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RELAZIONE DI FINE TIROCINIO
Laurea magistrale in Ingegneria civile per la protezione dai rischi naturali
A.A. 2014/2015
APPLICAZIONE DELLA DIGITAL IMAGE CORRELATION (DIC) ALLE PROVE SPERIMENTALI DI CARATTERIZZAZIONE MECCANICA
DEI COMPOSITI A MATRICE INORGANICA PER IL RINFORZO DELLE STRUTTURE
Tirocinio per Tesi Magistrale svolto presso il Laboratorio di Sperimentazione e Ricerca su materiali e strutture di Roma Tre
Studente: Hamed Esmaeili Tutor universitario: Prof Gianmarco de Felice Tutor aziendale: Arch. Lorena Sguerri
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Sommario 1. Introduzione 3 2. Funzionamento dell’algoritmo DIC 5 3. Materiali scelti come oggetto di prova 6 4. Requisiti ed allestimento delle prove e dell’ambiente circostante 10 4.1 Preparazione del provino 11 4.2 Strumentazione per l’acquisizione delle immagini 13 4.3 Calibrazione della luce ambientale 15 5. Prove su tessuti secchi 17 6. Prove di trazione 22 7. Prove di delaminazione 26 8. Conclusioni 29
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1. Introduzione
Negli ultimi anni, la ricerca scientifica nel campo dell’ingegneria civile si è
concentrata sullo studio di tecniche e materiali finalizzati al recupero ed al
rinforzo di strutture edilizie già esistenti. Si è giunti, in tal modo, all’impiego di
materiali innovativi, quali ad esempio i materiali compositi fibrorinforzati (FRP),
sempre più utilizzati ed in continua evoluzione, soprattutto nel recupero di
patrimonio edilizio di interesse storico.
È interesse attuale, dunque, indagare ed osservare il comportamento e le altre
proprietà meccaniche di tali materiali nel lungo termine. Ciò è possibile attraverso
la loro sottoposizione a test e prove, eseguite con vari strumenti di misura, ad
esempio estensimetri e potenziometri.
In alternativa ai metodi di misura tradizionali, negli anni ’80 è stata sviluppata dai
ricercatori della Università del South Carolina una tecnica nuova, consistente
nella elaborazione e nel confronto tra immagini digitali, denominata “Digital
Image Correlation” (DIC).
La correlazione digitale d'immagini è un metodo ottico senza contatto per
misurare lo spostamento, le deformazioni e le vibrazioni in oggetti o materiali
soggetti a forze applicate.
Il metodo confronta due immagini, prima e dopo la deformazione o lo
spostamento, acquisite in luce bianca con una telecamera digitale (per una 2D
DIC) o due telecamere digitali (per una 3D DIC) disposte ad angolo (sistema
stereoscopico).
A questo punto, vi è il ricorso ad un programma a propria scelta di elaborazione
delle immagini. Grazie a potenti ed efficienti algoritmi di calcolo, il software
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correla le due immagini e determina gli spostamenti e, quindi, le deformazioni o
vibrazioni nel campo bidimensionale o tridimensionale.
In questo ambito, si inserisce il mio presente lavoro, frutto di un’attività di
tirocinio svolta presso il Laboratorio di Sperimentazione e Ricerca su materiali e
strutture del Dipartimento di Ingegneria di Roma Tre, sotto la guida e la
supervisione del Prof. De Felice, dell’Ing. De Santis e dell’Ing. Roscini.
Le mie sperimentazioni sono consistite in prove di trazione e di delaminazione su
materiali compositi in fibre di vetro, acciaio, carbonio, basalto e PBO, seguite
dall’applicazione del metodo DIC con il ricorso a Ncorr, un programma
opensource per MATLAB per la correlazione di immagini digitali 2D, e dal
confronto con i risultati ottenuti con altri strumenti di misura (in particolare,
LVDT, estensometri e potenziometri).
L’obiettivo del mio elaborato è di fornire una panoramica sull’utilizzo della
metodologia Digital Image Correlation (DIC), nonché delle linee guida sul suo
impiego pratico, in relazione ai materiali compositi a matrice inorganica,
attraverso l’esposizione dei provini da me effettuati e dei risultati ottenuti.
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2. Funzionamento dell’algoritmo DIC
Lo scopo principale della tecnica DIC è di ottenere i campi di spostamento e
deformazione di una regione d’interesse (abbr. ROI, da “region of interest”) di un
provino materiale sottoposto a deformazione.
La DIC utilizza una tecnica di elaborazione di immagine nel tentativo specifico di
risolvere questo problema. Fondamentalmente, le immagini del provino vengono
prese mentre esso si deforma; queste immagini diventano “input” per un
programma di DIC.
L’idea è di ottenere in qualche modo una corrispondenza uno-a-uno tra i punti
materiali della immagine di riferimento (la foto iniziale non deformata) e la
configurazione corrente (le successive foto deformate). La DIC fa ciò prendendo
piccole sotto-sezioni della immagine di riferimento, chiamati “subsets”, e
determinando le loro rispettive locazioni nella configurazione corrente.
Per ogni subset, otteniamo le informazioni sullo spostamento e sulla
deformazione causate dalla trasformazione e le utilizziamo per far corrispondere
la posizione del subset nell’attuale configurazione. Vari subset vengono
selezionati nella configurazione corrente, spesso con un parametro di spaziatura
per ridurre il costo computazionale (si può notare, inoltre, che i subsets finiscono
di solito per sovrapporsi).
Il risultato finale è una griglia contenente le informazioni di spostamento e
deformazione rispetto alla configurazione di riferimento, noto anche come
spostamenti/deformazioni lagrangiane. i campi di spostamento/deformazione
possono essere anche ridotti o interpolati per formare un campo di
spostamento/deformazione “continuo”.
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Esempio di elaborazione di un’immagine prima e dopo l’utilizzo della DIC.
3. Materiali scelti come oggetto di prova
A seconda del tipo di prova, sono stati utilizzati materiali di natura differente e
con caratteristiche diverse.
Nelle prove di trazione su tessuti secchi, i provini consistevano unicamente in reti
di fibre di vari materiali. I materiali scelti sono stati:
basalto;
vetro;
acciaio;
PBO;
carbonio.
Nelle altre prove di trazione, invece, i provini consistevano in reti dei medesimi
materiali, posate su malta fresca ed inglobate in essa come matrice cementizia.
Per quest’ultima, sono state usate in alternanza la GeoLite, la GeoCalce e
cemento.
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Nelle prove di delaminazione, i provini erano realizzati in reti dei suddetti
materiali, in matrice cementizia, applicati su supporti in mattone e, in alternanza,
tufo.
Le fibre usate presentano tutte uno speciale trattamento superficiale (appretto),
che ne migliora la compatibilità e l’adesione al supporto e le rende ideali per
l’impiego con malte cementizie e in calce strutturale.
La rete in fibra di basalto è una rete di rinforzo costituita da fibre prodotte dalla
fusione e dalla filatura di rocce vulcaniche.
Tra i suoi vantaggi, troviamo buone caratteristiche meccaniche e prestazionali,
elevate resistenze chimiche e alla corrosione, nonché agli ambienti alcalini,
elevata tenacità agli urti e agli impatti violenti, bassa conducibilità elettrica,
elevata resistenza della fibra alle alte temperature, trasparenza alle onde
elettromagnetiche, affidabilità e durabilità del sistema di rinforzo, buona
resistenza del basalto in ambiente umido, peso e spessori del sistema molto
ridotti, semplicità applicativa del sistema.
Rete in fibra di basalto.
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La rete in fibra di vetro presenta un elevato contenuto in ossido di zirconio che
conferisce alla rete un’elevata resistenza agli ambienti alcalini, tipici delle malte
cementizie e delle calci.
Rete in fibra di vetro.
La rete in fibra di acciaio è una tecnologia che consente consolidamenti strutturali
di murature e di elevata efficacia statica nella riqualificazione funzionale e nel
miglioramento sismico delle strutture debolmente armate, dissestate e
ammalorate.
Tra i suoi vantaggi, troviamo un’elevata resistenza a trazione e taglio, un
miglioramento della duttilità della struttura; elevata resistenza ortogonale alla
direzione delle fibre; possibilità di pretensione; ridotti spessori, peso ed invasività
per le opere da consolidare e per gli edifici storici; possibilità di
ottenere superfici rinforzate con superiore adesione, minimi spessori, elevata
traspirabilità; elevata resistenza agli impatti quali urti, esplosioni, azioni
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ortogonali alla direzione della fibra; applicabilità su superfici anche irregolari con
ridotti oneri di livellamento con l’impiego di matrici inorganiche; migliore
resistenza al fuoco con l’impiego di matrici inorganiche; elevata resistenza alla
corrosione in ambiente alcalino.
Rete in fibra di acciaio.
La rete in fibra di carbonio è un sistema di rinforzo strutturale che non utilizza
resine epossidiche ma una matrice costituita da un legante idraulico pozzolanico
perfettamente compatibile con il supporto in muratura.
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Rete in fibra di carbonio.
4. Requisiti ed allestimento delle prove e dell’ambiente
circostante
Per il setup delle prove con DIC, è necessario che vengano predisposti in modo
specifico sia il provino stesso, sia l’ambiente circostante.
Il grado di precisione dei risultati della tecnica DIC dipende dal concorso di diversi
elementi tra loro: gli algoritmi di interpolazione, la distribuzione uniforme della
luce e la qualità dello speckle pattern. Mentre il primo elemento è legato alle
caratteristiche tecniche degli strumenti scelti, la luminosità e lo speckle pattern
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sono direttamente controllati dall’operatore. In particolare, la luce dovrebbe
essere costante ed omogenea durante l’intera prova; la superficie da testare,
invece, deve essere preparata in modo da avere un pattern di punti casuale il più
possibile non ripetitivo, isotropo e con zone a elevato contrasto cromatico.
Esempio di setup di prova con tecnica DIC
4.1 Preparazione del provino
Obiettivo della prova è di individuare l’intero campo di spostamento superficiale,
perciò è necessario che le foto acquisite presentino una altissima risoluzione.
A tale scopo, la superificie del provino deve essere resa di colore il più possiible
omogeneo, altrimenti si rivela difficile se non quasi impossibile distinguere gli
spostamenti relativi tra i punti di superficie.
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Per questa ragione, viene utilizzato un metodo per creare il necessario contrasto
disomogeneizzante tra i suddetti punti.
Per avere uno speckle pattern ottimale, si utilizzano vari metodi per la sua
creazione, ad esempio, si può ricorrere ad un interferometro elettronico.
Esempio di speckle pattern ottenuto con interferometro elettronico.
Nel mio caso, ho deciso di apporre uno strato di vernice di colore bianco, seguito
dallo spruzzo di vernice nera, in modo tale da creare un pattern di macchioline
scure.
I due strati insieme formano quello che viene denominato “speckle pattern”.
Bisogna fare attenzione a come viene realizzato lo speckle pattern, poiché il
numero di macchioline non deve essere né eccessivo, né troppo esiguo.
Altrimenti, nel primo caso, vi sarà una sovrapposizione dei subset, a causa di uno
sfondo troppo scruo; nel secondo caso, invece, non sarà possibile trovare il
campo di deformazione sull’intera superficie.
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Esempio di speckle pattern su un provino di trazione.
4.2 Strumentazione per l’acquisizione delle immagini
All’inizio del mio tirocinio, utilizzavo come strumento di acquisizione delle
immagini una una fotocamera Canon EOS 400D, sulla quale è stato montato un
obiettivo con le seguenti caratteristiche tecniche:
zoom ottico: 3X; apertura minima: 5.6; lunghezza focale minima: 18 mm;
autofocus con distanza minima di messa a fuoco: 25 cm; stabilizzatore
d’immagine a 4 stop; risoluzione: 10,1 Megapixel.
Fotocamera Canon EOS 400D.
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Con essa, le fotografie ottenute avevano una qualità piuttosto bassa, con 2592 x
3888 pixel e 72 dpi di risoluzione.
In seguito, grazie al Prof. De Felice, siamo entrati in possesso di una fotocamera
Nikon Digital SLR Camera D610, una reflex con sensore FF (1.0x) da 24.3
megapixels, la cui gamma di sensibilità, inclusa estensione, è 50 - 25600 ISO e può
scattare a raffica di 6.0 FPS.
La qualità delle immagini è risultata nettamente più elevata, con una risoluzione
di 300 dpi e 4016 x 6016 pixel.
Nikon Digital SLR Camera D610
Per evitare di provocare tremolii e movimenti inopportuni, sono stati utilizzati un
treppiede ed un telecomando di scatto remoto TC-252.
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Telecomando di scatto remoto TC-252 per Nikon D610
4.3 Calibrazione della luce ambientale
Durante la mia attività di tirocinio, ho dovuto tener conto anche delle
caratteristiche strutturali del laboratorio di prova. La presenza, infatti, di un
lucernaio nel soffitto ha creato diversi problemi al fine di creare la giusta
luminosità. Non solo il mutamento delle condizioni atmosferiche, ma anche
durante le stesse prove, la luce ambientale rischiava di cambiare tra uno scatto e
l’altro, nell’arco di pochi secondi.
È di fondamentale importanza per la buona acquisizione delle foto che la
luminosità ambientale sia omogenea.
A tal fine, ho sperimentato diversi apparecchi fonti di luce. Ho stabilito, ad
esempio, che i fari con luce alogena non sono adatti per il tipo di prova con la DIC,
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poiché il fascio luminoso prodotto risulta essere di natura ondulatoria. Si è
rivelato ottimale, invece, il ricorso ad un faro con luce al led.
Esempio di faro con luce al LED.
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5. Prove su tessuti secchi
Lo scopo di questa prova è stabilire il rapporto migliore tra il tempo necessario
per l’analisi completa di un provino e la scelta del suo Subset Spacing e del suo
Subset Radius.
È da notare, infatti, che ad avere importanza è non solo il tempo dell’analisi, bensì
anche l’accuratezza del calcolo e dei suoi risultati. Quindi, la scelta del Subset
Spacing e del Subset Radius deve essere fatta con estrema attenzione, poiché
influisce sia sul tempo impiegato, sia sulla precisione dei risultati ottenuti.
Ho scelto come campione le prime 15 foto del provino “GR200-B41-01”.
Secondo i risultati ottenuti di cui sopra è preferibile scegliere un Subset Radius
del valore di 10 ed un Subset Spacing del valore di 5.
Avere più punti in ROI significa, infatti, monitorare in maniera più precisa e più
dettagliata il comportamento del provino quando è sottoposto a spostamenti e
deformazioni.
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Ora, mostrerò come esempio tre delle prove che ho eseguito durante la mia
attività di tirocinio.
Innanzitutto, riporto la dispersione dei dati conseguente al paragone dei risultati
dei tre strumenti di misurazione in nostro possesso, ossia LVDT, estensometro e
DIC, nell’analisi di una serie di nove prove su tessuti in fibra di basalto.
In seguito, riporto i diagrammi di Strain-Stress, ovvero l’elaborazione grafica della
tensione e della deformazione dei suddetti provini, dai valori dei quali può essere
elaborato il modulo elastico secante con l’applicazione della legge di Hooke.
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Provino G-B-01
Nel primo provino, G-B-01, possiamo osservare che mostrano una rilevante
vicinanza tra loro i valori ottenuti con la misurazione tramite estensometro e
quella tramite DIC, mentre i risultati della misurazione con LVDT si distanziano
notevolmente.
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Provino G-B-02
Come si può vedere nella foto, nel provino G-B-02 la rottura è avvenuta molto
vicino al marker superiore. Nell’ipotesi, invece, che la rottura avvenga dietro ad
uno dei due marker, si possono osservare spostamenti fuori piano del marker,
cosa che non dovrebbe accadere poiché impedirebbe la rilevazione corretta dei
dati da parte della DIC. Per questo motivo, ho ritenuto preferibile aggiungere un
marker ulteriore sul telaio, in posizione tale che non può essere danneggiato dalla
rottura e, perciò, l’ho definito “Safe Marker”.
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Provino G-B-03
Nella foto, il provino G-B-03 presenta una rottura avvenuta nella parte inferiore
del tessuto. Come si può osservare, il marker inferiore è rimasto attaccato al
telaio, dunque non ha subito spostamenti negativi o fuori piano.
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6. Prove di trazione
Tra gli scopi dell’utilizzo della tecnica DIC, vi è quello di ottenere un pattern di
deformazione sull’intera superficie del provino.
Gli strumenti tradizionali, infatti, quali estensimetri e potenziometri, forniscono
misure di spostamento e di deformazione solamento rispetto ad una specifica
regione della superficie del provino oppure forniscono misure medie di
deformazione, elaborate dividendo lo spostamento dell’estremità del provino in
corrispondenza del punto di applicazione del carico per la lunghezza iniziale dello
stesso.
Tale elaborazione, però, impedisce di rilevare come si distribuisce il campo di
deformazione sull’intera superficie del provino e, perciò, non siamo in grado di
riconoscerne la natura (distribuzione omogenea o non omogenea).
Oltre a ciò, la DIC è una tecnica ideale per l’individuazione delle fessure
dell’oggetto in analisi. In particolare, mediante questo metodo si può ricostruire
l’evolversi delle fessure durante la prova stessa, a cominciare dalla prima loro
formazione, oltre a determinare il numero, l’ampiezza e l’ordine di formazione
delle fessure.
Qui di seguito mostro una sequenza di immagini sull’evoluzione di una fessura.
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Paragone tra la foto reale e la foto elaborata con DIC, in cui si può osservare
l’esatta posizione delle fessure.
Confronto tra risultati ottenuti con DIC, LVDT ed estensometro.
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7. Prove di delaminazione
Anche per le prove di delaminazione, come per quelle di trazione, si è voluto
studiare il campo globale di deformazione e di spostamento subito dal provino
durante la prova di carico mediante tecnica DIC.
Test di delaminazione
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8. Conclusioni
Dopo 6 mesi di lavoro in laboratorio, ho svolto più di 160 provini in tre campi:
prove di trazione su tessuti secchi, prove di trazione su materiali compositi e
prove di delaminazione su materiali compositi.
Per le prove sui tessuti secchi, la mia esperienza può confermare il fatto che la
DIC è perfettamente funzionale. Difatti, i grafici di stress - strain ottenuti con la
DIC hanno lo stesso andamento con i grafici ottenuti con gli altri metodi
tradizionali. Come sopra riportato, i risultati ottenuti con la DIC hanno una
deviazione standard di lunga minore rispetto a quelli ottenuti con i metodi
tradizionali (LVDT ed estensometro). Ho potuto osservare quale materiale ha il
maggiore modulo elastico, cioè la resistenza più alta.
Per le prove di trazione su materiali compositi, è stato molto utile il metodo DIC
per il fatto che i metodi tradizionali non potevano osservare il campo di
spostamento e quello di deformazione sull’intera superficie del provino. Ho
potuto osservare, infatti, la modalità di rottura tra i vari tessuti con malte
cementizie differenti.
Con il metodo della DIC ho potuto misurare la lunghezza delle fessure nella malta,
oltre al numero stesso delle fessure, risultati che i metodi tradizionali non
possono individuare.
Durante il tirocinio, ho notato anche che, in alcune prove, il provino si frantumava
in numerosi pezzi. In queste occasioni, l’estensometro dava valori erronei, poiché
esso le fessure si formavano al di sotto dei suoi punti d’appoggio.
Questo è un vantaggio particolare della metodologia DIC, data la sua
caratteristica di essere una tecnica di misura senza contatto e, quindi, non
influenzata da fattori fisici simili.
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Per le prove di delaminazione, grazie alla DIC, ho potuto osservare quali prove
delaminavano e quali invece avevano soltanto spostamenti e deformazioni solo
dei tessuti dentro la malta.
Nella mia esperienza di tirocinio, posso confermare che la tecnica della DIC si
rivela di grandissima utilità per stabilire il comportamento e le caratteristiche
meccaniche dei materiali compositi.