Rivista Italiana di Genetica e Immunologia Pediatrica ... · L’ossigenoterapia consiste nella...

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Rivista Italiana di Genetica e Immunologia Pediatrica - Italian Journal of Genetic and Pediatric Immunology Anno III numero 1 - gennaio 2011 | direttore scientifico: Carmelo Salpietro - direttore responsabile: Giuseppe Micali Ossigenoterapia Rossella Pecoraro, Tiziana Timpanaro, Papale Maria, Francesco Di Mauro 1 Dipartimento di Pediatria, Università degli studi di Catania, 1 Dipartimento di Pediatria 2 Università Di Napoli Definizione L’ossigenoterapia consiste nella somministrazione di ossigeno, generalmente miscelato con aria, in circostanze patologiche che impediscono la normale ossigenazione del sangue e dei tessuti. Lo scopo dell’ossigenoterapia è quello di evitare l’istaurarsi dell’ipossia, aumentando la concentrazione dell’ossigeno, e quindi la sua tensione parziale negli alveoli polmonari, in modo da favorirne il passaggio dallo spazio alveolare al sangue [1]. Basi di fisiopatologia respiratoria L’insufficienza respiratoria rappresenta la principale causa di ossigenoterapia e si definisce come l’incapacità dei polmoni a soddisfare le esigenze metaboliche dell’organismo. Si verifica per riduzione della capacità del sistema respiratorio a mantenere l’omeostasi degli scambi gassosi ed è caratterizzata dalla presenza di una PaO2 <60 mmHg o di una PaCO2 >50 mmHg [2]. L’alterazione più comunemente riscontrata in corso di insufficienza respiratoria è la diminuizione della concentrazione di ossigeno nel sangue arterioso (ipossiemia), cui può far seguito una anomala ossigenazione tissutale (ipossia), associata talvolta ad una ridotta eliminazione di anidride carbonica (ipercapnia). Si distinguono quattro forme di ipossia che sono riassunte nella tabella 1 [1]. Al fine di definire una corretta indicazione all’ossigenoterapia è necessario distinguere l’insufficienza respiratoria in due differenti forme [tabella 2]: • Insufficienza respiratoria di tipo I: definita ipossiemico e normo/ipocapnica. E’ relativa a patologie delle vie aeree centrali (croup, corpo estraneo, anafilassi, tracheite/epiglottite batterica, ascesso retrofaringeo) e del parenchima polmonare (asma, bronchiolite, polmonite, edema polmonare, fibrosi cistica, displasia broncopolmonare). E’ determinata da alterazioni del rapporto ventilazione/perfusione (V/Q) con persistenza di una buona perfusione in aree del polmone poco ventilate (accesso acuto d’asma, bronchiolite, malattia delle membrane ialine nel neonato) od anche da condizioni che riducono la perfusione polmonare con ventilazione conservata (embolia polmonare, cardiopatia congenita cianotica, scompenso cardiaco). In entrambi i casi l’alterazione del rapporto V/Q comporta il ritorno di sangue non ossigenato al cuore con conseguente ipossiemia. La risposta compensatoria all’ipossiemia è rappresentata dall’aumento della frequenza respiratoria con una conseguente maggiore eliminazione di CO2. • Insufficienza respiratoria di tipo II: definita ipossiemico-ipercapnica. E’ dovuta ad una condizione di ipoventilazione alveolare con conseguente incapacità del sistema respiratorio ad eliminare CO2 in modo adeguato. Si realizza più frequentemente nelle condizioni che impediscono direttamente la ventilazione, quali: riduzione dell’input a livello del SNC (trauma cranico, emorragia intracranica, apnee della prematurità) ; alterazioni delle giunzioni neuro-muscolari (danno al midollo spinale, avvelenamento da organofosfati/carbammati, sindrome di Guillain-Barrè, miastenia gravis, botulismo) e patologie neuromuscolari (miopatie e distrofie muscolari). Questa forma può instaurarsi insidiosamente per il sopraggiungere della fatica dei muscoli respiratori come complicanza di una patologia preesistente (processo broncopneumonico acuto, stato di male asmatico, bronchiolite grave) esordita inizialmente con ipossiemia senza ipoventilazione. La sola supplementazione di ossigeno in questa forma di insufficienza respiratoria può non essere appropriata. Questo è vero soprattutto in quelle condizioni cliniche nelle quali il soggetto si è adattato ad una condizione di ipercapnia cronica (come nei bambini con fibrosi cistica) ed è relativamente dipendente dai chemocettori periferici ossigeno-sensibili per mantenere il drive ventilatorio. In questa forma il trattamento con solo ossigeno può portare ad una depressione del drive ventilatorio con aumento dei livelli di ipercapnia [1, 2]. L’insufficienza respiratoria in età pediatrica può essere inoltre classificata in acuta, cronica e cronica riacutizzata, in base al tempo intercorso tra la presentazione dei sintomi e il suo sviluppo. Nella forma acuta la compromissione della funzione respiratoria è spesso di entità grave e avviene in un periodo temporale molto breve (ore o giorni) ; nella forma cronica, invece, insorge lentamente (settimane o mesi) ed è di severità minore per l’istaurarsi dei meccanismi di compenso; mentre la forma cronica riacutizzata rappresenta il deterioramento acuto di un’insufficienza respiratoria cronica [2]. Nella tabella 2 sono riportate le patologie nelle quali viene più frequentemente utilizzata l’ossigenoterapia. L’inizio dell’ossigenoterapia è indicato per valori di PaO2 inferiori a 60 mmHg ed una SaO2 inferiore al 90%, e comunque in tutte quelle condizioni cliniche in cui è legittimo sospettare una condizione di ipossia [4, 5, 6]. Quali segni clinici precoci di ipossia si possono considerare i seguenti: • aumento della frequenza respiratoria e cardiaca in relazione all’età; • utilizzo dei muscoli respiratori accessori; • ridotta tolleranza alla sforzo; • irritabilità; • riduzione delle capacità mentali; • insorgenza di crisi di apnea e bradicardia (soprattutto nei lattanti). Tra i segni più tardivi si annoverano: • stato confusionale; • alterazioni dello stato di coscienza fino al coma; • aritmie cardiache; • cianosi [1, 7, 8]. La pressione parziale di O2 (PaO2) nei soggetti normali è influenzata da numerosi fattori, principalmente l’età, l’altitudine e la frazione inspiratoria di ossigeno (FiO2). La relazione esistente tra PaO2 ed Hb viene rappresentata dalla curva di dissociazione dell’Hb (Figura 1). Per le caratterisiche proprie della curva si evince che a valori di PaO2 normali (>90 mmHg) l’Hb è satura al 95% e la curva assume un andamento piatto. Di conseguenza un aumento di PaO2 (per iperventilazione o per somministrazione di ossigeno esogeno) comporterà solo un minimo e poco significativo incremento della concentrazione di ossigeno nel sangue. Al contrario, per valori <60 mmHg, ogni ulteriore caduta della PaO2 produce una variazione molto marcata della SaO2 (sO2 <90%) con evidenti ricadute sull’ossigenazione tessutale (Figura 1) [1, 2]. Figura 1 - Curva di dissociazione dell'emoglobina e correlazione tra valori di

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Rivista Italiana di Genetica e Immunologia Pediatrica - Italian Journal of Genetic and Pediatric ImmunologyAnno III numero 1 - gennaio 2011 | direttore scientifico: Carmelo Salpietro - direttore responsabile: Giuseppe Micali

OssigenoterapiaRossella Pecoraro, Tiziana Timpanaro, Papale Maria, Francesco Di Mauro1

Dipartimento di Pediatria, Università degli studi di Catania, 1Dipartimento di Pediatria 2 Università Di Napoli

DefinizioneL’ossigenoterapia consiste nella somministrazione di ossigeno, generalmente

miscelato con aria, in circostanze patologiche che impediscono la normaleossigenazione del sangue e dei tessuti. Lo scopo dell’ossigenoterapia è quello dievitare l’istaurarsi dell’ipossia, aumentando la concentrazione dell’ossigeno, e quindila sua tensione parziale negli alveoli polmonari, in modo da favorirne il passaggiodallo spazio alveolare al sangue [1].Basi di fisiopatologia respiratoriaL’insufficienza respiratoria rappresenta la principale causa di ossigenoterapia e si

definisce come l’incapacità dei polmoni a soddisfare le esigenze metabolichedell’organismo. Si verifica per riduzione della capacità del sistema respiratorio amantenere l’omeostasi degli scambi gassosi ed è caratterizzata dalla presenza diuna PaO2 <60 mmHg o di una PaCO2 >50 mmHg [2]. L’alterazione piùcomunemente riscontrata in corso di insufficienza respiratoria è la diminuizione dellaconcentrazione di ossigeno nel sangue arterioso (ipossiemia), cui può far seguitouna anomala ossigenazione tissutale (ipossia), associata talvolta ad una ridottaeliminazione di anidride carbonica (ipercapnia). Si distinguono quattro forme diipossia che sono riassunte nella tabella 1 [1].

Al fine di definire una corretta indicazione all’ossigenoterapia è necessariodistinguere l’insufficienza respiratoria in due differenti forme [tabella 2]:• Insufficienza respiratoria di tipo I: definita ipossiemico e normo/ipocapnica. E’

relativa a patologie delle vie aeree centrali (croup, corpo estraneo, anafilassi,tracheite/epiglottite batterica, ascesso retrofaringeo) e del parenchima polmonare(asma, bronchiolite, polmonite, edema polmonare, fibrosi cistica, displasiabroncopolmonare). E’ determinata da alterazioni del rapporto ventilazione/perfusione(V/Q) con persistenza di una buona perfusione in aree del polmone poco ventilate(accesso acuto d’asma, bronchiolite, malattia delle membrane ialine nel neonato) odanche da condizioni che riducono la perfusione polmonare con ventilazioneconservata (embolia polmonare, cardiopatia congenita cianotica, scompensocardiaco). In entrambi i casi l’alterazione del rapporto V/Q comporta il ritorno disangue non ossigenato al cuore con conseguente ipossiemia. La rispostacompensatoria all’ipossiemia è rappresentata dall’aumento della frequenzarespiratoria con una conseguente maggiore eliminazione di CO2.• Insufficienza respiratoria di tipo II: definita ipossiemico-ipercapnica. E’ dovuta ad

una condizione di ipoventilazione alveolare con conseguente incapacità del sistemarespiratorio ad eliminare CO2 in modo adeguato. Si realizza più frequentementenelle condizioni che impediscono direttamente la ventilazione, quali: riduzionedell’input a livello del SNC (trauma cranico, emorragia intracranica, apnee dellaprematurità) ; alterazioni delle giunzioni neuro-muscolari (danno al midollo spinale,avvelenamento da organofosfati/carbammati, sindrome di Guillain-Barrè, miasteniagravis, botulismo) e patologie neuromuscolari (miopatie e distrofie muscolari).Questa forma può instaurarsi insidiosamente per il sopraggiungere della fatica deimuscoli respiratori come complicanza di una patologia preesistente (processobroncopneumonico acuto, stato di male asmatico, bronchiolite grave) esorditainizialmente con ipossiemia senza ipoventilazione. La sola supplementazione diossigeno in questa forma di insufficienza respiratoria può non essere appropriata.Questo è vero soprattutto in quelle condizioni cliniche nelle quali il soggetto si è

adattato ad una condizione di ipercapnia cronica (come nei bambini con fibrosicistica) ed è relativamente dipendente dai chemocettori periferici ossigeno-sensibiliper mantenere il drive ventilatorio. In questa forma il trattamento con solo ossigenopuò portare ad una depressione del drive ventilatorio con aumento dei livelli diipercapnia [1, 2].L’insufficienza respiratoria in età pediatrica può essere inoltre classificata in acuta,

cronica e cronica riacutizzata, in base al tempo intercorso tra la presentazione deisintomi e il suo sviluppo. Nella forma acuta la compromissione della funzionerespiratoria è spesso di entità grave e avviene in un periodo temporale molto breve(ore o giorni) ; nella forma cronica, invece, insorge lentamente (settimane o mesi) edè di severità minore per l’istaurarsi dei meccanismi di compenso; mentre la formacronica riacutizzata rappresenta il deterioramento acuto di un’insufficienzarespiratoria cronica [2].Nella tabella 2 sono riportate le patologie nelle quali viene più frequentemente

utilizzata l’ossigenoterapia.L’inizio dell’ossigenoterapia è indicato per valori di PaO2 inferiori a 60 mmHg ed

una SaO2 inferiore al 90%, e comunque in tutte quelle condizioni cliniche in cui èlegittimo sospettare una condizione di ipossia [4, 5, 6].Quali segni clinici precoci di ipossia si possono considerare i seguenti:• aumento della frequenza respiratoria e cardiaca in relazione all’età;• utilizzo dei muscoli respiratori accessori;• ridotta tolleranza alla sforzo;• irritabilità;• riduzione delle capacità mentali;• insorgenza di crisi di apnea e bradicardia (soprattutto nei lattanti).Tra i segni più tardivi si annoverano:• stato confusionale;• alterazioni dello stato di coscienza fino al coma;• aritmie cardiache;• cianosi [1, 7, 8].

La pressione parziale di O2 (PaO2) nei soggetti normali è influenzata da numerosifattori, principalmente l’età, l’altitudine e la frazione inspiratoria di ossigeno (FiO2).La relazione esistente tra PaO2 ed Hb viene rappresentata dalla curva didissociazione dell’Hb (Figura 1). Per le caratterisiche proprie della curva si evinceche a valori di PaO2 normali (>90 mmHg) l’Hb è satura al 95% e la curva assume unandamento piatto. Di conseguenza un aumento di PaO2 (per iperventilazione o persomministrazione di ossigeno esogeno) comporterà solo un minimo e pocosignificativo incremento della concentrazione di ossigeno nel sangue. Al contrario,per valori <60 mmHg, ogni ulteriore caduta della PaO2 produce una variazione moltomarcata della SaO2 (sO2 <90%) con evidenti ricadute sull’ossigenazione tessutale(Figura 1) [1, 2].

Figura 1 - Curva di dissociazione dell'emoglobina e correlazione tra valori di

SaO2 e PaO2 su sangue arteriosoIl valore ideale di SO2 si trova dunque sulla parte piatta della curva, tale per cui

una minima riduzione della PaO2 non determini una netta riduzione dellasaturazione, e non sia troppo elevata da ridurre il drive respiratorio da ipossia neipazienti con eventuale lieve ipercapnia.In età pediatrica, la definizione dello stato ottimale di ossigenazione, rimane

comunque controversa. In letteratura [9, 10, 11] il range di normalità dipulsossimetria (SatpO2) misurata durante il respiro spontaneo, in aria ambiente, ètra 94% e 97% nei bambini tra 2 e 11 mesi, durante il sonno. Nei primi 2 mesi di vitasono riportate desaturazioni fino al 72%, con respiro periodico, anche in neonati sani[2].Dose da somministrareNelle situazioni cliniche acute la dose di ossigeno da somministrare può essere

variabile, raggiungendo inizialmente anche concentrazioni del 60-100% per breviperiodi di tempo. In seguito, l’ossigeno andrà somministrato alla dose in grado dicorreggere l’ipossiemia minimizzando gli effetti collaterali, con valori di FiO2 del25-40% [1]. Tutti i bambini con asma grave o con SaO2 <92% devono ricevereossigeno umidificato attraverso maschera facciale, nasocannule con flussi sufficientiper raggiungere e mantenere una normale saturazione di ossigeno (≥95%).Attenzione però, perché la somministrazione non controllata di ossigeno al 100% aipazienti con asma acuto grave può essere causa di ipercapnia, particolarmente neibambini [12]. Nei casi di ritenzione cronica di anidride carbonica (fibrosi cistica, gravipneumopatie croniche) andranno utilizzati anche in fase acuta bassi flussi diossigeno, per evitare ulteriori incrementi di anidride carbonica a seguito del venirmeno dell’ipossia, che in questi soggetti rappresenta un efficace stimolo allarespirazione. Particolare attenzione deve essere posta, inoltre, quando la PaCO2arteriosa raggiunge valori di 60-70 mmHg (evento possibile soprattutto in soggetticon patologia respiratoria cronica) ; l’azione del gas carbonico in questi casi divieneparadossa, vale a dire che, anziché stimolare i centri del respiro l’anidride carbonicali può deprimere fino alla narcosi. In questi casi l’ipossia resta l’unico stimolo atto afar funzionare i centri stessi; sopprimendola con la somministrazione di ossigeno sipuò procurare un arresto respiratorio centrale.Nei casi in cui il monitoraggio dei gas ematici mostri una tendenza all’accumulo di

anidride carbonica oltre i valori limite vi è l’indicazione all’invio del paziente inun’unità di terapia intensiva; in questi casi la ventilazione artificiale escluderà lanecessità dello stimolo centrale e consentirà una normale ossigenazione [1].Un approccio diverso si instaura nelle patologie respiratorie croniche neonatali

(chronic neonatal lung disorders, CNLD), condizioni che rappresentano le principalicause di ossigenoterapia domiciliare nei bambini. Per questo gruppo di pazientisottoposti ad ossigenoterapia per lunghi periodi di tempo, esistono due principali trialrandomizzati sui target di SO2 (STOP-ROP e BOOST) che valutano la progressionedella retinopatia da ossigenoterapia e suggeriscono un range di SO2 tra 89%-94%quale target ragionevole. Tuttavia, in assenza di patologia, dopo l’epoca neonataleuna SatpO2 <95% indica una condizione di ipossia; pertanto superata l’età dellaretinopatia O2 dipendente si raccomanda che la somministrazione di O2 siasufficiente a mantenere una satpO2 > 95%. Studi recenti dimostrano che, in questipazienti, avere come target alti livelli di saturazione (95-98%) non determinavantaggi significativi in termini di crescita staturo-ponderale o svilupponeurocomportamentale rispetto al mantenimento di saturazioni standard (91-94%) ;inoltre il mantenere saturazioni più elevate comporta una più lunga ossigeno-dipendenza con conseguenti maggiori rischi legati alla terapia. È chiaro che, altempo stesso, devono essere evitati prolungati periodi di ipossiemia ed oscillazioninella saturazione di ossigeno; tali condizioni possono a lungo termine condurre, peruna cronica attivazione della muscolatura arteriolare polmonare da ipossiemia, aquadri di ipertensione polmonare [2, 5, 13].Effetti tossici dell’ossigenoIn tutti i pazienti sottoposti a ossigenoterapia deve essere somministrata la quantità

minima di ossigeno capace di riportare a valori normali la PaO2 senza superarne illimite massimo, per non incorrere negli effetti tossici. In effetti, contrariamente allanozione che l’ossigeno protegga le cellule da lesioni, le evidenze raccolte mettono inluce come l’ossigeno, attraverso la produzione di metaboliti tossici, sia responsabiledi molte delle lesioni cellulari dei pazienti critici. Esiste un rapporto inversamenteproporzionale tra concentrazione di ossigeno e tempo di comparsa del danno:concentrazioni di ossigeno inspirato superiori all’80% producono danni tissutali entro48 ore; concentrazioni del 50% sono più sicure nelle somministrazioni prolungate [1,14]. Gli intermedi del metabolismo dell’ossigeno sono dei potenti ossidanti capaci didanneggiare le membrane cellulari, denaturare le proteine e rompere il DNA infilamenti producendo effetti tossici sul sistema nervoso centrale (nausea, vomito,ansia, alterazione della vista, allucinazioni, tinnito, vertigini, singhiozzo, convulsioni),sul polmone (tosse secca, congestione, edema polmonare, fibrosi polmonare,atelettasia per danno del tensioattivo), sul circolo (bradicardia e ipotensione) e suisistemi enzimatici (blocco degli stessi per inibizione degli enzimi respiratori conaccumulo di prodotti tossici) [14]. La retinopatia del prematuro (ROP) è unacondizione che continua a presentarsi nonostante si attui un buon controllodell’ossigeno. Questo, oggi, è più probabilmente dovuto alla sempre maggioresopravvivenza di prematuri con basso peso alla nascita piuttosto che alla sola PaO2elevata. Ciò suggerisce che siano implicati sia l’ossigeno che fattori non correlatiall’ossigeno. La ROP è una malattia bifasica in cui l’ambiente relativamenteiperossico che si ha come conseguenza della distribuzione iniziale conduce ad unrallentamento o persino ad una cessazione dello sviluppo vascolare retinico delbambino prematuro. L’ossigeno addizionale può ulteriormente contribuire a questoproblema, influenzando l’espressione dei fattori di crescita vascolari edell’eritropoietina. La seconda fase della malattia è caratterizzata da unaneovascolarizzazione ipossia-indotta, simile a quella osservata nella retinopatiadiabetica. Ciò porta alla cicatrizzazione fibrosa con il rischio di distacco di retina.

Quale sia la quantità di ossigeno definibile come eccessiva rimane controverso esono necessarie ulteriori ricerche. [2, 3, 15, 16, 17]. Inoltre l’ossigeno può provocaredanni locali come l’arrossamento e il senso di secchezza alle narici e al faringe,disturbi psicologici e rischio di incendio ed esplosioni [2].Monitoraggio dell’ossigenoterapiaIl monitoraggio dell’ossigenoterapia si avvale di metodi invasivi e metodi non

invasivi, con peculiarità e indicazioni differenti.Metodi invasiviEmogasanalisi arteriosaTra i metodi invasivi l’emogasanalisi arteriosa rappresenta il gold standard

soprattutto perché ha il vantaggio di essere completa nello studio dei gas ematici(pH, PaO2, PaCO2, SaO2, eccesso basi). Tuttavia presenta lo svantaggio di essereuna tecnica invasiva, di provocare gravi complicanze (embolia arteriosa, neuropatiaperiferica, infezione, emorragia) in caso di prelievi ripetuti e di avere valori falsaticome conseguenza del dolore da puntura, di errori nel prelievo (campione venoso,bolle d’aria) o durante il trasporto del campione.Emogasanalisi da sangue venoso arterializzatoViene eseguita dopo aver riscaldato in acqua calda per circa 5-7 minuti la sede del

prelievo (polpastrello di un dito nel bambino, tallone nei neonati). La relativa facilitàdi esecuzione e l’assenza di complicanze costituiscono i vantaggi di tale tecnica,sebbene l’imperfetta correlazione con i valori del sangue arterioso per la PaO2 nesconsigliano l’utilizzo soprattutto in epoca neonatale.Metodi non invasiviValutazione transcutanea dei gas ematiciSi realizza attraverso l’applicazione sulla cute di un sensore in grado di determinare

continuamente le pressioni parziali di ossigeno, anidride carbonica e dellasaturazione dell’emoglobina circolante.Misurazione transcutanea della PtcO2 e della PtcCO2La pressione parziale di ossigeno viene misurata sulla superficie cutanea,

preferibilmente in sede sottoclaveare, attraverso un elettrodo che riscalda la cutesottostante a 43-44° arterializzando il letto capillare. L’O2 dai capillari diffondeattraverso la cute intatta e raggiunge l’elettrodo che misura direttamente la PO2.Questo valore di solito ha una buona correlazione con la PO2 sia nel neonato chenel bambino più grande. Tuttavia, in presenza di vasocostrizione periferica o cutespessa, la misurazione può essere errata. Una diminuizione della gittata cardiacatende a determinare una riduzione artefatta della PO2 transcutanea a causadell’ipossia cutanea che ne deriva. Il monitoraggio transcutaneo dei gas èparticolarmente utile nei lattanti, in cui il flusso ematico cutaneo locale tende adessere elevato. Questi strumenti richiedono una calibrazione frequente, la necessitàdi una manutenzione periodica dell’elettrodo e di un riposizionamento frequente delsensore per evitare l’insorgenza di ustioni cutanee. Tuttavia presentano il vantaggiodi non essere invasivi, di poter realizzare un monitoraggio continuo ed essereutilizzati a domicilio o durante il trasporto. L’elettrodo per la misurazione dellapressione parziale dell’anidride carbonica si basa, invece, sul principio dellavariazione del pH di un sottile film elettrolitico separato dalla cute da una membranapermeabile all’anidride carbonica. Anche questi sensori presentano vantaggi e limitisovrapponibili a quelli descritti per il sensore PtcO2 [1, 18, 19].Saturimetria (ossimetria pulsatile)Il saturimetro (o pulsossimetro) è un piccolo strumento che va applicato

all’estremità del dito del paziente al fine di valutare la saturazione del sanguearterioso e la frequenza cardiaca. Esso misura, attraverso un fascio di luce rossa,l’emoglobina ossigenata nell’arteriola digitale. Consente il monitoraggio continuo eprolungato dell’ossigenazione ematica e la lettura dei valori in tempi reali.La misurazione della SaO2 è fisiologicamente correlata alla tensione arteriosa di

ossigeno (PaO2) in accordo con la curva di dissociazione dell’emoglobina. Per laconformazione sigmoide della curva, l’ossimetria è relativamente insensibilenell’identificare l’ipossiemia in pazienti con un’alta PaO2 di base (figura 1). Lapresenza di carbossiemoglobina o di metaemoglobina non viene registrata dallostrumento che fornirà un dato errato. La lettura è inaffidabile in presenza diipotermia, ipoperfusione periferica, grave anemia, ed è molto sensibile ai movimentidel bambino [1, 8, 20].Poiché la SatpO2 può variare in modo considerevole durante il sonno,

l’alimentazione e l’attività fisica, l’ossigenazione va controllata con un monitoraggiocontinuo in tutte queste situazioni, al fine di ottimizzare l’ossigenoterapia e di evitarei danni da O2. Questo è importante, soprattutto nei bambini in terapia a lungotermine, nei quali il monitoraggio della SatpO2 avviene almeno per 6-12 ore nelprimo anno di vita ed almeno durante il sonno nelle età successive. Il follow up delbambino dimesso in ossigenoterapia a lungo termine, dovrebbe essere effettuato a 1settimana dalla dimissione e, quindi, secondo le necessità, ma sicuramente ogni 3mesi. Il controllo deve includere la misurazione della SatpO2 in varie condizioni(veglia, sonno, alimentazione) ed una registrazione continua è ideale, per poterstabilire la reale necessità. La eventuale sospensione della ossigenoterapia devequindi essere presa in considerazione dopo monitoraggi effettuati nelle diversecondizioni. Sono consigliati distacchi progressivi di alcune ore, piuttosto che unasospensione totale, anche quando i valori di saturimetria siano buoni; bisogna inoltreconsiderare che può essere necessario riprendere la ossigenoterapia in caso diriacutizzazione respiratoria [2, 21].La quantità di ossigeno da erogare per mantenere i normali valori di saturazione è

un indice dello stato di salute del bambino con broncodisplasia. In pratica, se ènecessario un maggiore flusso di ossigeno per mantenere i consueti livelli disaturazione è probabile che ci si trovi di fronte ad un aggravamento del distressrespiratorio che merita un controllo a tempi brevi; al contrario, indice di unmiglioramento clinico è quando il flusso di ossigeno, normalmente erogato, producepiù elevati livelli di saturazione.Va ricordato che il monitoraggio della saturazione viene consigliato anche ai

bambini gravemente prematuri (EG <28 settimane) anche se nonossigenodipendenti. Il monitoraggio viene eseguito durante le infezioni delle vieaeree, anche apparentemente banali, per poter cogliere i primi segni di insufficienzarespiratoria ed anticipare i controlli clinici [13].Ossigenoterapia iperbaricaL’Ossigenoterapia iperbarica (OTI) consiste nella somministrazione di ossigeno

puro in ambienti ermeticamente chiusi (camere iperbariche) in cui si respira ad unapressione superiore rispetto a quella atmosferica (1 ATA). In questo modo si ottieneun aumento della frazione di ossigeno disciolta nel plasma che rappresenta lafrazione in grado di diffondere più rapidamente ai tessuti. Questo, a sua volta,comporta la possibilità di ripristinare l’ossigenazione in aree dove i vasi sanguignisono carenti o danneggiati (aree ipossiche o ipoperfuse) permettendo la ripresa difunzioni tissutali ossigeno-dipendenti e la possibilità di contrastare effetti tossici cheabbiano implicato una ipossia tessutale. L’OTI è quindi utile in tutti quegli statimorbosi in cui esiste e persiste uno squilibrio locale fra necessità, apporto e capacitàdi utilizzazione dell’ossigeno [22, 23, 24].Nella tabella 3 sono riassunti i principali effetti dell’ossigeno iperbarico e le

principali indicazioni per il suo utilizzo.Un cenno particolare meritano gli interventi di cardiochirurgia eseguiti in camere

iperbariche opportunamente attrezzate. Secondo alcuni autori il vantaggio di unintervento in ambiente iperbarico consiste nella possibilità di mantenere alti livelli diossigeno a livello tessutale allorquando si produca un arresto circolatorio durante ilclampaggio dei grossi vasi, di innalzare la soglia di fibrillazione ventricolare e diabbassare quella di defibrillazione [25]. Inoltre, è bene ricordare che l’OTI vieneapplicata anche nel difficile campo della rianimazione neonatale: sono stati raggiuntiin alcuni casi risultati sufficientemente accettabili, ma ancora da sottoporre aconferma scientifica univoca [26, 27].L’insita tossicità dell’O2 ed il potenziale danno da innalzamento della pressione

ambientale devono essere considerati ogni volta che l’OTI viene utilizzata cometerapia. Il barotrauma dell’orecchio medio è l’effetto avverso più comune, mentre unevento estremamente raro è il barotrauma polmonare. La pressione terapeuticaabitualmente scelta va da 2 a 3 ATA; al di sopra di questa pressione la tossicitàbiochimica dell’ossigeno può manifestarsi con danni a carico dei polmoni, delsistema nervoso centrale (convulsioni) e degli occhi (retinopatia).Per le varie affezioni morbose la somministrazione di ossigeno viene effettuata con

schemi terapeutici caratteristici per ogni terapia. Il numero delle sedute può variareda 2-6 alla settimana, per alcune lesioni trofiche vascolari, fino a 4 nelle 24 ore neltrattamento della gangrena gassosa. Il protocollo terapeutico può prevederecomplessivamente da poche sedute, nel caso di affezioni acute, fino a 40-60trattamenti in alcune forme croniche refrattarie [23, 28].

Metodi di erogazione dell’ossigenoI sistemi di erogazione dell’ossigeno sono classificati come sistemi a basso e ad

alto flusso e sono riportati nella tabella 3.L’ossigeno utilizzato a scopo terapeutico è un gas incolore e inodore conservato ad

alte pressioni (120-200 atm) in impianti di distribuzione centralizzati oppure inbombole trasportabili. La strumentazione necessaria per la sua somministrazione ècostituita da un riduttore, un flussometro e un umidificatore. La funzione del riduttoreè quella di ridurre l’alta pressione esistente nelle bombole al fine di assicurare unafuoriuscita costante di gas indipendentemente dalla pressione esistente nellabombola. Il flussometro consente di regolare la quantità di ossigeno erogata alpaziente (esistono differenti flussometri con range di flusso compresi tra 0-1, 5 l/min,0-5 l/min, 0-15 l/min); l’umidificatore, invece, serve a umidificare l’ossigeno erogatoper evitare l’essiccamento delle mucose e fluidificare le secrezione tracheo-bronchiali. Le apparecchiature migliori in commercio sono quelle che consentonocontemporaneamente l’umidificazione e il riscaldamento della miscela inspirata. Unamiscela troppo fredda (< 35° C), infatti, può determinare a sua volta effetti negativi,quali l’aumento della lesività dell’ossigeno sulla mucosa, l’aumento delle resistenzevascolari polmonari e della contrattilità polmonare e la riduzione della temperaturacorporea. Quando l’ossigeno viene somministrato a bassi flussi (1-4 l/min)generalmente l’orofaringe e il nasofaringe sono in grado di provvedereall’umidificazione e riscaldamento in modo adeguato. La scelta del metodo disomministrazione dell’ossigeno nel bambino è funzione di diversi fattori: la FiO2 che

si intende raggiungere, il livello di umidificazione desiderato, la tollerabilità delsistema da parte del paziente, la durata del trattamento e il tipo di insufficienzarespiratoria.Sistemi di somministrazioneCatetere nasale singoloPuò essere inserito per 2-3 centimetri nella coana anteriore oppure essere

introdotto fino alla coana posteriore ad una distanza dalle narici uguale a quellaesistente tra l’ala del naso e il trago (tabella 3). I cateteri sono costruiti in plasticamorbida e provvisti di numerosi forellini nella parte terminale allo scopo di ridurrel’effetto essiccante e irritante che l’ossigeno esercita. Tuttavia, la presenzadell’estremità del catetere nell’orofaringe non permette il contatto dell’ossigeno conla mucosa rinofaringea, fisiologicamente deputata all’umidificazione dell’aria, e puòprovocare distensione gastrica per insufflazione nello stomaco, nonché ulcerazionedelle mucose nasali per eccessiva permanenza. Questo tipo di cannula vieneutilizzata soprattutto nel neonato-lattante. Consente di raggiungere valori alti ecostanti di FiO2 a scapito di più frequenti complicazioni.Cannule o occhiali nasaliLe cannule nasali sono un presidio semplice e comodo da utilizzare, e possono

essere tollerate meglio della mascherina. Hanno la capacità di favorire la normaleumidificazione dell’ossigeno inspirato a bassi flussi e permettono di noninterrompere l’ossigenoterapia durante l’alimentazione, la fisioterapia ecc. Vieneutilizzata nel caso in cui il soggetto necessita solo di una piccola quantità diossigeno per mantenere l’adeguata ossigenazione. La FiO2 massima erogabile èusualmente compresa tra 0, 24-0, 44 e il flusso massimo è di 6 l/min. Non bisognasuperare 3 l/min nei lattanti e a partire dai 4 litri è necessaria l’umidificazione.Esistono diverse misure ed è opportuno utilizzare quella più idonea all’età delbambino (tabella 3). Per flussi di ossigeno alti possono causare irritazione locale esecchezza. Il loro uso è controindicato nei soggetti con apnea, ipossia severa e neisoggetti con occlusione delle narici e/o che respirano a bocca aperta con frequenzarespiratoria elevata.Cappette di HoodSono involucri di plexiglass trasparente atti a contenere la sola testa o l’intero corpo

di neonati o lattanti. La maggior parte di esse presenta delle aperture che possonoessere chiuse parzialmente a seconda della FiO2 che si intende raggiungere(all’interno della cappa si possono raggiungere concentrazioni di ossigeno fino a90-95%). Si utilizzano con umidificatore riscaldato. Il flusso del gas deve esseremantenuto superiore a 7 l/min per consentire l’eliminazione dell’anidride carbonicaprodotta. Utilizzando questo presidio è consigliabile controllare la FiO2 con unanalizzatore di ossigeno posto vicino al viso del bambino. Risultano particolarmenteutili nei neonati e lattanti che richiedono alte FiO2 (durante il divezzamento dalrespiratore, nelle tachipnee transitorie neonatali). Non essendo sistemi monousobisogna prestare particolare attenzione alla loro pulizia e disinfezione dopo l’utilizzo.Maschere facciali (maschere semplici, maschere di Venturi, maschere con

reservoir, tende a ossigeno)Sono utili per l’ossigenoterapia nei bambini che non tollerano le cannule nasali e

solitamente sono indicate per brevi cicli terapeutici. Sono costruite in materialeplastico, soffice e trasparente, e permettono di somministrare l’ossigeno inconcentrazioni note variabili dal 24% al 100%. Le maschere semplici sono indicateper la somministrazione di ossigeno a concentrazioni intorno al 50%. Non sonoperciò in grado di provvedere interamente alle richieste respiratorie: l’ariadell’ambiente viene trascinate all’interno attraverso fori della maschera persupplementare il basso flusso di ossigeno. Soprattutto per basse velocità di flusso sipuò verificare un significativo rebreathing, in quanto l’aria espirata dal bambino nonè adeguatamente allontanata tra viso e maschera. Il loro uso è da proscrivere,pertanto, in caso di insufficienza respiratoria con ipercapnia. Le maschere di Venturi,invece, sono dotate di particolari valvole che sfruttano il principio del jet mixing oeffetto Bernoulli secondo il quale al passaggio dell’ossigeno attraverso un orifizioristretto si genera una corrente ad alta velocità che attira all’interno del sistema unaquota costante di aria ambiente. La quantità di aria che viene attirata all’interno dellamaschera è funzione di due parametri: la velocità del getto di ossigeno (dipendentedalla velocità del flusso di ossigeno e dalle dimensioni dell’orifizio della valvola) e ledimensioni delle aperture laterali della valvola [1].Le maschere seguono un codice colore, ossia ad ogni colore corrisponde una

precisa percentuale di ossigeno nonché i litri al minuto (l/min) per garantire la FiO2desiderata, così le concentrazioni di ossigeno raggiungibili sono [73]:

particolarmente utile nei casi di ipossiemia in presenza di una ventilazionesufficiente, in quanto permette una precisa valutazione della FiO2 ed è utile anche incaso di respirazione naso buccale o prevalentemente buccale. Le maschere conreservoir esistono in due varietà: la partial re-breathing mask e la non re-breathingmask. La prima è sprovvista di valvole unidirezionali tra maschera e reservoir,motivo per cui una parte dei gas espirati, circa un terzo, entra nel reservoirdivenendo parte della successiva respirazione, mentre i restanti due terzi vengonoallontanati attraverso apposite aperture nella maschera. Con tali maschere siraggiungono FiO2 di 0, 80. La seconda invece è dotata di una valvola unidirezionaletra maschera e reservoir, in modo che il bambino inali solo dal reservoir e possaespirare solo attraverso valvole ad una via poste sul bordo della maschera. Un

sistema di valvole di sicurezza permette inoltre all’aria di entrare nel sistema nelcaso in cui la sorgente di ossigeno venisse accidentalmente sconnessa. Con taletipo di maschera sono raggiungibili FiO2 di 0, 95. Le indicazioni maggiori per questotipo di presidio sono tutte le situazioni acute in cui vi sia la necessità disomministrare ossigeno ad alte concentrazioni e per un breve periodo.Le tende a ossigeno sono sistemi misti che possono usare tanto tecniche ad alto

flusso quanto a basso flusso. Si tratta di dispositivi in materiale plastico cheavvolgono completamente il letto del paziente (tabella 3). Consentono di controllarela concentrazione di ossigeno, la temperatura e l’umidità all’interno ed hanno ilvantaggio, inoltre, di evitare al paziente il fastidio dell’applicazione di cannule,cateteri o maschere. Numerosi, tuttavia, sono gli inconvenienti legati al loro utilizzo,quali la necessità di flussi di ossigeno molto alti (10-15 l/min), la necessità di moltotempo per il raggiungimento di una data FiO2, il calo repentino della FiO2all’apertura della tenda e la difficoltosa osservazione del paziente da parte delpersonale medico e dei genitori [1, 74].Nei trattamenti a lungo termine è previsto l’utilizzo del sistema a basso flusso, in

grado di erogare anche quantità di 0, 1 l/min, in considerazione delle esigenze edell’età del paziente. Le fonti attualmente disponibili per la somministrazione diossigeno domiciliare sono, attualmente, le bombole ad alta pressione (gassoso), isistemi ad ossigeno liquido e i concentratori di ossigeno (Tabella 3). La scelta deidiversi sistemi è legata, oltre ai vantaggi e svantaggi, anche all’età del paziente, allivello di autonomia ed al flusso di ossigeno necessario. I dispositivi di erogazionedell’ossigeno comunemente utilizzati sono le cannule nasali, nei bambini con vierespiratorie integre, sostituite dalle maschere facciali nei soggetti con occlusionedelle narici e/o che respirano a bocca aperta. Nei bambini tracheostomizzati, invece,la somministrazione di ossigeno attraverso la cannula tracheostomica, qualora ve nesia precisa indicazione, può avvenire attraverso il collegamento mediante specifichemaschere per tracheotomia; tuttavia, essendo questo presidio difficilmente fissabilein un bambino, non consentendo quindi una somministrazione precisadell’ossigenoterapia, si può ovviare con l’uso del “naso artificiale” che consiste in unfiltro umidificatore passivo che prevede una presa per l’ossigeno ed un foro centraleper l’aspirazione, che risulta di fatto, quello di uso più comune, in quanto più praticoed efficace. Tuttavia, per tale presidio, è raccomandato l’uso su pazienti con pesocorporeo superiore a 15 Kg. Per i bambini di peso corporeo inferiore non risulta cisiano attualmente strumenti certificati per la somministrazione di O2 domiciliareattraverso la tracheotomia [2, 76].

Durante la ventilazione meccanica, è possibile migliorare l’ossigenazioneaumentando la FiO2 o la pressione media delle vie aeree. La ventilazionemeccanica viene iniziata per fornire un supporto a polmoni che funzionanonormalmente o per malattie che fanno diminuire la compliance (sindrome da distressrespiratorio acuto, atelettasia, polmonite, edema polmonare ed emorragiapolmonare) o aumentare la resistenza (asma, bronchiolite, displasiabroncopolmonare, inalazione di fumo e fibrosi cistica). Le situazioni in cui i polmonisono normali possono non richiedere supplemento di ossigeno, in caso contrario siinizia con una FiO2 al 100% per poi ridurla al 50%. Le malattie di diminuitacompliance, invece, causano una ipossiemia significativa ed è consuetudine iniziarecon una FiO2 al 100% per poi ridurla al 60% o meno al fine di evitare la tossicità daossigeno. Nelle malattie di aumentata resistenza, infine, si inizia con una FiO2 al100% riducendola lentamente al fine di mantenere un’adeguata ossigenazione edevitando, al tempo stesso, una tossicità da ossigeno. Gli obiettivi principali dellaventilazione meccanica sono: fornire un adeguato scambio di gas e favorirel’eliminazione dell’anidride carbonica senza causare un barotrauma polmonare o unatossicità da ossigeno.L’ECMO (ExtraCorporeal Membrane Oxygenation, ossigenazione di mambrana

extracorporea) è usata nel trattamento di neonati e lattanti con insufficienzarespiratoria refrattaria potenzialmente fatale che non risponde alla ventilazionemeccanica e si prevede che si risolva in un breve periodo di tempo. Tuttavia a causadei suoi rischi (da cateterizzazione vascolare e anticoagulazione) e del fatto che isuoi vantaggi rispetto al trattamento convenzionale nei pazienti non-neonatali nonstati dimostrati in modo inequivocabile, le indicazioni per l’ECMO richiedononotevole esperienza, prudenza e giudizio [75, 77].Bibliografia1. Niccoli AA, Castellucci G. Insufficienza respiratoria e ossigenoterapia.

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Trimestrale di divulgazione scientifica dell'Associazione Pediatrica di Immunologia e GeneticaLegge 7 marzo 2001, n. 62 - Registro della Stampa Tribunale di Messina n. 3/09 - 11 maggio 2009

Direttore scientifico Carmelo Salpietro - Direttore responsabile Giuseppe Micali - Segreteria redazione Basilia Piraino - Piera Vicchio Direzione-Redazione: UOC Genetica e Immunologia Pediatrica - AOU Policlicnico Messina

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