Rivista DMA - Povertà e salvaguardia del creato (Luglio - Agosto 2010)

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RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICE damihi animas 2010 Anno LVII Mensile n. 7/8 Luglio/Agosto Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) rt.1, comma 2 - DCB Roma POVERT À E SALVAGUARDIA DEL CREATO

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Rivista delle Figlie di Maria Ausiliatrice

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damihianimas2010Anno LVII Mensile n. 7/8 Luglio/Agosto

Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) rt.1, comma 2 - DCB Roma

POVERTÀ

E SALVAGUARDIA

DEL CREATO

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4 EditorialeL’uomo e il suo giardinodi Giuseppina Teruggi

5IncontriPovertà e salvaguardia del creato

13Primopiano14Il perchè di FrancescoUomo dallo sguardo sereno

16Radici di futuroLa festa nella vita

18Amore e Verità Per una interdipendenza planetaria

20Filo di AriannaLibertà, il canto dell’amore

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dmaRivista delle Figlie

di Maria AusiliatriceVia Ateneo Salesiano 81

00139 Roma

tel. 06/87.274.1 • fax 06/87.13.23.06e-mail: [email protected]

Direttrice responsabileMariagrazia Curti

RedazioneGiuseppina TeruggiAnna Rita Cristaino

CollaboratriciTonny Aldana • Julia Arciniegas

Mara Borsi • Piera Cavaglià

Maria Antonia Chinello • Anna CondòEmilia Di Massimo • Dora Eylenstein

Laura Gaeta • Bruna GrassiniMaria Pia Giudici • Palma Lionetti

Anna Mariani • Adriana NepiLouise Passero • Maria PerentalerLoli Ruiz Perez • Paola Pignatelli

Lucia M. Roces • Maria Rossi

foto di copertina / Elio Scarciglia

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27In ricerca 28CultureIl racconto: la leggenda delle stelle

30 PastoralmenteLa relazione con i giovani

32Donne in contestoMadre Terra: perchè?

33Parole chiaveEcumenismo e Vita Consacrata

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ANNO LVII • MENSILE / LUGLIO AGOSTO 2010

35Comunicare36Faccia a facciaComunità educante:una rete di reti

38Comunicare la fedeInternet ed evangelizzazione

40Video An Education

42ScaffaleRecensioni video e libri

45LibroLa vita in un giorno

46CamillaUn Istitutoall’avanguardia!

n.7/8 luglio-agosto 2010Tip. Istituto Salesiano Pio XI

Via Umbertide 11,00181 Roma

ASSOCIATAUNIONE STAMPA PERIODICA ITALIANA

Bernadette Sangma• Martha SéïdeTraduttrici

francese • Anne Marie Baud giapponese • ispettoria giapponese

inglese • Louise Passeropolacco • Janina Stankiewicz

portoghese • Maria Aparecida Nunesspagnolo • Amparo Contreras Alvarez

tedesco • ispettorie austriaca e tedescaEDIZIONE EXTRACOMMERCIALE

Istituto Internazionale Maria AusiliatriceVia Ateneo Salesiano 81, 00139 Roma

c.c.p. 47272000Reg. Trib. Di Roma n. 13125 del 16-1-1970

Sped. abb. post. art. 2, comma 20/c, legge 662/96 – Filiale di Roma

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za di mantenere una qualità ambientale è in-dispensabile per tutelare i poveri, che più ditutti risentono le conseguenze di una sua di-sfunzione (desertificazione, mutamenti cli-matici, minori disponibilità idriche…). Comeeducatrici, avvertiamo l’urgenza di orienta-re i giovani in ottica preventiva al senso del-la giustizia, dell’equità sociale, della solida-rietà, della responsabilità che è anche impe-gno di libertà nell’operare scelte per il benenon solo individuale, ma di ogni persona.

La conversione ecologica è un processo incui coinvolgere i giovani stessi e l’intera co-munità educante. Una modalità concreta èl’educazione al contatto vivo con la natura,l’educazione alla bellezza, che è via alla con-templazione delle meraviglie dell’immen-so giardino che è il cosmo, impregnato divita, di luce, di canto, di colori, di voli, di pro-fumo. Concentrato di meraviglie che Dio haregalato ai suoi figli!

Può diventare realtà anche per i giovani ilsogno di immergersi nella natura “in armo-nia con il ritmo della vita, imparare dai ci-cli del tempo, ascoltare il battito dell’univer-so, amare la natura, proteggerla e scoprir-vi la presenza e la potenza di Dio…”, comeha scritto Joan Chittister. Il passo allora èbreve a riconoscere che “la Madre Terra ei suoi ecosistemi sono nostra dimora”.

L’uomo e il suo giardino

Giuseppina Teruggi

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… è il titolo che Godfried Danneels, cardi-nale belga, ha scelto per una pubblicazio-ne sul tema dell’ecologia. Una realtà cheprovoca l’attenzione e la riflessione dimolti. Il tema della Giornata mondiale del-la Pace 2010 evidenzia l’importanza che nedà la Chiesa. Papa Benedetto XVI mette inrelazione la salvaguardia del creato con ilvalore della pace: Se vuoi coltivare la pace,custodisci il creato. Nel libro citato, l’Autore sottolinea come, difronte agli sconvolgimenti della natura, laChiesa non si riferisce unicamente ad unsenso di appartenenza orizzontale, ma vi leg-ge una relazione verticale. Il cosmo è donodi Dio che lo ha creato per amore: per que-sto ogni credente è chiamato a intraprende-re un cammino di “conversione ecologica”.

Per noi fma, non si stratta di un percorso inpiù oltre ai “cammini di conversione all’a-more” proposti dal CG XXII. Siamo interpel-late piuttosto a risvegliare in noi un’otticapiù aperta nell’intendere e vivere la consa-crazione, in particolare l’impegno di povertàe la missione educativa, per formare le gio-vani generazioni a valori che non si posso-no disattendere.

Nella sezione Incontri, vengono offertesuggestioni interessanti circa la relazione trapovertà e salvaguardia del creato. L’urgen-

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Povertà e salvaguardia del creato

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no ancor di più le popolazioni a lasciare leproprie terre. In Papua Nuova Guinea, ad esempio, gli abi-tanti delle Isole Carteret sono stati ricono-sciuti come i primi profughi ambientali.Queste poche migliaia di persone hanno vi-sto la loro terra letteralmente inondatadalla marea oceanica, che ha lasciato die-tro di sé solo distruzione. Sono stati costretti quindi a migrare versoaltri lidi, e sono stati riconosciuti anche dal-le Nazioni Unite come la prima popolazio-ne a dover migrare a causa del riscaldamen-to globale.Sempre secondo l’ONU, che ha calcolato ilfenomeno attraverso l’IOM, Organizza-zione Internazionale per le Migrazioni,questo fenomeno non è nuovo. Nel 1990 erano 25 milioni i profughi che, acausa di inquinamento, desertificazione, sic-cità e disastri naturali, hanno dovuto lascia-re la propria terra. Oggi questo numero èraddoppiato. Sono diversi i fenomeni che contribuisco-no all’acuirsi della crisi. In primo luogo c’èil rapporto con le risorse energetiche.Queste vengono sfruttate senza porsi il pro-blema della loro esauribilità e della loro rin-novabilità. Poi c’è il fenomeno dello smal-timento dei rifiuti. Spesso la natura viene vista come ungrande cassonetto per la spazzatura diogni tipo. È importante, nella percezionedella crisi, rendersi conto che questi pro-

Povertà e salvaguardia del Creato Anna Rita Cristaino

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La crisi ecologica in atto ha conseguenze per tutti ma soprattutto per i Paesi poveri e per i poveri di ogni Paese.L’approccio alla cura del Creato per chi vive in condizioni di povertà è questione di sopravvivenza. Il ritorno alla natura e alle sue leggi è garanzia di vita. Per la Chiesa e per la Vita consacratain particolare questo implica maggioreconsapevolezza ed esigeuna conversione ecologica che porti a nuovi stili di vita e ad una nuova spiritualità del creato.

Sono tanti i segnali che ci rivelano lo statodi salute del Pianeta: mutamenti climaticiestremi, uragani e tempeste sempre più fre-quenti, desertificazione e innalzamentodel livello dei mari. Ma a breve potranno es-serci segnali ancora peggiori. Tutto questo è aggravato da un fenomenoche già oggi è molto preoccupante: la mi-grazione di massa.Oltre alle guerre e alla povertà, che purtrop-po spingono milioni di persone a lasciarei Paesi poveri per cercar fortuna in quelli ric-chi, si aggiungeranno fenomeni come sic-cità, inaridimento del terreno e restringi-mento delle terre abitabili, specialmente neiposti caldi come l’Africa, che costringeran-

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blemi hanno valenza locale (il territorioche mi circonda) e globale (se curo il miopezzetto di mondo, faccio qualcosa dibuono per il mondo intero). Per questo quando si affrontano i proble-mi ecologici si parla di interconnessione,che è la capacità di tener presenti le dimen-sioni locali e globali insieme. È necessariosaperne cogliere l’intreccio. La dimensione ambientale ha origine inbuona parte nel comportamento degli es-seri umani, c’è stata una sorta di evoluzio-ne nei comportamenti nei confronti del-l’ambiente. Noi non ci adattiamo più all’ambiente, maadattiamo l’ambiente a noi stessi. E questonon è senza conseguenze. Inoltre assistia-mo ad una disconnessione tra tempi stori-

ci e tempi biologici. Infatti, l’uomo velociz-za tutte le sue attività in ritmi che ricalcanoquelli della produzione, del mercato, delconsumo. Mentre la natura ha i suoi tem-pi che richiamano l’alternarsi delle stagio-ni, del giorno e della notte. Ma l’uomo con il suo intervento, a volte nonlungimirante, può mutare i ritmi biologiciinfluenzandoli e piegandoli alle sue esigen-ze di consumo. La salvaguardia del Creato, dal punto di vi-sta dei poveri, chiede giustizia sociale e am-bientale più che una generica protezionedella natura o un suo più efficiente utiliz-zo. Per loro la natura è la base materiale disostentamento delle comunità che, difen-dendo quella natura, difendono se stessee la loro sopravvivenza.

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ANNO LVII • MENSILE / LUGLIO AGOSTO 2010

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Che tipo di impatto ha la crisi ambientale suiPaesi poveri rispetto ai Paesi più ricchi?

Crisi ambientale significa molte cose diver-se per aree differenti ed anche l’impatto èmolto diverso. Pensiamo ad esempio aquel macrofenomeno ambientale che è ilcambiamento climatico: fenomeno davve-ro globale, esso si riflette, in modalità dif-ferenziate, ma importanti, nei vari contestinelle varie aree. Pensiamo a due situazioni entrambe signi-ficative. Da un lato le aree dell’Africa a ri-schio desertificazione: cosa significa làmutamento climatico? Una drammaticaavanzata del deserto, una riduzione delladisponibilità idrica, comporta spesso inconcreto per molte popolazioni il passag-gio alla condizione di profughi ambientaliper l’impossibilità di continuare ad abitaredeterminate aree. Da un altro lato pensiamo alle regioni co-stiere, alle piccole Isole del Pacifico, o adesempio al Bangladesh, che già ora sonomolto esposte a rischio di inondazioni,per le quali mutamento climatico significainnalzamento del livello del mare, e quin-di di nuovo il rischio di vedere messa a re-pentaglio l’abitabilità delle proprie terre. Di-verso l’impatto sui paesi ricchi, in linea dimassima meno drammatico, giacchè mag-giori sono qui le risorse disponibili per adat-tarsi al mutamento climatico; anche quiperò abbiamo una modifica delle condizio-

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Nel suo messaggio per la giornata mondia-le della Pace 2010, papa Benedetto XVIscrive: «L’umanità ha bisogno di un profon-do rinnovamento culturale, ha bisogno diriscoprire quei valori che costituiscono il so-lido fondamento su cui costruire un futu-ro migliore per tutti». Il Papa auspica «l’adozione di un modellodi sviluppo fondato sulla centralità dell’es-sere umano, sulla promozione e condivisio-ne del bene comune, convinto che il degra-do della natura è strettamente connesso allacultura che modella la convivenza umana». E infine incoraggia «l’educazione ad una re-sponsabilità ecologica che salvaguardiun’autentica ecologia umana». Il prof. Simone Morandini, a cui abbiamo ri-volto alcune domande, ci introduce aduna riflessione teo-antropologica sui temilegati alla povertà e alla salvaguardia delCreato.

Si può parlare di povertà e salvaguardia delCreato?

Il binomio povertà e salvaguardia del Crea-to, secondo me è una correlazione fonda-mentale; mentre fino ad alcuni anni fa ledue dimensioni si ritenevano quasi contrap-poste, come se l’attenzione per il Creatofosse una sorta di lusso per i ricchi, ora ciaccorgiamo chiaramente che sono pro-prio coloro che vivono in situazioni econo-miche fragili che più hanno bisogno di unastabilità e qualità ambientale.

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INTERVISTA AL PROF. SIMONE MORANDINI

Povertà e salvaguardia del Creato:una correlazione fondamentale

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ni di vita, uno spostamento delle fasce cli-matiche ed un impatto sull’agricoltura, c’èla diffusione di malattie. Sono situazioni cheanche all’interno di Paesi con maggiori di-sponibilità economiche colpiranno in pri-mo luogo, per l’appunto, le fasce più pove-re – sia a livello globale sia nei vari conte-sti locali. L’istanza di tutelare il creato, dimantenere una qualità ambientale è fonda-mentale proprio per tutelare i poveri.

Lei parla di teologia della creazione in ambi-to ecumenico. Potrebbe dirci in sintesi di cosasi tratta?

Diversamente da noi che viviamo la nostraesperienza spirituale nella modernità, aigrandi Padri del Medioevo, oppure ai Padridella Chiesa ancor prima del Medioevo,

questo era un concetto molto caro. L’ideacioè che ogni approccio a Dio, ogni approc-cio spirituale, teologico, non potesse pre-scindere dal riferimento al Creatore, dal ri-ferimento cioè all’Essere, a Colui che cidona qualcosa di reale come casa che ab-biamo la possibilità di abitare. L’altra gran-de idea fondamentale è che la Creazione èlo spazio in cui siamo chiamati a vivere di-nanzi a Lui, lo spazio in cui viviamo la no-stra dimensione spirituale, lo spazio nelquale si incarna il Figlio, nel quale soffia loSpirito. Il fatto nuovo è che oggi ci trovia-mo a vivere questo tipo di tradizione teo-logica e spirituale in un contesto in cui lastabilità del Creato non è più percepita. IlCreato ci appare esposto alla minaccia,una minaccia legata a comportamenti uma-ni, una minaccia che d’altra parte si riverbe-ra anche sulla stessa possibilità di buona vitadell’umanità stessa. Allora continuiamo a chiederci: che signi-fica oggi pensare di vivere la teologia del-la creazione? Come inserire nella nostrafede, nello spirituale, nel nostro modo dipensare alla fede in Dio, questa tensioneche l’esperienza del Creato ci offre da unlato e questa minaccia che tocca l’esisten-za di molti? È una domanda che molti cre-denti si pongono all’interno delle diversechiese, dando luogo ad una fitta e positivainterazione ecumenica.

Lei parla di sapienza della creazione e di unrapporto più spirituale dei credenti nei con-fronti del Creato.

Non c’è dubbio che una delle componen-ti di questo atteggiamento che dobbiamorecuperare è quello di imparare di nuovoa guardare al mondo intorno a noi coglien-done la bellezza, cogliendolo come lo spa-zio in cui si manifesta la gloria della Trinità.

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ANNO LVII • MENSILE / LUGLIO AGOSTO 2010

Simone Morandini. Laureato in Fisica al-l’Università di Firenze nel 1985, insegnamatematica e fisica al Liceo Foscarini diVenezia. Nel 1997 ha conseguito il dot-torato in Teologia ecumenica presso laPontificia Università S. Tommaso - An-gelicum in Roma con una tesi sullaTeologia della Creazione nella ricerca delConsiglio Ecuménico delle Chiese. Dal1998 è docente di teologia ecumenicapresso l’Istituto di Studi Ecumenici“S.Bernardino” di Venezia e dal 2008 do-cente di teologia della creazione pres-so la Facoltà Teologica del Triveneto. Dal2001 è coordinatore del Progetto Etica,Filosofia e Teologia della FondazioneLanza di Padova (http://www.fondazio-nelanza.it/). È inoltre membro del Grup-po di lavoro per la custodia del creato,dell’Ufficio nazionale per i problemi so-ciali e il lavoro della CEI. Molte le suepubblicazioni sul tema.

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terpellazione fondamentale. Io credo chedobbiamo essere molto attenti perché daun lato l’esperienza cristiana è un’espe-rienza per molti aspetti antropocentrica:l’uomo e la donna sono gli interlocutoriprivilegiati del Creatore, coloro a cui è ri-volta la parola dell’alleanza, coloro chesono chiamati alla responsabilità. Questo non significa però – ed è un riferi-mento importante che bisogna cogliere –che soltanto gli uomini e le donne siano do-tati di valore, che soltanto nei loro confron-ti ci sia il dovere di impegnarsi eticamente.Questa splendida realtà della creazione ècertamente una casa abitabile donata all’u-manità ma è anche una realtà splendida chemerita di essere tutelata per il suo valore in-trinseco. In questo senso quelle istanze chesi trovano isolate – o l’una o l’altra tipolo-gia; etica antropocentrica versus non antro-pocentrica – io credo che debbano essereintegrate in modo nuovo. Dobbiamo cioè tutelare tutto ciò che è in-torno a noi per il bene delle future gene-

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Il nostro essere gente fortemente urbaniz-zata ci ha un po’ staccato da questo tipo disguardo del mondo intorno a noi, portan-doci a privilegiare la pur importante dimen-sione antropologica della fede, più che laconoscenza di un Dio che parla anchedell’interazione tra gli esseri umani all’in-terno di un mondo. Dobbiamo abituarci apensare a tutto questo, a questa dimensio-ne antropologica della fede nel contesto piùampio del riferimento al Creato.

Lei ha parlato di etiche distinte, antropocen-triche e non antropocentriche, legate ad uncammino di conversione ecologica. Ci vuo-le spiegare cosa significa?

Io credo che da un lato l’idea della conver-sione ecologica esprima un’istanza fonda-mentale che certamente si pone per tut-ti i credenti ma che non interessa soltan-to il mondo ecclesiale. Per quanto riguarda invece il discorso sul-le diverse forme di etica, siamo a livellodella rielaborazione riflessa di questa in-

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razioni umane, per la responsabilità cheabbiamo nei loro confronti, ma ancheperché è una realtà buona, dotata di valo-re, spazio di una vita intrecciata e artico-lata nell’ecosistema planetario.

Quindi le modalità con cui l’uomo tratta l’am-biente possono influire sulle modalità con cuiegli tratta se stesso?

Si, questa è un’istanza che ha sottolineatoanche Benedetto XVI, sia nella Caritas in Ve-ritate che nell’ultimo Messaggio per la Gior-nata Mondiale della Pace. Siamo esseri chesono collocati all’interno del creato, all’in-terno di un tessuto di relazioni, caratteriz-zati da un rapporto con se stessi e con Dioe nessuna di queste dimensioni può esse-re pensata in isolamento. Il modo in cui ci pensiamo nel nostro rap-porto con Dio, influenza il modo in cui trat-tiamo l’ambiente intorno a noi; ma anche vi-ceversa, gli atteggiamenti di dominio chespesso abbiamo assunto nei confronti delcosmo, hanno portato a costruire un’imma-gine dell’uomo sganciato dalla realtà crea-turale, quasi come innalzato a livello delCreatore. Bisogna recuperare questa ideacomplessa dell’essere umano come una par-te singolare dell’ecosistema creato, unaparte singolare con caratteristiche assoluta-

mente specifiche che ci portano quindi alrafforzamento della responsabilità.

Lei cita spesso il concetto di sostenibilità. C’èla possibilità di una partecipazione individua-le e locale alla salvaguardia del Creato?

L’idea di sostenibilità credo che sia unagrande idea, uno degli orizzonti di fondo acui ci orienta il futuro dell’umanità. Abbia-mo bisogno di costruire una società che siacapace di soddisfare i bisogni della genera-zione presente senza precludere l’analogapossibilità della generazione futura. È un po’quello a cui ci richiama anche BenedettoXVI nel momento in cui dice che abbiamoun dovere gravissimo di lasciare in ereditàalle prossime generazioni una terra abita-le e coltivabile. Questo ovviamente è unobiettivo macro, un obiettivo che interpel-la diverse responsabilità. Interpella la re-sponsabilità dei politici, sia a livello localeche nazionale e sovranazionale, interpellail mondo della scienza e della tecnica chia-mato ad elaborare tecnologie per quantopossibili verdi e sostenibili, interpella la re-sponsabilità degli imprenditori chiamati amettere in opera tecnologie siffatte. Interpella anche la responsabilità di ognu-no di noi in quanto cittadino. La nostra per-sona è poi interpellata anche in quanto con-

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ANNO LVII • MENSILE / LUGLIO AGOSTO 2010

Siamo invitati a guardare con amore alla varietà delle creature, di cui la terra è tanto ricca, scoprendovi il dono del Creatore,

che in esse manifesta qualcosa di sé. Questa spiritualità della creazione potrà trarre alimento

da tanti elementi della tradizione cristiana a partire dalla Celebraizone eucaristica,

nella quale rendiamo grazie per quei frutti della terra che in essa divengono per noi “pane di vita e bevanda di salvezza”.

(Quinta Giornata per la salvaguardia del Creato, 1° settembre 2010)

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1. Sii uomo nel creato, fratello tra i fratelli.

2. Abbraccia tutti gli esseri creati conamore e devozione.

3. Ti è stata affidata la terra come giardi-no; reggila con sapienza.

4. Abbi cura dell’uomo, dell’animale, del-le erbe, dell’acqua e dell’aria per tuo amo-re e perché la terra non ne resti priva.

5. Usa le cose con parsimonia perché ladissipazione non ha futuro.

6. Ti è dato il compito di svelare il miste-

ro del cibo: perché la vita si nutra di vita.

7. Sciogli il nodo della violenza per com-prendere quali siano le leggi dell’esistere.

8. Ricorda che il creato non riflette solo latua immagine, ma di Dio altissimo porta si-gnificazione.

9. Quando tagli l’albero lascia un virgultoperché la sua vita non venga troncata.

10. Cammina con riverenza sulla pietrapoiché ogni cosa ha il suo valore.

UN MODELLO DI VITADecalogo tratto dagli scritti di San Francesco d’Assisi

sumatori; le scelte che facciamo pesanosempre sull’ecosistema planetario in termi-ni di consumo di energia, in termini di pre-lievo di materie prime. È chiaro però chenon tutte le scelte hanno un ugual peso:ce ne sono alcune che orientano alla so-stenibilità, ne esistono altre invece chehanno un maggior impatto ambientale. Iocredo che il rinnovamento degli stili di vitaa cui le comunità ecclesiali stanno lavoran-do in questi anni, significhi fondamental-mente questo: da un lato vagliare con at-tenzione i nostri bisogni per vedere se tut-ti sono effettivamente necessari o se alcu-ni non possano essere rimessi in discus-sione, e d’altra parte soddisfare quei biso-gni che riteniamo davvero necessari conmodalità efficienti tanto da impattare ilmeno possibile sull’ambiente.

Cosa tener presente in un percorso educativo?

Io credo che bisogna da un lato abituare lepersone a cogliersi come realtà profonda-mente inserita in questa dimensione che è

il Creato, una realtà buona, splendida, a ri-scoprire in alcuni aspetti l’esperienza diFrancesco d’Assisi da attualizzare nei lin-guaggi e nelle forme più significative del no-stro tempo, inserendo per esempio anchela dimensione scientifica, la considerazio-ne della vita biologica, della rete degliecosistemi, lo splendore della vita di cui noisiamo tributari per la nostra esistenza. Dal-l’altro occorre imparare a percepire la mi-naccia, il fatto cioè che la nostra esistenzadi essere umani, il futuro della terra in pri-mo luogo, le generazioni future, lo stessotessuto della vita, sono messi a rischio dacomportamenti dissennati e non lungimi-ranti. In questa tensione, mi pare possa in-serirsi un’azione educativa capace di far sor-gere quella idea di responsabilità che sa col-tivare un atteggiamento che – di fronte aduna realtà contraddittoria – si senta inter-pellato ad agire, per far prevalere la dimen-sione della positività e del senso rispetto aquella della minaccia.

[email protected]

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Approfondimenti biblici

educativi e formativi

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tiva soprattutto la decisione di fondare unaCongregazione avente come patrono S. Fran-cesco di Sales e di inculcarne nei suoi colla-boratori e giovani la spiritualità. Commovente, a questo proposito, un mano-scritto, che si trova ancora oggi nelle Cameret-te di don Bosco a Valdocco. È la memoria delchierico Rua dello storico incontro che segnala nascita, non ancora ufficiale, ma sacra, del-l’opera salesiana: «La sera del 26 gennaio 1854ci radunammo nella stanza di D. Bosco: essoD. Bosco, Rocchietti, Artiglia, Cagliero e Rua;e ci venne proposto di fare coll’aiuto del Signo-re e di S. Francesco di Sales una prova di eser-cizio pratico della carità verso il prossimo, pervenire poi ad una promessa; e quindi se saràpossibile e conveniente di farne un voto al Si-gnore. Da tale sera fu posto il nome di Salesia-ni a coloro che si proposero e si proporrannotale esercizio». In questo semplice e, nello stes-so tempo, essenziale proposito è evidente l’in-fluenza di S. Francesco di Sales che metteva allaradice della santità l’amore per Dio e per glialtri vissuto nella quotidianità dei rapporti.

Maestro di amorevolezza

Ma perché don Bosco, fra i tanti santi cono-sciuti nel suo tempo e nel suo contesto geo-grafico ha scelto proprio Francesco di Sales?«È naturale che i Salesiani si siano interpella-ti e si interpellino – scrive lo storico Pietro Stel-la sdb – sulla loro denominazione». Come maidon Bosco ha intitolato al vescovo di Ginevrale sue fondazioni? C’è tra i due santi un’affi-nità spirituale? Alla domanda, risponde lo stes-

Uomo dallo sguardo serenoGraziella Curti

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Nella notte del 9 maggio 1879, don Bosco fa un sogno dove appareun personaggio che ha la fisionomia di S. Francesco di Sales, cioè “un uomo dallo sguardo sereno,spirante tutto soavità”. Ed è proprio la caratteristica della dolcezza, che colpisce il chiericoGiovanni nel suo primo impatto con il Santo, che sceglierà come patrono della sua opera.

La perla nel bosco

È l’anno 1835. A Chieri ci sono due seminari-sti che hanno lo stesso cognome: Bosco. Perdistinguersi, quando vengono chiamati, de-cidono di darsi un soprannome. Uno dice: «Iosono Bosco Nespola» e con ciò vuole indica-re di essere legno duro, nodoso, poco pieghe-vole. E il nostro don Bosco risponde: «Io michiamo Bosco di Sales, cioè di salice, legnodolce e flessibile». Un episodio che alcuni bio-grafi ritengono come una previsione del fu-turo, cioè l’itinerario spirituale che il chieri-co percorrerà per tutta la vita in modo da as-somigliare nell’amorevolezza a Francesco diSales. Infatti, tra i suoi propositi presi primadell’Ordinazione sacerdotale, si legge: “La ca-rità e la dolcezza di S. Francesco di Sales miguidino in ogni cosa”. Nelle Memorie biogra-fiche vengono ricordati altri episodi che con-fermano il processo di avvicinamento di donBosco al santo vescovo di Ginevra. Significa-

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so don Bosco nelle Memorie dell’Oratorio scri-vendo appunto, attorno al 1873/76, dello stes-so Oratorio: «Esso incominciò a chiamarsi diS. Francesco di Sales per due ragioni: 1) perchéla Marchesa di Barolo aveva in animo di fon-dare una Congregazione di preti sotto questotitolo, e con questa intenzione aveva fatto ese-guire il dipinto di questo Santo che tuttora sirimira all’entrata del medesimo locale; 2) per-ché la parte di quel nostro ministero esigen-do grande calma e mansuetudine, ci eravamomessi sotto la protezione di questo Santo, af-finché ci ottenesse da Dio la grazia di poterloimitare nella sua straordinaria mansuetudinee nel guadagno delle anime».La scelta è quindi dettata, più che da una sem-plice imitazione, da una volontà precisa di at-tualizzare la sua spiritualità e il suo metodoeducativo. All’Oratorio si invocava il Santo pa-trono con frequenza, lo si festeggiava con so-lennità; a lui venne dedicata la prima chiesa co-struita a Valdocco nel 1852. Don Bosco ne ri-chiama la figura sia nei suoi scritti che nei suoiorientamenti formativi; sceglie quella data perl’incontro annuale dei direttori; fa riprodurre

l’immagine del Santo sullo stemma della Con-gregazione salesiana (1884). Desiderava che siscrivesse una Vita di S. Francesco di Sales adat-ta ai giovani nella quale fosse “come incarna-ta la vita cristiana” e affidò l’iniziativa al primoMaestro dei Novizi don Giulio Barberis. Lascritta: “Da mihi animas coetera tolle” era giàstata posta alla tettoia Pinardi e a DomenicoSavio che ne chiedeva il significato, don Bo-sco spiegò che quello era il motto abituale diS. Francesco di Sales. In don Bosco – osserva-no gli storici – è pure evidente un passaggiosignificativo da un Francesco di Sales model-lo dei pastori, come veniva presentato in Se-minario e al Convitto, a un Francesco di Salespatrono e modello degli educatori. Nella let-tera da Roma nel 1884 don Bosco scrive:«Mettiamoci dunque tutti d’accordo. La caritàdi quelli che comandano, la carità di quelli chedevono obbedire faccia regnare fra di noi lospirito di S. Francesco di Sales».

Una santità per tutti

In un’epoca storica in cui la santità era ritenu-ta una meta raggiungibile quasi esclusivamen-te dai religiosi/e o dal clero, Francesco di Sa-les la propone invece a tutti, e vissuta nelmodo più adatto alla propria condizione esi-stenziale. Non fa distinzione fra uomo edonna, fra sacerdote e laico, fra povero e ric-co, fra chi è colto e chi non lo è. Si tratta di uncammino quotidiano, semplice, che si meta-bolizza nella vita. Vuol dire che si può trasfor-mare ogni azione in un atto di amor di Dio.In tal modo, tutta l’esistenza diviene orazio-ne vitale, addirittura estasi della vita, che il san-to presenta così: «Estasi questa tutta santa, to-talmente amabile…Tutte le azioni di quelli chevivono nel santo timor di Dio sono continuepreghiere, e ciò si chiama orazione vitale».Don Bosco rimane affascinato da questa viadi santità e la propone anche ai suoi ragazzitanto da venire definito educatore della san-tità giovanile.

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evento era preparato con cura e sempre ve-rificato, come dimostrano i verbali del capi-tolo della casa di Valdocco. La festa era coinvolgente con liturgie ben pre-parate e curate, ambienti convenientemen-te adattati e trasformati ad accogliere i nume-rosi invitati. Il cortile non si riconosceva più.Salesiani creativi, coadiuvati da giovani piùgrandi, lo trasformavano in ampio teatro al-l’aperto e al pubblico era destinato lo spazioche del cortile rimaneva libero. Il pubblico eraformato da cooperatori, cooperatrici, amici enaturalmente dai giovani interni ed esterni.Tutta la comunità era coinvolta nella dinami-ca della festa. La celebrazione liturgica in chie-sa, che rappresentava uno dei momenti cloudella festa, ne costituiva il quadro istituziona-le. Per don Bosco la partecipazione dei ra-gazzi alla festa doveva culminare nella co-munione al corpo di Cristo. Una festa nel-la sua casa non si poteva dire pienamenteriuscita quando la comunione non era sta-ta “generale”. Se si consultano i verbali dialcune conferenze capitolari (raduni delconsiglio della casa), ad esempio, di quel-le del 19, 20, e 21 maggio del 1875, si costa-ta che la festa di Maria Ausiliatrice era or-ganizzata tenendo conto dell’esperienzaprecedente: si distribuivano responsabilitàcon una precisione minuziosa circa il ser-vizio e l’ordine in chiesa, negli otto banchipensati per la fiera, nel buffet, in cucina, nel-le mense, nella tavola e nei servizi specia-li. Successivamente nel raduno del 13 giu-

La festa nella vita Mara Borsi

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La vita dell’Oratorio di TorinoValdocco nel decennio del 1870 è scandita da feste liturgiche, giochi,passeggiate rappresentazioni teatrali. I momenti celebrativi sono i più diversi e molte le occasioniper fare festa, come ad esempio, il ritorno da un viaggio, l’arrivo di un ospite, una guarigione,una inaugurazione.

Francis Desramaut, descrivendo, in base allefonti la festa salesiana ai tempi di don Bosco,afferma che «gli orari cambiavano, s’accende-vano le luci in abbondanza, la musica inon-dava gli ambienti, le cerimonie in chiesa e glispettacoli in teatro diventavano più esuberan-ti, i pasti erano più buoni, il mondo esternodei benefattori, degli amici e dei curiosi pe-netrava nel recinto. Tutta la comunità localeviveva ore eccezionali, in cui l’istante presen-te si accendeva». Le feste che all’Oratorio ve-nivano preparate con la massima cura e dili-genza erano quella di Maria Ausiliatrice e l’o-nomastico di don Bosco. Questi due avveni-menti facevano confluire a Valdocco giova-ni di altre case, exallievi, cooperatori, bene-fattori, autorità civili ed ecclesiastiche.

La festa di Maria Ausiliatrice

Nella festa di Maria Ausiliatrice giovani e Sa-lesiani erano co-protagonisti con una massadi fedeli provenienti da altri luoghi. Tale

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gno si esaminarono i limiti che nonostan-te tutto si erano verificati in cortile.Durante il primo Capitolo generale del 1877don Bosco ricordava così la prima fiera di Ma-ria Ausiliatrice: «Nel primo anno si fece unchiasso dell’altro mondo; ma la novità dellacosa faceva sì che di minore entità fossero idisordini. In seguito si diminuì il rumore [...]ora si può dire che questa festa resta intera-mente regolarizzata».

La festa di San Giovanni: l’onomastico di don Bosco

Più familiare era la festa onomastica didon Bosco a cui partecipavano giovani, Sa-lesiani, cooperatori ed exallievi. Nel 1878 ifesteggiamenti iniziarono la vigilia del 24giugno dopo le funzioni del pomeriggio dal-le 18.30 alle 20.30: fuochi artificiali, cena eriposo. La mattina dopo il cronista annotache alle 9.30 vennero accolti dalla banda del-l’Oratorio gli exallievi che presentarono illoro regalo a don Bosco. Dopo le funzionidel pomeriggio ancora la festa in cortile: let-tura di componimenti, canti, musica stru-mentale, omaggi di giovani di altre case. La festa per l’onomastico di don Bosco èmotivata soprattutto dal bisogno di espri-mere la riconoscenza verso un padre, unacomunità, un ambiente. Tale ricorrenza è un

modo per rendere esplicita la gratitudine eal tempo stesso una via metodologica perfar ricordare il bene ricevuto. Un linguag-gio affettivo e simbolico interpella coloroche vivono nell’Oratorio e coloro che vihanno vissuto. Don Bosco vuole celebrarequesta festa per suscitare nei giovani il ri-spetto e l’amore riconoscente verso Dio,sorgente di ogni bene, i genitori, gli educa-tori, i benefattori.1Numerose sono le testimonianze che indi-cano come don Bosco costantemente ricor-da a giovani e Salesiani che all’Oratorio siè sempre vissuto della carità dei benefatto-ri. Negli ultimi anni di vita la riconoscenzaper loro è continua e orienta i Salesiani, so-prattutto i direttori, a comportarsi con lorocon ogni riguardo. La festa della riconoscen-za, in base alle fonti, emerge come indub-bio mezzo di coesione sociale e di conti-nuità relazionale che il tempo e le scelte del-la vita adulta non scalfiscono. La festa per educatori e giovani diventa cosìun’esperienza, una possibilità di costruirequalcosa insieme di diverso da quello chesi vive nella quotidianità, di sperimentareuna relazione di reciproca collaborazione,la virtualità del “fare qualcosa insieme” al difuori degli ambienti formali della classe pergli studenti e del laboratorio per gli artigia-ni. La festa si rivela insomma come un’im-portante chiave relazionale e formativa adintra e ad extra considerando la folta schie-ra di invitati che in essa erano coinvolti a di-verso titolo: benefattori, benefattrici, coo-peratori, cooperatrici, exallievi.

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1 Cf CAVAGLIÀ Piera – UONG THI DOAN Teresa, L’educa-zione alla riconoscenza dimensione insostituibile delSistema preventivo di don Bosco, in RUFFINATTO Piera- SÉÏDE Martha (a cura di), L’arte di educare nello stiledel Sistema preventivo. Approfondimenti e prospet-tive, Roma, LAS 2008, 158-171.

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la formazione e del rispetto (n.47).

• Il principio di sussidiarietà, strettamenteconnesso con il principio di solidarietà eviceversa (n.58).

C’interroghiamo

• Il rischio del nostro tempo è che all’inter-dipendenza di fatto tra gli uomini e i po-poli non corrisponda l’interazione eticadelle coscienze e delle intelligenze, con-dizione per uno sviluppo veramenteumano. In che termini è presente questa realtà neinostri progetti educativi?

• La sussidiarietà senza la solidarietà scadenel particolarismo sociale, e la solidarietàsenza la sussidiarietà scade nell’assisten-zialismo che umilia il portatore di bisogno.Come riusciamo ad armonizzare questidue aspetti nella missione educativa?

• La solidarietà non è l’impegno di certigruppi di volontari o di un solidarismo fi-lantropico di alcuni uomini e donne dibuona volontà, ma un imperativo da as-sumere come responsabilità di tutti. A quale livello si colloca la solidarietà nel-la vita personale e nel nostro ambienteeducativo?

In azione

Alcuni passi per rendere operativo l’ap-profondimento fatto:

Per una interdipendenzaplanetariaJulia Arciniegas, Martha Séïde

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Secondo la Dottrina Sociale della Chiesa, ilprocesso di accelerazione dell’interdipen-denza tra le persone e i popoli è un fattoinarrestabile. Le nuove relazioni tra uomi-ni e popoli devono trasformarsi in relazio-ni tese ad una vera e propria solidarietà eti-co-sociale, esigenza morale insita in tutte lerelazioni umane (Cf. CDSC nn. 192-193).Il tema dell’interdipendenza planetariapresentato dall’enciclica Caritas in Veritatepuò essere letto in stretto rapporto con al-tri temi ricorrenti nel testo come la solida-rietà, la sussidiarietà, la reciprocità.

Rileggiamo l’Enciclica

• La condivisione dei beni e delle risorse,apertura alla reciprocità delle coscienzee delle libertà (n.9).

• L’esplosione dell’interdipendenza pla-netaria, nota come globalizzazione, novitàprincipale del progresso (n.33).

• L’interdipendenza mondiale implica lariforma dell’ONU e una nuova Autoritàpolitica internazionale (n.67).

• La solidarietà, sentirsi tutti responsabili ditutti (n.38).

• La solidarietà universale, fatto, beneficioe dovere (n.43).

• La cooperazione internazionale, condivi-sione del processo di sviluppo economi-co e umano, mediante la solidarietà del-la presenza, dell’accompagnamento, del-

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Da sapereGiornate dell’interdipendenza

Che cosa sono?Laboratori di formazione e dialogo per chi opera nella comunicazione e nell’infor-mazione, in ambito educativo e sociale, per leggere i temi dell’attualità al di là di pre-comprensioni e stereotipi e per trasformare un dato di realtà come l’interdipenden-za del pianeta, da una serie di relazioni passive e ambivalenti, in percorsi attivi diequità e responsabilità.

Dove nasconoIniziativa ideata negli USA dal politologo Benjamin Barber e dall’Associazione da luifondata Civ-World, nel settembre 2003 a Philadelphia. Ad essa fanno seguito iniziati-ve varie che mettono al centro temi diversi a seconda dell’urgenza politica: i rappor-ti tra Occidente e Islam, la Cina e il grande continente africano. Vi partecipano poli-tici, scrittori, giornalisti, ambasciatori, artisti del mondo islamico, cinese e africano.

L’edizione 2009 ha riletto il tema dell’interdipendenza nelle sue coordinate gene-rali, attraverso le principali sfide di oggi: la crisi economica, la crisi ambientale, l’ur-genza della pace. Al centro di questa ricerca: le città del terzo millennio, con la for-za e la criticità del loro peso specifico, là dove la convivenza tra persone e gruppi,tra popoli e culture, affronta più da vicino le sfide dell’interdipendenza e dove laglobalizzazione chiede alle istituzioni e alla società civile nuovi modelli di gover-nance, tra locale e globale.

• Il compito educativo ci impegna a dila-tare la ragione e a renderla capace diorientare le scelte nella prospettiva del-la “civiltà dell’amore”.Rivediamo la nostra proposta educativaper evidenziare la coerenza tra l’interdi-pendenza di fatto e la condivisione del-le risorse.

• Per armonizzare la solidarietà e la sussi-diarietà occorre attivare una cultura dovela reciprocità è assunta come un impegnoirreversibile. Questo esige che ciascunosi senta interpellato a creare le condizio-ni di una vita degna non solamente per sé,ma anche per l’altro. Identifichiamo alcuni ostacoli da rimuo-

vere e alcuni passi da fare per promuove-re una cultura di solidarietà nella comu-nità educante.

• Per superare la cultura della competitivitàe del successo individuale, l’educazionealla solidarietà diventa prioritaria in tuttele istituzioni educative. Per realizzarla inmodo significativo essa richiede un impe-gno corale e convergente. Alla luce di queste affermazioni, rileviamoalcune esperienze significative di educa-zione alla solidarietà presenti nel nostroambiente.

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roccati su posizioni ideologiche, a scapitodei ragazzi. Ho provato sulla mia pelle inquesto difficile anno di scuola il mio livel-lo di libertà, cercando di recuperare il sen-so di un lavoro che non ha valenza soloistruttiva, ma soprattutto educativa. Ho sperimentato che cercare di essere libe-ri prima di tutto significa porre al centro lapersona. Certo, ho sofferto per esserecoerente con le mie posizioni, ma era l’u-nica strada che mi permetteva di mantener-mi “libera dentro”. Le mie scelte si sono rap-portate ai miei valori, anche se ciò potevapormi in contrasto con i colleghi, spessoesasperati da varie situazioni. Non è stato facile, ma doveroso per esse-re in pace con me stessa, per sentirmicoerente, per avere il giusto distacco. Libertà è essere fedeli ai propri ideali».

«Un episodio significativo – scrive un reli-gioso - è legato all’accettazione di un’obbe-dienza che mi ha posto nella realtà in cui orami trovo: con queste persone, con questoincarico, con questi laici e giovani con i qua-li spendo la mia vita. Davanti alla proposta, inaspettata, di anima-re questa comunità, il primo pensiero è sta-to: “Il mio Superiore non ha capito nulla!”.E, infatti, ho sperato che avesse sbagliatopersona. Ma quando, passando il tempo, hocapito che non era un errore, mi sono fida-to e sono felice. Ecco, penso che l’eserciziodella libertà possa essere ben compreso

Libertà, il canto dell’amore (Prima parte)

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Che cosa è libertà? È possibile essere libe-ri? In tema di libertà, corriamo il rischio diingabbiarlo in definizioni strette o strumen-tali. La libertà è in noi, è un aspetto costi-tutivo del nostro essere. Parlare di libertàsignifica parlare di noi. Nella presente riflessione non ci sono de-finizioni. Lascio spazio alla testimonianzadi chi cerca di vivere nel quotidiano il donodi essere liberi. Liberi anche se condizio-nati dal limite, dal disagio fisico o psichico,dall’oppressione di chi esibisce potere. Liberi interiormente se abitati dallo Spiri-to, perché “dove è lo Spirito c’è libertà” (2Cor 3,17). E lo Spirito è Amore: Dio ha crea-to la persona umana libera proprio peramare, ricambiando il suo amore in misu-ra alta, la sua stessa misura. «Fate con libertàciò che richiede la carità» ci ripete MariaMazzarello, donna abitata dallo Spirito.Questo è un articolo corale. Ho interpel-lato alcune persone, laiche e religiose,chiedendo di condividere esperienze divita. È bello quanto esprimono e ho fatica-to a ritagliare poche pagine. Per questo lariflessione è presentata in due parti.

Fedeltà a se stessi

Mi introduco con la voce di un’insegnantelaica, che di fronte a scelte politiche eideologiche discutibili per quanto riguardala scuola, rileva: «Ho sperimentato checosa può essere libertà. Molti colleghi, difronte ai provvedimenti in atto, si sono ar-

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nella polarità figliolanza-affidamento, fi-gliolanza-affetto. E questo nei confronti diDio e delle persone».

Una fma si esprime in modo analogo quan-do afferma che «di fronte a un’obbedien-za che mi sembrava impossibile e superio-re alle mie forze mi sentivo angosciata, op-pressa. Nel momento in cui sono arrivata adire sì e affidarmi al Signore, mi sono sen-tita libera, in pace e disponibile a qualun-que cosa, certa che il Signore mi avrebbesostenuta». La vera libertà orienta la perso-na a realizzare il progetto di Dio, che ci havoluti a sua immagine.

La libertà talvolta è messa alla prova da si-tuazioni strutturali, come emerge dalla te-stimonianza di chi riconosce come «inquesto momento poli tico il governo fapassi sempre più espliciti verso il totalita-rismo. Diventa allora molto forte la testimo-nianza della Chiesa istituzionale che noncessa di illuminare, denunciare con chiarez-za le violazioni ai diritti umani, agendo sem-pre come una realtà unita e compatta, se-gnata da una grande libertà di fronte allepressioni, umiliazioni, minacce».

Progettualità

Liberi da… liberi di… liberi per…: è il trino-mio che associamo al concetto di libertà.Quello della progettualità ne è un aspettochiave. «Per me – afferma una fma – libertà è unprogetto di vita da almeno 25 anni. Un fat-to preciso lo ha determinato: ho capito chese non sceglievo questa strada non sarei sta-ta felice. È un progetto di vita e quindi du-rerà finché vivo, implica vigilanza, esercizioquotidiano. Chiede tagli decisi, determina-zione e chiarezza con se stessi quando bi-sogna esporsi, sapendo che ogni scelta è re-

lativa; pretende nessun confronto (o giudi-zio) con gli altri, perché io sono io e scelgoper me (e questo è ancora l’aspetto più de-licato). Esige che la meta sia chiara (per mequesta meta è l’Amore del Signore e la suavolontà) e se la direzione è chiara, so qua-li passi fare, con modestia, perché ognunodi essi può essere sbagliato o non il miglio-re, avendo a che fare con altre libertà.Nelle prove o nelle incertezze, mi imponedi non affannarmi per soluzioni immedia-te: questo per me è difficile perché vorreirisolvere presto il problema. Mi richiedeuno stato di esodo, un atteggiamento diconversione. In tutto questo, sento abitua-le la presenza dello Spirito che mi rimandaal Vangelo e all’Eucaristia come ringrazia-mento\presenza di Gesù, unico Amore».

Una laica, responsabile di un grande com-plesso scolastico, ha accolto l’invito a riflet-tere su questo tema. «Si è liberi quando cisi può esprimere senza timori verso l’ester-no (l’ambiente politico, per esempio), maanche senza timori che vengono dall’inter-no, come la paura di essere giudicati. Penso ad alcune Suore che ho incontratoin una missione salesiana: donne interior-mente libere di pensare, di condividere conla gente del posto, libere di formulare va-lutazioni proprie pur senza poterle divul-gare, libere sotto una dittatura perchéhanno una gran forza interiore, saldi valo-ri e principi a cui ispirarsi. Riescono persi-no a sorridere di fronte a certe imposizio-ni del regime. Nella mia esperienza perso -na le, questo “sentirmi libera” è maturatocon l’età, con l’acquisizione di maggioriconsapevolezze su cosa sono e cosa valgo,con l’attutirsi del timore di essere giudica-ta, con il consolidarsi di una cerchia di ami-ci veri che ti rispettano per quel che sei, tiaccettano e ti supportano».

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non salesiana: «La libertà si regge sulla so-litudine. Sono le parole scritte su un bigliet-to regalatomi anni fa. Sopra la scritta, la fotodi un’aquila in volo su altissime cime inne-vate. Nel corso degli anni, ho confermatoquesto link ‘libertà-solitudine’. La seconda è stata e spesso è il prezzo del-la prima. Non si tratta di cercarlo o di vo-lerlo o di programmarlo. L’esperienza midice che sempre vanno insieme. O per lomeno che, come gemelle, hanno qualco-sa che le accomuna. La libertà per me è es-sere me stessa, non fingere, non forzare,vivere dal di dentro, come sento e comesono… perché l’identikit profondo di ognipersona è dono di Dio. È un fatto che, man-tenere questo rapporto con se stessi e congli altri, sembra non essere gratuito. E,come ho detto, nella mia esperienza ilprezzo è la solitudine».

Parlando di un sacerdote, uomo di profon-da libertà interiore, un amico ha riferitoun’espressione da lui pronunciata al termi-ne della condivisione su un incontro pro-blematico che aveva avuto: «Se sento cheuna cosa è vera e sento che la devo dire, ladico davanti a chiunque, anche davanti alPapa». «I santi sono campioni di libertà», af-ferma un altro amico religioso. «In campoeducativo i migliori successi di don Boscosono avvenuti con i ragazzi che hannousato la libertà in modo positivo, cioè con-segnandosi con fiducia a chi si adoperavacon amore per il loro bene e non per pro-pri interessi».

«Ama e fa’ quello che vuoi», suggeriva S. Agostino: la libertà è il canto dell’amore!

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Flessibilità

È ancora una fma a raccontare come ha vis-suto il trasferimento da una comunità in cuiera impegnata con intensità e gioia, doveaveva molto amato i giovani e il suo lavo-ro. «Sono stata capace di lasciare senzarammarico, senza guardare indietro. E so dipoter fare lo stesso dopo gli anni dove vivoattualmente. Sento che porto me stessaovunque, porto l’entusiasmo per la missio-ne: il Signore mi ha dato tanto da potermiadattare ovunque». La stessa sorella rico-nosce tuttavia che «mentre mi sorprendo-no i miei sentimenti di ‘libertà interiore’ ericonosco che, nei fatti, posso credermi li-bera, mi scopro ugualmente ‘schiava’ disentimenti, di idee, di modi di percepire edi giudicare fatti e persone. Nella missione e nel lavoro mi dimostro unadonna forte e ‘libera’, ma nella vita relazio-nale e nel mio cuore le schiavitù non man-cano. Infatti, la libertà è anche ‘liberarsi’ daun proprio modo di concepire il mondo checi attornia! Liberarsi dall’io che schiavizzae rende ‘dure’ e ’incomprese’ dagli altri. Perquesto mi rendo conto che, mentre sono li-bera in certi aspetti, devo crescere in altri.Solo il Signore sa renderci ‘liberi’ quando‘la verità di noi’ è accolta ed ‘elaborata’ conla sapienza degli anni che passano».

Un’animatrice di comunità è convinta cheun esercizio per diventare liberi é «quellodella correzione fraterna. Si devono rompere tante barriere interneed esterne per dire con carità le cose, pervincere paure interiori, condizionamenti e,pur essendo coscienti dei propri limiti,poter parlare con il cuore alle sorelle, e ve-dere quanto bene si può fare e quanto sipuò crescere insieme».

Interessante la riflessione di una religiosa

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Due vite chiamate a intrecciarsi e, se non a salvarsi,

almeno a trovare nuove speranze.

Gli effetti secondari

dei sogni

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Vado spesso alle Gare d’Austerlitz. Ci vado per guardare i treni partire

e per l’emozione, mi piace vedere l’emozione della gente,

per questo non mi perdo un partita di calcio in televisione,

mi piace così tanto quando si abbracciano

dopo aver fatto gol, corrono con le braccia alzate al cielo

e si stringono. Nelle stazioni è un’altra cosa,

l’emozione s’intuisce dagli sguardi, dai gesti, dai movimenti…

Testi tratti da Delphine De Vigan, Gli effetti secondari dei sogni,

Milano, Mondadori 2007.

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Ci sediamo l’una di fronte all’altra, leggo la fatica sul suo viso, è come un velo grigio che la ricopre, l’avvolge e forse la protregge. (…) Racconta la paura, il freddo, i vagabondaggi. La violenza. Le corse avanti e indietro in metropolitana, lungo la stessa linea, per ammazzare il tempo, le ore passate nei bar davanti ad una tazza vuota…le lavanderie a gettone perché lì fa caldo e si sta in pace, le biblioteche, i centri di accoglienza diurni, le stazioni, i giardini pubblici. Racconta la vita, la sua vita, le ore passate ad aspettare, e la paura della notte...

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Lettura evangelica

dei fatti contemporanei

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Il racconto: La leggenda

delle stelleMara Borsi

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Un giorno le donne del villaggio erano an-date a raccogliere il mais. Ad aiutarle era andato anche un bambino,che trovò molte pannocchie. ll fanciullorubò un’incredibile quantità di chicchi e linascose in tubi di bambù, che portò allanonna, pregandola di fare un dolce di maisper sé e per i suoi compagni. La nonna lo accontentò e i fanciulli mangia-rono a sazietà. Per nascondere il furto e te-mendo la collera dei genitori, i bambini fug-girono in cielo arrampicandosi lungo unaliana nodosa che l’uccello mosca aveva fis-sato in alto. Le donne tornarono al villaggio e cercaro-no i loro figli. Una di loro vide la liana e lafila dei bimbi intenti ad arrampicarsi. Le ma-dri, sconvolte, li seguirono, ma il piccolo la-dro, che era l’ultimo della fila, tagliò la lia-na non appena giunto in cielo. Da allora, per punizione, i bambini sono sta-ti trasformati in stelle, costretti a guardare

il dolore delle proprie madri.

Fiaba brasilianahttp://www.il-fantamondo.com

RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

Intervista a Denize Salvador

Appartengo all’Ispettoria brasiliana di PortoAlegre. Ho lavorato nella scuola come inse-gnante e coordinatrice della Pastorale giova-nile. Per alcuni anni sono stata membro del-l’équipe di coordinamento ispettoriale del Mo-vimento Giovanile Salesiano: esperienza chemi ha riempito il cuore di tanta speranza.

Quali sono i valori della tua cultura che piùami?

Il popolo brasiliano ha una cultura molto va-ria. I valori che amo maggiormente e che micoinvolgono di più sono:• La solidarietà come forma di vicinanza per

sviluppare la dignità della persona umana.

• La cura e il rispetto della natura per con-servare e custodire le foreste, le spiagge,l’acqua; tutte ricchezze importanti per lanostra vita e per quella delle generazio-ni future.

• L’apertura verso gli altri così necessaria pervivere e che presuppone l’accoglienza ela fiducia in ogni momento.

• La laboriosità della gente che opera conpiacere e si impegna per sviluppare la so-cietà.

• La fede semplice ma profonda del popo-lo che crede in Dio che ama e si fa presen-te, che è sempre vicino e non ci abbando-na mai.

• La capacità di lavorare in rete con perso-ne e organismi diversi per promuovereuno sviluppo sociale capace di arrivare atutti, che riconosce e rispetta i diritti di tut-

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ti, capace di favorire lo sviluppo integra-le della persona umana.

Vivendo in un ambiente internazionale checosa apprezzi di più?

Vivere in un ambiente interculturale è inqualche modo aprirsi al diverso, cercaredi creare comunione rispettando la diver-sità e condividere la ricchezza della pro-pria cultura. Un ambiente interculturaleaiuta ad amare con maggiore consapevo-lezza la propria identità e naturalmente avalorizzare e partecipare della ricchezzadelle altre culture. Con questo atteggia-mento di apertura ci si accorge che nes-suna cultura è migliore o superiore alle al-tre, ma che vi sono modi diversi di espri-mere i valori in cui si crede. Vivere in un altro Paese è un’esperienzamolto significativa. Si ha l’opportunità di co-statare che vi sono molti modi per contri-buire ad arricchire l’esistenza degli altri. Per-sonalmente sono veramente molto felice diavere questa opportunità, di conoscereculture così diverse dalla mia come quellaasiatica, africana, europea. Mi rendo conto che grazie all’amicizia e alconfronto con persone di altre culture etradizioni comprendo meglio me stessa ela mia anima brasiliana. Per mezzo della condivisione del carismavissuto in ogni parte del mondo tocco conmano che l’Istituto FMA è “veramente” se-gno ed espressione dell’Amore di Dio ver-so i giovani che abitano i diversi continen-ti. Devo dire che è molto bello guardare lapanoramica della missione delle FMA.Mi piace molto vivere con persone di altreculture perché mi offre l’opportunità discoprire la ricchezza che esiste nei costu-mi, negli usi, nella musica, nell’arte, nellastoria, nei valori religiosi, nel modo di agi-re e di lavorare. Per me essere in un am-

biente internazionale è imparare sempre,ogni giorno, che non sono sola e chesempre ho bisogno degli altri per vivere ecomprendere che ogni luogo è sacro.

Incontrando persone di altri Paesi e culturequali difficoltà sperimenti?

Nei primi mesi quando sono arrivata, do-vevo imparare tante cose e abituarmi amolte novità. La difficoltà più grande erala comunicazione limitata per la non co-noscenza della lingua. Ma dopo alcunimesi ho cominciato a capire la lingua, i co-stumi, gustare i cibi e pian piano mi sonofamiliarizzata con la nuova realtà. L’acco-glienza e l’attenzione delle sorelle mi haaiutato ad andare avanti.Quando si arriva in un altro Paese è neces-sario essere coscienti che il nostro cuore cidice:... il mio paese è migliore, la mia cultu-ra è più importante, ma bisogna cambiareatteggiamento e fare attenzione. È necessario aprire la mente e il cuore per ac-cogliere la nuova realtà che si incontra. Penso che la sfida per inculturarsi sta nell’aper-tura della mente. Una mentalità aperta per as-similare nuovi valori e per accogliere una visio-ne che è diversa da quella da cui si proviene. Ho imparato che è molto importante supe-rare pregiudizi, vedere la realtà al di là deinostri schemi mentali per aprirsi con rispet-to all’accoglienza dell’altro nelle sue ma-nifestazioni culturali.Sono convinta che ogni giorno si supera ladifficoltà dell’incontro con una cultura di-versa quando ci confrontiamo con il cuoreaperto e abbiamo la determinazione di vo-ler fare un cammino insieme. Non si può vi-vere da soli e neanche fare tutto da soli. Sia-mo persone e abbiamo bisogno di rappor-to, di creare legami di amicizia e fraternità.

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re il cammino e condurre, consigliare e con-solidare nel bene. L’ accompagnamento è la fiducia che i nostrigiovani, al di là delle dissipazioni, di quan-to li travolge, sono in grado di percepire l’ap-pello interiore del Signore, di farsi attrarredal fascino della vita evangelica perché an-che loro ci facciano conoscere tutti se stes-si e giungere all’incontro con il Dio della vita.«Eccoci subito al cuore di una relazione uma-na che sta per assumere d’un tratto un’im-portanza tutta nuova. All’interno di questarelazione sta per essere percorso un cammi-no, sta per aver luogo un evento. Un even-to nel senso più forte del termine. Sarà mol-to di più che lo scambio di un sapere o laconcessione di un consiglio. La domanda dicolui che cerca un accompagnatore, è piùche un sapere, è più che una sapienza. É auna vita in profondità che egli aspira» (Generati dallo Spirito, André Louf).Sull’importanza e la necessità di scegliereun «fedele amico dell’anima» col quale vi-vere in «filiale confidenza», partendo dal-la sua personale esperienza, don Bosco tor-na spesso parlando e scrivendo ai giovani,perché ritiene che questo sia un punto qua-lificante della sua proposta pastorale, oltreche un fattore decisivo per la vita spiritua-le. Nel contesto concreto dell’ambiente for-mativo di Valdocco, l’invito alla confidenzasi dischiude a tutto il vissuto e alle molte-plici quotidiane occasioni di incontro tra ilgiovane e il formatore.

La relazione con i giovaniEmilia Di Massimo

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“Gli feci conoscere tutto me stesso”

Don Bosco ci ha lasciato molte testimonian-ze relative all’accompagnamento dei giova-ni, anche se il termine da lui usato, per in-dicare tale metodo educativo, era “assisten-za”. Pensiamo all’incontro con un “cuore pa-terno”, quello di don Calosso, come ha de-terminato la vita interiore di Giovanninoadolescente, come ha influenzato la sua fu-tura scelta vocazionale. L’evidenza data dadon Bosco agli effetti prodotti nella sua vitadall’amicizia con don Calosso e il valoresimbolico ad essa attribuito sono noti: «lomi sono tosto messo nelle mani di D. Calos-so [...]. Gli feci conoscere tutto me stesso.Ogni parola, ogni pensiero, ogni azione era-gli prontamente manifestata. Ciò gli piacqueassai, perché in simile guisa potevami rego-lare nello spirituale e nel temporale. Conob-bi allora che voglia dire avere una guida sta-bile, di un fedele amico dell’anima, di cuifino a quel tempo era stato privo». Nel dia-logo spirituale Giovanni confida tutto quel-lo che fa parte del proprio vissuto: gli sta-ti d’animo, i progetti, i sogni e le inclinazio-ni, ma unicamente perché percepisce l’af-fetto forte di un padre che lo lascia espri-mere accogliendolo.Accompagnare è risvegliare il sopito desi-derio di Dio presente nel cuore dei giova-ni, e ciò è possibile in una relazione affet-tivamente significativa, perché soltanto inun rapporto personalizzato, si può indica-

RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

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Come accompagnava i giovani don Bosco

Sappiamo che l’accompagnamento spiritua-le praticato e insegnato da don Bosco nonva isolato da tutto il suo sistema educativo.Avviene in un ambiente formativo fervidoe impegnato, fecondo di stimoli, di relazio-ni umane significative, di attività variegate;in una comunione di vita legata ai ritmi deigiorni e delle opere, alla sacralità dellapreghiera e della celebrazione e alla gioco-sità serena del cortile; in un allacciarsi re-ciproco tra momenti di intimità personaliz-zata e rumorosa convivenza. È preparatodall’incontro confidente nella normalitàquotidiana e sfocia in un’amicizia intensa ematurante, instaurando una relazione signi-ficativa e duratura per aiutare a predispor-re il cuore alla confidenza. “La qualità del-la relazione di accompagnamento coinvol-ge così fortemente i due partner che ivantaggi si riversano su entrambi contem-poraneamente. Nella maggior parte deicasi ciò che, al cuore della relazione, avvie-ne all’uno, dapprima all’accompagnato,normalmente, interpella potentemente lalibertà dell’altro, cioè quella dell’accompa-

gnatore, a tal punto che a sua voltaè come chiamato a crescere nellapresa di coscienza della propriarealtà interiore. Accompagnato eaccompagnatore evolvono insieme,e la crescita dell’uno necessita eprovoca la crescita dell’altro” (Gene-rati dallo Spirito, André Louf).Le Linee orientative della Missioneeducativa delle Figlie di Maria Ausi-liatrice hanno ben attualizzato larelazione di accompagnamento, ri-tornando alle fonti, rafforzandoquanto è richiesto all’educatore,sottolineando l’importanza della co-

munità educante, ma soprattutto ricordan-do quanto è fondamentale “imparare ad agi-re in accordo con lo Spirito Santo” (113) “piùche un amico”, “più che un padre”, “madreincomparabile”: questi termini, carichi diimmagini affettivamente dense, parlanoda sé. Fanno allusione a ciò che deve esse-re, in seno alla relazione di accompagna-mento, la qualità dell’accompagnatore acontatto con la quale la vita potrà sgorga-re e trasmettersi. Questa qualità della rela-zione si chiama “amore”, ma l’amore, benin-teso, nel senso più forte del termine, si sa-rebbe addirittura tentati di dire: “più che l’a-more”, l’agape.«É la capacità di uscire da se stessi verso l’al-tro, senza nulla attendere in cambio. Attra-verso l’amore noi confermiamo l’altro e sia-mo a nostra volta confermati, ma senza aver-lo cercato. Nell’amore si dà senza nulla per-dere. Anzi, ci si trova perdendosi» (Gene-rati dallo Spirito, André Louf).Ci “troveremo” continuando a percorreretratti di strada con i nostri giovani; loro han-no già lo zaino in spalla, pronti per partireverso alte mete. Come farli aspettare?

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femminile della terra è molto ricorrente.Nel mese di marzo, in quest’anno, tre don-ne delle etnie Q’eqchi’, Aymara e Kichwahanno partecipato alla Commissione ONUsulla Donna a New York. A loro: Olga Patri-cia García Cuz, Adriana Pacosillo, MaríaAyda Azogue Tixilema e alle sorelle che lehanno accompagnate abbiamo chiesto dispiegarci come si relazionano con la MadreTerra. Adriana Pacosillo spiega che per ledonne Aymara, «la relazione consiste in unaforte interazione con la natura, dove la don-na affina la sua capacità di osservare. La natura è come un maestro per lei. Nelcontatto diretto, la donna Aymara conoscela complessa realtà trasmessale dalla stes-sa natura cogliendo così due assi fondamen-tali: la linea verticale, espressione dellasorgente da cui provengono tutti i doni del-la natura, e la linea orizzontale, con cui siesprime la trasmissione di questi stessidoni a coloro che ne vogliano fruire. Il rapporto si intreccia in un dialogo di rin-graziamento per tutti i benefici da lei rice-vuti. E quando la terra non produce fruttibuoni, si genera un senso di rimorso, per-ché è segno di un disagio nella relazione». Ci racconta María Ayda che la relazione èdi grande rispetto e cura. Infatti, «la popo-lazione Kichwa ama e si prende cura dellanatura al punto di evitare l’uso dei prodot-ti chimici o fertilizzanti che contaminanol’ambiente e la salute della gente. Il mezzo da loro preferito per l’arricchimen-

Madre Terra: perché?Paola Pignatelli, Bernadette Sangma

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Il 15 aprile 2009, l’Assemblea generale del-l’ONU ha votato all’unanimità la scelta del22 aprile come “Giornata Internazionale del-la Madre Terra”. Uno dei primi paragrafi della risoluzione di-chiara: «Riconosciamo che la Terra e i suoiecosistemi sono la nostra dimora, e nellaconvinzione che per arrivare ad un equili-brio tra i bisogni economici, sociali ed am-bientali delle presenti e future generazio-ni, è necessario promuovere l’armonia trala natura e la Terra». A questo riguardo, uninterrogativo ci interpella: perché la rappre-sentazione simbolica della Terra è l’immagi-ne della Madre? Che cosa porta a considera-re la Terra al femminile? Tra le possibili risposte, troviamo un’icona em-blematica nel libro dell’Apocalisse (12,1 – 9). È il racconto della donna, che noi riferiamoa Maria, incinta, rivestita dalle forze della na-tura: il sole come vestito, la luna ai piedi ele stelle come corona. Nelle doglie del parto è in diretto contra-sto con il drago, ossia l’autore della mortepronto ad attaccare la vita da lei generata.La donna partorisce e Dio sta dalla sua par-te rapendo il neonato, per proteggerlo. Nell’immaginario biblico la donna è difesadalla terra, che ha ingoiato il fiume travol-gente uscito dalla bocca del dragone. D’al-tra parte la donna, attraverso l’atto del gene-rare, ha un rapporto speciale con la terra. Anche nelle varie società del mondo, so-prattutto quelle indigene, il simbolismo

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to del terreno è la valorizzazione dei pro-dotti naturali, le piante tipiche del posto altempo della seminagione». Nelle tre culture intervistate, è comune, an-che a livello del termine utilizzato, la con-siderazione della Madre Terra come Pacha-mama ossia «la Madre che procura il neces-sario per la vita: il cibo, il lavoro e la casa».È una Madre che genera figli, si prende curadi loro, li fa mangiare, li veste, li educa e rac-conta loro le storie antiche, che aiutano avivere qualsiasi situazione sia nella gioia, sianella sofferenza”.La fecondità è ciò che caratterizza sia la don-na che la natura. Nella concezione Q’eqchi’,a cui appartiene Olga Patricia García Cuz delGuatemala, «il paradigma della fertilitàcontiene in sé la riproduzione dei figli e laproduzione e la raccolta del mais. Tanto la montagna quanto la donna hanno

un aumento progressivo del calore fino alcompimento della crescita». Il tema della fertilità ricorre anche nella so-cietà tradizionale africana. Infatti, è la don-na che lavora la terra perché è lei che co-nosce il segreto della fertilità. Il senso di comunione con il creato emer-ge inoltre dalle pratiche tradizionali al mo-mento del parto. L’abitudine di partorire dasedute è comune nelle culture delle popo-lazioni indigene dell’America Latina comeanche in Africa. È un’usanza pregnante disignificato ed è motivata dal fatto che taleposizione permette che il bambino o labambina appena nato/a tocchi la terra e ri-ceva l’accoglienza e la benedizione della ter-ra che è la grande Madre. Gli Igorot delle Filippine invece hanno lapratica della sepoltura della placenta, con-siderata la fonte della vita e questo offre unvalore speciale alla terra in cui viene sepol-ta. Si può dire che il simbolismo e le prati-che creati intorno alla donna, la vita nascen-

te e la Madre Terra hanno un’infinitaricchezza di elementi, tale da poter

offrire le basi per una relazione dirispetto e cura nei confronti

della terra. Le culture indigene e partico-larmente le donne indigenesono ricolme di questa sa-pienza. Ascoltando loro potrem-mo impostare un’educa-zione al rispetto e alla sal-vaguardia del creato, nellalogica del prendersi cura

che, indubbiamente, po-trebbe giovare a nuovi equi-

libri di comunione e di pace.

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Cristo è venuto a illuminare ogni popolo,ogni persona, tutte le culture.Diceva ancora Paolo VI: «Bisogna rituffa-re le parole nell’amore: ascolto reciproco,ricerca comune nella disponibilità ad ac-cogliere la diversità, le difficoltà. Toglierequelle spine che per un millennio hannoferito le relazioni tra le Chiese di orientee di occidente; implorare nella preghieralo spirito delle comuni tradizioni». Que-sto è un dovere non un’opzione, senza di-menticare che l’ecumenismo esige una te-stimonianza di fraternità che si realizza nelvissuto quotidiano attraverso il dono di sélibero e generoso.

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Ecumenismo e Vita ConsacrataBruna Grassini

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“Chiesa di Dio, accogli ogni giorno,con rinnovata freschezza, il dono della carità che il tuo Signore ti offre e di cui ti rende capace.Impara da Lui i contenuti e la misura dell’amore.E sii Chiesa delle Beatitudini,continuamente conformata a Cristo.Libera da intralci, sii povera e amica dei più poveri,accogliente verso ogni forma antica e nuova di povertà”.

(Ecclesia in Europa, 89;105)

Papa Paolo VI sovente affermava: «L’ecu-menismo è ormai una dimensione essen-ziale della vita consacrata. Tutti i consacra-ti oggi devono, per vocazione, sentirsi nelcuore l’anelito stesso di Gesù per l’unitàdi tutti i cristiani.Siamo chiamati a vivere un’autentica spi-ritualità di comunione».Il Decreto sull’ Ecumenismo mette in ri-lievo «la preoccupazione e la cura diconservare, nella comunione della fedee della carità, quelle fraterne relazioni che,come tra sorelle, ci devono essere fra leChiese locali. Così il dialogo raggiungeuna qualità e un livello di vita più profon-do, che è quello dello Spirito, dove la con-divisione diviene testimonianza del pro-prio credo e della propria vita».

RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

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Informazioni notizie

novità dal mondo

dei media

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stra” gente. Ritmate dalla convivialità dellerelazioni, intessute di linguaggi che diconoaffetto, sentimenti, emozioni, ancorate allaragione e fondate sulla religione. Anche senon è sempre facile. I giovani e i ragazzioggi sono figli di una società globale, di unafamiglia spesso poco responsabile, di con-sumi e di mode che non orientano versol’essere, ma verso l’avere. In ogni contesto,la comunità educante è spazio di promozio-ne e di condivisione delle esperienze, delfar sentire tutti, piccoli e grandi, parte di unacomunità vera e viva. La forza della comu-nità è l’essere insieme non solo a fare, maa pensare, progettare, pregare. Il quotidia-no essere presenti nelle aule, nei cortili, neiteatri, nelle palestre, nella cappella e nellastrada è il segno che il “noi” è più forte dell’“io”. Il giorno è costruito sugli attimi di unacomunicazione spicciola e grande allostesso tempo. L’incontro e la condivisione,la parola e il silenzio scandiscono i tempi,i cammini e le soste di una crescita umana,culturale e spirituale. La comunicazione interpersonale educa eci educa a essere attente ai linguaggi nonverbali, a essere attive nell’ascolto, a vive-re l’empatia e il decentramento, ad affina-re la congruenza tra parole e azioni, a co-struire il clima del “noi”. È pane quotidiano l’abilitarsi ad accettare edaccogliere l’altro, il diverso per cultura,lingua ed etnia; attivare percorsi che porta-no all’esterno, perché è lì che si è felici e si

Comunità educante: una rete di retiMaria Antonia Chinello

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La realtà della comunità educante esprime al meglio la metafora della comunicazione odierna:una rete di reti, di volti e di storie, di generazioni e di parole,di gesti e di azioni, di simboli e di interazioni.

La comunità educante è una “realtà” nell’I-stituto, anche se vi sono cammini differen-ziati riguardo alla sua costituzione. In mol-te ispettorie è esperienza consolidata di col-laborazione nella reciprocità vocazionale trafma e laici; in altre, invece, non è ancora deltutto chiaro come concretizzare nella pro-pria realtà la comunità educante, benché sene comprenda il valore e si cerchi di coin-volgere i laici nella missione educativa. Una convinzione è di tutte: il progetto co-munitario ed educativo, elaborato e veri-ficato insieme favorisce la mentalità pro-gettuale e il coordinamento per la comu-nione. E di tutte è anche l’impegno a co-struire comunità educanti disponibili nel-la fede, aperte alla speranza, operosenell’amore. Per i giovani.

Sul filo del racconto

Sarebbe molto bello poter aprire un cana-le per raccontarci le storie quotidiane del-le nostre comunità educanti. Sarebbero tut-te impregnate di passione per Cristo e dipassione per i “nostri” giovani e per la “no-

RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

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sperimenta la felicità: dando a chi ha biso-gno del nostro. La rete della “parolina all’o-recchio” è quella dove con immediatezza,facilità e convinzione si regala un incorag-giamento, un sostegno, una prossimità. Eanche la correzione. La partecipazione è ilrisvolto attivo di ogni comunicazione: se illasciarsi interpellare dalle urgenze e dai bi-

sogni, se la ricerca e il dibattito vissuti attor-no a un tavolo coinvolgono attivamente tut-ti, non si può non rimboccarsi le manichee darsi da fare.

Semplicemente esserci

Alcuni mesi fa si è aperta nella città di Mag-deburg, in quella che una volta era la Ger-mania dell’Est, una nuova comunità, uncampo di azione per sorelle non più giova-ni. Tre fma vivono nella parrocchia, che daanni non ha più il parroco. «Il nostro apo-stolato – racconta sr. Katharina Schmid, ladirettrice – è essere semplicemente presen-ti». Da questo programma di vita, le suoresi sono organizzate e le strade del quartie-re sono diventate la loro casa, aperte all’in-contro: uomini donne, giovani, anziani, la-voratori, disoccupati. Per tutti una parola, unsorriso. Hanno tempo per la gente, per ri-spondere alle loro domande, per insegna-re a pregare, per parlare di don Bosco, pergiocare con i bambini. Suor Apollonia èsempre stata con i piccoli e con loro ci safare. Per questo le hanno chiesto di guida-re alcuni incontri di preghiera ecumenicain una scuola materna. È una rete che si am-plia per centri concentrici e, con la sola for-za della presenza, pone un segno contro-corrente che dice la scelta preferenziale deigiovani, si pone accanto alla missione delCentro giovanile Don Bosco, coordinato datre sorelle più giovani. Quest’opera è ormaiconosciuta e apprezzata dalla gente, dalleautorità civili e religiose della stessa città. IlVescovo che quindici anni fa desideròquesta fondazione, diede alle fma un pro-gramma importante: «Siete chiamate ad aiu-tare i giovani a diventare persone, a raggiun-gere la loro maturità di persone».C’è posto per tutti, non ci sono limiti di etàe non c’è rischio di disoccupazione.

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I-Pad

Che cosa hanno in comune una bambina di 3anni, una 99enne, una persona con autismo, eun primo ministro? Ma, l’iPad, certamente! L’iPad é l’ultimo “giocattolo” di Apple, più atte-so dell’iPhone lanciato 3 anni fa. L’iPad é un di-spositivo con la forma di un blocco A4 con 1,27centimetri di spessore e 7 etti di peso, un incro-cio tra un netbook ed uno smartphone (senzail telefono), un “computer portatile” leggeris-simo, con uno schermo sensibile al tocco cheincorpora anche la tastiera, usato per navigare,guardare foto e video, leggere gli ebook, gior-nali, riviste, ascoltare musica, scrivere appun-ti, leggere la posta elettronica, per cui si pos-sono scaricare una miriade di applicazioni. Lafascia di prezzo é tra $499 a $829 secondo la me-moria (16B, 32GB, oppure 64GB) e la connet-tività (Wi-Fi oppure rete 3G). É complicato? Écosì facile che anche una bambina che non leg-ge ancora lo sa maneggiare. Un giornalista hadato il suo iPad a sua figlia, (già abituata alloschermo sensibile), l’ha manipolato come unaveterana. Ma non é un giocattolo per bambi-ni. Ha la potenzialità di cambiare la vita. Un’ap-plicazione abbordabile permette a quelli conautismo, morbo di Lou Gehrig, o la sindromedi Down di comunicare. La possibilità di ingran-dire i caratteri e cambiare la luminosità delloschermo ha ridato la capacità di leggere ad unadonna di 99 anni, colpita da glaucoma. É sta-to utilizzato, persino, dal primo ministro JensStoltenberg per governare la Norvegia quan-do la nube vulcanica dall’Islanda l’ha bloc-cato a terra fuori la Nazione.

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ferma che Internet “ridefinisce in modo ra-dicale il rapporto psicologico di una perso-na con lo spazio e il tempo”. Esso moltipli-ca i contatti con le possibilità di evangeliz-zazione, ma i rapporti realizzati elettronica-mente non potranno mai prendere il postodella persona.La sfida che Internet presenta si vince se siavrà il coraggio, come sostiene nel suomessaggio il Papa, “di non chiudere le por-te al progresso”. In tal modo “i mass-mediadiventeranno una realtà di autentica comu-nicazione, un mondo non fatto di illusione,ma di verità e di gioia”. Termino questa breve presentazione del si-gnificativo documento Pontificio con una ci-tazione che tocca in modo particolare imissionari. “Nel mondo di oggi, afferma Gio-vanni Paolo II, come potrebbe il sucessoredi Pietro compiere la propria missione di pre-dicare il Vangelo, se non anche attraverso lecomunicazioni sociali? Nessuno metterà indubbio che nel quadro mediatico il ruolocentrale oggi e soprattutto domani saràesercitato da Internet”.In questo contesto mediatico possiamochiederci: “C’è posto per Gesù, il suo voltoappare?”. Se non c’è spazio per Gesù, nep-pure l’essere umano avrà spazio, per quan-to incredibile sembri. Internet è un magni-fico strumento, ma se non lo si conosce o sene fa un uso indebito e inappropriato il ri-schio è di essere strumentalizzati. È come quando si possiede una bellissimamacchina che però non si sa usare, non la si

Internet ed EvangelizzazioneClaudio Pighin

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A chi avesse perplessità sulla efficacia di in-ternet a livello dell’evangelizzazione, ilmessaggio per la 36ª Giornata Mondialedelle Comunicazioni sociali di GiovanniPaolo II, offre una serie di valide e stimo-lanti considerazioni. Esse sono anticipatedal titolo “Internet: un nuovo forum perproclamare il Vangelo”.Oggi, all’inizio del terzo millenio, abbiamocon Internet la nuova rivoluzione delle co-municazioni e delle informazioni. Chiarito che la nuova frontiera non è un fine,ma un mezzo, la comunità cristiana dovrà af-frontarla con realismo e fiducia utilizzandoil suo impiego, badando alle sue qualità po-sitive e alle sue debolezze. Si tratta di aiuta-re coloro che entrano in contatto per la pri-ma volta con Internet a passare dal mondovirtuale del ciberspazio al mondo reale del-la comunità cristiana. Va considerato che nel-la rete esistono innumerevoli fonti di infor-mazione, documentazione e istruzione sul-la Chiesa alle quali ci si deve con saggezzaallacciare, ricordando che Internet offre unsupplemento ed un sostegno unici nell’in-contro con Cristo e la sua comunità.Non bisogna però mai dimenticare che In-ternet offre nozioni, non valori e malgradoil suo potenziale di bene, può degenerare insituazioni negative a proposito delle qualil’autorità pubblica deve garantire la respon-sabilità di questo prodigioso strumento,affinché assicuri il bene comune e non di-venti dannoso. Scorrendo il messaggio, sot-tolineo l’annottazione del Papa quando af-

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conosce e nonostante ciò la si vuole usare.Possiamo prevedere un incidente o rimane-re immobili. Una cosa è certa: dopo le pri-me emozioni ne avremo paura. E questa pau-ra che deriva dalla non conoscenza ti con-dizionerà nella guida. Così è per l’uso di Internet: la non conoscen-za può provocare problemi. E di questi alcu-

ni li conosciamo già: individualismo e dipen-denza, esclusioni, caduta di valori, instabi-lità sociale e politica, illusionismo, rafforza-mento e potenziamento dell’immaginario.Altri sorgeranno senza saperne le conse-guenze. Siamo in balia dei mezzi. Noi, esse-ri umani che li produciamo, diventiamo dei“prodotti” degli stessi mezzi. Non c’è di peg-gio per l’essere umano che perdere la pro-pria dignità. E come possiamo evangelizza-re questa nuova realtà che ha degli aspettipositivi e negativi? Ripeto che la macchinain sé non è responsabile della situazione,bensì colui che la usa e la manovra. Allora,credo che la prima cosa per poter evange-

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lizzare questo nuovo contesto sia conosce-re. Questo conoscere non si definisce nel-la sola capacità dell’uso, ma anche a tutte leimplicanze che questo comporta. Secondo è progettare. Le comunità e gli stes-si individui devono sapere come internet siinserisce nella loro vita quotidiana, valutan-done tutte le sue proiezioni.

Un terzo importante punto credo che pos-sa essere espresso nel sentirsi comunità.Come Chiesa sentiamo il dovere di evitaregli individualismi che nuocciono il senso ec-clesiale, e far sì che l’azione nel mondo di-gitale sia una vera e autentica esperienza ec-clesiale di perfetta comunione. Possiamo quindi dire che Internet è uno stru-mento molto utile per noi e per i nostri finiecclesiali. Il centro di tutto - questo non lodobbiamo mai dimenticare - è sempre Gesù.E Lui, io credo, ha il diritto di essere presen-te dappertutto.

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La difficoltà di diventare adulti

Il titolo suggerisce fin dall’ini-zio l’ambito tematico che carat-terizza il racconto: l’ingressonella vita adulta e la sua fatica,sia in riferimento a quanto of-ferto dalla famiglia e dalla scuo-la, sia a quello che – in sensopiú lato – proviene dalla vitastessa nelle sue molteplici di-mensioni. La vicenda è ambientata aTwickenham, un sobborgo diLondra, nel 1961. Jenny, quasi17enne, bella, di umili originima con brillantezza e intelli-genza che puntano a Oxford,

studia in un severo Collegedella città, con ottimi voti e l’o-biettivo di ottenere l’ammissio-ne a quel prestigioso traguar-do. Sia gli insegnanti che i ge-nitori la incoraggiano in questadirezione con un’educazionesevera e rigorosa, ma senzaoffrire alla ragazza motivazio-ni sufficienti a sacrificare ilproprio tempo e la propriagiovinezza allo studio. Il padreJack e la madre (una tipica mo-glie sottomessa), sognano perlei un salto di classe insieme aquello di un buon matrimonio(magari con un avvocato, comeanticipa il padre). Tutti i lorosforzi sono quindi protesi afavorire la carriera scolastica. La

parzialità delle motivazioni col-tivate emerge però con chia-rezza nel momento in cui unaffascinante trentenne corteg-giando Jenny le prospetta unavvenire del tutto diverso, fat-to di piaceri, ricchezza e diver-timenti. Una “Londra da bere”,in cui il denaro comincia ascorrere con una facilità so-spetta, incanta la fanciulla e laconvince di potersi permette-re il sogno ben più libero e gra-tificante di una meravigliosavita mondana. Il giovanotto riesce anche ina-spettatamente a far breccia ne-gli incauti genitori che, raggira-ti con scaltrezza e pensando aJenny, ma anche un po’ a se

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AN EDUCATION di Lone Scherfig – GRAN BRETAGNA – 2009

Titolo molto accattivante per chi legge la rivi-sta e/o si interessa ai giovani. “Un’educazione”: certamente rispondiamo. Maquale? An Education è un piccolo film con ungrande merito: non risparmia riflessioni che re-stano in memoria anche dopo mesi dalla vi-sione. “Cornici reali, avvenimenti credibili etono simbolico si incontrano e bene si fondo-no in questo copione” – sintetizza la Commisio-ne di Valutazione della CEI che prosegue: “si trat-ta di un racconto di formazione. La crescita diun’adolescente passa attraverso esperienze sua-denti e accattivanti prima di rivelare il vuoto chele accompagna e offrire alla convincente prota-gonista le giuste indicazioni per il futuro. Trat-to da un libro di memorie e girato con aderen-za ai moduli del cinema inglese anni Sessanta,il film disegna un percorso di iniziazione alla vitacoerente e coinvolgente. Dal punto di vista pastorale é quindi da valutare come consiglia-bile - anche come prodotto di buona fattura”.

Da indicare perun’utilizzazione dif-fusa di piena valo-rizzazione. Diretto con bellamano dalla registadanese Lone Scherfig- che ci mette untocco delicato eun’attenzione maiesteriore - è stato ap-prezzato in vari festi-

val, da Berlino a Toronto e Londra. Si avvale del-la prima sceneggiatura del brillante scrittore NickHomby, che ha trovato la sua fonte ispirativa nel-l’autobiografia originale e autoironica dellagiornalista Lynn Barber, pubblicata inizialmen-te su una rivista e ora in un libro edito da Guan-da. Il 15 luglio 2009 l’informazione globale an-nuncia: La Sony Pictures Classics ha fatto usci-re il trailer dell’acclamato film, An Education,presentato quest’anno al Sundance Film Festi-val dove ha vinto l’Audience Award e il premioalla fotografia.

a cura di Mariolina Perentaler

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stessi, ritengono che una scor-ciatoia sia praticabile e vantag-giosa per tutti. Il risveglio alla realtà sarà duris-simo e maturante, capace diaccompagnare lo spettatorealla chiarezza dell’idea “centra-le”, nel film come lo fu per lavera protagonista della storia,la giornalista inglese Lynn Bar-ber; dalle memorie della qua-le Nick Hornby ha tratto lasceneggiatura. La pellicola af-fronta dunque un momentodifficile per una giovane deglianni 60, ma pone contempora-neamente anche il problema dicome gli adulti possano rap-portarsi agli adolescenti, of-frendo loro valori veri, chediano un senso ai sacrifici chelo studio comporta, e quale lin-guaggio debbano usare perchèla comunicazione tra genera-zioni resti possibile ed effica-ce. An Education è un’ opera dimassima grazia nel descrivereil preludio di un’epoca cheavrebbe abbattuto ogni auste-rità in nome del diritto al pia-cere, e nel raccontare il confu-so maturare di una giovanedonna dall’innocenza alla con-sapevolezza, attraverso errorie sogni. Si può notare unacerta semplificazione nel de-lineare le figure dei genitori enel descriverne il cambiamen-to anche interiore della prota-gonista, ma l’interesse del filmè nella semplicità fluida concui ci racconta un tema cosìcomplesso e nell’ottima in-terpretazione degli attori, fracui spicca lo splendore dellabravissima Carey Mulligannelle vesti di Jenny.

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SULL’IDEA DEL FILM

«E poi che te ne fai del latino?».Ovvero, riproporre oggi – a 50anni di distanza – l’interrogati-vo di senso che, simbolicaman-te, ha avviato l’emancipazionegiovanile dell’Inghilterra.

Il film riesce efficacemente acatturare l’atmosfera di sotter-ranea ribellione che all’iniziodegli anni Sessanta cominciaa serpeggiare in questa nazio-ne come nel resto d’Europa.Non sono ancora gli anni deiBeatles, ma la voglia di buttar-si dietro le spalle le troppo ri-gide regole dell’ educazioneborghese comincia a pren-dere forma. Poche volte unfilm ha raccontato meglio ilgroviglio di aspettative, proie-zioni, sentimenti e risenti-menti, che unisce genitori e fi-gli, ricchi e poveri, docenti col-ti ed alunni ‘aspiranti’, in ununico capovolgente girotondo– osserva giustamente il pro-mo dell’opera. Al di là del de-stino cui andrà incontro Jenny,lascia il segno il modo in cui laScherfig sa costruire il quadrofintamente spensierato di unagioventù che non si accorge dicamminare sul filo del rasoio,convinta che il futuro nonpossa che presentarsi gratifi-cante e divertente. Il rischio èdi non accorgersi – scriveMerghetti – che “quello stes-so successo finirà per toglie-re a quelle generazioni anchel’innocenza e la speranza”.

SUL SOGNO DEL FILM

Saper tornare a “Oxford”:metafora di libertà capacedi scegliere senza sconti la fa-tica del rendersi artefici delproprio futuro.

In tempi cupi caratterizzati datanti furbi e da tanti ladri, datanti figli “sistemati” da padripotenti (e spesso imbroglio-ni) pensare che in un testo la-tino (studiato per accedere adOxford) si possano leggere leparole “unusquisque faberfortunae suae” (Ogni uomo èartefice della propria fortuna)ci consola un po’ e ci rendesimpatico questo film – scriveil 23enne Filmicus in un com-mento in Internet. Usciti dal-la sala – prosegue – restano innoi due cose positive: la pri-ma è certamente l’immaginefemminile (merito di Jenny, in-credibile, bravissima!). Ha negli occhi arguzia ed in-nocenza, pulizia ed un po’ dimalizia, fiducia e disincanto,intelligenza e disillusione. Anche se combina qualcheguaio, a conti fatti vorremmoavere la fortuna di incontrar-la e di buon grado le sarem-mo vicini nella difficoltà. L’altra nota positiva è che l’in-telligenza, quella vera, fattacioè di sensibilità e di studio,non può essere travolta daglieventi ed aiuta sempre a far ri-trovare una strada. La più autentica e nostra.

PER FAR PENSARE

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brante favola moderna sull’assurdità delle divisio-ni sociali, incarnate molto bene dalla nevroticamamma di Paloma che, sull’uscio del suo lussuo-so appartamento sta bene attenta a non far usci-re il gatto persiano e a non far entrare la portinaia.Ma anche sul beneficio degli incontri, e sul “riccio”che tutti, almeno ogni tanto possiamo diventare.Riesce a rendere tutta la poesia dell’originale let-terario nonostante l’inutile polemica innescata sulproblema della sua fedeltà, che non si pone pro-prio. Merito della regista che ha saputo rispettarela bellezza di una storia intima e tenera di cui la Va-lutazione Pastorale può scrivere: «Poggia su una ro-busta incisività narrativa, ha forza di suggestionee solidità di contenuti. Attraverso il confronto a di-stanza tra la piccola Paloma e la matura Renée, siparla di timidezza e sfrontatezza, dell’arte che ri-scatta, della piacevolezza di incontrarsi, comuni-care, instaurare reciproca fiducia, rinascere inte-riormente... È un eccellente spartito di emozionie sentimenti vivamente consigliabile». “Il riccio”:dietro gli aculei un animo ‘da farfalla’!

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IL RICCIOMONA ACHACHE Francia/ Italia 2010

In Note di Regia dell’esordiente Mona Achache silegge: «Volevo comprare L’eleganza del riccio maho rinunciato perché c’era troppo da aspettare allecasse. La sera stessa un’amica mi parla di un libroche aveva appena finito di leggere, L’eleganza delriccio! Me lo presta, io lo leggo e chiamo Anne-Do-minique (la produttrice): “Ho trovato una storia!”.Lei mi risponde: “È incredibile, ce l’ho sul mio co-modino!”. Risultato? Abbiamo incontrato MurielBarbery (l’autrice del best-seller) che mi ha sceltoe ne abbiamo ottenuto i diritti (…). Quel palazzoin cui si svolge la storia mi ha fatto pensare a quel-lo dove sono cresciuta io, un palazzo borghese.L’assurdità dei pregiudizi, la magia degli incontriimprobabili…Da piccola ero affascinata dalla so-vrapposizione casuale di vite tanto diverse che loabitavano». È così che nasce il piacevole e diver-tente adattamento cinematografico di questa vi-

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ri, di cui fanno parte il padre Armando, la madre Lenae l’unica figlia Martina con un gruppo di parenti chevivono nella stessa casa. Martina ha otto anni ed è di-ventata muta da quando qualche anno prima le è mor-to tra le braccia un fratellino di pochi giorni. A dicem-bre del ‘43 Lena resta nuovamente incinta. Nella not-te del 28 settembre ‘44 il bambino viene alla luce pro-prio nel momento in cui le SS danno vita ad un rastrel-lamento senza precedenti, facendo strage di tutti. Sisalva solo Martina che riesce a recuperare il fratelli-no di cui si prende amorevolmente cura. Il suo sguar-do diventa il punto di vista del regista: rappresental’approccio ai fatti e l’impostazione di tutta l’opera.Tutto succede in 9 mesi, quelli che preparano la gran-de strage e portano alla nascita di un uomo nuovo.“L’uomo che verrà” da cui prende titolo il film. Con-clude con un inno alla vita e all’amore, con le stesseimmagini dell’inizio: Martina che porta in salvo consé il fratellino e, mentre lo prende tra le braccia sot-to un albero rassicurante, gli canta maternamente unadolce ninna nanna e recupera miracolosamente lavoce. Da non perdere, diffondere e valorizzare.

L’UOMO CHE VERRÀ GIORGIO DIRITTI Italia 2009

Gran Premio della giuria e Premio del Pubblico al fe-stival di Roma 2009. I personaggi del film sono imma-ginari, mentre i fatti storici a cui si riferisce sono veri:gli eventi drammatici che si verificarono tra la fine del1943 e settembre del 1944 sull’Appennino bologne-se. La cultura comune e scolastica li conosce come«La strage di Marzabotto» che avviene dopo l’armi-stizio firmato con gli alleati. L’Italia è divisa in due: asud ci sono gli alleati, al centro e al nord tedeschi efascisti. In quella zona nasce una brigata partigiana,la Stella Rossa, e con azioni di guerriglia crea grossiproblemi a tedeschi e fascisti. Il 29 settembre del ‘44le SS danno vita ad una rappresaglia senza preceden-ti: circa 770 persone, per lo più bambini, donne e an-ziani, vengono massacrate. Il film non rappresenta lavicenda vera e propria, ma una serie di avvenimentiche accadono in quell’arco di tempo. Tra tutti i per-sonaggi emerge una famiglia in particolare: i Palmie-

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a cura di Mariolina Perentaler

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Nandino CapovillaUN PARROCO ALL’INFERNOPaoline 2009

Ancora un libro sull’eterna questione palestine-se? Sì, ma un libro che grida. L’autore interrogaun sacerdote cattolico arabo palestinese, padreManuel Musallam, parroco in quella prigione acielo aperto che è oggi la striscia di Gaza. Nell’o-perazione “piombo fuso” messa in atto da Israe-le tra dicembre e gennaio 2008/09, i bombarda-menti ininterrotti, hanno provocato più di cinque-mila feriti e circa 1400 morti, dei quali oltre trecen-to bambini. Cessato il fuoco si riaprirono lescuole a Gaza, ma i bambini che vi tornarono - ri-corda angosciato abuna Manuel - «non parlava-no, non ascoltavano, non giocavano, non guarda-vano più come prima, guardavano fisso nel vuo-to…Che cosa mai potevamo insegnare loro? Chicurerà tutti i loro traumi?». Quello che i media fan-no passare attraverso la cortina fumogena degliinteressi e i pregiudizi dei potenti, è notizia fret-tolosa e sbiadita di fronte agli orrori di chi vive sot-to l’incubo quotidiano di una guerra, che nemme-no più tale può più essere definita. Si può invo-care il diritto alla difesa per colpire barbara-mente una popolazione inerme di vecchi, donne,bambini? Si può affamare un popolo, umiliarnebrutalmente la dignità, ridurre famiglie alla dispe-razione, per colpire il fanatismo di terroristi checombattono, con armi totalmente impari e conmezzi sciaguratamente sbagliati, per una causa ingran parte innegabilmente giusta?

Raffaele Nogaro ERO STRANIERO E MI AVETE ACCOLTO Paoline 2009

Si tratta di una lunga intervista a mons. Nogaro,vescovo emerito di Caserta. Ordinato sacerdotenel nativo Friuli, arde del desiderio di gettarsi su-bito nell’attività parrocchiale che gli è congenia-le. Destinato all’insegnamento in seminario, vi ri-mane suo malgrado per anni, continuando a so-gnare la cura d’anime diretta, il contatto vivo conla gente. Ottiene infine di lasciare la scuola e di-

viene parroco nella diocesi di Udine. Poi, la nomi-na vescovile e il trapianto in un mondo totalmen-te diverso. Si tuffa subito nel vivo di quel mondo,facendo suoi i problemi della gente, specialmen-te dei più poveri e indifesi. Immigrati, nomadi, di-soccupati, giovani senza futuro sono per il pasto-re della diocesi i piccoli con cui Gesù ha volutoidentificarsi: “L’avete fatto a me…”. Non basta peròla carità privata, il soccorso immediato, occorre lot-tare contro quelle che un grande Papa definìstrutture di peccato. Soprattutto essere operato-ri di pace, cominciando con l’educare le nuove ge-nerazioni a considerare la pace un valore assolu-to, la guerra un male assoluto.

Lucio Coco (a cura di)L’ATTO DEL LEGGEREEd. Qiqajon 2009

Un tempo, quando l’analfabetismo era la condi-zione normale della maggior parte degli uomi-ni, non solo dei contadini, ma anche delle piùelevate categorie sociali, la lettura era riservataquasi esclusivamente agli uomini di chiesa, inparticolare ai monaci; legata strettamente allapreghiera, occupava uno spazio privilegiatonella giornata del monaco. È noto del resto chele pazienti trascrizioni di antichi codici per ope-ra degli amanuensi, hanno salvato dal naufragioun immenso materiale della cultura classica enon solo di quella religiosa. Nel libro si cercavala sapienza e non lo svago. Se la Scrittura era unafonte inesauribile (perché “la scrittura cresce conil lettore” diceva S.Gregorio Magno) negli auto-ri profani (storici, poeti, oratori dell’antichità) siscorgevano già, per così dire, i riflessi della Pa-rola. Il compilatore di questo libretto è un monacodella comunità di Bose, che è andato spigolan-do, tra le parole dei padri della Chiesa, quantosi riferisce a quella che essi consideravano la piapratica della lettura. Sono voci ormai lontane dal-la nostra mentalità, ma capaci di porre qualcheinterrogativo al nostro “atto del leggere”. Fretto-loso? Superficiale? O vero nutrimento dello spi-rito, invito stimolante alla riflessione?

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a cura di Adriana Nepi

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fede, lavorando nei sobborghi senza speranzadi Detroit. Mitch Albom, invece, giornalista, sce-neggiatore e scrittore, è uno come noi: la suavita frenetica e un po’ sbadata, è fatta di lavo-ro, famiglia, amicizie, seccature e piccoli piace-ri, rincorsa di cose poco importanti e pigrizianei confronti di quelle che contano. Propriocome noi, Mitch ha poco tempo per tutto, figu-riamoci per fermarsi un momento a pensare!Ma quando prenderà sul serio la richiesta delrabbino Lewis, di scrivere il suo elogio funebre,e per caso Mitch scoprirà la storia insolita e af-fascinante del pastore Covington, per lui quelmomento finalmente arriva. E comincia unnuovo viaggio interiore e vero, appassionantee cruciale, dentro e intorno a quello straordi-nario mistero che è la fede. La fede, poco im-porta in quale Dio, come l’hanno vissuta e re-galata agli altri il rabbino Lewis e il pastore Co-vington, che per tutta la vita hanno aiutato lepersone a scoprire o riscoprire se stesse. Tut-tavia il testo non è né un libro sulla fede, né unvademecum su uno specifico credo religioso;desidera soltanto essere uno strumento che di-schiuda le persone alla speranza, senza che im-porti a quale confessione appartengano. Il viaggio nel proprio cuore di Mitch inizia conuna fuga: fuggire da Dio, o meglio dall’uomodi Dio Albert Lewis. Afferma giustamente loscrittore: “Ero la persona sbagliata per scrive-re un elogio funebre; non ero più un creden-te. Chi può fare l’elogio funebre dell’uomo chefa gli elogi funebri? All’uomo piace fuggire daDio”. Ma Albom va esattamente nella direzio-ne opposta, o forse Qualcuno lo permette,

La vita in un giornoEmilia Di Massimo

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“La vita in un giorno” è una storia vera e uni-versale che sembra scritta proprio per cambiar-ci la vita. Si tratta del viaggio di un uomo, maè la storia di tutti. Un anziano rabbino chiedea Mitch Albom di scrivere il suo elogio funebre:è malato, sa che non gli resta molto tempo, ein una lunga serie di incontri racconta a Mitchla sua vita. Parlano di Dio, dell’aldilà, dell’atei-smo, della guerra, delle religioni. Ogni racconto, privo di qualsiasi sfumatura dimoralismo, si potrebbe definire un gioioso innoalla vita, una profonda meditazione sulla spe-ranza che accende la luce nel cuore, tanto che,lentamente, Mitch si riaccosta a una fede cheaveva abbandonato durante la giovinezza. E in-tanto conosce un altro uomo di Dio, che siprende cura dei poveri, dei senzatetto. Albom, mentre stringe un rapporto sempre piùstretto con i due uomini, ci spinge a rifletteresu ciò in cui crediamo, mostrandoci che le coseche ci uniscono sono molte di più di quelle checi dividono, e questo accade essenzialmenteperché, “che ci crediate o no, dentro ognunodi noi c’è una scintilla del divino. E quella scin-tilla, un giorno, potrebbe salvare il mondo”.I protagonisti del libro sono tre: Albert Lewis,Henry Covington, Mitch Albom. Brevemente: Albert Lewis e Henry Covington sono due uo-mini speciali. Il primo è un rabbino, ha ottan-tadue anni e ha illuminato intere generazionicon i suoi sermoni recitati con la buffa dolcez-za di poesie. Il secondo è un pastore protestan-te, afroamericano, che ha conosciuto la violen-za e il carcere, lo spaccio e l’uso di sostanze stu-pefacenti, prima di scegliere di dedicarsi alla

RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

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Qualcuno che a volte ci rende protagonisti diquanto viviamo, crediamo di dare… E poi ci ac-corgiamo che abbiamo ricevuto e che Lui ci sta-va cercando. La storia di Mitch Albom e di Henry Covingtonsi intrecciano e nello stesso tempo si differen-ziano: una sorta di chiaroscuro che con mae-stria evidenzia la sofferta, graduale resa all’A-more con la “A” maiuscola. Filo rosso che uni-sce con la testimonianza, oltre che con la sag-gezza, è il rabbino Albert Lewis, il quale risve-glia in Mitch il desiderio di Dio anche con il suosguardo: “Aveva un suo modo di guardarti ne-gli occhi e farti sentire che il mondo si era fer-mato e tu eri tutto ciò che restava”.Gli incontri tra Albom e Lewis hanno tre par-tecipanti: loro due e il Signore; inevitabili gli in-terrogativi e le inquietudini che il rabbino su-scita nel cuore di Mitch. Li fa nascere con la le-tizia della sua esistenza e con quanto raccon-ta di sé, del suo credere in un Dio che “comin-

cia” quando si arriva alla fine, perché “ci saràsempre qualcosa che gli scienziati non riusci-ranno a spiegare, qualcosa che ha creato tut-to quello che sono stati capaci di trovare”. L’incontro con Dio, che dà il tono a quanto viveil rabbino Albert Lewis, sembra materializzar-si nella travagliata e difficile esistenza di HenryCovington, pastore di una chiesa diroccata, con-vertitosi dall’eco interiore: “Gesù ti ama!”,un’eco più forte della voce dello spaccio checonsentiva una vita lussuosa, dell’uso della dro-ga e della violenza… Ma come credere ad unaconversione così radicale? “Voi non siete il vo-stro passato”, dice Henry ai suoi fedeli, e ag-giunge: “Tu mi conoscevi. Conoscevi quella per-sona, ma non conosci la persona che sto cer-cando di diventare”. Parole che traduconouna vita e che segneranno il percorso di fedeche intraprenderà Mitch, inevitabilmente.Henry Covington coinvolgerà nell’amore gra-tuito Mitch Albom non con le parole ma facen-do vedere la sofferenza dei senzatetto e le loronecessità, la sua vita effettivamente condivisa,eppure impiegata a servizio dei poveri. Lo scrit-tore imparerà a ritrovare Dio attraverso il do-lore che, “non dice una parola, ma quanto in-segna”. Il dolore che ha vissuto anche il rabbi-no Lewis: la morte inaspettata di una figlia, e lesue parole difficili da inventare per una circo-stanza: “Non è meglio aver conosciuto mia fi-glia per quattro anni che non averla conosciu-ta affatto?”. L’uomo di Dio Albert Lewis lasceràun testamento capace di abbattere ogni divisio-ne: “Amatevi a vicenda, parlatevi, non lasciateche delle banalità pongano fine a delle amici-zie”. Un uomo così non muore mai, ma dovecercarlo adesso? “Guarderemo dove tu, gene-roso e mite uomo di Dio, hai sempre cercatodi indirizzare il nostro sguardo: guarderemoverso il cielo”. La domanda di Dio di Mitch Al-bom ha avuto una risposta; come non essereinnamorati della speranza?

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FMA, anche anzianotte, quante nuoveesperienze! Feste, verifiche annuali etriennali, lavori di gruppo, programmazio-ni! Un continuo stimolo culturale che cimantiene mentalmente attive!L’isolamento poi aggrava l’invecchiamento.C’è chi non riceve mai una lettera, o scam-bia quattro parole solo con la panettiera.Noi? Abbiamo tutti i mesi una lettera per-sonalizzata come la circolare della Madre,abbiamo una comunità…massima poeni-tentia, ma anche massima compagnia! Le attività di movimento rinforzano la cir-colazione. Spesso pensiamo che le nostrecase, enormi, non sono a misura di anzia-no e per arrivare in chiesa o in refettoriodobbiamo fare fatica. È tutta salute! Si riat-tiva la circolazione, senza spendere soldiin palestra!Per una persona anziana, provare a cambia-re qualche azione abituale, mantiene la sa-lute psichica… Ecco svelato il segreto deinostri cambi di posti a tavola, o in chiesao di casa e quando, per rispetto alla nostraetà, esso non avviene più tanto frequen-temente, cambiamo però la direttrice(che poi, se proprio va male, basta resiste-re 6 anni e ciak, si cambia!).Insomma, care suore non più giovani, èproprio l’Istituto con la sua sapiente pe-dagogia che ci ha permesso di invecchia-re! Anzi, mettiamola ancora meglio: l’Isti-tuto ci permette di mantenerci giovani!

Un Istituto all’avanguardia!

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Ho saputo che è stato presentato alla ca-mera dei Deputati del governo italiano il“Rapporto Nazionale 2009 sulle condizio-ni degli anziani”, in cui si evidenziano gliaspetti demografici del fenomeno dell’in-vecchiamento non solo in Italia, ma nelmondo. Si dice che il benessere e lo svi-luppo di un paese si misurano dall’allun-gamento della vita della popolazione,unito però al miglioramento della suaqualità. La sfida dei prossimi anni consisteràproprio nel ridurre il divario tra lunghez-za e qualità della vita! Infatti, che sensoavrebbe vivere a lungo se si vivesse male?I vari governi quindi devono adottare stra-tegie per incidere sulla qualità dell’invec-chiamento, per considerare gli anzianidelle risorse, tanto più che i dati ISTAT evi-denziano che gli over60 saranno nel 2030oltre 1 miliardo e 400 milioni nel mondo(mamma mia! Per fortuna che le suore del-la mia leva saremo a quell’epoca già trasfe-rite nella… eterna giovinezza di DIO!).Io allora ho pensato che anche il nostroIstituto, per dimostrare il suo livello cari-smatico e spirituale, deve preoccuparsi diqualificare la vita di noi suore anziane, cheaumentiamo a vista d’occhio! Ho pensa-to che lo dovesse ancora fare, ma poi misono resa conto che non solo l’Istituto lofa già, lo fa da sempre. Sentite un po’…Ho letto, per esempio, che ogni stimoloculturale rinnova nel cervello delle perso-ne anziane delle nuove connessioni, e noi

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INCONTRI: Povertà e bene comune

PRIMO PIANO: Il perchè di Francesco Educare è cosa di cuore

IN RICERCA: Pastoralmente Un movimento come strategia

COMUNICARE Faccia a faccia Comunicare nel sociale

NEL

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OSS

IMO

N

UM

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È l’amore che dà il valore e il prezzo a tutte le nostre azioni.

(Francesco di Sales)

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CANTO ALLA VITA

I FIORI SONO APPARSI NEI CAMPIIL TEMPO DEL CANTO

È TORNATO(CANTICO 2,12)