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Stima dei marchi d’impresa “Nord Dolciaria” Fallimento Nord Dolciaria S.p.A. n. 58/2013 Perito stimatore: dott. Massimo Franco Balconi pag. 1 Relazione di stima dei marchi d’impresa “Nord Dolciaria” 1. Incarico Il sottoscritto dott. Massimo Franco Balconi, con studio associato in Lecco Piazza Lega Lombarda 3/A, revisore legale dei conti e dottore commercialista iscritto all’ordine dei dottori commercialisti ed esperti legali dei conti di Lecco, esperto iscritto negli elenchi del Tribunale di Lecco, è stato nominato perito stimatore in data 24.06.2013 dal dott. Dario Colasanti, Giudice Delegato al Concordato Preventivo e al successivo Fallimento della società “Nord Dolciaria S.p.A.” con sede legale in Valgreghentino (LC) Via A. Moro n. 16 C.F. 00375320132 al fine di effettuare “un’analisi approfondita sui marchi e brevetti riconducibili alla società ed una conseguente loro valutazione”. Il Commissario Giudiziale, successivamente nominato Curatore del fallimento Nord Dolciaria Spa ha chiesto al sottoscritto di limitare l’analisi e la valutazione ai marchi per la loro messa in vendita. La presente valutazione è stata effettuata con particolare riguardo al fatto che la società si trova nell’ambito di una procedura concorsuale, la stima è stata dunque effettuata con un’ottica di realizzo e di prudenza nella determinazione dei valori. Il principio di valutazione adottato e che sta alla base del valore, consiste nel presupposto che i marchi, nell’ambito dell’azienda ove siano stati creati ed ove siano esercitati o in altro ambito, continuino ad essere utilizzati per attività economiche, salvo interruzioni per periodi limitati di tempo, e si accompagnino al conseguimento di futuri ricavi. In mancanza di tale condizione, la stima del valore dei beni immateriali diviene poco significativa, non potendo sussistere, per gli stessi un valore residuale come nel caso dei beni materiali, salvo specifici casi e salvo che i marchi abbiano una notorietà “storica” in sé e la stessa perduri nonostante l’inattività. 2. I marchi: definizioni, tutela giuridica, trasferibilità, valutabilità 2.1 Definizioni e tutela giuridica La tutela ai marchi d’impresa è assicurata nel nostro ordinamento, in campo civile, dal Codice della Proprietà Industriale – D.Lgs. n. 30 del 10.02.2005 - e dagli artt. 2598, 2599 e 2600 del codice civile e, in campo penale, dagli artt. 473 e 474 del codice penale. Il codice della proprietà industriale ha provveduto ad un razionale riassetto della disciplina della proprietà industriale semplificando la precedente normativa (Regio Decreto n. 929 del 21.6.1942 (cd Legge Marchi) così come modificato dal D.Lgs. n. 480 del 4.12.1992 (in attuazione della Direttiva Cee n. 89/104 sul riavvicinamento delle legislazioni degli stati membri in materia di marchi), dal D.Lgs. n. 198 del 19.3.1996 e dal D.Lgs. n. 447 del 8.10.1999) ed ha coordinato le fonti nazionali e comunitarie ampliando la tutela riservata alla proprietà industriale, ridefinendo le competenze dell’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi ed, infine, tutelando le invenzioni dei ricercatori universitari e degli Enti di Ricerca.

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Stima dei marchi d’impresa “Nord Dolciaria” Fallimento Nord Dolciaria S.p.A. n. 58/2013

Perito stimatore: dott. Massimo Franco Balconi pag. 1

Relazione di stima dei marchi d’impresa “Nord Dolciaria”

1. Incarico

Il sottoscritto dott. Massimo Franco Balconi, con studio associato in Lecco Piazza Lega Lombarda 3/A, revisore legale dei conti e dottore commercialista iscritto all’ordine dei dottori commercialisti ed esperti legali dei conti di Lecco, esperto iscritto negli elenchi del Tribunale di Lecco, è stato nominato perito stimatore in data 24.06.2013 dal dott. Dario Colasanti, Giudice Delegato al Concordato Preventivo e al successivo Fallimento della società “Nord Dolciaria S.p.A.” con sede legale in Valgreghentino (LC) Via A. Moro n. 16 C.F. 00375320132 al fine di effettuare “un’analisi approfondita sui marchi e brevetti riconducibili alla società ed una conseguente loro valutazione”.

Il Commissario Giudiziale, successivamente nominato Curatore del fallimento Nord Dolciaria Spa ha chiesto al sottoscritto di limitare l’analisi e la valutazione ai marchi per la loro messa in vendita.

La presente valutazione è stata effettuata con particolare riguardo al fatto che la società si trova nell’ambito di una procedura concorsuale, la stima è stata dunque effettuata con un’ottica di realizzo e di prudenza nella determinazione dei valori.

Il principio di valutazione adottato e che sta alla base del valore, consiste nel presupposto che i marchi, nell’ambito dell’azienda ove siano stati creati ed ove siano esercitati o in altro ambito, continuino ad essere utilizzati per attività economiche, salvo interruzioni per periodi limitati di tempo, e si accompagnino al conseguimento di futuri ricavi. In mancanza di tale condizione, la stima del valore dei beni immateriali diviene poco significativa, non potendo sussistere, per gli stessi un valore residuale come nel caso dei beni materiali, salvo specifici casi e salvo che i marchi abbiano una notorietà “storica” in sé e la stessa perduri nonostante l’inattività.

2. I marchi: definizioni, tutela giuridica, trasferibilità, valutabilità 2.1 Definizioni e tutela giuridica

La tutela ai marchi d’impresa è assicurata nel nostro ordinamento, in campo civile, dal Codice della Proprietà Industriale – D.Lgs. n. 30 del 10.02.2005 - e dagli artt. 2598, 2599 e 2600 del codice civile e, in campo penale, dagli artt. 473 e 474 del codice penale.

Il codice della proprietà industriale ha provveduto ad un razionale riassetto della disciplina della proprietà industriale semplificando la precedente normativa (Regio Decreto n. 929 del 21.6.1942 (cd Legge Marchi) così come modificato dal D.Lgs. n. 480 del 4.12.1992 (in attuazione della Direttiva Cee n. 89/104 sul riavvicinamento delle legislazioni degli stati membri in materia di marchi), dal D.Lgs. n. 198 del 19.3.1996 e dal D.Lgs. n. 447 del 8.10.1999) ed ha coordinato le fonti nazionali e comunitarie ampliando la tutela riservata alla proprietà industriale, ridefinendo le competenze dell’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi ed, infine, tutelando le invenzioni dei ricercatori universitari e degli Enti di Ricerca.

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Il 10.03.2010, a cinque anni dall’emanazione del codice della proprietà industriale, è entrato in vigore il relativo regolamento di attuazione – Decreto 13.01.2010 n. 33 – così come predisposto dal Ministero per lo sviluppo economico.

A partire dal 01.07.2008, con il DM 27.06.2008, è divenuto operativo l’accordo sottoscritto tra Ministero dello Sviluppo Economico e l’Ufficio Europeo dei Brevetti per la ricerca di anteriorità sulle domande di brevetto per invenzione industriale depositate in Italia, per le quali non è rivendicata la priorità estera.

Il nostro legislatore considera il marchio d’impresa come un segno distintivo e come tale deve avere la funzione di consentire al pubblico di distinguere i prodotti e i servizi di un altro imprenditore. Da tale funzione distintiva discende la struttura del diritto sul marchio.

La Legge stabilisce il principio di territorialità in base al quale il titolare del marchio nazionale registrato ha diritto ad usarlo in via esclusiva nel territorio dello Stato e, al contempo, ha facoltà di impedire ai terzi l’uso dello stesso segno o di altro simile nel medesimo ambito territoriale, anche attraverso l’importazione nel territorio di prodotti contrassegnati dallo stesso segno.

Tale diritto è però contemperato dal principio di specialità in base al quale la registrazione esplica efficacia limitatamente ai prodotti o servizi indicati nella registrazione stessa ed ai prodotti o servizi affini.

Occorre distinguere tra marchio speciale, che designa singoli settori o categorie di prodotti o di servizi con la funzione di attribuire a ciascuna entità specializzata un valore di mercato autonomo dagli altri, e marchio generale, che non si riferisce ai prodotti, ma all’impresa ed è ritenuto il segno distintivo per eccellenza.

L’art. 7 del D.Lgs. 30/2005 (legge sui marchi o LM) stabilisce che possono costituire oggetto di registrazione come marchio d’impresa tutti i segni suscettibili di essere rappresentati graficamente, in particolare le parole, compresi i nomi di persona, i disegni, le lettere, le cifre, i suoni, la forma del prodotto o la sua confezione, purché siano atti a distinguere i prodotti o la ditta o l’insegna di un’impresa da un’altra.

Per quanto riguarda la tutela dei marchi nazionali, i diritti di privativa e di tutela del segno distintivo e tutti gli altri diritti esclusivi considerati dalla LM sono conferiti con la registrazione presso l’UIBM (Ufficio Italiano Brevetti e Marchi). Alla registrazione è riconosciuta natura di accertamento costitutivo del diritto di privativa sul segno (Trib.Roma 19.9.72), anche se è l’uso del segno, più che la sua registrazione, a dare contenuto ai diritti di privativa nascenti dalla registrazione, e ciò perché è prevista la decadenza dai diritti per il non uso. La registrazione pertanto non pregiudica i diritti dei terzi e l’esercizio delle azioni relative alla validità o all’appartenenza del marchio.

La registrazione nazionale dura dieci anni dalla data del deposito della domanda (art. 4 LM); la registrazione è rinnovabile per innumerevoli uguali periodi di dieci anni, garantendo una privativa sul segno virtualmente illimitata nel tempo.

La domanda, da depositarsi presso l’UIBM, “deve essere accompagnata dall’esemplare del marchio e deve contenere l’indicazione del genere dei prodotti o servizi che il marchio serve a contraddistinguere” in base alla classificazione internazionale di cui all’Accordo di Nizza (Testo di Stoccolma del 14.7.77).

In caso di rivendicazione di priorità, ad esempio per la registrazione all’estero di un marchio simile, il depositante dovrà fornire all’Ufficio i documenti comprovanti la priorità; nelle more del

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procedimento di registrazione il depositante può eventualmente ottenere i provvedimenti cautelari (descrizione e sequestro).

L’Ufficio procede ad un esame formale sulla registrabilità (esame requisiti formali e verifica che il marchio non consista esclusivamente in un segno divenuto di uso comune nel commercio). Non è invece onere dell’Ufficio l’effettuazione di un esame preventivo di novità del marchio. L’Ufficio pubblica la notizia della domanda e dell’eventuale registrazione, nonché l’esemplare del marchio nel bollettino e sul sito e rende pubblici i documenti ad esso relativi, in modo tale che chiunque possa prendere visione ed ottenere, per certificato o per estratto, notizia delle registrazioni, delle trascrizioni e delle annotazioni, nonché copia delle domande e relativi documenti.

Entro tre mesi dalla pubblicazione della domanda, i titolari di un marchio anteriormente registrato sono legittimati a presentare opposizione alla registrazione del marchio, alla quale seguirà il giudizio di opposizione. E’ prevista la possibilità di dichiarare la decadenza della registrazione del marchio a seguito del non uso dello stesso per cinque anni. Per uso si deve intendere l’utilizzo effettivo per i prodotti o servizi per i quali è stato registrato.

Vi è da ricordare che nel nostro ordinamento giuridico largo spazio è riconosciuto ai cosiddetti “marchi di fatto”, ossia i marchi non registrati. Per essi il legislatore stabilisce infatti che “chi ha fatto uso di un marchio non registrato ha facoltà di continuare ad usarlo, nonostante la registrazione da altri ottenuta”, purché tale uso di fatto sia anteriore alla registrazione fatta da altri e il marchio abbia raggiunto un determinato grado di notorietà. La tutela accordata dal legislatore è diversa a seconda che il marchio non registrato abbia raggiunto una notorietà locale o nazionale. Nel caso di notorietà del marchio a livello nazionale, il legislatore vieta la registrazione di un identico marchio da parte di terzi produttori di prodotti analoghi (è invece possibile la registrazione di prodotti affini); nel caso invece di diffusione a livello locale, il produttore non potrà impedire la registrazione del medesimo marchio per prodotti identici in altra parte del territorio.

La registrazione internazionale del marchio (o marchio internazionale) la cui regolamentazione risale all’Accordo di Madrid del 14.4.1891 ed al Protocollo di Madrid del 27.6.89 è curata dall’WIPO (World Intellectual Property Organization). La registrazione internazionale può essere effettuata per un marchio precedentemente registrato in un paese aderente all’accordo o al protocollo da parte di imprese che hanno sede o stabilimento in questi stessi paesi. Gli effetti della registrazione internazionale, in ognuno dei paesi firmatari dell'accordo di Madrid o del protocollo di Madrid designati dal richiedente, equivalgono ad una registrazione nazionale. Il sistema di Madrid (accordo o protocollo) interessa attualmente oltre 80 paesi, tra cui gli Stati dell'Unione europea, Norvegia, Svizzera, Turchia, Federazione Russa, USA, tutti i paesi dell'Europa centrale e orientale, Cina, Giappone. Mancano i paesi dell’America latina e il Canada. La registrazione comunitaria del marchio (cd marchio comunitario) presenta il vantaggio di offrire una protezione unitaria in tutti i paesi dell'Unione europea e in altri paesi aderenti ad una specifica convenzione. Ciò a seguito di una procedura di registrazione unica da effettuarsi presso l'UAMI (Ufficio per l’armonizzazione del mercato interno). Il marchio comunitario può essere utilizzato come marchio di fabbrica, marchio di commercio o marchio di servizio. Esso può inoltre configurarsi quale marchio collettivo: il rispetto del regolamento di utilizzazione del marchio collettivo garantisce l'origine, la natura o la qualità dei prodotti e servizi conferendo loro carattere distintivo a vantaggio dei membri dell'associazione o dell'ente titolare del marchio. Esso può essere registrato, trasferito o annullato esclusivamente per l'intera Comunità. La sua durata è di

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dieci anni rinnovabili indefinitamente. Le norme di legge che lo disciplinano sono analoghe a quelle applicate ai marchi nazionali da ciascuno Stato membro dell'Unione europea. La richiesta di marchio comunitario non implica la rinuncia alle protezioni nazionali o internazionali anteriori, ma comporta solamente la semplificazione delle modalità di presentazione della domanda. La preesistenza di un marchio nazionale può essere invocata innanzi all'UAMI anche in caso di estinzione o di successiva rinuncia al marchio nazionale, grazie al marchio comunitario. Infatti, l'impresa beneficia degli stessi diritti che avrebbe se il marchio nazionale fosse ancora registrato. Il rifiuto di registrazione di una domanda, la decadenza o l'annullamento di un marchio comunitario lasciano aperta la possibilità di inoltrare altrettante domande di marchi nazionali quanti sono i paesi dell'Unione Europea in cui il motivo del rifiuto, della decadenza o dell'annullamento non si applica. Il vantaggio costituito da un'eventuale priorità o anzianità è così conservato per cui non vanno perduti gli investimenti e le campagne pubblicitarie effettuati antecedentemente in tali paesi. Il marchio comunitario può essere mantenuto in tutti i paesi dell'Unione europea grazie ad un uso serio ed effettivo in un solo Stato membro. Qualsiasi azienda, pur non desiderando servirsi del proprio marchio in tutti gli Stati membri, può dunque fare ricorso al marchio comunitario senza temere un'istanza per decadenza dovuta al mancato utilizzo. Sarà possibile presentare un'istanza per contraffazione dinanzi al tribunale competente per conoscere le azioni relative al marchio comunitario. Le decisioni sono esperibili su tutto il territorio dell'Unione e ciò evita di dover perseguire i contraffattori in ciascuno Stato membro. Le tre possibili modalità di tutela, nazionale, comunitaria ed internazionale non si escludono reciprocamente e consentono alle imprese la massima flessibilità in modo da poter adeguare il sistema di protezione alle loro necessità.

2.2 La trasferibilità dei marchi d’impresa

Il trasferimento del marchio d’impresa è disciplinato dall’art. 2573 c.c., nonché dall’art. 23 del D.Lgs 30/2005, che sostanzialmente riproduce il previgente art. 15 del D.Lgs 480/92.

Prima della prima riforma, attuata con il previgente D.Lgs. 480/1992, il marchio poteva essere trasferito solamente insieme all’azienda o ad un ramo della stessa, come recitato dalla precedente formulazione dell’art. 2573 c.c., e tale limitazione era giustificata dalla centralità della funzione distintiva della provenienza dei prodotti da un determinato produttore. Di fatto, col tempo, la giurisprudenza era arrivata a depotenziare tale limitazione, giungendo a ritenere sufficiente, ai fini della validità della cessione, il (nemmeno) contestuale trasferimento al cessionario del semplice “diritto di fabbricazione” del prodotto contrassegnato.

Con il D.Lgs 480/1992 e poi il D.Lgs 30/2005 è stata resa possibile la libera trasferibilità dei marchi d’impresa, stabilendo che la cessione del segno distintivo può intervenire per la totalità o per una parte soltanto dei prodotti o servizi per i quali è stato registrato, così pure la licenza del marchio può riguardare tutti o solo alcuni prodotti. E’ rimasto inalterato il vecchio principio dell’art. 15 in base al quale “dal trasferimento e dalla licenza del marchio non deve derivare inganno in quei caratteri dei prodotti o servizi che sono essenziali nell’apprezzamento del pubblico”.

Il trasferimento può avvenire per atto tra vivi e mortis causa, per cessione (trasferimento della titolarità del marchio), in licenza (trasferimento del diritto all’uso ed al godimento del marchio in senso generale), in merchandising (concessione d’uso del marchio su prodotti diversi da quelli per

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i quali il segno è usato dal titolare), per la totalità del marchio o anche per parte di questo (nel senso merceologico e non in quello territoriale).

Per quanto attiene alla forma dell’atto di trasferimento, si tratta di un contratto che non prevede particolari forme, potendo essere stipulato per atto scritto oppure per facta concludentia. Sotto il profilo probatorio l’avvenuta cessione può essere provata tra le parti con qualsiasi mezzo, ma di fatto la forma scritta si rende necessaria nella maggior parte dei casi, sia per il dettato dell’art. 2556 c.c. che richiede la forma scritta ad probationem per il trasferimento d’azienda, sia anche in relazione ai limiti posti dagli artt. 2721 e ss c.c. per quanto attiene alla possibilità di dare ingresso alla prova testimoniale in materia di contratti. Di fronte ai terzi invece il contratto può essere provato in qualsiasi modo.

Nel caso in cui sia stato stipulato in precedenza un trasferimento privo delle necessarie precisazioni in relazione agli estremi dei marchi che le parti hanno voluto effettivamente trasferire, i contraenti possono ricorrere alla stesura separata di un atto ricognitivo della cessione del marchio. Allo stesso tipo di atto le parti potrebbero affidare la conferma del trasferimento del marchio avvenuto precedentemente, mediante compravendita, fusione, scissione o conferimento d’azienda.

Per quanto attiene alla trascrizione del contratto di cessione nel registro dei marchi di impresa, tale pubblicità possiede analoghe caratteristiche a quelle della trascrizione immobiliare, ma non possiede effetti costitutivi e non incide sulla validità del trasferimento del diritto, attuando una forma di pubblicità dichiarativa a tutela della buona fede e dei diritti di terzi, con la funzione legale di assicurare la priorità del diritto acquisito e trascritto nel caso di conflitto fra successivi acquirenti.

Il trasferimento del marchio è soggetto a trascrizione, con funzione quindi di sola pubblicità dichiarativa del trasferimento di fronte ai terzi, presso l’UIBM, nel caso di marchi nazionali, presso l’UAMI per marchi comunitari e presso il WIPO, per i marchi internazionali.

2.3 Il marchio quale bene immateriale o intangibile

La valorizzazione dei beni immateriali, detti anche “intangibili”, presenta notevoli elementi di difficoltà, dovuti sia alla natura immateriale degli stessi, che comporta un’elevata volatilità del loro valore, che ai limiti che presentano i metodi valutativi tradizionali.

“Dopo oltre 20 anni di studi e ricerche, il problema della misura degli Intangibili specifici non ha

ancora raggiunto un livello che possa considerarsi soddisfacente” (Guatri L. Bini M., Gli intangibili

specifici, Egea 2003). Sulla risoluzione di tali difficoltà si è concentrata l’attenzione degli studiosi che hanno proposto di riservare la qualifica di “intangibile” unicamente alle risorse immateriali che soddisfino i seguenti tre requisiti: a) essere oggetto di un significativo flusso di investimenti; b) essere all’origine di costi ad utilità differita nel tempo di entità apprezzabile; c) essere trasferibili a terzi, sia pure a certe condizioni. Pertanto il bene intangibile deve non solo “essere all’origine di costi ad utilità differita nel tempo”, ma anche poter risultare “estraibile dall’azienda in cui si è formato, anche se congiuntamente ad altri beni materiali e immateriali” (Guatri L., La valutazione delle aziende, Egea 2003).

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Il requisito essenziale appare comunque quello della trasferibilità, da valutare “nello spirito e con i limiti che il medesimo giudizio presenta nel caso degli elementi tangibili” (Brugger, La valutazione

dei beni immateriali legati a marketing e tecnologia, Finanza marketing e produzione, n. 1/1989). Ciò ha indotto a ritenere valutabili separatamente dall’azienda gli intangibili cosiddetti specifici, ovvero quelli legati al marketing (es. marchi) e quelli legati alla tecnologia (es. brevetti). Gli altri intangibili cosiddetti generici (es. le competenze manageriali, il Know How), risultano di più difficile individuazione e valutazione, per cui, al fine di evitare rischiose duplicazione di valore con altri beni immateriali, è opportuno farli rientrare genericamente nel più ampio concetto di avviamento aziendale. Oltre a possedere la caratteristica della “separabilità” e la possibilità di generare benefici futuri, è altresì necessario che i valore degli intangibili possa essere oggetto di valorizzazione con un criterio razionale e affidabile (misurabilità), e che vi sia la corrispondenza ad un idoneo “scenario reddituale” (che abbiano cioè la capacità di generare reddito in futuro, sia pure in via teorica e con le dovute operazioni di ristrutturazione aziendale). A prescindere dal metodo utilizzato, è sempre necessaria la verifica dello “scenario reddituale” (Guatri L. Bini M., op. citata) in quanto “il valore degli intangibili trova sempre il limite del valore

dell’azienda nel suo complesso, appropriatamente stimato e depurato del valore delle altre attività

e passività” (Guatri L. Bini M., op. citata).

2.4 La marca: significato e tendenze del suo valore

“Conterà di più avere dei mercati che delle fabbriche. L’unico modo per possedere dei mercati è possedere le marche che dominano il mercato”. Tale verità pone il valore della marca al centro del valore delle imprese industriali, non solo di quelle commerciali, in quanto “il prodotto può essere imitato, la marca è unica”. (Aaker, Brand Valuation, 1991). “Il valore di una marca affermata è dovuto in parte al fatto che è molto più difficile costruire una marca oggi di qualche decina di anni fa, innanzitutto perché i costi di pubblicità e di distribuzione sono molto superiori” ed in secondo luogo perché “il numero delle marche si è moltiplicato ./.. con la conseguenza di una concorrenza esasperata per entrare nella mente del consumatore”. (Aaker, op. citata). “Nonostante l’importanza, pressoché ovvia, della marca, ci sono segnali che fanno pensare ad un processo di erosione in atto, segno che la marca è in crisi e che il fattore prezzo del prodotto diventa sempre più importante” (Aaker, op. citata). A ciò si aggiunge il fatto che in molte aziende, soprattutto in quelle medio-piccole, mancano del tutto rilevazioni sistematiche della fedeltà della marca e della soddisfazione della clientela, per cui non si è in grado di individuare i valori associati alla marca. Anzi, in taluni casi si trascura il bene

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marca per conseguire risultati economici di breve periodo, tramite la riduzione delle spese che sostengono la marca (pubblicità) e l’uso delle promozioni, che comportano aumenti repentini delle vendite, ma innescano processi di riduzione dei prezzi che sono ben difficili da bloccare, con il risultato di “mungere” la marca. Questa tendenza è confermata anche in Italia dai risultati di una ricerca elaborata da una società esperta in gestione e valutazione di marchi d’impresa, la “Young & Rubicam”, e pubblicati sul Sole24ore del 24/03/2003. Analizzando l’andamento dei valori di un campione di marche rappresentative appartenenti a diverse categorie merceologiche nel decennio che va dal 1993 al 2002, calcolati sulla base di un modello di valutazione denominato “Brand Asset Valuator”, è risultato la conferma che “il patrimonio di marca in Italia è in crisi”. Dall’analisi di oltre 1.000 marche attive in pubblicità negli ultimi dieci anni con notorietà superiore al 30% della quota di mercato, risulta che è notevolmente aumentato il numero delle marche presenti sul mercato rispetto a dieci anni prima, a fronte di un lieve aumento del volume complessivo degli investimenti pubblicitari, con il risultato che visibilità ed efficacia della comunicazione si sono dimezzate, salvo l’eccezione di poche marche “forti” che hanno aumentato la presenza pubblicitaria (nonostante il momento di stagnazione del mercato). In particolare, misurando alcuni parametri quale la “forza della marca” (costituita dagli asset diversità e rilevanza) e la “statura della marca” (costituita da stima e familiarità), risulta che “buona parte dei brand italiani, già a rischio di perdita del valore potenziale nel 1993, si sono, in dieci anni spostati verso un progressivo e graduale declino. Ciò significa che tali marche “sono destinate alla scomparsa dal mercato o a consolidarsi in un’area sfuocata, di scarsa rilevanza per il consumatore, agli occhi del quale il rischio è la totale fungibilità con altre marche, con l’ovvia conseguenza che la distinzione principale resterà relegata al prezzo del prodotto”. L’investimento pubblicitario, soprattutto in questi ultimi anni, è una condizione necessaria ma non più sufficiente in quanto, per le marche, occorre concentrarsi sul valore “diversità” (la cui rilevanza è in crescita nella scala dei valori della marca), rispetto al valore “innovazione” (che sta passando in secondo piano). “La missione della marca, la sua identità, i valori fondanti che la distinguono e la rendono rilevante per il cliente, diventano così la leva su cui costruire la propria equità. ../.. Nessuno cerca più un prodotto che sia performante, ma esige di veder abbinata l’eccellenza sotto il profilo concreto e fattuale ad una trasmissione di valori, che in alcuni casi diventano il riflesso dei collanti sociali più forti” (Sole 24 ore). Secondo Aaker il valore di una marca si basa sui seguenti fattori:

- fedeltà alla marca (conquistare nuovi consumatori è dispendioso, per cui un parco di consumatori consolidato permette di ammortizzare i costi di acquisto della marca; la fedeltà significa potere sui canali della distribuzione);

- notorietà del nome (la gente compra una marca nota perché si sente rassicurata dalla notorietà; la marca conosciuta è più probabilmente affidabile, quella sconosciuta meno);

- qualità percepita (la qualità percepita, intesa come superiorità del prodotto per l’uso cui è destinato, rispetto alle alternative possibili, ha un’influenza diretta sulle decisioni di acquisto);

- i valori associati alla marca (un nome di marca è spesso associato ad uno stile di vita, ad un personaggio, che può dare sensazioni positive al consumatore che si traducono in un maggior valore della marca);

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- risorse esclusive della marca (marchio registrato, brevetti connessi al prodotto possono limitare od impedire la concorrenza e quindi aumentare il valore della marca).

Per avere una percezione immediata di quanto può valere una marca si può cercare di immaginare cosa succederebbe ad aziende “famose”, come Coca Cola, IBM, Ford o Gucci, se queste perdessero il nome. Forse alcune sopravvivrebbero come strutture produttive, altre scomparirebbero del tutto. I fattori su cui si basa il valore della marca sono fondamentali in quanto, in pratica, gli stessi sono utilizzati per determinarne il valore. Fedeltà e qualità percepita conferiscono alla marca una potenzialità di premium price che, misurata, conduce al valore della marca; gli investimenti pubblicitari possono dare un’ulteriore indicazione del valore della marca, anche se un’interruzione degli stessi può comportare un repentino decremento dello stesso. Da ciò si comprende che è difficile ridurre il procedimento di determinazione del valore di una marca ad un solo uso di un modello di calcolo quantitativo, ma occorre guardare a molteplici aspetti legati al mercato e ai prodotti connessi alla marca.

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3. Criteri di valutazione dei beni immateriali o intangibili 3.1 I metodi previsti dalla dottrina economica e nella prassi

Tra i metodi tradizionali di valutazione dei beni immateriali è possibile distinguere i criteri di valutazione dei beni immateriali in due macro aree: metodi diretti e metodi indiretti. I metodi indiretti consistono nello stimare il valore complessivo del capitale investito (comprendente tutti gli assets aziendali, materiali, immateriali e circolante), mediante metodologie di stima tradizionali (ad esempio con metodi finanziari o con metodi reddituali o misti patrimoniali-reddituali), dalla cui sommatoria viene sottratto il valore dei beni materiali e del circolante, per determinare così, in via indiretta, il valore degli intangibili. L’aspetto critico di tali metodi è quello di non consentire la valutazione di ciascun singolo bene immateriale, ma solamente una valutazione complessiva degli stessi unitamente al valore dell’avviamento. I metodi diretti si distinguono a loro volta in tre approcci principali: quello del costo, quello economico e quello di mercato. L’approccio del costo si basa sulla stima del valore degli assets attraverso la determinazione dei costi necessari per la loro formazione e può essere attuato con i seguenti due metodi: Il metodo basato sulla capitalizzazione dei costi sostenuti che si basa sull’assunto che il valore di un’attività possa essere determinato in funzione dei costi storicamente sostenuti dall’impresa, riespressi a valori attuali, considerando anche le eventuali correzioni che devono essere effettuate per esprimere l’utilità residuale del bene. La possibilità di utilizzo di tale metodo è legata alla capacità di identificare correttamente i costi storicamente sostenuti, distinguendo quelli connessi alla creazione (da utilizzarsi nella valutazione) da quelli relativi al solo loro mantenimento (da escludersi nella valutazione). L’individuazione separata di tutti gli investimenti diretti e indiretti sostenuti per la formazione, per lo sviluppo e per il mantenimento del bene immateriale si rivela tutt’altro che semplice, considerando la molteplicità delle leve su cui l’impresa deve operare. La dinamica aziendale implica che i metodi basati sulla capitalizzazione dei costi sostenuti sono sempre meno significativi: non vi è certezza infatti che, nel momento di riferimento della stima, gli investimenti effettuati in passato (soprattutto quando il processo di formazione della marca è avvenuto molto tempo prima) consentano di disporre di una bene immateriale il cui potenziale sotto il profilo competitivo risulti analogo a quello di cui attualmente l’impresa dispone. Il metodo dell’attualizzazione dei costi di riproduzione appare indubbiamente più convincente di quello appena ricordato, in quanto tenta una valorizzazione nell’ottica dell’operatore che, nel contesto economico e di mercato corrente, fosse intenzionato a creare un bene immateriale equivalente a quella oggetto di valutazione. Pure a prescindere dalle non lievi difficoltà connesse alla corretta individuazione dei costi di riproduzione, anche il metodo in questione non fornisce attendibili indicazioni circa i futuri benefici collegati al possesso di un particolare intangibile considerata, alla loro durata, al loro ipotetico trend, alla loro volatilità. A ciò si aggiunge la considerazione che, ai metodi basati sul costo (quale che esso sia), è sostanzialmente estraneo qualsiasi giudizio circa l’efficacia degli investimenti sostenuti per la creazione della marca, giacché nella prassi professionale, l’aggregazione dei costi avviene infatti, solitamente, sulla base di puri dati contabili. Di conseguenza, il valore attribuito al bene immateriale è tanto maggiore quanto più elevato è l’ammontare dei costi imputati nella contabilità aziendale, a prescindere dalla loro

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efficacia. Peraltro, le suddette registrazioni contabili possono essere influenzate da politiche di bilancio che accentuano ulteriormente l’aleatorietà delle stime e soffre inoltre della difficoltà di mancanza di informazioni rilevanti per la stima dei costi di riproduzione. L’approccio economico si basa sui flussi imputabili all’asset immateriale e si compendia delle seguenti metodologie: Il metodo dell’attualizzazione dei risultati differenziali attesi si basa sul concetto che il valore di un bene immateriale sia strettamente correlato con la sua capacità di generare rendimenti superiori rispetto a quelli ottenibili senza tale bene. La valutazione viene effettuata attualizzando i flussi di risultato differenziali, risultati misurabili confrontando il reddito operativo del soggetto proprietario del bene immateriale e il reddito operativo di un campione rappresentativo di imprese comparabili e prive di intangibili. La difficoltà sorge nel reperire i parametri di comparazione, che oltre ad essere dello stesso settore, hanno la criticità di dover assumere paritarie condizioni generali di produzione e di mercato. Infatti tale differenziale, o premium price, deve ovviamente essere corretto per tenere conto dei maggiori costi (diretti e indiretti) in genere necessari per sostenerlo, connessi ad esempio all’utilizzo di migliori materie prime o di sistemi produttivi e logistici più costosi, che generano maggiori ammortamenti e oneri figurativi. Tale metodo presta il fianco a una critica non marginale. La redditività di breve periodo, espressa dai margini differenziali, non è infatti un indicatore del potenziale del bene immateriale, ma del grado di sfruttamento dello stesso. Per rendersene conto, è sufficiente considerare, per esempio nella valutazione di un marchio, il caso di un’impresa che, potendo contare sul conseguimento dei vantaggi di costo derivanti dalla stabilità delle sue relazioni di mercato, anziché attuare politiche finalizzate ad accrescere la fiducia dei consumatori nella marca, massimizzi i propri margini nel breve periodo, generando percezioni di opportunismo suscettibili di compromettere le capacità di autogenerazione del valore della marca stessa. Nella fattispecie proposta, la valutazione fondata sui margini differenziali implicherebbe il paradossale utilizzo di una misura espressiva del grado d’impoverimento delle potenzialità della marca ai fini della determinazione del suo valore. Il metodo del costo della perdita, che assume quale valore dell’intangibile oggetto di valutazione un importo non inferiore al valore del “danno” che l’impresa verrebbe a sopportare nel caso in cui si dovesse privare del bene immateriale; l’entità del danno viene valutata considerando congiuntamente l’effetto della riduzione del margine di contribuzione e dei maggiori costi per modificare la struttura produttiva impiantata per lo sfruttamento dell’asset non più utilizzabile; la criticità del metodo sta nella difficoltà di stima del tempo e dei costi necessari alla “riorganizzazione aziendale”. L’approccio di mercato determina il valore di un intangibile mediante riferimenti a parametri o a multipli osservati mediamente in transazioni verificatesi sul mercato e sulla base della comune esperienza di soggetti operanti sullo stesso. La letteratura distingue fra i: Metodi basati sulle royalties che evincono la stima del valore del bene immateriale attualizzando i risultati attribuibili alla stessa in funzione delle royalties ottenibili sul mercato dalla cessione in licenza d’uso del medesimo. Questi metodi, pur presentando l’importante pregio della semplicità, sono soggetti ad alcuni limiti relativi alla disponibilità, confrontabilità e attendibilità dei dati di base. Il che dipende in primo luogo dalle difficoltà connesse alla corretta definizione dell’ambito settoriale di riferimento, che ove sia troppo ampio compromette la comparabilità di transazioni omogenee. Va inoltre considerato che le royalties, essendo il risultato della negoziazione fra

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controparti distinte, sono di fatto un prezzo, per cui risentono necessariamente di clausole, obblighi e poteri contrattuali non sempre comparabili. Metodi fondati sui multipli in base ai quali il valore dell’intangibile viene determinato ricorrendo a multipli derivati dal mercato, osservati in transazioni comparabili, applicati a determinati parametri (ad esempio il fatturato, nel caso di un marchio, oppure il costo delle attrezzature o stampi necessari per produrre il bene, nel caso di un brevetto). Esso è utilizzato in certuni settori di attività oppure come criterio alternativo laddove non è possibile operare diversamente o come criterio di controllo di valori ottenuti con altri metodi. L’interpretazione dei risultati a cui perviene la stima va effettuata con grande cautela, date le difficoltà che non di rado comporta l’individuazione di società comparabili (a livello settoriale, di business e di struttura finanziaria). La breve analisi sin qui svolta ha reso evidenti i maggiori problemi di natura concettuale connessi all’utilizzo dei metodi valutativi attualmente di più comune impiego. A questi problemi, si aggiunge un ulteriore svantaggio, derivante dalle difficoltà di applicazione che caratterizzano i metodi ricordati e che, di fatto, rappresentano una barriera spesso decisiva al loro utilizzo sistematico. Metodi alternativi sono quelli costituiti per lo più dei modelli pratici sviluppati da società specializzate in servizi di valutazione, in particolare di marchi, fra cui i più praticati sono: - modello di Young & Rubicam: la marca viene valutata assegnando un punteggio a quattro

fattori, rappresentati da: diversità, rilevanza, stima e familiarità. La diversità si riferisce agli elementi di differenziazione della marca, mentre la rilevanza indica la sua adattabilità alle esigenze dei consumatori. La combinazione di tali indicatori esprime la vitalità della marca, ovvero il suo potenziale di crescita nel futuro (brand strenght). La stima (connessa alla considerazione di cui gode la marca da parte dei consumatori) e la familiarità (concetto più profondo e radicato rispetto alla semplice awareness) nell’insieme rappresentano invece la statura della marca (Lombardi M., Un nuovo modello di valutazione del valore della marca: il

Brand Asset, 1998). - Altro noto modello è quello proposto da Keller (Keller K.L., Strategic Brand Management,

Upper Sadle River, Prentice Hall 1998) che s’incentra sulla quantificazione delle fonti del valore della marca e dei risultati economici e competitivi che ne conseguono. Con riferimento alle prime, l’enfasi è posta sulla brand awareness (in termini di profondità e ampiezza) e sulla brand image (rilevanza, positività e unicità delle associazioni cognitive evocate dalla marca). Per quanto concerne i risultati, assumono invece particolare criticità la fedeltà dei clienti, la vulnerabilità alle azioni competitive e a situazioni di crisi, il livello dei margini, l’elasticità della domanda a riduzioni e incrementi di prezzo, l’efficacia e l’efficienza delle politiche di comunicazione, le opportunità di licensing e di brand extension.

- Ulteriore modello è stato proposto da Aaker (Aaker D.A., Measuring brand equity across

products and markets, “California Management Review”, n. 3, spring, pp. 102-20 riprodotto nel testo italiano - Brand Equity – Franco Angeli - 1996) e si fonda su dieci indicatori, raggruppati in cinque categorie: le prime quattro relative alle percezioni maturate dalla clientela nei confronti della marca relativamente alle dimensioni che definiscono la “brand equity” (fedeltà; qualità percepita; associazioni; notorietà); l’ultima concernente la performance competitiva (market

behavior measures) della marca. - Infine il modello interbrand, messo a punto dalla omonima società, che riconduce la “forza”

della marca a sette fattori, denominati: leadership (connessa alla quota di mercato che la marca possiede nel proprio ambito competitivo); stabilità (correlata alla longevità delle relazioni con i clienti attivate dalla marca); mercato di riferimento (fattore correlato al rischio

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di decadimento delle preferenze della domanda nei confronti della marca dovuto al dinamismo ambientale); internazionalità (connessa al grado di notorietà della marca a livello sovranazionale); trend (fattore espressivo della futura capacità di resistenza della marca ai mutamenti ambientali grazie alle performance registrate in passato); sostegno di marketing

(riconducibile agli investimenti promozionali e pubblicitari profusi negli anni precedenti a favore della marca); proteggibilità (in termini di esclusività di utilizzo giuridicamente garantita). I punteggi assegnati alla marca oggetto di valutazione vengono quindi aggregati in un indicatore di sintesi (brand strenght score), sulla base del quale è possibile individuare un coefficiente moltiplicativo, la cui applicazione al reddito-base della marca (brand profit) consente di misurarne il valore economico.

3.2 Descrizione dei criteri adottati per la stima dei marchi

Nella scelta del metodo di valutazione il sottoscritto ha tenuto conto, oltre che dalla natura del bene da valutare e dei dati a disposizione, delle finalità e del contesto della stima.

Il sottoscritto ha ritenuto di escludere:

- il metodo di capitalizzazione dei costi, in quanto nel caso di specie non rilevanti ed non particolarmente indicativi del valore del marchio;

- i metodi basati sui risultati differenziali, perché in un’azienda in crisi tali risultati non potevano che essere solo negativi

e ha ritenuto di effettuare la valutazione dei marchi utilizzando il metodo delle royalties.

Ciò anche alla luce delle finalità della stima. Nel caso di procedura concorsuale ritiene che, “la valutazione dei beni offerti dal debitore deve compiersi facendo riferimento non al loro valore intrinseco, ma a quello effettivo di realizzo degli stessi, ossia al prezzo concretamente ricavabile dalla vendita, tenuto conto della situazione di mercato prevedibile” (Tribunale di Alessandria, 05/04/1985, “Il fallimento” 1985, pag. 972).

E’ evidente che nella particolare fattispecie della valutazione dei beni immateriali il lavoro del perito è di difficile attuazione in quanto, alla di per sé complessa determinazione del valore dei beni immateriali, si somma la situazione di crisi in cui si trova la società, con l’ulteriore difficoltà di tener conto del prevedibile prezzo ricavabile dalla vendita.

Il metodo dei “market royalty rates” adottato dal sottoscritto per la valutazione dei marchi, dal punto di vista concettuale, può essere considerato al confine tra le tecniche basate sui risultati e i criteri empirici, in quanto si fonda sull’attualizzazione dei redditi attribuibili a determinati intangibili, in funzione delle royalties ottenibili sul mercato grazie alla cessione in licenza d’uso degli stessi.

La cessione in licenza d’uso di marchi rappresenta un contratto piuttosto frequente che prevede la concessione in uso con il pagamento di royalties commisurate a specifici parametri (generalmente il fatturato) per un determinato numero di anni, in genere pari alla vita residua del brevetto.

Il criterio delle royalties può essere applicato mediante uso:

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- del metodo del “royalty rates”, per il quale il valore del marchio viene determinato sulla base dell’ammontare delle royalties che il mercato sarebbe disposto a pagare per ottenere la cessione in licenza d’uso dello stesso;

- del metodo del “royalty relief”, per il quale il valore del bene immateriale viene determinato con la valorizzazione del beneficio prodotto dalla mancata corresponsione di royalties. Il soggetto proprietario del bene immateriale ha un vantaggio economico rappresentato dal mancato pagamento di royalties che, nel caso in cui non avesse avuto la proprietà dell’intangibile, avrebbe dovuto pagare per poter disporre del diritto di sfruttamento del brevetto.

Tali impostazioni teoriche si traducono di fatto in soluzioni pratiche equivalenti, in quanto entrambe giungono alla determinazione del valore dei brevetti mediante l’attualizzazione dell’ammontare annuo delle royalties al netto dei costi strettamente connessi ai brevetti.

I tassi di royalties sono normalmente parametrati ai ricavi di vendita dei prodotti che beneficiano del bene immateriale, stimati per ciascuno degli anni di vita residua del bene immateriale.

L’attendibilità dei valori di royalties dipende in larga misura dalla correttezza delle previsioni dei ricavi (e delle relative previsioni dei volumi e prezzi di vendita), dalla misura del tasso, dalla durata residua del brevetto e dal tasso di attualizzazione.

Per quanto riguarda la determinazione del tasso di royalty, necessario per calcolare le royalties, occorre tenere presente che sul mercato i valori vengono determinati in funzione del settore, della qualità percepita dei prodotti, della redditività degli stessi, dei differenziali di prezzo ottenibili, delle peculiarità del segno distintivo, del grado di protezione legale. Il problema sta nel reperimento delle informazioni al fine di effettuare una corretta comparazione, in quanto non tutte le transazioni che si verificano possono avere condizioni comparabili (ad esempio perché manca l’indipendenza tra le parti nella trattativa) ed anche qualora ricorressero tali condizioni, non sempre le informazioni contrattuali sono rese pubbliche.

Nel caso specifico il sottoscritto ha assunto, per la determinazione del tasso di royalty, una percentuale di royalty stabilita in ragione del 2,00%. Tale percentuale deve ritenersi di misura modesta, ma congrua nel caso di specie, in quanto trattasi di beni, pur destinati al consumatore finale, ma comunque non oggetto di particolari e diffusa forma pubblicitaria e perché non sussistono particolari vantaggi competitivi del prodotto o del bene immateriale. Un canone di royalty dall’uno al due per cento è ritenuto congruo anche dalla amministrazione finanziaria. Con la Circolare n. 32 del 22.09.1980 l’A.F. ha dato indicazione che, per canoni di royalty superiori al due per cento, la congruità è confermata solo con la prova di particolari situazioni di vantaggio competitivo o di particolare notorietà del bene immateriale.

Per quanto attiene il parametro al quale applicare il tasso di royalty è stato ritenuto in via prudenziale di assumere il fatturato medio riferibile all’ultimo quinquennio e ai prodotti associati ai marchi da valutare, ridotto o ponderato di una percentuale in relazione alla variabilità del fatturato e al suo andamento tendenziale. Ciò a fini prudenziali, per tenere conto della variabilità del fatturato riscontrato negli anni e quindi della difficoltà nello stimare un fatturato futuro atteso medio.

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Per quanto riguarda la determinazione del tasso di attualizzazione delle royalties, occorre tener conto del saggio di rendimento atteso su investimenti “privi di rischio” e di una componente espressiva del rischio conseguente alla attività imprenditoriale. La lunghezza del periodo di calcolo non dovrebbe eccedere la vita utile del bene immateriale ed essere inferiore alla durata garantita dalla protezione giuridica.

Il tasso di attualizzazione è stato determinato in ragione del 7,60% , determinato come somma dei seguenti componenti:

- 3,60% pari al rendimento di un’attività priva di rischio, per il quale si assume il rendimento medio lordo calcolato dalla Banca d’Italia negli ultimi dodici mesi (settembre 2012 – agosto 2013) per titoli di stato aventi durata media intorno ai 3 anni (fonte: www.BancadItalia.it – rendistato - http://www.bancaditalia.it/banca_centrale/operazioni/titoli/tassi/rendi/anno);

- 4,00% pari al premio al rischio stimato per l’attività di impresa.

Per quanto riguarda il periodo di tempo per il quale procedere all’attualizzazione delle royalties il sottoscritto ha ritenuto di assumere la durata di tre anni, indipendentemente dal periodo di tempo di protezione legale del marchio, da una parte perché trattasi di azienda in situazione di crisi, per cui è opportuno che l’orizzonte temporale sia modesto, e dall’altra, in quanto trattasi di marchi legati all’azienda e a prodotti la cui notorietà, se non “alimentata” da una costante diffusione del prodotto, rimane con un orizzonte temporale notevolmente limitato.

Determinati i parametri di stima il sottoscritto ha proceduto all’applicazione della seguente formula di matematica finanziaria per l’attualizzazione dei flussi netti attesi per “n” anni al tasso “i” così da ricavare, dal valore attuale degli stessi, il valore del marchio: n

[V = Σ R s / (1 + i )s ]

S=1

dove: V = valore economico del marchio n = arco temporale lungo il quale si estende la previsione dei flussi di royalties attesi R s = flussi di royalties attesi lungo l’arco temporale I = tasso di attualizzazione dei flussi di royalties attesi

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4. La società, i prodotti, il mercato, i competitors, il marchio

4.1. Cenni storici sulla società e sul prodotto

La Nord Dolciaria S.p.A. è stata costituita il 20.11.1973 con atto pubblico a rogito notaio Berera Dott. Teodoro di Lecco con oggetto sociale la fabbricazione ed il commercio di prodotti dolciari alimentari e assimilati, tanto per conto proprio che per conto di terzi ed ogni altro atto di produzione e commercio, sia all'ingrosso che al minuto degli stessi.

L’inizio dell’attività è avvenuta in data 20.11.1973 e il Capitale sociale alla costituzione era pari a Lire 90.000.000. La società viene costituita come Società a Responsabilità Limitata; in data 11/04/2008 con atto pubblico del notaio Brini Dott. Francesco di Missaglia n. 612021/16890 viene trasformata in Società per Azioni con aumento del capitale a € 120.000 e adozione del sistema di governante denominato “monistico”.

La produzione, che avveniva nel proprio stabilimento di Valgreghentino (LC) riguardava principalmente la produzione di prodotti dolciari da forno a lunga conservazione, prevalentemente merendine sfogliate a lievitazione naturale quali croissant, mini croissant, treccine e fagottini (questi ultimo inizialmente solo commercializzati).

I canali di vendita sono quelli della grande distribuzione, supermercati e ipermercati, dell’industria alberghiera, delle aziende che preparano e servono alimenti e bevande (hotel, ristoranti) e anche dei distributori automatici.

Con lo scopo di ottimizzare il processo produttivo, garantire e migliorare la qualità del prodotto, considerando che parte della produzione era affidata a terzi, la società nel 2008 effettua investimenti per circa 2 milioni di euro introducendo una nuova linea di produzione con lo scopo effettuare all’interno tutto il ciclo di produzione.

Prima degli investimenti del 2008 la capacità produttiva era sottodimensionata rispetto alla domanda e non la società non disponeva degli strumenti per produrre alcuni prodotti molto richiesti come le treccine e i fagottini che quindi venivano solo commercializzati.

Si trattava, peraltro, di prodotti con richiesta, all’epoca elevata. L’esigenza di avere sotto controllo la produzione e la qualità del prodotto venduto, unito alla possibilità di recuperare margine rispetto ai prodotti solamente commercializzati, hanno portato alla decisione di effettuare gli ingenti investimenti che la nuova linea richiedeva.

La perdita di un importante cliente e la sopraggiunta crisi economica hanno comportato una notevole riduzione delle vendite a partire dall’anno 2011, riduzione che la società ha cercato di compensare, almeno in parte, con le esportazioni. All’inizio del 2012 il crescente calo dei consumi alimentari, a causa del peggiorare della crisi economica, e la conseguente continua riduzione delle vendite, aggravava la crisi la società che interrompeva, in data 25 maggio 2012, la produzione e il lavoro dei 72 dipendenti, già in cassa integrazione ordinaria.

In data 18 settembre 2012 la società depositava nella Cancelleria Fallimentare del Tribunale di Lecco ricorso per l’ammissione alla procedura di Concordato Preventivo con riserva ex art. 160 L.F. co 6. In data 21 gennaio 2013, nel termine assegnatole dal Tribunale, la società provvedeva a depositare la proposta, il piano con continuità aziendale e la relativa documentazione in Tribunale che nominava il Commissario Giudiziale.

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Il Tribunale, sulla base della relazione del C.T.U., dalla quale emergevano perdite per la società per i mesi successivi alla presentazione della domanda di concordato, con decreto del 13 febbraio 2013, disponeva la non prosecuzione dell’attività, fatta eccezione per gli ordinativi in corso, dal cui inadempimento potessero derivare penali, o che fossero funzionali allo smaltimento di materie prime già acquistate e deperibili.

A seguito di tale decisione, in data 4 aprile 2013, la società depositava istanza modificativa della domanda di concordato, chiedendo l’ammissione alla procedura di Concordato Liquidatorio. il Tribunale di Lecco, con decreto del 22 maggio, dichiarava aperta la procedura di concordato preventivo e il 30 aprile 2013 autorizzava l’affitto del ramo d’azienda, nel frattempo richiesto.

In data 25 luglio 2013, in ragione della relazione del Commissario Giudiziale ex art 173 bis, il Tribunale di Lecco revocava l’ammissione alla procedura di concordato preventivo dichiarando il fallimento della società e fissando l’adunanza creditori per esame Stato Passivo il 15/01/2014.

4.2 Il mercato e i principali competitors

Il mercato di riferimento, prevalentemente italiano, della Nord Dolciaria è rappresentato dal

segmento di fascia media del settore della produzione e commercializzazione di prodotti dolciari

da forno a lunga conservazione, costituite prevalentemente da merendine sfogliate a lievitazione

naturale quali croissant, treccine, fagottini e mini croissant.

Il settore alimentare è il secondo comparto manifatturiero italiano, con 127 miliardi di fatturato, 55mila imprese e 390mila addetti. L’Italia vanta la prima posizione nell’export mondiale di pasta, la seconda in quello dei vini e la terza in quello della cioccolata, successo che fa identificare nel mondo, il made in Italy sempre più con i prodotti dell’industria alimentare nazionale.

Le ombre che gravano sul quadro macroeconomico dell’alimentare, vengono soprattutto dai

consumi interni. Se si guarda indietro, si scopre infatti che i consumi alimentari domestici delle

famiglie espressi in valori costanti, nell’ultimo decennio, hanno raggiunto la “punta” più alta nel

lontano 2006, quando riuscirono a salire di 4 punti percentuali sopra l’anno base 2000. Poi è

iniziato il calo che ha portato nel 2008 e nel riduzioni nell’ordine, rispettivamente, del -3,5% e del

-3,0% sugli anni precedenti. E i dati diffusi dall’Istat sui consumi alimentari domestici confermano,

una volta deflazionati, la lenta ma inarrestabile erosione avviatasi nel 2007 e consolidatasi in

questi anni con un calo di -7,7 punti complessivi dal 2007 al 2012, contro i consumi finali totali

scesi solo di -1,4 punti. La crisi economica, l’elevata pressione fiscale e la crescita dei prezzi di

energia, tariffe e servizi conduce le famiglie a cambiare i propri modelli di consumo. Il prodotto

alimentare ha perso la propria caratteristica rigidità per diventare il principale ammortizzatore di

spesa delle famiglie italiane.

Secondo il rapporto annuale Istat 2013 la severità della crisi che ha colpito l’Italia è rappresentata

dalla caduta delle vendite nel comparto alimentare, la cui domanda è tipicamente meno elastica

rispetto alle variazioni del reddito disponibile e dei prezzi.

Si veda nel grafico che segue la continua riduzione dei consumi alimentari dal 2006 al 2012.

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Spesa per consumi finali delle famiglie 2006-2012 (Elaborazione Federalimentare su dati ISTAT).

Valori concatenati N. indici 2005=100

2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012*

TRASFORMAZ. ANIMALE 102,0 101,2 97,7 96,0 96,5 94,7 93,8

TRASFORMAZ. VEGETALE 101,9 102,3 98,5 95,9 96,6 95,20 94,01

BEVANDE NON ALCOLICHE 102,1 102,1 99,7 96,6 94,9 93,0 91,8

BEVANDE ALCOLICHE 97,7 95,8 91,55 86,8 88,2 89,1 87,8

TOT. COSUMI ALIMENTARI 101,7 101,4 97,8 95,5 95,9 94,5 93,7

TOTALE CONSUMI 101,5 102,5 101,5 99,6 101,2 101,4 101,1

*provvisori

Valori concatenati N. indici 2005=100 Come evidenziato da Federalimentare (Federazione Italiana dell’Industria alimentare), il calo del 2011 sull’anno precedente, pari al -1,7%, che rappresentava la riduzione annuale più pesante dal dopoguerra, è stato superato l’anno successivo, quando nel solo quarto trimestre del 2012 la flessione dei prodotti alimentari è stata dell’1,7 per cento. I settori più colpiti dalla riduzione sono stati:

• i “prodotti da forno” (-5,7%),

• il “molitorio” (-2,8%)

• ’”oleario” (-1,9%).

Nonostante la crisi, fra gli asset intangibili il marchio è un punto di forza delle vendite nel settore

alimentare, dal momento che rende più facilmente identificabile e valutabile il prodotto dal

consumatore. Secondo uno studio di qualche anno fa, il valore degli assets intangibili nel settore

alimentare rappresenta in media dal 20 al 40% del valore d'impresa, come illustrato nel seguente

grafico.

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Stima dei marchi d’impresa “Nord Dolciaria” Fallimento Nord Dolciaria S.p.A. n. 58/2013

Perito stimatore: dott. Massimo Franco Balconi pag. 18

Un altro punto di forza del settore alimentare, immediatamente percepito dal consumatore, è la qualità del prodotto. La Nord Dolciaria, ha sempre cercato di far leva sulla qualità del proprio prodotto. Il prodotto veniva realizzato con lievito madre naturale, cioè senza aggiunta di supporti chimici, il che determinava una qualità di prodotto finito molto elevata, con un risultato ben differente e facilmente percepibile rispetto ai prodotti privi di tale caratteristica. Grazie a questo procedimento la qualità dei prodotti si traduceva nel mantenimento nel tempo delle caratteristiche organolettiche, assenze di muffe e/o avarie qualitative. Il lievito madre di Nord Dolciaria deriva da un ceppo di lieviti selezionato, rinfrescato e rigenerato costantemente da oltre 50 anni (attualmente, a produzione interrotta, il lievito madre è mantenuto da un panificio vicino).

Nord Dolciaria, nonostante le sue limitate dimensioni, con le proprie capacità, riusciva a competere con aziende di dimensioni e strutture più importanti, riuscendo a fornire clienti del calibro di Tesco UK, Nestlè, San Carlo, Migros CH, Big Lots USA, Walmart USA, Walmart China, Despar Italia, Carrefour Italia, Coop Italia, Auchan, Conad, Bennet, Pam Panorama, Il Gigante, Lekkerland.

Negli ultimi anni l’azienda aveva compiuto un grosso sforzo per la produzione interna di treccine e fagottini e per migliorare il processo produttivo di croissant e mini croissant, aumentandone la qualità, con l’eliminazione dei componenti dannosi per l’organismo, come i grassi di origine idrogenata. Sono anche state aggiornate le ricette dei prodotti e le procedure di produzione e sono stati immessi sul mercato nuovi gusti e formati.

E’ stata lanciata la nuova linea di prodotti salutistici denominata “Good Life” e in collaborazione con la multinazionale svizzera Nestlè sono state introdotte nuove procedure di laminazione della sfoglia.

L’azienda aveva trovato spazio anche sui mercati esteri quali Svizzera, USA, Canada, Brasile, Cina, Polonia, Libia, Tunisia, Algeria, Francia, Germania, Albania, Rep. Ceca.

La Nord Dolciaria, a produzione attiva, aveva i seguenti certificati di qualità:

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Stima dei marchi d’impresa “Nord Dolciaria” Fallimento Nord Dolciaria S.p.A. n. 58/2013

Perito stimatore: dott. Massimo Franco Balconi pag. 19

• Certificato di qualità per i “croissant, minicroissant e prodotto dolciari da forno, ottenuti

utilizzando materie prime ed additivi non derivati da organismi geneticamente modificati”,

emesso il 19/06/2006 e quello per l a “produzione di prodotti dolciari da forno a base di

pasta sfoglia lievitata naturalmente, in particolare croissant e mini-croissant” emesso in data 25/07/2011;

• Certificato di qualità per l’attuazione e il mantenimento di un sistema di gestione della qualità conforme alla normativa UNI EN ISO 9001:2000, per le attività del settoren EA 3, comprendenti “sviluppo di nuovi prodotti lievitati da forno. Commercializzazione di prodotti

da forno”. Rilasciato per la prima volta in data 30/10/1998 e rinnovato in data 26/07/2006 fino al 2011.

4.3 Analisi dei dati economici e del fatturato dell’azienda Nord Dolciaria SpA.

Nel seguente prospetto vengono riepilogati i dati dei bilanci degli esercizi dal 2008 al 2012:

Conto Economico 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010 31/12/2011 31/12/2012

Ricavi 8.240.880 9.842.755 10.310.191 9.587.403 4.906.792

Variazione Rim. P.F. 97.365 -78.125 -53.052 144.798 -174.950

Increm. imm.ni lavori interni 0 19.727 0 0 0

Altri ricavi 284.429 609.667 83.957 158.571 12.568

Totale valore della produzione 8.622.674 10.394.024 10.341.096 9.890.772 4.744.410

Costi per acquisti M.P. 4.644.090 4.435.067 4.621.837 4.678.534 2.106.842

Costi per servizi 1.969.355 2.398.918 2.289.438 2.076.263 1.286.263

Costi godimento beni terzi 100.390 89.635 101.536 108.093 93.503

Costi personale dipendente 2.777.388 2.831.623 3.064.238 2.784.815 1.608.585

Ammortamenti 507.087 513.670 449.396 426.052 309.582

Svalutazioni 0 0 0 0 101.035

Variazione rim. M.P. -69.411 31.045 7.305 2.302 397.475

Acc.to per rischi 0 0 0 0 0

Oneri diversi di gestione 102.622 98.805 100.792 68.387 278.416

Totale costi della produzione 10.031.521 10.398.763 10.634.542 10.144.446 6.181.701

Diff. valore e costi produzione -1.408.847 -4.739 -293.446 -253.674 -1.437.291

Proventi finanziari 4.579 1.414 7 13 20.636

Oneri finanziari -272.335 -224.398 -170.641 -205.371 -212.466

Utili o perdite su cambi 0 0 0 -812 -146

Rettifiche di valore 0 0 0 0 0

Proventi straordinari 0 33.033 10.745 105.833 0

Oneri straordinari -56.605 -29.173 -31.302 -430.336 -23.968

Risultato ante imposte -1.733.208 -223.863 -484.637 -784.347 -1.653.235

Imposte sul reddito 379.748 -57.378 -80.490 -72.385 1

Risultato d’esercizio -1.353.460 -281.241 -565.127 -856.732 -1.653.234

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Stima dei marchi d’impresa “Nord Dolciaria” Fallimento Nord Dolciaria S.p.A. n. 58/2013

Perito stimatore: dott. Massimo Franco Balconi pag. 20

Da dati risulta un andamento non omogeneo, con un 2008 di notevole perdita, un incremento di fatturato nei due seguenti esercizi e poi il calo repentino delle vendite nel 2012, con risultati comunque sempre negativi. Nel 2008 il fatturato non in linea con gli anni successivi e la perdita rilevante sono spiegati dal fatto che in tale anno è avvenuta la realizzazione e l’istallazione di nuovi macchinari per la produzione, il che ha portato anche al fermo per alcuni mesi dell’attività produttiva. Anche nell’anno 2012 l’attività produttiva è stata discontinua, con il fermo dell’attività nel mese di maggio e la ripresa produttiva, anche se ridotta, dal mese di luglio. Osservando il Conto Economico riclassificato a Valore Aggiunto:

C.E. A VALORE AGGIUNTO E MOL 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010 31/12/2011 31/12/2012

VALORE DELLA PRODUZIONE 8.622.674 10.394.024 10.341.096 9.890.772 4.744.410

+/- Var. rim materie prime -69.411 31.045 7.305 2.302 397.475

- costi della produzione 6.816.457 7.022.425 7.113.603 6.931.277 3.765.024

VALORE AGGIUNTO 1.875.628 3.340.554 3.220.188 2.957.193 581.911

-costo del personale 2.777.388 2.831.623 3.064.238 2.784.815 1.608.585

MARGINE OPERATIVO LORDO -901.760 508.931 155.950 172.378 -1.026.674

- Amm.ti, Acc.ti e svalutazioni 507.087 513.670 449.396 426.052 410.617

REDDITO OPERATIVO -1.408.847 -4.739 -293.446 -253.674 -1.437.291

+/- Gestione finanziaria -267.756 -222.984 -170.634 -206.170 -191.976

+/- Gestione straordinaria -56.605 3.860 -20.557 -324.503 -23.968

RISULTATO ANTE IMPOSTE -1.733.208 -223.863 -484.637 -784.347 -1.653.235

Imposte sul reddito 379.748 -57.378 -80.490 -72.385 1

Risultato d’esercizio -1.353.460 -281.241 -565.127 -856.732 -1.653.234

Dai dai si può constatare che il valore aggiunto, solo negli anni in cui la produzione è stata continuativa per tutto l’anno (escludendo quindi il 2008 e il 2012), è sufficiente a coprire i costi del personale e solamente nel 2009, con un fatturato oltre i 10 milioni di euro, l’azienda raggiunge il pareggio operativo. Nonostante gli sforzi compiuti l’azienda non riesce a raggiungere un livello di vendite e di valore aggiunto sufficiente alla sua sopravvivenza e al suo sviluppo.

Considerando che il sottoscritto ha ritenuto di effettuare la valutazione del marchio utilizzando il metodo delle royalty, per il quale i ricavi sono il riferimento principale nel calcolo del valore; viene ora esaminata l’evoluzione dei ricavi negli ultimi cinque anni, osservandone, nell’anno per il quale sono stati forniti i dati, l’andamento suddiviso per aree geografiche, nei principali paesi e per tipologia di prodotto.

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Stima dei marchi d’impresa “Nord Dolciaria” Fallimento Nord Dolciaria S.p.A. n. 58/2013

Perito stimatore: dott. Massimo Franco Balconi pag. 21

RICAVI PER AREA GEOGRAFICA

0

1.000.000

2.000.000

3.000.000

4.000.000

5.000.000

6.000.000

7.000.000

8.000.000

9.000.000

10.000.000

2008 2009 2010 2011 2012

Ricavi "Italia"

Ricavi "UE"

Ricavi "ExtraUE"

4.4 Analisi dei ricavi suddivisi per area geografica nel periodo 2008 – 2012. L’andamento dei ricavi diviso per area geografica è rappresentato nella seguente tabella:

Ricavi per area geografica 2008* 2009 2010 2011 2012*

Ricavi "Italia" 7.499.201 8.956.907 9.279.172 8.149.293 3.827.298

Ricavi "UE" 164.818 196.855 103.102 191.748 98.136

Ricavi "ExtraUE" 576.862 688.993 927.917 1.246.362 981.358

Totale 8.240.880 9.842.755 10.310.191 9.587.403 4.906.792

*produzione discontinua e nel seguente grafico:

Dalla tabella e dal grafico si riscontra come l’andamento discontinuo dei ricavi sia causato soprattutto da quelli nazionali; si vede infatti che i ricavi “Italia” sono stati discontinui e caratterizzati da un aumento fino all’anno 2010 e poi da un forte calo, così come il dato delle vendite “Europa”, che hanno registrato un picco del 2009, un calo nel 2010 e una ripresa l’anno successivo, quando le vendite hanno quasi raggiunto quelle del 2009. Per quanto riguarda i ricavi Extra Ue sono progressivamente cresciuti, con un andamento regolare, in tutto il quinquennio, e solo nel 2012, a causa della interruzione produttiva e parziale ripresa, hanno riscontrato una riduzione, anche se meno accentuata delle vendite nazionali.

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Stima dei marchi d’impresa “Nord Dolciaria” Fallimento Nord Dolciaria S.p.A. n. 58/2013

Perito stimatore: dott. Massimo Franco Balconi pag. 22

RICAVI PER AREA GEOGRAFICA VALORI IN %

Ric

avi "

Ital

ia"

Ric

avi "

Ital

ia"

Ric

avi "

Ital

ia"

Ric

avi "

Ital

ia"

Ric

avi "

Ital

ia"

Ric

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UE"

Ric

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UE"

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aUE"

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Ric

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Extr

aUE"

Ric

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aUE"

Ric

avi "

Extr

aUE"

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

80%

90%

100%

2008 2009 2010 2011 2012

Ricavi "Ital ia" Ricavi "UE" Ricavi "ExtraUE"

La tabella e il grafico che seguono mostrano la suddivisione % dei ricavi per area geografica.

Ricavi per area geografica % 2008 2009 2010 2011 2012

Vendite Italia 91% 91% 90% 85% 78%

Vendite Unione Europea 2% 2% 1% 2% 2%

Vendite Extra Unione Europea 7% 7% 9% 13% 20%

Totale 100% 100% 100% 100% 100%

La composizione % delle vendite e il grafico mostrano la crescita delle vendite sui mercati Extra Ue, a scapito del mercato interno, mentre le vendite nell’Unione Europea si sono mantenute nella stessa proporzione.

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Stima dei marchi d’impresa “Nord Dolciaria” Fallimento Nord Dolciaria S.p.A. n. 58/2013

Perito stimatore: dott. Massimo Franco Balconi pag. 23

Nel prospetto che segue si riportano il numero di pezzi venduti, i volumi di vendite e la suddivisione in % dei ricavi realizzati con ogni singolo paese, con riferimento all’esercizio 2011:

RICAVI DIVISI PER NAZIONE (ANNO 2011)

NAZIONE pezzi venduti ricavi %

Italia 67.974.816,00 € 8.255.027,17 84,93%

Svizzera 6.931.472,00 € 886.859,22 9,12%

USA 1.638.378,00 € 121.150,66 1,25%

Canada 1.090.794,00 € 102.515,49 1,05%

Australia 671.478,00 € 86.754,97 0,89%

Spagna 392.544,00 € 47.740,02 0,49%

Germania 345.480,00 € 42.603,40 0,44%

Tunisia 372.940,00 € 38.026,65 0,39%

Portogallo 334.200,00 € 35.709,62 0,37%

Cina 317.748,00 € 34.027,18 0,35%

Brasile 160.536,00 € 20.734,83 0,21%

Albania 89.600,00 € 12.001,91 0,12%

Libia 97.444,00 € 11.847,79 0,12%

Rep.Ceca 111.672,00 € 9.069,20 0,09%

Romania 89.280,00 € 8.120,09 0,08%

Slovenia 73.140,00 € 4.186,79 0,04%

Slovacchia 34.650,00 € 3.458,18 0,04%

TOTALE 80.726.172,00 9.719.833,17€ 100,00%

Nel grafico che segue si vede come le vendite maggiori, a parte l’Italia con l’85%, sono assorbite prevalentemente dalla vicina Svizzera (9%), dai due paesi nordamericani (2%) e da quote minori in altri paesi europei:

L’azienda, anche se in % minime, aveva un certo grado di internazionalizzazione, sia nel continente europeo che oltre oceano.

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Stima dei marchi d’impresa “Nord Dolciaria” Fallimento Nord Dolciaria S.p.A. n. 58/2013

Perito stimatore: dott. Massimo Franco Balconi pag. 24

4.5 Analisi dei ricavi suddivisi per area di prodotto nell’anno 2011

Sempre con riferimento all’esercizio 2011, osserviamo nella tabella e nel grafico che seguono, l’andamento delle vendite per tipologia di prodotto.

RICAVI ANNO 2011 (tutti da produzione propria)

prodotto categoria n. pezzi venduti ricavi %

CROISSANT farcito 48.781.428,00 € 6.327.525,61 65,10%

CROISSANT classico 9.603.898,00 € 1.194.913,22 12,29%

MINI farcito 11.646.930,00 € 705.363,00 7,26%

FAGOTTINO farcito 3.594.884,00 € 512.766,40 5,28%

CROISSANT 5cereali 2.426.340,00 € 337.847,78 3,48%

CROISSANT latte 1.438.880,00 € 185.965,98 1,91%

CROISSANT sancarlo 1.104.620,00 € 152.110,94 1,56%

TRECCINA sfogliata 955.712,00 € 141.887,96 1,46%

CROISSANT farcito bigusto 1.023.912,00 € 139.012,75 1,43%

CROISSANT 5cereali S.Z. 97.512,00 € 15.457,88 0,16%

CROISSANT no latteuova 43.416,00 € 6.459,49 0,07%

MINI classico 8.640,00 € 522,16 0,01%

TOTALE 80.726.172,00 9.719.833,17€ 100,00%

I dati mostrano come il prodotto di punta fosse il Croissant farcito, che da solo rappresentava il 65% del fatturato aziendale. Se si considera tutta la gamma dei croissant la quota di fatturato arriva all’86% del totale.

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Perito stimatore: dott. Massimo Franco Balconi pag. 25

5. La stima dei marchi “Nord Dolciaria”

5.1 I marchi di Nord Dolciaria

Nord Dolciaria ha registrato all’Ufficio Marchi e Brevetti Italiano (UIBM) un marchio con la denominazione “NORD DOLCIARIA” e il marchio figurativo di due “DD” contrapposte con una spiga al centro.

Marchi principali

n. Descrizione immagine descrizione

Data

dep.

n.

reg.ne

data

reg.

data 1°

deposito rinnovo scadenza

A nord dolciaria (figurativo)

logo nord dolciaria, facente parte della ragione sociale e parte figurativa.

22/04/08 1297443 31/05/10 16/08/78 19/05/98 22/04/18

B dd (figurativo)

logo dd e parte figurativa, come da esemplare allegato

01/06/11 1463436 23/09/11 19/07/91 07/05/01 01/06/21

Nord Dolciaria ha inoltre registrato alcuni marchi secondari o di prodotto per distinguere alcune linee di prodotti immessi sul mercato. Alcuni di questi marchi risultano registrati anteriormente all’11/04/2008, come Nord Dolciaria Srl, altri successivamente registrati, come Nord Dolciaria Spa.

I marchi registrati sono i seguenti:

• “il doratello”

• “lo sfogliatello croissant sucre”

• “il dolciaio fio di pasticceria”

• “baby sfogliatello-croissant”

Marchi secondari o di prodotto:

n. descrizione immagine descrizione

Data

dep.

n.

reg.ne

data

reg.

data 1°

deposito rinnovo scadenza

1 il doratello (figurativo)

logo il doratello come da esemplare allegato.

04/12/07 1303720 04/06/10 25/02/88 23/12/97 04/06/20

2 lo sfoglaitello-croissant sucre (figurativo)

logo lo sfogliatello croissant sucre come da esemplare allegato.

06/02/08 1297145 31/05/10 05/04/88 19/05/98 06/02/18

4 il dolciaio fior di pasticceria (figurativo)

logo il dolciaio fior di pasticceria e parte figurativa

22/04/08 1297444 31/05/10 26/07/78 19/05/98 22/04/18

5

baby sfogliatello-croissant (figurativo)

logo baby sfogliatello-croissant, come da esemplare allegato

22/12/08 1304793 07/06/10 12/05/89 15/02/99 22/12/18

6 lo sfogliatello (figurativo)

logo lo sfogliatello e parte figurativa, come da esemplare allegato.

22/12/08 1304796 07/06/10 03/05/79 15/02/99 22/12/18

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Stima dei marchi d’impresa “Nord Dolciaria” Fallimento Nord Dolciaria S.p.A. n. 58/2013

Perito stimatore: dott. Massimo Franco Balconi pag. 26

Tutti i marchi sopra riportati sono stati iscritti nella classe di prodotto identificata con il codice “30”, che rappresenta i seguenti prodotti:

caffè, tè, cacao, zucchero, riso, tapioca, sago, succedanei del caffè; farine e preparati fatti di cereali, pane, pasticceria, confetteria, gelati; miele, sciroppo di melassa; lievito e polveri per far lievitare; sale, senape, aceto, salse (tranne le salse per l'insalata); spezie; ghiaccio.

Tutti i predetti marchi hanno una lunga storia alle spalle:

- il marchio “Nord Dolciaria” risale al 1978;

- il marchio figurativo “DD” viene registrato nel 1991;

- il marchio “il doratello” risale al 1988 ed è stato utilizzato per la vendita di panettoni da 100 grammi fino al 2000;

- “lo sfoglaitello-croissant sucre” viene registrato nel 1988;

- il marchio “il dolciaio fior di pasticceria” risale al 1978;

- “lo sfogliatello” nel 1979 ed era utilizzato per la vendita di croissant;

- “baby sfogliatello-croissant” nel 1989, era utilizzato per la vendita di mini croissant.

Tutti i predetti marchio sono stati registrati in Italia e non risultano registrati marchi comunitari o internazionali.

La valutazione riguarderà tutti i marchi nel loro complesso, anche se in particolare è riferita al marchio principale “Nord Dolciaria” costituito dalla denominazione con la doppia DD ingrandita e dalla figura della doppia DD contrapposta con al centro la spiga.

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Stima dei marchi d’impresa “Nord Dolciaria” Fallimento Nord Dolciaria S.p.A. n. 58/2013

Perito stimatore: dott. Massimo Franco Balconi pag. 27

5.2 Valutazione del valore dei marchi della Nord Dolciaria

La valutazione dei marchi della Nord Dolciaria è stata effettuata con il metodo delle royalties. Dopo aver determinata una royalty calcolata con una percentuale del fatturato atteso, ne viene attualizzato il flusso per “n” anni al tasso “i”.

Come detto, diversamente da altri settori, in quello alimentare i produttori riescono a costituire una forte identità di marca e far associare ad essa determinate valenze.

Trattandosi di un marchio, pur conosciuto e diffuso nel settore in relazione al fatturato realizzato e un prodotto di una certa qualità, non ha però goduto di notevoli investimenti pubblicitari, per cui il sottoscritto ha ritenuto di assumere un tasso di royalty non elevato, pari al 2% del fatturato assunto come riferimento. La royalty ottenuta è stata attualizzata per un numero di anni pari a 2.

Per l’attualizzazione è stato utilizzato un tasso del 7,6% per i motivi illustrati nei precedenti paragrafi.

L’utilizzo del tasso di royalty al 2% attualizzato per due anni è giustificato dalla circostanza che la valutazione di stima è inserita nell’ambito di una procedura concorsuale; è stata dunque effettuata con un’ottica di realizzo e di prudenza nella determinazione dei valori.

Nella determinazione del tasso, ma anche nel calcolo del fatturato di riferimento è stato considerato che l’azienda ha interrotto la produzione nel mese di febbraio 2013 e che man mano che passa il tempo il valore del marchio diminuisce, diminuendone la sua notorietà.

È necessario tenere presente che il marchio Nord Dolciaria è stato per lungo tempo associato all’azienda e ai suoi prodotti e alla loro qualità, per cui, venduto come bene immateriale autonomo, perderebbe parte del suo valore.

Visto il discontinuo andamento del fatturato, si assume la media del fatturato del triennio 2009-2011, mentre si esclude il fatturato del 2008, anno in cui l’istallazione di nuovi macchinari ha comportato il fermo della produzione e il fatturato del 2012, anno caratterizzato dall’acuirsi della crisi e dalla presentazione della domanda di concordato preventivo.

Fatturato "Nord Dolciaria" 2009 2010 2011media

2009/2011riduz

Fatturato di

riferimento

Italia 8.956.907 9.279.172 8.149.293 8.795.124 -50% 4.400.000

UE 196.855 103.102 191.748 163.902 -50% 100.000

ExtraUE 688.993 927.917 1.246.362 954.424 -50% 500.000

Totale 9.842.755 10.310.191 9.587.403 9.913.450 5.000.000

* nel 2012 la produzione si è interrotta nei mesi di aprile, maggio, giugno (poi la produzione è cessata il 28/02/2013)

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Stima dei marchi d’impresa “Nord Dolciaria” Fallimento Nord Dolciaria S.p.A. n. 58/2013

Perito stimatore: dott. Massimo Franco Balconi pag. 28

Il valore medio è stato, per prudenza ridotto del 50%, ottenendo un valore di riferimento di euro 5.000.000 che viene assunto come fatturato medio annuo per il calcolo della royalty.

Fatturato per la determinazione della royalty media

Fatturato medio 5.000.000

% ponderazione 80%

Fatturato rilevante per la stima 4.000.000

Il fatturato medio è stato per prudenza ulteriormente ridotto del 20% fino ad euro 4.000.000, importo sul quale è stata quindi calcolata la royalty annua:

CALCOLO ROYALTY ATTESA

Fatturato rilevante per la stima 4.000.000

Tasso Royalty 2,0%

Royalty attesa 80.000

Detta royalty è stata attualizzata per 2 anni al tasso del 7,6%.

CALCOLO VALORE ATTUALE ROYALTY

n° anni di attualizzazione 2

tasso di attualizzazione 7,6%

Coefficiente di attualizzazione 1,793092964

Valore attuale royalty 143.447

Valore attuale royalty 143.000

da cui consegue un valore dei marchi della Nord Dolciaria Spa pari ad euro 140.000,00.

VALORE MARCHIO

Valore attuale royalty 143.000

ulteriori rettifiche 0

Valore marchio 143.000

Valore marchio (arrotondato) 140.000

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Stima dei marchi d’impresa “Nord Dolciaria” Fallimento Nord Dolciaria S.p.A. n. 58/2013

Perito stimatore: dott. Massimo Franco Balconi pag. 29

6. Conclusioni

Il sottoscritto dott. Balconi Massimo Franco, sulla base dei documenti e delle informazioni ricevute e delle ricerche e delle elaborazioni effettuate, in adempimento dell’incarico affidatogli.

stima

il valore del marchio “Nord Dolciaria”, della relativa figura e dei marchi minori in complessive euro 140.000,00 (centoquarantamila/00).

Lecco, lì 15 novembre 2013

Si allegano in copia: 1. Nomina del perito valutatore dott. Massimo Balconi; 2. Visura UIBM del .. 3. Il perito stimatore (Dott. Massimo Franco Balconi)