RICCARDO MUTI INAUGURA IL NUOVO...

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MUSIC @ CONSERVATORIO ‘ALFREDO CASELLA’ L’AQUILA. WWW.CONSAQ.IT RICCARDO MUTI INAUGURA IL NUOVO “CASELLA” N.17 BIMESTRALE ANNO V MARZO-APRILE 2010 Diego Matheuz: nuova giovane bacchetta dal Venezuela Tutta la musica di Nino Rota: dossier di Nicola Scardicchio Razzi, Vidolin, Bernardini sulla crisi della musica in Italia Amarcord Scarlattiano di Roberto Pagano Lucchesini per i 90 anni di Farulli I nuovi Licei musicali partono con il piede sbagliato? Callas-Serafin in mostra

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MUSIC@

CONSERVATORIO ‘ALFREDO CASELLA’ L’AQUILA. WWW.CONSAQ.IT

RICCARDO MUTI

INAUGURA

IL NUOVO “CASELLA”

N.17 BIMESTRALE ANNO V MARZO-APRILE 2010

Diego Matheuz: nuova giovane bacchetta dal

Venezuela Tutta la musica di Nino Rota:

dossier di Nicola Scardicchio Razzi, Vidolin,

Bernardini sulla crisi della musica in Italia

Amarcord Scarlattiano di Roberto Pagano

Lucchesini per i 90 anni di Farulli I nuovi Licei

musicali partono con il piede sbagliato?

Callas-Serafin in mostra

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Si avvia ad una positiva conclusione la complicata vicenda dell’Auditorium progettato dal-

l’Arch. Shigeru Ban e finanziato dal Governo Giapponese quale aiuto al mondo musicale

aquilano colpito dal terremoto del 6 aprile 2009. Dopo l’annuncio dell’Ambasciatore del

Giappone, Ando, fatto in occasione dell’inaugurazione della sede temporanea del Conserva-

torio il 22 dicembre 2009, il 18 gennaio 2010 è stato siglato l’accordo tra il Governo Giap-

ponese, Protezione Civile, Provincia dell’Aquila, Comune dell’Aquila, Conservatorio Casella

e Facoltà di Ingegneria dell’Aquila, per la realizzazione dell’Auditorium nella zona subito a

valle del Conservatorio. Si tratta di una struttura che potrà ospitare 300 spettatori - diretta-

mente collegata al Casella - che sarà messa al servizio di tutta la città e, in particolare, delle

Istituzioni culturali aquilane che avranno necessità di spazi dove poter svolgere la propria

attività. L’Auditorium va a completare idealmente l’edificio del Conservatorio e, nelle inten-

zioni di tutti, oltre che costituire un punto di riferimento per le attività artistiche cittadine,

dovrebbe trasformarsi anche in luogo di aggregazione e di socializzazione in particolare tra

i giovani della città.

E’ intenzione del Conservatorio favorire la nascita di una cooperativa di gestione dell’Audi-

torium formata da ex alunni del Casella e delle altre Istituzioni formative aquilane, affinché

tale struttura possa trasformarsi anche in un’occasione di lavoro per i giovani che abbiano

voglia di cimentarsi nell’ambito del management culturale.

L’Auditorium, secondo quanto previsto nell’accordo, dovrebbe essere completato entro la

primavera del 2010.

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22 DICEMBRE 2009

INAUGURAzIONE

DEL

“CASELLA”Foto di Ludovica Carioti

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S O M M A R I O

22 dicembre 2009Muti inaugura il nuovo “Casella” Immagini

Vi racconto l’emozione di quel giornodi Pietro Acquafredda

MostreCallas-Serafin La “divina” e il suo maestrodi Bruno Tosi

Interviste. 1Diego Matheuz a cura della redazione

Anniversario ScarlattiRomanzo di un romanzoAmarcord scarlattiano (I)di Roberto Pagano

CompleanniFarulli compie 90 annidi Andrea Lucchesini

Fogli d’AlbumMuti attendiamodi Bastiano

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DossierNino Rota e tutta la sua musicadi Nicola Scardicchio

Interviste.2Nino Rota. Il mio amico magicoIntervista a Federico Fellini (1979)di P. A.

ForumIstantanee dalla crisi della musica italianaInterventi di Nicola Bernardini,Alfonso Borrone, Andrea Corazziari, Antonio Doro, CiroLongobardi Fausto Razzi, ItaloVescovo, Alvise Vidolin

DocumentiLicei musicali in arrivodi Bruno Carioti

OMNIBUSAppelli, Libri, Arcus spa, Giornali

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Music@ N.17 Bimestrale - Anno V Marzo-Aprile 2010

Direttore: Pietro Acquafredda.Progetto grafico e impaginazione: Barbara Pre.Versione online: Alessio Gabriele.Stampa: GTE - Gruppo Tipografico Editoriale - L’Aquila.

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Riccardo Muti e Bruno Carioti, Direttore del “Casella”

Bruno Carioti con l’Ambasciatore Giapponese

Muti, Nastasi, Carioti, Tordera, Pezzopane, Bertolaso

Foto di gruppo con Muti e Bertolaso

22 DICEMBRE 2009

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Bruno Carioti con Rinaldo Tordera, Presidente del “Casella”

Muti, Tordera, Carioti e, in secondo piano,Massimo Cialente, Sindaco dell’Aquila

Due allieve del “Casella” in un’aula

INAUGURAZIONE DEL “CASELLA”

Foto di Ludovica Carioti--> sommario

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L’appuntamento era per le ore 12 del 22 dicembre 2009. Cel’avevamo fatta - ci veniva da dire, anche se noi non ave-

vamo fatto molto. Semmai, ce l’aveva fatta la Protezione Ci-vile ed anche la Ditta che s’era aggiudicata l’appalto per lacostruzione della nuova sede ‘provvisoria’ del Casella, in lo-calità Colle Sapone, e che consegnava la costruzione dopopoco più di un mese di frenetico lavoro, notte e giorno. Il 22dicembre 2009 alle ore 12 si inaugurava il nuovo Conservato-rio che negli allievi come nei docenti, ma anche nei semplicicittadini, riaccendeva un lume di speranza sul futuro, anchemusicale, dell’Aquila, messa a terra dal terremoto. Certo lacittà storica é ancora tutta impacchettata, la vita nei suoi pa-lazzi, nelle sue piazze, nelle chiese, per le strade s’è fermataalle 3.32 del tragico 6 aprile - una data che tutti vorremmonon fosse mai esistita, anzi fosse cancellata dal calendario ;eppure, quella stessa città poteva ora contare su un complessoarchitettonico di rilievo come è il nuovo Conservatorio( co-struzione antisismica con 40 aule ben insonorizzate, biblio-teca, auditorium,uffici, servizi magazzini, una caveaall’aperto) tirato su nel giro di poco più di un mese. Funzio-nale ed efficiente come nessuna delle sedi precedenti nellequali aveva trovato ospitalità il Conservatorio, nei suoi qua-rant’anni di vita. L’attesa, comunque - pari solo alla scommessa della riuscitanell’impresa, che si presentava abbastanza ardua in una cittàdalle condizioni meteo invernali non felicissime e dalla situa-zione generale drammatica - durava da quando erano partiti ilavori, e cioè dalla fine di ottobre. Il conto alla rovescia,giorno dopo giorno, non si era mai arrestato. Non nascon-diamo che, settimana dopo settimana, un salto a Colle Saponelo abbiamo sempre fatto, per controllare l’avanzamento dei la-vori, anche se non avevamo nessun titolo per farlo. A lavoriterminati, e dopo aver trasferito strumenti, documenti e libridal vecchio malandato Conservatorio di Collemaggio, tutto erapronto per l’inaugurazione ufficiale; si attendeva solo laconferma di Muti, il quale aveva, finalmente, dichiarato la suadisponibilità per il 22. Ma noi, anche allora, non eravamo an-cora sicuri, tanto l’impresa ci sembrava impossibile. Alla finedel suo concerto in Senato con l’amatissima Cherubini, duegiorni prima della data fissata per l’inaugurazione del Conser-vatorio, avvicinammo il direttore per salutarlo e chiedergli

della presenza aquilana. Ci lesse nel pensiero e ci disse, primaancora che glielo chiedessimo: ci vediamo il 22 a L’Aquila.Ora ci siamo!Quella mattina naturalmente si respirava aria di festa. Si vo-leva anche esorcizzare il dolore, le lacrime e la paura del ter-remoto. Ad attendere gli ospiti illustri ( Bertolaso,Ambasciatore giapponese, Sindaco, Presidente della Provin-cia, Arcivescovo e Vescovo ausiliare, Prefetto ) c’era tutto ilConservatorio, insegnanti, allievi, ma anche genitori ed ex al-lievi, capitanati dal direttore, Carioti, e dal presidente, Tordera,ai quali va un ringraziamento speciale, perchè senza di loroforse il Conservatorio non sarebbe mai sorto.Muti si è fatto attendere, facendoci ancora trepidare, anche seil Conservatorio era ormai lì sotto i nostri occhi. Alle 14, final-mente, è arrivato ( direttamente da Bari dove la sera primaaveva diretto al Petruzzelli). Lo accompagnavano sua moglieCristina, e il direttore generale dello Spettacolo Nastasi. Lo haaccolto una brillante fanfara di ottoni con la celebre ‘toccata’dell’Orfeo di Monteverdi, meritandosi i complimenti del cele-bre direttore per la perfetta intonazione. Poi i discorsi ufficialie la visita al Conservatorio. Muti s’è fermato in alcune aule,nella biblioteca, e nell’aula di ‘percussioni’ dove ha ‘diretto’Bertolaso e Pezzopane che, inesperti totali, per poco nonsfondavano i timpani, ai quali hanno inferto con arnesi impro-pri colpi micidiali, per la gioia di fotografi e operatori tv ; enell’Auditorium dove si era organizzata una festa musicale econviviale. Infine le foto di rito e la promessa: appena possi-bile - ha detto Muti pubblicamente - tornerò all’Aquila. Vogliofare musica con un’orchestra formata da allievi del Conserva-torio. Siamo certi che lo farà, come ha già fatto in quelle cin-que indimenticabili giornate di settembre 2009; e che lo faràprima che passino molti mesi. Ai primi di febbraio, nel corso di una commovente cerimo-nia, è stata ufficialmente intitolata la Biblioteca del Conserva-torio a Susanna Pezzopane, la nostra allieva, sedicenne,vittima del terremoto; erano presenti, oltre il Presidente dellaProvincia, i genitori di Susanna, che hanno voluto lanciare atutti un messaggio: “ non distruggete la passione per la musicadi tutti i giovani che verranno a studiare in questo edificio”.Per noi sarà un impegno, in ricordo di Susanna, che frequen-tava con entusiasmo e profitto il Conservatorio. (P.A.)

22 dicembre 2009. Riccardo Muti inaugura il nuovo ‘Casella’

VI RACCONTO NON UN GIORNO qUALUNqUE

PER NATALINA

Avevo chiesto al direttore Macarini un aiuto per la Biblioteca e arrivò Natalina. Veniva dal manicomio (effetto diaspora Basa-glia?) e era infermiera. Poco adatta, pensai, a una biblioteca di Conservatorio. Ma fu subito chiaro che era un gendarme. Prese

in poco tempo le redini di ogni cosa e organizzò il viavai degli studenti, il prestito e soprattutto la restituzione dei libri con implaca-bile fermezza. Era abbastanza dura anche con me: nessuna deferenza oltre quella richiesta dai ruoli; borbottii tanti. Fu però un fuocodi paglia, diventammo amici. Si allargò ben presto e prese a gestire un piccolo bar per la colazione degli studenti e nostra. E quandoc’era bisogno di un’iniezione interveniva professionalmente e con mano leggera (“Si fa una croce sul gluteo deputato e si ficca l’agonel quadrante esterno superiore”): alcuni di noi diventammo suoi pazienti. Raccontava di sé, della sua vita sentimentale, dei progettimatrimoniali che non andavano mai in porto. Io mi fidavo di lei e avevo ragione. La biblioteca del Casella, che avevo avviato conl’utopica sicurezza che i frequentatori avrebbero riconsegnato i libri presi in prestito senza scheda e senza malleveria, come si fa infamiglia, irreggimentata da Natalina non conobbe più furti né distrazioni di scadenze. Non c’era un granello di polvere in quel bel-lissimo chiostro sigillato da vetri pulitissimi in che viveva la biblioteca (da quei vetri, quando nevicava, si vedeva accumularsi la nevea vista d’occhio intorno e sopra il solitario ciliegio del cortile). Gran donna, Natalina, implacabile e tenera. E mi fa piacere ricor-darla a distanza di oltre quarant’anni e vederla come fosse adesso.

Michelangelo Zurletti

* Natalina , ricordata con affetto da Michelangelo Zurletti, ha lavorato nella Biblioteca del Conservatorio per molti anni. Datempo in pensione, si è spenta ai primi di febbraio di quest’anno.

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IL PRIMO INCONTRO NELLA ‘COPPA DI PIETRA’

Tullio Serafin fu il suo maestro adorato ed ascoltato, ma il primo, vero scopritoredi Maria Kallas - come allora si chiamava - fu il direttore Sergio Failoni che la co-nobbe a New York e la segnalò a Giovanni Zenatello, per l’opera di Ponchielli.

Una mostra nel paese natale di Tullio Serafin.di Bruno Tosi

Callas-Serafin: la ‘Divina’ ed il suo maestro

Non doveva essere Tullio Serafin il direttore diGioconda all’Arena di Verona, l’opera che

avrebbe segnato, nel 1947, il debutto in Italia diMaria Callas, o meglio Maria Kallas, come venne

presentata colei che sarebbe divenuta la ‘Divina’al suo esordio nella patria del belcanto. Doveva sa-lire sul podio nella ‘Coppa di Pietra’, come poeti-camente veniva definito l’anfiteatro romano, che

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lei dedicandole buoni elogi, corrispondenti al vivoconsenso espresso dal pubblico.Il rapporto fra il soprano e il maestro è documen-tato da numerose foto e in particolare da un pre-ziosissimo e storico carteggio che fa parte dellacollezione dell’Associazione Callas che ho l’onoredi presiedere. Nel 2007 ho avuto la fortuna dipoter acquistare da Sotheby’s, a Milano, ben 44lotti, praticamente l’intero archivio di Maria Cal-las, comprendente la corrispondenza con Serafin etutte le critiche dal 1947 agli anni Sessanta. Tantodurò la collaborazione del più famoso soprano delnostro tempo e forse di tutti i tempi con il ‘Pa-

triarca del Melo-dramma’, comevenne giusta-mente definitoSerafin, nato nel1878 e scom-parso nel 1968,dopo ben 66 annidi carriera, co-minciata allaScala, come assi-stente e poi suc-cessore diToscanini, comedirettore stabile epoi continuatanel mondo, inmodo particolarenegli Stati Uniti.

In teatro ha diretto Maria innumerevoli volte : dallaGioconda a Verona e Tristano a Venezia (1947)alla Norma di Epidauro (1960). Diresse la suaprima Norma, la sua prima Traviata, e Puritanialla Fenice, quando la giovane primadonna sostituìnel 1949 Margherita Carosio, pochi giorni dopoValchiria, sorprendendo tutti per l’accostamentoapparentemente impossibile delle due opere e im-ponendosi clamorosamente. Serafin vide giusto e siimpose così il soprano” drammatico d’agilità “ chetutti di nuovo attendevano nel mondo dell’opera.Serafin tenne a battesimo la Callas anche discogra-ficamente, cominciando nel 1953 con due recitaloperistici che fecero grande scalpore (in modo par-ticolare il ‘Tutto Puccini’) e nelle 13 opere com-plete, spesso in coppia con Di Stefano, per laColumbia. Da non dimenticare che la Callas nonfu l’unica sua scoperta; nei primi decenni del No-vecento a New York , i mostri sacri Enrico Carusoe Rosa Ponselle, dovettero a Serafin il primo lan-cio verso la luminosa carriera. Carriere davveromitiche.

nel 1913 si trasform in palcoscenico lirico digrande suggestione, il maestro veronese SergioFailoni - famoso per la sua rivalità con Arturo To-scanini - che, l’anno precedente, aveva direttoAida e Traviata, le due opere in cartellone nel-l’Arena, che riprendeva l’attività dopo la forzatachiusura bellica. Fu Failoni in realtà lo scopritore della Callas.L’aveva conosciuta a New York e, dopo averlaascoltata, la propose a Giovanni Zenatello perl’opera di Ponchielli. Maria era tornata nella suacittà natale nel 1946 da Atene, dove aveva studiatocanto con la De Hidalgo divenendo la giovane pri-madonna più ap-prezzata inGrecia. Ma NewYork fu per leiuna patria ingrata: il Metropolitan,dopo un’audi-zione non la scrit-turò, come lagiovane artistasperava, per Ma-dama Butterfly eper sopravviverelavorò per moltimesi proprio incasa Failoni,come baby sitterdella figliolettadel direttore, Do-natella, ora nota pianista a Budapest. L’episodionon è noto, ma le cose andarono così, alla vigiliadella prima sospirata scrittura che doveva cambiarela sua vita di artista e di donna. Nell’estate 1947 ilmaestro Failoni fu colpito da ictus e Tullio Sera-fin prese il suo posto all’Arena di Verona. Alla finedi giugno del 1947, la Callas arrivò in Italia con unfamoso collega, il tenore americano Richard Tuc-ker, il vero trionfatore in Gioconda. La Callas,nella recita del 2 agosto, ebbe un successo discretoma non l’esito sperato; per fortuna le giunse unaprovvidenziale scrittura per Tristano e Isotta allaFenice di Venezia. La sera del suo arrivo a Verona, a fine giugno, ilmaestro Serafin le presentò il futuro marito, Gio-vanni Battista Meneghini, che la sostenne e le fuvicino nei primi anni di carriera . Il capolavoro diWagner andò in scena a fine dicembre dello stessoanno, in vista di tale impegno, in ottobre, la can-tante si recò a Roma per studiare il personaggio diIsotta con Serafin. Alla Fenice la sua interpreta-zione fu molto apprezzata; la critica si accorse di

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Tullio Serafin è nato a Rottanova di Cavarzere, e,giustamente, da pochi mesi nella sua terra d’ori-gine gli è stato dedicato e intitolato un teatro, ilvecchio ‘Comunale’ di Cavarzere che ora è il “Tea-tro Tullio Serafin”. Il maestro riposa nel cimiterodi Rottanova, dove ha visto la luce. I primi contatticon la musica a sette anni ad Adria, con il violino.Per celebrare il grande direttore ,veneto nel foyerdel “suo” teatro , a cura dell’Associazione MariaCallas, è stata allestita una mostra, in collabora-zione con l’Amministrazione Comunale e l’Asses-sorato alla Cultura di Cavarzere, dal titolo “LADIVINA E IL SUO MENTORE”. Il materialeesposto, di straordinario interesse, è in buona parteinedito. L’ esposizione è rimasta aperta fino a tutto feb-braio, ma nei prossimi mesi sarà visibile ancora inItalia e all’estero. Della Divina sono esposti co-stumi, gioielli di scena, programmi di sala, mani-festi, immagini, critiche, materiale in grado dievidenziare i trionfi vissuti assieme con il maestroSerafin. Per la prima volta viene esposta la foto delMaestro con una significativa dedica :“A Maria Callas in Meneghini - voce unica - Arti-sta che sa dare tutte le emozioni. Creatura a meparticolarmente cara che ha affrontato tutte le diffi-coltà, le lotte per la carriera artistica con la fedesoltanto in se stessa, nel suo valore. Con l’affettodi sempre Tullio Serafin, Roma 1954”. Il ritratto di Serafin, la Callas l’aveva posto in unapreziosa cornice d’argento e messo in in primopiano sul pianoforte, in tutte le sue abitazioni, daMilano e Parigi, e conservato sempre gelosa-mente.Vi è poi esposto anche uno straordinariodocumento, datato 20 agosto 1947, subito dopo ildebutto di Maria in Gioconda all’Arena di Verona.E’ una lettera indirizzata a Emma Molaioli che ilmaestro scelse e propose come maestra alla Callasperché la rendesse “tutta italiana” in tutto il regi-stro, in tutti i momenti. Nella lettera, affidata allemani della stessa Callas, il maestro fa l’analisidella vocalità della cantante ventitreenne, che defi-nisce di straordinarie possibilità: “la voce che tuttiattendevamo”. Ecco il testo integrale, inedito : “Cara Signora Emma, la porgitrice della presente èla signorina Kallas - una giova artista americanache ha interpretato il personaggio di Gioconda al-l’Arena, riscuotendo un grande successo.Come si convincerà, e Ella potrà convincersi, lasignorina Kallas è in possesso di una voce vera-mente eccezionale che ha tutte le possibilità per af-frontare le più difficili esecuzioni. Suoni forti - potenti - pianissimi facili e dolci - agi-

lità naturale.Una sola cosa le manca : ha bisogno di essere tuttaitaliana - in tutto il registro, in tutti i momenti.Questo ancora le manca a causa di qualche vocalenon tutta nostra.Penso che una sola persona può farle ottenere que-sta uguaglianza : la signora Molaioli.L’ascolti e dica tutto il suo parere alla signorinaKallas e all’amico mio che l’accompagna, ilCav.Meneghini.Ho la convinzione che ottenuto questo piccolo per-fezionamento, diciamo così nazionale, avremo l’ar-tista che da tempo cerchiamo. (Tullio Serafin. VillaLa Topaia 15 – Castello (Firenze)Maria Callas, in seguito, con il marito decise di la-vorare, per la preparazione delle opere, con Ferruc-cio Cusinati, maestro del coro dell’Arena di Veronae abilissimo pianista, anche perché la signora Mo-laioli viveva a Milano. Ci resta però questo pre-ziosismo documento : la diagnosi della voce diMaria Callas ventitreenne fatta dal suo Mentore,l’esperto e attentissimo Tullio Serafin.Per Serafin, così come per la sua maestra Elvira deHidalgo, Maria Callas ha sempre mantenuto un ri-spetto totale e una grande riconoscenza, come simeritavano gli artefici della sua crescita artistica.Del suo Maestro ha parlato a lungo nell’interessan-tissima trasmissione televisiva del 1968 : una lun-ghissima conversazione-intervista con LordHarewood alla Tv inglese. Harewood fu il primogrande ammiratore di Maria che ascoltò nella Gio-conda di Verona. In mostra c’è anche una foto in camerino: l’unicaimmagine con il costume della protagonista del-l’opera di Ponchielli . Cosìsi espresse Maria Callassu Tullio Serafin:“Da Serafin ho imparato che bi-sogna servire la musica, perché la musica è im-mensa e può coinvolgerti in una specie di statod’ansia perenne, di angoscia. Ed è il nostro primo eprincipale dovere. Lui trovava sempre una spiega-zione a qualsiasi cosa.Una volta il maestro Serafin mi disse una cosa chemi ha particolarmente impressionato :quando sivuole trovare un gesto, quando si ricerca il migliormodo di muoversi in scena, l’unica cosa da fare èascoltare la musica. Il compositore ha già trovato,ha già previsto tutto. Chi si prende cura di ascoltare veramente, conl’animo e con le orecchie - dico animo e orecchie,perché la mente deve agire, ma non troppo - vi tro-verà ogni gesto”. @

*Bruno Tosi è presidente

dell’Associazione Maria Callas.

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Non credi ai tuoi occhi quando vedi per laprima volta sul podio Diego Matheuz, diret-

tore d’orchestra venticinquenne, ultimo preziosofrutto del vivaio musicale venezuelano messo inpiedi da José Antonio Abreu - ma che aspettano adargli il Nobel per la pace? - e portato in palmo dimano da Claudio Abbado. Perché Diego Matheuz - udite udite - somiglia tan-tissimo al grande Sergiu Celibidache, il più ge-niale, sebbene irregolare, fra i grandi direttori delNovecento. Stessa faccia aperta, stessi capelli cor-vini, stessa fronte alta, stesso sorriso smagliante,stessi occhi profondi, due gocce d’acqua. Probabilmente di Celibidache, che appartiene allagenerazione del suo maestro Abreu, il giovaneDiego conosce appena il nome, non ha mai vistouno dei rari video in circolazione che lo riprendono

negli ultimi anni di attività, ma se la somiglianzafisica prelude a quella artistica, anche per DiegoMatheuz si prospetta un grande futuro. Che è giàcominciato. Oggi è ‘direttore ospite principale’della Orchestra Mozart, per volere di Abbado, ilquale gli ha dato pubblica investitura e benedi-zione lo scorso novembre, quando l’ha chiamato asostituirlo, causa malattia, in un concerto della Mo-zart, a Parma.“In effetti Claudio - lo chiamano così tutti: Har-ding, Dudamel ed ora Matheuz, questi giovanis-simi direttori che lui ha preso sotto le sue aliprotettive e li ha lanciati - non stava male, era solostanco, tant’è che poi l’indomani siamo andatinella sua casa in Sardegna”.Non è stato un gesto programmato?

No, comunque un bellissimo gesto di cui gli sono

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Sistema Abreu - 11

grato. Claudio è sempre stato per me, come per

tutti noi, figli del ‘Sistema Abreu’, un maestro di

vita, oltre che un grande musicista. Lui passa da

noi alcuni mesi l’anno, quelli freddi - ora, infatti, è

lì- e lavora ad un ritmo impressionante: tre o quat-

tro concerti, una settimana di prove giornaliere

prima di ciascun concerto e poi una settimana di ri-

poso. Senza di lui, il Venezuela non sarebbe cono-

sciuto nel mondo.

E già che i governanti e le condizione generali

non fanno fare una bella figura al Venezuela.

Il ‘Sistema’ è la realtà più famosa del Venezuela

dopo Chavez. E la musica è la più bella ed interes-

sante cartolina del Venezuela nel mondo. Io non mi

occupo di politica, faccio il musicista. Se posso,

però, voglio dire che anche questo governo appog-

gia finanziariamente il cosiddetto ‘Sistema

Diego Matheuz

Dal Venezuela un altro giovane

direttore

Diego:

il mio amico

gustavo,

clauDio, abreu

Ha debuttato a Roma, nella stagione

sinfonica dell’Accademia di Santa Ceci-

lia, il nuovo pupillo di Abbado, allievo

di José Antonio Abreu, ed amico fra-

terno di Gustavo Dudamel.

Che ha una curiosa somiglianza fisica

con Sergiu Celibidache, da giovane.

Lo abbiamo incontrato

a cura della redazione

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12 - Sistema Abreu

strumento o cantano ( è di questi giorni la bellis-sima notizia che è stato assegnato il Premio No-nino al Coro delle ‘Manos Blancas’, un coro dibambini e ragazzi sordomuti, che fanno musicamuovendo a ritmo le mani con guanti bianchi; uncoro che ha fatto piangere Claudio Abbado, manon solo lui. ndr.)Nel concerto a Santa Cecilia dirige Beethoven

(la ‘Settima sinfonia’ e ‘Leonora’ n.3) e Mozart

(‘Concerto per clarinetto’ K 622, solista Ales-

sandro Carbonare). Un repertorio da far tre-

mare i polsi. Un tempo questo era il repertorio

dei direttori ‘arrivati’ e maturi non dei ‘princi-

pianti’, giovincelli. Lei, invece, è tranquillo?

Sono tranquillo nel senso che lavoro con responsa-bilità e senza entrare nel pallone. Ho un vantag-gio, anche se la giovane età avrebbe potuto

Abreu’ - Sistema delle Orchestra infantili e giova-nili del Venezuela’, un esercito di quasi duecento-cinquantamila ragazzi armati di violini, trombe,oboi, clarinetti. Con la musica si può cambiaretutto, vedere bambini che suonano per le strade èun bel segno di cambiamento.E il maestro Abreu come se la passa? Quando è

venuto l’ultima volta in Italia?

Abreu sta benissimo. Lavora ogni giorno come unodi noi . Sa che ora il nostro ‘Sistema’ ha invasoaltre nazioni del Sudamerica e, da poco, è sbarcatoanche in Canada? L’ultimo suo viaggio in Italia, loscorso autunno, quando ha accompagnato la‘Simon Bolivar’ a Milano (Scala).Quando ha avuto il primo contatto con tale si-

stema che è in piedi dal 1975, quarant’anni di

vita?

La prima lezione in Conservatorio, in uno deitanti Conservatori venezuelani, rappresenta ilprimo contatto con il ‘Sistema’; perché tutti i Con-servatori appartengono al Sistema. Anche fuori daiConservatori, la musica in Venezuela si chiama‘Sistema’. Vengo da una famiglia dove la musica èdi casa. Ma il primo contatto ufficiale con il ‘Si-stema’ l’hop avuto quando sono entrato per stu-diare violino nel Conservatorio della mia cittàBarquisimeto ( la città in cui è nato anche Duda-mel, ndr.), la capitale ‘musicale’ del Venezuela. ABarquisimeto suonano tutti, magari qualcuno safare solo quattro accordi, ma tutti suonano uno

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consigliarmi di rimandare al domani un reperto-rio così impegnativo. Ho suonato nella ‘SimonBolivar’ per 15 anni, negli ultimi anni anchecome spalla, e perciò ho fatto il grande reperto-rio infinite volte. E posso dire di conoscerlo.Ho ascoltato e visto tanti direttori . Abreu, moltevolte ci faceva lezione di direzione d’orchestramostrandoci dei video, sui quali eravamo chia-mati a ragionare., Ricordo una ‘Quarta’ di Ciai-kovskij, diretta da Karajan con i Berliner. Ecco,ci diceva , dove dobbiamo arrivare. Non vogliocon questo dire che conosco alla perfezione Bee-thoven o Mozart. No, e infatti non smetto di stu-diare. Ma posso dire in tutta sincerità che oggido il meglio che posso, domani forse sarà tutta-’altra cosa.C’è una qualità della Simon Bolivar che è

una esclusiva della celebnre orchestra venezue-

lana?

L’energia. Non l’ha nessun altra orchestra almondo. Mi dica, conosce un ‘altra orchestra, anchefra quelle famose, che ha la stessa energia dellaSimon Bolivar?Come nasce la Bolivar? Quando?

Prima dell’impianto del ‘Sistema Abreu’, in Vene-zuela esisteva la ‘Sinfonica venezuelana’, un’or-chestra fatta quasi esclusivamente di stranieri,anche europei, giunti in Venezuela dopo la guerra.Io assieme a tanti altri ragazzi sono venuto in Eu-ropa la prima volta nel 1997 ( Berlino, Milano,Roma, Parigi). Allora la nostra orchestra si chia-mava ‘Orchestra infantile del Venezuela’. Poisiamo cresciuti in età ed anche in esperienza e l’or-chestra è diventata ‘Orchestra Giovanile del Vene-

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14 - Sistema Abreu

zuela’; successivamente è nata l’ Orchestra‘SimonBolivar’.Mi dica se le piace il paragone e se si ritrova in

esso. Se Lei e Dudamel foste dei violini d’autore,

il suo amico Gustavo sarebbe uno Stradivari e

Lei un Guarnieri del Gesù. Brillante il suo

amico, pensoso Lei. Qualche critico ha già fatto

cenno alle vostre differenti personalità artisti-

che.

Non so dirle. Sono sembrato più pensoso, rifles-sivo? Forse sì, ma anch’io so essere brillante,come Gustavo, credo, sa essere riflessivo.Sa che in queste ultime settimane si dice di un

futuro, non tanto lontano arrivo di Dudamel

alla Scala, in alternativa a Pappano, che sembra

il candidato ideale?

Gustavo è un genio. Sa rigenerarsi in qualunque

occasione. E’ imprevedibile. Certo Pappano è piùcompetente in materia e, perciò, il candidatoideale. Ma, chissà, anche Dudamel potrebbe diven-tarlo. Come è cambiata la sua vita, per effetto del suc-

cesso internazionale, in paesi lontani dal suo?

Sono cambiati anche i rapporti con parenti ed

amici? Lei è ancora un ragazzo, venticinque

anni, e da almeno tre gira il mondo.

Il tempo per la vita è sempre pochissimo. A malapena basta per il lavoro, per la musica. Quandotorno a casa passo le giornate all’aria aperta, vadoal mare, incontro gli amici, mi piace fare il barbe-cue, a casa dei miei genitori, mi piace cucinare.Certo mi manca la famiglia, quando sono in giro.Ma con mia madre ci parliamo ogni giorno, e gra-zie all’elettronica, possiamo anche vederci. @

VENEZUELA:IL PAESE DOVE FIORISCE LA MUSICA.

E IN ITALIA SFIORISCE

L'Italia ha abdicato alla sua storia culturale, e musicale in particolare, a causa di una concezione ge-nerale della cultura che non riguarda solo i politici di oggi, ma è una storia lunga nel tempo.

Noi italiani abbiamo dimenticato che la musica non è solo intrattenimento, ma è una necessità dellospirito. Questo è grave perché significa spezzare delle radici importanti della nostra storia. In alcune trasmissioni televisive la musica e soprattutto l'opera lirica, vengono presentate come coseobsolete. Così si respingono i giovani invece di interessarli. In Cina, dove sono appena stato per diri-gere l'orchestra di Shanghai, stanno puntando molto sulla musica occidentale, preparando i giovanimusicisti i quali studiano nei conservatori occidentali e poi tornano in Cina per suonare nelle loro or-chestre. I cinesi costruiscono nuove sale da concerto e scommettono culturalmente su quello che noiitaliani invece stiamo esaurendo. In Italia abbiamo perso la capacità di sentire il 'bello', quel 'bello' che per secoli abbiamo dato almondo e che adesso non sentiamo più. Con queste dichiarazioni (AdnKronos) Riccardo Muti ha puntato il dito contro la distruzione musicaleche si sta operando in Italia, tagliando radici profonde della nostra identità.Mentre dall’altra parte dell’Oceano, in Venezuela ad esempio, ma non solo lì- Muti cita anche la Cina -i giovani stanno crescendo a pane e musica. In Venezuela i frutti si vedono. A quarant’anni dall’avvio del ‘Sistema Abreu’- di cui Matheuz e Dudamel e molti altri ancora sonofigli - centinaia di migliaia di giovani stanno sperimentando il riscatto umano e sociale, attraverso ladiffusa pratica musicale. L’Italia , invece, che non guarda a questi paesi come a modelli da imitare, staperdendo lentamente la sua identità; ed anche in campo musicale, non è più capace di allevare talenti;in Venezuela come in Cina i talenti spuntano ogni giorno e li esportano anche in Occidente.

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Anniversario Scarlatti - 15

“Aut discite aut discedite.”

All'inizio della mia attività storico-musicale ebbi laventura di riuscire simpatico a un pioniere napole-tano degli studi scarlattiani: Ulisse Prota-Giurleo,scopritore della "palermitanità" di un Alessandroche sino al primo quarto del secolo scorso la ma-nualistica corrente avrebbe voluto nato a Napoli oa Trapani. L'indimenticabile iniziazione non ri-guardò soltanto la materia che m'interessava: unavera lezione di vita mi fu impartita attraversoquella generosa disponibilità che in seguito non haavuto molti riscontri, specialmente in Italia; mi fapiacere citare le felici eccezioni di Malcolm Boyde Frederick Hammond, miei impareggiabili compa-gni d'avventura nel Comitato Scientifico di un Fe-stival Scarlatti cui l'aggancio imprudente al TeatroMassimo di Palermo ha dato vita travagliata, sino aquando la crisi della relativa Fondazione ha fattoritenere necessaria la silenziosa soppressione dellamanifestazione, agevolata dall’ignoranza dei de-tentori del potere e dalla disonestà culturale deiloro oppositori politici. Aggiungo volentieri ainomi illustri dei due colleghi quelli di quattro altrispecialisti mondialmente celebri - Kenneth Gilbert,Joel Sheveloff, Gerhard Doderer e Rosalind Hal-ton. Mauricio Dottori, un serio studioso brasiliano,mi ha messo in grado di sottrarre Carlos Seixas allavaghezza e all'imprecisione dei dati riportati nellepiù diffuse opere di consultazione; una fitta corri-spondenza con Serguei Prozhoguin ha reso possi-bile un fertile scambio d’informazioni in altri casirivelatosi impraticabile. Non posso trascurare lacordiale collaborazione offertami da Jaime Tor-tella, né l’interesse di scambi d’idee avuti con JohnHenry van der Meer, prontissimo a inserire in unsuo articolo un’importante notizia che gli diedi masolo in un secondo tempo disposto a riconoscermipubblicamente il merito della scoperta, da lui ripor-tata in termini non del tutto fedeli ai dati da me co-municatigli.

La scelta di un titolo così altisonante potrebbefare pensare a un immodesto desiderio d’iden-

tificazione, ma non ho saputo resistere alla tenta-zione di seguire un esempio illustre nel respingerele accuse di chi vorrebbe spogliarmi del ruolo distoriografo per trasformarmi in “romanziere”.Resto comunque poco disposto a riconoscere aimiei detrattori la statura cospicua che nessuno puònegare all’umanamente antipatico Arnold Schoen-berg, le cui risibili recriminazioni costrinsero Tho-mas Mann a dare dignità letteraria allaricostruzione della genesi del romanzo nel qualel’ideazione della dodecafonia è presentata comefrutto del famigerato patto stretto da Adrian Lever-kühn con il diavolo.L’autore del Doctor Faustus seppe mettere le cosea posto nello scritto della cui intitolazione sfaccia-tamente mi approprio. Romanziere d’accatto, ho esitato a lungo prima didispormi a calcare con il dovuto rispetto le orme diquel gran predecessore e ritengo che se sgradevolinovità non fossero intervenute una bella pietra sa-rebbe stata collocata sul passato, dopo la recentescomparsa del più subdolo tra i miei detrattori: unex estimatore dichiarato, che dopo avere costellatodi apprezzamenti favorevoli lettere a me indirizzate(debitamente citate nel corso di questo Amarcord)non si sarebbe lasciato sfuggire occasione per spar-gere tutto il veleno possibile sulla mia biografiadegli Scarlatti1, nominandone l’autore solo in unostraccio di nota a pié di pagina, nella quale il libroveniva liquidato come “affascinante e ricco dinuovi documenti, ma in fondo poco convincente”. Voltaire ha scritto da qualche parte che un certo ri-guardo può essere riservato ai vivi, ma che ai mortisi deve solo la verità: è l’uso di mondo a farmi rite-nere che l’equilibrio tra i due possibili atteggia-menti vada ristabilito e in questo spirito riserveròsolo lo spazio indispensabile allo squallido com-portamento del nemico defunto.

Amarcord Scarlattiano

ROMANZO DI UN ROMANZOComincia con questo ‘ preludio’ la pubblicazione di un ‘romanzo’ scar-lattiano che vedrà la luce a puntate su Music@, nel corso di questo 2010, trecen-tocinquantesimo anniversario della nascita del grande Alessandro. Ne è autoreuno dei più autorevoli studiosi della grande famiglia di musicisti palermitani.

di Roberto Pagano

1 Roberto PAGANO, Scarlatti – Alessandro e Domenico: due vite in una, Milano 1985.

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16 - Anniversario Scarlatti

Analogamente a quanto si verifica in altri settori, letappe della "Scarlatti-Forschung" sembrano con-trassegnate da un freudiano desiderio di parricidio:studiosi di qualsiasi levatura hanno considerato econtinuano a ritenere opportuno, o addirittura ne-cessario, un jeu de massacre nei confronti di prede-cessori che hanno fornito a noi tutti informazioni espunti senza i quali le ricerche dei contestatori nonavrebbero forse preso avvio. Una distaccata signo-rilità britannica – la stessa che ho potuto sperimen-tare nel mai abbastanza compianto Malcolm Boyd- difese Dent dalla tentazione di dileggiare prede-cessori ai quali pur va attribuita la creazione o lapropagazione di molte leggende, lucidamentesmentite nel volume che ancora oggi, a un secolodalla sua pubblicazione, resta un punto di riferi-mento ineludibile per il biografo di Alessandro. L'intensa ricerca archivistica, intrapresa da UlisseProta-Giurleo sotto la guida preziosa di SalvatoreDi Giacomo, s’innestò in una profonda conoscenzadella storia napoletana per consentire al mio men-tore di assicurare stabilità a importanti capisaldidella biografia scarlattiana, ma gli interessi dellostudioso non erano circoscritti all'ambito musicalee spesso documenti da lui scoperti e competente-mente interpretati lo misero in grado di opporredati di fatto incontestabili a fantasiose ipotesi attri-butive di altri storici dell'arte. Ho citato l’opinionedi Voltaire sul riguardo che può essere usato aivivi e sulla verità spietatamente riservata ai morti,ma Prota-Giurleo stese un velo pietoso su pur evi-denti debolezze del patriarca Florimo per riservarei suoi strali ad altri morti meno emblematici: ilmarchese di Villarosa nel settore musicale e il DeDominici in quello pittorico. Il precetto di Voltaireera puntualmente applicato quando entrava incampo uno studioso del prestigio di BenedettoCroce, ma tutti i riguardi del mondo non bastaronoa frenare l'invidiosa ostilità di certi papaveri minoridella vita culturale napoletana, responsabili del-l'isolamento nel quale Don Ulisse chiuse triste-mente la propria vita. Resta per me indimenticabile il pellegrinaggio aPonticelli, il sobborgo partenopeo nel quale lo stu-dioso si era rifugiato. Fu compiuto da Mompellio eBarblan, affermati patres della musicologia no-strana di allora, insieme a tre giovani promesse:Oscar Mischiati, l’altro mio coetaneo che nomi-nerò malvolentieri a suo luogo e il sottoscritto.Eravamo a Napoli per un convegno sull’aggiorna-mento dei programmi di storia della musica neiconservatori e l’editore-libraio Fausto Fiorentino,altro personaggio di riferimento della cultura napo-letana a metà del secolo scorso, s’incaricò di pre-

sentarci al glorioso pioniere suggerendoci i donivotivi da offrire al nume: pacchi di caffè, di zuc-chero e biscotti in quantità, che furono accettaticon grata semplicità. Nel vecchio appartamento ilquasi altrettanto vecchio studioso aveva impiantatouna sorta di doposcuola che lo aiutava a sbarcare illunario; in uno stanzone c’era la cattedra, c’erano ibanchi e sulla cornice superiore della porta spic-cava una scritta che ordinava perentoriamente :“Aut discite aut discedite!” Continuo a ritenere sa-lutare avere recepito in prima persona quell’intima-zione. Il seguito del rapporto con Don Ulisse mi ha inse-gnato che la generosità è possibile nel nostro set-tore: devo all’esempio di Prota-Giurleo ladisponibilità a condividere con altri studiosi le miecognizioni. Boyd me ne ha dato atto memorabil-mente nella prefazione del suo Domenico Scarlatti,ma senza il luminoso esempio del vate partenopeosarei forse rimasto uno dei tanti “clerici” gelosidelle loro piccole trouvailles e pronti ad uscire alloscoperto, come lumache dopo la pioggia, per de-nunziare risibili lacune in ponderosi studi pubbli-cati da loro colleghi più fortunati.Prota Giurleo si rammaricava di non aver mai trat-tato da capo a fondo la biografia del musicista cheaveva favorito il nostro incontro; in quel suo elo-quio partenopeo nel quale la cerimoniosità noncontraddiceva il tono paterno, mi esortò ripetuta-mente “Scrivetela vuie, ssa biografia!” Da anniavevo incentrato i miei studi storico-musicali sullafigura del mio grande concittadino e tale scelta erastata caldamente incoraggiata da Pietro Ferro, al-lora direttore del Conservatorio di Palermo; ilMaestro intendeva proporre alla RAI la realizza-zione di un ciclo di manifestazioni in concomi-tanza con il terzo centenario della nascita diAlessandro Scarlatti e mi propose di collaborarecon lui nella progettazione dell’iniziativa, che poila malattia e la morte gli avrebbero impedito diportare a buon fine. La manifestazione venne rea-lizzata a Napoli ma nessuno degli organizzatoriebbe l’idea di coinvolgervi il non più giovanissimoconcittadino del celebrando che lavorava silenzio-samente senza essere ancora approdato a unostraccio di notorietà. Undici anni più tardi, quandola RAI decise di dedicare a Scarlatti senior il cofa-netto-strenna contenente un saggio monografico edue LP, la stesura del volume fu chiesta all’Univer-sità di Palermo, alla quale ero assolutamente estra-neo. Poco interessato al Barocco musicale, il prof.Rognoni non prese in considerazione la possibilitàdi accettare l’incarico e interpellò Paolo EmilioCarapezza, il quale non si limitò a rifiutare un’of-

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Anniversario Scarlatti - 17

ferta ben remunerata che molti nostri coetaneiavrebbero accettata alla cieca, ma fece qualcosa diassolutamente irrituale nel costume universitario:segnalò il nome di un certo Roberto Pagano, frat-tanto approdato all’insegnamento di Storia dellaMusica in Conservatorio. La scadenza natalizia non ammetteva ritardi e be-nedico la ragionevolezza che mi dissuase dall’asliera riuscito a trovare il tempo o l’inchiostro neces-sari alla trasformazione dell’espressione verbale incartacea attestazione di stima. Devo alla svogliataattitudine di una persona che malgrado varie con-troindicazioni esito a classificare tra i “nemici” ilrinsaldarsi di un rapporto di affettuosa stima reci-proca con Paolo Isotta, destinato a trovare nellamia seconda fatica scarlattiana lo sbocco che leg-gerete in seguito. Nel 1972 la particolarità dell’ar-gomento fece si’ che molti studiosi, per i quali iltesto sarebbe rimasto una sorta di araba fenice, nesollecitassero la ristampa, che però non venne mai.Le pochissime copie riservate alle librerie anda-rono subito esaurite e Prota-Giurleo e Ferro, che sen’erano andati all’altro mondo quando il libro fupubblicato, avranno potuto giovarsi dell’onni-scienza che si vuole riservata ai trapassati per co-noscerne il contenuto, ma anche da vivi nonavrebbero incontrato difficoltà, in quanto avrei di-viso con loro le tre copie a me riservate.

Un fabbri-cator d’inganni

Sin dal 1961, anno di pubblicazione del saggioda lui dedicato ad Alessandro Scarlatti e il

principe Ferdinando de' Medici, Mario Fabbri siera inserito da protagonista in un settore di ricerchestoriografiche al quale gli archivi e le bibliotechedi Firenze continuano a dare cospicuo alimento. Ilvolume, del quale metterò in luce un gravissimodifetto, resta prezioso in quanto contiene l'interoepistolario intercorso tra il Gran Principe di To-scana e Alessandro Scarlatti , oggi custodito all'Ar-chivio di Stato di Firenze. Nella mia biografia davocredito assoluto a quella «ricostruzione di moltis-simi riferimenti alla vita musicale del tempo» cheavrebbe dovuto «indirizzare perfettamente» chiun-que si trovasse a «ripercorrere lo stesso cammino»2

Rivolgevo allo studioso un solo appunto: quello diessersi limitato a presentare ai suoi lettori l'aspettoconvenzionalmente positivo di Ferdinando de' Me-dici, dando eccessivo credito all'immagine edifi-cante del personaggio, quale trasparirebbe dallelettere a Scarlatti. Ci sarebbe stato ben altro da contestare: tra i docu-menti che l'autore aveva inseriti nel testo (furbe-

scamente corredato delle riproduzioni fotografichedi alcune lettere e di relazioni autentiche), gigan-teggiava una Memoria, speciosamente descrittacome «vergata, con estrema precisione, dalla manodi Giovanni M. Casini» e debitamente trascritta«per intero»3 dallo stesso Fabbri, prima di essererestituita, priva di segnatura, all'«Armadio L, 3°pacchetto di ricevute, lettere e conti vari (iniziandoa contare da sinistra verso destra, nel palchetto inbasso)» del «disordinato Archivio della Basilica diSan Lorenzo»4 . Il contenuto del documento sarebbe stato del piùalto interesse, anche perché comprendeva la copiadi una lettera di Alessandro Scarlatti a Ferdinandode' Medici (il cui originale non figura nel carteggiostudiato e pubblicato da Fabbri), oltre alla coloritadescrizione di un incontro tra il Gran Principe e isuoi musici, nel corso del quale erano stati dibattutiimportanti problemi connessi agli strumenti a tasto,in una conversazione culminata nella visita allecollezioni del Principe, guidata da un ciceroned'eccezione: «Bartolo Cristofori [, che] in spiega-zioni si lasciava andare, in spezial modo per quellinuovi»5

Oggi sappiamo che il cimelio già detto e almenoun altro, che Fabbri dichiarava di aver sottratto al-l'oblio e al disordine degli archivi fiorentini furonoparti lambiccatissimi della sciagurata fantasia delloro "scopritore". Le spietate e impeccabili inda-gini di una musicologa tedesca e di due italiani6,pubblicate dodici anni or sono, ma sfuggite a moltistudiosi, hanno letteralmente fatto a pezzi la "me-moria" Casini, mentre un altro giovane ha fattogiustizia dell'altra, attribuita a Francesco MariaMannucci, che Fabbri asseriva di aver copiata av-venturosamente nell'Archivio Capitolare della Ba-silica di San Lorenzo, a Firenze7. Semplicementeschiacciante, l'individuazione delle fonti utilizzaree rielaborate dal falsario nel suo patchwork.L'improbabilità di alcune presenze date per certeaveva messo in allarme i tre segugi della nuovamusicologia; poi il vaso dei sospetti traboccò conla scoperta del vero autore del Pianto della Ma-donna, categoricamente assegnato a Haendel dalla"Memoria Mannucci" e recentemente restituito alcompositore Giovanni Battista Ferrandini, o Fera-dini, nato giusto nell'anno in cui, stando al "docu-mento" che Fabbri asseriva di avere fedelmentetrascritto, il brano sarebbe stato commissionato al«Giovine Sassone» da Ferdinando de' Medici8 . Anche il contenuto della seconda memoria erastato da me recepito in pieno, come del resto è ac-caduto ad illustri colleghi stranieri e italiani che mifanno ottima compagnia: una volta scoperchiata la

2 Roberto PAGANO, ALESSANDRO SCARLATTI - Biografia in Roberto PAGANO e Lino BIANCHI, Alessandro Scarlatti, Torino 1972 p. 96.3Mario FABBRI, Alessandro Scarlatti e il principe Ferdinando de' Medici, Firenze 1961, p.1054id., p. 108n.5Id. p. 108.6Juliane RIEPE, Carlo VITALI, Antonello FURNARI, Il Pianto di Maria (HWV. 234): Rezeption, Überlieferung und musikwissenschaftliche Fiktion in "Göttinger Händel-Beiträge" 1993, pp. 270-296, con Bibliografia alle pp. 303-307.7Mario FABBRI, Nuova luce sull'attività fiorentina di Giacomo Antonio Perti, Bartolomeo Cristofori e Giorgio F. Haendel , in "Chigiana", vol.XXI, pp. 145-149.8Id., p. 148.

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18 - Anniversario Scarlatti

pentola, il documentato smascheramento dell'im-postura haendeliana si è tradotto in un'appendice diBenedikt Poensgen, dedicata alla parallela demoli-zione della "memoria Mannucci" e spiritosamenteintitolata "Once is happenstance, twice is coinci-dence, thrice is a bad habit". Ho già detto che alle brillanti puntualizzazioni deigiovani detectives non è stata riservata attenzioneadeguata; aggiungo che scoperti interessi commer-ciali si sommavano al fastidio dei "gabbati". Nonvi sorprenderà apprendere che il CD di una impor-tantissima casa discografica ha pacificamente igno-rato il disconoscimento: altro è mettere in venditauna "rarità" di Haendel, altro è rischiare su un mi-lite ignoto.....Mann, Schoenberg, Manzoni, Voltaire? La cita-zione di personaggi remoti dall’area scarlattiana miespone a nuovi attacchi, confermando la mia ap-partenenza alla categoria degli “eruditi”, dileggiatada quell’erudito-principe che fu Benedetto Croce.In veste di topo di biblioteche e di archivi so bene,comunque, di essermi basato su solidissimi docu-menti; so pure di avere tratto insegnamento dacerte dolorose esperienze maturate sulla mia pelledi uomo del Sud nell’elaborazione di un affrescostorico che può essere scambiato per parto arbitra-rio di una fantasia troppo fervida solo da personeincapaci di intuire ciò che i robusti paraocchi dellaprevenzione impediscono loro di vedere. Delegitti-mare documenti esistenti è apparso utile a chi sa-peva di avere bisogno del buio storico più foscoper giustificare un certo tipo di accanimento anali-tico, capace di trasformare una collezione di vario-pinte farfalle in maleodoranti cadaveri sottopostialle più spietate pratiche di dissezione anatomica.A passatempi di questo genere si è dedicato il prof.W. Dean Sutcliffe, al quale si deve un ponderososaggio sciupato dal nichilismo che induce l’autorea confessare senza pudore le proprie prevenzioni,lasciandosi sfuggire (p. 68) un “Eternal vigilanceis after all an indispensable quality for all Scarlat-tian research in particular” in cui è facile cogliereun riflesso di quegli avvisi affissi bene in vistanelle stazioni della metropolitana londinese permettere in guardia i passeggeri dal rischio di bor-seggio9. Assumere un simile atteggiamento do-vrebbe essere lecito solo a chi dimostri diconoscere bene il contesto storico-biografico cui siriferisce, ma Sutcliffe non ha troppo tempo da de-dicare alla verifica dei dati e preferisce “deconte-stualizzare” i documenti o negare il valore diantiche testimonianze che cita di seconda mano, ri-sparmiandosi la fatica di accedere a quelle fontioriginali che gli rivelerebbero dettagli a lui ignoti e

che vanno studiate in profondità, anche e soprat-tutto da chi voglia considerarle carta straccia.Stando a quanto affermato dal mio detrattore, i bio-grafi hanno inventato quasi tutto e per risalire aduna vera immagine di Domenico Scarlatti c’è unsolo mezzo: fare a pezzi le sue Sonate e accanirsinell’analisi delle disiecta membra, con la spe-ranza/certezza di ricavarne il ritratto autentico dacontrapporre alla “patacca” rifilata da disonesticiarlatani a lettori sprovveduti. Per denunziare una“penuria di fatti concreti” da lui artificiosamenteesasperata, il seguace di Schenker si è visto co-stretto alla quasi sistematica obliterazione o allostravolgimento di una quantità di testimonianze pa-cificamente accettate dalla stragrande maggioranzadei ciarlatani e persino da una parte degli altri lorocritici. Il peso del contributo di Sutcliffe ed il va-lore di molte osservazioni contenute nel suo saggioriservano certamente ad esso una collocazione pri-vilegiata negli studi scarlattiani occasionati dallarecente ricorrenza centenaria, ma l’infondatezza dicerte affermazioni riguardanti le mie fatiche di bio-grafo mi obbliga a ribadire quasi tutte le ipotesibiografiche da me proposte in passato, dal mo-mento che i più recenti ritrovamenti le vedono fon-damentalmente confermate. Anche perché alleespressioni diffamatorie del prof. Sutcliffe possocontrapporre l’opinione di un giudice molto più in-formato di lui: il mai abbastanza compianto Mal-colm Boyd, il quale dopo aver lodato la mia“conoscenza enciclopedica di tutta l’area scarlat-tiana, eguagliata solo dalla prontezza a farne partead altri”10 volle entrare nello specifico, affermandoche la doppia biografia è “uno studio affascinantedel rapporto che esistette tra i due Scarlatti piùnoti” e che il volume vede felicemente combinate“la profonda conoscenza della storia e della culturasiciliane con un’accurata scientificità e con una in-superabile competenza in materia di psicologia si-ciliana”11. Nel 1985, quando citavo i dumasiani Mousquetai-res ero lontano dall’immaginare che anche per mesarebbe venuto il tempo dei Vingt ans après. Oraavevo praticamente rinunziato alla redazione delpromesso saggio tecnico dedicato alla tastiera diDomenico Scarlatti (e una prima lettura del volumedi Sutcliffe rafforzava questa scelta, in quanto te-mevo di cadere nella tentazione statistica e di ab-bandonarmi alla pignoleria di analisi che, inutiliquando non dannose all’adorniano ascoltatoreesperto, naufragano in un mare di noia e spengonol’interesse dell’ascoltatore entusiasta). Tutto è statorimesso in gioco da recensioni nelle quali non si facenno ai pur gravi addebiti mossi da Sutcliffe ai

9W.Dean SUTCLIFFE, The Keyboard Sonatas of Domenico Scarlatti and Eighteenth-Century Musical Style, Cambridge 2003.10Malcolm BOYD, Domenico Scarlatti – Master of Music, Londra 1986, p. X.11Id., p. 27.

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Anniversario Scarlatti - 19

VI PRESENTO L’AUTORE

Roberto Pagano, l’autore di questo ‘romanzo scarlattiano’ che Music@ pubblica a puntate, ha insegnato Storia della musica nel Conservatorio di Palermo (delquale è stato anche docente di clavicembalo e bibliotecario) e nella Facoltà di Lettere dell’Università di Catania; invitato da importanti istituzioni nazionali

ed estere ha tenuto corsi speciali, seminari o conferenze (cicli di lezioni sulle Sonate di Domenico Scarlatti al Conservatorio e al Teatro Colon di Buenos Aires, alFestival Rubinstein di Naleczów e al Mozarteum di Salisburgo); prolusione al Congresso dedicato nel 1998 a Domenico Scarlatti dall’Università di Boston e le-zione conclusiva di un corso estivo organizzato nel 2005 all’Escorial dall’Universidad Complutense di Madrid. La sua produzione saggistica riguarda soprattuttol’area scarlattina (Biografia di Alessandro, ERI 1972; Scarlatti: due vite in una, Mondadori 1985; Alessandro and Domenico Scarlatti: Two Lives in One, ver-sione ampliata e aggiornata del volume precedente, tradotta da Frederick Hammond, Pendragon Press 2006) e nel corso di ricerche musicali, storiche e archivi-stiche, prevalentemente dedicate agli Scarlatti e alla Sicilia dei secoli scorsi, ha scoperto ed eseguito rarità musicali del passato, estendendo la propria attivitàclavicembalistica al repertorio contemporaneo (prima esecuzione assoluta di Babai di Donatoni a Merlinge nel 1987). Critico musicale del Giornale di Sicilia, hacollaborato ai dizionari musicali Ricordi e UTET e nella più recente edizione del New Grove Dictionary of Music and Musicians sono da lui firmate quasi tutte levoci riguardanti Alessandro, Domenico Scarlatti e i loro congiunti musicisti. È stato vicepresidente e successivamente presidente del Gruppo Universitario Nuova Musica; presidente o membro delle giurie di importanti concorsi internazio-nali (Ginevra, Salisburgo, Taormina, Treviso, Vercelli, Venezia, Firenze, Roma, Messina). Ha ricoperto le cariche di direttore artistico dell’Orchestra SinfonicaSiciliana, dell’Estate Musicale di Taormina, della Settimana di Musica Sacra di Monreale, del Festival Scarlatti e del Teatro Massimo di Palermo. Politicamente indipendente, può vantarsi di non dovere le cariche su elencate a quelle ciniche spartizioni di poltrone che hanno determinato la nomina di yes-meninadeguatamente competenti ai vertici di istituzioni musicali di grande prestigio: per gli ultimi trent’anni del secolo scorso è rimasto al centro della vita musicalesiciliana e la sua determinazione nelle scelte di prodotti e di interpreti qualificati ha tenuto al riparo da indebite ingerenze l’attività artistica affidata alle sue cure,ma il netto rifiuto di compromessi assai diffusi nel settore lo ha reso scomodo e finalmente inviso ai gestori del potere. Questo vale soprattutto per l’area manageriale. Può essere esteso a quella accademica, ma solo in misura ridotta e particolare: l’accesso di Pagano all’insegna-mento universitario non è nato dalle umilianti anticamere di rito, ma da una lusinghiera e inattesa segnalazione di Fedele D’Amico, autorevole esponente di untipo di cultura musicale italiana estranea ai giochi che sotto gli occhi di tutti continuano a essere disputati sulla scacchiera del potere accademico. Nel 1980 la Fa-coltà di Lettere dell’Università di Catania (che sotto l’illuminata presidenza di Giuseppe Giarrizzo vantava la presenza di docenti del calibro di Carlo Muscetta,Gastone Manacorda e Francesco Renda) accolse Pagano con una cordiale simpatia che il costume universitario non suole accordare a intrusi figli di nessuno, madopo dieci anni di pendolarità la molteplicità degli impegni palermitani rese necessaria la volontaria rinuncia all’onore che era letteralmente piovuto addosso aduno studioso poco disposto a sacrificare l’approfondimento di ricerche mai abbandonate. Gli anni dedicati a Catania trascorsero senza contrarietà di sorta: illustri colleghi e studenti entusiasti non fecero mai pesare la “diversità” che Pagano ha avutoreiterate occasione di sperimentare nei rapporti con un paio di “baroni” imperversanti nel panorama padano. Qui ostruzionismi di varia natura sono stati messi inatto, con pratiche sotterranee che verranno smascherate nel racconto della lunga esperienza scarlattiana. Un grave riflesso parallelo di queste difficoltà si hanella damnatio memoriae che il contesto politico palermitano è riuscito a riservare allo scomodo personaggio, con la silenziosa complicità di una consorteria in-tellettuale soddisfatta dell’eliminazione di un compagno di processione in ogni senso ingombrante e nemico di ogni forma di colpevole acquiescenza. Il capola-voro di questo patto scellerato tra “nemici” dichiarati e finti amici è stato la soppressione del Festival Scarlatti; ma di questo Roberto Pagano avrà ragione didiscutere in prima persona, in un capitolo di sue memorie che ha accettato di affidare a Music@.

biografi, con affermazioni che offendono la realtà;questo mi ha indotto a rintuzzare in varie sedi12 lenuove provocazioni venute ad aggiungersi allealtre accumulatesi nel tempo. Avevo già cercato di controbattere le precedenti inAlessandro and Domenico Scarlatti[:] Two Lives inOne13, ma quando volli aggiungere la puntualizza-zione resasi necessaria la stampa era in fase troppoavanzata perché l’Editore accettasse di inserirla nelvolume. Il continuo rinnovarsi ed arricchirsi del-l’esperienza mi fa benedire la decisione di avereprocrastinato la redazione di un consuntivo delmezzo secolo di mia milizia scarlattiana; una purtardiva reazione a torti che considero immeritatiprende ora forma di una rievocazione il cui taglioautobiografico può giustificare il riferimento alglorioso precedente manniano. Nel 1985 Joel Sheveloff intitolò apocalitticamenteTercentenary Frustrations una sua fatica natadallo sviluppo di spunti polemici che trasformanoin una sorta di San Sebastiano il sempre e comun-que sommo Kirkpatrick. Non mancavano ragionidi giustificato risentimento e d’insoddisfazione,alimentate dal confronto tra lo sviluppo degli studibachiani negli ultimi decenni e quelli dedicati aDomenico Scarlatti nello stesso periodo. Alcune diqueste ragioni di frustrazione restano tali e la crisidi un’editoria che minacciava di lasciare incom-

12Roberto PAGANO “Penuria di fatti concreti ? Premesse opportune alla celebrazione del duecentocinquantesimo anniversario della morte di Domenico Scarlatti” in Rivista Italiana di Musicologia,XLI, 2006 – n° 2, pp. 333-338; “The Two Scarlattis” in Early Music, August 2008, pp. 511-512.13 Una versione ampliata e aggiornata di Scarlatti: due vite in una è stata pubblicata nel novembre 2006 da Pendragon Press di Hillsdale N.Y ; l’eccellente traduzione del testo, firmata da FrederickHammond, ha reso accessibile il saggio ai lettori di lingua inglese, vanificando ogni ipotesi di fraintendimento

(FINE. Prima puntata)

incompleta – perché commercialmente poco remu-nerativa - l’edizione Fadini delle Sonate rendepiuttosto utopistica la prospettiva di una Scarlatti-Gesellschaft, sognata ad occhi aperti da uno Sheve-loff tanto ingenuo da auspicare che la guidadell’istituzione fosse affidata a un tandem italiano,formato dal sottoscritto e dal suo sotterraneo av-versatore. Nella conclusione di quello scritto il mu-sicologo statunitense riconosceva un positivocambiamento di atmosfera negli importanti contri-buti degli studiosi intervenuti al Convegno Interna-zionale che l’Accademia Chigiana, la SocietàItaliana di Musicologia e l’Università di Napoli eb-bero il merito di promuovere nel 1985 a Siena;oggi alla negatività di molte esperienze personali(non ultima, la generale disattenzione che ha ac-compagnato l’insabbiamento di quel Festival Scar-latti che ero riuscito a realizzare a Palermo percinque anni, con molto sforzo e superando diffi-coltà corporative, tecniche e politiche di ogni ge-nere) si aggiunge il dilagare di fenomeni e ditendenze preoccupanti. La somma di questi fattoriscoraggianti potrebbe farmi scivolare nell’area pes-simistica, se la saggezza senile non mi suggerissedi perseverare nella linea di condotta generosa-mente attribuitami da Boyd e di continuare a farparte dell’esperienza maturata alle generazioni piùgiovani, che non meritano l’abbandono. @

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20 - Festa di compleanno

Il traguardo dei novant’anni, che Piero Farulli hafesteggiato pochi giorni fa, è l’occasione festosa

e importante per ripercorrere le tappe fondamentalidi una vita interamente dedicata alla musica, con laconquista dei massimi livelli sul versante interpre-tativo grazie all’eccezionale parabola artistica delQuartetto Italiano, e poi con la passionale dedi-zione alla diffusione della cultura musicale, decli-nata sia sul piano della didattica, sia su quello

ancor più arduo dell’elaborazione progettuale.Non ho avuto - per motivi anagrafici - il privilegiodi ascoltare dal vivo il Quartetto Italiano, ma cometutti i musicisti della mia generazione sono cre-sciuto nel culto delle sue registrazioni, e proprio at-traverso il magistrale filtro di quelle miticheinterpretazioni ho scoperto la letteratura quartetti-stica, orgoglioso che il mio Paese avesse potutopresentarsi sulla scena internazionale con tale, as-

Farulli compie novant’anni

A PIERO DA FIGLI E AMICI FIESOLANI

Piero Farulli è stato festeggiato a Fiesole e in Italia in occasione del suo compleanno. Dal Quartetto Italiano all’avventura fiesolana, tutte le imprese

musicali del grande combattente di Andrea Lucchesini

qPiero Farulli accarezza la violinista “fiesolana” Lorenza Borrani

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soluta autorevolezza. Il fatto che, fino a quel mo-mento, la pratica cameristica avesse avuto pocospazio nella vita musicale italiana, conferiva ai No-stri l’ulteriore merito di una scelta pionieristica, daesploratori coraggiosi e temerari, che si erano av-venturati in territori sconosciuti e ne tornavano vit-toriosi, consegnandoci il frutto delle loro“spedizioni speleologiche” nelle profondità abissalidell’ultimo Beethoven, o delle passeggiate lunarinella fantasia di Webern.Non ho potuto ascoltare il Quartetto in concerto,dicevo, ma ho avutola fortuna di cono-scere più avanti PieroFarulli personal-mente, quando la suastrenua battaglia cul-turale e politica in fa-vore della musicaaveva già registratovittorie importanti:sulle pendici dei collifiesolani, la Scuola diMusica che il Mae-stro aveva creato siergeva come un farodi civiltà musicale, unesempio di serietà, passione, qualità e dedizione,laboratorio didattico e centro propulsivo di innova-zione culturale. Su tutto quanto la figura di PieroFarulli giganteggia, con la forza di un carisma per-sonale del tutto fuori dal comune, e con l’energiaincontenibile data dalla convinzione profonda dicombattere per una giusta causa. L’impegno didat-tico in prima persona, dal quale sono scaturite ge-nerazioni di eccellenti violisti e quartettisti e che siè profuso con identica passione anche quando ri-volto a semplici amatori, è stato soltanto uno degliaspetti del suo agire; appena fuori dalla sua aula,Farulli alzava il telefono per protestare contro lascarsa attenzione che la musica riceveva presso lapolitica e l’informazione, tuonava contro la miopiadella programmazione didattica della nostra scuolapubblica, che ha di fatto escluso la musica dallematerie d’insegnamento. Contemporaneamente cercava di coagulare intornoalla Scuola tutte le più formidabili energie musi-cali, chiamando (imperiosamente) gli amici a far laloro parte insegnandovi a loro volta: così sono statia Fiesole il Trio di Trieste, Salvatore Accardo,Maria Tipo, Carlo Maria Giulini, Natalia Gutman,Pavel Vernikov, Bruno Canino, Franco Ferrara,Norbert Brainin del Quartetto Amadeus, MilanŠkampa del Quartetto Smetana, Hatto Beyerle del

Quartetto Berg, per non citarne che alcuni. Nel frattempo maturava l’idea di una formazioneper la professione di musicista d’orchestra, che aFiesole si concretizzava nella realizzazione di uncorso specifico, l’Orchestra Giovanile Italiana, cheper prima nel nostro Paese ha permesso ai giovanimusicisti di effettuare un percorso didattico di ap-profondimento nella pratica d’orchestra. Anchequesto progetto ha raccolto le adesioni dei maestripiù illustri, da Abbado a Muti, Gatti, Sinopoli, No-seda, Ferro, Tate, Mehta che non hanno fatto man-

care il loroappoggio.Più in generaleFarulli pensavaalla Scuola diMusica comead un microco-smo di societàideale, dove ladisciplina mu-sicale fornisseai cittadini didomani glistrumenti peruna convivenzapiù civile e re-

sponsabile: in questo senso si devono intendere ledirettive che assegnano da sempre ampio spazio,all’interno della Scuola, alle attività collettive e digruppo, orchestre (fin dall’età infantile) e com-plessi da camera, nelle più svariate formazioni,fino al coro amatoriale per adulti. Piero Farulli, musicista combattente e impegnato atutto campo, aveva però ben chiaro il rischio che lamusica possa divenire un circuito chiuso ed autore-ferenziale, in forza dell’estrema specificità del suolinguaggio; per sfuggire a questo rischio insistevaper cercare ogni possibile aggancio con letteratura,filosofia, scienza ed arti figurative, chiamando aFiesole i protagonisti di quelle discipline a con-frontarsi pubblicamente.Il carisma di Piero ha fatto presa anche su di me, ecosì non ho saputo resistere al suo imperioso ri-chiamo ad un impegno diretto. Il momento non ècerto facile, e spesso ci assalgono dubbi ed incer-tezze sul futuro, ma quando, nel tardo pomeriggio,Farulli sale alla Torraccia per trascorrere qualcheora alla Scuola, sentiamo tutti il calore della suapresenza: i ragazzi più grandi fanno ala al suo pas-saggio ed istruiscono i piccoli, intimiditi dalla suafigura imponente e dal suo sguardo penetrante, finquando la tenerezza non allarga il suo volto in unsorriso. @

Il quartetto Italiano

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22 - Fogli d’Album

MUTI ATTENDIAMOSulla nuova squadra del Teatro dell’Opera, messa su

dal mister Gianni Alemanno, siamo pronti a scom-mettere che sarà una squadra vincente, nella formazioneappena annunciata. In attacco, al centro campo, il Mae-stro Muti ( che a breve dovrà sottoscrivere l’ingaggio), ailati De Martino e Vlad, espressamente lodato dal centra-vanti; a metà campo, fra attacco e difesa: Vespa, Ema-nuele e Cisnetto; avanti al portiere ed in appoggio aiguardialinee, i funzionari Gallo(Comune), Bellomia eCiarravano ( Regione). Che altro si vuole? La societàoperistica che rischiava di essere ceduta, a causa del-l’enorme passivo con cui si presentava a metà stagione -secondo il mister, oltre 10 milioni di Euro - oggi ripartecon 15 milioni di attivo ( soldi freschi ed importanti ces-sioni patrimoniali) che il mister ha tirato fuori dal cilin-dro magico; ed altri se ne aggiungeranno di milioni,secondo quanto ci si attende dal ‘savoir faire’ dei difen-sori Vespa-Emanuele-Cisnetto e a sentire le dichiarazionidell’ala De Martino che è convinto dell’alta qualità dellastagione appena avviata, che dovrebbe perciò attirare altrisponsor e nuovo pubblico. Possiamo dormire sonni tran-quilli. La nuova stagione è stata presentata - su di essa,ad onor del vero, il centravanti di sfondamento Muti nonè proprio dello stesso parere dell’ala De Martino - e se frai direttori - come si è fatto notare - non c’è ancora nep-pure una stellina, dicasi: una sola, siamo certi che lestelle caleranno sul cielo di Roma, appena Muti si inse-dierà, come capitano e centrocampista. Questo diciamo edi questo siamo convinti.Ma allora perchè le malelingue, in questi ultimi tempi, sisono date tanto da fare e tanto hanno detto, specie suinomi dei più stretti futuri collaboratori di Muti, inten-diamo delle due ali: Catello De Martino e Alessio Vlad?Perché fanno le malelingue. Cos’hanno da dire?Di Catello De Martino dicono che il suo nome, nei mesi

in cui è stato ‘direttore del personale’ a Santa Cecilia, nonera mai venuto fuori, perché l’Accademia era rappresen-tata dal trio Cagli-Pappano-Grossi. Passato all’Opera diRoma con il medesimo incarico che aveva in Accademia,a maggio, un mese dopo veniva promosso sul campo, per

decreto comunale, sovrintendente ad interim. Perché nondovrebbe essere un buon sovrintendente? Lo dicano lemale lingue. Solo perché è la prima volta che fa il sovrin-tendente? E allora Muti, quando per la prima volta fu di-rettore del Maggio fiorentino, non fece benissimo? E poi,siccome bisogna cominciare una volta, tanto vale comin-ciare in un grande teatro. Che c’entra un teatro con l’Ital-gas, la società di provenienza di De Martino, insistono idetrattori. Nulla! E allora? Attenti a voi potrebbe stermi-narvi, proprio con il gas. E di Alessio Vlad che avete dadire? Dite che ci sono lobby dietro di lui, che lo spin-gono e spingono; che suo padre Roman non si dà maipace ogni volta, finchè non vede il suo pupillo ai verticidi qualcosa; che questa nomina arriva dopo che Alessioha diretto la Nona di Beethoven e Tosca di Puccini per lospot su Roma di Zeffirelli; che non è mai stato assistentee pupillo di Leonard Bernstein e che Leonard Bernsteinnon è vero che credeva moltissimo anche nell’ Alessio di-rettore d’orchestra. Menzogne! Maldicenze! Il giovaneVlad ne ha ormai girati di teatri (Genova, Ancona, Na-poli); il mestiere l’ha imparato; le sue programmazionirestano memorabili e quella del Teatro delle Muse di An-cona ‘storica’ addirittura, secondo un notissimo critico…e se non è ancora quel pozzo di scienza che è suo padre,potrà sempre diventarlo; intanto può ricorrere al suoaiuto ed anche a quello di Muti che è dalla sua parte. Enon solo lui. L’Opera di Roma, nel giro di qualche mese, potrebbe farombra anche alla Scala, dove Lissner non può sonarselae cantarsela da solo, ancora a lungo! E se dovesse chie-dere ad Alemanno di mandargli Catello ed Alessio, pa-gandoli oro, naturalmente? Il mister farebbe bene adopporre un netto rifiuto.Ultimissime. Muti, l’attesissimo centravanti di sfonda-mento non firma ancora. Ha qualche riserva sulla squa-dra, e potrebbe anche cambiare idea, prospettando unaltro scenario. Va a giocare a Napoli, col mister Nastasi(danaroso, c’ha tutti i soldi del ministero) con il quale c’èun feeling perfetto.

Bastiano

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24 - Nino Rota

Per conoscere ‘tutta’ la musica del compositore Nino Rota

UN AMICO MAGICO

Certo, di strada se ne è fatta tanta e Rota stessosarebbe lietissimo nel vedere che in quasi tutti

i negozi di musica abbondano ormai spartiti ed in-cisioni delle sue opere, cosa che in vita non ebbe lagioia di vedere, eccezion fatta per le solite colonnesonore che lo hanno reso famoso ma che in passatoquasi ne hanno occultato la produzione più impor-tante, quella che lui considerava la ragione stessadel suo lavoro di compositore, e pare che final-mente i beckmesser e i bidelli di Darmstadt stianoperdendo il vecchio potere assoluto di esaltare odumiliare secondo dictat ideologici, tanto stiticiquanto filosoficamente meno plausibili di quelloche andavano rivendicando. Il verbo dell’incomu-nicabilità e dell’autoreferenzialità sembrerebbe

ormai destinato ad entrare negli scantinati dellevecchie cose smesse e poco usate e rientrano incampo le cose costituite di buona materia-primabene adoperata. In sostanza sono crollate misera-mente le rodomontate dello snobistico ignorarel’indifferenza dell’uditorio reale (certo non quellodegli addetti ai lavori o dei piduisti delle nuoveconsonanze e delle dame di carità del dopo-vienna), degli ascoltatori attenti ed amanti dellabuona musica che da un certo momento in poi nonsono riusciti ad assimilare le nuove proposte, purabituati alle novità di Stravinsky o Prokofiev nonaltrimenti che di Bartok o Copland o Shostakovicho Britten e via discorrendo. L’ostracismo di re-gime, intollerante e supponente con cui, con la pro-

I trent’anni trascorsi da quando Nino Rota ci ha lasciato (1979) sono volati. Fra un anno (2011) si ricorderà il primo centenario della sua nascita; in tale pros-

sima ricorrenza per la prima volta si getta uno sguardo sistematico sulla sua pro-duzione musicale, nell’intento di tracciare un profilo il più completo possibile delmusicista. Mentre è in uscita il catalogo delle sue opere e si confida sul coinvolgi-mento di Riccardo Muti, scoperto da Rota, nell’opera di rivalutazione critica della

sua opera, compresa quella cinematograficadi Nicola Scardicchio

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tezione anche di illustri esecutori e mentori, certamusica veniva aprioristicamente rifiutata in favoredi quell’altra, ben altrimenti allineata ed obbe-diente, ha fatto per troppo tempo strage di autoricome Casella o Malipiero, Castelnuovo-Tedesco,Pizzetti, Britten, Barber, per non dire che dei primiche ci vengono in mente. E la persecuzione ha cer-cato di soffocare le voci dei più recenti Rota, Ger-vasio, Ghedini ed altri ancora, colpevoli dicomporre musica in cui la modernità del linguag-gio non si autoesibisce e, soprattutto non irrita e di-sorienta anche l’ascoltatore esperto, che alla lungaresta esasperato dai bizantinismi di chi esprime co-stantemente l’incapacità di esprimersi, un’afasialinguacciuta e petulante che si autocelebra in festi-val e laboratori in cui non si elaborano, come sa-rebbe giusto, nuovi materiali, ma si autoeleggononuovi santi-vergini-martiri. I successi cordiali dipubblico che accompagnavano le esecuzioni dellamusica di Rota e degli altri “reietti” a loro voltaisterizzavano i talebani del nuovo a tutti i costi,che, apparentemente ed ufficialmente disinteressatiall’apprezzamento della fruizione, vedevano cosìmortificato il loro ego supponente e la loro vanitàpseudo-intellettuale.Certo a Nino Rota dispiaceva sentirsi accusare dipassatismo: da bambino suonava e studiava con at-tenzione le musiche di Stravinsky (che frequentò econ cui ebbe una fitta corrispondenza, andata pur-troppo perduta nell’incendio di casa Rota durante ibombardamenti milanesi della seconda guerramondiale) come perfino quelle di Satie, autorescandaloso all’epoca e sconsigliato ai giovani al-lievi in quanto potenziale rovinatore dell’orecchioe del gusto musicale. E solo al critico sordastro opartigianamente in mala fede la musica di Rota po-teva sembrare semplicemente tonale: le più com-plesse soluzioni linguistiche nelle opere delmusicista non sono mai esibite in quanto tali el’ascolto agevole e sempre comprensibile mette aproprio agio l’ascoltatore esperto quanto il meno

accorto. Ma che la facilità dell’ascolto corri-sponda al semplicismo delle tecniche compo-sitive è una reale idiozia. E anche quandoRota si allinea alla concezione chiaramente tonale,sempre lo fa in modo originale, personale, “croc-cante”, mai stolidamente ripetitivo, con una capa-cità di utilizzare il vecchio linguaggio in modo resoattuale dall’attualità dei contenuti. Dicevano gli an-tichi: rem tene, verba sequuntur, e davvero se si haqualcosa da dire verranno anche le parole giuste, sesi possiedono i ferri del mestiere. E Rota ne aveva,e solidissimi. Contrappuntista abilissimo, come di-mostrano innumerevoli tratti delle sue opere (bastipensare al quadruplo canone mensurale nella fugaBibebant nell’oratorio Mysterium), le straordinariecapacità tecniche del musicista si manifestano nellepagine musicali in forma di variazione. E non si di-mentichi che i più grandi musicisti sono statigrandi autori di variazioni.Come sempre accade presso i veri “autori”, i crea-tori genuinamente fecondi, anche in Rota alla mae-stria si accompagnava una modestia esemplare.Mai si sarebbe sentito Rota pontificare cattedrati-camente, pur considerando che nelle sue opinioniera solidamente strutturato, anche grazie ad unastraordinaria e profondissima cultura filosofica eletteraria. Rota si esprimeva disinvoltamente in in-glese, francese, tedesco, spagnolo e russo, padro-neggiava latino e greco antico ed aveva nozioninon superficiali di ebraico biblico e riusciva a tra-durre con una certa facilità i geroglifici egizi. Maquesta vastità di interessi e di cultura non intaccòmai la semplicità della personalità del maestro, ecerto si trattava di una semplicità conquistata, noncerto della leggerezza del bagaglio culturale, purmai esibito ma sempre adoperato come strumentorealizzatore di cose concrete musicali e non. At-tento indagatore di ciò che attiene allo spirito conatteggiamento laico e scevro da misticismi chiesa-stici, ma intimamente alla ricerca dei significati ul-timi della natura dell’Uomo, Rota della cultura

SE MI DANNO DEL CINEMATOGRAFARO, NON MI OFFENDO

"Non credo a differenze di ceti e di livelli nella musica. Secondo me, la differenza fra musica 'leggera','semileggera', 'seria', è del tutto fittizia. Le musiche di Offenbach, che ormai sono vicine ai 150 anni,saranno leggere fin che si vuole, ma di una leggerezza che dura nel tempo e ha una formidabile vitalità.Mentre c'è molta musica della stessa epoca che, rispettabilissima, erudita e serissima, ci rompe le sca-tole e basta! Il termine 'musica leggera' si riferisce solo alla leggerezza di chi l'ascolta, non di chi l'hascritta. E, in fondo, la leggerezza dell'ascolto è una specie di immolazione della propria presunzione auna facilità degli altri di ascoltare. Per questo non mi offendo, quando mi danno del 'cinematografaro':musica per film o altra musica, vi metto sempre lo stesso impegno. E' diverso soltanto ilterritorio tec-nico in cui mi muovo". Nino Rota

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26 - Nino Rota

CINEMA

La musica per il cinema, innanzitutto. Sarebberidicolo, oltre che fuorviante ed inesatto, ri-

durre l’importanza di questa produzione di Rota,non diversamente da quanto sarebbe il continuare aparlarne come di quella fondamentale a cui le altreopere farebbero da singolare pendant.Più volte il Maestro ebbe a dire che le esigenze, inordine ai tempi di realizzazione ed alla necessità di

adeguarsi al linguaggio del regista di turno (e que-sto valeva, ovviamente, anche per quanto riguar-dava le musiche per il teatro, la radio e latelevisione), avevano costituito per lui un eserciziodi concretezza e velocità che avevano positiva-mente informato di sé anche l’altra produzione.Pertanto, sia pur senza indugiarvi troppo, vale lapena di considerare la collaborazione integrale conFederico Fellini, dallo Sceicco Bianco (1952) aProva d’orchestra (1978), con la sola eccezione

aveva la considerazione del serbatoio costituitodalle migliori riflessioni artistiche, letterarie e filo-sofiche partorite dall’intelligenza umana, un serba-toio da cui attingere per approfondire laconoscenza di se stesso che ogni essere intelligentedovrebbe kantianamente perseguire, alla ricerca diuna verità non fine a se stessa ma mezzo per la rea-lizzazione di quella divinizzazione di noi stessiche, a dirla con Platone, si conquista con la gnosis,una conoscenza che trascende qualsiasi limite epregiudizio.È assolutamente da sciocchi e disinformati pensareche un uomo di tale conformazione filosofica po-tesse essere un semplice tradizionalista incapace dinuove e trasgressive affermazioni musicali. Al con-trario proprio l’aver battuto fin da bambino le vie

più nuove della musica aveva reso Rota immune dacomplessi di sorta e capace ben presto di immagi-nare quali sarebbero stati i progressivi naufragi oinseccamenti delle scelte fatte al tavolino invece-che sul campo. E se gli dispiacque essere ingiusta-mente stigmatizzato, lo confortò la stima dimusicisti comunque seriamente impegnati e prepa-rati come Luciano Berio o Luigi Dallapiccola, Gof-fredo Petrassi e Bruno Maderna, spesso impegnatinell’esecuzione della sua musica; ma ancor più eral’amore dei pubblici più disparati che confermaRota che quella strada era giusta, come tutte lestrade che comunque portano da qualche parte: eRota era convinto che ognuno dovesse poi indivi-duare e percorrere con i propri mezzi la propriastrada.

UNO SGUARDO ALLA PRODUZIONE DI ROTA

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del breve episodio Agenzia matrimoniale nel filmcollettivo L’amore in città, commentato dal compe-tente Mario Nascimbene. Fu di fatto una collaborazione che oltre a costituireuna prestigiosa pagina della storia del cinema e delrapporto tra regista e musicista nel cinema italianoe mondiale della seconda metà del novecento, è unesempio di vera e propria simbiosi. Non per nienteda La città delle donne in poi la presenza della mu-sica nei lavori del regista riminese non ebbe quellapregnanza e quel significato poetico e ritmante chein film come La strada (1954) o 8 e ½ (1963) oGiulietta degli spiriti (1965) era diventato paradig-matico ed assoluto.E la collaborazione con Luchino Visconti per Lenotti bianche (1957), Rocco e i suoi fratelli (1960)e Il Gattopardo (1963) oltre a significative produ-zioni teatrali (memorabili le musiche per il goldo-niano Impresario delle Smirne (1957) o perl’Arialda di Giovanni Testori spettacolo che nel1960 scatenò una feroce reazione censoria), si tra-dusse in alcuni autentici capolavori che restano trale massime realizzazioni del genere.Accanto alle fortunate esperienze di Guerra e Pacedi King Vidor (1956) o dei film shakespeariani diFranco Zeffirelli La bisbetica domata (1967) e so-prattutto Romeo e Giulietta portato al cinema nel1968 dopo le fortunatissime esperienze teatrali in-glese ed italiana, senza trascurare i lavori per il ci-nema di Eduardo De Filippo o di Luigi Zampa,Renato Castellani o Mario Monicelli, sarà il casodi riferirsi alla sapida collaborazione con LinaWertmüller per il cinema ma soprattutto per lo sto-rico sceneggiato a puntate televisivo Il giornalinodi Gian Burrasca che nel 1964 consegnò Rota allacelebrità presso un pubblico ancor più vasto e sen-sibile quale quello dei bambini, che cantavano asquarciagola e dovunque la celeberrima Pappa colpomodoro com’anche l’inno dei collegiali congiu-ranti Siam tutti per uno, con tanto di fischio e bum.E quanti critici “dalle nari troppo sollevate daterra” - come Rota ebbe a chiamarli – stigmatizza-rono la facilità delle tante canzoni, invero spessoraffinatissime e tutt’altro che banali, che il musici-sta compose sui versi bellissimi e croccanti dellageniale regista per quel loro musical televisivo.

TEATRO MUSICALE

L’esser nato a Milano da una famiglia dellabuona borghesia con una genealogia musicale

prestigiosa di parte materna costituì decisamenteuna partenza agevolata per un fanciullo tanto do-tato ed insieme capace di costante e tenace applica-

zione al pur severo studio della musica. ENino, senza mai venir meno ai suoi doveri discolaro intelligente e vivace, potè frequentareil teatro alla Scala, anche in virtù dell’amicizia deisuoi genitori con Arturo Toscanini. E sempre conimmutato entusiasmo e commozione Rota ricor-dava le emozioni seguite alle rappresentazioni delmussorgskiano Boris Godunov o del Pèlleas et Mè-lisande di Debussy ma, soprattutto del Parsifal diWagner e della prima assoluta (aprile ’26) dellapucciniana Turandot, alla cui prova generale assi-stè nel palco dei Visconti insieme al ventenne Lu-chino che studiava il violoncello ed era per questoin confidenza già da allora con Nino.I frutti della frequentazione del teatro d’operagiunsero presto: a soli quattordici anni il ragazzoscrisse libretto e musica per un’opera tratta dallafavola di Andersen Il principe porcaro. L’operanon venne eseguita mai vivente l’autore e solo nel2003 il Teatro La Fenice di Venezia provvide aproporne la prima esecuzione. Purtroppo non fueseguita nella stesura orchestrale redatta dal giova-nissimo compositore, essendo andata “smarrita”(sic!) la partitura manoscritta, forse “prelevata” daqualche collezionista senza scrupoli. Alla strumen-tazione ho personalmente provveduto su incaricodella Fenice, dietro suggerimento dei dirigenti delsettore musicale della Fondazione Giorgio Cini,presso la quale è depositato il Fondo Rota, accu-dito e gestito da un comitato tecnico di cui mionoro di essere uno dei componenti, sotto l’egidadi Giovanni Morelli e la presidenza onoraria diRiccardo Muti. Quello che non solo io stesso nelpor mano alla strumentazione ho constatato diretta-mente, ma che è stato rilevato da tutti coloro chehanno potuto ascoltare questo primo lavoro operi-stico di Rota, sono gli strumenti compositivi e lacompetenza nell’uso delle voci e nella struttura-zione drammaturgia del giovanissimo autore. Lostesso stile armonico e contrappuntistico sonomolto avanzati, certamente sensibili alle più recentiformulazioni linguistiche stravinskiane. Non si di-mentichi che il giovanissimo Rota trascorreva conla famiglia le sue vacanze a Ventimiglia e che ognimattina prendeva il trenino che lo portava a Monte-carlo, dove alla stazione trovava ad aspettarlo IgorStravinsky stesso, con cui trascorreva l’intera gior-nata.Solo nel 1938, ormai sistematosi in Puglia dopo laparentesi di studi di perfezionamento al Curtis In-stitute di Philadelphia [i], Rota, dopo un’attività es-senzialmente dedicata alla composizione di musicada camera, ritornò al teatro d’opera con un melo-dramma su libretto di Ernesto Trucchi tratto dal-

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l’Orlando Furioso dell’Ariosto.L'opera, in tre atti e quattro parti, fu terminata nel-l'autunno del 1942 e nello stesso anno venne inse-rita per volontà del sovrintendente Bindo Missirolinel cartellone della stagione del Teatro delle Novitàdi Bergamo, che venne trasferita a Parma per man-canza di fondi (assorbiti dalla Stagione d'Opera"extra" tenutasi alla Scala e al Reale di Milano aiprimi di ottobre) ed anche per paura delle frequentiincursioni aeree su Bergamo. La prima rappresen-tazione di Ariodante fu fissata per il 18 novembredel 1942 ad apertura della stagione lirica parmensedel Regio. Malauguratamente l'esecuzione venneinterrotta proprio da un'incursione aerea non ap-pena calato il sipario sul primo atto; si dovette cosìattendere la seconda rappresentazione, fissata il 20novembre per assistere all’esecuzione completa . Ariodante, concepita durante il periodo tarantino ecompiuta negli anni della guerra, è un'opera gran-diosa e magniloquente, un melodramma d’im-pronta ottocentesca, con arie, duetti, cori,concertati, scene spettacolari e sonorità piene. [ii]Nel 1943 Rota completa la composizione della suaterza opera lirica Torquemada, in quattro atti, an-cora su libretto di Ernesto Trucchi, tratto dalla tra-gedia omonima di Victor Hugo.Il tema centrale dell'opera, ambientata in epocacontroriformistica, è il potere: quello politico, dicui si serve il re per piegare alle sue voglie la fan-ciulla di cui è invaghito; quello religioso, ancorapiù pericoloso, impersonato dal Grande InquisitoreTorquemada, convinto per cieco fanatismo dellanecessità di dover redimere l'uomo dal peccato at-traverso il sacrificio del corpo per la salvezza del-l'anima. L'opera fu tenuta nel cassetto per ben quarantatre

anni e venne rappresentata per la prima volta solonel 1976 nel corso della stagione lirica del Teatrodi San Carlo di Napoli. Anche per questo lavoro sirinnovò la consueta frattura tra il giudizio della cri-tica, imbarazzata dall'ascolto di questo "suo giova-nile e sanguigno revival del melodramma", ed ilpubblico entusiasta.Ulteriore contributo al teatro musicale è la comme-dia lirica in un atto I due Timidi. Presentata al Pre-mio Italia 1950, l'opera era stata concepitaoriginariamente per l'esecuzione radiofonica, il chespiega la presenza in "primo piano" del ciabattino-narratore in assenza di azione scenica. La vicendanarra di due timidissimi giovani innamorati i qualinon riescono a comunicare i reciproci sentimenti efiniscono, per colpa di un equivoco, per sposarepersone che non amano. La loro segreta passione,soffocata dalla timidezza, si trasforma in reciprocainsofferenza. L'opera, nella produzione rotiana rap-presenta quel che può essere per Puccini La Bo-héme, tanto i sentimenti e le malinconie, i sottiliumorismi e le amarezze, i richiami realistici ed ilbozzettismo più accurato appaiono armonizzati inalterna, dolcissima, romantica cadenza.Nel panorama della musica contemporanea sonopoche le opere teatrali che hanno avuto successotale da essere rappresentate con ampia frequenzanel corso delle stagioni liriche di tutto il mondo.Tra queste figura Il Cappello di paglia di Firenze.L'opera in quattro atti su libretto di Nino Rota, dalvaudeville omonimo di Eugéne Labiche, era statascritta "quasi per gioco" da Rota tra il 1944 e il1945, nel corso di due estati e, successivamente,abbandonata in un cassetto per dieci anni, tanto cheRota diceva che aveva dimenticato di averla com-posta. Fu un suo amico, il Maestro Simone Cuccia

(direttore artistico del Teatro Mas-simo di Palermo) a cui il musicistaaveva fatto sentire l'opera nel '45, ainserire, quasi ad insaputa dell'autore,Il Cappello di paglia nel cartellonedella stagione lirica del 1955, costrin-gendo Rota a riprendere in esame ilvecchio abbozzo buttato giù a matitae a ‘sistemare‘ l'opera per la primarappresentazione al teatro palermi-tano fissata nell'aprile di quell'anno.[iii] La trama intricata ed esilarante dellapochade di Labiche, propone, in uncrescendo comico irresistibile, situa-zioni sempre più paradossali e ritmisempre più frenetici fino ad un se-reno e rasserenante finale in cui ven-Giorgio Strehler, Nino Rota, Nino Sanzogno

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gono chiariti e risolti tutti gli equivoci.Nella musica de Il Cappello di paglia, scritta colsorriso sulle labbra, per divertimento e per il pia-cere di cimentarsi in "un'opera buffa, comica,quasi operettistica" (Rota), riecheggiano esplicita-mente, filtrati da un gusto raffinato e magistrale, imodi propri del linguaggio musicale del passato,da Donizetti a Rossini (ad esempio, tra l’altro, peril concertato finale del III atto), a Offenbach (nellasillabazione rapida e nelle espressioni icastiche ecaricaturali), alla musica da "Café Chantant", adarmonie tipicamente pucciniane, a richiami ver-diani. Da questa utilizzazione non irriverente, maallegra, gioviale e disinvolta degli stilemi del pas-sato, perfettamente riconoscibili pur nel loro abiletravestimento, nasce la comicità della musica chesi adatta con naturalezza alla farsesca macchina

teatrale del vaudeville di Labiche.In occasione del Festival di Spoleto del 1959, perla sezione Fogli d’album, Mario Soldati scrisse unbreve e vivace bozzetto teatrale intitolato Scuola diguida, un divertente duetto scenico tra un apparen-temente rigido ingegnere istruttore ed una sventatae sensuale allieva: alla fine la strana coppia, dopobattibecchi, chiacchiere ed un piccolo incidente, siscopre imprevedibilmente innamorata. La musicadi Rota, frizzante ed ammiccante, interpretò perfet-tamente il delizioso idillio che, con la regia diFranco Zeffirelli e la direzione di Carlo Franci,piacque moltissimo al sofisticato pubblico spole-tino. Sempre nel 1959 Rota compose altre due operineradiofoniche, Lo scoiattolo in gamba e La nottedel nevrastenico. La prima è una favola musicalein un atto e quattro quadri, il cui libretto è statoscritto da Eduardo De Filippo, elaborando un temascolastico della figlia Luisa. L'opera venne rappre-sentata poi per la prima volta in forma scenicapresso il Conservatorio Niccolò Piccinni di Baridagli allievi dello stesso istituto nel 1973. La nottedi un nevrastenico è un dramma buffo in un attosul significativo libretto di Riccardo Bacchelli. Latrama "sceneggiata con molta arguzia" (Eugenio

Montale [iv]), presenta con un senso dell'iro-nia anche un po' amaro, un tipico personaggiodell’agitata epoca moderna, un ricco nevraste-nico malato d'insonnia. Con questo lavoro Rota ot-tenne un riconoscimento importante, il PremioItalia 1959. L'opera fu rappresentata in forma sce-nica nel '60 alla Piccola Scala ottenendo un vivis-simo successo come è stato ricordato da un criticod'eccezione, appunto Eugenio Montale, che volleevidenziare il merito di Rota "vero poeta umori-sta": "Solo, o quasi solo, tra gli odierni composi-tori teatrali egli si preoccupa di far sentire leparole anche quando dal recitativo si alzano le vo-lute della melodia." [v]Tra il '63 e il '65 Rota si dedicò alla composizionedi una tra le sue opere più significative per l'espres-sione musicale così semplice, naturale e spontanea

e, ancora di più, per i profondi valori simbolici, al-legorici ed esoterici in essa racchiusi: Aladino e lalampada magica, opera rappresentata per la primavolta al teatro San Carlo di Napoli nel gennaio del'68. L'interesse per la letteratura favolistica è sem-pre stato presente nella produzione di Rota, e per-ciò il progetto di una fiaba musicale, suggerito aRota da Vinci Verginelli (autore del libretto del-l'opera) fu accolto dal musicista come un dono,perché la storia di Aladino gli offriva la possibilitàdi trattare "quegli elementi che da tempo, forse dasempre, cercavo per un'opera teatrale in musica:nel tessuto leggero e, apparentemente "disimpe-gnato" della favola... Ma nella favola orientale glielementi perenni del mito si occultano e quasi nonsi avvertono attraverso lo scorrere sempre sor-prendente del racconto, che sembra invitare più altrattenimento e al divertimento che non alla medi-tazione. Questa qualità, conservata fedelmente dalpoeta nella stesura del libretto, è forse la caratteri-stica che più mi ha attratto e mi ha persuaso allarealizzazione dell'opera". [vi]La Visita Meravigliosa, scritta tra il '65 e il '69 sulibretto di Rota stesso, dopo la prima rappresenta-zione al Teatro Massimo di Palermo nel '70, l'operaha avuto molte altre esecuzioni ed un’incisione di-

Disegno di Federico Fellini

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scografica per la direzione di Giuseppe Grazioli,edita nel '93 da LA BOTTEGA DISCANTICA. Èla storia di un angelo caduto sulla terra, dove vieneaccolto con indifferenza e ostilità perfino dagli uo-mini di chiesa, tutti incapaci di accettare la diver-sità dell’ospite, presto stigmatizzato ed emarginatoinsieme al protagonista dell’opera, un reverendo

protestante che invece accetta di affrontare l’in-quietudine ed i dubbi che anche in lui genera il sin-golare ospite.Ultima produzione di Nino Rota per il teatrod’opera fu la discussa Napoli milionaria, compostatra il 1973 ed il 1977, sul libretto che Eduardo DeFilippo aveva tratto dalla sua celebre commediaomonima del 1945. Ma ora la commedia si eravolta in tragedia: un finale pessimistico e sconfor-tato mette termine alla vicenda con l’affermazioneche “la guerra non è finita, non è finito niente!” Lasperanza di un domani più felice, una volta passata“ ’a nuttata”, è stata tradita dai fatti: una desolantebarbarie (già nel 1977!) è il panorama morale chefa da sfondo ad un’umanità sempre più umiliata edegradata. Presentata come inaugurazione del XX Festival deiDue Mondi di Spoleto e trasmesso in diretta ed inmondovisione il 22 giu gno del 1977, l’opera subìun assalto fin troppo previsto: alle accuse di svoltaa sinistra del festival spoletino si affiancaronoquelle della critica, scandalizzata non solo, moresolito, dallo stile rotiano, ma adesso anche dal fattoche il musicista avesse “osato” musicare un tale ca-

polavoro del teatro del novecento. Sulla questionemusicale è inutile ripetere ancora quanto finoraspesso riferito: basterà dire che il successo di pub-blico fu entusiastico, con vere e proprie ovazioniagli autori ed al cast di prim’ordine dello spetta-colo. Ciòche allora, ma ancor più oggi, con uno sguardo

reso più equilibrato dal trascorrere del tempo, sem-brò e sembra grottesco, fu l’atteggiamento di co-loro che accusavano Rota delle manomissioni delplot narrativo e di una reale impronta più plebeache popolaresca della lingua. A nessuno venne in mente che sarebbe stato piùcorretto e leale osare una dichiarazione in tal sensoriferita all’autore del testo stesso, che, a torto o aragione, talvolta forzando la mano al compositore,aveva scelto quelle soluzioni di lingua e di ordituradella sua nuova formulazione del dramma. Ma criticare Eduardo richiedeva una tempra che acerti individui spesso manca. E cosìattaccarono il più isolato Rota, evidente-mente non difeso da chiesuole e campanili, ma sal-damente fermo nelle sue convinzioni.

GRANDI OPERE CORALI

Fin da bambino Nino Rota fu sensibile al tra-scendente e quando nel 1922 il poeta e filosofo

Silvio Pagani don al ragazzo un libretto per un ora-torio intitolato L’infanzia di San Giovanni Battista,il santo di cui il giovanetto portava il nome, si eb-

Curriculum autografo di Nino Rota. Prima pagina

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bero i primi singolari frutti del suo talento. Dapoco era mancato il padre Ercole e Nino restò affa-scinato e convinto dal bel testo del Pagani, ele-gante ed insieme adatto alla giovane età deldedicatario. Egli mise in musica l’oratorio per soli,coro e orchestra, che ebbe ben presto un’esecu-zione pubblica per l’interessamento del maestroAlessandro Perlasca il 21 aprile 1923 nella saladell’Istituto dei Ciechi di Milano sotto la direzionedel maestro Chiesa.Tra le numerosissime proposte di ripresentarel’opera venne accettata solo quella “ di un certoCharles Wattinne … direttore dei famosi cori dellacattedrale di Turcoing. Egli … chiedeva che gli ve-nisse concesso di eseguire nella cattedrale di Tur-coing L’Infanzia di San Giovanni Battista…Questa volta Nino… corse in scena e salutò ridentee felice un pubblico delirante… Fu chiesto il bis agran voce: Nino salì sul podio, impugnò la bac-chetta e in mezzo ad un silenzio compatto attaccòla seconda parte dell’Oratorio. “ [vii]Dopo la composizione di un Messa di Requiem nel1923-24, fino agli anni ’60 non troviamo numerid’opera importanti nella produzione del composi-tore, che si era dedicato, accanto ai lavori cinema-tografici, alle sue prime opere ed a molta musicasinfonica e cameristica.Contemporaneamente alla fioritura di opere stru-mentali diverse, nacquero nuove composizioni co-rali e vocali di ispirazione religiosa o, meglio,sacra: oltre al mottetto Tota Pulchra es Maria(’61), per soprano, tenore ed organo, Rota composeuna Missa S. Mariae V. Dicata (’60) più volte revi-sionata, per quattro voci maschili ed organo e laMissa Brevis (’61). Nella Missa Brevis, si può os-servare come la non comune sapienza contrappun-tistica, la ricchezza degli impasti vocali, il rilievodato alla parte organistica che non costituisce unsemplice supporto delle voci, siano elementi fon-damentali.

Il Mysterium Catholicum, venne scritto daRota quasi di getto, in poco più di due mesi,dal febbraio al marzo del 1962, nel corso deiquali lavorò con tale felicità e facilità di ispira-zione da essere indotto ad affermare di aver avutola sensazione, durante la stesura dell'opera, di es-sere "accompagnato da un vento favorevole".E' stato lo stesso Rota a spiegare la genesi di que-sto suo lavoro: "Il motivo mi fu dato dalla Citta-della di Assisi che ogni anno, intorno al '60,commissionava ad un musicista un oratorio su unversetto del Credo. A me capitò un argomento chemi attrasse subito, anche perché vedevo la possibi-lità di svolgerlo in modo non confessionale, cioè inun modo liberamente religioso, ed era il tema del-l'Universalità della Fede. Ne venne fuori un testomolto bello che fu plasmato da Vinci Verginelli suquesto tema molto complesso e fu fatto con testidei Vangeli e dei primi scrittori cristiani". [viii] E' importante notare la coincidenza temporale diquesto lavoro di Rota con un evento importantis-simo nella storia della Chiesa: l'apertura del Conci-lio Vaticano II.L'impegno nella produzione sacra generò l'equi-voco critico di una sua adesione alla schiera deicompositori cosiddetti "cattolici". Per questo mo-tivo Rota eliminò l'aggettivo "Catholicum" dal ti-tolo originario dell'oratorio.Ispirata da una profondissima spiritualità e da unaconoscenza che attinge ai principi più profondidella sapienza ermetica è l'altra importante opera diargomento sacro scritta da Rota, assieme al Myste-rium, negli anni della maturità: La Vita di Maria,rappresentazione sacra per soli, coro e orchestra.La genesi, la struttura e le fonti letterarie di que-st’opera sono state descritte dallo stesso autore nelprogramma di sala della prima esecuzione, avve-nuta nel corso della XXV Sagra Musicale Umbranella Basilica di San Pietro in Perugia il 24 settem-bre del 1970, sotto la direzione dello stesso autore:

CARA RAI, ChE FINE hA FATTO IL FILM SU ROTA?

Che fine ha fatto il film su Nino Rota, dal titolo Un amico magico ,prodotto dalla Rai e realizzato daSuso Cecchi D’Amico e Mario Monicelli nel 1999, a vent’anni esatti dalla morte del noto musicista?Se lo chiedeva ancora quattro o cinque anni fa anche la nota sceneggiatrice che non riusciva a spie-garsi come mai la Rai non l’avesse mai trasmesso, neppure nei suoi palinsesti notturni dove talvolta fi-niscono tante buone cose. Si tratta pur sempre di un film realizzato da due delle più grandi firme delnostro cinema. “E’ un bel film - assicurava Suso Cecchi D’Amico- Io stessa mi sono fatta fare dellecopie di fortuna per farlo vedere in occasione di manifestazioni in onore di Rota, in giro per l’Italia.Ci sono immagini ‘rubate’ - data la ben nota timidezza e riservatezza di Rota - mai viste prima. Unvero peccato non trasmetterlo. Ho saputo che circola in videocassetta. Non so altro”. A tutt’oggi, quelfilm la Rai non l’ha ancora trasmesso.

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"La Vita di Maria è il mio lavoro più recente. Ini-ziato nell'autunno del 1968, esso attua e integraun'idea che risale a molti anni addietro: quella dimusicare i primi capitoli del Vangelo di S. Lucache raccontano l'infanzia di Gesù.La spinta a intraprendere l'opera mi fu un suggeri-mento di Beppe Menegatti, il quale auspicava larealizzazione di una rappresentazione coreograficasulla vita della Madonna. Tale suggerimento fecerinascere in me sotto una forma nuova l'antica eambita idea, convergendola nella immagine diMaria e consentendomi di raffigurarla nella suainterezza e diversità.Non vi era dubbio però, da parte mia, che l'opera,se pure attuata coreograficamente, avrebbe dovutoassumere una struttura musicale non solo sinfo-nica ma anche vocale, condotta su testi autentici eparticolarmente significanti". [ix]Il nucleo centrale di questo polittico, che com-prende gli episodi che vanno dall'ottavo al tredice-simo, costituì l'oratorio Il Natale degli Innocenti.Infatti, durante la stesura de La Vita di Maria, Rotaricevette l'incarico di scrivere un lavoro sull'infan-zia di Gesù. Con quegli stessi episodi che eranostati già concepiti per la sacra rappresentazione,realizzò una prima versione dell'oratorio Il Nataledegli Innocenti, eseguito a Roma nella Basilicadell'Ara Coeli dall'Accademia Filarmonica Ro-mana nel marzo del 1970. Nel 1970 Siciliani commissionò al musicista, perconto della RAI, una composizione per la celebra-zione del centenario di Roma Capitale d'Italia. No-nostante Rota avesse in precedenza lavorato sucommissione (basti pensare al Mysterium), il carat-tere celebrativo dell'evento finì per inibire la purprolifica immaginazione creativa del musicista, chenon riuscì a terminare l'opera entro la data presta-bilita. Evidentemente la rappresentazione di Romacome Capitale non lo interessava affatto; tanto èvero che da questo progetto maturò, poco tempodopo, l'idea della cantata Roma Capomunni, perbaritono, coro e orchestra, con cui Rota volle espri-mere liberamente e senza alcun vincolo di caratterecelebrativo "gli aspetti più significativi e, per cosìdire, universali della Città Eterna". [x] Come giàper l'opera Aladino e la lampada magica e per glioratori Mysterium e La Vita di Maria, anche perquesta cantata Rota si avvalse della collaborazionedi Vinci Verginelli per la scelta e la traduzione deitesti.Solo in apparenza cantata profana, Roma Capo-munni è un’opera impregnata di profonda spiritua-lità e di una religiosità lontana da ogni limitazionedi origine confessionale, ispirandosi invece ai va-

lori della tradizione gnostica che risale al mondoclassico.L'opera è stata eseguita in prima assolutail 17 giugno 1972 dall'Orchestra Sinfonica e Corodella RAI, diretti dall'autore, presso l'Auditoriumdel Foro Italico a Roma, nel corso di una seratamonografica, dedicata cioè alle sole musiche ro-tiane (ricordiamo che in questa circostanza Rotapresentò per la prima volta nella sua integrità laSinfonia sopra una Canzone d'amore).

SINFONICA E BALLETTI

Subito dopo la laurea in lettere, "conseguitaanche per avere un mestiere di riserva", come

amava dire scherzando, Rota concorse per l'inse-gnamento dell'armonia presso il Liceo Musicale diTaranto. Al termine del secondo anno presso il Liceo di Ta-ranto, Rota decise di partecipare al concorso peresami indetto dal Liceo Musicale Niccolò Piccinnidi Bari: classificatosi primo in graduatoria, ottennela cattedra di armonia e contrappunto e si trasferì aBari, stabilendo la sua residenza a Torre a Mare. Inquel borgo di pescatori, a cui dedicò l'Inno a Torrea Mare, portòa compimento nel ‘39 la sua PrimaSinfonia, dopo una gestazione di quattro anni. Lapartitura, dedicata a Goffredo Petrassi, ebbe imme-diata esecuzione a Venezia durante la Stagione Sin-fonica de La Fenice, diretta da Nino Sanzogno:nella stessa serata furono eseguite alcune opere di

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Bela Bartok, che dichiaròin quell’occasione che laSinfonia di Rota andava considerata come unadelle più importanti opere sinfoniche contempora-nee.Nel ‘43 Rota completa a Torre a Mare la sua Se-conda Sinfonia detta Tarantina, in gestazione dal1938, in cui il linguaggio talvolta diviene più chetonale addirittura modale richiamando, per certi ca-ratteri, composizioni precedenti come la Sonataper viola e pianoforte (’35).Nel 1947 Rota concepì la Sinfonia sopra una can-zone d'amore e il Concerto per arpa e orchestradedicato a Clelia Gatti Aldrovandi, una delle piùcelebri arpiste dell'epoca, composizione il cui lin-guaggio è dichiaratamente neoclassico, e che testi-monia assieme alla Sarabanda e toccata per arpa(’45) e alla Sonata per flauto e arpa (’37) una par-ticolare predilezione e congenialità di Rota perquesto strumento.La Sinfonia sopra una canzone d'amore è una "Sin-fonia fuori serie", come disse scherzosamente l'au-tore, riferendosi al fatto che essa non venivaindicata come terza sinfonia. La partitura, che fucomposta da Rota in pochi mesi, subì infatti diversirimaneggiamenti fino al 1972, anno in cui fu ese-guita per la prima volta integralmente dall'Orche-stra Sinfonica della RAI di Roma all'Auditoriumdel Foro Italico, diretta dall'autore.La sinfonia si articola secondo gli schemi tradizio-nali: un "Allegro" iniziale bitematico, a cui fa se-guito uno “Scherzo“ dal ritmo insolito di 5/4, unterzo movimento, "Andante sostenuto", di caratterelirico ed un “Finale“ drammatico che si concludeciclicamente con la ripresa del tema iniziale, quelloche dà il titolo alla sinfonia. Questo tema fu scritto

originariamente per il film La donna dellamontagna (’43) di Renato Castellani. Utiliz-zato nella sinfonia, ricomparve successiva-mente anche nel film La leggenda della montagnadi cristallo (’49) di Henry Cass. Se con questotema abbiamo l'esempio del passaggio di un'ideamusicale da un genere "leggero" ad uno "colto",scopriamo anche nelle opere di Rota la frequenteutilizzazione di brani “classici“ in contesti diffe-renti. Il caso più emblematico è costituito dall'im-piego integrale del terzo e quarto movimento dellaSinfonia sopra una canzone d'amore come colonnasonora del film di Luchino Visconti Il Gattopardodel 1963.Composte nel 1953 e dedicate a Fernando Previ-tali, che ne diresse l'anno successivo la prima ese-cuzione, le Variazioni sopra un tema gioviale. Illavoro è costituito da un tema con otto variazionicaratterizzate da grande fantasia inventiva e dallaconsueta abilità tecnica. Lo stesso Rota volle chia-rire che la denominazione qualificativa dell'opera -gioviale - doveva essere letta nel senso etimologicodella parola: cioè "come aggettivo di Giove: pia-neta da cui piovono influssi di serenità contenta”.Nino Rota si adoperò affinchè anche la sua cittàd'adozione, Bari, avesse una sua orchestra stabile:nacque così l'orchestra della Fondazione Concerti "Piccinni", di cui Rota fu direttore artistico dal '53al '57. Nel concerto del 4 aprile 1957, tenutosipresso l'Accademia Filarmonica Romana, venneanche presentata in prima esecuzione assoluta laTerza Sinfonia di Rota, diretta dall'autore ed ese-guita dall'orchestra della Fondazione. La composizione aderisce al clima della poeticaneoclassica, esposta da Mario Castelnuovo-Tede-

Nino Rota e Federico Fellini

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detta dell'autore, un brano "più breve e di caratterepiù leggero", formato da una serie di cinque pezzi(Valzer Fantasia, Ballo figurato, Romanza, Quadri-glia, Can-Can) con cui Rota ha voluto rievocare se-renamente, senza nostalgia, al di là di alcun finepolemico o caricaturale "una serata di musiche e didanze del tempo passato”.Tra questi due concerti si inserisce un'altra compo-sizione per pianoforte ed orchestra, la Fantasiasopra dodici note del "Don Giovanni" (’60), co-struita sulle note della frase "Non si pasce di cibomortale chi si pasce di cibo celeste" cantata dalCommendatore nel finale dell'opera di Mozart. Lafrase nella completa successione delle note formauna serie dodecafonica e già dalle prime battute sipuò notare come questa non sia una composizione"facile" all'ascolto, anche per l'invenzione, conti-nuamente trascolorante, sui richiami delle note mo-zartiane, di idee musicali espresse con una purezzatimbrica originale e spesso con un linguaggio oscu-ramente ermetico. A proposito della produzione seria, i primi anni '60vedono, assieme alla fioritura di opere pianistiche edi composizioni di ispirazione religiosa, di cui ab-biamo già detto, la creazione di nuove musiche,quali il balletto Fantasia Tricromatica (I rappre-sentazione a Napoli, Teatro San Carlo, il 3dic.1961) e l'Ouverture La Fiera di Bari (’63),"musica d'occasione" composta per l'inaugurazionedella Fiera Campionaria barese.La straordinaria "abilità artigianale" di Rota nelmettere in risalto le possibilità espressive dei varistrumenti musicali, ha prodotto opere di grande in-teresse per il modo in cui il musicista ha saputoequilibrare in una superiore sintesi formale il di-scorso musicale dell'orchestra con le esigenzeespressive dei diversi strumenti solisti. Nella suavasta produzione così figurano un Concerto pertrombone e orchestra (’68), due Concerti per vio-loncello e orchestra, rispettivamente del 1972 e del1973, un Divertimento concertante per contrab-basso e orchestra (’68), la Ballata per corno e or-chestra Castel del Monte (’74) e un Concerto perfagotto e orchestra (1974-77).Il Divertimento concertante per contrabbasso e or-chestra ci consente di parlare della collaborazionedi Rota col noto contrabbassista Francesco Petrac-chi, per il quale il compositore aveva scritto ilbrano, il cui secondo movimento, "Marcia", fucomposto prendendo spunto dagli esercizi (scale,arpeggi, passaggi cromatici, ecc.) che Rota sentivaeseguire dagli allievi della classe di contrabbassonel corso delle lezioni tenute da Petracchi. Il successo del film La Strada e l'attualità della vi-

sco nel 1929 sulla rivista "Pegaso", riassumibilenel rifiuto del soggettivismo ottocentesco e roman-tico, nel recupero della semplicità del mondo popo-lare, nella immediatezza espressiva e nellachiarezza lessicale. Tra le opere sinfoniche vanno ancora annoveratil'Allegro Concertante per coro e orchestra del ’53,il Concerto in fa per orchestra (‘58-61) dedicato aFernando Previtali, le Meditazioni per coro e or-chestra ('54). Nel 1957, nel corso della XII SagraMusicale Umbra nel teatro Morlacchi di Perugia,venne rappresentato il primo dei cinque balletticomposti da Rota, la Rappresentazione di Adamoed Eva, su coreografie di Aurel Millos. Anche inquesto genere musicale Rota ribadisce il suo le-game con il linguaggio tradizionale; come acuta-mente sottolineava Giorgio Vigolo: "un garboarmonico, una piacevole vena melodica e l'orche-stra trasparente" sono "tutte cose che rivelano lamano di un musicista che la sa più lunga di quantola sua ingenuità apparente, il suo gusto per la gra-zia e la semplicità potrebbero far supporre". [xi]Nino Rota era un pianista abilissimo e, nella suaproduzione per la tastiera, spiccano ben quattro la-vori per pianoforte e orchestra. Il primo, il Con-certo in do per pianoforte e orchestra, scritto daRota tra il 1959 e il 1960, fu dedicato ad uno deipiù celebri solisti contemporanei, Arturo BenedettiMichelangeli.Ben più eseguito, inciso e conosciuto è, invece, ilConcerto Soirée composto tra il 1961 e il 1962.Entrato stabilmente nel repertorio pianistico, que-sto lavoro ebbe la sua prima esecuzione nel 1962 alTeatro Olimpico di Vicenza con l'autore in veste disolista, accompagnato dall'Orchestra della RAI diMilano diretta da Bruno Maderna. Rispetto alprimo Concerto in Do, il Concerto Soirée è, a

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cenda narrata, col suo dualismo tra il mondo dellafantasia e del sogno e quello della cruda realtà,suggerirono a Rota la trasposizione in forma di bal-letto dell'opera cinematografica felliniana.Nacque cosìnell'estate del 1966 il balletto in unatto e 12 quadri La Strada, su soggetto di FedericoFellini e Tullio Pinelli, che venne rappresentatonello stesso anno alla Scala con le coreografie diMario Pistoni e l'interpretazione di Carla Fracci nelruolo di Gelsomina con un successo di critica(tranne le solite poche eccezioni) e di pubblicotrionfali. Immediatamente Rota ricavò dalla parti-tura una Suite che è tuttora una delle pagine sinfo-niche del musicista più eseguite ed amate.Dei primi anni '70 sono le musiche del balletto mi-tologico Aci e Galatea (’71) di Marcella Otinelli,ispirato alle Metamorfosi ovidiane, i due Concertiper violoncello e orchestra e la Ballata per corno eorchestra Castel del Monte (’74).Sempre nel '76 il compositore ricevette l'incaricodal coreografo francese Maurice Béjart di scriverele musiche per Le Molière imaginaire, un balletto-commedia in due atti in cui si intrecciano recita-zione, danza, canto, musica, e in cui, attraversoframmenti delle opere di Molière e personaggi delteatro molieriano, che ripercorrono certi momentidella sua esistenza, viene raccontata una sorta diimmaginaria biografia del commediografo fran-cese. Assieme a pagine propriamente rotiane, vi sirilevano richiami alla musica da balletto romanticae novecentesca, alla musica francese di fine otto-cento e dell'epoca del Re Sole.Dopo il trionfale successo de Le Molière imagi-naire, il binomio Béjart-Rota ha prodotto nel 1978un altro balletto intitolato Amor di Poeta in cui

sono presenti, oltre alle musiche rotiane, i Di-chterliebe di Schumann. Come il Ballet duXXéme siecle anche il Balletto del Centro Mudradi Bruxelles, diretto da Micha van Hoecke, ha ese-guito numerosi spettacoli con le musiche di Rota.Ricordiamo la rappresentazione nel 1981 a Pistoiain prima mondiale, nell'ambito della rassegna"Omaggio a Nino Rota" di due nuovi balletti-com-media: L'Aquila e l'Uccello del Paradiso, sulla mu-sica del Concerto Soirée, e Ricordi sui 15 Preludiper pianoforte.Nel 1977 Rota rielaborò un precedente lavoro, ilNonetto, iniziato nel 1959, e compose il Concertoper fagotto ed orchestra, il cui primo movimento ècostituito dalla Toccata per fagotto e pf. del 1974.Inoltre scrisse un Pezzo in Re per clarinetto e pia-noforte, e la Rabelaisiana, un ciclo di tre liriche sutesti tratti dal Gargantua et Pantagruel di FrancoisRabelais, presentato nel Festival della Valle d'Itria(Martina Franca), nell'agosto del 1977.Anche la scelta di musicare Rabelais si spiega conl'interesse di Rota per l'esoterismo. Infatti Rotaaveva una particolare ammirazione per il cinque-centesco autore francese, delle cui opere, tra l'altro,possedeva numerose edizioni, perché nei suoiversi, oltre all'altissimo valore letterario trovava,sapientemente occultata, la testimonianza di pro-fonde verità spirituali.Il 15 dicembre 1978 venne eseguito per la primavolta nell'Auditorium della RAI di Napoli l'ultimacomposizione ‘classica‘ di Rota, il Concerto in miper pianoforte e orchestra intitolato Piccolomondo antico, solista l'autore, direttore MicheleMarvulli. Parlando di questa opera FedeleD'Amico così scrisse: "Col Concerto per piano-

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forte e orchestra la sua nativa disposizione a inca-stonare eclettismi disinnescandone la carica origi-naria e facendoli omogenei arnesi di un suospecifico, solleticante divertimento, tocca il ver-tice… Si aggiunga lo spettacolo di Rota pianista inun pezzo zeppo di virtuosismi trascendentali, ter-minato poi di comporre (dunque di studiare) ap-pena pochi giorni dopo (sic!) l'esecuzione". [xii]

MUSICA DA CAMERA

E PIANISTICA

Alle prime composizioni per canto e pianofortededicate alla cugina paterna Maria Rota, can-

tante di repertorio cameristico - sette liriche suversi di Tagore (Quando tu sollevi la lampada alcielo, del ‘22; Perché si spense la lampada?, del‘23; Illumina tu, o fuoco, del ‘24; Ascolta, o cuore,del ‘24; Io cesserò il mio canto, del ’24) e di Nic-col Tommaseo (Il presagio e La figliola del Re,entrambe del ’25) - si affiancano nel suo catalogo,dopo il rientro in Italia, altre liriche su versi diFrancesco Petrarca (Ballata e Sonetto del Petrarca,’33) e di Lina Schwarz (Tre liriche infantili, Il pa-storello e altre due liriche infantili, entrambe scrittenel ’35). Con La passione (’38) la produzione di li-riche per voce e pianoforte cessòquasi del tutto.Sono di questo periodo importanti composizioni

cameristiche: Ippolito gioca (’30), per pianoforte,dedicato al figlioletto di Il debrando Pizzetti, unadeliziosa e brillante pagina che testimonia della ri-trovata armonia con il suo vecchio maestro; Ballodella villanotta in erba per pianoforte (’31); Inven-zioni per quartetto d'archi (’32), dai modi dichiara-tamente ispirati allo stile di Malipiero; la suiteBalli (’32); la Sonata per viola e pianoforte (’34);il Quintetto per flauto, oboe, viola, violoncello earpa (’35), dedicato alla madre; la Sonata per vio-lino e pianoforte (’37), entrata nel repertorio fissodel duo Materassi-Dallapiccola; la Sonata perflauto e arpa (’37), dedicata a Clelia Gatti Aldro-vandi e della quale Gianandrea Gavazzeni in Mu-sicisti d'Europa ha scritto: "E' forse la musica piùperfetta offerta da Rota… Qui pare il fiottar divoce d'un Ravel italiano, arcaico, intimissimo;d'uno che ha inventato uno stile prima inesistente."[xiii] Per pianoforte, accanto ad una intimistica Ba-gattella, composta per la rivista Domus nel 1941,negli anni ’40 troviamo un Waltz (’45), il cui temaritroveremo nel secondo atto del Cappello di pa-glia ed una articolata e complessa Fantasia in sol,composta tra il ’44 ed il ’45: un’opera recente-mente ritrovata ed anch’essa edita dalla casa edi-trice tedesca SCHOTT: nemo propheta in patria!Nel ‘43 Rota compose la Piccola offerta musicaleper quintetto di fiati dedicata ad Alfredo Casella enel ‘45 Sarabanda e toccata per arpa.

NEANChE UNA STRADA NELLA SUA BARI! Per capire quale fosse il rapporto di Rota con il ‘suo’ Conservatorio e con gli studenti bisognerebbe aver frequentato l'isti-tuto negli anni della sua direzione: più che una scuola stricto sensu, era una grande famiglia, della quale Rota poteva essereben considerato il capostipite. Docenti, allievi, gli erano noti dal primo all'ultimo: di ciascuno conosceva interessi, attitudini,pregi e difetti e per tutti aveva sempre una parola, un consiglio, estremamente pertinenti. Paterno nelle sue attenzioni, Rota era capace di fare telefonate lunghissime dall'estero per informarsi sulle condizioni di sa-lute di un allievo malato, o magari di un docente o per chiedere notizie di un esame, di un concerto tenuto da una persona alui cara. E in molte occasioni, quando intravvedeva il talento in uno studente poco abbiente, provvedeva, senza troppa pub-blicità, ad acquistare di tasca propria lo strumento musicale necessario e a farglielo recapitare. Questi e molti altri aneddoti sono decisamente importanti per comprendere perché ancora oggi il ricordo di Rota sia vivo neitanti ex allievi - molti dei quali attuali docenti - del Conservatorio "Niccolò Piccinni", dove tra l'altro il maestro - che certonon aveva problemi finanziari - visse per anni in condizioni francescane, facendo della direzione anche la sua casa e accet-tando di farsi accudire dalla famiglia del custode . In occasione del trentennale della sua scomparsa, diverse associazioni ba-resi gli hanno dedicato concerti commemorativi: per tutte, il Collegium Musicum di Rino Marrone e l'Eurorchestra diFrancesco Lentini. Non mi sembra però di esagerare nel sostenere che, se i musicisti portano ancora Rota nel cuore, Bari siastata molto avara nei suoi confronti e, dopo avergli intitolato l'Auditorium, (quello per inciso che, in attesa delle ristruttura-zione da poco avviata, è rimasto chiuso a lungo, quasi quanto il Petruzzelli), ha ritenuto di essersi messa a posto la co-scienza. E proprio per questo mi domando: è possibile che nessuno abbia mai pensato di dedicare una strada, una piazza a un musici-sta dell'importanza di Rota che proprio a Bari ha legato buona parte della propria vita? Senza nessuna polemica, noto che, ditanto in tanto, vengono proposti nomi di personaggi molto meno significativi per la vita cittadina. Rota invece aveva pratica-mente "inventato" il Conservatorio barese, curandone personalmente l'alta qualità del corpo docente; a Bari, nella sua pic-cola stanza, aveva composto la maggior parte delle colonne sonore che ancora oggi sono note in tutto il mondo e chevengono abbinate ai nomi di Fellini, Visconti, Vidor, Zeffirelli, Coppola. E tra queste c'è anche quel tema del "Padrino" chegli valse l'Oscar. E' così assurdo ricordare agli amministratori comunali baresi che Nino Rota meriterebbe un po' di atten-zione anche a livello toponomastico?

Ugo Sbisà

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NOTE

1[i] Con Rosario Scalero per la composizione e con Fritz Reiner per la direzione d’orchestra.2 [ii] Ernesta Rota Rinaldi, Giorno per giorno, dattiloscritto, inedito. Questo secondo diario giornaliero della madre di Rota si riferisce all’anno 1942 e contiene annotazionidi carattere privato, informazioni sulla vita del musicista e sulla sua attività, descrivendo anche le sue prime esperienze cinematografiche.3 [iii] G. Vergani, Intervista…, in De Santi P. M., op. cit., p. 39, nota 33.4 [iv] Eugenio Montale, Prime alla Scala, A. Mondadori ed., 1981, pp. 304-307.5 [v] Eugenio Montale, op. cit., p. 306.6[vi] Nino Rota, Nota dell’Autore, nel programma di sala della prima rappresentazione di iAladino e la Lampada Magica, Teatro di San Carlo, Napoli, gennaio 1968, ri-prese nel programma di sala dell’edizione nella Stagione 1975-76 del Teatro dell’Opera di Roma.7 [vii] E. Rota Rinaldi, op cit.8 [viii] Nino Rota in Voi ed io, VII trasmissione, 1978.9 [ix] Note dell’Autore inserite nel programma di sala della prima esecuzione de La Vita di Maria, XXV Sagra Musicale Umbra, settembre 1970.10 [x] Nino Rota, presentazione al disco Roma Capomunni, RAI, Roma 1972, fuori commercio.11 [xi] Giorgio Vigolo, Il balletto biblico, in Mille e una sera all’opera e al concerto, Sansoni, 1971, p. 381.12 [xii] F. D’Amico, ibid.13 [xiii] Gianandrea Gavazzeni, Brevi capitoli su Nino Rota ( 1934-1940 ), in Musicisti d’Europa. Studi sui contemporanei, Milano, Suvini Zerboni, 1954, pp. 225-ss.14[xiv] Guido Agosti, Note sulle Variazioni e fuga nei dodici toni sul nome di Bach, nel programma di sala di Omaggio a Nino Rota, a cura di P. M. De Santi, Pistoia, 30

VI-1981, p. 17.15 [xv] Giorgio Vigolo, op. cit. p.600

Le Variazioni e fuga nei dodici toni sul nome diBach per pianoforte solo del ‘50, successivamenteelaborate per orchestra, rappresentano il lavoro piùimpegnativo nel catalogo “serio” rotiano: la com-posizione, da molti ritenuta il capolavoro pianisticodi Rota. Come sottolineò Guido Agosti, essa "ri-vela pienamente una tecnica compositiva e una co-noscenza dello strumento e della tastiera (suonavaegli stesso il pianoforte con estrema facilità) para-gonabile per stupenda invenzione delle diverse so-norità e per l'equilibrio del linguaggio, a quella diChopin e di Ravel. Come in Chopin e in Ravel, nonv'è una nota di troppo, la preziosità non diventavizio". [xiv]Pur se l'attività cinematografica dovette assorbirglimolte energie e molto tempo, Rota riuscì negli anni’50 a comporre numerose composizioni da camerae orchestrali: tra le prime ricordiamo la versionedefinitiva del Quartetto per archi (’54), l'Elegiaper oboe e pianoforte (’55), il Trio per flauto vio-lino e pianoforte (’58).Sempre nell'ambito della produzione pianistica, iQuindici Preludi per pianoforte (’64) occupano unposto particolare. Si tratta di componimenti dibreve durata ma di ampio fluire, vere miniaturemusicali, che altrettanto rappresentano diversi at-

teggiamenti in cui il musicista rivela quell'in-timismo suo proprio: intimismo che noncessa di richiedere di frequente, comunque, il mas-simo impegno da parte dell'esecutore.Del 1962 sono le Cadenze di flauto ed arpa per ilConcerto K.299 di W. A. Mozart, dedicate a CleliaGatti Aldrovandi e Severino Gazzelloni ("scritte daRota con così devoto spirito mozartiano, che quasinon si riconosceva la mano diversa", G. Vigolo)[xv]. Nel 1965 assieme alla Sonata per organocompose il Concerto per archi (quasi una rivisita-zione del concerto barocco).Nel ’72 Rota volle commemorare il suo maestrocon una nuova composizione, il Cantico in memo-ria di Alfredo Casella, per voce, tromba, chitarra eorgano, improntata ad una severità commossa e dialto sentire. Dello stesso anno è la Sonata per ot-toni e organo. Del 1974 è il Pezzo in Re per clari-netto e pianoforte.È ancora in corso di realizzazione il catalogo defi-nitivo delle opere di Rota, nel quale compaiono ul-teriori opere di generi diversi ancora inedite e dicui si erano perse le tracce. Non ci meraviglieremmo se tra esse comparisseropagine valide ed interessanti. @

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L’incontro con Rota non fu un casuale sodalizio,ma un incontro del destino: qualcosa che già

esisteva nella mia decisione, nella mia scelta obbli-gatoria, coatta. L’incontro con Nino era una diquelle premesse perché la mia vocazione a realiz-zare storie per immagini si realizzasse - confessaFellini. Nino Rota era scomparso da pochi mesi eFederico Fellini, che stava ultimando il montaggiodella ‘Città delle donne’- realizzato all’indomanidi ‘Prova d’orchestra’- primo film senza la musicadi Rota, ci ricevette a Cinecittà per parlarci del suo‘amico magico’.Rota aveva già cominciato a scrivere le musiche

per ‘La città delle donne’ prima di morire?

No. Il giorno della sua scomparsa ( 10 aprile 1979ndr.) dovevamo vederci nel pomeriggio - l’appun-tamento veniva rimandato da mesi. Il film preve-deva delle sequenze per le quali ci doveva essereuna musica pronta, perché andavano girate su certiritmi, certe cadenze. In più c’erano un paio di se-quenze propriamente musicali, nel senso ‘rivista-iolo’ del termine, con delle soubrettine checantano. E poi verso il finale compare un’orche-strina rock di femministe scatenate molto aggres-sive e violente.A suo parere, Rota non ha mai pensato di rom-

pere il sodalizio?

Non mi sembra, anche perché nonostante andassedicendo che non avrebbe più lavorato per il ci-nema, questo era riferito solo agli altri registi e non

a me. Nel mio caso non parlerei di pura e semplicecollaborazione. Già quando cominciavo a pensaread un nuovo film, Rota ne era parte integrante.Mi permetta di chiederle se la stretta collabora-

zione di Rota con il cinema non possa aver no-

ciuto alla fama che si era guadagnato scrivendo

musica strumentale, non destinata alle imma-

gini.

E’ una domanda per la quale dovrei sentirmi pro-fondamente offeso. Mi sembra che a Nino, dal-l’aver lavorato nel cinema, e nel mio in particolare,in films che hanno avuto grande successo, sia ve-nuta la forza e la fiducia che possono scaturire daun successo. Non credo che il suo prestigio di mu-sicista, ne sia uscito ridotto, per aver scritto ‘Lapappa col pomodoro’ o tutti i miei films; se non inchi ha idee moralistiche e rigide sui fatti dell’arte.Occorre sempre guardare alla vitalità di una cosa,nel giudicarla. Sia ch scrivesse le marcette per imiei films, o una messa solenne, un’opera od unasinfonia, Nino era musicista autentico che espri-meva nella maniera più naturale un sentimentonella musica. E aveva anche compreso che nel ci-nema la musica può essere protagonista a patto chediventi capillarmente legata, totalmente intrecciataall’immagine di cui, in certo modo, fa parte. Lamusica è come la luce, un riflettore in più che nonsi accende in teatro, sapendo che viene data da un afrase, da un’atmosfera musicale.Come ha fatto in pochissimo tempo, e a film

Federico Fellini. Intervista sulla musica e su Nino Rota

DOVE VA LA MUSICA qUANDO FINISCE ?

In occasione del trentesimo anniversario della morte di Nino Rota, ripubblichiamoquesta intervista che, nella forma attuale, può considerarsi inedita; poiché primad’ora è stata pubblicata soltanto un’altra volta e in forma ridotta, su Paese Sera(sabato 7 luglio 1979) qualche mese dopo la morte del compositore. Ma quellierano mesi terribili, il mondo e l’Italia erano distratti da ben altre, più gravi storie:morte di due papi, uccisione di Aldo Moro ecc… ecc… e l’intervista passò quasiinosservata. Incontrammo Fellini - impegnato al montaggio della ‘Città delledonne’, film realizzato all’indomani di ‘Prova d’orchestra’, e primo senza la mu-sica di Rota - a Cinecittà, per ‘parlare di Nino’.

di Pietro Acquafredda

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Nino Rota - 39

quasi ultimato, a scegliere Bacalov, successore

di Rota?

Ho avuto sott’occhio per settimane e settimane unelenco di musicisti più o meno noti, più o meno fa-mosi; ho ascoltato, ho chiesto consigli…alla finemi sono ricordato che Nino – che parlava semprebene di tutti – un paio di volte mi parlò con moltasimpatia di Bacalov. Solo su questo suggerimentodi Nino l’ho cercato. Io non avevo mai sentito lamusica di Bacalov, non sapevo neppure che esi-stesse. Poi ci siamo visti alcune volte ed abbiamocominciato a lavorare insieme. Con lui ho dovutonuovamente imparare a lavorare con un musicista.Nino ti dava sempre la sensazione che la musica lacomponevi tu e che lui era soltanto un paio di maniin più che tu avevi. Questo suo modo di lavoraremi ha abituato ad un’invadenza fatta di interventicontinui che ora devo assolutamente moderare.Non ha pensato di rivolgersi ad un musicista

d’avanguardia, in Italia ve ne sono tanti, piutto-

sto che ad uno ‘specializzato’, seppure più pra-

tico della musica da film?

Non sono affatto un esperto in fatto di musica. Tut-t’altro. Sono ignorantissimo. Forse posso avere unasensibilità musicale, ma la mia ignoranza in fattodi musica è totale. Non ascolto musica e, di conse-guenza, non conosco neppure i nomi dei musicistid’avanguardia. Per me il musicista d’avanguardia èquello che fa la musica giusta per le immagini chefaccio io. Non posso scegliere in funzione di qual-cosa che non conosco.Non si è mai sorpreso a riflettere sulla musica,

sulla magia della quale esiste una letteratura

ricchissima ed antica quanto il mondo?

Si, spesso. E mi sono spesso chiesto: dove va lamusica quando finisce? Può sembrare una battutadi finta poeticità, in effetti contiene un grande in-terrogativo di natura filosofica: dove va a finiretutto quello che di viscerale, di sentimentale, difantastico la musica ha suggerito; in quale dimen-sione ritorna, quando la musica finisce?Ha provato a vivere in prima persona l’espe-

rienza musicale, visto che ne è così attratto teo-

ricamente?

I concerti in generale, le poche volte che mi hannotrascinato da ragazzino, mi hanno suggerito sempreun’atmosfera vagamente ricattatoria, minacciosa,perfino cimiteriale. Mi hanno stampato dentroqualcosa che sa di ricatto moralistico. Non sono ingrado di capire e sentire la grande musica; ma, es-sendo estremamente suggestionabile dall’atmo-sfera e dall’ambiente del concerto – una chiesa, unoratorio od una sala – e dalle persone che vi assi-stono – vecchi per la gran parte, preti, gente con lo

spartito in mano che mi fanno venire in mente untribunale, la resa dei conti - ho deciso di starne allalarga.Per non parlare dell’opera, del melodrammaHo tre o quattro ricordi traumatici al riguardo.Anche lì mi distraggo moltissimo, perché perqualche attimo di genialità vi sono ore ed ore dicose che non capisco. Per esempio, non capiscoperché si debba cantare; io non sono affascinato daquesto fenomeno curioso nazionalpopolare, espres-sione ‘italiana’ al massimo. L’opera rappresenta iltipico ‘miracolo’ italiano, perché riesce a far convi-vere sette od otto cose che andrebbero per loroconto: la musica, il libretto, i cantanti, la scenogra-fia dipendente dagli estri dello scenografo di turno,i costumi, il direttore d’orchestra. Insomma, pertornare al discorso iniziale, la musica mi ‘invade’perché non ho difese di alcun genere e allora prefe-risco non ascoltarla. Tutta la musica. Anche quelladi carattere più festevole mi mette in uno stato didepressione canina, mi viene da urlare alla luna equindi non lavoro più.Non farebbe un film del genere ‘Fantasia’ disne-

yano, con la musica protagonista?

Certo che lo farei, anche perché oggi il ‘cromati-smo musicale’ poggia su basi scientifiche. C’èanche qualche sensitivo capace di trasformare inuna serie di esplosioni, di atmosfere colorate isuoni che uno produce con uno strumento. Ma unasimile operazione rischierebbe di diventare tropposoggettiva, giacchè è difficile misurare quanto diemozione e di inconscio personale intervienenella percettività. Non ci ho mai pensato, ma sonosicuro che, abbandonandosi al rapimento ed al ri-succhio della musica, si potrebbero trarre dai suonidelle gradazioni cromatiche, delle situazioni…Un film sulla vita di un musicista sarebbe più

facile e meno soggettivo?

Non ho mai fatto film su persone realmente esi-stite, perché mi sembra un’operazione estrema-mente indelicata, mostruosa. Non capisco come sipossa riproporre la vita di qualcuno ed ancor menola sua vita psichica o la sua vita fantastica. E per-ché, comunque, si finirebbe per parlare di se stessi,anche parlando, per esempio, di Beethoven. Vo-levo , invece, fare per la televisione un ritrattino diNino, perché lui era un personaggio veramentestraordinario. E ne avevo perfino programmato lalavorazione. Poi non se ne è fatto nulla. Avrei vo-luto parlare di lui e con lui soprattutto per tentaredi entrare anch’io in quel contatto medianico cheogni giorno, nell’ora vespertina, Nino stabiliva, abuon diritto, con l’universo musicale di cui lui erauno tra i primi @

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40 - Forum

NICOLA BERNARDINIConservatorio ‘Pollini’, Padova

Uno dei risultati più importanti e meno pubblicizzatidel contrasto tra i due blocchi - durato praticamente

tutta la seconda metà del secolo scorso - è stata l’incre-dibile messe di fenomeni culturali in ogni ambito arti-stico ed intellettuale. Entrambi i blocchi hanno profusonotevoli energie e risorse nel proporre e promuovere ex-ploits intellettuali e culturali diversi ma sempre di ele-vata qualità per dimostrare la superiorità dei propriordinamenti sociali. Al di là dei giudizi di merito e divalore sui singoli accadimenti, il risultato netto globaleè rappresentato da una notevole crescita culturale e arti-stica in tutti gli ambiti, nel giro di meno di cinquan-t’anni. Questo periodo si è concluso con il crollo deisistemi a socialismo reale alla fine del secolo. I potentatieconomici (che hanno bisogno di un nemico per soprav-vivere) hanno subito sostituito questa contrapposizionecon quella ad un supposto “terrorismo globale”. Tutta-via, la “guerra al terrorismo” non ha bisogno di pensieroe cultura - anzi, in questo caso è meglio che le domandenon vengano fatte: è meglio eliminare cultura e pen-siero. E così, da venti anni a questa parte, assistiamo adun progressivo smantellamento, dappertutto, delle poli-tiche culturali nazionali.

Il caso italiano è particolarmente grave. In Italia, losmantellamento della cultura, portato avanti anche daigoverni di sinistra, è funzionale ai governi di destra permodificare l’intero stato istituzionale e sociale. Questosmantellamento puòessere effettuato col consenso diuna società in cui le critiche siano completamente anni-chilite - una società senza cultura e senza prospettive,che accetti passivamente e distrattamente senza fare do-mande. Se questo è il disegno della destra, il paradossoè rappresentato da una sinistra che ha contribuito senzascrupoli allo smantellamento culturale nel nome di unanon meglio identificata “ricerca di consenso popolare”.Nel frattempo, il mondo reale va avanti. Le sue parolechiave sono mobilità, rete, comunità virtuali, ecc. Le oc-casioni di crescita culturale sarebbero tantissime e rela-tivamente più accessibili di cinquant’anni fa - ma nonc’è classe politica in grado di coglierle. Tutte le arti stimolano la produzione di pensiero e cul-tura. Tuttavia, la musica è tra quelle che storicamentehanno prodotto più speculazione intellettuale e mobilitàdi pensiero. Già i Greci conoscevano questa proprietàdella musica - ma la riproducibilità e il mercato hannoappiattito la produzione musicale sulla sola funzione diintrattenimento, e oggi la musica viene utilizzata perprodurre sottocultura anziché pensiero speculativo. Unaforza genuinamente innovatrice dovrebbe recuperare epromuovere le funzioni speculative della musica in ogni

ISTANTANEE DALLA CRISI

Cosa sta accadendo alla musica in Italia? Ne discutono compositori, interpreti insegnanti offrendo qualche suggerimento per venirne fuori

Interventi di Nicola Bernardini, Alfonso Borrone, Andrea Corazziari, AntonioDoro, Ciro Longobardi, Fausto Razzi, Italo Vescovo, Alvise Vidolin

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sua manifestazione. La produzione culturale di musica è fortemente condi-zionata da numerosi meccanismi che ne paralizzano lavitalità. Tra questi i peggiori sono: -SIAE. Nata per proteggere la “proprietà intellettuale”degli autori ma soprattutto degli editori, la SIAE è neifatti diventata un monopolio di stato per l’esazione dibalzelli vari su tutti gli spettacoli pubblici - balzelli cheservono essenzialmente a mantenere in vita questo ma-stodontico ente autoreferenziale. Se è dubbia una qual-siasi utilità della SIAE nella musica d’intrattenimento,un fatto certo è che il suo operato è esiziale per la pro-duzione di musica di altro tipo (sia essa classica, speri-mentale, ecc.). Tanto più che con l’arrivo di internet èormai chiaro che il concetto di “proprietà intellettuale”èminato sin dalle proprie origini e destinato a scompa-rire. E che vi sono altri modi per garantire l’attribuzionedella paternità (che è ciòche realmente importa). Si ve-dano ad esempio le licenze Creative Commons e deri-vati. Una forza realmente innovativa dovrebbe avere laforza di smantellare questo ente (la SIAE) che ha termi-nato la sua funzione e impedisce lo sviluppo culturaleanziché favorirlo. -Conservatori. Se la riforma della scuola operata dalledestre sta progressivamente smantellando l’istruzionenel nostro paese, essa ha devastato in modo quasi termi-nale i Conservatori di Musica, istituzioni già fragili per-ché statiche, antiquate e storicamente superate daglisviluppi stessi della musica contemporanea. Devastare iConservatori significa peròdistruggere una delle fontipiù serie di istruzione musicale - e di conseguenza unimportante bacino di nuove generazioni di musicisti e dipensatori di musica. E‘ necessario ripensare coraggiosa-mente i Conservatori e farli diventare il fulcro dell’atti-vità culturale riguardante la musica. -Fondazioni Liriche. A metà degli anni ’60 lo Statoaveva già imposto a questi mastodontici carrozzoni diprodurre cultura con la cosiddetta legge “Corona”,creata per finanziare nuove creazioni e produzioni. E’ si-gnificativo che queste leggi vengano generalmente vis-sute dagli impresari e dai direttori artistici non comevalidi sostegni economico-finanziari a supporto della ri-cerca e della sperimentazione musicale, ma piuttostocome fastidiose gabelle che sottraggono fondi alla pro-duzione più tradizionale. Una forza innovativa non do-vrebbe soltanto badare a far rispettare questa legge(come tutte le altre), ma dovrebbe porsi il problema dicome massimizzare la qualità dei lavori prodotti attra-verso questi finanziamenti.

ANDREA CORAZZIARI Conservatorio, Parigi ( IX arrondissement)

Formazione del pubblico attraverso la figura del-l’amatore. La possibilità di creare un pubblico che

si rinnovi passa dalla qualificazione dell’amatore comeattore culturale a pieno titolo. I Conservatori (o una retenazionale di scuole civiche, il modello francese mi sem-bra interessante da questo punto di vista) dovrebbero

portare un’attenzione crescente alla formazione di gio-vani , per farli diventare un pubblico attento e sensibile:e questo grazie allo studio di strumenti, al canto e al-l’ascolto. I percorsi musicali per amatori potrebbero af-fiancare analoghi curricula di studi di danza e teatro. Necessità assoluta per creare questa ‘filiera amatoriale’è la concezione di una didattica per progetti e non perprogrammi, con docenti altamente qualificati da vereformazioni all’insegnamento. Questa idea prevede evidentemente un notevolissimo in-vestimento di mezzi economici e logistici: ma se ne sa-rebbe ampiamente ripagati, avremmo un pubblico piùattento e consapevole, senza considerare il fatto che lostudio della musica favorisce lo sviluppo intellettivo edella sensibilità nei giovani (e meno giovani!). -Creazione di luoghi di ricerca, sperimentazione e pro-posta culturale per lo sviluppo di progetti artistici musi-cali. I centri culturali sono dappertutto in Europa unluogo privilegiato per la concezione e la proposta diidee artistiche, anche e soprattutto musicale. Perché nonsviluppare una politica che spinga alla creazione di talicentri anche in Italia? Questi potrebbero utilizzare strut-ture esistenti (pensiamo al nostro incredibile patrimonioartistico-architettonico) come loro sedi ed essere soste-nuti nella loro programmazione per favorire residenze dimusicisti italiani e stranieri (esecutori e compositori),scambi con altre arti e discipline per diventare così deipoli forti di proposta musicale, e dei centri-risorsa perassociazioni, orchestre, realtà didattiche del loro territo-rio. -Creazione di uno statuto di “intermittente dello spetta-colo” sul modello francese. Questa proposta vuol daredignità alla figura professionale dell’artista-esecutoreche in Italia gode di pochissima riconoscibilità e di unalegislazione estremamente costringente, dal punto divista amministrativo e delle coperture sociali. Si po-trebbe creare una figura giuridica come quella dell’”in-termittent” francese, che gode di una coperturapensionistica, di ammortizzatori sociali (maternità, feriepagate, malattia...) e di un sistema di “salario” che lo di-stingue (giustamente!) da altri lavoratori autonomi.

ALVISE VIDOLINCentro di Sonologia Computazionale

Università, Padova

La musica, come tutte le cose, si apprende ed entra afar parte della nostra cultura attraverso lo studio.

Come si apprende oggi la musica in Italia? Nella mag-

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gioranza dei casi la si apprende per via indiretta, ascol-tando i mezzi di comunicazione di massa che diffon-dono i prodotti dell’industria dell’intrattenimento,acquistando i loro prodotti commerciali e negli ultimianni attraverso la fruizione in rete (legale e non) di pro-dotti multimediali. I concerti sono sempre più promodell’artista e diventano eventi di aggregazione in cuil’ascolto è un optional. Che possibilità ha un giovane divenire a contatto con forme musicali che non sianoquelle dell’intrattenimento? Molto poche. Nelle famiglieborghesi del XIX secolo c’era la possibilità di impararela musica in famiglia, di avere un’educazione al-l’ascolto, di frequentare le sale di concerti e i teatrid’opera come si visitavano i musei o si leggevano i clas-sici. Nella società del XX secolo si è progressivamenterotta questa tradizione. La musica è uscita dal piacere edalla cultura domestica e non è entrata nell’istruzionepubblica. In questo vuoto di trasmissione culturale si èinserita l’industria dell’intrattenimento che ha saputocrearsi un pubblico sempre più vasto, sfruttando il pia-cere della coazione a ripetere e proponendo la musicacome evasione, come rilassamento, come moda sonorausa e getta. Complici i ritmi esistenziali sempre più fre-netici e “multitasking” che non concedono il tempo perl’ascolto, ad esempio, di una sinfonia se non facendoaltre cose in simultanea e quindi degradando anche lasinfonia al ruolo di tappezzeria sonora snob. Che fare?La mia risposta è ovvia: bisogna lavorare nella scuolafornendo una formazione musicale seria. Bisogna farconoscere ai giovani la bellezza e la complessità delpensiero musicale, far studiare la musica in paralleloalla letteratura, alla poesia, alla storia dell’arte e dell’ar-chitettura, i legami con il pensiero matematico e scienti-fico, mettendo in luce collegamenti e contrasti, anticipie rimandi evidenziando il contrappunto che lega i varipensieri che costituiscono la nostra cultura. La scuola èil solo mezzo che abbiamo per contrastare l’oppio for-nito dall’industria dell’intrattenimento e per far crescerenelle prossime generazioni competenza musicale e capa-cità di ascolto critico. Bisogna agire nelle varie fasced’età con programmi specifici, senza confondere la di-dattica della musica per chi vorrà fare il musicista perprofessione con la formazione di una cultura musicale.Lo so, i tempi per ottenere risultati sono lunghi, ma inquesto caso dobbiamo partire dalle fondamenta per co-struire in Italia una solida cultura musicale: non ritengoquindi utile inventarsi improbabili scorciatoie.

FAUSTO RAZZI Compositore

La scarsa consistenza culturale che caratterizza lamaggior parte della classe politica italiana - quando

non si tratti addirittura di un vero e proprio disinteresseper questo fondamentale aspetto dell’educazione del cit-tadino - ha determinato di fatto una pressoché totale ac-quiescenza alle leggi del mercato: e le conseguenze diquesta resa si sono rivelate particolarmente preoccupantiin questi ultimi anni, quando è stato messo in discus-sione il concetto del sostegno pubblico alle operazioniculturali in genere, che si vorrebbero del tutto privatiz-zate, per far rientrare anche la cultura tra le attività confini economici. Nell’area che più specificamente ci riguarda, la musicaha generalmente assunto l’aspetto di una serie di cosid-detti “eventi” (particolarmente ben visti se è prevista lapresenza di qualche “personaggio”): non si parla più dispessore culturale ma di spettacolo, in questo modo alli-neandosi perfettamente alle direttive imposte dalle mul-tinazionali. Un notevole supporto a questa posizione degli operatorimusicali viene offerto da gran parte degli intellettuali, laquale non può ovviamente disconoscere la “Grande Mu-sica del Passato”, ma ritiene che l’unico linguaggio mu-sicale contemporaneo sia quello della produzione diconsumo. Infine, a tale conoscenza “deviata” (che sarebbe assolu-tamente inconcepibile per altri settori artistici) corri-sponde poi - ed è questo probabilmente l’aspettomaggiormente preoccupante della questione - un’evi-dente ignoranza/incoscienza negli stessi musicisti, tal-mente attenti alla diffusione della sola musica delpassato da non rendersi conto che per formare un nuovopubblico non sono sufficienti le proposte (fondamental-mente conservatrici, anche se di buon livello) volte a farconoscere esclusivamente quella letteratura. Si tratta in-fatti di proposte che interessano solo coloro i quali - nonaccettando Schönberg, Webern o Varèse - tanto più nonaccettano la musica del nostro tempo, quella degli ultimicinquant’anni (che infatti è insufficientemente presente,sotto ogni punto di vista, nei programmi delle Istituzionimusicali). Non si comprende cioè che per avvicinare realmente igiovani a Monteverdi o a Mozart non basta eseguire leloro opere secondo una ritualità che, relegandole co-scientemente nel passato, le allontana irrimediabilmentedai giovani: la loro interna vitalità (e quindi la loroesplosiva attualità) diviene infatti evidente solo in unconfronto con il presente, con il linguaggio della musi-che complesse del ‘900, nelle quali (non in tutte, ovvia-mente, come è sempre stato) si ritrovano tutte letragedie e le sconfitte, ma anche le affermazioni di vo-lontà, di energia e di speranza per il futuro che sono pro-prie del nostro presente: un confronto volto quindi non aprovocare superficiali paragoni e facili e infruttuosescelte, ma proprio a chiarire gli aspetti e le ragioni delledue avanguardie, quella del passato e quella di oggi. Ma

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per far questo occorre rischiare, e purtroppo la mentalitàconservatrice non rischia mai, mentre solo il coraggio dichi crede in una buona causa può far sì che le nuove ge-nerazioni si avvicinino in modo attivo a quelle opere re-almente attuali (indipendentemente dall’epoca in cuisono state prodotte) che possono diventare uno stru-mento di riflessione. In altre parole: la memoria del passato - indubbiamenteuna necessità imprescindibile - non può essere conside-rata un’operazione fine a se stessa ma una spinta propul-siva per affrontare il presente e guardare con coraggio alfuturo. E intendere questa necessità dovrebbe essere laprima preoccupazione di chi - in primo luogo, quindi, imusicisti - è preposto all’organizzazione della diffu-sione. Altrimenti l’emarginazione - causata sia dalla nonconoscenza del pensiero contemporaneo (un fatto che -si badi - investe quasi esclusivamente il settore dellamusica) sia dall’abitudine (ormai pressoché general-mente diffusa, consolidata, e dal potere scientementeprovocata) a subire una produzione semplificata - por-terà al definitivo allontanamento delle nuove genera-zioni anche dalla letteratura di quel passato che giàmolti giovani considerano “musica dei vecchi”: e alloranon ci sarà più spazio, non ci sarà più interesse, nonsolo per un Quartetto di Beethoven, ma nemmeno peruna delle sue Sinfonie. Conseguentemente lo “sbocco” - oggi già fortemente li-mitato in Italia dalla penuria di orchestre - sarà quasiimpossibile, e questa volta per una causa molto piùgrave e definitiva, ossia per la graduale estinzione delpubblico: come potranno allora affrontare la realtà glistudenti di musica, che in genere dedicano il loro tempoesclusivamente allo studio del loro strumento, senzapreoccuparsi poi di ciò che avviene fuori del Conserva-torio, in quella società nella quale la loro attività futuradovrà effettuarsi, e senza quindi avere argomenti sul lin-guaggio contemporaneo che permettano di confrontarsicon i loro coetanei?

ALFONSO BORRONE Musicista

La “situazione senza uscita” riguarda -purtroppo-solo la musica “complessa”; per quanto riguarda, in-

vece, la musica commerciale la situazione è all’opposto:ne siamo bombardati in tutti luoghi e in tutti i momenti!Individuo dunque per la musica ‘complessa’ tre punti sucui lavorare:1. formazione2. diffusione3. produzionePer la formazione si rilevano già molteplici forme -

dalle scuole private a quelle pubbliche a livello prima-rio; il punto è dunque la “qualificazione” dell’offertaformativa e la definizione di criteri per la valutazione.Si potrebbe iniziare a qualificare la formazione, non ne-cessariamente strumentale, nelle scuole pubbliche, apartire dalle scuole materne adottando metodologie ap-

propriate per ogni livello (dal metodo Gordon ecc..).Anche corsi di ascolto.Si osserva, inoltre la possibilità da parte delle scuole, disvolgere attività formative extracurriculari e/o integra-tive, anche musicali; per queste attività è però necessa-rio stabilire linee guida (recepite a livello ministeriale)cui attenersi per la configurazione delle proposte daparte, comunque di operatori qualificati e accreditatiche, quindi, siano valutabili nell’offerta (obiettivi) enella realizzazione (personale).Per quanto riguarda la formazione in strutture private(scuole, gruppi musicali e altro) vanno stabiliti -conchiarezza- i criteri per ottenere i finanziamenti: ad esem-pio la completezza dell’offerta (a livello di tipologiamusicale/contemporanea e storica) e l’accreditamentodegli operatori.A proposito della diffusione si dovrebbero cercare am-biti inconsueti, ad esempio i locali più frequentati, daquelli di ristoro (pub, tavole calde, bar, ecc) a quellicommerciali (supermercati, abbigliamento, ecc.), supe-rando almeno –in una fase iniziale- la tipologia diascolto di tipo 800esco; in sintesi individuare i luoghiper raggiungere la “gente” dove già essa si trova, invecedi tentare richiamarla in luoghi specifici. Per realizzare questo obiettivo appare necessaria unacampagna di sensibilizzazione da organizzare puntual-mente sul territorio coinvolgendo gli operatori commer-ciali. È un primo passo per generare poi il pubblicodegli auditori. Nell’ambito della produzione ci si riferi-sce a due ambiti: nuove creazioni; repertori storici.Per entrambi occorrerebbe incentivare le commissioni,anche piccole, da parte di enti lirici, enti locali, istituti dialta formazione, società di concerti, associazioni musi-cali, fondazioni pubbliche e private.Anche negli Istituti di alta formazione artistica i criteriper accedere a finanziamenti, anche ordinari (come perl’università in genere), dovrebbero prevedere un’ade-guata produzione musicale da valutare nella qualità, at-traverso la completezza dell’offerta e la più ampiadiffusione territoriale.

ANTONIO DOROCompositore

Per la promozione della musica contemporanea, oc-correrebbe un coordinamento nazionale di composi-

tori, esecutori e musicologi interessati a creare una reteoperativa nei conservatori e nelle università, con lo

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scopo di inserire la musica contemporanea italiana nelleattività didattiche e nelle attività di produzione artisticae seminariale, in modo veramente democratico e aperto,al di là di interessi editoriali legati al mercato musicale. In tale contesto dovrebbero essere discussi i punti se-guenti:a) i diritti d’autore del comparto “autori di musica clas-sica” - accantonati dalla stessa SIAE - siano reimpiegati,almeno in parte, per la sovvenzione di associazioni cheprogrammino la musica contemporanea; b) abolizione della tassa di iscrizione e istituzione di unbonus di prima esecuzione per le opere contemporanee.Ciòcomporta, indirettamente, un reimpiego dei fondiSIAE ottenuti per accantonamento dei diritti di esecu-zione come sovvenzionamento delle attività creative(sul modello della SACEM francese); c) obbligo alle associazioni che ricevono finanziamentipubblici di inserire nella loro programmazione una per-centuale (da definire) di musica contemporanea, senzatener conto di imposizioni editoriali o di mercato;1) istituzione di un archivio nazionale della musica con-temporanea - utilizzando quelli già esistenti - che, sulmodello degli archivi etnografici, fornisca una mappaaggiornata di quello che effettivamente viene oggi ese-guito in Italia. Fra gli scopi primari di questo archiviodovrebbe esservi la pubblicazione periodica di CD elibri che documentino l’attività dei compositori;2) obbligo per i dipartimenti di musicologia delle uni-versità di svolgere attività di documentazione sulla mu-sica italiana. Oggi tanta musicologia documenta e studiaquel che conviene editorialmente o per la carriera di chisvolge la ricerca.

CIRO LONGOBARDI Conservatorio ‘Martucci’, Salerno

Le istituzioni musicali (dalla più piccola associazionefino alla fondazione lirica) DEVONO spendere me-

glio e di più per la diffusione della musica “colta” o“d’arte” tra i giovani, allargando e differenziando l’of-ferta di concerti per le scuole ed anche la quantità di bi-glietti a prezzo ridotto per i concerti “principali”. Accordi da parte di questi soggetti con gli assessorati al-l’educazione di comuni, province, regioni, con le stessescuole e con fondazioni di diritto privato (riguardo aicapitoli di spesa dedicati all’infanzia ed alla gioventù)

sono assolutamente auspicabili e da perseguire. Tocca aquesti soggetti (molti dei quali davvero ben sovvenzio-nati) il compito ed il dovere di colmare il vuoto lasciatodalla scuola, dalla televisione, dalla famiglia e dalla cul-tura socialmente condivisa riguardo all’educazione mu-sicale. Queste istituzioni già godono di fondi destinati aquesto scopo, ma spesso la “messa in opera” viene vistasolo come un adempimento burocratico utile al meroscopo di procacciarsi proprio quei fondi. E’ invece indispensabile che queste istituzioni smettanodi essere dei salotti di “buona cultura” e comincino alavorare sul lungo periodo alla formazione del gustomusicale a partire dai giovani.

ITALO VESCOVOConservatorio ‘Pergolesi’, Fermo

In Italia abbiamo un problema fondamentale: l’educa-zione musicale, che dovrebbe essere impartita fin

dalla scuola materna da personale qualificato, e prose-guita, seriamente, nella scuola primaria e secondaria diprimo e secondo grado.Questo permetterebbe di avere una popolazione abituataad avere un ‘sano’ e ‘regolare’ rapporto con la Musicaed anche di avere un ampio bacino di utenza per lo spet-tacolo.L’istruzione musicale dovrebbe poi prevedere l’insegna-mento pratico di strumenti musicali nella scuola prima-ria, in quella secondaria di primo grado (Scuole Mediead indirizzo Musicale da potenziare), e di secondo grado(Licei Musicali da istituire, come prevede la Legge, al-meno uno per provincia), con personale docente alta-mente qualificato (a questo serve la Scuola diDidattica)e specificamente reclutato (non i professoridei Conservatori).L’istruzione musicale in Italia attende, infine, la pienaattuazione della Legge di Riforma dei Conservatori edAccademie, 508/99. Questa legge, che pone i Conservatori allo stesso livellodelle Università, non è mai andata a regime, diversa-mente da altri Paesi europei, che l’hanno presa a mo-dello ed attuata in un paio di anni.Se tutto questo avvenisse, avremmo finalmente un Paesenel quale il linguaggio musicale viene considerato comequalun que altro linguaggio, ed alla stregua di tutte lematerie che si studiano nell’arco degli studi scolastici.Andrebbe, inoltre, razionalizzato il sostegno pubblicoagli Enti preposti (Enti lirici, sinfonici ed altro), vinco-landoli, come si fa in Francia, a scritturare una percen-tuale consistente di artisti italiani ed affidando leDirezioni artistiche e le Sovrintendenze a persone com-petenti e non legate alla politica. Infine, sarebbe importante incentivare (magari legan-dolo alle sovvenzioni) l’impegno per la musica contem-poranea con lavori commissionati; e l’istituzione diorchestre e cori giovanili e regionali. Ma tutto ciòpresuppone una forte volontà politica e ri-sorse economiche adeguate. @

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OFFERTA FORMATIVA

-Offerta formativa attuale. Grazie alla particolare orga-nizzazione della didattica nei Conservatori, essi sono at-tualmente in grado di soddisfare le necessità formativedi un’area molto vasta dal momento che le lezioni sonoconcentrate in uno o due giorni alla settimana (di solitoil pomeriggio) e gli studenti hanno la possibilità di fre-quentare nella zona di residenza la scuola normale e,contemporaneamente, di recarsi presso il Conservatoriosolo per seguire le lezioni di musica. Una particolaritàda tener presente è che gli studenti dei Conservatorihanno una estrazione estremamente variegata. Infattifrequentano, oltre che ai corsi di musica, praticamentetutte le tipologie di istituti di istruzione secondaria: insostanza gli allievi hanno la possibilità di seguire le loroinclinazioni formative e, nel contempo, coltivare la pro-pria vocazione allo studio di uno strumento che, come ènoto, è trasversale ed è totalmente indipendente dallescelte operate per l’individuazione dell’istituto d’istru-zione secondaria da frequentare.-Offerta formativa garantita dai futuri licei musicali. Sesi attivassero i licei musicali come unica possibilità for-mativa in ambito musicale nella fascia d’età 14-19 anni,tutti coloro che intendono studiare uno strumento do-vrebbero necessariamente seguire il curriculum previstodal nuovo liceo. Questa prospettiva risulta penalizzanterispetto alla situazione attuale nella quale uno studenteche, per esempio, intenda fare il geometra e contempo-raneamente coltivare la sua passione per la musica stu-diando clarinetto, lo può fare iscrivendosi all’istitutotecnico per geometri e al Conservatorio. Successiva-mente all’avvio dei licei musicali – se per i conservatorinon sarà possibile continuare a fornire l’offerta forma-tiva nei corsi di base – l’ipotetico geometra-clarinettistanon avrebbe più tale possibilità perché sarà costretto aseguire il curriculum previsto nel liceo musicale e , sevolesse fare il geometra e studiare anche clarinetto, do-vrebbe necessariamente rivolgersi a strutture private perl’una o l’altra tipologia di scuola.

DISLOCAZIONE GEOGRAFICA

Qualora si attivassero i licei musicali e, come previstonella Legge 508/99, fosse negata ai conservatori la pos-sibilità di mantenere attivi i corsi di base, per i ragazzi

che non risiedono in un raggio di 10/15 km dal liceomusicale non ci sarebbe più la possibilità di seguire lelezioni perché, come è noto, nel liceo le lezioni si svol-gono nelle ore antimeridiane di tutti i giorni e coloro cherisiedono in località lontane dal Conservatorio nonavrebbero più la possibilità di frequentarlo secondo lemodalità sopra descritte. Senza considerare le difficoltàdi coloro che risiedono in grandi città nelle quali glispostamenti sono estremamente complicati e il raggio diutilità si riduce notevolmente: basti pensare a quanto ècomplicato spostarsi a Roma o a Milano o a Napoli equanto sia difficile andare da un quartiere ad un altronelle ore di punta. A questo si aggiunga che le sole 40sezioni di liceo musicale sarebbero assolutamente insuf-ficienti a coprire il territorio nazionale e a sostituire larete formativa attualmente formata dai Conservatori edagli Istituti Musicali Pareggiati - IMP - (complessiva-mente 79 istituzioni).

CRITERI DI SCELTA DELLE SEDI

Se si analizza l’attuale diffusione dei Conservatori edegli IMP sul territorio nazionale, si evince che di 110provincie, 73 hanno nel loro territorio un Conservatorioo un IMP attivo. Restano quindi 37 provincie nelle qualigli studenti che seguono i corsi delle Scuole Medie adindirizzo musicale non possono proseguire gli studi senon andando in un Conservatorio o un IMP situato inun’altra provincia. Uno dei criteri possibili per l’indivi-duazione delle sedi, anche al fine di garantire il necessa-rio sviluppo verticale del curriculum di studio, potrebbeessere quello di collocare 37 dei previsti 40 licei ad indi-rizzo musicale dando la preferenza proprio a quelle pro-vincie sprovviste di strutture di Alta FormazioneMusicale. Nella situazione attuale infatti coloro che in-tendono studiare uno strumento presso una Scuolamedia ad indirizzo musicale e risiedono in una provinciasprovvista di Conservatorio o IMP, non hanno la possi-bilità di proseguire gli studi musicali se non recandosi amolti chilometri di distanza da casa o rivolgendosi astrutture private.Ovviamente dovunque siano collocati i licei ad indirizzomusicale, è necessario che al loro interno siano presentidotazioni strumentali e strutturali tali da consentire il re-golare svolgimento delle lezioni di musica: strumenti,aule insonorizzate, locali per le manifestazioni, ecc.

LICEI MUSICALI AL NASTRO DI PARTENZA

Vi presentiamo la relazione letta davanti alla Commissione Cultura del Senato dalDirettore del nostro Conservatorio e Presidente della Conferenza dei direttori dei

Conservatori italiani. Dove si mettono in guardia i responsabili dal non partire con il piede sbagliato

di Bruno Carioti

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PERSONALE DOCENTE

E’ sicuramente uno dei punti più delicati perché ci sonoforti implicazioni di carattere sindacale e, da parte deigiovani diplomati dei Conservatori, c’è una grande at-tesa per le possibilità di lavoro che si potrebbero aprirein conseguenza della creazione dei licei ad indirizzomusicale. Le linee di tendenza sono due: utilizzare i docenti deiConservatori di Musica per l’insegnamento nei licei adindirizzo musicale o ricorrere alle graduatorie (moltolunghe) dei diplomati dei Conservatori abilitati per leclassi di concorso attualmente attivate: A31/A32 (inse-gnamento di educazione musicale nella scuola media in-feriore e nel liceo socio-pedagogico) e A77(insegnamento di strumento nelle scuole medie ad indi-rizzo musicale. Nel caso di utilizzazione dei docenti dei Conservatori, sidovrebbero superare forti resistenze sindacali e si an-drebbe contro una precisa previsione della Legge508/99 che inquadra il personale docente dei Conserva-tori in uno specifico ruolo riferito all’insegnamentodelle materie musicali negli Istituti di Alta FormazioneArtistica e Musicale. L’altra possibilità è quella di ricor-rere alle graduatorie delle due classi di concorso per lematerie musicali attualmente in essere, operando al lorointerno una ulteriore selezione sulla base dei titoli pos-seduti dai candidati. Tale procedura dovrebbe essere quella che, dal punto divista giuridico, comporta meno problemi. Infatti il crite-rio di operare una ulteriore selezione non può esserecontestato dal momento che le nuove discipline musicaliinserite all’interno dei licei musicali fanno riferimento anuove classi di concorso il cui accesso può essere condi-zionato al possesso di specifici titoli. A questo si ag-giunga che tale provvedimento riveste un carattere diassoluta popolarità perché da un lato non suscita le pole-miche sopra evidenziate (sindacati dei docenti dei Con-servatori) e dall’altra consente a molti giovani di entrarenel mondo del lavoro. Dal punto di vista economico, sicuramente il costo ora-rio dei docenti di scuola secondaria è inferiore a quellodei docenti di Conservatorio, anche perché questi ultimidovrebbero svolgere questo ulteriore lavoro utilizzandoore in soprannumero che sono notoriamente più costoseper il settore dell’Alta Formazione Artistica e Musicale(circa 66€ l’ora per i docenti dei Conservatori contro icirca 36€ l’ora per le scuole secondarie).

CONSIDERAZIONI FINALI

I Conservatori da sempre riescono a servire un territoriomolto ampio dal momento che le lezioni di musica, so-prattutto nei primi anni di corso, occupano soltanto unoo due giorni alla settimana. Gli allievi quindi frequen-tano le scuole alle quali sono iscritti nel luogo di resi-denza e raggiungono il Conservatorio solo nei giorniprescritti. Il Liceo invece, per sua organizzazione, ha necessità diuna frequenza quotidiana, con classi ben strutturate e

con orari comuni a tutti: alle 8,30 si entra in classe e alle13,30 si esce. A questo si aggiunga che gli studenti cheattualmente seguono gli studi musicali nei Conservatorifrequentano contemporaneamente sia istituti professio-nali che licei, secondo la loro scelta vocazionale o sem-plicemente perché l’istituto prescelto è il più vicino acasa. E’ evidente che se il liceo ad indirizzo musicale sosti-tuisse integralmente il segmento iniziale dei Conserva-tori, per moltissimi ragazzi che attualmente studiano inConservatori sarebbe impossibile frequentare le lezionidi musica perché la sede del Conservatorio è ad una di-stanza tale che non gli consentirebbe di frequentarnequotidianamente le lezioni. E’ necessario quindi preve-dere un periodo più o meno lungo di coesistenza tra iConservatori e il liceo ad indirizzo musicale. Questo èperaltro espressamente indicato nei documenti ministe-riali nei quali l’attivazione dei licei viene condizionataall’esistenza di una convenzione con un Conservatorio.Non è ancora chiaro come si procederà per selezionarele proposte di attivazione che sono numerosissime. Eproprio il modo di selezione delle proposte che, al di làdei tecnicismi, è un atto squisitamente politico, farà me-glio capire cosa ci si aspetta da questi licei. Per far que-sto è necessario anche prendere in esame i curriculaproposti per tali licei. Dai documenti che sono circolati in questo tempi che ri-portano le bozze dei piani orari dei futuri licei, si evinceche su un totale di 32 ore settimanali, ben 12 sono dedi-cate alle materie squisitamente musicali divise tra le di-scipline di Esecuzione e interpretazione, Teoria ecomposizione, Storia della Musica, Laboratorio di mu-sica d’insieme, Nuove tecnologie. E’ chiaro che le materie musicali sono fortemente carat-terizzanti e improntate ad una preparazione pre-profes-sionalizzante degli studenti. D’altro canto non potrebbeessere altrimenti visto che la Legge 508/99 (la Legge diriforma dei Conservatori) prevede espressamente che ilsegmento inferiore dei Conservatori dovrebbe essere so-stituito, in un domani più o meno lontano, proprio dailicei musicali. E’ importante infine sottolineare che i primi 40 licei adindirizzo musicale e coreutico dovrebbero essere collo-cati in quelle provincie in cui non sono presenti né Con-servatori né Istituti Musicali Pareggiati. Questoconsentirebbe di allargare l’offerta formativa pubblica inambito musicale anche a quegli studenti che vivono incittà in cui hanno potuto seguire i corsi delle Scuolemedie ad indirizzo musicale ma, non essendo presentiIstituti di Alta Formazione Musicale, non hanno la pos-sibilità di proseguire gli studi musicali in una strutturapubblica e sono quindi costretti a rivolgersi a scuole dimusica private per poter coltivarla la propria passioneper la musica. Un’ultima annotazione: è fondamentale che l’offerta diinsegnamento dei singoli strumenti sia la più ampia pos-sibile, cercando di evitare l’errore che si è fatto con lescuole medie ad indirizzo musicale nelle quali, di fatto,la scelta degli strumenti è limitata a 3 o 4 (soprattuttopianoforte, chitarra, flauto). @

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OMNIBUS- 47

APPELLI

Alla Rai per la cultura

Gentile presidente della Rai,Gentile direttore generale, Gentili consiglieri p.c. al presidente della Commissione di Vigilanzae indirizzo, sen. Sergio Zavoli

Roma, 7 gennaio 2010

Alcuni anni fa, nel 2006-2007, venne indirizzato, apiù riprese, anche attraverso Articolo 21, accompa-

gnato dalle firme di mezzo mondo culturale, teatrale emusicale (dalla A di Accardo alla Z di Ziino), un appellopressante rivolto ai vertici della Rai affinché riaprisseroi palinsesti, nelle forme e negli orari giusti, alla cultura,al teatro, all’arte in generale e alla musica in particolare,senza distinzione di generi, dando così attuazione agliimpegni del contratto di servizio pubblico. Purtroppo, pur avendo registrato alcuni significativiconsensi nel CdA dell’azienda pubblica radiotelevisiva,tale appello non ottenne risultati percepibili principal-mente a livello di programmi televisivi (alla radio lecose vanno notoriamente un po’ meglio, soprattutto permerito di Radiotre). Di recente vi sono stati alcuni segnali positivi, soprat-tutto la prima serata televisiva dedicata coraggiosa-mente da Fabio Fazio su Raitre alla “prima” della Scala,con la presenza di Barenboim, di Abbado e di Pollini.Lo stesso successo di audience registrato nella tarda se-rata di Capodanno dal programma su San Francesco adAssisi conferma che c’è un pubblico Rai che dalla “sua”azienda continua ad aspettarsi una politica per la culturarinnovata e adeguata alle drammatiche necessità delPaese.Per questi e per altri motivi ci auguriamo che l’attualevertice dell’azienda, che gli attuali direttori di rete simostrino più sensibili dei loro predecessori alla cultura,all’arte, al teatro, alla musica. Ripeto: in forme televisi-vamente elaborate e negli orari più realistici. Confidando in una risposta positiva, inviamo di nuovo illungo elenco di firme poste in calce ai precedenti appelliunendovi i migliori auguri e saluti

Vittorio Emiliani

Comitato per la Bellezza

LIBRI

Vi consiglio con passione Antonio Pappano

Questo è un consiglio per gli acquisti. E per dimo-stravi che sono profondamente convinto di quel

che dico, farò un’eccezione e scriverò in prima persona.Il prodotto che vi suggerisco caldamente di acquistare èun libro, un bel libro, forse il più bel libro scritto finorasu Antonio Pappano, certamente il più ricco e corposo;anche se è solo il primo, anzi il secondo - avendonescritto uno anch’io, mi sento autorizzato ad invitarvi acomprare questo secondo - che, detto senza invidia, sur-

classa il mio. E vi spiego anche le ragioni. Innanzituttoper il costo, che se è più del doppio del mio è perchè lamerce è migliore, secondo la legge di mercato. Perchéha un bel titolo: ‘Con passione. Antonio Pappano’, lacopertina cartonata e a colori, tre volte il numero di pa-gine rispetto al mio; molte foto - almeno un centinaio- acolori, che raccontano per immagini l’intera vita di Pap-pano fino al 2008 ( campeggia anche una foto di Pap-pano con Bruno Cagli, la cui fama di ‘più notoricercatore su Rossini’ fa tremare la giornalista autricedel testo, Lucréce Maeckelbergh - belga, presumo –quando si trova al suo cospetto; moltissime testimo-nianze di artisti ( cantanti, strumentisti, direttori, registi,ma anche sovrintendenti, direttori artistici), e la vita e le‘opere’ raccontate per filo e per segno. Bruxelles, per ovvie ragioni, è il primo punto fermo delracconto, per la semplice ragione che è lì che si forma ilPappano futuro, nonostante che - per ammissione di suamoglie - il trentenne Tony scalpitava perchè si sentivacome in una prigione, seppur dorata. A detta di PamelaPappano: ” Tony, per quanto stesse volentieri a Bruxel-les, avvertiva il richiamo di una carriera più illustre, eciò turbava la tranquillità della sua vita e si ripercuotevasulla nostra relazione. Le cose accadevano con un taleritmo che qualche volta aveva bisogno di un po’ ditempo per separare il lavoro e la vita privata”. Poi Londra - la città dell’infanzia - e, infine, Roma: ilritorno alle sue origini italiane. Non solo. Nel prezioso volume si racconta che Pappanoè finalmente anche ‘cittadino italiano’, per merito, an-cora una volta, di Bruno Cagli che tanto ha fatto da far-gliela ottenere la cittadinanza, per accoglierlo a furor diaccademici, nel ristretto consesso ceciliano. Se non suoil merito di averlo chiamato a Roma, bensì del suo pre-decessore, Luciano Berio, quello di farlo diventare cit-tadino italiano e poi accademico ceciliano, è, perciò,merito solo e semplicemente di Bruno Cagli, con ilquale - si scrive -Pappano ha un feeling speciale.Le tante testimonianze sono tutte autorevoli e calorose.Thomas Hampson si chiede, dopo averlo elogiato inlungo e largo: ‘Nessun cantante suonerà mai meglio diquanto faccia con Tony’ e, alla fine, si congeda:‘Chissàcome sarà Tony a cinquant’anni’. Si racconta anche della passione di Pappano per le lin-gue; ne conosce tante. A Francoforte: “ non spiccicavoparola ma in un modo o nell’altro la lingua si insinuavain me. Un giorno mi svegliai facendo frasette in tede-sco”.L’ultima , conclusiva testimonianza è quella di PlacidoDomingo - in questo le due biografie si somigliano(anche nella mia c’è una testimonianza del grande te-nore) ma solo per questo. “ Conoscevo Pappano - diceDomingo - come maestro ripetitore a New York, ma erameravigliato di incontrarlo così presto come direttorecapo a Oslo” .C’è un punto per il quale si fa strada un po’ di invidianei confronti di questa biografia di Pappano. Anche sesfogli lentamente pagina dopo pagina e leggi attenta-mente rigo dopo rigo, non troverai mai un refuso, maiuna espressione impropria, mai un termine inesatto. Si

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direbbe, quasi ‘ispirata’ come la ‘vulgata’ biblica, que-sta traduzione italiana a cura di Franco Paris, novellosangirolamo, edita da una casa belga, di Gent - la stessache aveva pubblicato l’originale; mentre questo gioiellobiografico ed artistico, nella nostra lingua, non si sa-rebbe potuto realizzare senza il generoso contributo eco-nomico della benemerita CMR ( Compagnia per laMusica in Roma), presieduta dall’affascinante LudovicaRossi Purini che - senza che ce ne fosse bisogno - mo-tiva la sua presenza nell’impresa: in segno di ringrazia-mento “ al Maestro Antonio Pappano - artista di spiccatedoti culturali ed umane - per la passione, l’impegno e ladedizione profuse nel lavoro svolto con l’Orchestra del-l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia”. Non era ne-cessario specificarlo, una volta presa conoscenza dellaqualità del lavoro, e dopo aver letto il motto della CMR‘ Res Severa Verum Gaudium’.- Lucrèce Maeckelbergh. Con passione Antonio Pap-

pano. Snoeck editore. Gent. + CD. Euro 35,00.

P.A.

ARCUS. S(ocietà) p(er) A(mici)

Orchestra Mozart. L’Orchestra di Abbado

Dalla nascita, il primo sostegno statale si è avuto nel2006-7, tramite Arcus.

Prima e anche dopo, il sostegno maggiore è venuto dallaFondazione Cassa di Risparmio in Bologna. Era arrivatoa 1.200.000,00 Euro, ma dopo tre anni si è attestato a500.000 ,00 Euro ; e nel 2009, èsceso a 400.000,00Euro.Il presidente della Fondazione, Fabio Roversi Monaco,è anche presidente della Mozart, il cui legale rappre-sentante è il presidente della Accademia Filarmonica,Loris Azzaroni.Lo Stato, nel 2008, ha concesso un contributo di800.000,00 Euro, comprensivo di tutti i progetti; ma nel2009 tale contributo si è ridotto a 500.000,00 Euro (unabella sforbiciata....).Questi sono i due capisaldi economici dell’Orchestra.Poi ci sono le entrate da concerti fuori Bologna , gli in-cassi, gli sponsors e gli Amici e Cavalieri (questi ultimihanno raccolto circa 75.000 Euro).Dal 2007 non ci sono rapporti con Arcus.

Orchestra Cherubini. L’Orchestra di Muti

Arcus sostiene un progetto di spettacolo che rientranelle finalità proprie della Fondazione Orchestra

Giovanile “Luigi Cherubini”: promozione di una forma-zione orchestrale giovanile, l’Orchestra Giovanile“Luigi Cherubini”, che permette la costruzione di unpercorso di alta formazione lavorativa permanente,quale momento di specializzazione, crescita, sperimen-tazione e richiamo delle grandi tradizioni musicali ita-liane. Ispirata dalla volontà e dal desiderio di Riccardo

Muti, suo fondatore, l’Orchestra Giovanile “Luigi Che-rubini” assumendo il nome di uno dei massimi composi-tori italiani di tutti i tempi attivo in ambito europeo -Beethoven stesso lo considerava il più grande della suaepoca - vuole sottolineare, insieme ad una forte identitànazionale, la propria inclinazione ad una visione euro-pea della musica e della cultura.Orchestra di formazione, la “Cherubini” si pone qualestrumento privilegiato di congiunzione tra il mondo ac-cademico e l’attività professionale.

Orchestra Giovanile Italiana di Fiesole

L'OGI aveva subito una drastica riduzione dopo laperdita dei contributi del Fondo Sociale Europeo

sette anni fa (2003) e aveva tenuto saldamente la posi-zione di un organico ‘romantico’ solo grazie alla Re-gione Toscana e ad un contributo straordinario dell'EnteCassa di Risparmio di Firenze mecenate insostituibile ditutta l'attività della Scuola. La forza della disperazione ci ha portato nel 2006 a ten-tare la strada di ARCUS per riuscire a restituire un re-spiro veramente sinfonico al percorso formativo deinostri allievi. L'intelligenza culturale e la sensibilità po-litica di ARCUS hanno premiato il progetto fiesolanoportando per l'anno 2006/2007 un consistente finanzia-mento al corso d'orchestra che ci ha consentito di ripor-tare l'organico da settanta a novantasei strumentisti.Inoltre abbiamo potuto avviare la nuova politica di col-laborazione con i Conservatori: non solo al sud maanche al nord, dove la convenzione siglata con il Con-servatorio G. Frescolbaldi di Ferrara permette ai nostriallievi dei corsi di alta formazione (corsi speciali e OGI)la possibilità di conseguire il diploma accademico di se-condo livello, effettuando la coiscrizione alla due istitu-zioni. Questa prospettiva è risultata tanto allettante daportare i Conservatorii del Progetto Mezzogiorno (U.Giordano di Foggia, E.R. Duni di Matera e A. Corelli diMessina) a proporre convenzioni analoghe. Il Conserva-torio G.B. Martini di Bologna ha stipulato da tempo unaconvenzione quadro. L'Orchestra Giovanile Italiana èattualmente sostenuta oltre che dalla Regione Toscana edal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, daARCUS e dall'Ente Cassa di Risparmio di Firenze.

Filarmonica Toscanini

Una partnership inedita perche' la musica continui avivere e la grande cultura italiana sia conosciuta e

amata in tutto il mondo. E' quella che dal 2005 lega laFondazione Arturo Toscanini e la giovane societa'Arcus, nata per finanziare progetti culturali con i fondidel 5% sulle risorse stanziate per le grandi infrastrutture.La Filarmonica Arturo Toscanini, costituitasi in Fonda-zione, ha ricevuto' 3 milioni di Euro da Arcus per la suaattivita' concertistica del 2005 in tutto il mondo.Arcus spa è uno strumento di intervento a sostegno deibeni culturali, fondata nel febbraio del 2004 e attiva dal

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maggio dello stesso anno. Tra le attività della Filarmo-nica inserite nel calendario 2005, per le quali Arcus spaha stanziato 3milioni di euro, ci sono diverse tournéeseuropee ed extracontinentali. Tra le tappe europee delleperformance spiccano quelle di Spagna, Grecia, Russia;tra quelle extracontinentali, invece, sono particolar-mente degne di nota la tappa giapponese e coreana. Tra gli altri eventi del programma 2005 della Filarmo-nica, si ricordano il concerto per il ' 'Columbus Day'' alKennedy Center di Washington e la prima edizione del''Festival Internazionale Arturo Toscanini'' che prenderàil via nell'ottobre 2005 da Tokyo per proseguire conLondra nel 2006 e New York nel 2007. Tra marzo e giu-gno, la Filarmonica éstata invece invece impegnata nelprogetto ''Giuseppe Verdi e la Francia'', iniziativa cheprevedeva performance musicali a Busseto, Parma e Pa-rigi.

Da Arcus una stangata allo spettacolo

Con un recente decreto, che pone anche la parola fineal commissariamento della società, il Ministro

dello Spettacolo ha promulgato il nuovo regolamentodella spa nata con i fondi del 5 per mille. Innanzitutto ilMinistro ha avocato a sé ogni decisione sugli effettivistanziamenti; la società potrà solo istruire le pratiche.Ma ciò che penalizza ancora una volta lo spettacolo e lacultura è la destinazione dei fondi, la cui ripartizionefra restauro, paesaggio e spettacolo è stata rivista. Allospettacolo era destinato prima il 50% delle risorse, oggitale percentuale non deve superare il 20%; al restauroandranno non meno del 50% dei fondi disponibili, ed alpaesaggio non meno del 30%. Nel medesimo decreto sistabilisce, infine, che gli stanziamenti non potranno maifinire a privati, bensì a fondazioni e società onlus, senzafini di lucro.

GIORNALI. I

Stoccata di durezze: la prima di Guido

Un Falstaff da dimenticare. E la ‘malinconia’ di Fal-staff? E il sottile intarsio tra sorriso e amarezza? E

il mistero, la seduzione? Tutto cancellato. Come semezzo secolo di storia teatrale verdiana non fosse maiesistito. Le colpe? Senza perdono l’allestimento di Zef-firelli: oleografico, bozzettistico, stitico, inerte. Con-danna ridotta ( per ragioni di età) a Renato Bruson:recitazione convenzionale. Canto quasi ‘inudibile’.Scientificamente sbagliata la compagnia di canto, conl’eccezione di Carlos Alvarez e Laura Giordano. Assolu-zione per insufficienza di prove per Asher Fish e perl’incolpevole orchestra di casa. Per il bene del teatro ro-mano urge la dichiarazione dello stato di crisi: non perdeficit finanziario, ma per ‘crack’ artistico

Guido Barbieri

(La Repubblica, 30.1.2010)

GIORNALI. II

Coincidenze

Maestro Pappano, in Italia per la musica il mo-mento è pessimo?

‘Lo so, ma a Londra i problemi sono gli stessi e lì comequi riguardano soprattutto l’opera, che ha dei costi paz-zeschi, imparagonabili con quelli di una stagione sinfo-nica. Però a Londra ne siamo usciti aumentando laproduttività. Cioè se i soldi sono meno si deve fare dipiù. Stiamo cercando di applicare la stessa ricetta aSanta Cecilia e la risposta è positiva. I sindacati, peresempio, hanno dimostrato una flessibilità inusuale’.-Ma nel mondo della musica classica internazionalel’impressione è che l’Italia conti poco, anzi pochis-simo…‘Beh, Santa Cecilia adesso ha una grande visibilitàanche discografica. E La Scala l’ha sempre avuta.Credo che ci sia soprattutto un problema d’ immagine.All’estero si ha l’impressione che nei teatri italiani regniuna certa disorganizzazione e che ci siano parcheggiatitroppi politici. E l’opera, mi dispiace per loro, è fattasoltanto per i professionisti della musica’.

Intervista di Alberto Mattioli

( La Stampa, 29.11.2009)

Maestro Pappano per la musica in Italia c’è aria dicrisi.

‘Lo so, ma a Londra e in tutto il resto del mondo i pro-blemi sono simili, soprattutto per quanto riguardal’opera, che ha dei costi pazzeschi, imparagonabili conquelli di una stagione sinfonica. Peròal Covent Gardenabbiamo reagito aumentando la produttività. Stiamo cer-cando di applicare la stessa ricetta a Santa Cecilia e larisposta fino ad adesso è positiva. I sindacati, per esem-pio, hanno dimostrato una flessibilità inusuale e questomi fa ben sperare per il futuro….-L’Italia musicale all’estero ha ancora credibilità?‘ Santa Cecilia adesso ha una grande visibilità, final-mente anche discografica… E la Scala l’ha sempreavuta. Credo che ci sia soprattutto un problema d’ im-magine. All’estero si ha l’impressione che nei teatri ita-liani regni una certa disorganizzazione e che ci sianoparcheggiati troppi politici. E l’opera e inm generale lamusica, mi dispiace per loro, è fatta soltanto per coloroche la conoscono professionalmente’.

Intervista da Riccardo Lenzi

(L’Espresso,14.1.2010)

GIORNALI. III

Un amore tormentato

Amiamo troppo La Fenice di Venezia e come si fa traamanti rischiamo: per Capodanno ceda l’ordine in

tv. Mattina concerto da Vienna, pomeriggio o sera da

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Conservatorio ‘Alfredo Casella’Direttore Bruno Carioti

Via Francesco Savini 67100 L’Aquila tel: 0862/22122

MUSIC@Bimestrale di musica Anno V. N.17. Marzo-Aprile 2010

Direttore Pietro AcquafreddaProgetto grafico e Impaginazione Barbara Pre

Versione online: Alessio Gabrieleconsultabile sul sito: www.consaq.it

Redazione: [email protected]

hanno collaboratoAndrea Lucchesini, Roberto Pagano, Fausto Razzi, Nicola Scardicchio, Bruno Tosi, Alvise Vidolin

Michelangelo Zurletti, Nicola Bernardini, Italo Vescovo, Andrea CorazziariAlfonso Borrone, Antonio Doro, Ciro Longobardi

Documenti Licei Musicali

Music@è una produzione del

Laboratorio teorico-pratico di ‘Tecniche della Comunicazione’ del Conservatorio ‘Alfredo Casella’

Lettere al direttore. Indirizzare direttamente a: [email protected]

Impaginazione e Stampa:Tipografia GTE - Gruppo Tipografico Editoriale - L’Aquila Zona ind.le Loc. San Lorenzo- 67020 Fossa ( AQ) Tel.0862.755005-755096- Fax 0862 755214 - e-mail: [email protected]

Venezia. Ormai anche lei è una tradizione. Ma col suoimpaginato d’opera, tra Nabucchi e Traviate, sta megliodopo pranzo…

Carla Moreni

( Il Sole 24 Ore, 3.I.2010)

Quarta edizione del Capodanno in musica dalla Fe-nice: quello che sembrava all’inizio un azzardo, si

è rivelato una proposta vincente. I numeri lo dimo-strano. Seguono la trasmissione del concerto del I gen-naio 2007, in diretta tv, 4.390.000 spettatori. Una cifrada capogiro, per il mondo della musica. Basta fare dueconti: la capienza del Teatro veneziano è di un migliaiodi posti. Per arrivare a portarci tutto insieme quel pub-blico bisognerebbe immaginare la sala esaurita per4.500 sere, ossia per almeno 12 anni, e pere tutti i giorniconsecutivi…Un delirio. Ma che ci fa dire che con uncolpo di bacchetta magica, si è realizzato un piccoloprodigio: portare le note di Verdi, Rossini, Bellini… aduna platea straordinariamente vasta. Il Concerto di Ca-podanno veneziano di nuovo ha confermato il suo per-sonale primato: è risultato in assoluto l’appuntamento diclassica più visto sul piccolo schermo”… “Aveva biso-gno di mostrarsi con un gesto simbolico l’antico teatro,ricostruito a nuovo. E lo trovò nella forma di un con-certo modellato sul blasonato Capodanno viennese. Maitalianissimo nei contenuti”… “ In questi quattro anni ilCapodanno veneziano ha sfoggiato una struttura da su-bito solida, disposta secondo un’architettura ben stabi-lita. All’interno di questa ha deliberatamente scelto digiocare carte diverse. Ad esempio nella chiamata dei di-rettori: ogni volta un nome nuovo ( Maazel, Pretre,

Masur, Kazushi Ono) ogni volta un vario impaginato…Carla Moreni

(Booklet DVD, Il Sole 24 Ore. 2007)

Il Concerto di Capodanno alla Fenice è arrivato allaquinta edizione. E’ giovanissimo, poco più che un bam-bino. Eppure anche nell’edizione dell’anno scorso haconquistato il primato di trasmissione musicale in tele-visione con maggior numero di spettatori: 4 milioni391 mila. Per il nostro paese la cifra è impressionante.Per il Teatro La Fenice un’occasione di visibilità cherappresenta un vanto per la cultura. Fare Capodanno conla Fenice… significa anche ricordare che a Venezia ilsuo gioiello, ‘come era dove era’ è ritornato… Eccoperché ogni anno ci commuove ripartire con la musicada qui. Ecco perché il Concerto di Capodanno da Vene-zia, che è sì figlio - o nipote – di quello di Vienna, è so-prattutto un punto di riferimento per la nostra storia. A Vienna, dalla sala d’oro del Musikverein, il NeuesjahrKonzert ha luogo dal primo gennaio del 1941. Il suotema conduttore sono sempre state le musiche degliStrauss, o comunque pagine di danza. L’augurio scaturi-sce dal movimento, da un ritmo: prendendo come epi-centro Vienna, il mondo a Capodanno danza. Prendendocome epicentro Venezia, invece, il mondo a Capodannocanta. Siamo in Italia, no? La caratteristica cantantedegli auguri in musica dalla Fenice rappresenta cosìogni volta la possibilità di una declinazione originale delmessaggio. Perché sappiamo già che finiremo ascol-tando ‘Va’ pensiero’ e ‘Libiamo nei lieti calici’… Peròtutto il resto della locandina segue un percorso nuovo.

Carla Moreni

(Programma di sala, La Fenice, Capodanno 2008)

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