, a primi piatti surgelati da saltare in padella oa brodi contenuti in tetrapak, soltanto da scaldare. Il tutto conil sorriso sulle labbra, che, a sua volta, viene trasmesso a chiguarda. E' di questo che la gente ha bisogno, non di sguarditruci e atteggiamenti verbalmente offensivi. Il mondo, purtrop-po ce ne regala già tanti.

Paolo Caprio© RIPRODUZIONE RISERVATA

E ditoriale

La cucina è anche divertimentocon “I menu di Benedetta” in tv

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L e storie del cibo

I lunghi digiuni delle Quaresimefatti di maritozzi e frittate alle erbe

Anche il digiuno è un comando di fede. In tutte le reli-gioni del mondo, infatti, l’astensione dal cibo perperiodi lunghi o limitati è considerata un fondamento

essenziale per ogni credente. Nelle antiche scritture è riportato che il primo precetto cheDio impose ad Adamo fu proprio quello di non mangiare unfrutto proibito. I divieti contro “cibi immondi”, secondo sto-rici ed antropologi nascono proprio dall’esigenza di imporreregole alimentari utili a tutelare la salute degli uomini e abloccare terribili infezioni. Il digiuno, poi, in alcune condizio-ni può valere più di ogni medicina, oltre a servire a concilia-re pensieri e meditazione. I cristiani praticano l’astensioneda alcuni cibi nel periodo di Quaresima che va dal mercole-dì delle ceneri alla Pasqua. Divieto assoluto di mangiarecarne c’è, invece, il Venerdì santo, il Mercoledì delle cenerie nelle Vigilie di Natale e di Capodanno. A Roma il precettodella Quaresima, fino a poco tempo fa, veniva rispettatoanche perché, finalmente, il pesce di fiume poteva prendereil sopravvento su capponi, maiali e galline. In questo periodo venivano consumate soprattutto le aringheaffumicate e sott’olio, il pesce azzurro, preferito in tortinecon pomodori ed olio, infornate con il pane ed il baccalànelle sue innumerevoli varianti. I più fortunati e molti abitan-ti dei Castelli Romani che potevano attingere da laghi pesco-si avevano la possibilità di consumare i gustosi lattarini frittio conservati, le trote ed in qualche caso le anguille. Durantela Quaresima non poteva neanche essere consumato il rossod’uovo, ma di questa regola se ne fece ben presto a meno,perché nelle povere famiglie non si poteva fare assolutamen-te a meno di fettuccine e della classica stracciatella. In cam-pagna, invece, abbondavano i piatti unici fatti di pancottocon uova ed olio giusto per insaporire, minestre di cavolo

nero, mine-stre alle erbese lvat iche ,minestre inbrodo d’arzil-la, zuppa conuova e patateecc. Tra idolci meritauna segnala-zione a

parte il maritozzo, ripieno di uva sultanina e pinoli che veni-va esposto nei piccoli negozi di pasticceria proprio a segna-re l’inizio del periodo di Quaresima. Gli storici dell’alimenta-zione fanno derivare il nome dal termine “marito” per ricor-dare l’usanza che vedeva i fidanzati ed i coniugi regalare ildolce ogni primo venerdì del mese di marzo alla propriaamata. La variante con l’aggiunta di panna è venuta annidopo. In genere tutti i dolci di Quaresima erano fatti conimpasti duri, dovuti all’uso di olio di oliva in cui erano amal-gamati uve passite, noci, nocciole, ecc. Si sono perse le tracce, invece, dei Pazientini quaresimali,dolci preparati con zucchero in polvere, chiare d’uovo, fari-na, vaniglia artificiale e poche gocce di zucchero caramella-to. Una vera specialità ai Castelli Romani è l’erba diQuaresima, con cui si fanno inimitabili frittate preparate soloa marzo e non in tutte le zone. Valerio Intreccialagli del risto-rante “Il Monticello” di Monte Porzio Catone ha fatto di que-sto piatto un cult.

Luigi Jovino© RIPRODUZIONE RISERVATA

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In un momento di grande difficoltà economica e di crisi dipresenze nei ristoranti, è di fondamentale importanza farsivenire delle idee per smuovere una situazione di stallo.

Occorre stimolare la fantasia della gente, disponibile a spende-re dei soldi per qualcosa di diverso ed inusuale. Altrimenti, sce-glie di restare a casa. Accade in qualsiasi attività commerciale,attraverso promozioni, offerte speciali ed iniziative volte arisparmiare qualche euro. Nella risto-razione, le stanno provando tutte. Unavolta, non tanto tempo fa, era il karao-ke a fare da traino, ora le partite di cal-cio oppure pizza, pasta o bistecca avolontà, naturalmente a prezzi strac-ciati. Quest'ultima idea sembra averraccolto dei consensi, più per i costiridotti che per la quantità del cibo cheti viene offerto. Ma quanti piatti dipasta o quante pizze o bistecche unapersona normale riesce a mangiare?Eppure l'idea di non avere limiti a tavo-la senza dover pagare cifre esagerate,influisce positivamente da un punto divista psicologico. Ma c'è chi è andatooltre, chi ha intrapreso un'altra strada,molto insolita: quella dell'accostamen-to con la cultura. Infatti, stanno pren-dendo sempre più piede in tutta Italia,da nord a sud, i locali che, oltre a sod-disfare le esigenze del palato, ti rega-lano momenti di riflessione e di relaxattraverso i libri. Si chiamano risto-librerie, book-bar, library-cafè ed eno-librerie. Sono locali, che all'internodelle sale, ospitano librerie a paretepiene di volumi di tutti i tipi, per tuttigusti, che puoi leggere in loco e, se lodesideri, chiedere in prestito per leggerlo anche a casa.Proprio per questa loro informalità, molto trendy, questi localisi possono frequentare anche da soli, senza intristirsi per lasolitudine. E' comunque, un ritorno al passato, addiritturamolto lontano. Già nell'antica Grecia i grandi filosofi, con i lorodiscepoli, avevano l'abitudine di ritrovarsi in luoghi appartati,dove affrontare, davanti ad un bicchiere di vino o ad una primi-zia, i grandi temi della vita. Non si tratta di vere e proprie libre-rie, ma di locali alternativi, che offrono una possibilità anche a

coloro che non hanno un grande rapporto con i libri. A volte,più per pigrizia che per disinteresse. Inoltre, in questi locali,vengono organizzate anche delle presentazioni di opere appe-na editate, dei piacevoli incontri tra gli avventori e gli scrittori,dei dibattiti con personaggi della cultura. Un mix che ha incon-trato i favori del pubblico, visto il diffondersi di questa nuovatipologia di locali che, come ho detto prima, cercano di creare

nuove suggestioni e offrire nuovimodi di divagarsi. Un fenomeno cheha catturato l'attenzione delle guidespecializzate, che hanno preso a visi-tare e recensire questi locali. Locali,che nel frattempo, hanno miglioratola loro offerta gastronomica, puntan-do su una cucina con prodotti acqui-stati al di fuori della grande distribu-zione, spesso nelle campagne, in pic-coli laboratori artigianali, in cantine,anche piccole, dove si produce delbuon vino. Questo binomio cultura-cucina non è poi così bizzarro se sipensa che, molto spesso, oggetto diopere di grandi personaggi della let-teratura, con fama di grandi "gour-met", sono stati cibi squisiti ed il pia-cere da essi procurato. Il grandepoeta cileno Pablo Neruda, cheamava moltissimo le delizie dellatavola, al cibo ha dedicato una suasplendida opera "Odi al vino e altreodi alimentari" edito da Passigli, doveha rivolto poesie a vari ortaggi comeil pomodoro, la cipolla, il carciofo,che pubblichiamo qui accanto, e altroancora. Veri inni al gusto, descritticon grande genialità dal poeta. Che

la cultura e – chissà? - un domani anche l'arte, possano diven-tare motivo di richiamo per la ristorazione? Certamente nonsarà la norma, ma può rappresentare, comunque, una nuovavia da seguire. L'importante è che sia resa accessibile a tutti enon finisca per diventare una ristorazione di "nicchia" riserva-ta soltanto a pochi eletti.

Antonella Lorini© RIPRODUZIONE RISERVATA

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C ultura e sapori

Buoni libri e buone amatricianeil ristorante diventa sala di lettura

Ode al carciofo

Il carciofo dal tenero cuore si vestì da guerriero,ispida edificò una piccola cupola,

si mantenne all’asciutto sotto le sue squame,vicino al lui i vegetali impazziti si arricciarono,

divennero viticci,infiorescenze commoventi rizomi;sotterranea dormì la carota dai baffi rossi,

la vigna inaridì i suoi rami dai quali sale il vino,la verza si mise a provar gonne,l’origano a profumare il mondo,

e il dolce carciofo lì nell’orto vestito da guerriero,brunito come bomba a mano,orgoglioso,

e un bel giorno,a ranghi serrati,in grandi canestri di vimini,

marciò verso il mercato a realizzare il suo sogno:la milizia.Nei filari mai fu così marziale come al

mercato,gli uomini in mezzo ai legumi coi bianchispolverini erano i generali dei carciofi,file

compatte,voci di comando e la detonazione di unacassetta che cade,ma allora arriva Maria col suo

paniere,sceglie un carciofo,non lo teme,lo esamina,l’osserva contro luce come se fosse unuovo,lo compra,lo confonde nella sua borsa con un

paio di scarpe,con un cavolo e una bottiglia diaceto finché,entrando in cucina,lo tuffa nella pentola.Così finisce in pace la carriera del

vegetale armato che si chiama carciofo,poi squa-ma per squama spogliamo la delizia e mangiamo

la pacifica pastadel suo cuore verde.

Pablo Neruda

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Dessert

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Carne di cavallo dove non doveva esserci; mescolata allacarne di manzo, ma non dichiarata in etichetta. E’ succes-so giorni fa in Europa e oltre, da Praga a Casablanca, coin-

volgendo importanti aziende alimentari, grande distribuzione, eorgani di controllo. Niente pericoli per la salute, sia chiaro, ce lodicono le Autorità Sanitarie, ma non va bene lo stesso. Non si puòvendere una cosa per un’altra, non si possono vendere alimentiadulterati, anche se non pericolosi, perché si commette il reato difrode commerciale. Che cos’è l’adulterazione? E' l’atto di modifi-care un alimento sostituendone una parte con componenti estra-nei, di solito di minor valore, oppure sottraendo o aumentandoalcuni suoi componenti. In altri tempi l’oste adulterava il vino con l’acqua, il lattaio screma-va il latte per farne burro da vendere a parte. Queste sono prati-che semplici, ancora in uso qua e là, ma il mondo delle adultera-zioni è oggi purtroppo più generalizzato e raffinato, e si estendedalla piccola trattoria all’industria alimentare, danneggiando nonpiù l’incauto singolo cliente, ma enormi masse di consumatori. Lodico, convinto che la maggior parte degli operatori alimentari siagente onesta. Le adulterazioni sono quasi sempre atti volontari: faccio formag-gio con il latte fresco e latte in polvere per uso zootecnico: mettoinsieme il buono con lo scadente e ci faccio la cresta. Talvolta leadulterazioni sono invo-lontarie, dovute a impe-rizia o dabbenaggine:prima lavoro un prodot-to, non ripulisco benegli impianti, poi lavoroun altro prodotto, edecco la contaminazio-ne. E’ successo così,con la carne di cavallonel ragù bovino? Puòdarsi, è una spiegazione plausibile, compatibile con la bassa per-centuale della componente equina. Le adulterazioni, sia volontarieche non, possono creare pericoli per la salute pubblica.Ricordiamo, in Italia, il caso ormai lontano dei criminali che peraumentare il grado alcolico del vino usarono l’alcol metilico, cau-sando la morte o l’invalidità di decine di persone. E quello piùrecente, in Cina, dove altri criminali introdussero la melamina, (uncomponente per la fabbricazione di resine plastiche) nel latte inpolvere pediatrico per simulare un alto contenuto di proteine. Chi produce e vende alimenti adulterati ne risponde penalmente;nel caso di adulterazioni involontarie non sempre è facile dimo-strare la buona fede, ma restano sempre le responsabilità penalie civili in caso di danni alla salute dei consumatori.

“Adulterazioni” legali ma come - dirà qualcuno - io compro lattescremato, privato del grasso, quindi adulterato! Come mai se nepermette la vendita? E’ vero, alcune “modifiche”, se consentitedalla legge, non sono “adulterazioni”. Il latte scremato o parzial-mente scremato è preferito da alcune persone, ed è utile per chiha bisogno di una dieta a basso contenuto di grassi. L’importanteè che ogni modifica al prodotto originario (sempre che la legge lapermetta) sia dichiarata in etichetta o nel menu. Come difenderci, chi ci difende dalle adulterazioni, come possia-mo aver fiducia che chi produce o chi prepara, o chi vende gli ali-menti non ci imbrogli? Esistono due metodi, che si fondano sullaseverità e incisività del controllo pubblico e sulla trasparenzaresponsabile degli operatori alimentari. Il primo, il più antico, èquello un tempo orientato alla repressione del reato, ma oraanche alla prevenzione. E il metodo dei controlli e delle sanzioni:l’Autorità pubblica ispeziona i prodotti, i locali, i magazzini, gliimpianti, i documenti di acquisto e di vendita, il modo di produrre.Poi preleva i campioni di analisi per accertare la composizione ela salubrità dei prodotti. Il metodo permette di rilevare le frodi o le situazioni anomale piùimpensate. Però, data la sua impostazione “campionaria”, nonpuò coprire la totalità dei casi. Risulta però efficace per il forte effetto deterrente e, se condottocon approccio costruttivo da parte degli Ispettori professional-mente più preparati, aiuta a migliorare il comportamento delleaziende, soprattutto quelle che adottano con cura il metodoseguente, quello dell’”Autocontrollo”.

Antonino Addis© RIPRODUZIONE RISERVATA

I l parere dell’esperto

Carne di cavallo non dichiaratal'ultima frode delle industrie

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L o sapevate che...

Coccinelle che colorano il gelatoe il vescovo “puzzone”

I PRIMI CORN FLAKES

Li ha ideati il Dr. Kellogg per i pazienti

che soffrivano di disturbi alimentari

e che dovevano seguire una dieta

rigidamente vegetariana. Nel 1906 il

fratello del medico, Will, aggiunse ai

fiocchi d’avena lo zucchero e cominciò

a promuoverli come alimento per la

prima colazione. John non contento

della modifica denunciò il fratello,

senza riuscire a frenare l’inarrestabile

successo dei “Kellogg’s Corn Flakes”

LO “SCOPPIO” DEI POPCORN

Ogni chicco di popcorn contiene,

immagazzinata all'interno, una

goccia d'acqua. A differenza degli

altri cerali, l'involucro è spesso ed

impregnato di umidità.

Quando il chicco si scalda, l'acqua

portata ad ebollizione si espande,

la superficie esterna finisce col

cedere, provocando lo “scoppio”

del popcorn.

Il “FUOCO” DEI PEPERONCINI

Il “fuoco” che sentiamo mangiando pepe-

roncino è una sensazione non reale, cioè

non corrisponde ad un aumento di tempe-

ratura nella bocca. E' solo la capsaicina in

essi contenuta che interagisce con i termo-

ricettori della bocca che registrano una

temperatura dai 43°C ed i 52°C, dando al

cervello un segnale di "bruciore". La sen-

sazione di bruciore viene seguita da una

sensazione di benessere provocata dalla

capsaicina che stimola il cervello a pro-

durre endorfine, oppiacei naturali dando

una sensazione di benessere.

SOTTOMARCA O MARCA NASCOSTA?

A volte, dietro ai prodotti cosiddetti “sotto-

marca” si celano, le più grandi case distri-

butrici di alimenti. Controllando da chi

vengono prodotti gli articoli delle sotto-

marche, potrete scoprire che sono sempre

le grandi case a realizzare questi prodotti.

Voi avrete la garanzia della qualità ad un

prezzo accessibile e le grandi case vedran-

no aumentate le loro entrate. Tutti felici

insomma! Quindi controllate sempre sul

retro delle confezioni per scoprire da chi è

stato prodotto l’articolo sottomarca che

avete sempre snobbato: resterete stupiti!

L'ANTENATO DELLA NUTELLA

Nel 1945, il Maestro

Pietro Ferrero inventò il Giandujot,

l'antenato della Nutella.

Era un panetto da tagliare a fette e solo

nel 1949 diventerò una crema da

spalmare. Si racconta che, a causa

del grande caldo, il panetto cominciò

a sciogliersi, trasformandosi

in crema. Nacque, così,

la tanto amata Nutella.

CAVOLO ANTISBORNIA

Nell'antica Roma, i commensali

erano soliti mangiare cavoli

crudi per aiutare lo stomaco ad

assorbire meglio l'alcool.

Non solo: a Roma

si attribuiva al cavolo

il potere di scacciare la

malinconia e la tristezza.

VERDURE IN CASSAFORTE

Nei sotterranei di un palazzo di Tokio, nel

vecchio caveau dell’edifico, si è allestita

una coltura di pomodori, lattuga, fragole,

ma anche erba e fiori. Per quanto possa

sembrare strano, gli “artefici”

assicurano che la piantagione è quasi più

sana dei campi all’aria aperta: non vengo-

no usati pesticidi e l’ambiente è costante-

mente monitorato da un computer. La luce

del sole è stata sostituita da fasci di luce

artificiale ed il metodo utilizzato è quello

idroponico, cioè le piantine vengono fatte

crescere in acqua.

LE COCCINELLE NEL GELATO

Il colore rossiccio del gelato alla fragola

si chiama “rosso cocciniglia” (E120) ed

è estratto dalle coccinelle che vivono sui

cactus di Brasile, Perù ed Isole Canarie.

Ne occorrono circa 70.000 per

formare 500 gr. di colorante

Anche nel succo di frutta all'arancia

rossa è contenuto il colorante rosso coc-

ciniglia. Non aggiungendolo, il succo di

arancia acquisterebbe un colore mar-

roncino perché il pigmento rosso del-

l'arancia si combina con l'ossigeno.

CHE PUZZA !!!

Secondo l’autorevole giuria del Britain’s

Smelliest Cheese, un concorso riservato ai

formaggi più “appestanti” del Regno Unito,

il formaggio più puzzolente d’Inghilterra è

lo Stinking Bishop (vescovo puzzone) che

è riuscito a stordire una commissione di

esperti profumieri e giornalisti

enogastronomici. “Puzza più di uno spo-

gliatoio di rugby dopo una partita” è stato

il verdetto. La colpa, sembra, è del sidro

di pera del Glouchestershire in cui il

formaggio viene immerso nel corso della

lavorazione.

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L a ricetta del mese

Leggendo questa nuova ricetta, voi vi domanderete come maiio continui a parlare ancora di pesce. Perché, come vi ho giàspiegato nel descrivervi la ricetta del numero di febbraio, mi

dà grande soddisfazione lavorarlo. Avendo una carne dal saporedelicato, mi permette di creare degli abbinamenti che la carne, diqualsiasi tipo sia, non ti consente di fare. Con il pesce hai soltantoun obbligo quando decidi di cucinarlo: devi rispettare la sua morbi-dezza. Quindi cotture brevi e poi non bisogna esagerare con gliodori e le spezie, per evitare che queste ultime prendano il soprav-vento e finiscono per nascondere quelle sensazioni che solitamen-te scaturiscono quando gusti un buon pesce. E poi c'è un altrofatto: il pesce che si pesca nel mare ti fa pensare alla bella stagio-ne, all'estate, al caldo che tutti noi stiamo aspettando con ansiadopo quest'inverno veramente gelato. Pur essendo un alimento chepuoi trovare ormai in qualsiasi ristorante di città, di campagna edanche collina (a volte anche in montagna), quando mangi il pescepensi inequivocabilmente al mare, al sole, alla tintarella e al risto-rante con vista mare. Cosa c'è di più bello di un piatto marinarodegustato, ascoltando il rumore delle onde che si infrangono sullabattigia. Mi dà le stesse sensazioni di una bella spianatora di polen-ta ricoperta di sugo fumante e da carni di vario tipo in alta monta-gna con fuori la neve e la temperatura sottozero. Secondo me, i piaceri della tavola sono racchiusi in questi partico-lari. Spesso l'ambiente influisce moltissimo sul giudizio di un piatto,che diventa speciale o meno speciale, secondo dove lo mangi. Seil ristorante, al primo impatto, non ti trasmette il giusto gradimento,anche il tuo pranzo o la tua cena ne risentirà a livello di giudizio fina-le. Avrai da ridire su cose, che in una situazione diversa, ti sembre-ranno positive. Fatto questo breve excursus filosofico sul nostromodo di affrontare il piacere della tavola, ritorniamo alla nostraricetta. Che questa volta parla di salmone, un pesce nordico, moltosaporito, che fa bene alla salute, perché ricco di omega 3, il nemi-co principale del colesterolo. Lo accompagno con un contorno prettamente mediterraneo, lemelanzane, insaporite dalla maggiorana, che è un'erbetta moltoprofumata. Ho aspettato che si avvicinasse la primavera per pro-porvela, perché le melanzane nascono con i primi caldi e sonoquindi più buone e saporite, rispetto a quelle coltivate in serra chetroviamo d'inverno. Acquistate un bel salmone intero in pescheria,oppure la parte finale, cioè la coda già sfilettata. Squamate, svisce-rate e sciacquate con abbondante acqua il pesce. Sistematelo suun tagliere e sfilettatelo, dopoché togliete con un apposita pinzettatutte le rimanenti spine dorsali e togliete con un coltello il grassolaterale. A parte, tritate finemente tutte le erbe precedentementesfogliate e sciacquate in acqua fredda. Asciugate i due filetti di sal-mone e disponeteli su un adeguato piatto, cospargetelo di sale,zucchero e pepe, copritelo in seguito con le erbe tritate e adagia-te sopra delle fettine di limone sino a che i filetti siano omogenea-

mente ricoperti. Copriteli con della pellicola trasparente e lasciate-li marinare per 1-2 giorni nel frigorifero. Prendete le melanzane,sciacquatele e tagliatele, prima a fette dello spessore di mezzo cen-timetro, poi a bastoncini sempre con una larghezza massima dimezzo centimetro e, in ultimo, a piccoli quadratini. Fate riscaldareuna padella sul fuoco, mettete l’olio e cuocete le melanzane primaa fiamma viva per 5 minuti, poi lentamente per 10-15 minuti,aggiungete sale e pepe quanto basta, quindi aggiungete le foglioli-ne di maggiorana. In una “cocotte” o altro simile stampino rotondodel diametro di 5-6 centimetri, mettete, facendo pressione, lemelanzane e girate lo stampino nel centro del piatto. Ora tagliate i filetti di salmone precedentemente marinati a sottilifette e sistematele nel piatto a vostro piacimento, mettendogliaccanto la caponatina di melanzane. Come decorazione usate unramoscello di maggiorana e un filo di olio e limone emulsionatoattorno al piatto, cospargendo leggermente anche le fettine di sal-mone.

Paolo Martizi© RIPRODUZIONE RISERVATA

Ingredienti (per 5 persone)MARINATURA1 kg di salmone 300 gr di aneto

200 gr di prezzemolo100 gr di erba cipollina40 gr di sale fino20 gr di zucchero

4 limoni tagliati a fette sottili15 gr di pepe bianco macinato

CAPONATA3 melanzane medie10 gr di maggiorana2 spicchi di aglio

olio extra vergine di olivasale e pepe q.b.

Salmone marinato con caponata un piatto che profuma di primavera

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Il cioccolato è un alimento derivato dai semi della pianta del cacao (Theobromacacao) diffuso e ampiamente consumato nel mondo intero. È preparato, utilizzan-do il burro di cacao (la parte grassa dei semi di cacao), con aggiunta di polvere

di semi di cacao, zucchero e altri ingredienti facoltativi, quali il latte, le mandorle, lenocciole o altri aromi. Alcuni studi dicono che l’assunzione continua possa condur-re ad una particolare forma di dipendenza detta, per analogia con l'alcolismo, cioc-colismo. Altri studi dimostrano come l'assunzione di cioccolato stimoli il rilascio diendorfine, in grado di aumentare il buon umore. Comunque, piace a molti e noi viinsegneremo a lavorarlo peri vostri dolci con i due metodi base1) Temperaggio per innesto (Metodo più veloce e semplice) Materiale occorrente:ciotola in plastica per microonde oppure bastardella inox con manico; termometrocon sonda; spatola inox e stampi in policarbonato. Tagliare con un coltello la ciocco-lata (non tritare con elettrodomestici, si rischia di scaldarlo troppo e fondere la cioc-colata in anticipo). Fondere circa 2/3 del peso su fuoco a bagnomaria con la bastar-della in acciaio o al microonde con la ciotola in plastica. Quando la cioccolata si èfusa e raggiunge la temperatura di 45°- 48°, cominciare ad inserire, poco per volta,i pezzetti di cioccolata lasciati da parte, facendoli fondere e controllando che la tem-peratura arrivi a 30° per il cioccolato fondente, 28° per il cioccolato al latte o il gian-

duia e 26° per il cioccolato bianco. Vedremo che si fonderà anche la nuova ciocco-lata aggiunta grazie al calore dell'altra. Per controllare se è "temperata" l’unica solu-zione è utilizzare un termometro con sonda. Quindi versare la cioccolata negli stam-pi in policarbonato che, numerosi, troverete nel nostro negozio.2) Temperaggio precristallizzato (Metodo più complicato)Materiale occorrente: pianoin granito; spatola inox o tarocco in plastica; termometro con sonda; bastardella inoxcon manico e stampi in policarbonato.Fondere a bagnomaria nella bastardella su unfuoco dolcissimo il cioccolato, la cui temperatura non dovrà superare i 50°, girandoogni tanto. Solo a questa temperatura i cristalli contenuti nel burro di cacao si scio-glieranno completamente. Versare sul piano di marmo solo 2/3 del totale e con iltarocco in plastica o con la spatola inox spatolarlo, spostandolo da una parte all’al-tra per farlo raffreddare velocemente e per far “allineare” i cristalli. Questa fase, èchimicamente importantissima al fine di ricostituire la massa dopo lo shock dellafusione. Mentre spatolate controllate con il termometro la temperatura che dovràscendere a 29°. Solo con un raffreddamento veloce e col movimento continuo ilcioccolato si precristallizzerà e vi permetterà di staccarlo facilmente degli stampi inpolicarbonato. Versarlo in un’altra pirofila pulita ed aggiungere il cioccolato tenuto daparte, caldo quanto basta per arrivare a 31°. Se andrà oltre si perde il temperaggioe si dovrà ricominciare tutto daccapo.

Il cioccolato, una delizia che fa tornare il buon umore

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Si chiama “La Baita”, ma tutto ha meno le sembianze di quellecaratteristiche costruzioni che si trovano in alta montagna.L'unico punto di contatto: quello di trovarsi ai piedi del bosco

di Monte Cavo. Ma a parte questa particolarità, che poi risale allanotte dei tempi, quando un piccolo chiosco bar estivo, si allargò, dive-nendo anche piccola trattoria. Con alterna fortuna, vista anche laconcorrenza importante nelle vicinanze. Ma a questo locale, sempli-ce e di strada (via dei Laghi km 11,500), vicino ad un incrocio moltotrafficato, con strade che portano a Rocca di Papa, Ariccia, Nemi,Velletri e Roma, vi hanno creduto Gianpiero Lupi e Valeria Stella,marito e moglie nella vita, braccio e mente nella professione, quandodue anni fa si sono imbarcati inquesta avventura. Per far riacqui-stare credibilità a questo locale civoleva coraggio e perseveranza.Gianpiero e Valeria ci sono riusci-ti ed ora incominciano a racco-gliere i frutti del loro lavoro.Hanno avuto, i nostri “eroi”, lacapacità di credere in se stessi edi saper attendere. Tutto ciò, gra-zie alle esperienze acquisite neglianni in giro per l'Italia: gestione diun campeggio con annesso risto-rante a Senigallia, gestione di unristorantino all'isola dellaMaddalena, oltre ad altre espe-rienze ai Castelli Romani. Unagavetta che ha permesso ai duedi puntare su “La Baita” concognizione di causa, perché sapevano che, con il tempo, avrebbepagato. Oggi “La Baita” è una realtà, perché il passaparola, che è ilmiglior veicolo pubblicitario, ha dato i suoi frutti, perché il piaceredella tavola è assicurato dalla qualità del cibo e dai prezzi decisamen-te onesti. Una volta provata, si ritorna a provarla volentieri. Ai fornel-li opera Gianpiero, odontotecnico di professione, ma con la grandepassione per la cucina, nata casualmente. Le sue esperienze nel set-tore sono state quelle del ragazzo, che nel '94 senza lavoro, per gua-dagnare qualche soldino andava a fare la stagione nei ristoranti. E' inqueste brevi comparsate che è scoppiato l'amore per i fornelli. Daaiuto-cuoco a cuoco, il passo è stato breve. Dice scherzando “avreidovuto fare l'odontotecnico, ho fatto il ristoratore. Si vede che nelmio destino c'è sempre una bocca di mezzo”. E a “La Baita”, la boccadeve funzionare bene per degustare i piatti che Valeria, sompre sor-ridente, ti propone. Si può scegliere il menu fisso a 10 euro che cam-bia ogni giorno (a pranzo dal lunedì al venerdì), oppure mangiare allacarta, usufruendo anche dei piatti del giorno. Parliamo di una cucinadi territorio, con grande presenza di carne, cioè di bistecche, taglia-te, filetti e cacciagione, le cui salse vengono utilizzate per condire

tonnarelli e fettuccine. Ma non solo. Quando sono andato a visitarequesto locale, il menu fisso prevedeva una scelta tra polenta conditacon vari salse, pasta e ceci e fettuccine ai vari sughi, un coniglio allacacciatore veramente ottimo (perché questo piatto viene ignorato daquasi tutti gli chef ?), arrosticini di ovino e braciola di maiale. Di fron-te a queste proposte sono rimasto indeciso sul da farsi: puntare sulfisso o ordinare alla carta? Alla fine, ho optato per questa secondasoluzione, soltanto perché Gianpiero, quel giorno, aveva preparato lelumache in umido. Qualcuno storcerà il naso di fronte ad un piattostorico della cucina romana, ma vi assicuro che chi non ha di questiproblemi, ho mangiato qualcosa di stupefacente. Cottura perfetta esugo da sballo, delicato, nonostante la presenza di minuscoli pezzet-

ti di pancetta, avvolgente, con ilcontorno di pane bruscato per una“scarpetta” obbligatoria. Adaccompagnare le lumache è arriva-to un croccantissimo carcioforomanesco alla giudia. Gianpieroprepara un altro piatto di grandeoriginalità: tonnarelli ai carciofi suletto di cacio e pepe. Andandoavanti con i primi, che hanno unamatrice decisamente romana concarbonare e amatriciane, nonposso non sottolineare la sapiditàdelle pappardelle noci, gorgonzolae tartufo fresco, i tonnarelli zucchi-ne, guanciale e tartufo fresco esempre i tonnarelli zucca, speck eporcini. Ecco, i funghi. Questo

locale, quand'è stagione, è il trionfo del fungo. Non solo porcini,come accade ovunque, ma un infinità di altri tipi, cucinati in tutti imodi possibili. Ultima chicca, i dolci. D'inverno si trovano ottime cro-state, gustose torte alla mela e cannella o pere e cioccolato, la mous-se di castagne (solo quando ci sono), quella bianca agli amaretti,quella nera al cioccolato, panna, granella di mandorle. D'estate è untrionfo di granatine al caffè, al cocomero, alle more e a quello cheviene in mente a Giampiero. Non vi resta che provare.

Paolo Caprio© RIPRODUZIONE RISERVATA

1717

RISTORANTE LA BAITA

Via dei Laghi km 11,500 - Rocca di Papa (Roma)

Telefono: 06 94.28.83.10 - 366 71.20.554

Aperto: pranzo e cena

Riposo: lunedì

Carte di credito: tutte (no America Express)

Mail: [email protected] - Facebook: La Baita

I l ristorante

“La Baita”, un piccolo rifugioper gli amanti della cucina di casa

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Questo mese, con questa ricetta, mi sono allontanato dalmio angolo dolce. Ma credetemi, ne vale la pena. La pizzaal formaggio è uno stuzzicante accompagnamento per la

colazione del giorno di Pasqua, ma anche a Pasquetta, nel caso sidecidesse di fare una picnic “fuoriporta”. Prima di entrare nelmerito della ricetta, voglio parlarvi un poco del rispetto che va por-tato alla tradizione. Per negligenza e pigrizia delle persone, da unpo' di tempo, queste sono state messe nel cantuccio. Ora con laPasqua ormai alle porte, ma nel calderone vi metto anche le festi-vità di Natale, è bene riscoprirle. Vi ricordate quelle immense tavo-late di una volta? Sono scomparse, si sono perse nel dimenticato-io. Rappresentavano un momento di incontro della famiglia. Nellamente mi tornano in mente alcuni episodi, che venivano affronta-ti con il sorriso sulle labbra, quando, per via della folta presenza,ci si accorgeva che mancavano le sedie per tutti. Niente crisi dipanico, come accadrebbe oggi, ma si andava dal vicino e le sichiedevano in prestito oppure si invitavano alcuni commensali,quelli con i quali c'era maggiore confidenza, a portarsele da casa.E poi tutti si davano da fare, i pranzi e le cene erano preparati insinergia: si dava un aiuto in casa direttamente o si portavano ipiatti già belli e cucinati, generando, a volte, degli intasamenti dipietanze, che con tutta la buona volontà, non si riuscivano nean-che ad assaggiare per quanto si era mangiato. Ma l'abbondanzafaceva parte del gioco e la fa ancora, dove permangono questemega riunioni con familiari ed anche amici comuni. Sono casi rari,perché avendo sempre meno voglia di trafficare in cucina e dirimettere tutto a posto il giorno dopo, si punta ad andare al risto-rante per mangiare piatti scontati, che puoi trovare anche in unanonimo giorno feriale. Per questo motivo, sono scomparsi dallenostre tavole alcuni ricette tradizionali, tipiche della festività. Unvero peccato, perché queste rappresentano tuttora la storia dellanostra cucina. Ogni piatto ha alle sue spalle un ricordo da raccon-tare, se non addirittura una vita. La cucina ha, da sempre, rappre-sentato un punto di riferimento negli accadimenti storici delmondo, sia quella opulenta dei ricchi, sia quella modesta dei pove-ri. Questa ha vissuto a lungo e nessuno ha mai pensato di toccar-la. Poi, nell'ultimo decennio, sulla cucina è arrivata una ventata(meglio ancora una bufera) di rinnovamento, che è andata adintaccare alcuni punti fermi della ristorazione, con la conseguen-za di far scomparire dalle tavole alcuni piatti storici. Ma comesempre accade, quando si esagera, si finisce per uscire fuori stra-da. Certe ricette hanno perso la loro identità. Per fortuna c'è unritorno al passato, perché la gente non accetta più di mangiarecarbonare che non sono più carbonare, per via di un'aggiunta diingredienti che non hanno nulla a che fare con la ricetta originale.C'è sempre di più la voglia di tornare all'antico. Io, questa stradanon l'ho mai abbandonata e in certe ricorrenze, come la Pasqua,

sulla mia tavola non possono mancare la corallina, il salame con ilgrasso a tocchi, le uova sode e la pizza al formaggio, la lasagna ole fettuccine, l'agnello al forno o brodettato, ed infine, la colombae l'uovo di cioccolato... Proprio, per spingervi al rispetto delle tra-dizioni, questa volta, lascio da parte i dolci e punto diritto sul sala-to, insegnandovi la ricetta della pizza al formaggio, che ha originiumbre. Miscelate le farine, il sale e le uova sbattute. Aggiungetel’olio e dopo aver sciolto il lievito al suo interno, anche il latte.Infine i formaggi grattugiati. Mischiate il tutto fino ad ottenere unimpasto morbido, elastico e liscio. Per concludere, aggiungete ilparmigiano a pezzi. Disponete il composto in uno stampo tondo,coprite con un panno e fate lievitare fino al raddoppio del volume.Trascorso il tempo di lievitazione infornate a 190° per circa 40minuti.

Gabriele Zanini© RIPRODUZIONE RISERVATA

1919

L’angolo dei golosi

Ingredienti (per 8persone)

300 gr di farina 00

6 uova intere

100 ml di latte

100 ml di olio semi

10 gr di sale 10

50 gr di lievito di birra

100 gr di parmigiano grattugiato

200 gr di pecorino grattugiato

100 gr di parmigiano a pezzetti

Pizza pasquale al formaggioun saporito inchino alla tradizione

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P ianeta vino

C’è l’Abruzzo forte e gentilenel Montepulciano Vecchie Vigne

Lazienda di Riccardo Gentile è, oggi, tra le più rilevanti e dina-miche realtà produttive abruzzesi. Per diritto di cronaca la sidovrebbe considerare di recente nascita (1994), ma, perso-

nalmente, mal sopporto quanti intendano la giovinezza sinonimodi inesperienza, soprattutto se si parla di vino e dell’Abruzzo,patria del Montepulciano, vitigno ancora spesso confuso con ilnome dell’antica cittadina Toscana di Montepulciano e dell’omo-nimo vino “Nobile” prodotto invece con uve Sangiovese (PrugnoloGentile). Macché Toscana! Qui siamo ad Ofena, una antichissimacittà in provincia de L’Aquila, a 530 metri sul livello del mare, chedomina l’omonima valle facente parte della Comunità montana diCampo Imperatore – Piana di Navelli e del Parco Nazionale delGran Sasso e Monti della Laga, costituendone una sorta di portad’accesso nella sua parte meridionale. Questo è il Fornod’Abruzzo, noto per i suoi torridi pomeriggi in cui la temperaturasfiora a volte i 40 gradi, ma l’assenza di umidità e la ventilazionerendono il tutto per lo meno accettabile e per le rapide escursio-ni termiche notturne, quando le fredde arie della montagna siincuneano sotto la bollente aria diurna. Questa straordinariamatrice climatica è la costituente di un terroir unico ed ineguaglia-bile, dove il Montepulciano d’Abruzzo, ma anche il Trebbianod’Abruzzo ed il Pecorino regalano il meglio del loro bagaglio aro-matico, approfondendo la loro complessità. Le vigne aziendalisono piantate nella piana sotto Ofena, a 400 metri di altezza, esulle prime pendici delle montagne, ove il minerale calcareo è lacostante componente territoriale. Il bicchiere di MontepulcianoD’Abruzzo Doc Vecchie Vigne 2009 è di colore rubino profondo.Ha un naso ampio e di grande intensità, con fragranze di amare-na, confettura di more, spezie dolci, cacao e minerali. Il gusto ètutto equilibrio, con tannino elegantissimo e ben inserito nell’insie-

me delle componenti fresche, sapide, morbide ed alcoliche. Lalunghezza è straordinaria, con ritorni fruttati e dolcezze da gran-de. Il Trebbiano d’Abruzzo Doc Vigne di Ofena 2012 è un vinoeccezionale. La luce emanata di giallo paglierino è l’indice dellagrande freschezza che domina tutta la bocca, rendendo il vinoagile, disponibile, suadente e prontissimo. Nel naso melalimoncella, prugna bianca, mandorla e fiori bianchi. Il fina-le è molto elegante e dona la voglia di berne ancora.

Carlo Di Fazio© RIPRODUZIONE RISERVATA

Rubino impenetrabile, l’olfatto apre con intensi profumi di

confetture di ciliegie e mirtilli,cioccolata, tabacco, china, mentoloe spezie dolci. In bocca rivela unastruttura cremosa, con tannino fittoed elegantissimo e una freschezzaverticale che ripristina tutti gli

equilibri. La permanenza in legnoè assolutamente compenetrata edavvolta nelle sue evoluzioni.

Da abbinare a stracotto di manzo,spezzatino al radicchio, filetto alpepe verde, lasagna ai carciofi,

caciocavallo podolico, bocconcini di pollo alle verdure.

Montepulciano D’AbruzzoDOC Vecchie Vigne 2009

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Questo mese, voglio parlare di un ingrediente usatonel mondo del bar, che risulta a noi italiani assaicomune, in quanto da sempre siamo tra i primi pro-

duttori ed estimatori e siamo, inoltre, antichi custodi di tradi-zioni, ambienti e vitigni tra i più importanti al mondo, mapoco considerato, se proposto in chiave diversa dal comune.Sto parlando del vino, del vino usato in miscelazione.Quando provo a proporre un cocktail a base di vino, spessola clientela risponde, infastidita alla mia proposta con unsecco no, perché giustamente innamorati di quello splendi-do calice. Forti proprio di questo senso patriottico, dell’inar-rivabile gusto e di un mistico appagamento dei sensi che rie-sce a dare un buon calice di vino, che nessun locale bar,ristorante e cocktail bar ecc. ecc. quindi abile alla sommini-strazione di bevande alcooliche, non può non avere tra lesue risorse da offrire alla clientela. Una bottiglia di vino damescere, degustare ed accompagnare magari su una pietan-za preparata con cura dalla cucina. Il Cobbler è una vecchia forma di bere miscelato, che ha traingredienti uno spirito di base (in origine vini fortificati), zuc-chero e frutta fresca. Risale almeno al 1830, esperti affer-mano essere il primo cocktail servito con cannucce, cheall’epoca erano spesso pezzi di carta arrotolata, filamenti dipasta, cannucce di bamboo, una vera innovazione per queglianni e che oggi sono all’ordine del giorno. Quando parlo divini, intendo i vini fortificati, quei vini a cui viene aggiuntoalcool sotto forma di mistelle, o tinture o acquaviti di vino,per far “morire” il vino e fermare quindi la fermentazione,lasciandolo riposare e maturare in botte. Tra questi, spiccauno prodotto in Spagna, particolarmente nella zona diCadice, lo Sherry. Il Cobbler originale è lo Sherry Cobbler ed è stata una dellepiù popolari bevande della la seconda metà del XIX secolocome afferma David Wondrich scrittore di Punch: TheDelights and Dangers of the Flowing Bowl. E’ un libro pluri-premiato sulla storia dei punch, cocktail da condividere conpiù persone, anche caldi, tipicamente serviti in tazza, mapreparati in grandi recipiente, detti bowl. Nel 1862, JerryThomas, barman, di cui si conserva gelosamente il primoricettario scritto dedicato al bar, ha catalogato più di settetipi di cobbler. Ha cambiato l’ingrediente base, lo sherry, conBordeaux, champagne, whisky e vini dolci come il Claret,Catawba, e Sauternes. Spesso ci sono arance (buccia o

pezzi), altre volte ananas, liquori dolci che si uniscono allozucchero sciolto. C’è chi afferma, inoltre, che il Cobblerabbia portato nel mondo del bar una grande innovazione,ovvero la tecnica della “shakerata”. Cioè l'agitare un cock-tail, dando un po’ di fascino in quel gesto in grado di far cre-scere a dismisura la professione del barman, tant’è che unodei più famosi shaker, in Italia continentale si chiamaCobbler ed è il modello a tre pezzi: corpo, filtro, tappo. A differenza di molti cocktail d'epoca, questo è ancora abba-stanza delizioso per palati moderni , la guarnizione di fruttafresca e vino base sembrano decisamente contemporanei.

Simone Francini© RIPRODUZIONE RISERVATA

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Magie di notte

Ingredienti2 calici di sherry

1 cucchiaio di zucchero

2 o 3 fette d’arancia

GuarnizioneArancio

Cobbler, un cocktailal vino invecchiato

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Siamo a PAVONA (Albano Laziale) in via Siena, 22 (RM)da Lunedì a Venerdì: 14,00-20,00 - Mercoledì anche 10,00-12,00 - Sabato: 10,00-12,00

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I l benessere a tavola

Al bando le diete punitivedimagrite imparando a mangiare

Cari lettori, devo dire che sono molto soddisfatto ed onorato discrivere per questa rivista, e sulla quale anche altri professio-nisti, nei loro campi, danno il loro contributo. In questo nume-

ro vorrei parlarvi, e introdurvi, al metodo NutriSalus, centro studi chedirigo e che si occupa di sovrappeso e obesità, che permette di rag-giungere uno stato di salute senza privazioni, senza sacrifici, ma conuna educazione alimentare corretta ed adattata ad ognuno di noi. Ilmetodo si basa sul quello che io ho chiamato il "Triangolo dellaSalute": dieta mediterranea, indice e carico glicemico, antiossidantinaturali. Vi rammento che come diceva Ippocrate: "Fa che il cibo siala tua medicina e che la medicina sia il tuo cibo". In questo articolovoglio darvi alcuni suggerimenti su come riuscire a perdere peso oda mantenere quello che vi permette di essere in forma, conservandoil buonumore ed evitando regimi alimentari estenuanti e molto spes-so controproducenti. Dimagrire senza diete conta calorie si può, ed ilmetodo NutriSalus adotta alcune soluzioni basate sulla semplicità esull'efficacia per riconciliarsi con la propria bilancia e perdere queichili superflui. Vi ricordo che il metodo NutriSalus si adatta anche atutta una serie di patologie correlate alla cattiva alimentazione, tra cuila ipertensione, il diabete, l'ipercolesterolemia, ipertrigliceridemia, lasindrome metabolica, l'obesità sia degli adulti che infantile. Le dietepunitive, incentrate sui grammi da mangia-re dei vari cibi ai vari pasti, oramai sono ilpassato, fanno parte della preistoria dellanutrizione umana. La formula NutriSalus,che riteniamo vincente non è una dieta:consiste, invece, nell'imparare a mangiaremeglio, senza ridurre le calorie o penalizza-re i sapori. Anzi, mangiare bene è un dirittodi tutti noi, così come conservare uno statodi salute. Ognuno di noi ha un metabolismodiverso dall'altro ed il metodo NutriSalusindividua la giusta alimentazione per ognipersona. Vi dò alcune indicazioni chepotrete mettere in pratica, in maniera facile ed economica.1) Sostituire i cereali raffinati (pasta, pane, biscotti, dolci ecc) conquelli composti da farina integrale. I cereali integrali sono assimilatipiù lentamente e, quindi, a differenza di pane e pasta "bianchi", nonprovocano brusche impennate dei livelli di glicemia. Questo effetto sitraduce in un miglior equilibrio nella produzione di insulina, l'ormonecoinvolto nel metabolismo degli zuccheri, che così vengono più age-volmente convertiti in energia, anziché essere immagazzinati sottoforma di depositi di grasso. Danno un senso di sazietà maggiore, evi-tano attacchi di fame tra un pasto e l'altro ed aumentano la quota difibre grezze che aiutano l'intestino.2) Introdurre spuntini a base di frutta fresca, secca o verdura cruda,scegliendo ove possibile di consumarle intere. Come i cereali integra-li, frutta e verdura assicurano all'organismo un buon apporto di fibre,che contribuiscono, in modo scientificamente provato, al controllodel peso corporeo. Sgranocchiare una mela, un paio di carote, un

finocchio, mandorle od arachidi a metà mattina o a metà pomerig-gio, invece di snack a base di crackers e merendine industriali, è unasana strategia per evitare di arrivare a pranzo e a cena accecati dallafame.3) Imparare ad associare a ogni pasto proteine e carboidrati in pro-porzioni equivalenti, fin dalla prima colazione. Il consumo di proteinestimola la produzione di glucagone, l'ormone antagonista dell'insuli-na, e abbassa l'indice glicemico dei carboidrati raffinati e non con-temporaneamente assunti. Oltre alla carne e al pesce, garantisconoun'interessante quota proteica anche la frutta secca e i legumi, men-tre eccellenti sono, sotto questo profilo, le uova (che non è vero cheaumentano il colesterolo). Evitare l'uso dello zucchero raffinato. Nonci si rende conto che ogni cibo che mangiamo, ha una quota di zuc-chero, o carboidrato, sotto varie forme di somministrazione. Il nostrocorpo, in situazione di salute e normalità non ha bisogno né di zuc-chero né di sale. In ogni cibo che introduciamo, è presente il sodio.Utilizzare degli zuccheri che non muovono i livelli insulinici e hanno unbassissimo indice glicemico, come il succo di agave od il fruttosio(non esagerare con questo). 4) Fare una colazione ricca e abbondante. Evitare la colazione è ilmodo migliore per ingrassare, come documentano le ricerche scien-

tifiche. Avevano ragione i nostri nonni: lacolazione è il pasto più importante dellagiornata. Evitate, ovviamente biscotti,brioche, merendine, cioccolata e mar-mellata: scegliete alimenti sani e diversi-ficati. Come impostare una giusta cola-zione? Con qualunque cibo che sceglie-reste negli altri pasti della giornata, conl'unico limite del gusto individuale. Unasana colazione deve prevedere unaquota di carboidrati, proteine e fibre. Ediffidate chi vi dice che per colazionelatte e cereali vanno bene.

5) Masticare a lungo e con calma. Quante volte? Indicativamentemolte di più, tante, rispetto a quello che fate abitualmente, per ogniboccone, mettendo giù le posate tra un boccone e il successivo.Sviluppate un nuovo rapporto col cibo. Assaporatelo a lungo tra lelabbra. Masticate bene e lentamente. Mangiare velocemente portaall'obesità.6) Bere un bicchiere di acqua prima dei pasti. Una ricerca scientificarecente, ha confermato che coloro i quali bevono prima di ogni pastoun buon bicchiere di acqua, assumono meno calorie ad ogni singolopasto. Primo perché sazia, secondo perché si assume meno cibo.

Angelo De MartinoDietologo, Nutrizionista, Naturopata, Biochimico, Biologo

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L a natura nel piatto

Da quando mi occupo di giardini, ho imparato a dosareil tempo, osservando le trasformazioni delle piante edei loro colori, e la vitalità degli insetti e farfalle di ogni

genere che convivono con i fiori. Credo che, se tutti noi trovas-simo dei ritagli di tempo per osservare la bellezza della naturanei giardini, ne guadagneremo senz’altro di salute. Nei mieiviaggi a caccia di giardini in varie parti del mondo, ho avutomodo di conoscere persone speciali che si dedicano ai giardi-ni con passione e dedizione. In Francia ho scoperto dei Parchie dei Giardini davvero fuori dal comune: tra questi mi hannocolpito in particolar modo I Giardini/orto di “Villandry” e quel-li di “Chateau de Valmer”. Sono davvero affascinanti, da nonfarseli sfuggire se ci si trova in visita nella meravigliosa Regione

della Loira. Il Parco di Villandry circonda un monumentalecastello le cui finestre si affacciano su un disegno rigorosamen-te geometrico di parterre verdi, al cui interno convivono un’in-credibile connubio di ortaggi e fiori. Durante l’estate un tripu-dio di fiori vivaci, Dalie e Zinnie crescono insieme agli ortaggi,questi ultimi belli da vedere e da mangiare. Certamente tuttoquesto è diverso dai nostri giardini all’italiana … A Villandry ipercorsi ortogonali sono stati concepiti talmente lunghi che sidovevano percorrere a cavallo. Qui i parterre sempreverdihanno una forma più articolata rispetto ai giardini all’italiana,con forme geometriche sinuose racchiuse da grandi quadrati dibosso. Trovandomi a passeggiare a Villandry ho avuto modo diconversare con il giardiniere nei pressi dell’orangerie (la serraper gli agrumi). Mi ha raccontato che i giardini in autunno assu-mono una colorazione totalmente diversa …. “Spiccano le zuc-che che si useranno nella cucina del castello”.

Di colore arancio, di varie forme, lui le considera come scultu-re vegetali oltre che a essere buone per il potage. Nelle aiuoleposiziona le zucche su un letto di paglia, in bella mostra fino aiprimi geli. Nei giardini all’italiana in Toscana, secondo la tradi-zione, durante il ‘500, il massimo della perizia del giardiniere,oltre che nell’arte topiaria, cioè dare forma geometrica a siepie alberi, si manifestava nella coltivazione delle piante da frutto,in particolare quelle tenute nane con il taglio. Nella secondametà del cinquecento Agostino del Riccio, che scrive la suaAgricoltura sperimentale e teorica, osserva che s’era iniziato aFirenze a fare “i belli campi di frutteti nani”, e attribuisce aCosimo I il merito di avere iniziato “cosi laudevole usanza”,come si può vedere nel giardino di Boboli. La tavola delGranduca veniva quindi bandita con tanti tipi di pere, susine epesche, provenienti dai suoi giardini. In Toscana come anchein altre Regioni durante il Rinascimento gli agrumi venivanoposizionati a “spalliera” lungo i muri dove si alternavano connicchie di statue. Dal ‘500 in poi gli agrumi assunsero un posto preminente nel-l’arredo a verde di ville e giardini in Toscana, in Sicilia, a Napoli,in Liguria, nelle ville del Brenta, lungo le rive del Garda, e per-fino a Roma. Nei luoghi con clima sfavorevole cominciò a dif-fondersi l’uso di proteggere le piante nella stagione fredda o diripararle in strutture coperte chiamate aranciere (in Francia‘orangeries’), antesignane delle moderne serre. Gli agrumiassunsero, fra i nobili ed i benestanti, un significato di statussymbol, al punto che nacquero collezionisti di specie e di varie-tà. Nel tardo seicento si facevano salse utilizzando i fiori can-diti o il succo fresco e la cannella. Nel ‘700 l’acqua di fiorid’arancia veniva utilizzata nel Regno delle Due Sicilie per la pre-parazione di dolci quali: la pastiera napoletana, la cassata sici-liana e le sfogliatine di ricotta. In Liguria si confezionavano icanditi e si sperimentavano tecniche di conservazione nei pro-fumi. Oggi, come in passato, il giardino è il risultato dell’inter-vento dell’uomo sulla natura, che la modifica a proprio piaci-mento. Coltivare un proprio giardino, dedicarsi all’ orto, prendersi curadelle rose o degli alberi da frutta, è un'attività che presentanumerosi benefici per la salute, in particolare per quanto riguar-da la sfera psichica. Alcuni studiosi dicono che questo tipo diattività aiuta nella cura di disturbi come ansia e depressione.

Marco Mariani© RIPRODUZIONE RISERVATA

Nell'arte dei giardini risaltanoil colore e il gusto degli ortaggi

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Siete più allegri del solito? Sentite, per caso, tornare den-tro di voi quella strana sensazione di leggerezza? I profu-mi sono diventati più forti?...... Cari amici, non preoccu-

patevi, è la primavera che è arrivata. Diciamo la verità era ora.Di pioggia, neve e tanto freddo, ne avevamo le tasche piene.Anche se bisogna diffidare di questo clima, capace di stravolgi-menti impensati. Comunque, speriamo che questa volta abbiamesso la testa a posto e non ci faccia brutte sorprese. Non c’ècosa psicologicamente peggiore di pensare al mare, al sole alcaldo e ritornare d’improvviso ad indossare cappotti e piumini.E come tutti gli arrivi, non potevano mancare le novità nelcampo della moda. Ovviamente di novità ce ne sono, ma alla fine saremo solo noia decidere cosa sia di tendenza o meno. Il colore che regna inassoluto è il bianco, ma verrà proposto con sovrapposizioni diveli e ricami. A fargli compagnia ci saranno colori sgargianticome il giallo, il verde, l'arancio e il fucsia. E su questo che dire?Beh se siete persone che non amano mettersi in mostra, nonfanno per voi. E’ finita, grazie al cielo, l’infinita stagione dei neri, dei grigi esoprattutto dei viola. Non se ne poteva più. Già la vita di questitempi è grigia, se poi l’affrontiamo vestendoci con colori fune-rei, ci sono veramente tutti gli ingredienti per cadere in parano-ia. Cosa c’è di più bello di un colore solare. Solo a vederlo timette di buonumore. D’estate, la moda si è sempre contraddistinta per la vivacitàcromatica, ma negli ultimi inverni ci ha “costretto” a vestircicon colori monacali, in tinta con il cielo grigio.

Ritorneranno anche le stampe floreali, e anche qui , speriamonon siamo esagerate, altrimenti potremmo essere scambiateper delle fioriere... Dulcis in fundo il ritorno più forte sarà quel-lo delle righe. Personalmente non le ho mai amate, è una modache non capisco, abbraccia solo un tipo di donna, alta magra esnella. Le righe non minimizzano i difetti, li accentuano, e perchi ha qualche chilo di troppo, non è consigliato. L'unica notapositiva , a mio avviso, è che quest'anno, gli abiti extralong edextralarge saranno in tutte le vetrine, non importa in che colo-ri o fantasie, basta che siano lunghi e larghi. Care lettrici, che dire, le sfilate sono iniziate già da un po' e ciòche ho visto è un ritorno al passato, ovviamente modificato elavorato diversamente. Ma un consiglio lo dò lo stesso, non get-tate mai via nulla, il vostro armadio potrà essere moda deldomani. Del resto la fantasia ha un limite. Corti, lunghi, sgar-gianti, austeri: il refrain degli abiti che indossiamo, è sempre lostesso. Almeno che gli stilisti non decidano di farci vestire damarziani o trogloditi. In questo caso, non mancheranno le novi-tà, sempre che incontrino il gusto della donne. Ma si sa, noi donne, di fronte alla moda siamo arrendevoli efiniamo per accettare tutto, anche se certi abiti non fanno pro-prio al nostro caso. Quindi, occhio care amiche, ricordatevi che per essere belle edeleganti, dovete sentirvi prima di tutto a vostro agio nell’abitoche indossate, indipendentemente dalle proposte della modacorrente. Altrimenti, sembrerete dei manichini animati. Viaspetto al prossimo numero in cui parlerò delle famose“Sigarette Elettroniche”.

Antonella Lamboglia© RIPRODUZIONE RISERVATA

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M ode e tendenze

Allegria, arriva la bella stagionee la moda torna a colorarsi

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