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Vergine nella small vessel disease (svd): correlazioni cliniche, imaging e traamento Vergine idiopaca nel paziente anziano neurovascolare Modello di approccio terapeuco alle turbe dell’equilibrio dell’anziano SPERIMENTAZIONE Sulodexide nell’acufene soggevo idiopaco: Update 2009-2018 RICERCA

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Vertigine nella small vessel disease (svd): correlazioni cliniche,

imaging e trattamento

Vertigine idiopatica nel paziente anziano neurovascolare

Modello di approccio terapeutico alle turbe dell’equilibrio dell’anziano

SPERIMENTAZIONE

Sulodexide nell’acufene soggettivo idiopatico: Update 2009-2018

RICERCA

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Mediserve Editoria & Formazione© 1999-2018 MEDISERVE S.r.l

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Giorgio GuidettiPoliambulatorio PCM, ModenaVertigo Centere-mail: [email protected]

Augusto Pietro CasaniProfessore AssociatoDipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e di Area CriticaUniversità degli Studi di Pisae-mail: [email protected]

Marco ManfrinSezione di Clinica Otorinolaringoiatrica - Fondazione IRCCS PoliclinicoSan Matteo, Università di Paviae-mail: [email protected]

Aldo MessinaResponsabile Ambulatorio Otoneurologia della Cattedra di Audiologia,Azienda Universitaria Policlinico P. Giaccone di Palermoe-mail: [email protected]

ISBN 978-88-8204-307-0

Federica Vallefuoco - GiornalistaAdriano Flocco - Grafico

Mediserve S.r.l. Editore

Aggiornamento periodico:OTONEUROLOGIALuglio 2018 / n.49

COORDINAMENTO SCIENTIFICO

REDAZIONE

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Gli articoli pubblicati rispecchiano il pensiero degli autori e non comportano responsabilità dell’Editore.

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Augusto Pietro CasaniNiccolò CerchiaiElena Navari

Paolo Gamba

Vertigine idiopatica nel paziente anziano neurovascolare

Vertigine nella small vessel disease (svd): correlazioni

cliniche, imaging e trattamento

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SOMMARIO

Giampiero Neri

Davide Antonio Giuliano

Sulodexide nell’acufene soggettivo idiopatico: Update 2009-2018

Modello di approccio terapeutico alle turbe dell’equilibrio dell’anziano

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4 OTONEUROLOGIA

a malattia dei piccoli vasi della sostanza bianca cerebrale (Small Vessel Disease SVD) ha recentemente suscitato grande interesse nella pratica clinica neurovascolare per il ruolo potenziale che sembrerebbe avere nello

sviluppo delle sindromi geriatriche. In realtà, ad oggi, è ben definito come la SVD contribuisca allo sviluppo di declino cognitivo, demenza vascolare e al rischio di cadute, mentre si conosce molto poco sul ruolo della SVD come causa possibile di vertigine. Certamente le aree iperintense rappresentano marker di un rischio elevato per l’ictus cerebrale, cerebellare e del tronco cerebrale. Un recente studio ha evidenziato come la vertigine arrivi a colpire fino al 17% dei pazienti con SVD, mentre studi condotti in passato dalla sezione ORL 1a Universitaria dell’Università di Pisa, di concerto con l’Unità Neurotologica del Charing Cross Hospital di Londra, avevano evidenziato come la SVD sia un fattore predittivo di vertigine di origine incerta, in ragione dell’incidenza nettamente superiore di pazienti neurovascolari, con SVD acclarata all’esame RM, nel gruppo di casi incerti, rispetto al gruppo di pazienti con vertigine da causa definita (periferica o centrale). Le ipotesi causali avanzate sul ruolo della SVD nella vertigine comprendono il possibile senso di insicurezza oggettiva percepita dal paziente neuro-vascolare e la possibile disconnessione corticale e sottocorticale in tratti di sostanza bianca necessari per l’equilibrio e l’andatura.

L L’INDAGINE SUI PAZIENTI ANZIANI NEUROVASCOLARI CON VERTIGINEUn nuovo studio condotto presso l’Università di Pisa in collaborazione tra la UO di Otorinolaringologia 1a Universitaria e la UO di Neurologia su 60 pazienti adulti neurovascolari con quadro neuroradiologico di SVD e vertigine cronica o disequilibrio di origine incerta, ha indagato l’esistenza di cause vestibolari trattabili sottostanti e l’esistenza di un modello oculomotore centrale coerente con la SVD di utilità diagnostica. I pazienti sono stati sottoposti anzitutto a scansione cerebrale (risonanza magnetica 1,5 o 3 T) per confermare la SVD con la rilevazione della mappa di aree iperintense di sostanza bianca (white matter lesions – WML), quindi stratificati per gravità della SVD con scala Fazekas in due bracci, quello delle forme più severe (H-SVD) e quello dei pazienti affetti da SVD più lieve (L-SVD). L’età media nel gruppo dei 29 pazienti H-SVD era di 73,4 aa. (49-89 aa.), mentre nel gruppo di 31 pazienti L-SVD era di 69.7aa. (50-83 aa.). L’esame otoneurologico è stato

quindi eseguito in cieco sui risultati della risonanza magnetica; in precedenza tutti i pazienti erano stati sottoposti a screening con il Mini Mental State Examination, al fine di escludere soggetti con compromissione cognitiva laddove il punteggio fosse risultato inferiore a 25. Altri criteri di esclusione comprendevano un’anamnesi positiva per ictus ischemico o

emorragia cerebrale, leucoencefalopatia da causa immunitaria, demielinizzante, metabolica, tossica, infettiva, genetica, comorbidità neurologiche non correlate (es. neuropatia grave, spasticità, sindromi extrapiramidali), disturbi psichiatrici, età maggiore di 90 anni.

È poco conosciuto il ruolo della SVD come causa di vertigine, si ipotizza la disconnessione corticale e sottocorticale in tratti di sostanza bianca

Augusto Pietro CasaniNiccolò CerchiaiElena NavariDepartment of Medical and Surgical Pathology, Otorhinolaryngology Section, Pisa University, Pisa, Italy; Department of Experimental and Clinical Medicine, Neurological Institute, Pisa University, Pisa, Italy

Vertigine idiopatica nel paziente anziano neurovascolare

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Vertigine idiopatica nel paziente anziano neurovascolare

5OTONEUROLOGIA

I criteri di selezione adottati hanno escluso la maggior parte delle cause neurologiche di vertigine, per cui, in assenza di segni di disturbi vestibolari periferici acclarati, la correlazione della vertigine con la SVD poteva essere avvalorata. La valutazione neurotologica comprendeva: storia clinica dettagliata, audiometria tonale pura, l’oculografia con maschera bioculare (sistema 4-View), head shaking test, test calorico e video-impulse test (vHIT). In particolare l’oculografia è stata eseguita per rivelare alterazioni vestibolari periferiche o anomalie oculomotorie centrali, mentre il test calorico è stato eseguito secondo Fitzgerald-Hallpike modificata (irrigazione con 125 cc di acqua calda a 44 ° C per 30 sec. e, dopo 7 min., di acqua fredda a 30° C per 30 s). Il vHIT è stato eseguito con un dispositivo dedicato, registrando una media del guadagno del riflesso vestibolo-oculomotore (VOR) con cut-off patologico < 0,69 e range border-line con valori 0,70-0,79. I segni di coinvolgimento vestibolare periferico potevano includere il rilevamento di un nistagmo indicativo di vertigine posizionale parossistica (VPP), una paresi canalare al test calorico e/o una riduzione di guadagno del VOR al vHIT. Per la definizione di pattern oculomotori eventualmente indotti da SVD sono state considerate le seguenti oculomotorie vestibolari e non: nistagmo gaze-evoked, nistagmo perverted dopo head shaking test (cross-coupling), nistagmo posizionale downbeat (o atipico), nistagmo spontaneo di tipo centrale, anomalie dei movimenti saccadici e di inseguimento lento (broken smooth pursuit). I sintomi relativi al disturbo dell’equilibrio riferito sono stati valutati con questionario DHI (Dizziness Handicap Inventory).

Figura 1

Dai risultati dello studio emerge (Figura 1) come nel gruppo H-SVD la percentuale di capogiri senza una chiara spiegazione vestibolare periferica riguardi l’82,8% dei casi, mentre nel gruppo L-SVD è stata registrata una prevalenza di vertigine di origine incerta nel 48,4% dei casi, con una differenza fra i due gruppi H-SVD vs L-SVD statisticamente significativa (p = 0,012). L’esame otoneurologico ha rivelato la presenza di disturbi vestibolari periferici soprattutto nel gruppo L-SVD (51,6%), rispetto a quelli H-SVD (17,2%), con una differenza significativa fra i due gruppi (p = 0,012). Inoltre una paresi canalare significativa è stata trovata in 12 pazienti (38,7%) L-SVD e in 3 pazienti (10,3%) H-SVD. I pazienti con deficit vestibolare non compensato sono stati indirizzati ad un programma di riabilitazione vestibolare.I dati raccolti indicano come nei pazienti H-SVD la malattia neurovascolare grave possa rappresentare una causa diretta di vertigine, mentre le forme lievi (L-SVD) sembrano solo aumentare la probabilità di sviluppare un disturbo vestibolare periferico.Data l’elevata incidenza di patologia vestibolare nei pazienti neurovascolari, soprattutto nella popolazione anziana, la diagnosi di dizziness esclusivamente su base neurovascolare (SVD) potrebbe fare perdere di vista cause vestibolari periferiche facilmente trattabili.Uno dei risultati più importanti di questo studio è rappresentato infatti dalle percentuali di VPP non riconosciute nei due gruppi, pari al 12,9% fra i pazienti L-SVD ed al 6,9% di quelli H-SVD, tutti trattati positivamente con manovre liberatorie (Tabella 1).

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6 OTONEUROLOGIA

Non sono state invece riscontrate differenze (Figura 2; Tabelle 2 e 3) nei reperti oculomotori centrali tra i due gruppi (64,5% in L-SVD e 79,3% in H-SVD; p = 0,325).I punteggi al DHI hanno registrato differenze più sensibili, con una media di 14,9 punti nel gruppo L-SVD e 33,4 punti nel gruppo H-SVD, tuttavia non sufficiente per raggiungere la significatività statistica (p = 0,054).Le aree di iperintensità della sostanza bianca (WML) all’esame RM sono comuni nella popolazione anziana e possono interessare diverse regioni del SNC, con un peso che aumenta con l’età ed una prevalenza delle forme più gravi (H-SVD) nel paziente over-75, altamente correlate alle sindromi geriatriche e al disequilibrio e alle cadute nella popolazione anziana. I percorsi neuronali di controllo del movimento oculare per le saccadi ed i movimenti di inseguimento (pursuit) della mira coinvolgono fibre ascendenti e discendenti tra la corteccia frontale e parietale, i gangli basali, il tronco cerebrale e cervelletto.Anche la funzione vestibolare si modifica con l’avanzare dell’età, in relazione ad una degenerazione progressiva delle strutture vestibolari periferiche, accompagnata da perdita neuronale nei nuclei vestibolari e proiezioni corticali ed una maggiore prevalenza di episodi di vertigine posizionale periferica (VPP). Studi sulla popolazione anziana mostrano una prevalenza di VPP non riconosciuta/diagnosticata del 9%, caratterizzata da una maggiore prevalenza di ridotta attività quotidiana e depressione rispetto alla popolazione generale di pari età, ma senza episodi di VPP.È interessante come l’indagine condotta su pazienti affetti da SVD che lamentavano vertigine evidenzi un’alta incidenza di

patologie vestibolari periferiche (35,0% del totale), in particolare nei pazienti con SVD lieve (L-SVD). La differenza di punteggio al DHI tra L-SVD e H-SVD conferma ulteriormente come, nei pazienti H-SVD, la patologia neurovascolare possa essere di per sé causa diretta di dizziness altrimenti non spiegabile. Inoltre, le forme H-SVD sembrano potere influenzare la qualità della vita del paziente causando un disturbo dell’equilibrio o una vera e propria vertigine in modo simile a un disturbo vestibolare periferico. Non è stato possibile d’altra parte definire anomalie oculomotorie centrali di valore diagnostico, specifiche per le forme H-SVD rispetto alle L-SVD, probabilmente perché il deficit oculomotorio

e cognitivo dipende più probabilmente da quali fibre sono colpite dalla SVD, piuttosto che dalla quantità di fibre interessate.Il nuovo obiettivo della ricerca tra i pazienti neurovasocolari con vertigine sarà quello di correlare i risultati acquisiti con la topografia delle lesioni cerebrali SVD. I risultati del presente studio indicano chiaramente la necessità, da parte dello specialista, di non fermarsi agli esiti dell’esame

RM nella gestione dei pazienti anziani neurovascolari (SVD) con vertigine di incerta origine, ma di approfondire l’esame neurotologico, raccogliendo i reperti vestibolari patologici, che riguardano oltre un paziente su tre con SVD (35% dei casi). In particolare, nei pazienti neurovascolari lievi (L-SVD) con vertigine è più probabile la presenza di un sottostante disturbo vestibolare periferico non diagnosticato. Questi risultati possono risultare rilevanti sia in ambito neurologico vascolare che geriatrico, in quanto i tipi di patologie riscontrabili sono spesso curabili con manovre liberatorie (VPP) o programmi di riabilitazione vestibolare (casi di deficit vestibolare

Il nuovo obiettivo della ricerca tra i pazienti neurovasocolari con vertigine sarà di correlare i risultati acquisiti con la topografia delle lesioni cerebrali SVD.

Figura 2

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Vertigine idiopatica nel paziente anziano neurovascolare

7OTONEUROLOGIA

Tabella 1

Tabella 2

Tabella 3

non compensato); la risoluzione della patologia vestibolare potrebbe essere di aiuto anche nel ridurre il rischio di cadute e la progressione della depressione. La valutazione neurotologica completa sembra essere dunque di cruciale importanza per la

qualità di vita del paziente anziano neurovascolare, con lo scopo clinico di riconoscere qualsiasi causa sottostante potenzialmente trattabile di vertigine, quali sono in particolare alcuni disturbi vestibolari periferici.

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8 OTONEUROLOGIA

Il legame tra SVD e i disturbi dell’equilibrio è emerso in letteratura di recente, con casi riportati di pazienti con vertigine che non potevano essere spiegati da alcuna condizione nota, tutti caratterizzati da gravi segni di SVD. Ad oggi comunque si sa ancora molto poco su come la SVD possa essere causa di disequilibrio. Una recente indagine svolta presso l’Università di Pisa in collaborazione tra la UO di Otorinolaringologia 1a Universitaria e la UO di Neurologia, condotta in cieco su 60 pazienti con vertigine cronica o instabilità di origine incerta e quadro neuroradiologico di SVD, stratificati in

due bracci H-SVD (più gravi) e L-SVD (meno gravi), ha fatto luce sulle differenze fra le forme di H-SVD, che potrebbero essere effettivamente causa diretta della vertigine (82,1% di casi incerti), rispetto alle forme di L-SVD, per le quali l’approfondimento delle cause vestibolari periferiche trattabili rilevabili riguardava quasi la metà dei casi, indicando la L-SVD fattore di rischio che aumenta la probabilità di sviluppare una vestibolopatia di tipo periferico. Su queste basi gli autori raccomandano la massima attenzione clinica all’indagine dei fattori vestibolari periferici e centrali nei pazienti neurovascolari con vertigine.

Conclusioni

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Vertigine nella small vessel disease (svd): correlazioni cliniche, imaging (rm) e trattamento

9OTONEUROLOGIA

ella pratica clinica i disturbi vestibolari e le funzioni cognitive (ansia) risultano essere strettamente correlati, probabilmente in ragione di alcuni percorsi neuronali condivisi. Le comorbidità del paziente possono essere fattori che favoriscono l’insorgenza

della sindrome vestibolare di natura vascolare. Nei pazienti anziani con vertigine e Small Vessel Disease (SVD), l’esame RM spesso rileva lesioni a livello della sostanza bianca (White Matter Lesions – WML) che possono alterare i numerosi percorsi neuronali della rete vestibolare, in particolare sono coinvolte le strutture limbiche la corteccia prefrontale (modulazione ansia) e l’amigdala. Dalla letteratura si evince che esistono correlazioni cliniche tra lesioni della sostanza bianca (leucoaraiosi) - vertigine vascolare e funzioni cognitive.Di recente è stato pubblicato su European Review for Medical and Pharmacological Sciences uno studio chiamato OTONEURAD condotto dal Servizio di Vestibologia Clinica e Strumentale in collaborazione con il Servizio di Neuroradiologia della Fondazione Poliambulanza di Brescia su 90 pazienti (53 F e 37 M, di età media 75 anni, affetti da vertigine vascolare, con segni di White Matter Lesions evidenziate in Risonanza Magnetica. Lo scopo è stato quello di eseguire una mappatura delle lesioni e correlarla con la sintomatologia dei pazienti. I risultati mostrano che le aree colpite della sostanza bianca (WML) più frequenti sono quelle della regione frontale (n = 34) e dell’area periventricolare (n = 30). I sintomi testati sono: ansia, sintomi neurovegetativi (nausea e senso di vomito) e instabilità.

RICERCA

Paolo GambaServizio di Vestibologia Clinica e Strumentale – Unità Operativa Complessa di Otorinolaringoiatria e Chirurgia Cervico-Facciale - Fondazione Poliambulanza Istituto Ospedaliero di Brescia

Nella seconda fase dello studio è stata valutata l’efficacia del farmaco antitrombotico (GAG) Sulodexide sui 3 sintomi presi in oggetto. La durata del trattamento è stato di 90 giorni, 1 compressa per OS. Alla fine del trattamento i pazienti hanno mostrato un miglioramento significativo sia nei punteggi relativi al sintomo ansia e sintomi neurovegetativi. I risultati confermano che nei pazienti anziani affetti da vertigine vascolare vi è una correlazione tra vertigine e ansia, fornendo dati preliminari confortanti sull’efficacia di un GAG antitrombotico con spiccate attività antinfiammatorie endoteliali.

EQUILIBRIO, VERTIGINE, ANSIA E PANICOUn buon equilibrio è necessario per l’esecuzione delle capacità motorie e per affrontare in sicurezza la vita quotidiana. I disturbi vestibolari sono caratterizzati da una combinazione di manifestazioni percettive, oculomotorie, posturali e vegetative, che causano i sintomi di vertigine, nistagmo, atassia e nausea.

Le vertigini sono state a lungo considerate una “semplice” manifestazione somatica in pazienti che non sperimentano una vera vertigine rotazionale. D’altra parte il capogiro può essere descritto come un’esperienza individuale, influenzata anche da fattori emotivi, di conseguenza i pazienti possono descrivere la sensazione di vertigine in modi

diversi. La classificazione tradizionale delle sindromi vertiginose si basa sul sito anatomico della lesione e distingue tra sistema vestibolare periferico e centrale. Studi di Risonanza Magnetica Funzionale rilevano che occorre superare il vecchio concetto

Dopo il trattamento con GAG i pazienti hanno mostrato un miglioramento significativo sia nei punteggi di ansia, che dei sintomi vestibolari

N

Vertigine nella small vessel disease (svd): correlazioni cliniche, imaging e trattamento

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10 OTONEUROLOGIA

periferico e centrale e studiare le vie vestibolari localizzate nella corteccia cerebrale, in quanto gli input visivi, vestibolari e propriocettivi sono integrati ed elaborati attraverso le funzioni cognitive che sono localizzate. Numerosi percorsi sinaptici collegano la rete vestibolare con strutture limbiche, ippocampali, cerebellari e corticali cerebrali, al fine di mediare le funzioni cognitive superiori. Il sistema vestibolare fornisce al cervello segnali sensoriali per il controllo posturale e oculomotorio, nonché per la percezione spaziale, corporea e cognitiva. I disturbi vestibolari determinano un significativo grado di handicap emotivo per il paziente. Nei primi giorni dopo un deficit vestibolare acuto, l’apprendimento motorio e spaziale diventa molto importante per facilitare il recupero dell’equilibrio. La combinazione di attacchi di vertigine imprevedibili e gravi reazioni vegetative contribuiscono ad aumentare l’ansia e la paura. Una recente review della letteratura riporta che un primo attacco di vertigine produce stati di ansia e paura di gravi malattie nel 93% dei pazienti, mentre nel 35% dei casi si rileva uno stato di panico. Ansia e paura aumentano nei luoghi con un ricco ambiente visivo, dove l’orientamento richiede una buona coordinazione occhio-testa. Inoltre l’ansia è probabilmente una delle cause più importanti che impediscono l’adattamento, passaggio essenziale per il pieno recupero dell’equilibrio dopo un’esperienza di vertigine. La relazione tra ansia e disturbi vestibolari potrebbe essere spiegata dalla condivisione di alcuni percorsi neurali. Tale relazione neurale potrebbe innescare un circolo vizioso in cui vertigine e ansia si rafforzano a vicenda.

DISTURBI VESTIBOLARI NEL PAZIENTE ANZIANOIl capogiro è un disturbo che arriva a colpire il 30% della popolazione over-65 anni. Con l’avanzare dell’età, si ha un progressivo decadimento della funzione vestibolare, oculare e propriocettiva, che può favorire la comparsa di disturbi dell’equilibrio. Le comorbidità dei pazienti giocano anche un ruolo importante nell’aggravare la degenerazione fisiologica del sistema di equilibrio. Ad esempio, le patologie cardiovascolari sono correlate sia alla vertigine sia periferica che a quella centrale. I più importanti fattori di rischio CV sono l’ipercolesterolemia, le patologie cardiache, il diabete, l’ipertensione arteriosa e l’aterosclerosi carotidea. Recenti studi di follow-up a 4 e 9

anni mostrano un rischio di ictus più elevato fra i pazienti con diagnosi di vertigine, rispetto alla popolazione generale. Diversi fattori di rischio potrebbero quindi contribuire all’insorgenza di una sindrome vestibolare, nota in letteratura come vertigine ad eziologia vascolare. L’imaging aiuta il clinico a eseguite una diagnosi eziologica di vertigine. Nella popolazione anziana affetta da dizziness è frequente rilevare in Risonanza Magnetica delle lesioni chiamate White Matter Lesion: alterazioni della sostanza bianca. Le WMLS sono delle alterazioni della sostanza bianca sottocorticale e periventricolare riconoscibili all’imaging come lesioni iperintense in T2 alla RM e ipodense in TC.I pazienti con dizziness cronica presentano un più alto grado di lesioni WMLS rispetto a gruppi di controllo di pari età, esse possono compromettere l’elaborazione dei segnali sensoriali a livello centrale pregiudicando le corrette risposte posturali. Esse possono essere classificate come vasculopatia cerebrale cronica, sono correlate ai comuni fattori di rischio cardiovascolari e a declino cognitivo, disturbi psichiatrici, disturbi dell’umore e incontinenza urinaria.Un’ampia meta-analisi di 46 studi osservazionali mostra che le lesioni di sostanza bianca (WML) sono associate a un rischio maggiore di ictus, demenza e mortalità. Esistono inoltre evidenze di stretta correlazione fra lesioni della sostanza bianca periventricolari e declino cognitivo. Gli infarti cerebellari sono stati inoltre associati a deterioramento cognitivo e demenza vascolare. Nonostante sia nota l’associazione fra età avanzata, fattori di rischio vascolare, lesioni di sostanza bianca (WML) e

demenza, il meccanismo patogenetico di questi non è ancora non chiaro. Quello che emerge con sempre maggiore chiarezza in letteratura è invece l’associazione fra lesioni di sostanza bianca e vertigine. Uno studio condotto su anziani aveva già evidenziato a metà degli anni ’90 un’incidenza di lesioni di sostanza bianca (WML) sottocorticale significativamente maggiore (p<0,01) nel gruppo di studio con disturbi dell’equilibrio, rispetto ad un gruppo di controllo omogeneo per età e genere (Baloh et al. 1995). Un’analisi retrospettiva recente ha mostrato come la gravità e la frequenza delle lesioni di sostanza bianca (WML) siano associabili a pazienti con episodi di vertigine improvvisa. Su queste basi

Disturbi vestibolari ed ansia sarebbero correlati per la presenza di lesioni di sostanza bianca (WML) che potrebbe interferire nelle funzioni corticali vestibolari

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Vertigine nella small vessel disease (svd): correlazioni cliniche, imaging (rm) e trattamento

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diventa oggi rilevante per la clinica indagare la popolazione anziana con vertigine, al fine di approfondire la correlazione fra lesioni di sostanza bianca, vertigine ed ansia. Diverse reti neuronali del cervello servono funzioni motorie e neuro-comportamentali come l’abilità visuo-spaziale per l’orientamento, la cognizione e l’emozione. La corteccia vestibolare inoltre interagisce con la corteccia visiva per abbinare le due mappe di orientamento 3-D e media la percezione di auto-movimento. La presenza di lesioni di sostanza bianca (WML) potrebbe interferire o interrompere le funzioni corticali vestibolari coinvolte in queste reti.Oltre alla ricerca dei dati clinici-strumentali, l’importanza dei fattori vascolari, la coesistenza di sintomi audiologici come l’ipoacusia improvvisa associata, è obbligo interpretare l’imaging nel contesto diagnostico otoneurologico, anche per l’elevato numero di pazienti che giungono alla nostra osservazione. Tutte le analisi statistiche riportate in letteratura sono concordi nell’affermare che la severità delle WMLD è predittiva di disabilità, in particolare le lesioni periventricolari sono predittive di un declino cognitivo, mentre quelle sottocorticali sono correlate alla sindrome ansioso-depressiva. Il nostro obiettivo è continuare a studiare le funzioni delle connessioni anatomiche di ritorno alla corteccia prefrontale. Nella pratica clinica: pazienti assumono un uso costante di farmaci. Una diagnosi e un trattamento precoce associata ai farmaci riduce l’incidenza dell’ansia e dei sintomi neurovegetativi in pazienti con vertigine di tipo vascolare.

OTONEURAD STUDY*L’obiettivo del presente lavoro è quello di eseguire un mapping lesionale cerebrale mediante un’analisi neuroradiologica basata sulla Risonanza Magnetica Nucleare in un gruppo di pazienti affetti da patologia vertiginosa di verosimile origine vascolare al fine di ricercare una eventuale correlazione tra la presentazione clinica dei pazienti affetti da vertigini distribuzione delle aree colpite denominate Leukoaraiosis o White Matter Lesion Small (WMLS) della sostanza bianca encefalica e nel contempo valutare l’efficacia della Sulodexide per il trattamento delle vertigini di origine vascolare. Il risultato della mappatura ha rilevato la prevalenza delle lesioni nel lobo frontale. Dal gennaio 2013 al gennaio 2015, presso il Servizio di Vestibologia Clinica e strumentale della Fondazione Poliambulanza di Brescia sono stati osservati 90 pazienti affetti da Vertigine Vascolare. La popolazione in esame comprende 53 femmine e 37 uomini, di età compresa fra i 49 e 89 anni (media di 75 anni). La diagnosi di vertigine vascolare

è stata basata sulla presenza di almeno 3 dei seguenti fattori di rischio vascolare: malattie cerebrovascolari, malattia carotidea, cardiopatia ischemica, diabete mellito, ipertensione arteriosa, arteriopatia, familiarità per malattie vascolari, fumo, consumo di alcool, obesità, fibrinogeno >350 mg/dl; trigliceridi > 180 mg/dl, colesterolo >220 mg/dl.L’indagine ha escluso i pazienti con disabilità cognitiva e malattie psichiatriche o neurologiche. I pazienti sono stati valutati in base ai sintomi clinici relativi ad ansia, sintomi neurovegetativi e disturbi dell’equilibrio utilizzando il seguente score: 0 assente, 1 moderato, 2 severo, al basale, dopo 30 giorni, dopo 60 e infine dopo 90 giorni. Oltre l’80% dei pazienti aveva ipertensione arteriosa, il 67% ipercolesterolemia, il 40% circa ipetrigliceridemia, mentre 15/90 pazienti avevano una storia di eventi cerebrovascolari (Tabella 1).Il 40% della popolazione ha un’anamnesi positiva per almeno quattro patologie: ipertensione arteriosa, ipercolesterolemia, diabete e cardiopatie. Un altro gruppo (5%) di pazienti presenta altre patologie che comprendono l’ipotiroidismo, la cataratta e altri disturbi visivi. Ogni paziente è stato sottoposto ad un esame otoneurologico completo, utilizzando la videoculoscopia digitale, il Video Head Impulse-Test e in casi selezionati sono stati eseguiti c-VEMP’s. Tutti i pazienti hanno eseguito uno studio neuroradiologico mediante RM nelle sequenze Spin-Echo T2 pesate, T1 pesate, FLAIR T2 pesate e pesate in DWI. Dall’analisi radiologica abbiamo rilevato il seguente numero di lesioni denominate Leukoaraiosis o White Matter Lesion Small (WMLS), che ha consentito la creazione della seguente mappa: frontale (34), parietale (20), temporale (4), occipitale (1), insula (5), centri semiovali (20), corone radiate (17), regione periventricolare (20), nuclei lenticolari (12), corpo calloso (1), capsula esterna (1), capsula interna (1), nucleo caudato (8), talamo (5), mesencefalo (2), ponte (2). Da rilevare che nello stesso paziente sono state calcolate diverse aree lesionali concomitanti. Tutti i pazienti selezionati avevano almeno una lesione della sostanza bianca (WML) ed una storia di disturbi dell’equilibrio da almeno un anno (Tabella 2).I pazienti sono stati sottoposti a trattamento con Sulodexide per os per 90 giorni. I punteggi assegnati al basale nel corso della prima visita clinica (T0) per l’ansia e i disturbi dell’equilibrio evidenziano stati di ansia grave nel 85% dei casi, mentre una sintomatologia severa (es. sintomi neurovegetativi) è stata rilevata nel 35% dei casi. L’analisi dei punteggi osservati prima e dopo il trattamento con GAG (Sulodexide) mostra differenze significative per ansia (p =

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Tabella 2. Mappatura delle White Matter Lesions nei 90 pazienti affetti da Vertigine Vascolare. Il totale delle lesioni rileva un numero maggiore in quanto alcuni pazienti erano affetti da più di una lesione cerebrale.

FATTORI DI RISCHIO N° PAZIENTI* %

Ipertensione arteriosa 73 81%

Ipercolesterolemia 60 67%

Ipertriglicideridemia 40 44%

Arteriopatia periferica (PAD) 38 42%

Patologia cardiac 35 39%

Diabete 30 33%

Eventi cerebrovascolari 15 17%

Tabella 1. Fattori di rischio cardiovascolare.

*Fattori di rischio vascolari multipli nei 90 pazienti studiati

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Vertigine nella small vessel disease (svd): correlazioni cliniche, imaging (rm) e trattamento

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0,0001) e i sintomi vestibolari (p = 0,02). In particolare, dopo 3 mesi gli stati d’ansia grave si sono ridotti al 25% dei casi studiati, mentre i disturbi vestibolari severi sono scesi al 5% dei pazienti. (Tabelle 3 e 4).In accordi con altri studi presenti in letteratura, la prevalenza delle lesioni è stata riscontrata nella decade 70-80 anni, e l’incremento anno per anno va dallo 0,2% al 0,4%, anche il volume (ml) sia delle sottocorticale sia di quelle periventricolari è più elevato nel lobo frontale, segue il lobo parietale, occipitale e temporale. Una componente ampiamente riconosciuta delle funzioni della corteccia prefrontale PFC (PreFrontal Cortex) è la memoria di lavoro. La corteccia frontale umana costituisce circa la metà di tutta la neocorteccia, è definita come l’area anteriore al solco centrale e dorsale rispetto alla scissura di Silvio e riceve proiezioni dal nucleo talamico mediodorsale. Le connessioni tra le diverse aree cerebrali nel cervello umano sono poco conosciute, sebbene sia stata effettuata da molti autori la suddivisione in aree del lobo frontale sulla base della sua citoarchitettura e della sua mieloarchitettura. Le aree frontali raggiunte quasi sempre da afferenze talamiche sono state così suddivise: opercolo frontoparietale del giro frontale inferiore, solco precentrale e corteccia prefrontale dorsolaterale. La corteccia prefrontale viene attivata in diverse circostanze, e le tecniche di visualizzazione dell’attività funzionale del cervello in vivo possono essere utilizzate anche per studiare l’attività di questa regione cerebrale in relazione alla memoria e alla percezione visiva.Studi effettuati mediante tecniche PET e fMRl hanno messo in evidenza il fatto che l’attivazione della corteccia prefrontale avviene durante lo svolgimento di compiti che coinvolgono la memoria di lavoro, nelle sue sotto componenti di memoria visuo-spaziale e verbale. L’aspetto interessante è che quest’area della corteccia interparietale è esattamente la stessa che si attiva quando un soggetto trattiene un’informazione visuo-spaziale nella working memory. Ciò consente di bloccare l’informazione e che i neuroni che codificano per quella informazione siano attivi costantemente. Se l’attività viene interrotta, scompare anche il ricordo. Diversi neuroni codificano per diverse posizioni, quindi, se ho visto qualcosa che tende a destra si attiva un certo neurone, mentre se avessi dovuto ricordare un oggetto tendente a sinistra si sarebbe attivato un altro tipo di neurone. In questo modo, i neuroni nella corteccia intraparietale creano una mappa bidimensionale della memoria. Una mappa simile si trova anche nel lobo frontale, vicino all’area che guida il movimento oculare.

Tabella 3. Variazioni dello score del sintomo Ansia, dopo 3 mesi di trattamento con Sulodexide (p<0,05).

Tabella 4. Variazioni dello score dei sintomi neurovegetativi dopo 3 mesi di trattamento con Sulodexide (p<0,05).

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Se il cervello possiede la facoltà di creare una mappa mentale è logico che attivi lo stesso meccanismo anche per rappresentare posizioni su una linea mentale, pertanto mappa e linea mentale utilizzerebbero la stessa area celebrale. Tutto ciò è in relazione con il numero di lesioni T2 riscontrate nel nostro mappaggio nel lobo frontale (34) e parietale (20). La funzione esecutiva della corteccia prefrontale è legata al controllo e alla modulazione top-down dell’attività della corteccia associativa posteriore. Hasegawa e collaboratori (1998) hanno ipotizzato che i processi di controllo top-down che hanno origine nella corteccia prefrontale potrebbero regolare il recupero delle informazioni dalla memoria a lungo termine. Questi risultati dimostrano quindi che il recupero della memoria di oggetti dalla corteccia associativa posteriore selettiva è sotto il controllo operativo della corteccia prefrontale. Vi sono neuroni che rispondono a stimoli visivi, uditivi, somatosensoriali, olfattivi e gustativi. Le risposte

dei neuroni della corteccia prefrontale a questi stimoli non stupiscono, se si considerano le connessioni convergenti che arrivano alla corteccia prefrontale dalle varie aree della corteccia, comprese le aree associative sensoriali. La corteccia prefrontale è dunque l’area associativa multimodale, in quanto riceve fibre afferenti da molte strutture corticali e sottocorticali. Alcuni autori avanzano l’ipotesi che un neurone della corteccia prefrontale possa codificare il significato comportamentale degli stimoli. Nella corteccia prefrontale è possibile elaborare separatamente l’informazione relativa all’identità degli oggetti e quella relativa alla posizione. Rao e collaboratori suggeriscono che la risposta dei neuroni della corteccia prefrontale non sia definita a priori, ma si formi in conseguenza di esigenze comportamentali. I neuroni prefrontali sensibili agli stimoli visivi rispondono non solo al patten geometrico, ma anche al significato dell’immagine visiva (Watanabe, 1986).

In conclusione lo studio dimostra la difficoltà di analizzare le interazioni funzionali tra le aree corticali, non vi sono molte osservazioni dirette delle interazioni tra la corteccia prefrontale e altre aree associative. Lo studio ha evidenziato tre strutture che cooperano nel realizzare le funzioni di codifica dello stimolo, la formazione, l’immagazzinamento e il recupero della memoria e sono la corteccia inferotemporale, il lobo temporale mediale e la corteccia prefrontale, con particolare riguardo alla memoria associativa a lungo termine. Le osservazioni neuropsicologiche sull’uomo, lo studio delle lesioni nelle scimmie e gli esperimenti di visualizzazione funzionale hanno confermato il consolidamento della memoria. Il processo di recupero della memoria si può rilevare, su scala più ampia del singolo neurone, mediante visualizzazione funzionale dell’attività del cervello umano e si è così dimostrato il coinvolgimento della corteccia prefrontale e del lobo temporale mediale. La corteccia prefrontale è un’area associativa multimodale connessa con le aree associative posteriori, infatti la corteccia inferotemporale sembra indispensabile ai fini della percezione visiva, della formazione delle immagini mentali e delle funzioni di memoria.

Lo studio rileva che la prevalenza del grado di lesione cerebrale della sostanza bianca nel lobo frontale sede della Working Memory aumenta con l’età ed è maggiore nelle donne, quest’ultimo dato potrebbe spiegare l’incidenza di demenza maggiore nel sesso femminile rispetto a quello maschile. Lo studio pone l’accento sul fatto che la corteccia prefrontale è un’area associativa multimodale che codifica il significato dello stimolo dopo l’esperienza negativa della vertigine attivando l’afferenza talamica. Oltre alla ricerca dei dati clinici-strumentali e dei fattori vascolari, è obbligo interpretare l’imaging nel contesto diagnostico otoneurologico, anche per l’elevato numero di pazienti che giungono alla nostra osservazione. Tutte le analisi statistiche riportate in letteratura sono concordi nell’affermare che la severità delle WMLD è predittiva di disabilità, in particolare le lesioni periventricolari sono predittive di un declino cognitivo, mentre quelle sottocorticali sono correlate alla sindrome ansioso-depressiva. Il nostro obiettivo è continuare a studiare le funzioni delle connessioni anatomiche di ritorno alla corteccia prefrontale. I risultati di questa indagine confermano che disturbi vestibolari e ansia sono intimamente correlati e questa relazione potrebbe

Conclusioni

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Vertigine nella small vessel disease (svd): correlazioni cliniche, imaging (rm) e trattamento

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essere spiegata dall’alta prevalenza di lesioni di sostanza bianca (WML) tra i pazienti studiati. I fattori di rischio cardiovascolari potrebbero avere un ruolo patogenetico nello sviluppo delle lesioni di sostanza bianca (WML). Inoltre i dati preliminari del trattamento con GAG (Sulodexide) indicano una strada promettente per alleviare i sintomi in pazienti vestibolari clinicamente complessi.

*(White matter lesions and vascular vertigo: clinical correlation and findings On Cranial Magnetic Resonance Imaging. P Gamba, M Pavia. European Revie w for Medical and Pharmacological Sciences. Eur Rev Med Pharmacol Sci 2016; 20 (13): 2786-2791.)

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Sulodexide nell’acufene soggettivo idiopatico: Update 2009-2018

OTONEUROLOGIA

acufene è un disturbo trasversale fra le popolazioni di diversa origine, che arriva a colpire un adulto su 10, con un decadimento della qualità di vita nel 10% dei casi. Spesso associato a ipoacusia di vario grado,

la sua gravità varia tra individui, andando dal semplice disagio alla depressione. Nonostante l’ampia prevalenza e l’impatto clinico dell’acufene, la mancanza di un’approfondita conoscenza dell’eziopatogenesi di questo disturbo limita i criteri di scelta del trattamento medico, che rimane confinato nell’area ex adiuvantibus, mentre non esiste una molecola approvata da FDA (Food and Drug Administration) o EMA (European Medicines Agency) per questo disturbo. La terapia convenzionale è indirizzata a mascherare l’acufene con stimoli acustici esterni e/o impianti cocleari. Fra le terapie testate in piccole coorti di popolazione si annoverano benzodiazepine e corticosteroidi. L’approccio psicologico comprende la terapia riabilitativa per l’acufene e la cognitiva comportamentale, che permettono di aumentare la soglia di tolleranza, ma non garantiscono una riduzione del disturbo. Le indagini condotte ad oggi sulla prevalenza di comorbidità nei pazienti con acufene soggettivo suggeriscono la causa vascolare come più probabile, potenzialmente per la sensibilità mostrata dalla stria vascularis alle alterazioni del flusso, della glicemia e dei livelli ormonali (es. disturbi in gravidanza) pur non esistendo evidenze definitive. In questo contesto eziologico incerto il trattamento farmacologico ex adiuvantibus, inizialmente mirato a ridurre il distress soprattutto da insonnia del paziente

L’ (es. melatonina), è recentemente indirizzato a migliorare la microcircolazione dell’orecchio interno con farmaci fibrinolitici ed antitrombotici. Tra le molecole più studiate per migliorare la microcircolazione dell’orecchio interno in pazienti con acufene, il sulodexide, già noto per i risultati clinici in studi su vertigine e ipoacusia di probabile origine vascolare, è stato testato per la prima volta nel 2009 dal gruppo ORL di Chieti su 102 pazienti (45 M, 57 F), trattati con melatonina e sulodexide per 80 gg. e valutati con il questionario validato THI (Tinnitus Handicap Inventory) al momento dell’arruolamento, dopo 40 giorni (T40), al termine del trattamento (T80) e al Follow up (FU), ossia dopo ulteriori 40 gg. senza terapia (T120). Nel corso dello studio era inoltre eseguito un esame clinico otologico e audiologico completo con Pure Tone Audiogram audiometria tonale liminare (PTA), Speech Discrimination Score (SDS) e Auditory evoked brainstem responses potenziali evocati uditivi (ABR), completato con Risonanza Magnetica ed eco esame doppler aortico carotideo e vertebrale

eseguiti sia all’arruolamento che al termine del periodo di FU. I risultati dello studio avevano evidenziato un miglioramento significativo dei parametri soggettivi (THI) e oggettivi (acufenometria) dell’acufene nel braccio di pazienti trattati con l’aggiunta di sulodexide, rispetto ai pazienti con sola melatonina o nel gruppo controllo (Figura 1) (Neri et al 2009). L’esperienza

con melatonina + sulodexide è stata quindi verificata nel 2015 dal gruppo di Imperia guidato dal Dr. Ferrari (Figure 2 e 3) che ha registrato un miglioramento significativo del THI e dei parametri strumentali dell’esame audiologico (acufenometria e PTA).

Le indagini condotte sulla prevalenza di comorbidità nei pazienti con acufene soggettivo suggeriscono, come maggiormente probabile, la causa vascolare

Sulodexide nell’acufene soggettivo idiopatico: Update 2009-2018

RICERCA

Giampiero NeriProfessore associato di Otorinolaringoiatria Università degli Studi di Chieti – Pescara “Gabriele D’Annunzio”

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Giampiero Neri

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Figura 1. Cambiamento parametri soggettivi (THI) e oggettivi (acufenometria) dell’acufene in pazienti trattati con sulodexide + melatonina (Gruppo A), melatonina (Gruppo B) o non trattati (Gruppo controllo) per 80 giorni e follow up (120 giorni). (Neri et al 2009)

THI: Tinnitus Handicap Inventory. Acuf: acufenometry. Pre: pre-therapy. Post: post-therapy.

THI: Tinnitus Handicap Inventory. Acuf: acufenometry. Pre: pre-therapy. Post: post-therapy.

THI: Tinnitus Handicap Inventory. Acuf: acufenometry. Pre: pre-therapy. Post: post-therapy.

*

* * **

*

*#

#

###

0-14

-12

-10

-8

-6

-4

-2

0

250 500 1000 2000 3000 4000 6000 8000

Variazione T0-T1 Variazione T1-T2

Frequenza (Hz)

Inte

nsità

(dB

HTL

)(V

aria

zion

e)

*Test di Wilcoxon (variazioni T0-T1): p<0,01. È stata applicata la correzione per i confronti multipli.# Test di Wilcoxon (variazioni T1-T2): p<0,05. È stata applicata la correzione per i contronti multipli.

015,0

25,0

35,0

45,0

Inte

nsità

(dB

HTL

)

Frequenza (Hz)

55,0

65,0

250 500 1000 2000 3000 4000 6000 8000

**Test di Friedman: p<0,001

* * **

*

* *

T0-Basale

T1-40 giorni di trattamento

T2-80 giorni di trattamento

* Test di Friedman: p<0,01

Figura 2 e 3. Cambiamento dell’intensità dell acufene e della percezione uditiva in pazienti trattati con sulodexide + melatonina per 80 gg. T0= Basale, T1= 40 gg di trattamento, T80= 80 gg di trattamento (Ferrari et al 2015)

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Sulodexide nell’acufene soggettivo idiopatico: Update 2009-2018

OTONEUROLOGIA

Figura 4

I pazienti trattati per os con sulodexide hanno ottenuto una riduzione dei punteggi THI e Mini-TQ significativamente maggiore rispetto a pazienti trattati con placebo

In questo studio il THI migliorava a fine trattamento nel 90% dei pazienti con guadagno di 4-10 db ed un miglioramento significativo delle soglie uditive ad alte e basse frequenze (Ferrari et al 2015). Sulodexide è un glicosamminoglicano (GAG) altamente purificato (80% eparina fast moving + 20% dermatansolfato), caratterizzato da un effetto anticoagulante minore rispetto all’eparina non frazionata (UHF). Sulodexide ha attività antitrombotica di parete, è impiegato in un’ampia varietà di patologie vascolari ed è promettente nella gestione dei pazienti diabetici con nefropatia. La maggior parte degli studi dimostrano che sulodexide è un farmaco ben tollerato con un rischio di eventi avversi e soprattutto emorragico molto basso (Circulation, 2015), spesso limitati a disturbi di pesantezza GI. (Coccheri et al 2014, Andreozzi et al 2015).Sulla base dei risultati di questi primi studi, è stata pubblicata una nuova indagine con sulodexide, questa volta in monoterapia, condotta in Libano su 124 pazienti con acufene soggettivo cronico (da almeno 12 mesi), secondo un disegno di studio in doppio cieco randomizzato (RCT), impiegando il questionario THI (tinnitus handicap inventory) e Mini-TQ (Mini-Tinnitus Questionnaire) recentemente validato anche per i paesi di lingua araba. Entrambi i questionari valutano l’impatto (handicap) fisico, affettivo e psicologico dell’acufene (Figura 4).I criteri di esclusione comprendevano la presenza di ipoacusia conduttiva o mista, malattia di Menière, patologie vascolari sistemiche e diabetiche, schwannoma vestibolare o tumori dell’angolo cerebellopontino (CPA), acufene pulsatile,

gravidanza e condizioni psichiatriche, oltre alla presenza di un referto audiometrico completo recente (12 mesi) e della RM all’arruolamento (Figura 5).Al momento dell’arruolamento il punteggio medio THI nel gruppo placebo era 41,3 (intervallo di confidenza al 95% [CI], 34.2-48.3) rispetto a 40.4 (IC 95%, 34.3-46.4) nel gruppo sulodexide (P = .85). Allo stesso modo, i punteggi medi Mini-TQ erano 13,4 (IC 95%, 11,8-15) e 13.6 (IC 95%, 12.4-14.8) nel placebo e sulodexide (Figura 6). I pazienti sono stati trattati per os con sulodexide 2 cps/die (63 pazienti; 33M, 30F; età media 55.8 aa.) o placebo (61 pazienti; 30M, 31F; età media 53,6 aa.)

per 40 gg., ottenendo una riduzione dei punteggi THI e Mini-TQ significativamente maggiore nel braccio di pazienti trattati con sulodexide (P = 0.03 e P 0.01, rispettivamente).In particolare nel braccio placebo è stata rilevata una riduzione non significativa sia del punteggio THI (P = 0.19), che di quello del Mini-TQ (P=0,16), mentre nel braccio sulodexide la riduzione era significativa per entrambi i questionari THI e Mini-TQ

(P<0,01). Inoltre anche la differenza dei punteggi finali (T40) fra i due bracci di pazienti risulta significativamente favorevole al gruppo sulodexide (Figura 7) sia per il THI (P=0,03) che per il Mini-TQ (p<0,01).Sotto il profilo della tollerabilità e sicurezza d’impiego, è da sottolineare che nessun paziente ha abbandonato la terapia, mentre sono stati registrati 9 casi (7,3%) di dolore epigastrico e 7 casi di stitichezza nel braccio sulodexide. Sono stati inoltre rilevati effetti anticoagulanti in 2 pazienti, 1 per il braccio placebo ed 1 nel braccio sulodexide, mentre 4 pazienti (3,2%) del gruppo placebo hanno lamentato reazioni allergiche cutanee sul placebo.

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Giampiero Neri

OTONEUROLOGIA

Figura 5 Figura 6. Abbreviations: Mini-TW, Mini-Tinnitus Questionnaire; THI, Tinnitus Inventory.

Figura 7

Assessed for eligibility (n = 150)Enrollment

Allocation

Follow-Up

Analysis

Randomized (n = 132)

Exluded (n = 18)- Not meeting inclusion criteria (n = 13)- Declined to participate (n = 5)- Other reasons (n = 0)

Sulodexide (n = 69)- Received sulodexide (n = 68)- Did not receive sulodexide (n = 0)

Lost to follow-up (dropping out) (n = 3)

Discontinued intervention (drug non-compliance (n = 2)

Analysed (n = 63)- Excluded from analysis (n = 0)

Analysed (n = 61)- Excluded from analysis (n = 0)

Lost to follow-up (dropping out) (n = 2)

Discontinued intervention (drug non-compliance (n = 1)

Placebo (n = 64)- Received placebo (n = 64)- Did not receive placebo (n = 0)

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Sulodexide nell’acufene soggettivo idiopatico: Update 2009-2018

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Nella maggior parte dei casi, l’acufene è un sintomo idiopatico cronico che non può essere misurato o rilevato in clinica. Inoltre non esistono farmaci approvati per questa indicazione, probabilmente a causa della mancanza di comprensione della sua eziologia. Due studi italiani recenti avevano già dimostrato che il trattamento con melatonina e sulodexide può ridurre in modo significativo la percezione dell’acufene rispetto al trattamento con la sola melatonina.Il presente studio ha confermato l’effetto del sulodexide in monoterapia, verificando l’effetto significativo sull’acufene percepito rispetto al placebo, secondo un disegno controllato e randomizzato. Questo risultato mostra quindi in modo convincente che il sulodexide costituisce un’opzione terapeutica praticabile in pazienti acufene soggettivo cronico e idiopatico, con un

risultato significativo sia rispetto ai punteggi THI e Mini-TQ, che rispetto al placebo, il quale non raggiunge invece il traguardo della significatività, rendendo perciò ancora più rilevante sotto il profilo clinico il risultato con sulodexide.Ulteriori studi potranno in futuro chiarire meglio quale sia l’esatto meccanismo attraverso il quale il sulodexide riduce significativamente la percezione dell’acufene, pur essendo probabile un razionale legato all’attività antinfiammatoria e antitrombotica sulla parete endoteliale, in grado di migliorare il microcircolo dell’orecchio interno ed in particolare della stria vascularis. In particolare il Sulodexide potrebbe ridurre l’infiammazione uditiva locale ed extracellulare della matrice, attraverso la riduzione della secrezione di leucociti e dell’attività della metalloproteinasi-9 (MMP-9) che degrada il collagene e la matrice extracellulare (Coccheri 2014).

Conclusioni

Bibliografia

1. G.Neri et al. Treatment of central and sensorineural tinnitus with orally administered Melatonin and Sulodexide: personal experience from a randomized controlled study. Acta Otorhinolaryngol Ital 2009;29:86-91.

2. G.Ferrari et al. Medical and surgical treatmets for tinnitus: the efficacy of combined treatment with sulodexide and melatonin J Neurosurg Sci 2015;59:1-9.

3. M. El Beaino et al. Sulodexide Monotherapy in Chronic Idiopathic Subjective Tinnitus: A Randomized Controlled Trial. Otolaryngol Head Neck Surg. 2018 Apr; doi: 10.1177/0194599818767618. [ahead of print].

4. S. Coccheri et al. Development and use of sulodexide in vascular diseases: implications for treatment. Drug Design, Development and Therapy 2014:8 49–65.

5. GM Andreozzi et al. Sulodexide for the Prevention of Recurrent Venous Thromboembolism: the Sulodexide in Secondary Prevention of Recurrent Deep Vein Thrombosis (SURVET) Study: a multicenter, randomized, double-blind, placebo-controlled trial. Circulation. 2015;132:1891–1897.

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Davide Antonio Giuliano

OTONEUROLOGIA

e turbe dell’equilibrio dell’anziano rappresentano tuttora uno degli argomenti più controversi e dibattuti in ambito otoneurologico. La ragione della sempre crescente mole di ricerche cliniche e sperimentali,

pubblicazioni, simposi e tavole rotonde incentrate su questo tema, risiede nel fatto che ancora molteplici aspetti concernenti tali affezioni non sono stati debitamente chiariti. Un primo problema riguarda la definizione eziologica del disequilibrio in età senile. Essa rimane estremamente complessa e spesso non facilmente decodificabile in quanto, nella stragrande maggioranza dei casi, non può essere ricondotta ad una patologia ben determinata o ad un singolo elemento patogenetico, ma piuttosto ad una miscellanea di fattori variamente integrati e combinati tra di loro.Tra i vari fattori, occupa una posizione di assoluto rilievo il declino multisensoriale progressivo che ineluttabilmente si appalesa con il progredire degli anni di vita (Tabella 1).Nell’anziano tutti gli organi di senso perdono la loro integrità funzionale, risultano meno attivi e meno efficienti e di conseguenza i tre sottosistemi preposti al mantenimento dell’equilibrio statico e dinamico del soma (visivo, propriocettivo e labirintico) veicolano meno informazioni destinate al processo di integrazione nevrassiale, a volte addirittura vengono trasmesse informazioni distorte e destabilizzanti. Si riduce anche la capacità del nevrasse di elaborare i segnali afferenti e di formulare comandi efferenti in maniera corretta.

L Nello studio del disequilibrio senile, il declino multisensoriale progressivo occupa una posizione di assoluto rilievo.Spesso risulta insufficiente anche la plasticità neuronale, la memoria spaziale e la capacità di adattamento posturale ad impulsi perturbanti.Non va inoltre trascurato il fatto che nel soggetto in età senile sono presenti frequentemente patologie concomitanti e comorbidità che possono inficiare ulteriormente la funzione vestibolare.La seconda questione riguarda le modalità di presentazione clinica delle patologie del sistema dell’equilibrio.In età senile le condizioni di instabilità posturale associate a dizziness, dirottamenti inconsapevoli della direzione di marcia e sensazione di barcollamento prevalgono nettamente sulle vertigini propriamente dette, siano esse soggettive o oggettive.Eppure per decenni il disequilibrio dell’anziano è stato costantemente inquadrato nel contesto delle classiche sindromi vertiginose periferiche ed attribuito ad una disfunzione del solo sottosistema

labirintico, ignorando i connotati clinico-anamnestici e strumentali desumibili da un attento approccio diagnostico al paziente.La terza e più annosa problematica rimane comunque quella relativa al trattamento da attuare in questi casi.Ormai l’esperienza maturata negli ultimi anni ci ha permesso di appurare la scarsa efficacia della tradizionale terapia farmacologica a base delle

molecole antivertiginose comunemente impiegate nella pratica ambulatoriale (vasoattivi, emoreologici, neurolettici, neurotrofici ed istaminosimili).

Il declino multisensoriale progressivo occupa una posizione di assoluto rilievo nello studio del disequilibrio senile

Modello di approccio terapeutico alle turbe dell’equilibrio dell’anziano

SPERIMENTAZIONE

Davide Antonio GiulianoUnità Operativa di OtorinolaringoiatriaOspedale degli Infermi di Biella

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Modello di approccio terapeutico alle turbe dell’equilibrio dell’anziano

OTONEUROLOGIA

TABELLA 1 - EZIOLOGIA

• Deficit multisensoriale progressivo• Patologie labirintiche• Turbe della funzione visiva• Affezioni dell’apparato muscolo-scheletrico• Patologie neurologiche• Patologie cardiovascolari• Patologie internistiche

TABELLA 2 - LA NOSTRA ESPERIENZA

• 75 pazienti osservati• Età media 71,4 ± 4,8 DS• Range 65 – 80 anni• 45 uomini• 30 donne• Follow up di 3 mesi

Analogamente la sola riabilitazione vestibolare, condotta con schemi standardizzati, omologati e non adattati alle effettive esigenze del paziente, non ha sortito esiti significativi.Il risultato finale vede pertanto il paziente anziano rassegnato a convivere con la sua instabilità che lo espone a gravi conseguenze come le cadute, l’immobilità temporanea e permanente e la successiva ospedalizzazione o ricovero presso strutture protette.È quanto mai opportuno riuscire a reperire un modello di approccio terapeutico alle turbe dell’equilibrio in età avanzata che permetta al paziente instabile di riacquisire sicurezza, autonomia di movimento e quelle minime condizioni di benessere posturale indispensabili per svolgere serenamente tutte le attività della vita quotidiana.Nella nostra esperienza di seguito riportata abbiamo formulato e applicato un modello di approccio terapeutico alle turbe dell’equilibrio in età senile in cui la terapia farmacologica con una specifica molecola si associa ad un protocollo di riabilitazione vestibolare personalizzato, cucito su misura del paziente come un abito di fine fattura sartoriale, tenendo conto dell’efficienza dei tre sottosistemi che cooperano nel determinare il controllo posturale, delle condizioni generali del soggetto in esame nonché delle performance di ogni entità anatomo-funzionale coinvolta nel mantenimento dell’equilibrio.La scelta della molecola da impiegare è caduta su un glicosoamminoglicano (Sulodexide) dotato di molteplici effetti benefici sul microcircolo e sull’endotelio dei vasi sanguiferi che, per via della sua piena affidabilità nelle patologie cocleovestibolari e della sua elevata compliance nell’anziano, è apparso come il più idoneo supporto farmacologico alle strategie riabilitative.

MATERIALI E METODISono stati reclutati 75 pazienti (età media 71,4; range 65-80 anni; 45 uomini, 30 donne – Tabella 2).I pazienti sono stati sottoposti ad anamnesi generale ed otoneurologica, visita internistica, oculistica, ortopedica, esame obiettivo otologico, prove vestibolari spontanee, esami

strumentali (Rx rachide cervicale ed ecodoppler TSA) ed infine a stabilometria tetratassica con valutazione dell’indice di stabilità iniziale STI (Sistema Tetrax).La stabilometria tetratassica è un dispositivo stabilometrico che analizza il controllo posturale del paziente prendendo in considerazione quattro punti di appoggio, rappresentati rispettivamente dalla punta e dal tallone di ciascun piede.È stato infatti dimostrato che anche nell’uomo, analogamente a quanto accade negli animali quadrupedi, probabilmente per motivi di memoria filogenetica, la stabilità posturale è affidata a ben quattro basi di appoggio.Pertanto la pedana è suddivisa in due emipedane, ciascuna delle quali è dotata di due trasduttori di pressione, uno anteriore per la punta del piede ed uno posteriore per il tallone (Figura 1).

Figura 1. Stabilometria tetratassica.

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Davide Antonio Giuliano

OTONEUROLOGIA

I trasduttori di pressione hanno il compito di trasdurre la forza peso, esercitata su di essi durante l’esecuzione dell’esame, in tensione elettrica proporzionale.Le tensioni elettriche in uscita vengono inviate al microprocessore di un computer che, attraverso una serie di procedimenti

digitali, ci fornisce un insieme di parametri fondamentali per la valutazione dell’equilibrio e del controllo posturale del paziente.L’esame va eseguito in sei posizioni, ciascuna delle quali mantenuta per circa trenta secondi: posizione di Romberg ad occhi aperti, Romberg ad occhi chiusi, Romberg ad occhi aperti con cuscino di gommapiuma sotto i piedi, Romberg ad occhi chiusi con cuscino di gommapiuma sotto i piedi, capo anteroflesso, capo retroflesso, capo ruotato a destra, capo ruotato a sinistra.I parametri elaborati dal computer alla fine dell’esame sono riportati in ordinata in un apposito grafico (Figura 2).I più importanti tra di essi sono sicuramente l’indice ST, che esprime attraverso un valore numerico l’entità del controllo posturale ostentato dal paziente durante l’esame; l’analisi

spettrale delle frequenze di oscillazione e l’indice di distribuzione del peso corporeo (WD).La frequenza F1 esprime l’entità del controllo visivo e labirintico, le frequenze F2-F4 ed F5-F6 indicano l’entità del controllo somatosensoriale e cerebellare mentre le frequenze F7-F8 non hanno alcun valore ai fini dell’analisi spettrale.L’indice WD (weight distribution) misura la percentuale di distribuzione del peso corporeo su ciascuno dei quattro trasduttori.

Sulla scorta dei dati emersi dall’anamnesi, dall’esame obiettivo e dagli esami strumentali, è stato possibile suddividere i soggetti in studio in due gruppi:

• stato di instabilità persistente (54%; 40/75);• episodi cronici ricorrenti di instabilità o vertigini oggettive

(46%; 35/75).Nei soggetti del primo gruppo l’esame stabilometrico ha documentato un prevalente deficit propriocettivo mentre in quelli del secondo gruppo si rilevava un predominante deficit labirintico.Il trattamento terapeutico consisteva nella somministrazione di un farmaco emoreologico in grado di incrementare l’efficienza del microcircolo labirintico e di migliorare la vascolarizzazione di tutti gli organi implicati nel mantenimento della stabilità posturale (sulodexide 250 ULS 1 capsula due volte al dì per un mese, poi 20 giorni al mese per due mesi) in associazione con

la riabilitazione vestibolare (una seduta tre giorni alla settimana per tre mesi).La riabilitazione vestibolare contemplava le seguenti fasi:

• Counseling con compilazione del questionario DHI (Dizziness Handicap Inventory) secondo Guidetti;

• Training personalizzato, con esercizi finalizzati al potenziamento del controllo visuo-oculomotorio e vestibolo-spinale, compiuti in struttura sotto la stretta sorveglianza dei nostri operatori (Tabelle 3 e 4);

• Home training, con esercizi compiuti dal paziente nel proprio domicilio (Tabella 5);

• Monitoraggio periodico dei risultati

Un buon assetto emoreologico ed una valida funzione endoteliale assicurano la corretta vascolarizzazione dei recettori labirintici, visivi e propriocettivi, agevolando la riabilitazione vestibolare. La molecola più adatta a tale funzione è il sulodexide.

Figura 2. Stabilometria tetratassica.

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Modello di approccio terapeutico alle turbe dell’equilibrio dell’anziano

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Il follow up è stato condotto per tre mesi con controlli ambulatoriali a cadenza mensile.Alla fine del trattamento è stato ripetuto l’esame stabilometrico con rilevamento dell’indice di stabilità a fine terapia (STF).In base al grado di normalizzazione di ST i soggetti sono stati distinti in molto responsivi (MR) (percentuale di normalizzazione di STF superiore del 50% rispetto al valore di STI), modicamente responsivi (mR, percentuale di normalizzazione di STF compresa tra 50-30% del valore di STI) e poco responsivi (pR, percentuale di normalizzazione di STF inferiore al 30% del valore di STI ).I dati sono stati esaminati con il test del chi quadrato.

RISULTATINel primo gruppo (Tabella 6) i soggetti MR erano circa il 90% (36/40), quelli mR il 7,5% (3/40) mentre i pR si attestavano intorno al 2,5% (1/40).Nel secondo gruppo (Tabella 7) invece si evidenziava un 56,9% (20/35) di soggetti MR, un 28,8% (10/35) di mR ed un 14,3% (5/35) di pR.

TABELLA 3 - RIABILITAZIONE VESTIBOLARE, TRAINING OCULOMOTORIO

• Point de mire• Ricerca di mira dopo rotazione• Evocazione di VVOR mediante monitor con mire

programmabili

TABELLA 4 - RIABILITAZIONE VESTIBOLARE, TRAINING POSTURALE STATICO-DINAMICO

• Boite statica• Boite dinamica• Marcia su percorsi memorizzati o da memorizzare• Marcia su basi destabilizzanti• Autoanalisi propriocettiva• Esercizi posturali su pedana stabilometrica

TABELLA 5 - RIABILITAZIONE VESTIBOLARE, HOME TRAINING

• Sedersi su sedie dallo schienale alto• Eliminare i tappeti o fissarli al pavimento con adesivi• Rallentare i movimenti di rotazione del capo o del collo• Evitare la flessione o l’estensione prolungata del capo• Alzarsi lentamente dal letto scomponendo il

movimento in più fasi

TABELLA 6 - RISULTATI PRIMO GRUPPO (40/75)

• MR: 90% (36/40)• mR: 7,5% (3/40)• pR: 2,5% (1/40)

p < 0,01

TABELLA 7 - RISULTATI SECONDO GRUPPO (35/75)

• MR: 56,9% (20/35)• mR: 28,8% (10/35)• pR: 14,3% (5/35)

p < 0,05

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Davide Antonio Giuliano

OTONEUROLOGIA

Il modello terapeutico da noi adottato prevede l’azione integrata della terapia farmacologica con un protocollo di riabilitazione vestibolare formulato in base alle condizioni posturali del soggetto e quindi differente da caso a caso.Il fine ultimo della terapia riabilitativa, come è noto, è quello di rieducare il sistema dell’equilibrio del paziente, permettendogli di correggere eventuali disfunzioni, di sviluppare strategie posturali statiche e dinamiche vicarianti, di potenziare la capacità di compenso centrale a deficit periferici.Diversi studi hanno sottolineato il fatto che il disequilibrio nell’anziano è ascrivibile alla coesistenza di svariati fattori eziologici e che il sottosistema propriocettivo è spesso quello maggiormente compromesso.Eppure in età avanzata le strategie riabilitative frequentemente non consentono di approdare a risultati ottimali, per via della ridotta plasticità neuronale che limita le possibilità di compenso e di riadattamento nonché dell’insufficienza circolatoria, correlata a disfunzioni endoteliali, che impedisce una esaustiva perfusione degli organi e degli apparati implicati nel mantenimento del controllo posturale.Diventa quindi, a nostro avviso, indispensabile supportare le strategie riabilitative con un’adeguata terapia farmacologica che acceleri il ripristino dell’integrità anatomo-funzionale del sistema dell’equilibrio e dei sottosistemi da cui esso dipende.Un buon assetto emoreologico ed una valida funzione endoteliale assicurano una corretta vascolarizzazione dei recettori labirintici, visivi e propriocettivi agevolando il raggiungimento di quegli obiettivi per cui la riabilitazione vestibolare è stata ideata.La molecola più adatta a svolgere tale funzione è, a nostro parere, il sulodexide.Il sulodexide agisce non solo sui fattori della cascata coagulativa e sullo smaltimento del fibrinogeno, espletando così un effetto antitrombotico, antiaggregante, profibrinolitico ed emoreologico ma anche sull’endotelio dei vasi sanguiferi proteggendolo da agenti patogeni e da fattori che ne potrebbero indurre la compromissione funzionale (Figura 3).Infatti viene espletato un effetto endotelio-protettivo attraverso l’inibizione del binding della trombina, l’incremento dell’attività degli enzimi preposti alla degradazione dei lipidi di deposito, l’inibizione della captazione delle lipoproteine VLDL, la stabilizzazione dei canali di membrana degli endoteliociti con regolazione degli scambi tra compartimento intra ed extra-cellulare.

Si ritiene inoltre che il sulodexide sia anche dotato di proprietà anti-infiammatorie in quanto interverrebbe nella modulazione della sintesi di alcune citochine flogogene come IL-4 ed IL-6.La sinergia di tutte queste azioni farmacologiche esita nel miglioramento della funzione circolatoria, delle condizioni emoreologiche generali e dell’omeostasi cocleovestibolare, visiva e propriocettiva.I risultati della nostra esperienza attestano, seppure nell’esiguità del campione, che l’associazione tra terapia farmacologica con sulodexide e riabilitazione vestibolare personalizzata, rappresenta una valida opzione di trattamento delle turbe dell’equilibrio dell’anziano.I migliori risultati sono stati evidenziati nel primo gruppo, ovvero nel gruppo che all’esame stabilometrico tetratassico ostentava una prevalente compromissione del sottosistema propriocettivo.Questa osservazione potrebbe essere imputata al fatto che nel soggetto anziano la rete neuronale che fa capo al sottosistema propriocettivo presenta una più rapida capacità di recupero rispetto a quella che si integra con il sottosistema labirintico.Ad ogni modo quest’ultima considerazione merita ulteriori verifiche ed approfondimenti che ci proponiamo di effettuare in futuro.

Conclusioni

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Modello di approccio terapeutico alle turbe dell’equilibrio dell’anziano

OTONEUROLOGIA

Figura 3. Terapia farmacologica con SULODEXIDE.

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