Ragionamenti intorno al tema della rappresentazione
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Ragionamenti intorno al tema della rappresentazione digitaledi Marco Ferrara
*I due scritti seguenti trattano il tema della rappresentazione attraverso due sguardi differenti e distanti. Accostarli in un unico testo ha il senso di suggerire una lettura più aperta, ipertestuale, disorientante del tema.
1. sul rendering
La rappresentazione dello spazio e dell'architettura ha ormai
pienamente inglobato il segno digitale nel proprio campo
espressivo superando quella fase di ingenua fascinazione per la
futuristica estetica del virtuale.
Parallelamente allo sviluppo dei sistemi hardware e software, anche
lo sguardo dell'osservatore è maturato perdendo l'innocenza con cui
ammirava le prime elaborazioni tridimensionali in wireframe
esigendo oggi una più sofisticata forma comunicativa.
Oggi il processo di rendering raramente si conclude all'interno
dell'applicazione che lo genera. L'editing dell'immagine, la fase di
postproduzione – il passaggio in photoshop – è uno step obbligato
al fine di connotare di un dato espressivo il proprio racconto
dell'architettura.
D'altro canto riequilibrare la gamma cromatica, marcare i contrasti,
rimodulare luci e ombre sono operazioni naturali per chi pratica il
disegno che usi il mouse, l'inchiostro, il pennello o un pezzo di
carbone.
A definire l'orizzonte estetico della rappresentazione
sarà poi la scelta di una tavolozza/palette RGB/libreria
di shaders/set di luci in funzione dei riferimenti e del
bagaglio visivo.
Settembre 1993, Area dedica la copertina al virtuale nel progetto architettonico:
sono gli anni in cui la rappresentazione digitale approda diffusamente in ambito
professionale
Rendering dell'Aldar Central Market di Abu Dhabi, Foster+Partners
con testo parallelo in note sulla rappresentazione *di Cinzia Mazzone
Discretizzare il reale –o, se si vuole, ridurre la profondità di bit
limitare le dimensioni sensoriali del rappresentato, obbliga il
disegno (il film, il plastico, la foto) ad essere altro da ciò che
rappresenta costituendo in ciò una nuova fertile formulazione del
reale.
Ancora e più prosaicamente tale processo di riduzione della
complessità del reale costituisce un'importante operazione di
economia del processo. Fattore questo non secondario soprattutto
nella fase della definizione formale del progetto in cui svelte
visualizzazioni possono aiutare a cogliere il senso del proprio
Alighiero Boetti inizia ad interessarsi ai segni linguistici o meglio, alla rivisitazione critica del concetto occidentale (metafisico) di scrittura , attorno agli anni 70. In opere come “I vedenti”, “Millenovecentoventisette” oppure “Ordine e disordine” o per citare un’opera più tarda e ancora più significativa, “alternando da uno a cento e viceversa” l’artista è interessato a porre in discussione la negazione del corpo materiale della scrittura da parte della scrittura alfabetica (la scrittura alfabetico fonetica è caratterizzata infatti dal tentativo costante di annullarsi come materialità e spazialità, di negare tutto ciò che potrebbe in qualche modo interferire con l’espressione della pura idealità. Tale annullamento è espresso sia dalla negazione che essa pone in opera del proprio corpo espressivo – il corpo scritto della parola in se stesso non significa niente, non è altro che un insieme di segni convenzionali ed arbitrari – che dal tentativo di ridurre al minimo i legami che essa – in quanto scrittura – deve necessariamente intrattenere con la materialità. ⇓
disegnare 1. Rappresentare mediante linee tracciate su una superficie: d. un fiore, un triangolo; assol.: non sa d.; estens., descrivere con il proprio movimento o col proprio percorso: d. un giro di danza; l’aereo disegnava ampi circoli nel cielo. 2. fig. Tracciare, descrivere nelle linee fondamentali. 3. arc. Designare. (Lat. designare, der. di signum ‘segno’).
crittografia (o criptografia) 1. Scrittura convenzionale segreta, che può essere decifrata solo da chi sia a conoscenza del codice. 2. Gioco enigmistico consistente nell’analizzare le relazioni tra le lettere e le parole date (…). Estens. Testo oscuro di non facile interpretazione. (Comp. Di crittoegrafia).
scrittura, 1. L’operazione dello scrivere: Don Abbondio, immerso nella sua scrittura, non badava ad altro (Manzoni); esercizio di S. – Il modo di scrivere: con riferimento ai vari alfabeti, sistemi e caratteri impiegati (s. gotica, cuneiforme; s. maiuscola, minuscola), al mezzo con il quale viene effettuata (a mano, a macchina), alle particolari caratteristiche individuali (s. chiara, sicura, indecifrabile) – sistemi elettronici di s., quelli che consentono di comporre testi a macchina e di visualizzarli su uno schermo, permettendo su di essi ogni sorta di interventi – (ma, segue anche), L’espressione scritta in opposizione a quella orale: affidare alla s. i propri ricordi Capacità e stile nello scrivere: la sua scrittura è leggibile. 2. Contratto: teatrale e s. privata.
critto, Forma assimilabile al prefisso cripto.cripta, (arc. critta) Complesso di ambienti sotterranei, per lo più a carattere sacro critta, Variante architettonico di cripta.
scrivère 1. Tracciare su una superficie i segni convenzionali di una lingua relativa ai suoni vocalici e consonantici che formano le parole, in modo da poterle leggere: imparare a s.; su sarta, su pergamena, sulla lavagna, sul muro; con la penna, con la matita, con il gesso; (…) 2. Riprodurre su carta mediante scrittura, in una successione di parole, frasi, periodi, i concetti e le idee elaborati dalla mente (…). Tenere una corrispondenza epistolare.
disegno, 1. Rappresentazione grafica a carattere artistico o meramente tecnico: d. a mano libera, geometrico; d. cartografico, quello utilizzato per rappresentare graficamente una porzione di territorio in una carta a qualunque scala, descrivendone i numerosi particolari secondo segni convenzionali prefissati; può essere eseguito a mano o con tecniche informatiche – Progetto per un’opera da fabbricare o da costruire; d. industriale, lo stesso che design– Abbozzo preparatorio di un’opera d’arte – Motivo ornamentale, spec. di stoffe. 3. fig. Abbozzo, schema: il d. di un romanzo. Progetto, proposito: La procellosa e trepida Gioia d’un gran disegno (Manzoni). D. di legge, proposta legislativa sottoposta all’esame del parlamento (Deverb. da disegnare).
operare.
Il palinsesto procedurale della simulazione virtuale dell'architettura
– modellazione cad / mappatura / setting di luci e camere /
rendering / photoediting – è evidentemente una prassi pesante e
onerosa e per questo tendente a distaccarsi dal naturale sviluppo del
progetto. La velocità del pensiero e dello schizzo resta ingolfata
nella precisione delle quattro cifre decimali del modello cad (tra
l'altro del tutto incongrue con l'approssimazione necessaria alla
scala architettonica), dall'eccessiva parametrizzazione di texture e
luci, dall'inutile calcolo di triangoli non significativi durante
l'elaborazione del rendering.
Tale consuetudine è ancora figlia di un'idea di riproduzione
matematica del reale che poco ha a che vedere col racconto dello
spazio e non tiene conto delle esigenze connaturate al processo
produttivo dell'architettura.1
⇑ Espressione di questo ulteriore annullamento è la scelta del supporto su cui la scrittura si inscrive: si scrive su fogli bianchi e sottili, la cui caratteristica principale è quella di essere trasparenti e di ritrarsi in favore di ciò che su di essi si deve rappresentare. Doppia ritrazione e doppio annullamento: si ritrae il supporto ed emerge la scrittura, si ritrae la scrittura ed emerge il significato). L’utilizzo del linguaggio come elemento decorativo, richiede però che si sia precedentemente sospeso il valore significativo del segno, il segno grafico deve essere assunto come segno autoreferenziale, quest’operazione inscrive l’opera di Boetti all’interno di un più vasto panorama teorico che in quegli anni si andava definendo. Un’operazione che possiamo considerare analoga a quella di Alighiero Boetti, è compiuta dal semiologo francese Roland Barthes. Analoga ma non identica perché se Boetti artista e pittore è interessato a scorgere e ad individuare dei legami tra la pittura e la scrittura dal punto di vista della pittura, per Barthes, semiologo e scrittore, si tratta invece di raggiungere lo stesso risultato partendo però da un punto di vista differente: Barthes parte dalla scrittura per recuperare nel suo interno le tracce del disegno. I disegni che Barthes dipinge dopo il suo viaggio in Oriente che ebbe come risultato la stesura del testo “L’impero dei segni”, sono di difficile collocazione, non rientrano né nella categoria della scrittura, né in quella della pittura. Roland Barthes scrittore, disegna il corpo mitico delle parole. I corpi evocati sembrano uscire da un sogno, sono le ombre che a lungo hanno popolato la sua fantasia, sono la risposta ad un desiderio represso “…ho una malattia, io vedo il linguaggio…” , nascono dalla necessità di render visibile un’intuizione: che la scrittura, qualsiasi essa sia, passa sempre attraverso la materia. Riunendo scrittura e pittura in un solo corpo, Barthes ha sperimentato il limite di queste due discipline: attraverso questi segni non possiamo ricondurci a nulla di conosciuto, non possiamo far altro che assumerli per come essi ci appaiono, nessun significato al di là del loro corpo può condurci al dominio del già conosciuto: “Ogni immagine – ha osservato a questo proposito G. C. Argan – è l’immagine di un’assenza, di qualcosa che è uscito dal campo. Ci sono disegni che riproducono disegni giapponesi, poi la figura scompare, rimane soltanto la scia di un movimento, come d’un profumo, oppure segmenti impazziti si agitano nel vuoto, come cercando uno spazio che non c’è (…)”.Contemporaneamente in ambito architettonico pensiamo invece alle esperienze condotte da Eisenman e da Libeskin. Per Eisenman e per Libeskind si trattava chiaramente di sospendere il valore figurativo e rappresentativo del segno architettonico, per farne emergere al di là dell’uso corrente, l’arbitrarietà. Nella serie di disegni Micromegas (1979), Libeskind attraverso lo sganciamento del referente, libera i segni architettonici dalla loro figuratività. Eisenman compie un’operazione simile nei progetti per le Houses, in particolare nella House III dove troviamo “(…) pilastri a cui è contestata la connotazione di supporti verticali, oppure pareti che dividono in due stanze già troppo piccole (…)”. ⇓
1. Come il cad, nato per il disegno meccanico, anche i softwares di modellazione e rendering oggi maggiormente diffusi non nascono per l'architettura e il design bensì, generalmente, per l'animazione cinematografica dove l'attenzione alla precisione metrica si perde a favore di strumenti per la cinematica inversa e per la mimica dei characters. Lo sviluppo recente di programmi più semplici e intuitivi quali Google SketchUp appare oggi un primo passo verso la giusta snellezza (anche economica) del software di modellazione per l'architettura.
⇑ Riassumendo brevemente: la sospensione del significato permette a Boetti e a Barthes di concentrarsi sul valore materiale della scrittura alfabetica che in sé – in quanto tale – è arbitraria. Eisenman e Libeskind –attraverso l’operazione inversa – fanno emergere l’essere insignificante di una forma a cui normalmente è attribuito un significato evidente. Il lavoro che più di altri ci permette di comprendere ciò a cui stiamo tentando di alludere è ancora un’opera di Boetti, in “Scrivere con la mano sinistra è disegnare” (1979), l’artista oltre che sottolineare la dimensione figurativa/rappresentativa che la scrittura alfabetica ha volontariamente escluso dal proprio sistema, o la materialità di cui non intende farsi carico, ci conduce a riflessioni più complesse e più contraddittorie. Si tratta del più generale problema della rappresentazione e dell’imitazione, a questo proposito citiamo una nota immagine di Wittgenstein: “Perché la parola ‘bastimento’ significa bastimento? Che rapporto c’è tra la parola ‘bastimento’ che significa bastimento e il disegno di una nave che facciamo sulla lavagna? che rapporto c’è tra il disegno e la nave? E’ infatti solo per un’abitudine convenzionale che noi ravvisiamo in quei tratti di gesso su di una superficie nera bidimensionale, una nave. C’è qui un rapporto di somiglianza e di analogia altrettanto oscuro e misterioso quale c’è tra la parola ‘bastimento’, ‘Schiff’, dite come volete e la nave. Che rapporto c’è tra questi suoni, sia che vengano pronunciati, sia che vengano scritti e la cosa che significano?”. Quello che Boetti utilizzando l’immediatezza dell’arte dice è lo stesso: non è che la scrittura alfabetica perché convenzionale non rappresenta in modo figurativo, e il disegno a differenza rappresenta figurativamente, tra la scrittura intesa come rappresentazione arbitraria e il disegno pensato come rappresentazione figurativa, in fondo non vi è alcuna differenza, sia che si tratti di disegno, sia che si tratti di scrittura, è sempre di rappresentazione convenzionale che si tratta.
Sperimentazioni sul renderingCoerentemente con l'idea di riduzione della complessità del reale lo strumento virtuale consente la realizzazione di rappresentazioni leggere e rapide attraverso la semplificazione dell'iter procedurale standard del rendering. L'uso, ad esempio, di superfici planari, adeguatamente disposte nello spazio e l'applicazione di textures disegnate ed autoilluminate può aiutare a ridurre l'oneroso carico che la rappresentazione digitale dell'architettura comporta oltre a restituire in termini di espressione una forma più personale del racconto dello spazio.Qui a fianco alcuni piccoli video sperimentali di esempio.(I video sono visibili all'indirizzo www.mfarchitetti.it alla voce experimentation with rendering)
2. sulla maquette
Alla pari del rendering, la maquette, il modello in scala, risulta
ancora oggi tra gli strumenti fondamentali del
disegnatore/progettista. Ciò è dovuto non solo alla sua intrinseca
capacità di descrivere univocamente rapporti volumetrici e spaziali
ma anche alla forza comunicativa ed espressiva connaturate alla
necessità di sintesi e riformulazione cui il progettista è obbligato
per via del salto di scala (a riprova di ciò si consideri la presenza
significativa di immagini fotografiche tratte da modelli plastici
nell'ambito dei concorsi d'architettura). A ciò si aggiunge inoltre
l'economicità di un sistema di formalizzazione adeguatamente
approssimato (al più al mezzo millimetro) e in cui l'impenetrabilità
dei corpi e la forza di gravità consentono rispetto al modello
virtuale una più ovvia, rapida ed evidente messa in forma.
Anche per questo strumento, come per il modello digitale, il
processo di riformulazione sintetica può produrre esiti
espressivamente interessanti ed importanti economie di processo.
L'idea di tecnica mista, in cui l'output digitale attraverso strumenti
hardware quali stampanti, fotocamere, webcam, videoproiettori,
luci led, oggi alla portata di tutti rientri all'interno
dell'elaborazione plastica appare oggi come una strada percorribile
quanto prolifica.
Nel ciclo delle Houses, Eisenman porta all’interno della costruzione la rappresentazione stessa: “La House I (1967) è concepita dall’architetto come un modello a grandezza naturale (…), la House X (1975) può essere considerata come un’evoluzione e un superamento della House I, non si presenta più come un modello in senso metaforico, ma la realtà stessa dell’edificio è il modello (…). La realizzazione di un’architettura in un modello, implica uno spostamento rispetto all’idea secondo la quale in architettura il modello è la rappresentazione di un oggetto in un oggetto”.
Proponendosi come rappresentazione di se stessa, annunciandosi terminata nel modello architettonicoarchitettura, imponendo il credere che l’effettiva costruzione dell’edificio con materiali ‘materici’ non sia più necessaria, divisa tra la necessità di essere realizzata fisicamente e la rinuncia a tale realizzazione, realizzandosi all’interno di questo paradosso in realtà quest’architettura destabilizza il comune modo di intendere il rapporto che tradizionalmente si è stabilito tra la realtà e la rappresentazione. Nel Glass Video Gallery, Tschumi ripropone la stessa tematica. L’intero padiglione è completamente costruito in vetro. Il vetro ha la funzione di riflettere sia la luce, che le immagini proiettate dai monitors, il risultato, secondo quanto lo stesso Tschumi ha affermato, è una enorme scatola di trasparente abitata da un’infinità di riflessi e di “immagini in movimento” all’interno della quale non è più possibile comprendere quali siano le immagini realmente proiettate dai monitors peraltro visibili – e quali i loro riflessi. L'estraniamento e la destabilizzazione che l’ingresso nel padiglione provoca al visitatore, è ulteriormente sottolineato dal fatto che l’intera costruzione sia sollevata da terra e leggermente inclinata: “(…) in questo modo la Galleria cambiava il senso della visione perché gli occhi non avrebbero potuto dire ciò che era reale e ciò che era riflesso, e ciò avrebbe cambiato anche il rapporto di una persona con il proprio corpo in termini di gravità”.
In tale ottica si pensi ad esempio ai plastici di studio del Renzo
Piano Building Workshop che mutuando l'idea dei layers dislocano
spazialmente strati bidimensionali di disegno nel modello
funzionalmente ad una veduta preferenziale eloquente
(generalmente una sezione). Semplicità costruttiva e dei materiali,
uso delle riproduzioni di disegni esistenti: l'economia del processo
è evidente. Lo sguardo dello spettatore si appoggia a
rappresentazioni planari che raccontano un fatto tridimensionale.
Lo spazio architettonico solo accennato ed evocato è completato ed
amplificato nella mente dell'osservatore.
L'idea di non restituire un materiale ma il disegno dello stesso è un
passaggio che può tradursi in raffinate operazioni di evocazione
scenica come evidente, in un esempio antelitteram, nei plastici di
Lele Luzzati.
Due maquette per due progetti d'allestimentoL'occasione progettuale di due allestimenti – uno, museale, dedicato all'ultimo periodo della produzione pittorica di Vasilij Kandinskij; l'altro, urbano, per una piazza del Comune di Lastra a Signa – sono state motivo per la sperimentazione di una tecnica mista digitalematerica.
L'elaborazione delle immagini (le opere di Kandinskij e le facciate della piazza del centro toscano) è stata realizzata attraverso l'uso dell'editing digitale (fotoritocco, raddrizzamento fotografico, modellazione NURBS) mantenendo questa prima fase facile, leggera e immediata.
Successivamente le immagini, fatte di pixel impalpabili, sono divenute "materia": carta, cartone, inchiostro. La tecnologia informatica è messa al servizio di una creatività non vincolabile all'esattezza numerica.L'uso del computer è posto a monte del processo
creativo a controllo del prodotto, ma è la manualità a garantire la fondamentale libertà dell'imprecisione, dell'approssimazione, dell'aggiustamento.
Modellino di Emanuele Luzzati per Il Barbiere di Siviglia di Rossini.
Teatro Carlo Felice, Genova 1992
3. dell'approccio scelto e dell'ambito d'azione
Le considerazioni e le piccole esperienze fin qui esposte sono utili
a fornire al lettore qualche riferimento che possa aiutare a chiarire
l'oggetto attorno a cui tali ragionamenti muovono: si vuole, infatti,
riflettere su quelle possibili ricadute sul linguaggio, l'espressione
e il processo che un uso non standardizzato dello strumento
digitale può comportare.
Se, infatti, l'innovazione tecnologica è sempre portatrice di nuovi
esiti formali e linguistici è anche vero che un uso non prefissato
della novità strumentale può ridefinire il senso di tecniche e
strumenti esistenti o addirittura desueti (veda il lettore, a titolo
d'esempio, il progetto Disegni milanesi più avanti esposto).
Il concetto dei layers, l'idea di texture applicata, la proiezione
centrale prodotta da una spot light o da un videoproiettore sono, se
intese al di là dell'utilizzo cui sono state pensate, strade di
sperimentazione estendibili.
All'interno di tale approccio si vuole agire ponendo particolare
attenzione a quelle forme della rappresentazione che anziché
tendere alla riproduzione indistinguibile dal vero (mito smentito del
rendering), si fermano ad un livello di “quasi uguale”, che non
tenda a sostituire il reale bensì a ricordarlo, ad evocarlo
mantenendo fortemente la secondarietà della rappresentazione
rispetto al rappresentato. Si gira intorno al dato della
“somiglianza”, necessario trampolino affinché lo sguardo si stacchi
dalla registrazione del reale per porsi quale generatore di realtà
suggerite, evocate dal segno. Si tratta di realtà potenti, oniriche, che
coinvolgono l'osservatore palesando il proprio inganno.
Ma l’operazione compiuta da Boetti è ancora più radicale. Con un gesto anacronistico rileggiamo un’opera precedente a quelle fin’ora analizzate alla luce delle riflessioni fin qui compiute. In “Gemelli”, Alighiero Boetti decostruisce il concetto tradizionale di immagine e quello ad esso associato di rappresentazione, cioè l’idea secondo la quale la rappresentazione è qualcosa che si aggiunge solo secondariamente alla realtà. Lungo un viale alberato scorgiamo Boetti venirci incontro nelle vesti di 1 e di 2, di originale e di replicante, di persona e di doppio, di individuo e di simulacro, il problema è che non siamo in grado di stabilire quale dei due sia l’originale e quale il doppio. Quale dei due è la rappresentazione dell’altro? Quale l’immagine, quale la realtà?
Ma fermarci a questa prima interpretazione sarebbe riduttivo, solo una lettura superficiale e frettolosa dell’opera potrebbe indurci a credere che il solo fine dell’artista sia solo quello di porre in evidenza questa complicazione originaria che si insinua nel rapporto realtà/rappresentazione, tale da rendere impossibile distinguere l’immagine dalla realtà. Letta con maggior attenzione la scena rappresentata da Boetti sembra alludere ad una dimensione più profonda e meno tematizzata. Per comprendere ciò che stiamo tentando di dire è necessario correggere leggermente la descrizione che dell’opera abbiamo appena fatto. Ora, quando noi osserviamo l’opera, in realtà, non ci troviamo mai di fronte il ‘vero’ Boetti, quello che noi chiamiamo l’originale in verità è già una rappresentazione, è già l’immagine di Boetti, ciò che l’artista pone in opera dunque è una reduplicazione della rappresentazione, “rappresentazione di rappresentazione”: “(...) la verità è che siamo già da sempre nella rappresentazione, e che l’incontro con l’origine, con la presenza nella metafisica, non è altro che una chimera un sogno irraggiungibile”. Ma se la realtà non è più quell’evidenza originaria, oggettiva, alla quale tutti incondizionatamente crediamo, se non c’è una realtà definita ‘a priori’ , che ne è allora della secondarietà della rappresentazione? ⇓
Ed è proprio il coinvolgimento dell'osservatore, l'idea di gioco
disvelato, di inganno cosciente che conduce la riflessione a
delineare il campo d'azione: quella particolare condizione in cui
la rappresentazione si fa scena. Ambito evidentemente troppo
largo, comprendente la scenografia teatrale, l'allestimento urbano, il
cinema, l'exhibit design, etc.
La scena teatrale è lo specifico campo intorno a cui il presente
scritto vuole porre l'attenzione.
Ambito che, ad oggi, stenta ad inglobare compiutamente nel
proprio bagaglio tecnico il dato informatico e quello delle nuove
tecnologie. Di fatto all'interno del processo produttivo delle arti
sceniche lo strumento digitale resta ancora limitato al rendering di
presentazione in fase progettuale e all'esibizione enfatica di sé nel
momento della messa in scena. Ancora la fascinazione per il
mezzo, come fu già per il disegno dell'architettura, ne impedisce un
uso naturale, strettamente utile (benché le potenzialità siano tali da
riaccendere un nuovo fertile momento per lo spazio illusorio).
Sono ancora rari, ad esempio, i casi in cui la video
proiezione superi lo stato di “schermo” per divenire
“spazio”. In ambito teatrale la sperimentazione in tal
senso sta avvenendo molto lentamente benché gli
strumenti hardware e software oggi disponibili
consentirebbero molto più coraggio e gioco.Una scena dal cinémathéâtre di Marc Hollogne, artista belga che porta l'immagine video sulla scena teatrale giocando con l'inganno ottico del trompeloeil
⇑ La rappresentazione – l’immagine in generale – secondo il percorso che abbiamo tentato di tracciare, non sta né dalla parte della realtà né da quella dell’immaterialità, il problema – il punto centrale della problematica – è che non è più possibile comprendere e ridurre la rappresentazione all’interno di queste categorie metafisiche: “Tutto si giocherebbe all’interno del paradosso del doppio supplementare: di ciò che sostituendosi al semplice e all’uno, li doppia e li imita, somigliante e differente al tempo stesso, differente perché – in quanto – somigliante, il medesimo e l’altro di ciò che doppia. Ora, che cosa decide e sostiene il platonismo, cioè più o meno immediatamente, tutta la storia della filosofia occidentale, compresi gli antiplatonismi che vi si sono regolarmente succeduti? E’ proprio l’ontologico: la possibilità presunta di un discorso su ciò che ‘è’, l’ente presente (forma matriciale della sostanza, della realtà, delle opposizioni della forma e della materia, dell’essenza e dell’esistenza, dell’oggettività e della soggettività) si distingue dall’apparenza, dall’immagine, dal fenomeno, ecc., cioè da ciò che, presentandolo come entepresente, lo raddoppia, lo ripresenta e da quel momento lo sostituisce e lo spresenta. Vi è l’uno e il due, il semplice e il doppio. Il doppio viene dopo il semplice, lo moltiplica in seguito. Ne segue, mi si perdoni di ricordarlo, l’immagine viene dopo la realtà, la rappresentazione dopo il presente in presentazione, l’imitazione dopo la cosa, l’imitante dopo l’imitato. Vi è dapprima ciò che è, la realtà, la cosa stessa. L’ordine è la discernibilità almeno numerica tra l’imitato e l’imitante (…)”.
Disegni milanesi, un cortometraggio in super8Raccontare la Milano dei primi anni del 900 attraverso gli occhi di due autori significativi per la città quali Carlo Emilio Gadda e Mario Sironi è stato lo spunto progettuale per un lavoro sperimentale sulla metodologia. Il soggetto deriva principalmente da “L'Adalgisa. Disegni milanesi” con qualche adattamento
tratto da altri racconti meneghini dello scrittore lombardo. I paesaggi urbani di Sironi sono stati manipolati, decontestualizzati, liberamente trasformati al fine di adattarsi alle esigenze tecniche e
narrative.L'utilizzo dell'editing digi
tale ha consentito di
mantenere fresca e rapida questa fase iniziale.Le scene sono state realizzate in forma di fondali scenografici e di plastici attraverso l'uso della modellazione tridimensionale. É stato, in tal modo, possibile semplificare i problemi costruttivi permettendo il controllo costante sia degli aspetti pratici realizzabilità, trasportabilità, montaggio, archiviazione– che di quelli prospettici dipendenti della distanza focale adottata, della profondità di campo presumibile, della posizione della cinepresa rispetto agli attori. Un'area verde ampia e spoglia è stata la location ottimale per rispondere alle esigenze spaziali che il gioco
prospettico imponeva.Il quadro è completamente riempito dal plastico di scena posto di fronte la cinepresa. Attraverso adeguate bucature i personaggi, ridotti dalla distanza coerentemente con lo spazio fittizio della scenografia, rientrano all’interno dell’inquadratura mentre lo spazio restante risulta integrato nell’immagine finale grazie all’omogeneità cromatica della pellicola in bianco e nero (super8 ad alta granulosità). L’ illuminazione naturale velata dalle nuvole ha consentito un’adeguata distribu
zione delle luci e delle ombre completando l’effetto finale.Riappropriarsi di tecniche e pratiche manuali, ricorrere addirittura a tecnologie desuete non vuole essere un rifiuto delle forme espressive contemporanee in una nostalgica operazione di amarcord. Si vuole, piuttosto, dare funzioni altre e inaspettate a strumenti, vecchi o nuovi, il cui utilizzo è stato via via circoscritto. Il computer trova la propria collocazione all'inizio del processo. La sua funzione comprende l'elaborazione, la produzione e il controllo del prodotto. La ripetibilità della stampa, la variabilità dell'elaborazione, la capacità totale di controllo
permettono di ridurre i costi e i tempi alleggerendo marcatamente il carico di lavoro.La potenza moltiplicatrice dell'elaborazione digitale si pone, in tal modo, al servizio dell'artigianalità propria di campi tradizionali come, nel caso in questione, quello scenografico.Il risultato dell'operazione, come ogni sperimentazione, non è del tutto prevedibile. In un'ottica di ricerca questo non può considerarsi un difetto.
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4. sulla proiezione centrale e l'illusione
La geometria descrittiva, in particolare la proiezione centrale, ha
accompagnato lo sviluppo del teatro da quando questo ha ripreso
una propria autonomia dal rito liturgico in epoca rinascimentale.
Sin dalla sua nascita la prospettiva ha avuto il fondamentale
compito di accompagnare all'illusione tramutando l'idea di
rappresentazione da racconto sublimato (medievale e classica) in
immedesimazione verosimile (rinascimentale e barocca).
Se è vero che lo sguardo contemporaneo è meno innocente e perciò
meno incline all'inganno resta tuttavia ben disposto a “far finta di
crederci” nel gioco codificato della scena.
La facile capacità di elaborazione dell'immagine e del video che
oggi permettono gli strumenti informatici apre nuove possibilità
all'illusorietà.
Alcune sperimentazioni in ambito urbano hanno già
verificato interessanti potenzialità espressive e
drammaturgiche dell'uso che si può fare della video
proiezione sfondando l'idea di schermo piatto in
un'aggiornata formulazione del quadraturismo.
E' d'altro canto evidente che il processo di videoproiezione altro
non è che una proiezione centrale in output e ad esso è dunque
riconducibile il gioco prospettico.
In ambito teatrale il linguaggio stenta ad arricchirsi di questi nuovi
termini sebbene sia proprio questo lo spazio per eccellenza
consacrato alla tromperie.
Le nozze di Figaro di Ezio Frigerio per la regia di Giorgio Strehler, scenografia
operistica realizzata in prospettiva solida
Videoproiezioni su edifici, ambienti, oggetti: la modellazione virtuale e la
predeterminazione esatta del POV della proiezione consentono oggi interessanti
giochi illusori. www.easyweb.fr
L'artista canadese Robert Lepage è tra i più interessanti autori teatrali che
mescola le tecnologie digitali a fini drammaturgici
Ma che cosa ha a che fare l’architettura con la scrittura, la scrittura con la materia, la materia con l’architettura? Dire che l’architettura è come la scrittura, non sottrae l’architettura al suo essere ‘gesto’ che modifica ed esiste nella realtà come presenza fisica che interviene nella materia come ‘trascrizione fisica di mondo’? In che senso la scrittura è anch’essa trascrizione fisica di mondo’ e non è semplicemente, come l’ha voluta il pensiero metafisico, accessoria, supplementare, strumentale e secondaria alla parola? In che senso la scrittura appartiene all’architettura e al contrario, in che senso l’architettura appartiene alla scrittura e quale la relazione che entrambe intrattengono con ciò che da sempre si è inteso con il termine rappresentazione?Derrida affronta questa problematica in un saggio intitolato Chora. Con il termine Chora Platone indica il luogo in cui ha luogo il passaggio dall’infinità dello spazio alla determinatezza del luogo: chora è ciò che passa ‘tra’ lo spazio e il luogo. Ma ciò che permette l’articolazione dello spazio nel luogo, osserva Derrida, sfugge alla logica binaria della metafisica. Il passaggio dallo spazio al luogo, avviene ad opera degli Indecidibili, potremmo aggiungere, della “traccia” e della “fessura”, dunque della scrittura e dell’architettura, della scrittura come architettura. Cerchiamo ora di comprendere come questa stessa problematica abbia a che fare con la rappresentazione. Il luogo che Platone assegna alla chora come forma originaria di scrittura e architettura è lo stesso luogo che noi abbiamo assegnato all’immagine e alla rappresentazione. La chora osserva Derrida, non è né sensibile né intellegibile, appartiene ad un “terzo” genere Platone non riesce a costringerla all’interno delle categorie metafisiche: “…e vi è poi un terzo genere sempre esistente; quello dello spazio, il quale è immune da distruzione, e dà sede a tutte le cose che hanno nascimento e si può cogliere senza i sensi con un ragionamento bastardo, ed è a mala pena oggetto di persuasione. Guardando ad esso noi sogniamo e diciamo che è necessario che ogni cosa che è, sia in qualche modo luogo ed occupi uno spazio, mentre ciò che non è in terra, né in qualche luogo in cielo, non è nulla”. Non è dunque un caso che questa problematica sia iscritta da Platone all’interno del sogno: “Tutte queste cose ed altre affini a queste anche intorno a quella natura che non dorme e che esiste veramente, per effetto di questo sogno, ridestandoci, non siamo capaci di distinguerle e di dirne il vero”. Il luogo che qui Platone assegna al sogno è lo stesso luogo che noi abbiamo assegnato alla rappresentazione. Platone dice che vi è un luogo in cui non si è in grado di distinguere il vero dal falso o meglio ciò che è vero, nel senso di reale, da ciò che è mera rappresentazione, Platone sembra qui far riferimento a quell’effetto di estraniamento che producono determinati sogni tanto forti e violenti da condurci per un attimo nel dubbio: sono sveglio oppure sto ancora dormendo, quale il sogno, quale la rassicurante realtà? La domanda sulla chora ci conduce dunque in una dimensione di nondominio, di dubbio ontologico potremmo dire, una sorta di confusione che allude ad uno spazio ormai dimenticato da Platone stesso, in cui non avrebbe senso porre la distinzione tra la realtà e la rappresentazione …
Videoproiezione solidaIn termini di ricerca sperimentale, ad esempio, non sembrano ancora sufficientemente indagate le possibilità della videoproiezione quale fonte di luce disegnata, anziché quale output di un immagine da leggere in unico sguardo. In altre parole la videoproiezione è di fatto un sistema di illuminazione esattamente disegnabile che porta con sé anche un informazione cromatica (a dire il vero sono 16,8 milioni in un sistema RGB a 8 bit). Se a questo abbiniamo l'idea di immagine in movimento e quella di controllo esatto e prefigurazione del dato spaziale attraverso la modellazione tridimensionale è possibile pensare alla videoproiezione come campitore volumetrico e dinamico (in
natura è la luce che dà il colore, qui è la luce che lo porta con sé). In quest'ottica lo spazio investito dovrà piegarsi alla luce. La prospettiva solida torna coerentemente con quanto detto sopra in un'idea di discretizzazione del reale finalizzata ad un fertile onirismo. La riduzione di superfici articolate in poche elementi planari è un primo passo. Altra questione è la direzione dello sguardo a cui piegarsi. Ovviamente quello dello spettatore è dato (frontalmente al boccascena). Quello della videoproiezione, invece, deve essere in una posizione tale da riempire i traguardi, le zone in ombra, non coprire con le ombre degli attori. Per queste condizioni si può ritenere la posizione zenitale quella più adatta (salvo ovviamente rinforzi e aggiustamenti). In tal caso sarà opportuno che lo spazio scenico sia in prospettiva solida a quadro inclinato in modo da ricevere con un adeguato angolo di incidenza i raggi proiettati.
Il modello 3d su cui è proiettata l'immagine della scena
L'immagine proiettata distorta in funzione del POV del video
proiettore
Il rendering del modello investito dalla videoproiezione
Per calibrare la videoproiezione è stata usata una superficie
specchiante inclinata
Un paesaggio lacustre (opera di B. Buffet) è stato il soggetto visivo scelto per
la verifica del sistema
Alcune immagini del modello realizzato.
(Altre immagini e video sono visibili all'indirizzo
www.mfarchitetti.it alla voce videotrompel'oeil scenery)
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
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gli autori
Marco Ferrara. Compie gli studi presso la Facoltà di Architettura dell'Università di Firenze maturando un vivo interesse verso la metodologia e i processi creativi legati alla progettazione architettonica. Da ciò deriva l'attenzione agli strumenti e alle tecniche del disegno e, in particolare, all'interazione tra manuale e digitale attenzione che si traduce in lavori sperimentali e nella didattica dei softwares per il disegno digitale.Nel 2005, si specializza in Informatica applicata alla scenografia presso l'Accademia d'arti e mestieri dello spettacolo del Teatro alla Scala di Milano.Dallo stesso anno collabora ai corsi di disegno del prof. Gabriele Pierluisi presso la Facoltà del Design del Politecnico di Milano con cui prosegue la ricerca al fine di rinnovare la didattica della disciplina contemplando l'uso della modellazione virtuale e dell'immagine digitale insieme alla pratica del disegno dal vero e alle tecniche pittoriche tradizionali.Parallelamente svolge l'attività professionale di architetto occupandosi prevalentemente di allestimenti scenici.
Cinzia Mazzone. Si laurea in Architettura presso il Politecnico di Milano con una tesi interdisciplinare sul concetto di rappresentazione in Architettura a cui collabora il prof. Carlo Sini, docente di filosofia teoretica all'Università statale di Milano.Nel 2001 si iscrive all'École des hautes études en sciences sociales (EHESS) di Parigi e segue un corso di studi con il prof. E. Michaud, docente di teoria e ideologia dell'arte ed inizia ad interessarsi alla relazione che si stabilisce tra l'architettura, la filosofia e l'arte.Contemporaneamente collabora col prof. Luigi Cocchiarella al corso integrato di rappresentazione I tenuto alla facoltà di architettura del Politecnico di Milano. Nel 200708 collabora con l'ark Silvia Dainese ai workshop estivi di progettazione presso l'Università IUAV di Venezia. Nel 2007, insieme a Valerio Ferrari, JeanPaul Robert e Brigitte Mestro fonda la rivista d'arte e architettura d'icilà. Nel 200910 collabora ai corsi di disegno del prof. Gabriele Pierluisi presso la Facoltà del Design del Politecnico di Milano.