RiotVan #16 - Making class

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#16 magazine indipendente gratuito estate 2014 Making Class Testata iscritta presso il Tribunale di Firenze il 12/3/2009, reg. n. 5707

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#16magazine indipendente gratuito

estate 2014

Making Class

Testata iscritta presso il Tribunale di Firenze il 12/3/2009, reg. n. 5707

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JOKOLARTEvia degli Alfani, 51r, 50121 Firenze, Italy

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Gli articoliUsci e bottegheLa torre degli orafiUn Paese di coglioniStampa 3D - pt1 Kent StrapperStampa 3D - pt2 3D MakingCO-HIVE coworking artigianoIntanto altrove... EX-QArtiGiano - illustrazioneC'era una volta l'estFabio Chiari l'uomo che bestemmiava ai violiniAltro che Guitar HeroTutte le cose che puoi fare con una zucchinaPsilocybe a colazioneSevenSongsOrtoVanBarfly - rubricaArtesania - illustrazioneIl Filiman

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Indice

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* Soul Kitchen * Spazio Alfieri * Pastaio di Campo d’Arrigo * Schiacciavino * Feedback store * Cabiria * Pizzaman (Viale de Amicis) * Caffè fiorentino * Cuculia * Gusta panino * Pop * Volume * Pittamingolli * NOF * La Citè * Combo * Il Torrino * Bevovino * Caffè letterario * Centro Java infoshop * Caffetteria delle Oblate * Gump * Danex Records * Circolo Aurora * Gold * Libreria Brac * Jazz Club * Mensa universitaria S.Reparata * Mosto dolce * Multiverso * Moyo * Société Anonyme * Rex * Public house * Dream store * Superdry * Verticale * The Hub * Ultra * Enoteca de’ Macci * Tasso hostel * Platz * Libreria Brac * La citè * Gallery * Casa della creatività

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fotografie e testi di Giacomo Gandossi

bOttegheUSCI E

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fumetto di Niccolò Gambassi

Usci e Botteghe #16 Riotvan

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Usci e Botteghe

Ecco, al diavolo! Io vado cercando la concretezza di un’arte che si faccia con il tempo, la pazienza, il sudore, la passione. E dovrà pur esserci, contando pure i tempi che corrono, quel movimento costante, sicuro, calmo di quelle mani che da secoli continuano imperterrite a tagliare, grattare, decorare, levigare, creare, ferirsi. Il tutto grazie ad un’unica vocina chiamata Passione.Bighellonando tra chiassi e vie che hanno un odore umido, tipico dei posti toccati dalla Storia.Nello storico quartiere di S. Frediano, da sempre covo di arte ed artisti, non c’è gran movimento. La legge che vieta l’occupazione del suolo pubblico antistante alla porta d’ingresso ha costretto le botteghe a rintanarsi all’interno “della cellula del sito catastale adibito a”…e via dicendo troncando, di fatto, quello che da sempre è stato lo spazio vitale di un’attività che vive grazie al contatto con la gente, con il suo continuo portare avanti un rapporto sociale ed economico semplice, quasi intimo,

umano.Però qualcosa c’è, ed è proprio grazie ad un corniciaio veneto, di cui il nome non ricordo ma posso certo asserire che la sua bottega si trova in Via del Drago D’Oro, che trovo le dritte giuste per potermi fare una breve idea di cosa rimane dell’artigianato a Firenze.

A seguito ci sono delle finestre di giornate qualunque passate all’interno della vita di bottega di 4 artigiani che nonostante un’abilità nelle mani meravigliosa e unica, devono fare i conti con i rumori dello stomaco e allo stesso tempo stare al passo con un mondo che “corre troppo forte e non si ferma più”.In ogni caso tanta passione, fierezza ed energia nei loro volti ma anche la considerazione amara che qualcosa si è inceppato bruscamente e che ozia dall’alto dei palazzi, di frivola superficialità confuso e che a fatica va a braccetto con il mondo artigiano fatto di precisione, serietà, calma e consapevolezza.

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ANdreA26 anni ed un’arte nelle mani vecchia di secoli. Andrea Giunti, orefice-artista fiorentino che nel suo piccolo studio-abitazione fa i conti con gli scherzi del Ferro o con il morbido carattere dell’Argento. Pinze, lima, martello sono gli strumenti del suo lavoro. La pazienza come costante imprescindibile per questo mestiere che richiede una precisione maniacale per far si che ciò che si voglia creare, alla fine abbia un volto chiaro. Sì perché si parla di alta oreficeria e dunque non ci si può permettere di tralasciare neanche un dettaglio.L’arte di Andrea è creativa, alcuni dei suoi pezzi sono delle vere e proprie genialità. Vedere per credere.Sono oggetti i suoi che è raro trovare in giro per la loro complessità e per il fatto che sono interamente realizzati a mano dalla prima lastra di laminato, all’ultimo passaggio di lucidatura. Un artigiano insomma, che però sfocia nell’ intrinseco e spazioso mondo dell’arte. “Plasmare la materia dandone una personale interpretazione dell’altro, di ciò che mi sta attorno”. E si trovano il tempo, la terra, il mare il vento nelle sue opere. Un artigiano nel fare e un artista nel concepire. Questa misera ma onesta definizione mi viene spontanea dopo ore passate ad osservarlo fondere, limare, saldare quei pezzetti d’argento così apparentemente sterili in forme bizzarre cariche di vita.

MArtiNAHa 34 anni ed una storia curiosa. Indotta “quasi a forza” a frequentare la facoltà di Scienze Politiche capisce che il suo cammino sarà…la terracotta. Ed infatti dopo aver frequentato la prestigiosa scuola di ceramica di Montelupo inizia la sua attività aprendo nel quartiere delle Cure una bottega all’interno della quale crea, modella, secca, cuoce e smalta il frutto della sua fantasia da 11 anni. La incontro una mattina soleggiata e le sue mani stanno plasmando un bassotto. Mi parla dei metodi che usa, prima dando forma al soggetto, poi scavandolo per facilitare l’essiccazione dell’argilla, passando a cuocerlo a più di 1000 gradi per due giorni ed infine cristallizzarlo per darne l’effetto lucido, la cosiddetta maiolica. Mani grigie d’argilla e ovunque sulle mensole del negozio-bottega colori e fantasie che fanno venir voglia di prendere tutto. Mi racconta che le cose vanno bene: “la gente viene in bottega e compra perché percepisce la passione che ci metto”. E anche perché le cose che Martina fa sono belle. Molto. Specie in una realtà che perlopiù vede un appiattimento della qualità e della “personalità” dei negozi, come dei bar, sempre più standardizzati, monotematici.“Mi sento più artigiana che artista” dice, "perché fare questo lavoro e mangiarci porta via tanto tempo pratico e non concede lo spazio per lasciar correre la mente. Devo sempre stare sul pezzo per cercare di avere più ordini da fare per guadagnarmi da vivere."

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eLeONOrAHa un camice bianco. Sorride ed è emozionata nello spiegare quello che prova descrivendo la sua passione. Il restauro. Laurea in Storia dell’Arte e 12 anni di bottega più o meno a gratis perchè l’allievo ha ad esser umile e guai se non lo è. E’ però grazie a questo praticantato e all’affinamento di tecniche particolari come la doratura e la policromia che adesso Eleonora ha un bellissimo studio-laboratorio-spazio espositivo in via Borgo S. Frediano che condivide con l’amica artista fotografa Virginia. Sedie da rifare, tele da rincollare, santini centenari a cui manca la testa. Ecco, il suo lavoro sta nel riportare alla luce qualcosa di spento, di vecchio, di rotto. Fogli d’oro e colle strane e bisturi adornano il suo laboratorio. Qualche stampa di vecchi lavori appesa al muro, come quella che testimonia il bellissimo lavoro di decoro in oro su mogano fatto per adornare un clavicembalo. Il mondo del restauratore è complesso, mi spiega, perché dipende tanto dal privato ma è dal pubblico che dovrebbe avere le giuste riconoscenze, dato che per fare quello che Eleonora fa bisogna aver studiato davvero tanto. E si ritorna a parlare di mala politica. “vorrei potermi definire restauratrice, forte del fatto che per i lavori che mi sono stati commissionati dalle sovrintendenze ho maturato i crediti necessari all’iscrizione nell’albo. Solo che da 4 anni non c’è più il modo di iscriversi. Il ministero ha bloccato tutto. E la cosa che più indigna è che io potrei aver accesso ad incarichi di restauro di opere tutelate ma che in realtà vengono affidati ad altri che pur, capacissimi, non hanno nessun tipo di titolo. Solo per conoscenza”. E allora mi chiedo che cosa debba fare una ragazza di 34 anni, che ha già restaurato antichi mobili del museo degli argenti di Palazzo Pitti ed avuto tra le mani opere di estremo valore storico, per farsi spazio nel mondo delle commesse pubbliche.

CArLOPer esempio fa l’intagliatore. Sgorbie morse legno. Tre parole un mondo. Restaura cose preziose. Quando lo incontro sta finendo di decorare una cornice da specchio del 700 veneziano; le sue agili mani vanno a portar via materia dalla tavola di Cirmolo (legno a pasta morbida ideale per questo tipo di lavori) e ad ogni passaggio della sgorbia, lo scarto di legno che se ne va, ricorda i riccioli dei putti classici. La sua bottega è piena zeppa di cornici ed intagli che neanche un buco per una cartolina rimane sul muro. E’ sereno del suo lavoro anche se, ammette, “ci sono delle cose che non vanno”. Primo punto l’impossibilità o quasi di tramandare questo mestiere dato che si tende sempre più a formare teorici che praticanti. E poi “le regole per far entrare “a bottega” un allievo sono molto vincolanti per un’attività che non può permettersi l’elevato costo di assunzione, assicurazione che ha un dipendente”. “Sono convinto però che l’artigianato ha futuro” tende a sottolineare Carlo, “la gente sa sempre meno fare a mano, e qualcuno deve pur fare” però magari con un appoggio maggiore da parte delle istituzioni se vogliono che Firenze si vanti ancora di avere un’anima.

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Gli scrittori del caffè notte

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Francesco Barbieri, nato il 1° novmebre 1988, ha studiato e si è laureato in Interior Design allo IED di Milano. Qui viene a conoscenza delle bici a scatto fisso, e se ne innamora da subito.

"Fin da quando ero bambino mi è sempre piaciuto costruire le cose da solo o insieme a mio babbo, negli anni abbiamo smontato e rimontato di tutto (vespe,lambrette, motori) …proprio adesso stiamo rimettendo apposto una vecchia moto cercando di modificarla con pezzi originali disegnati e fatti da noi.Una nvolta laureatomi sono partito per un tirocinio a Bali, in un’azienda di biciclette : Deus Ex Machina (produce e vende surf, macchine, bici abbigliamento)Dopo il viaggio mi son domandato se fosse il caso di continuare a girovagare o se fosse arrivato il tempo di mettersi a lavorare e così ho fatto. Sono tornato a Milano e ho trovato lavoro presso “ 12 cicli”, brand di biciclette a scatto fisso nato 7 anni fa con un team di designers e di artigiani esterni. Per due anni ho lavorato con loro, facendo esperienza ed imparando il mestiere.

Dopo l’esperienza di Milano e forte della conoscenza e degli errori fatti dai brand in cui ho lavorato e conscio del fatto che il mondo della bici artigianali si sta evolvendo e crescendo ho deciso di mettere su una mia attività con la volontà di creare il mio marchio di biciclette non solo a scatto fisso. L'idea è quella di fornire biciclette su misura e personalizzate, studiate ad hoc per il cliente, con cui si sviluppa insieme l’immagine dell’oggetto, biciclette di alta qualità e completamente artigianali.Per ora faccio essenzialmente TELAI ed assemblo gli altri pezzi , ma la mia volontà è di poter arrivare a gestire ogni singolo dettaglio della costruzione della bici.Ad ottobre 2013 ho iniziato ad assemblare i macchinari necessari, cercandoli e comprandoli in giro per mezzo mondo. Io ci provo e ci voglio credere, qesto è un lavoro che non ti vuole insegnare nessuno, è un ambiente “burbero”. Io ho scelto di farlo perchè adoro sporcarmi le mani, assemblare, costruire, ho vera passione per la meccanica."

fotografie e testi di Carlotta Zaganelli

ArNO teLAidi Francesco Barbieri

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Eugenia di Rocco dopo la laurea in Tecnologie per i Beni Culturali inizia la sua formazione in bottega, dove apprende i primi segreti del mestiere. Collabora con archivi e laboratori di restauro della carta e del libro e realizza album, diari e scatole in stoffa e carta decorata, che vende nei mercati artigiani.Giulia Fusi invece è una giovane artigiana fiorentina, specializzata nella legatoria e nel restauro cartaceo: agende, scatole, cornici, specchi, quaderni di stoffa e carte decorate.

Insieme ad Eugenia, Giulia ha dato vita a "La mela di carta", una legatoria creativa che si occupa di restauro e conservazione della carta. La conservazione e il restauro sono discipline complementari che hanno come scopo la salvaguardia degli oggetti. Si parte dallo studio dell'ambiente di conservazione fino ad arrivare all'intervento di recupero strutturale ed estetico del manufatto.Le due artigiane organizzano anche corsi di legatoria per adulti presso associazioni culturali, cooperative

e fondazioni dando le basi pratiche per realizzare quaderni e diari applicando il gusto personale alle antiche tecniche del mestiere. I laboratori di legatoria e riciclo sono invece rivolti anche ai bambini: utilizzando attrezzi che ognuno può trovare in casa e materiali di recupero (come cartoni di latte e succhi o pacchi per pasta e biscotti), si possono creare taccuini originali, rispettando l'ambiente.

LA MELA DI CARTA di Eugenia di Rocco e Giulia Fusi

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CiCLOFFiCiNA "i rOtANti" di Nicola Batoni e Mirco Gori

Nicola Batoni, classe 1981, di Firenze

Mirco Gori, 1985, di Rimini

Mirco dopo il liceo è venuto a Firenze da Rimini, nel 2005, per iscriversi all'università, ma si stufa e va a fare i lavori più svariati: vendemmia, meccanico, operaio in fabbrica, lavapiatti ecc. Ecc.Nicola ha studiato Scienze Ambientali ma fare il biciclettaio è sempre stata una passione, un divertimento. Due anni fa si sono conosciuti. Ad entrambi piaceva rimettere a posto bici e raccattare pezzi e scarti da altre carcasse ed assemblarli. "Nicola aveva un garage e ci eravamo organizzati inizialmente là – spiega Marco – abbiamo iniziato con calma, quasi per gioco: è un divertimento per noi. Poi ci siamo accorti che la cosa stava funzionando, abbiamo subito trovato un riscontro e così abbiamo deciso di espanderci".Ci è venuta l'idea di aprire una CICLO-OFFICINA e abbiamo trovato un fondo perfetto che faceva al caso nostro: in via Giotto proprio dove c'era il vecchio biciclettaio.

Più che artigiani ci sentiamo molto creativi: si crea e si ri-crea da pezzi di scarto biciclette inventate da noi. Ultimamente ci stiamo anche specializzando con la saldatrice e stiamo iniziando a fare di tutto.Il nostro lavoro ci piace molto, non potremmo volere di meglio. Posso vedermi tra diversi anni a costruire e progettare biciclette! Certo mai dire mai, non ci poniamo limiti a quello che potremo fare nel cosro degli anni. Magari apriremo uno spazio più grande. Ci piacerebbe combinare questa attività con qualcosa di socialmente utile. Un "polilaboratorio" per poter fare attività fisiche e ricreative, laboratori per artigiani ma anche spazio concerti, bar, ecc.

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Usci e Botteghemaking class

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fotografie di Anita Scianò

MONdO ALbiON Via di Giogoli 4, Firenze

AteLier ViA deL teAtrO Via Cairoli 44, Prato

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CALzOLAiO CAputO Via Santa Trinita, Prato

bOttegA FiLiStruCChi- pArruCChe e truCCO Via Giuseppe Verdi 9, Firenze

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LA tOrre DEGLI OrAFiRicavata da un ex-convento quattrocentesco appartenente alla Chiesa di Santo Stefano al Ponte, e situata a due passi da Ponte Vecchio, la Casa dell'Orafo è oggi una struttura che ospita diverse botteghe di artigiani orafi.Se state immaginando un luogo polveroso, austero, dove vecchi artigiani custodiscono gelosamente la tradizione orafa fiorentina, chini tutto il giorno sulle loro creazioni, vi state sbagliando. Noi siamo andati a trovare due ragazzi che lavorano lì, e ci hanno parlato di questo mondo e del loro mestiere, immersi in un passato ricco di tradizione, un presente minacciato da crisi economiche e di valore, e un futuro in lotta tra fiducia e rassegnazione.

profilo: Ilaria Leccese, 30 anni, di Campobasso. Dopo una laurea in Architettura, come Designer di Accessori e Gioielli, e diverse specializzazioni presso Accademie fiorentine, nel 2012 apre una bottega nella Casa dell'Orafo, dove tutt'ora crea i suoi gioielli.

Come sei arrivata alla Torre? E che rapporti hai con gli altri artigiani?

Io sono una delle poche donne a esser qui, e anche la

più giovane. Sono entrata tramite una persona che sapeva del mio mestiere: mi ha proposto di prendere la bottega e ho colto l’occasione al volo.I colleghi mi vedono come la più pazza (ride ndr). Però, da parte loro c'è voglia di dare, di stare con te, aprirsi. Al di là anche dell'oreficeria. C'è sintonia, ma anche rispetto, perché, quando vuoi, ti chiudi nel tuo laboratorio e nessuno ti disturba.

Come nasce la tua passione per l'oreficeria?L'ho sempre avuta. Dopo la laurea, e piccole esperienze in azienda, mi son resa conto di non essere soddisfatta. Quindi, la spinta che mi è servita a intraprendere la strada dell'artigianato è stata quella di voler costruire io stessa l'oggetto, non solo disegnarlo. Ho deciso di mettermi alla prova, realizzando un gioiello in tutte le sue fasi: dalla concezione, alla lavorazione del metallo. Ed è decisamente più gratificante.

Ci descrivi il processo di creazione dei tuoi gioielli?Uso tecniche classiche, dove i vari pezzi del gioiello vengono saldati tra loro. Amo saldare. C'è il rischio, la sfida del far uscire il pezzo equilibrato e perfetto. Il processo creativo invece, all'inizio, passava anche attraverso la scrittura. Scrivevo tantissimo, sul tempo e su altre cose che facevano, e fanno, parte di me.

testi di Salvatore Cherchi, Mattia Rutilensifotografie di Giacomo Gandossi

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La torre degli orafi #16 Riotvan

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Cosa vuol dire fare l'orafo oggi?Vuol dire scontrarsi con i problemi che, in questo periodo, affrontiamo tutti. Nello specifico, oggi non c'è più l'educazione verso il gusto del bello, dell'attenzione all'oggetto in sé, come pezzo d'artigianato. Si preferisce andare ad acquistare linee di gioielli “da fabbrica”. Prima si usava acquistare solo un gioiello, ma particolare, fatto artigianalmente, ora si acquistano più gioielli e accessori, in una sorta di gara a chi ne possiede di più.

Ma fare l'orafo qui, a due passi da Ponte Vecchio, la si può considerare una posizione privilegiata?

Oggi il mercato è cambiato molto. Anni fa questo era il cuore dell'oreficeria, c'erano guide turistiche apposite che organizzavano visite alle botteghe. Io sono felicissima di star qui, anche se esser chiusi in una torre può aver degli svantaggi rispetto a un negozio con vetrina sulla strada.

Tu come ti promuovi?Ho un sito internet, poi lavoro principalmente su commissione, ed espongo alcune mie creazioni in vari negozi. Espongo anche alle mostre, è una cosa che ti da la possibilità di far conoscere i tuoi lavori, ma anche di conoscere persone, fare scambi particolari,

creare sinergie che ti fanno andare al di là delle tue conoscenze.

Quanto conta l'innovazione in un lavoro come quello dell'orafo? I clienti la cercano?

L'innovazione è fondamentale, altrimenti non si cresce e non si arriva a nulla di nuovo. Io noto, almeno nelle persone con le quali ho a che fare, che cercano, e sono attratte, dalle cose diverse. Io mi diverto tantissimo a fare oggetti in movimento, o con duplice funzione: orecchini che diventano anelli, anelli che diventano collane, gioielli con dentro sabbia che si muove.

Consiglieresti a un ragazzo la tua professione, o comunque la strada dell'artigianato?

Oggi molti giovani stanno tornando alle origini. C'è una sorta di bisogno, perché nell'ultimo periodo siamo stati destabilizzati da ciò che ci circonda: la crisi, la politica e quant'altro. Come dicevamo prima, si è un po' persa l'educazione verso alcuni valori, ma le persone che hanno una certa sensibilità sentono la necessità di esprimere ciò che hanno dentro, e lo fanno, non solo attraverso l'artigianato, ma anche con altre forme artistiche. È qualcosa di gratificante, e io sono felice di fare questo lavoro, ci credo e non voglio fermarmi.

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La torre degli orafimaking class

LA tOrre DEGLI OrAFi

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profilo: Ivano Barreca, 32 anni, di Roma. Inizia la sua formazione artigiana con un maestro messicano, prosegue poi tra Roma e Latina. A Firenze frequenta la scuola Arti Orafe, tramite la quale arriva alla Casa dell'Orafo.

Quando nasce la tua passione per l'artigianato? E da quanto sei qui alla Casa dell'orafo?

La passione l'ho sin da piccolo. Mi è sempre piaciuto, e ho sempre cercato di esprimermi tramite questa. Le cose che mi piacciono di più sono gli animali, il mondo vegetale. Qui alla Casa dell'Orafo ci sono da quattro anni. Io lavoro su commissione, l’artigianato è questo: dove fai tutto quello che ti viene richiesto.

C'è spazio per l’innovazione?Se avessi tempo ne inventerei tante di cose…

Lavorare a due passi da Ponte Vecchio, secondo te, è un privilegio?

Sì, certamente. Riesci a farti conoscere. I negozi sanno che tu fai quella specialità, infatti l’importante è specializzarsi in qualcosa.

Consiglieresti ai ragazzi giovani di avvicinarsi al mondo dell’oreficeria?

No. Io dico sempre: fate un altro mestiere. Ci sono dei colleghi che mi hanno ripreso per questo, non sono contenti di questa mia affermazione. Ma io dico ai ragazzi: andate a fare un’altra cosa. L’artigianato reale è finito, non esiste quasi più. Gli ultimi che vedete sono loro (gli artigiani della torre, ndr). Che dire ai giovani che vogliono intraprendere questa strada? Potete sceglierla, come lavoro secondario, se avete le spalle coperte.

Ma come lavoro primario per pagarci da vivere, io consiglierei qualcos’altro.

Come mai secondo te non c’è questo ricambio generazionale nella tradizione?

Perché chi fa richiesta vuole sempre personale qualificato, con esperienza, e l’apprendistato non è più visto come un mezzo che riconosce una formazione. Difficilmente si lascia un apprendista solo e gli si da carta bianca per fare un pezzo, e anche se fosse così, lui non fa niente perché difficilmente sa cosa fare. L’esperienza la fai con il praticantato, certo, ma ti devono dare l’opportunità anche di lavorare. Imparare si può sempre imparare, ma non devi cominciare all’età mia, sei fuori tempo. Le scuole private sono un investimento che può valere, ma costano molto. Con la scuola poi parti dai 19, 20 anni, mentre una volta si entrava in bottega a 12, 13 anni, e questo oggigiorno non lo puoi fare.

Non pensi sia un peccato che questa tradizione vada a perdersi? Che dovrebbe essere tutelata in qualche modo?

Si, ma chi la tutela? Sono in pochi oggi che fanno artigianato a Firenze. Nei negozi trovi poco materiale artigianale e molta roba industriale. Si ricerca molto il modello base per una grande produzione, quindi l’oggetto artigianale non esiste più, e a guadagnarci è il negoziante, non l'artigiano.

Tu hai una visione un po’ pessimistica della situazione…Sì è vero, io ho una visione pessimistica. L’artigianato è bello, ma ti porta via un sacco di tempo.

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La torre degli orafi #16 Riotvan

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Freelance di tutto il mondo unitevi. La campagna di sensibilizzazione #coglioneno, che qualche tempo fa ci ha fatto ridere un po’ tutti su Youtube, potrebbe – e, magari, vorrebbe – dire anche questo. Peccato che, semplicemente, non lo possa fare. La categoria dei “creativi” (la riassumeremo così, comprendendo grafici, designer di prodotto, maker e quant'altri) non è infatti semplice da organizzare. E non lo è anche per fattori endemici dell'essere creativi, liberi cioè da condizionamenti istituzionali, che spesso vengono posti ad altre categorie da ordini, collegi, associazioni di rappresentanza. Eppure, nel marzo di quest’anno, l’Aiap (Associazione per il Design e per la Comunicazione Visiva), ha finalmente ottenuto dal Ministero per lo Sviluppo Economico un riconoscimento formale come associazione di riferimento per queste professioni. Un anno fa fu approvata la legge 14 gennaio, n.4

che disciplinava le cosiddette “professioni non regolamentate”. Fra le associazioni riconosciute c’era e c’è di tutto e un po'. Dai tributaristi ai grafologi passando per i consulenti coniugali e quelli filosofici (“eh si pronto la chiamavo per La Politica di Aristotele, ecco... ma l'uomo quindi avrebbe libertà anche per fini personali o come per Platone si è solo orientati al bene dello Stato? Ecco no, mi faccia sapere”). Arrivati in ritardo, anche i creativi hanno avuto il loro riconoscimento fra queste categorie.Tuttavia, nonostante il passo in avanti verso un allineamento dell’Italia alle normative comunitarie, rimane irrisolta e cogente la questione culturale. Parlando con gente che questo tipo di mestiere lo fa da 30 anni, viene fuori che anzitutto o la fase di progettazione ottiene il giusto riconoscimento intellettuale (e quindi monetario) oppure il fenomeno del coglionato descritto tanto bene dai ragazzi di

#Un Paese dicoglioni

di Andrea Lattanzi

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Un Paese di coglionimaking class

Ma i creativi contano per davvero?

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Zero permarrà nei secoli dei secoli. Amen, o forse no. In Italia, come ha scritto Guido Guerzoni sull'approfondimento culturale de Il Sole 24 Ore, nel mondo delle industrie creative, dove possiamo inserire anche l'organizzazione di festival, mostre, spettacoli eccetera, non vi è il giusto riconoscimento giuridico ed economico del lavoro di progettazione, «quasi che progettare il palinsesto di un festival, la stagione di un teatro, il concept di una mostra o lo sviluppo di un museo siano giochi da ragazzi».La verità è che è proprio il settore pubblico, per il quale la comunicazione negli anni 2000 è divenuta centrale, a dare il cattivo esempio. Se da questo infatti non parte una rigida differenziazione fra chi è un professionista e chi no, allora le cose non cambieranno mai. Di storture in questo ambito ne possiamo trovare a centinaia, ma vale la pena di citare il concorso indetto per la creazione del logo di Firenze. Teoricamente il bando era aperto a tutti. Un'idea mossa da uno spirito democratico per la quale ognuno poteva immaginare un marchio per quell'immenso patrimonio dell'umanità che è il capoluogo toscano. Il premio per il vincitore è stato fissato a 15.000 euro. Per questo genere di concorsi indetti da enti pubblici, vi sono una serie di requisiti posti dall'Icograda, un'organizzazione che raccoglie associazioni di grafici da tutto il mondo (un giusto premio, eventuali rimborsi, anonimato dei partecipanti e altri). Diversi addetti ai lavori, fra i quali Milton Glaser, l'autore del marchio I love New York, hanno sottolineato come

alla fin fine 15.000 euro corrispondano grosso modo al compenso che si può chiedere per due inserzioni pubblicitarie di medio livello e che, soprattutto, aprire il concorso a chiunque abbia significato automaticamente ammettere che il lavoro del grafico possa essere fatto anche da amatori. Chiedete a un professionista di farvi il logo di un comune, anche piccolo, difficilmente ve la caverete con 15.000 euro.Per uscire da questa situazione, si tratterebbe perciò in linea più generale di ristabilire i giusti rapporti fra

chi svolge il lavoro e il suo committente. Un qualcosa che stanno cercando di fare anche alcuni giornalisti impegnati nel chiedere un “equo compenso” per le loro prestazioni lavorative. La differenza di fondo è che qui

vi è un ordine professionale che con ogni probabilità non sarebbe realizzabile per il mondo dei creativi, che fondano la propria attività sul loro portfolio e che difficilmente si rimetterebbero ad un'istituzione ordinativa per l'autogoverno della professione. Quel che è certo è che in una società dove prende sempre maggiormente piede un'economia della conoscenza e dell'informazione, nella quale i prodotti immateriali dell'intelletto umano diventano ogni giorno pezzi più grossi delle voci di Pil dei singoli paesi, una soluzione vada trovata. In particolare in Italia, dove tanto ci vantiamo della nostra creatività e della capacità di arrangiarci con l'ingegno, ma dove a queste non siamo evidentemente in grado di far corrispondere un giusto riconoscimento: #coglionisì, in tanti.

Ma i creativi contano per

davvero?

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Un Paese di coglioni #16 Riotvanim

magine: zerovideo.net/coglioneno

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C'erano un ukulele, un teatro, un ingegnere elettronico e un aspirante archeologo. Se fosse una barzelletta, questa storia comincerebbe così. Ma non lo è: è una vera storia di artigianato del XXI Secolo, che ha a che fare con Firenze, con la stampa tridimensionale e con un ingegnere e suo fratello studente di archeologia. Mettendo insieme schede elettroniche, motori elettrici e tanta fantasia, hanno creato quasi dal niente un business vero e proprio, che si chiama Kentstrapper e che realizza stampanti 3D artigianali. Nel laboratorio di Via Del Pollaiolo nascono pezzi di hardware che realizzano oggetti come l'ukulele che ha suonato al Verdi durante “La Repubblica delle idee” 2013.

L'idea, in quanto tale, è piuttosto semplice: un filo di plastica viene fuso da una testina che, spostandosi nello spazio, costruisce virtualmente qualsiasi cosa; più l'oggetto è dettagliato, più la sua superficie è liscia, più ci vuole tempo. Per gli oggetti più complessi, ci vogliono anche giorni, a volte. E anche il costo di esercizio non è dei più accessibili. Kenstrapper,

quando fa servizio di copisteria, chiede circa 9 euro l'ora: un giornalista, di questi tempi costa molto meno. Però, questo sistema di produzione sta attirando designer e progettisti che vogliono vedere i propri modelli non solo sugli schermi di un computer.“Abbiamo cominciato quando eravamo poco più che bambini” racconta Luciano Cantini, la mente tecnica dei due fratelli, “smontando e assemblando tutto ciò che poteva essere elettronico e che trovavamo in casa. Una tra le nostre prime realizzazioni è stato

un pantografo fatto col lego, un paio di motori elettrici trovati in qualche elettrodomestico da buttare e un pennarello. Non era proprio lo specchio della precisione,

ma qualcosa siamo riusciti a stampare. Dopo, con l'esperienza, abbiamo sostituito una fresa al pennarello e, così, abbiamo creato i primi oggetti”.

Dalla fresa alla stampa 3D non c'è voluto molto: l'adesione alla community nata intorno ad un brevetto scaduto nel 2005 proprio sulla stampa tridimensionale. Dopo, è nato un progetto open-

Stampa #pt1 Kent Strapper 3D

'Siamo a Firenze, l’artigianato è pur

sempre di casa'

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testi di Francesco Piccinellifotografie di Niccolò Seccafieno

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source che si chiama “Rep-Rap”. “Ci siamo interessati” racconta Luciano “ma non sapevamo da che parte cominciare. Abbiamo fatto una ricerca e abbiamo scoperto uno studente polacco che aveva assemblato una stampa 3D che seguiva questo metodo”. E' bastato andare a Bologna da quello studente polacco e il gioco è stato fatto.La macchina ha chiesto qualche mese di perfezionamento, ma alla prima uscita alla Fiera dell'Artigianato, nello stand del babbo (che, per altro, installa sistemi per il risparmio energetico), la folla era tutta per il loro progetto. Esteticamente non era un granché, ma funzionava. L'ukulele stampato e suonato sul palco del Verdi è stato concepito con la seconda generazione di stampanti. I fratelli Cantini sono andati avanti. “Stanno per rientrare come collaboratori degli stagisti”, racconta Luciano “e in più, grazie a questo progetto, lavorano una trentina di persone”.

Oggi le loro stampanti sono dei piccoli oggetti di design. Quelli che, all'apparenza, sono dei cavalletti di legno, sono in realtà piccoli gioielli che, nonostante la dimensione artigianale dell'impresa, stanno acquisendo una solida reputazione. “Ricordo ancora”, racconta Luciano, “quando Chris Anderson ci fece i complimenti perché il nostro prototipo era più veloce dei modelli industriali che lui aveva visto negli Stati Uniti”.

Tuttavia, la piccola dimensione non spaventa i fratelli Cantini. “Ovviamente” racconta Luciano “il mercato in Italia è quello che è, ovviamente, l'innovazione qua non è di casa. “Tuttavia”, conclude, “siamo pur sempre a Firenze e l'artigianato, la cura del dettaglio e la passione anche per l'estetica dei prodotti, dalle nostre parti, sono di casa”.

Cosa serve per creare una startup? Un ukulele, uno studente di archeologia, un ingegnere e una stampante 3D fatta nel garage di casa.

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è un po’ una corsa all’oro la sfida che Giuseppe e Francesco hanno intrapreso. In questo campo, ognuno ha i suoi metodi, che condivide o tiene per sè, ognuno scava dove ritiene giusto. Individui singoli contro enormi federazioni, in un territorio moderatamente vergine. No, G e F non sono dei pionieri del West che cercano, visti i tempi, silicio. Sono due ragazzi di 26 e 27 anni che hanno intuito l’importanza della stampa 3d e ci si sono buttati a capofitto. G, di origine molisana, si è laureato in Media & Giornalismo a Firenze, ma visti i pochi sbocchi occupazionali e la crisi incalzante, ha impiantato la copisteria, attività di famiglia, da Campobasso a Firenze. Ed è qui, tra plotter e stampanti convenzionali, che ha installato un 3d lab, dove ad ora operano tre stampanti. Tutto questo non sarebbe stato possibile senza F, web developer appassionatissimo, uno che passa da un progetto all’altro come fossero M&M’s. Insieme hanno comprato la loro prima stampante da Kentstrapper, chiaramente da assemblare, per risparmiare ma anche per capire come funziona una stampante 3d a Deposizione di Filamento Fuso, che realizza l’oggetto scelto aggiungendo strato su strato il materiale di stampa. Ed è qui che entra in gioco la capacità di partenogenesi (termine preso momentaneamente in prestito dal mondo vegetale), ovvero di riprodursi da solo. Una stampante 3d è un’investimento, perchè con essa puoi fartene un’altra, venderla a tua volta, e ammortizzare i costi della prima.

I due nominano il loro progetto 3dmaking, ed iniziano a partecipare a concorsi, (dove vincono il premio Qualità e Tecnica di stampa alla Maker fair di Roma 2013). Il progetto è totalmente open source, ed è quindi tranquillamente replicabile se si hanno le competenze tecniche. Grazie all’open source i due hanno potuto apprendere le nozioni base, e così vale per tutti. La stampa 3d low cost ti porta ad usare l’adesivo di carta per tenere fermo il pezzo in stampa (che warpa, ovvero si scolla dal piatto dove viene creato) o la lacca spray e, risolutiva e per ora vincente, la colla stick. Possono sembrare solo complicazioni, ma nelle stampanti 3d i cui progetti vengono chiusi e secretati, se c'è un problema ti devi recare in un centro di assistenza, dove si è ancora lontani dalla migliore qualità dei servizi offerti. L'idea di G e F, condivisa da altri è quella di una rete di commercio locale, dove comperi la tua stampante dal rivenditore più vicino, e sarà lui ad offirti assistenza e ad insegnarti quello che ti serve. Sarebbe come se il tuo meccanico di fiducia producesse le auto a cui poi farà manutenzione e riparazione.

La gadgettistica è tra le principali applicazioni che G e F hanno dato alle loro stampanti 3d. Fare un portachiavi personalizzato per un negozio o un locale ha un costo totale molto inferiore a quelli della classica industria, perchè permette la realizzazione di un numero molto

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Stampa #pt2 3D Making 3Dtesti e fotografie di Niccolò Seccafieno

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basso di pezzi. Provate a a chiedere ad una ditta tradizionale di farvi 50 portachiavi in plastica, non vi prenderà nemmeno in cosiderazione (o ve li farà pagare una fortuna). Ma le opzioni sono tantissime, a partire dai ricambi per auto (quel pezzettino di plastica che la casa madre vi fa pagare quanto un vestito di Armani) alle applicazioni in campo medico. C’è anche chi vuole riuscire a stampare case in argilla (wasproject.it) con enormi stampanti da 10 metri cubi.

é entusiasmante vedere che i piccoli nuclei artigianali non soccombono nell'era della tecnologia ma, anzi, alimentano nuove fasce di mercato in fase di definizione ed esplorazione. Ed è entusiasmante vedere come, anche l'industria tradizionale, nella quale i diritti dei lavoratori oggi sono sempre più concetti astratti, dovrà confrontarsi con queste nuove realtà. Riuscirà l'open source a fare da contrappeso a certi modi di intendere lo sviluppo e il lavoro delle persone? Noi speriamo di sì.

Per info e dettagli: www.3dmaking.it

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Stampa 3D - pt2 #16 Riotvan

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Che parole vi vengono in mente se pensate al made in Italy? A me viene in mente qualità, ma un attimo dopo mi viene in mente perdita. Uno degli ultimi esempi è Poltrona Frau, che Montezemolo ha lasciato in mano agli americani. Purtroppo è così, la nostra qualità e il nostro sapere, una volta giunti al successo, vengono venduti a realtà potenti e, per di più, straniere. è il mercato e non ci si può far niente. Siete andati al cinema a vedere The Wolf of Wall Street di Martin Scorsese? A tratti noioso, ma la verità è lì dentro. Ci sono l'ambizione smisurata verso la ricchezza senza limite e l'onestà intellettuale che con intelligenza vive e sopravvive contro potenza e speculazione.Cosa fare allora? Lasciarsi trascinare nel vortice? No direi di no, anzi. Scommettere e rilanciare, valorizzare i nostri abili artigiani, le nostre piccole realtà che non si conoscono, ma sono presenti sul territorio e cercano ogni giorno di rimanere a galla. Noi di Riot Van li vediamo tutti i giorni camminando verso la sede in via Santa Reparata, questi piccoli laboratori artigiani. Li vediamo ma non li conosciamo. Giustamente i titolari sono dentro a lavorare e non hanno tempo di stare in piazza a promuovere il loro

lavoro. C'è qualcuno però che ha pensato a questo. Sono dei ragazzi di Pescara che hanno avuto una grande idea che ha preso il nome di “CO-HIVE”.

Cosa è Co-Hive? Quando vi è venuta in mente un'idea del genere?

CO-HIVE è una piattaforma dedicata agli artigiani, ai makers, ai crafters. È un modo per condividere lo spazio lavorativo e gli strumenti del mestiere, per minimizzare i costi e i rischi, ottimizzare i risultati, ma non solo, è anche scambio di competenze,

conoscenze e professionalità. Abbiamo iniziato a lavorare su questo progetto nel maggio del 2013, l’idea ci è saltata in mente perché molti dei nostri amici artigiani hanno l’esigenza di avere uno spazio dove creare le loro piccole produzioni ma non possono permetterselo, così abbiamo pensato che sarebbe stato bello se fosse esistita una piattaforma dove ogni artigiano potesse trovare

chi avesse esigenze complementari alle proprie. Abbiamo condiviso la nostra idea con i ragazzi di OperaViva, che hanno realizzato per noi l’infografica in cui è spiegato in sintesi il funzionamento della piattaforma (l’infografica è visibile sulla pagina web co-hive.com).

HIVE

'Vorremmo che CO-HIVE riuscisse a contribuire allo

sviluppo economico del territorio

italiano e delle sue eccellenze

artigiane'

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CO-HIVEmaking class

Coworking Artigianotesti di Francesco Guerrigrafica di Bau

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Sappiamo che il momento non è dei migliori. Una piccola azienda artigiana come puó farcela? CO-HIVE può aiutare in questo?

CO-HIVE permetterà l’incontro di professionalità e talenti, consentirà anche agli artigiani già operativi e strutturati di aprire le loro botteghe agli artigiani emergenti che si stanno avvicinando al mestiere o che già operano nell’ambito dei mestieri artigiani, ottimizzando quindi l’utilizzo delle attrezzature e degli spazi. Pensiamo che il miglior modo per uscire da questo momento difficile per tutti sia puntare sulla creatività. I piccoli artigiani italiani attraverso la rete possono ambire a mercati più ampi puntando sulla propria eccellenza e unicità di prodotto. Il cliente globale è attratto non solo dal prodotto italiano, ma soprattuto dalla cultura e dal sapere che l’ha generato.

Il Made in Italy è ancora marchio di qualità? Il Made in Italy è un vero e proprio marchio, il terzo al mondo per notorietà dopo Coca Cola e VISA. Il Made in Italy è di qualità quando è autentico. Il Made in Italy è un marchio di qualità perché è nella sapienza e nelle mani degli artigiani il vero valore aggiunto degli italiani, ciò che li distingue nel mondo e che fa grande l’Italia ovunque.

Con quale criterio scegliete gli artigiani dentro la piattaforma CO-HIVE? Secondo quali criteri viene scelta un'azienda e scartata un'altra?

CO-HIVE sarà una piattaforma aperta a tutti, chiunque potrà iscriversi e creare il suo profilo, non vi è alcuna limitazione o vincolo particolare, agli iscritti è chiesto solo di essere aperti alla condivisione e avere voglia di sviluppare le proprie idee, sogni e progetti insieme agli altri.

Quali sono i mestieri più in voga?I mestieri sono quelli tradizionali ma cambia l’approccio, ad esempio il giovane falegname non è più solo falegname ma è anche designer, unisce la formazione da designer a quella di bottega, utilizza i social network per comunicare, usa le nuove tecnologie della digital fabrication.

Immaginiamo che io sia un artigiano e voglia iscrivermi a CO-HIVE. Quale procedure devo seguire? Devo avere qualche caratteristica particolare, parlando dal punto di vista burocratico?

Chiunque ne abbia voglia potrà creare il suo profilo personale, contenente la descrizione della sua professione, le immagini dei progetti, ciò di cui hai bisogno come la superficie dello spazio di lavoro, la tipologia di attrezzatura di cui necessita, le

competenze ed esperienze che vorrebbe incontrare e condividere. Ovviamente è valido anche il contrario. Un artigiano con un’attività già operativa può condividere il suo spazio di lavoro e offrirlo agli altri

Offerta ma anche domanda. Sono un privato e mi serve un lavoro di qualità. Cerco un artigiano in grado di progettare la mia idea, cosa devo fare?

Su CO-HIVE anche un privato potrà scegliere di creare il suo profilo ed entrare in contatto diretto con artigiani e creativi che possano supportarlo nello sviluppo della sua idea.

Cosa vi servirebbe per poter proseguire il vostro progetto? Esprimete un desiderio.

Lo scorso 25 gennaio è terminata la campagna di crowdfunding, non abbiamo raggiunto il traguardo su Eppela, per cui c’è stato un piccolo rallentamento nello sviluppo, ma siamo subito ripartiti ricorrendo ai canali di finanziamento tradizionali, e così la versione Beta della piattaforma è già online. Anche se le risorse finanziarie non sono enormi, l’entusiasmo lo è, e come desiderio più grande vorremmo che CO-HIVE riuscisse a contribuire allo sviluppo economico del territorio italiano e delle sue eccellenze artigiane.

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CO-HIVE #16 Riotvan

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C'è una città, in Italia, che qualcuno ricorda per aver dato i natali a Segretari di Partito, Presidenti della Repubblica, artisti e ad un'ottima squadra di Basket.A dire il vero, ci sono tante altre città che possono vantare un curriculum simile, perciò, cos'ha di speciale questa? In fondo nulla, perché ogni città, in Italia, ha una storia degna di attenzione alle spalle. Ma se quando nomini Firenze, Roma, Venezia, Milano, Torino, Napoli, Palermo, e potrei continuare sino a riempire l'articolo, tutti sanno di cosa si parla, quando mi capita di nominare questa città, le persone in genere rispondono con un: “Ah... sì.” E non aggiungono altro, come se si aspettassero che stessimo parlando di chissà quale metropoli interessante, e invece “ah, sì, ho presente.” (l'ho studiata in geografia alle medie).Ma non li si può mica biasimare, e non siamo qui a metterli in croce per questo. Del resto questa città, negli ultimi anni, non è stata al centro dell'attenzione pubblica, se non per qualche evento, e se non segui la politica, o ancor più la pallacanestro, difficilmente entrerà nel tuo raggio di interesse.Però, quattro anni fa, in questa città è successo qualcosa di bello e vivo. Qualcosa che se fosse successo a Roma o Milano sarebbe normale routine, qui a Firenze anche, probabilmente, ma lì no. Lì è stato, ed è, qualcosa di diverso, qualcosa che la routine la spezza, qualcosa che mostra che i ragazzi non hanno tutti voglia di andar via o lamentarsi (spesso a ragione, bisogna ammetterlo, e basta guardare le statistiche di disoccupazione per farsi un idea), e che la città non è affatto triste, morta o noiosa, come spesso capita di sentir dire da chi ci vive.Veniamo al punto. Il 26 maggio del 2010, a Sassari, un gruppo di artisti locali decide di occupare lo stabile dell'ex questura cittadina (da poco trasferita in una sede più moderna) in segno di protesta, per lanciare un messaggio all'amministrazione comunale, con lo scopo di

ex-Q

Artigianato, arte e co-working, sono gli elementi base del progetto Ex-Q

“ rivendicare la mancanza di spazi condivisi per l'arte e la cultura in generale, in città” come mi dice Sara Bronzini, responsabile della comunicazione e rappresentante del collettivo Ex-Q, sorto dopo l'occupazione, con cui ho parlato per ricostruire la storia dell'associazione e le attività che si svolgono all'interno.

“L' Ex-Q nasce come un occupazione, evolutasi poi in un'Associazione Culturale registrata al tribunale, con un presidente e un organo di rappresentanza. Questo sulla carta, perché di fatto l'occupazione dello stabile ci mantiene ancora nell'illegalità.” Capire come ciò sia possibile è presto detto: “Il comune ci sostiene idealmente, ma ha poco potere per aiutarci, dato che la struttura è di proprietà della Provincia. Con quest'ultima abbiamo aperto un dialogo, e siamo ancora in trattativa. Noi speriamo in bene.”E non solo loro dovrebbero sperare in bene, aggiungerei, ma la città in sé, che, sebbene in parte, ancora guarda con diffidenza e pregiudizio “gli occupanti”, figura spesso carica di stereotipi difficili da mandar via. “Però siamo riusciti anche a creare uno zoccolo duro di sostenitori” aggiunge Sara con orgoglio, e dopo aver visto l'impegno posto dall'associazione per la raccolta di aiuti da spedire alle persone colpite dall'alluvione dello scorso novembre, c'è da essere ancora più orgogliosi.A porla in questo modo, sembra si stia parlando di un classico centro sociale sorto dall'occupazione di uno stabile pubblico, ma in realtà non è proprio così. “Abbiamo in comune il fatto di essere autogestiti, ma le finalità dei progetti sono differenti [si riferisce a un altro centro sociale della zona, il Pangea, n.d.r.]. Noi cerchiamo di promuovere arte e cultura dal basso, senza nessun vincolo, sia esso burocratico o tematico, e non ci limitiamo solo a questo. Abbiamo collaborato col teatro Valle occupato di Roma e col Sale Docks di Venezia. Nella struttura convivono vari laboratori di arti visive, artigianali ed

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Intanto altrove... EX-Qmaking class

Intanto altrove...

testi di Salvatore Cherchifotografie concessione di EX-Q

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editoriali, e tanto altro, come le “residenze artistiche”, stanze utili a fornire un alloggio agli artisti che vengono qui da noi e che hanno lo scopo di potenziare lo scambio culturale tra le varie realtà come la nostra, e di fornire anche un servizio, per esempio ci è capitato di ospitare studenti dell'Accademia di Belle Arti.”

In pochi anni, la struttura che un tempo ospitava gli uffici della questura, con la nuova gestione cambia destinazione d'uso: da uffici burocratici a laboratori per pittori, liutai, fotografi e videomaker, spazi adibiti al cucito creativo e alla produzione di saponi, e ancora giocattoli musicali, tavole da surf e laboratori per lavorare il legno. “Diciamo che non sono mai stabili, variano nel tempo, perché le persone che ci lavorano non stanno qui in eterno.”Cerchiamo allora di capire come tutto ciò, all'insegna dell'autogestione (e dell'autofinanziamento), possa funzionare, a partire dalla strumentazione che, come chiarisce Sara, “è di proprietà di chi gestisce o usufruisce dei laboratori. Noi forniamo gli spazi e il supporto, poi ognuno si autogestisce.”Ovviamente, per usufruire di tali spazi, non basta arrivare da casa con la strumentazione appresso. Servono anche idee, un progetto da presentare al

direttivo dell'Ex-Q, che lo valuta e “se coincide con le esigenze dell'associazione, se vi sono spazi disponibili e soldi per finanziarlo, viene approvato. Inoltre abbiamo anche un manifesto etico, e chi vuole usufruire degli spazi deve rispettarlo.”Una volta avviati, i laboratori, hanno una finalità comune, che viene condivisa da tutti i partecipanti, e la produzione non rimane confinata nell'edificio, bensì “tutti i ragazzi e le ragazze che producono qui i loro prodotti, poi li portano all'esterno, o per venderli, o per organizzare mostre, a seconda di cosa fanno, quindi in un modo o nell'altro si legano al territorio, non è una cosa fine a se stessa.”

E se non siete degli artigiani o degli artisti, o se al momento non avete idee da proporre al direttivo dell'Ex-Q, non c'è motivo di sentirsi esclusi da una realtà come questa, infatti all'interno della sede vengono organizzate serate musicali, mostre e proiezioni e, di tanto in tanto, corsi, workshop e seminari, perché “uno dei modi per rivalutare uno spazio pubblico caduto in disuso è quello di renderlo utile, non solo per i proprio scopi, ma, principalmente, per quelli della comunità”, e l'arte, l'artigianato, la musica e la didattica “sono degli ottimi modi per far avvicinare e coinvolgere le persone.”

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Intanto altrove... EX-Q #16 Riotvan

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ArtiGianomaking class

illustrazione di FrenoPerSciacalli

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Prima ha scelto i costumi e progettato le sceneggiature di importanti film italiani e tedeschi, dopo si è messo a fare una cosa che in Italia la fa solo lui (dice) e che a chi bazzica Firenze suonerà familiare. Avete presente le cabine per foto tessere in bianco e nero? Matteo Sani a quarant'anni si è reinventato così. Qualcuno alla sua età smette di fumare, qualcuno si suicida. Altri, semplicemente, cominciano una nuova vita. Matteo è stato fortunato, perché a quanto ci è dato intuire ha avuto la possibilità di scegliere. Ha lavorato con Marco Tullio Giordana ne La meglio Gioventù e con Paolo Sorrentino ne L'amico di famiglia (nel quale, oltre il costumista, ha fatto anche la parte del becchino). Poi, dopo una lunga esperienza in Germania, ha cominciato la sua nuova attività. Ha speso un anno intero in giro per l'Europa dell'est a comprare le cabine (naturalmente analogiche) e un altro ancora a mettere a posto la prima, che oggi funziona regolarmente in via dell'Agnolo a Firenze. A oggi ne possiede 35 – cinque delle quali attve – e non pensa che in circolazione ve ne siano molte altre. In alcune di esse ha ritrovato vecchi scatti realizzati come prove

C'era una volta l'estQuando gli autoscatti tornarono in bianco e nero

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C'era una volta l'est #16 Riotvan

testi di Andrea Lattanzifotografie concessione di Matteo Sani

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dai precedenti tecnici degli anni Settanta e Ottanta. Volti ora corrucciati ora allegri di vecchi tecnici socialisti che annotavano sul retro le date dei controlli. Venivano da Tallin, Bratislava, Belgrado e, ci spiega, «la loro tecnologia era basata su un'elettromeccanica molto semplice, affidabile, che ha il grande vantaggio di poter essere riparata senza essere sostituita». Robe da ritorno al passato. La sua “collezione privata” si compone anche di quegli scatti che, per un motivo o per un altro, non escono dalla macchinetta. «Alle volte può capitare che si inceppi», ma su ogni cabina «ci sono i miei recapiti per farsela restituire» - rassicura. Nelle fototessere smarrite c'è un po' di tutto, dalle foto di gruppo, a signore seriose, ai classici culi scoperti a braghe calate.A Matteo, infine, piacerebbe trovare qualcuno che lo aiutasse in quest'avventura perché la possibilità di distribuire le cabine su un circuito più ampio o internazionale sarebbe chiaramente stimolante. Il problema non starebbe tanto nel lavoro in sé, pur considerevole, quanto nella manutenzione delle macchine. Maggiore è la distanza da Pelago (il suo laboratorio sta nella frazione di Paterno) maggiori sono i tempi e le risorse impiegate per intervenire. I quattro autoscatti che le sue cabine ci consegnano hanno la particolarità di farci tornare indietro nel tempo a quando di foto se ne facevano poche. Entrare nella cabina come azione intenzionale, vedendosi restituito un oggetto materiale, restituisce un senso della fotografia ormai sequestrato da funzioni burocratiche (foto per documenti) «e a carattere bulimico, come può accadere quando si usa un cellulare». Malgrado ci si possa sentire pieni fino alle tasche di fotografie, nel portafogli di ognuno di noi ci sarà sempre lo spazio per una fototessera che meriti di essere ricordata. (Nota bene: la parola “vintage” è stata volutamente omessa da questo articolo).

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C'era una volta l'estmaking class

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“Signor Chiari le abbiamo perso un violoncello, è un problema?”, a molti basterebbe questa citazione per ricordarsi di Fabio Chiari, liutaio, che con il solo video dal suddetto titolo ha raggiunto ad oggi più di 200 000 visualizzazioni su YouTube, per via della sua non certo tranquilla reazione alla notizia, passando così alla storia come “il liutaio che bestemmia”. Ma quanti sanno anche che il signor “Fabio Chiari liutaio”, questo il nome del suo canale su YouTube, esercita questa professione da più di 20 anni, che vende i suoi strumenti in Giappone e in Taiwan, e che quest’anno aprirà, insieme ai suoi collaboratori, una scuola di liuteria toscana? Per non parlare poi delle altre sue “imprese” non note al grande pubblico: il brevetto della “Modifica Theta”, registrato da lui e Lapo Androsoni, che ha ufficializzato la prima modifica nella costruzione di un violino dopo 300 anni di stallo, oppure la sua ricostruzione di una lira di Leonardo Da Vinci. Tra un moccolo ed un’imprecazione, ha aperto il suo laboratorio a Riot Van, raccontandoci questo e altro.

Si potrebbe sintetizzare in poche parole la “formula-Chiari” per la costruzione dei violini?

Ogni violino deve essere differente dall’altro. Se li fai tutti uguali tanto vale che tu li faccia fare a qualcun altro. Sennò potrei fare come fanno gli altri: li faccio fare in Cina, me li mandano a 100 dollari l’uno, ci metto il nome mio e li rivendo. Io sono del parere che i miei strumenti saranno riconoscibili in futuro, perché ho usato legni classici, tagliati a mano e belli. Rivedo i miei strumenti di rado, ma quando mi mandano delle fotografie devo dire che rimango soddisfatto. Tutti quelli che li hanno provati mi dicono che hanno anche un’ottima qualità sonora. Un mio “difetto”, anche se io non lo ritengo tale, è la cura non eccessiva che dedico all’estetica degli strumenti. Ad esempio io dipingo a pennello ma poi non liscio

eccessivamente gli strumenti, perché per me quello che conta è il suono, non la superficie a specchio, che neanche i violini classici avevano.

La scuola di liuteria. Quando è nata questa idea? L’idea mi è venuta vent’anni fa, quando ho cominciato a fare il liutaio. Io sono stato molto fortunato, avevo un altro lavoro ed è venuto da me il mio maestro, Paolo Vettori, a chiedermi di fare delle prove da lui, nel suo laboratorio. Di solito sono gli aspiranti allievi che vanno alle botteghe e chiedono di essere ammessi. Insegnare un mestiere a scuola è impossibile da un punto di vista pratico, perché il tassello fondamentale nell’apprendimento è guardare il maestro mentre lavora e “rubare” con gli occhi. Certe cose non si possono spiegare a voce, ce ne siamo accorti realizzando il libro di testo. La nostra sarà una scuola di bottega, dove il maestro lavora, gli allievi guardano e poi replicano a casa. Ci saranno anche momenti di lavoro insieme ma non dimentichiamo che il lavoro di liutaio è individuale, non corale.

La scuola di liuteria è intitolata a Fernando Ferroni. Come mai questa scelta?

Fernando Ferroni era un po' una testa matta, un uomo molto aitante e con un caratteraccio e sembra strano che facesse il liutaio, perché il nostro è un lavoro di precisione: si tratta pur sempre di lavorare legno di due mm e mezzo di spessore. Noi l'abbiamo preso come riprova perché è Fiorentino al 100%, e poi perché era uno sperimentatore, ha cominciato a usare il pioppo, a cambiare il tipo di incollaggio delle tavole. Nell'Hamma, l'enciclopedia della liuteria, Fernando Ferroni è insieme a Stradivari.

Ma come si diventa “Maestri Liutai”?Io ho fatto come nel Medioevo: sono entrato in una bottega e dopo l’apprendistato ho fatto il mio capolavoro, l'ho portato ad un'associazione di liutai italiani e sono stato ammesso, diventando quindi maestro Liutaio a tutti gli effetti. Le alternative sono due: la scuola oppure

Fabio Chiaril’uomo che bestemmiava ai violini

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Fabio Chiari #16 Riotvan

testi di Mattia Rutilensifotografie di Giacomo Gandossi

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la strada da autodidatta, ma quello che apprendi in una scuola di liuteria in 2 anni, da autodidatta lo apprendi in 15, perché non hai nessuno che ti mostri gli errori.

In che modo la vostra scuola gestirà il rapporto tra tradizione ed innovazione?

La nostra scuola si rifarà al passato insegnando però anche l’attitudine all’innovazione e alla sperimentazione. Insegneremo l’uso dell’acero campestre, come materiale, al posto dell’acero di monte, che è prediletto dal circuito commerciale ma non corrisponde all’utilizzo dei classici. Vogliamo riportare la scuola toscana agli antichi fasti del suo capostipite Leonardo Da Vinci e dei suoi protagonisti, come Antonio Gragnani di Livorno. Nella scuola continueremo la nostra ricerca di una resina di cui abbiamo trovato descrizione in un trattato del settecento e che potrebbe identificarsi con la mitica “resina perduta di Stradivari”. Inoltre vogliamo raccogliere tutto il patrimonio della liuteria toscana. L’obbiettivo è riportare la scuola toscana famosa nel mondo e ad ottobre andremo alla fiera di Shangai per far vedere il lavoro dei maestri. Se volessimo citare un famoso musicista che ha acquistato i tuoi strumenti…Io ho il più grande di tutti che suona il mio violino: Nicolae Tudor, che è un Premio Paganini (vinto nel 1980, ndr). Lui suona con un mio violino, il primo fatto con la modifica Theta (che consiste in un posizionamento di una stecca trasversale di abete nella cassa armonica del violino, ndr ), e ha detto pubblicamente che è uno dei migliori violini che abbia mai sentito suonare.

E nel mercato italiano, non vendi niente?L'italia è ferma, io per vendere ho contatti commerciali con il Giappone, Taiwan e ora proveremo ad andare in Cina. In Italia se vuoi vendere un violino devi pagare una tangente, funziona così da sempre. C’è un sistema di corruzione ormai generalizzato a tutti i livelli. Invece all'estero le cose vanno diversamente: se lo strumento piace lo comprano

altrimenti lo riportano. Non che lì sia assente la disonestà, anche loro vogliono la percentuale, però partono dal presupposto che lo strumento deve valere. Invece qui si parte dal presupposto che più paghi più riesci a vendere. Il giro di falsi poi è pazzesco, il 90% degli strumenti in giro sono falsi, realizzati da maestri liutai specializzati in falsi.Ma un liutaio deve avere anche un orecchio assoluto?No, non è importante. Avere l’orecchio assoluto è ottimo per le accordature dei pianoforti e degli organi ma per quanto riguarda la liuteria il giudizio finale spetta al musicista. E tra i musicisti quasi nessuno ha l’orecchio assoluto.

Sono vent’anni che fai questo lavoro, come è, se è, cambiata la tua giornata tipo in questi anni?

Io ho una grande fortuna, scelgo io di lavorare quando mi pare. Ad esempio, a volte la mattina presto arrivo appoggio la sgorbia (uno degli strumenti di lavoro ndr) e magari sbaglio qualcosa. Allora lascio ogni cosa lì, vado via a fare altro e torno il pomeriggio. Poi ci sono anche dei momenti in cui ho l’urgenza di fare un particolare e devo lavorare anche la sera dopo cena, o l’ultimo dell’anno. Però tendenzialmente ho possibilità di scelta e faccio quello che voglio: mi piace il mio lavoro, questa non è una cosa da poco.

Parliamo di una delle cose che ti ha reso famoso, i video su youtube…

L’idea dei video è di Andrea Landi, un mio allievo, che ora fa altro, è musicista con i Train De Vie. Cominciammo a farli e mi hanno permesso di scavalcare la lobby che chiude tutto. Perché con quelli mi sono presentato al mondo e il mondo si è accorto che c’è un liutaio che bestemmia, passerò alla storia per questo.

Sì perchè il primo approccio è quello…Perché poi la gente si ferma alle cose più inutili. Se guardi i filmati, sono più di 400, si parla di liuteria, storia, politica, filosofia, c’è di tutto.

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Fabio Chiarimaking class

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A pensarci bene non sono poi molti quelli che da ragazzi non hanno preso una fittonata per un videogioco. E tanti sono quelli che ci sono rimasti sotto con il rock n’roll e con le sudatacce in sala prove. A dire il vero c’è anche chi, a ben pensarci, c’è ancora totalmente dentro: sono adolescenze dilatate, le nostre. Ma inoltrandosi nella rete di conoscenze e amici non è semplicissimo trovarne uno che si sia ammalato, allo stesso tempo, degli spippolamenti elettronici e della musica. Tommaso Rosati – in arte “Tomme” - è uno di loro, ma ha fatto di più: ha preso le due passioni e le ha unite.Pratese, classe ’83, dice di aver iniziato tardi con la musica: “intorno ai 16 anni. Mio fratello suonava con la band. Mi son trovato gli strumenti in casa ed ho iniziato anche io con la batteria”. Coi computer aveva iniziato pochi anni prima, quando internet veloce era ancora il futuro e usare quotidianamente un calcolatore non era cosa di tutti i giorni. Tommaso andava a trovare il babbo al lavoro, smanettava da lì.Prima che le due storie si intreccino di tempo ne dovrà passare: Tomme inizia a studiare batteria, tenta la via universitaria segnandosi a Medicina. Abbandona gli studi e segue la musica: triennio di batteria jazz al Conservatorio di Livorno, poi il biennio di musica elettronica al Cherubini di Firenze. “Ed è stato proprio a Livorno che ho capito che quello che mi interessava era il rapporto tra musica e tecnologia”.Nel 2009, racconta Tommaso, comincia a modificare “i giochini”. Piccoli giocattolini elettronici, presi a due lire da magazzini che aspettavano solo di disfarsene. “Tornavo a casa la sera, li smontavo, saldavo, provavo i suonini. Mi rilassava”. Benvenuti nel mondo

Altro che Guitar HeroTommaso Rosati e gli strumenti aumentati

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Altro che Guitar Hero #16 Riotvan

testi di Daniele Pasquinifotografie di Anita Scianò

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del circuit-bending. La svolta vera arriverà però poco dopo, con l’ingresso nel magico mondo di Arduino: un hardware open-source, facilmente utilizzabile anche da non professionisti, perfetto per hobby e sperimentazioni. Tommaso arriva così, dopo qualche tentativo, a realizzare i primi controller, sensori di prossimità, di luce e di movimento. Il suo primo strumento aumentato è una kalimba, quello strano apparecchio africano, fatto di legno, pieno di listarelle da pizzicare. Poi va avanti, modifica una chitarra, un santur, un rhodes. Ma cos’è di preciso uno strumento aumentato? “Non è qualcosa di altro, non è uno strumento totalmente elettronico. Crei nuovi suoni col movimento, con la posizione del corpo ad esempio.”Anziché attivare switch e controller esterni, i sensori montati sullo strumento (ne esistono di vario tipo) riconoscono qualcosa in più. Per farla semplice: immaginate Hendrix che fa girare la chitarra, si piega, la fa andare su e giù. I sensori trasformano tutto questo in un suono nuovo. “Ho appena consegnato una chitarra elettrica aumentata a Riccardo Onori, il chitarrista di Jovanotti. E adesso sto lavorando con un saxofonista”.Tutto più che affascinante: ma se avete letto fin qua una domanda pronta ce l’avete. Sperimentare e creare strumenti aumentati è un lavoro? La risposta è più un no che un sì, ma una motivazione c’è.“Si tratta di prototipi, che rimarranno tali. La mia idea è quella di richiamare attenzione sulle possibilità. L’elettronica non è per forza qualcosa di freddo, l’esperienza mi insegna che la musica e la tecnologia si possono incontrare naturalmente”.Insisto. Perché una cosa del genere, mi viene da pensare,

andrebbe commercializzata, industrializzata. “A me piacerebbe che i musicisti venissero da me a provare e sperimentare e ricercare. Vorrei poter customizzare l’esperienza. Non mi interessa la produzione seriale.”Un’affermazione che potrebbe stare bene sotto la voce “umiltà” o sotto quella di “spreco di creatività”. Ma non è né l’una né l’altra cosa, anche perché per Tomme la prospettiva è un’altra. “Creare strumenti aumentati non porta solo a smontare e rimontare chitarre e a trovare nuovi suoni. Porta alla nascita di nuove gestualità”. E mentre porta avanti i suoi progetti musicali, tra colonne sonore e dischi (ne ha già realizzati tre), Tommaso continua a produrre, anzi a sperimentare,

dritto sulla sua strada: il debutto dei suoi strumenti è stato lo scorso 25 febbraio in conservatorio a Firenze, come tesi finale. Sta mettendo a punto anche un controller generico, da poter utilizzare con strumenti di grandi dimensioni tipo un

pianoforte. E poi andrà avanti a suonare e smontare e provare. “Non voglio fare l’azienda, non mi interessa neppure lavorare sul confine tra il pop ed il contemporaneo, credo tutto ciò si possa fondere e incontrare. Questa è la mia estetica.”E insomma, se lo dice uno che aumenta gli strumenti dopo esser partito dai giochini ed essersi inventato batterista, non c’è che da fidarsi.

Tommaso Rosati, pratese, 31 anni, realizza “strumenti aumentati”. è compositore e batterista, sviluppa software musicali, fa circuit bending, incide dischi, suona in giro. Il suo sito è tomme.altervista.org

'Credo tutto ciò si possa fondere e

incontrare. Questa è la mia estetica'

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Altro che Guitar Heromaking class

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Sono moltissime le cose che si possono fare con una zucchina: risotti e sformati, contorni di ogni tipo. Oltre, naturalmente, a quella cosa a cui tutti voi avete pensato leggendo il titolo.Ma oltre a queste pratiche più o meno nobili, ve n’è una a cui solitamente non si fa menzione: facciamo riferimento all’antica arte dell’intaglio. L’usanza di scolpire il cibo, ed in particolare frutta e verdura, pare risalga al quattordicesimo secolo. In Thailandia, o forse in Cina. Sicuramente in oriente. In Giappone – quelli son sempre stati bravi a far questo genere di cose - l’intaglio vegetale si chiamava Mukimono e consisteva nel lavorare le foglie per decorare i piatti. Tutto ciò, comunque, ci interesserebbe se si trattasse soltanto di Storia. Anche perché melanzane e peperoni finemente lavorati non sarebbero buoni per stare nei musei. E invece, per voi tutti che amate le storie liete, c’è una buona notizia: l’arte dell’intaglio vegetale è tutt’ora in voga, e tira pure un sacco. Ci sono schiere di cuochi sparsi per il mondo che dedicano la propria vita alle decorazioni di frutta e verdura. Armati di coltellini ganzissimi affrontano il più piccolo dei ravanelli con una decisione che voialtri, piangenti di fronte ad una cipolla, non potete immaginare.E dove c’è maestria, solitamente, finisce anche per esserci la competizione: difatti (sempre per gli amanti

delle belle cose) esistono campionati nazionali, ma anche continentali e addirittura mondiali. Solitamente in questi tornei ci sono i thailandesi che spaccano il culo a tutti: son talmente bravi che l’intaglio thai è da sempre la decorazione vegetale per eccellenza. E fanno tutto con un coltellino solo, lo stiletto thai.Ma anche gli Italiani sanno il fatto loro, pensate che lo scorso 27 dicembre a Basilea a laurearsi campione mondiale è stato il calabrese Daniele Barresi. E a farsi valere comunque c’è anche Silvestro D’Andrea, cuoco fiorentino, diplomatosi al Buontalenti. Secondo agli ultimi campionati italiani, anche lui ha portato alto il tricolore a Basilea. Una vita tra i fornelli, una passione ereditata dal padre, una persona tutta creatività e pazienza. Collabora con ristoranti ed agriturismi della provincia anche se il suo vero lavoro è a Diacceto, nel comune di Pelago. Là ci sta un centro di assistenza per disabili: lui cucina per loro e crea dei piatti che per davvero è un dispiacere mangiarli.

Ma esattamente cosa si scolpisce nella frutta? Principalmente fiori. Anzi, direi quasi esclusivamente fiori. Va detto che son belli, certo, ma forse da questo punto di vista i sette secoli di storia dell’intaglio vegetale non hanno visto grosse svolte creative. Un

ovvero l’arte dell’intaglio vegetale

Tutte le cose che puoi fare con una zucchina

testi di Domizia Papini

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Tutte le cose che puoi fare con una zucchina #16 Riotvan

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Con la tecnica dell’intaglio vegetale si possono costruire anche strumenti musicali. A farlo, da anni, c’è la Vegetable Orchestra, una band austriaca attiva dal 1998 che coi prodotti della terra realizza flauti, percussioni e altri congegni con cui poi si esibiscono in concerto. Il genere che ne esce è difficilmente catalogabile, ma la

musica interessa davvero a pochi. La cosa che piace di più è che a fine serata cucinano il tutto e servono una zuppa agli spettatori. Sappiate che sono passati anche a Firenze, il 30 aprile 2010, per la Notte Bianca. Se ve li siete persi dovete solo mettervi a intagliare cipolle e piangere in silenzio.

CuriOSità:

altro limite, non da poco, è quello della caducità delle opere: posta in questi termini sembra una questione profonda e intima, in realtà è tutta una faccenda di annerimenti e marciumi, di sedani che si afflosciano e di pesche che si sgonfiano. Gli chef intagliatori durante i contest spruzzano lacche speciali per far brillare le composizioni e conservare meglio la frutta intagliata. Scattano sei milioni di fotografie per documentare le creazioni e poi nulla, muore tutto. Perciò ecco, per voi amanti delle belle storie: valutate bene se la miglior cosa da fare con un grosso cetriolo sia proprio intagliarci un tulipano e non prepararci, invece, una bella insalata. Oppure anche altro.

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Le scarse notizie che abbiamo sulla vita di Gianluca L. nel periodo in cui ultimò le correzioni di Buffoni di Morte – romanzo da cui è tratto Palle scassate, esordio del regista calabrese trapiantato a Roma Elio Bruno – le abbiamo raccolte intervistando alcuni degli scrittori del Caffè Notte che, in quei miti giorni di metà gennaio, l'incontrarono spesso ed ebbero modo di parlare a lungo con lui. Come sappiamo dall'unica biografia autorizzata, Il mio nome è rinuncia, scritta da sua sorella e pubblicata quattro anni fa in occasione del decennale della sua scomparsa dalle scene pubbliche, l'autore considerava Buffoni di Morte la sua opera prima. Tutto quanto aveva scritto in precedenza, diceva, era da considerarsi osceno, noioso e illeggibile. Interpellato sulla questione, scrive la sorella, Gianluca L., che da ora chiameremo GL, rispondeva con un laconico “era solo palestra!”.I fondatori del metodo SIC furono tra i primi a realizzare che GL aveva scritto qualcosa di importante. Secondo quanto ci è stato raccontato da Gregorio Magini, quando GL consegnò a Vanni Santoni la stesura appena ultimata (precedente alla versione andata in stampa che conosciamo, nda), gli disse “Ecco il mio primo romanzo”. Santoni gli rise in faccia e rispose “non dire cazzate”.Lo scrittore di Montevarchi mostrava un'espressione sorpresa e compiaciuta man mano che i paragrafi venivano setacciati dai suoi occhi. “Però! Ma hai rilavorato sul prologo?” gli chiese voltando la prima pagina. GL annuì a mezza voce. Poco dopo Santoni aggiunse: “è incredibile lo stacco rispetto alla tua

prosa precedente”. Quindi, a metà del primo capitolo, dopo aver sbirciato l'indice in fondo al manoscritto, domandò beffardo: “Ma l'hai scritto te? Non è che l'hai rubato a qualcuno?”.Alla domanda GL rispose con un secco e affettuoso “Ma vafanculo a soreta”. Magini, intento a scrivere sul taccuino e taciturno fino a quel momento, alzò il capo e guardando GL disse “è il più gran complimento che ti poteva fare...”, poscia si rivolse al socio e domandò “Davvero è così bello?”. E Santoni: “Se tiene questo ritmo per tutto il romanzo, spacca”.Secondo quanto scrive la sorella, GL era rientrato a Firenze, a soli due giorni dalla partenza per Roma, per sciacquare i panni in Arno. A quanto invece riferisce Gabriele Merlini, il motivo per cui GL era ritornato nella città del giglio era “la fiha”.Merlini racconta che quel martedì sera, davanti al Caffè Notte, GL fu la prima persona che vide. Non appena gli fu vicino, GL disse che era triste perché “voleva fare all'amore con Vera”. Eppure, secondo Merlini, GL non sembrava turbato come diceva di essere, tanto che, mentre gli raccontava di Vera, si disse felice per aver mangiato – un lusso per lui, abituato in quel periodo a tirare avanti con un pasto scarso al giorno – antipasto, primo e secondo, più un bicchiere di rosso, e senza spendere un euro. Alla fine del resoconto, riporta Merlini, GL pronunciò la massima: quando si esce con una ragazza è meglio mangiare gratis e non scopare piuttosto che scopare e dover pagare la cena.Anche secondo Simone Lisi, di cui il GL era stato spesso ospite nella sua dimora in piazza Santo Spirito, a due

Psilocybea colazione Caffè Notte, Firenze

25 febbraio 2028

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Psilocybe a colazione #16 Riotvan

testi di Gianluca Liguorigrafica di Bau

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passi dal Caffè Notte, l'autore di Buffoni di Morte era a Firenze apposta per rivedere Vera. Grazie a quanto ci svela il Lisi, GL e Vera si erano conosciuti il venerdì antecedente la partenza per Roma, davanti alla Chiesa di Santa Margherita in Santa Maria de' Ricci, dove entrambi erano entrati attratti dal concerto d'organo che aveva luogo all'interno. Pare che GL avesse visto in quell'incontro il prologo per un romanzo a venire e si diceva ansioso di vivere e scrivere i successivi capitoli. Sebbene questa tesi sia ignorata ne Il mio nome è rinuncia, nello stesso la sorella scrive che GL più che delle donne in sé, si innamorava dei potenziali romanzi che leggeva negli incontri galanti: nelle storie d'amore Gianluca era fissato con il caso e le coincidenze, le metafore e la tenuta narrativa degli eventi.Secondo Lisi e Merlini, GL vedeva nell'americana la donna della sua vita, o perlomeno la musa per un capolavoro. Vera era di Seattle: senza fissa dimora come GL al tempo, era pittrice e astrologa, anche se la maggior parte dei soldi per campare li ricavava dal lavoro come modella di nudo per un pittore. “Aveva la casa nella borsa” diceva GL, per ripeterlo anche nella lingua di lei, “the house in a bag”, e raccontava che le aveva proposto di trasferirsi nella sua macchina – che lui considerava la sua casa – con tutta la sua casa-borsa, ma lei aveva riso senza cogliere la serietà delle intenzioni. Questi elementi, come riscontreranno i lettori più attenti, danno a credere che sull'immagine di Vera Ross GL abbia modellato il personaggio di Anne Flanders dell'omonimo racconto.All'epoca dei fatti GL viveva alla stregua di un vagabondo: dopo le vicende che lo colpirono nel 2013, narrate nel romanzo autobiografico Un anno terribile, era ritornato a vivere a casa della madre, dove però non resisteva più di tre settimane, indi per cui ripartiva, spesso senza mete precise. Da quando era rimasto senza soldi e lavoro, GL si vedeva ogni giorno costretto a escogitare modi e metodi per provvedere alle necessità. Dopo aver imparato a fare la spesa senza soldi, risolse il problema del carburante con la scoperta del car-sharing.Come ha confermato anche Daniele Pasquini, GL si prodigò nell'elogiare – sosteneva inoltre che fosse “una buona maniera di trovare nuovi lettori” – le meraviglie di Blablacar. Raccontò di aver caricato a bordo una coppia di punkabbestia che gli avevano offerto ospitalità qualora fosse passato per Madrid. GL gli chiese se conoscessero il suo amico scrittore Simone Rossi.

“Di sicuro lo avrete incontrato che suonava da qualche parte. È un musicista di strada, suona l'ukulele” disse loro, al che la ragazza chiese cosa fosse un ukulele. “è una specie di chitarra, ma più piccola, con quattro corde” le spiegò mentre mimava di suonarlo per darle l'idea della misura approssimativa.“Sììì! Ho capito!” esclamò felice e incredula. Al che GL aggiunse “Quando lo vedi, avvicinati e bacialo senza dire niente. Se la ragazza ti molla un ceffone o se lui si mostra perplesso, digli che glielo mando io e ti vorranno bene”.Le versioni di Merlini e Pasquini, pressoché uguali su tutto, non collimano intorno alla figura di Simone Rossi. Pasquini sostiene che, ogniqualvolta GL nominava l'autore di sbriciolu(na)glio, il Merlini diceva: “Sai che Simone Rossi è il mio scrittore di riferimento?”. E pare che, a un certo punto, GL gli disse: “Me lo hai detto novanta volte!”. Merlini, dal canto suo, sostiene di averlo asserito una volta soltanto. Interpellato sulla questione, lo storico Ammannati, anch'egli presente, ammette di non ricordare il particolare. Detto ciò, si può senza dubbi affermare che a quel tempo, sulle sponde dell'Arno, la popolarità di Simone Rossi era quasi pari a quella di Gianluca L.Ammannati rammenta inoltre che, nel mezzo del racconto, GL disse che, una volta scaricato l'altro passeggero, invitò i due ragazzi a fumare una canna. Mentre fumavano, il ragazzo, che fino ad allora non aveva spiccicato una parola, rinnovando l'invito ad andare a trovarli disse che in casa coltivavano magic mushrooms. “Se è così, a primavera mi organizzo per venirli a mangiare” fu la risposta lapidaria di GL. Al che Pasquini obiettò che “i funghi non si coltivano, i funghi nascono”, ma per GL fu solo lo spunto per proferire circa alcuni racconti della sua dissipata giovinezza. Lo stesso Pasquini ci spiega infatti che si incuriosì a tal punto che, una settimana dopo, gli scrisse una mail in cui diceva:Ho bisogno di te. Devo commissionarti un racconto per RiotVan. Ho già tema e soggetto: coltivazione di funghi in casa. Dimmi di sì. Il tema sarà autoproduzioni, il tuo racconto andrà nella sezione frutta e verdura. L'altra sera raccontasti una storia, tipo ricrescita spontanea e fulminea. Solo che i funghi non si coltivano, i funghi nascono.Nel testo in questione, svela Pasquini, si narrava del tempo in cui il ventenne GL e i suoi amici si drogavano come pazzi ogni giorno di una qualche sostanza diversa. Andavano alle feste e ai rave solo per acquistare la droga oppure compravano psicofarmaci

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che accompagnavano a bottiglie di vodka, whisky, gin o rum. Il trucco per procurarseli era semplice: si tirava a sorte per chi doveva fare la parte. La parte consisteva nell'entrare in una farmacia (mai alla stessa) e fingersi disperati mentre si chiede un farmaco specifico, pregando di venderlo senza ricetta in quanto studente fuorisede appena rientrato dal paese, dove si è dimenticata la prescrizione. In proposito, il Pasquini cita la frase di GL: Rispetto ai miei amici non avevo bisogno di fingere, ero veramente disperato.Fu in quel periodo, in cui il giovane GL imparò la vita e l'amicizia, la profonda disperazione del cuore e i perversi abissi della mente, che i suoi coinquilini trovarono l'indirizzo del paradiso: era su Internet. Scoprirono un sito olandese che era un supermarket della droga. Gli ordini li facevano all'internet point dei bengalesi sulla Prenestina. Indicavano l'indirizzo di casa ma utilizzavano false generalità. I pacchi arrivavano, attraverso la Germania o il Belgio, incartati come materiale per collezionisti o di articoli sportivi. Così nel loro appartamento adibirono una camera, in principio destinata a uso sgabuzzino, a orto psichedelico: un divertente parco giochi per tossicomani che chiamavano “stanzino delle meraviglie”.Il primo ordine consisté di due vaschette di messicani, già essiccati. Li divorarono la sera stessa. Al secondo arrivarono hawaiani e messicani, e semi di marijuana. Tre mesi dopo raccolsero l'erba: settanta grammi. La seccarono col phon e dopo un'ora la spansero sul tavolo; cominciarono a fumare. Due giorni dopo era finita. La terza volta optarono per le spore, di hawaiani e di messicani, oltre a della salvia divinorum.Un mattino, al risveglio da sogni psichedelici, come per magia nello stanzino delle meraviglie era comparsa una montagna di funghi, nati dalle spore di quelli già raccolti. Nella settimana seguente, ogni santa sera, sette giorni su sette, l'appartamento di via Malatesta 39 dove abitavano diventò teatro di un party psichedelico in cui il mondo aveva colori più intensi e all'alba le grida degli uccelli erano così forti da sembrare assordanti mentre i suoni della natura silenziavano i molesti rumori metropolitani. La città era una foresta di incantesimi e simboli, o forse era soltanto l'incoscienza che dominava quei giorni di gioventù.Gianluca L. ha scritto dell'esperienza di quella settimana nel racconto, commissionato da Daniele Pasquini, Psylocibe a colazione, uscito nei primi mesi del 2014 sul numero 16 di RiotVan e di cui ogni traccia è andata perduta.

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Una festa, tanta musica e adesso anche le sette ore e mezza di maratona radiofonica disponibili su podcast. Controradio e Il Popolo del Blues hanno così organizzato la terza edizione di “Ernesto De Pascale Blues Revue”, andata in onda il 22 febbraio scorso, giorno del terzo anniversario della morte del giornalista Ernesto De Pascale, fondatore ed ideatore del programma Il Popolo del Blues, firma di Rolling Stone e Jam, voce storica di Rai Stereonotte. La lunga diretta radiofonica ha regalato agli ascoltatori di Controradio un pomeriggio di musica e testimonianze, nel corso del quale sono intervenuti amici, dj, colleghi giornalisti, musicisti che con Ernesto hanno collaborato e che si sono esibiti dal vivo in una serie di set acustici. Tra gli ospiti Alessandro Mannozzi, Marco di Maggio, Jack Meille e Fabio Fabbri, Francesco Bocciardi, Lucilla Fossi & Thrity Tracks, Bobby Soul, Bruno Casini, Silvano Martini oltre a tanta musica lungo le oltre 7 ore di trasmissione. Ernesto De Pascale, oltre ad aver condotto Il Popolo del Blues sulle frequenze di Controradio dal 1995, è stato storico presidente di giuria del Rock Contest (www.rockcontest.

Lavorare con Ernesto de Pascale è stato un grande privilegio. Progetti condivisi in dieci anni di frequentazione assidua mi hanno lasciato un'impronta fondamentale nella metodologia di lavoro, non solo

nella musica. Inoltre così tanto tempo si conoscono le persone anche nel loro aspetto caratteriale, non solo in quello della professione. E in una persona non comune come era Ernesto, ogni giorno era una sfida continua per capirlo al meglio. Si poteva godere della sua competenza e delle sue mille idee, ma si doveva anche incassare altri lati meno facili dovuti all'estremo rigore con cui affrontava la sua stessa vita e che pretendeva fosse un metodo di coloro che lo circondavano. E' quindi proprio dalla conoscenza e dal ricordo del carattere di Ernesto che sono entrato nel mondo di Seven Songs while the City is sleeping. Il mio ricordo era relativo a un pomeriggio di lavoro che lui stesso aveva programmato a casa sua con Guido Melis. Una giornata fredda di tardo autunno con la neve che sarebbe caduta su Firenze il giorno dopo. Era logico aspettarsi dunque delle canzoni dal mood prevalentemente malinconico. Invece anche questa volta Ernesto era riuscito a stupirmi, perché l'intimismo che è alla base delle sette canzoni presentava molti momenti di solarità. Ogni brano è una sorta di Giano bifronte, ma dalle infinite sfumature tra un lato e l'altro della sua fisionomia. Ne viene fuori un autore che dialogando con il suo pianoforte quasi si compiace di una scrittura divenuta più matura rispetto a quella di Morning Manic Music, suo precedente album nel quale non mancavano elementi di spettacolarità. In questo caso invece si entrerà in punta in piedi in una stanza che a poco a poco diventa un auditorium. Un risultato che è stato reso possibile grazie al lavoro di ricostruzione appassionato di Guido Melis e Giulia Nuti. Proprio a quest'ultima sono infine particolarmente grato per la capacità di portare avanti insieme una buona parte delle idee di Ernesto. Perché queste Seven Songs sono senza alcun dubbio un bel modo di guardare avanti.

it), concorso nazionale per band emergenti organizzato proprio da Controradio. In conduzione per Il Popolo del Blues, tre storiche firme del Popolo del Blues: Fabrizio Berti, Giulia Nuti e Michele Manzotti. Il link del podcast della trasmissione è www.controradio.it/ernesto-de-pascale-blues-revue. La maratona radiofonica è stata anche l'occasione di parlare dell'album postumo di De Pscale, Seven Songs While the City Is Sleeping, uscito nel febbraio 2013. Questo il ricordo di Michele Manzotti.

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testi di Michele Manzottifotografie Riot Van

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Non sai più di chi fidarti per acquistare frutta e verdura sana? Vuoi iniziare a ridurre la spesa senza per questo deteriorare la tua ricca alimentazione? Niente di meglio che iniziare a coltivare, anche dentro casa o su un balcone!Si possono re-inventare vasi, grandi e piccoli, anche utilizzando vecchi contenitori da buttare (da una scarpa rotta a una vecchia valigia) e con i pancali di legno si possono creare vere e proprie aiuole dove coltivare di tutto, ma proprio di tutto: dalle erbe aromatiche agli ortaggi, dai tuberi agli alberelli da frutta. Per iniziare, alcuni piccoli suggerimenti che vi aiuteranno nella produzione di odori e sapori della nostra cucina, genuini, a km zero e coltivabili in vaso. Un consiglio imprescindibile è quello di utilizzare semi sani, naturali, non trattati chimicamente e soprattutto di varietà adattate al particolare clima della vostra zona. Per saperne di più consiglio di visitare il blog "amicidellorto2" o entrare in contatto con movimenti quali "rete dei semi rurali", "Civiltà contadina", "Genuino clandestino", ecc.

tOpiNAMburUna pianta che in pochi conoscono, ma che vi sorprenderà! E' un tubero esteticamente simile allo zenzero, ma dal sapore a metà tra la patata e il carciofo, davvero delizioso.■ a inizio primavera interrare i pezzetti di tubero (che abbiano almeno un occhio) a una profondità di 10-15 cm e distanti 40-50 cm uno dall'altro. Da questo momento la pianta si moltiplicherà e ricaccerà da sola, tanto che a volte è difficile contenerla. Si consiglia pertanto di sistemarla in una zona confinata o dentro un grande vaso.■ non ha grandi esigenze. Cresce molto bene in pieno sole e ben irrigata, ma resiste senza problemi alla mezz'ombra e alla siccità.■ si raccolgono i tuberi quando la pianta è secca in autunno-inverno, sarete stupiti dai risultati.In spazi più grandi i risultati più sorprendenti si possono ottenere sfruttando le consociazioni e le sinergie tra piante di famiglie diverse. Tabelle riguardanti consociazioni, affinità tra piante e sistemi di rotazioni si trovano facilmente in rete.

bASiLiCOL'aromatica per eccellenza.■ per sviluppare foglie grandi e profumate il basilico ha bisogno di molta luce. Quando si coltiva il basilico in casa, scegliere una zona ben illuminata, vicino a una finestra, possibilmente esposta a sud.■ il basilico ama terreni umidi, ma soffre l'eccesso di acqua. Il terreno non deve restare mai troppo secco o troppo bagnato.■ quando iniziano a svilupparsi i fiori, le foglie perdono il loro turgore e il loro aroma. Tagliando i fiori, sopra al gruppeto di foglie più in alto, si eviterà questo inconveniente e si favorirà la produzione di nuove foglie.■ non utilizzare le foglie fin quando la pianta non avrà raggiunto almeno 20 cm.

pOMOdOrOQuando pensiamo ai pomodori, li immaginiamo sempre in grandi orti e campi sconfinati, ignorando spesso che i pomodori sono eccellenti piante da vaso.■ è possibile seminare in semenzaio (verso febbraio) o comprare le pantine già pronte al vivaio.■ generalmente si trapianta a maggio, in un vaso di almeno 30 cm di diametro, o più grande con distanze di almeno 12 cm tra le piante. Quando la pianta raggiunge una certa altezza va legata ad un sopporto che la sosterrà.■ piena luce e terreno ricco sono fondamentali, soprattutto durante la maturazione del frutto.■ il pomodoro normalmente soffre sia la carenza che l'eccesso di acqua. Si consiglia di annaffiare spesso, senza bagnare le foglie, per evitare malattie fungine, e evitando ristagni d'acqua nel sottovaso. Troppa acqua rende i frutti più grandi ma meno saporiti!

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testi di Lorenzo Franchigrafica Riot Van

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peperONCiNOCentinaia di varietà, gusti, colori e gradi di piccantezza per ogni gusto.■ alcune varietà di peperoncino possono avere problemi di germinabilità. Si consiglia di far germinare i semi in cotone o scottex bagnato o, meglio ancora, di preparare un semenzaio, prima di mettere le piantine a dimora.■ come per il basilico, il peperoncino non ama gli eccessi di acqua e ha bisogno di molta luce.■ i principali "nemici" del peperoncino sono gli afidi, soprattutto all'aperto, ma anche dentro casa. Si riconoscono facilmente perchè le foglie formano delle "bolle" sulla pagina superiore, mentre su quella inferiore si vedono questi piccolissimi insetti giallognoli. Predatori naturali degli afidi sono le coccinelle (ecco perchè si dice che portino fortuna!), ma in assenza di questi si possono preparare macerati naturali molto efficaci con aglio, cipolla, ortica e.... con lo stesso peperoncino.■ alcuni coltivatori suggeriscono di potare i rami superflui (normalmente il peperocino si sviluppa ad Y verso l'alto, si eliminano perciò i rami che non seguono questa forma), stando attenti a lasciare almeno 1-2 cm del ramo tagliato per evitare possibili patologie.■ Per alcune varietà, come per molti pomodori, sono necessari supporti. Questi possono essere fatti in casa in vari modi e con diversi materiali di riciclo (canne, paletti, bastoni, tondini).

FuNghiA molti sembrerà impossibile ma coltivare funghi in casa si può ed è anche piuttosto semplice.Ci sono molte specie di fungi coltivabili (Pioppino, Pleurotus, Prataiolo, Champignon, ecc.)■ il primo passo è scegliere e preparare il substrato. A secondo della specie di fungo si possono usare moltissimi tipi di substrato, molti dei quali sono spesso considerati rifiuti: letame maturo, terriccio, legno, segatura, fondi di caffè! Esistono anche substrati già pronti, acquistabili on-line o in negozio.■ il micelio si acquista in negozi di giardinaggio e viene posto nel substrato a 3-4 cm di profondità. Da questo momento si deve annaffiare tutti i giorni, evitando ristagni d'acqua e lasciando sviluppare il micelio a una temperatura di ca. 25 gradi.■ quando si forma una muffa sul substrato si spostano i funghi in un posto più fresco (12-15 gradi), ombreggiato e umido. Dopo 15-20 giorni cominceranno a spuntare i primi piccolissimi funghi, che si lasceranno crescere fino alla dimensione voluta.■ La raccolta va fatta senza strappare troppo il micelio alla base, magari aiutandosi con un coltello. Annaffiando regolarmente, la produzione dura di solito almeno 4-6 mesi, a seconda della qualità e quantità del substrato e delle condizioni ambientali, e avviene in più "volate", intervallate da periodi di quiescenza di circa una settimana. Il rendimento in peso è attorno al 20-25% del peso del substrato impiegato.

erbA CipOLLiNAUna gustosa alternativa alla cipolla. Semplice da coltivare, veloce nella produzione e perenne .■ dopo aver fatto germinare i semi in ambiente caldo e umido, mettete le piantine in vaso quando le temperature saranno già abbastanza elevate■ l'erba cipollina ama i terreni ricchi. Per arrichire il terreno potete utilizzare compost fatto in casa o un qualsiasi concime organico (per la vostra salute, non chimico!).■ per quanto riguarda acqua e luce, le esigenze sono simili a quelle di peperoncino e basilico. Terreno umido ma senza ristagni d'acqua e abbondante luce.■ d'inverno tenere la pianta al riparo dalle gelate e vedrete che coi primi calori della primavera successiva ri-nizieranno a spuntare deliziose foglie.

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Se si volesse dare un tempo e un luogo alla nascita della birra ci troveremmo davanti a un vero garbuglio, da cui neanche il buon Sherlock Holmes riuscirebbe a uscire senza un sonoro mal di testa modello Hangover.La cosa sicura è che la fermentazione è un processo assolutamente naturale, quindi è molto probabile che a diverse latitudini, a temperature piuttosto calde, un miscuglio di cereali (avanzi di panificazione) e acqua, abbia iniziato a fermentare, dando vita a quella che i sumeri chiamavano se-bar-bi-sag, la bevanda che fa vedere chiaro. La variazione sul tema, in vino veritas, è venuta molto dopo. Con gli Egizi la scrittura ci ha aiutato non poco e ci ha insegnato come questo grande popolo si alimentava a birra, svezzando i bimbi sin da tenera età con un intruglio di birra e miele. Nella terra dei Faraoni si era anche creato un florido commercio con le proprie birre, commercializzate con successo in tutto il Mediterraneo. Cominciamo a metterci in testa che con le continue carestie che hanno afflitto l'uomo fino alla rivoluzione industriale, combinare il pranzo con la cena era un gioco da eqiuilibristi, quindi la birra è stata vissuta prima di tutto come un vero e proprio alimento. Quindi il rapporto tra la società e la birra è sempre stato molto stretto, più che col vino, che era visto come un lusso.Se oggigiorno il mercato recepisce la birra come una bevanda beverina, leggera, e gasata da bere soprattutto d'estate, il 10% del mercato è arroccato a difesa di specialità tradizionali (esistono e resistono ancora birre che si rifanno a una cultura medievale) e nuove realtà che immettono in commercio specialità sempre nuove, spesso stuzzicanti.Dagli anni '60 in America, con la cosiddetta Hand Craft Revolution, capeggiata dalla mitica birra Sierra Nevada, che oggi si può facilmente reperire e che consiglio a tutti di degustare, per arrivare intorno agli anni '80 anche in Europa, si è assistito a un lento ma inesorabile fiorire di birrifici più o meno piccoli che cercano di

ritagliarsi una loro fetta di mercato con prodotti particolari e curati maniacalmente.In Italia, dove si è campanilisti anche sull'acqua e si collabora solo in occasione dei mondiali di calcio, questa moda dei microbirrifici è arrivata più tardi, ma sta portando, adesso, un attacco al mercato che cambierà per sempre la cultura birraria italiana.Insieme a queste giovani, piccole e terribili realtà, si riscontra sempre più fermento intorno alla materia, e le associazioni che promulgano la cultura birraria sono sempre più organizzate. Solo a Firenze si hanno Contemporary Academy, propaggine toscana dell'Università della Birra, che organizza corsi professionali di servizio della birra, di gestione Pubs e per diventare Sommelier della spumeggiante bevanda; Fermento Birra, specializzati in microbirrifici italiani ed esteri e Homebrewing, gestiscono un portale e una omonima rivista che tutti gli appassionati dovrebbero seguire. Dulcis in fundo La Pinta Medicea, che gestisce un Beer House e un Beer Shop dove comprare e

barflyNon chiamatela birra artigianale

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testi di Tommaso Pierigrafica Riot Van

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degustare tante buone specialità.Voglio però sfatare un tabù che continuo a trovarmi davanti come un muro, durante i corsi che tengo, retaggio di una cultura brassicola ancora non all'altezza di altre nazioni: NON esiste una differenza tra artigianalità e industrialità nella birra. E deve essere così. Come detto nell'incipit di questo articolo, la fermentazione della birra è un fenomeno assolutamente naturale. Chiamando alcune birre industriali si può incappare nell'equivoco che tali marchi non facciano un buon lavoro, o ricreino in maniera tecnologica un processo naturale. Non è così. Allo stesso tempo nessuno creda (se ve lo dicono vi prendono per il naso) che i piccoli o micro birrifici abbiano la possibilità di coltivare luppolo o di maltarsi da soli i cereali. Queste mie parole non devono essere viste come una privazione di poesia, perchè la poesia della birra sta tutta nel bicchiere. Il resto sono fregnacce, è perfettamente ovvio che in 4000 anni di vita la tecnologia sia venuta incontro alla produzione, e questo è assolutamente un bene. I microbirrifici comprano malti, lieviti e luppoli da grandi aziende senza le quali non esisterebbero; le stesse aziende che servono anche i produttori più grandi. Allo stesso modo non si raccolgono più da secoli le acque dalle fonti o dai pozzi. La rete idrica controllata e omologata permette che tutti possano utilizzare acqua trattata in maniera ottimale. Quindi i mega e i micro- Birrifici altro non sono che le due facce della stessa medaglia, perchè il gioco è sempre lo stesso, il mercato, che sancisce la vita o la morte di un prodotto. Se si eccettuano

gli Home Brewers (quei simpatici folli che si fanno la birra in casa, con la quale molestano la pazienza di amici e parenti) la Birra si fa per venderla. Da sempre. Quindi il carattere di questa bevanda a noi tanto cara, ha sempre avuto un andamento alla Dottor Jekyll e Mr Hyde: da una parte la tradizione, le lobby, la difesa di tipologie antiche e tradizionali che hanno fatto la fortuna di nazioni intere, si pensi alle birre trappiste o alle birre tedesche che hanno un codice di regolamentazione datato 1516 tuttora valido (!!!). dall'altra parte la voglia, tutta umana, di stupire, sfidando l'ignoto e superare i propri limiti, ha permesso di produrre prodotti che stuzzichino palati nuovi, cercando di creare quell'unicum che poi farà scuola, ossia tipologia.è in questa ottica che si inseriscono questi piccoli e coraggiosi produttori, tutti alla ricerca della loro birra perfetta che li possa far diventare, perché no, ricchi e famosi.Quando si è riconosciuti dal mercato si è riconosciuti da tutti, sono quelle situazioni, come un grande film, che mette d'accordo pubblico e critica... negli anni '80 e '90 in Belgio è stato il momento della brasserie d'Achouffe, adesso le star dell'arte brassicola sono i simpatici titolari di Brew Dog, birrificio scozzese che ormai di Micro non ha più niente. Speriamo che i tempi siano fertili per avere delle stelle anche in Italia, dove si contano comunque grandi prodotti, tra i quali spicca sicuramente Baladin di Teo Musso, birrificio Italiano, grande birrificio Lombardo e il Birrificio del Ducato. Chi berrà vedrà!

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Artesania #16 Riotvan

illustrazione di Smo Calligrafix

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Via delle Caldaie 18, Firenze

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Il Cruciverba di Filiman #16 Riotvan

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VERTICALI 1. Politico esperto, 2. Prefisso che indica una ripetizione, 3. La Nanny italiana, 4. Segue le sure, 5. Cesari ex-arbitro (iniz.), 6. Le pari nella filiera, 7. Libro di Bonini sulle forze dell’ordine, 8. La Comaneci ex ginnasta rumena, 9. Figlia di Zeus ed Era, 10. Può essere “a zolle”, 11. Calciatore olandese, 13. Canzone cantata da Cindy Lauper, 16. Zirconio, 18. Oltraggio recato a ciò che è sacro, 19. Elemento del sistema di drenaggio urbano, 23. Non meritevole, 25. E’ stato un architetto greco antico, 27. Lavoratore esperto nello specifico, 29. Località sopra Bormio, 30. Esercito repubblicano irlandese, 32. Presente di avere, 33. Canuto senza né capo nè coda, 36. Che non ha attitudine per determinati lavori, 39. Difficile, 41. Istituto per la previdenza sociale, 42. Un'area di vegetazione isolata, 46. Azienda che commercializza Energia, 48. La sua vita è diventata un film, 50. Campobasso.

OrizzONtALi 1. E’ sempre “locale”, 12. Masticare in maniera sgradevole, 13. Indiana University, 14. Loreto giornalista sportivo (iniz.), 15. Comandante austriaco vittorioso su Napoleone, 17. Asimov biochimico e scrittore statunitense di origine russa, 20. Osteria francese, 21. Sodio, 22. Non accadrà, 24. Specifica di un motore diesel, 26. Dinitrotoluene, 28. Fabio Ballarin rapper italiano, 31. Era selvaggia in un famoso film del 1989, 34. Assistente del dottor Frankenstein, 35. Tecnica dell'incisione e della lavorazione delle pietre, 37. Film biografico su Cassius Marcellus Clay Jr., 38. Indica una totalità di persone di genere femminile in quanto composta di singoli, 40. Infiammazione del peritenonio, 41. La fine di Kenshiro, 43. Smartphone tedesco poco conosciuto, 44. Air Operator's Certificate, 45. Da portare in campeggio, 47. La Ingerman showgirl (iniz.), 49. Il polpo all’inglese, 51. Energia pulita, 52. Piccoli alberi.

Il Cruciverba di Filiman

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Il Cruciverba di Filimanmaking class

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IllustratoriBau, FrenoPerSciacalli , Niccolò Gambassi, Smo Calligrafix

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Sono stati fatti tutti gli sforzi per segnalare e alloccare correttamente i crediti fotografici. Ricordiamo che il diritto dell'immagine fotografica resta dell'autore.Numero chiuso in redazione il 30/04/2014

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