RAFFAELE CARACCIOLO IACOPO VAGNUCCI

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Provincia di Perugia RAFFAELE CARACCIOLO IACOPO VAGNUCCI vescovo e committente d’arte nel secondo Quattrocento

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Provincia di Perugia

RAFFAELE CARACCIOLO

IACOPO VAGNUCCIvescovo e committente d’artenel secondo Quattrocento

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RAFFAELE CARACCIOLO

IACOPO VAGNUCCIvescovo e committente d’arte

nel secondo Quattrocento

Prefazione diFrancesco Federico Mancini

Provincia di Perugia

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ImpaginazioneUfficio Relazioni Esterne e EditoriaProvincia di Perugia

StampaTipografia Agraf - PerugiaDicembre 2008

ISBN 978-88-86255-17-2

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INDICE

7 Presentazione di Giulio Cozzari9 Presentazione di mons. Giuseppe Chiaretti

11 Prefazione di Francesco Federico Mancini15 Introduzione

Capitolo I21 La vita23 1. La carriera ecclesiastica (1416-1450)28 2. Al servizio della Curia romana (1450-1458)32 3. Il vescovato sotto Pio II e Paolo II (1458-1471)40 4. Il vescovato sotto Sisto IV (1471-1482)43 5. Il ritiro alla pieve di Corciano (1482-1487)50 6. Dionisio Vagnucci vescovo di Perugia (1482-1491)54 Note

Capitolo II71 La cappella di Sant’Onofrio nel duomo di Perugia73 1. L’addizione del transetto (1480 ca)79 2. La cappella Vagnucci (1481-1484)91 3. La Pala di Sant’Onofrio (1483-1484)98 4. L’iscrizione perduta

106 5. Il ritratto del vescovo e la devozione al santo eremita116 6. Le vetrate (1484 ca)144 Note

Capitolo III163 Perugia, cattedrale di San Lorenzo166 1. Il Monumento Baglioni (1451)173 2. Gli altari di Agostino di Duccio (1473-1475)178 3. Il messale della Biblioteca Capitolare (1474-1478)187 4. Il tabernacolo di Niccolò del Priore (1491-1492)195 Note

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Capitolo IV201 Il culto delle sacre reliquie204 1. Il Reliquiario Vagnucci di Cortona (1457-1458)221 2. La donazione del reliquiario alla città (1458)228 3. Il Reliquiario dei Serviti di Cortona (1483)232 4. Il Sant’Anello di Perugia (1473-1488)237 Note

Appendice A247 Documenti

Appendice B (di Daila Radeglia)279 I restauri della Pala di Sant’Onofrio

Appendice C297 La Pala di San Martino di Petrignano del Lago

Appendice D305 Il duomo di San Lorenzo nella seconda metà del ’500

311 Bibliografia

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PRESENTAZIONE

Questo libro dimostra che, proprio partendo dai momentimeno illuminati dalla storiografia, si può far riemergere untessuto di documentazione adeguato a ricomporre il quadrostorico desiderato.

Le conoscenze sulla cattedrale di Perugia, ad esempio, sonotante e di notevole spessore. Eppure, di decenni cruciali per lasua storia come quelli della seconda metà del Quattrocento,mancano interi filoni documentali, bisogna avere il coraggiodi rimettere insieme i pochi tasselli disponibili e di riunirlifino a farli scintillare con la forza intelligente generata preva-lentemente dall’amore per gli indizi.

In questi termini, infatti, ha lavorato Raffaele Caracciolo,concedendosi, se così si può dire, il lusso di orientare la suaricerca intorno alla figura di Iacopo Vagnucci, vescovo diPerugia fra il 1449 e il 1482. Il “lusso” e il “rischio”: il primoperché troppo importante è stato il personaggio, il secondoperché la catena storiografica legata al capo del suo nome si èspezzata e persa nei secoli nonostante la fama e i meriti delprotorinascimentale pastore perugino.

L’esito di una ricerca avviata fra molti limiti e tante incer-tezze è, comunque, esaltante e sorprendente. Volentieri, per-ciò, il nostro ente fa uscire come propria edizione un volumeche risente di molteplici ispirazioni e si avvale, ben riunite nel-la persona del suo autore, di competenze scientifiche diverse.

Centrale, nel libro stampato così come per la ricerca che l’hasostenuto, è la personalità del vescovo Vagnucci. Più o menointorno alla metà dell’opera si troverà quel potente atto d’affet-to dell’autore per il protagonista del suo libro che è la confer-ma dell’identificazione della figura del Vagnucci nella signorel-liana Pala di Sant’Onofrio.

È, dunque, in questa parte del libro che si capisce, comemeglio non si potrebbe altrove, che dal ricominciare a dareun’identità fisica ai lineamenti del personaggio si compie ungrande passo per sostenere il ritrovamento di tutti gli altri tassel-li della sua personalità morale e della sua caratura spirituale.

Giulio CozzariPresidente Provincia di Perugia

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PRESENTAZIONE

Sono lieto e onorato di presentare al pubblico questo studiomagistrale del dottor Raffaele Caracciolo riguardante un fram-mento di storia ecclesiastica (che è anche storia artistica, cul-turale, sociale, religiosa…) della diocesi di Perugia, una storiache travalica i confini d’una singola opera per aprire scenari econnessioni di più ampio respiro. La scoperta documentata dicommittenze, protagonisti, opere e dei loro intrecci e influen-ze è sempre largamente meritoria, soprattutto quando tali sco-perte interessano artisti come Luca Signorelli e capolavoricome la Pala di Sant’Onofrio nella cappella omonima del duo-mo di Perugia.

È un culto, un’opera, una cappella d’età umanistica legataai nomi dei due colti vescovi cortonesi Vagnucci, Iacopo e suonipote Dionisio, che coprirono la seconda metà del XV seco-lo; un tempo che fu contrassegnato da molti eventi artistici edanche devozionali, ben ricordati nella storia cittadina: dallafondazione a Perugia del primo Monte di Pietà per contrasta-re l’usura (1462) e dei coevi singolari Monti Frumentari, sinoall’incredibile sacro furto a Chiusi, ad opera di frate Vinterio,d’un antico e venerato cimelio, l’anello nuziale di Maria, ripo-sto dapprima nella cappella priorale e poi in sito irraggiungi-bile della cattedrale.

La fatica di addentrarsi tra le carte, e soprattutto, quando lecarte non ci sono più, tra gli indizi, i confronti, le ipotesi è bennota a chi svolge questo tipo di ricerche, che hanno la stessaforza emotiva di scoperte più reclamizzate.

Sento il dovere di ringraziare l’Autore e coloro che lo han-no guidato e aiutato in questa sua ricerca, che ha consentito difar luce su una pagina importante della storia della cattedralee della pietà del popolo perugino. Altre pagine verranno a bre-ve illustrate dagli scavi che si stanno facendo al disotto dellacattedrale e che documenteranno ulteriormente la vita religio-sa della Chiesa perugina.

+ Giuseppe ChiarettiArcivescovo di Perugia-Città della Pieve

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PREFAZIONE

Gli studi sull’Umanesimo perugino si arricchiscono, grazie aquesto volume, di un contributo fondamentale. Il lavoro diRaffaele Caracciolo, condotto con impegno, serietà e rigorefilologico, colma un vuoto storiografico, fa progredire lenostre conoscenze, stimola ulteriori approfondimenti nonsolo in chi si occupa di storia ecclesiastica, ma anche in chipratica e coltiva la storia dell’arte, la storia delle istituzioni,la storia della cultura.

L’approccio seguito dall’autore nel restituire una concretafisionomia al cortonese Iacopo Vagnucci, dotto e intrapren-dente prelato, che guidò la diocesi di Perugia dal 1449 al1482, è esemplare per più di un motivo: innanzitutto perchési fonda su un’attenta rivisitazione dei pochi studi esistenti,il più delle volte originati da spunti occasionali; in secondoluogo perché è supportato da una solida indagine archivisti-ca; da ultimo perché si configura come uno studio a tuttocampo, che cala il protagonista nella realtà storica del suotempo. Se fine prioritario del volume è, come spiega l’auto-re, indagare sul mecenatismo artistico del Vagnucci, l’analisistorica del contesto ne rappresenta la necessaria premessa.

Le aspirazioni culturali del vescovo cortonese vengonovalutate in rapporto al suo denso, movimentato percorsobiografico, alla sua forte e volitiva personalità, alla suadimensione di uomo di potere, saldamente ancorato al carrodella politica.

Nato intorno al 1416, il Vagnucci entra, giovanissimo, acontatto con figure di primo piano. Conosce a FirenzeGabriele Condulmer, papa dal 1431 con il nome di EugenioIV; entra in consuetudine con Niccolò Albergati, vescovo diBologna e cardinale di Santa Croce in Gerusalemme; fre-quenta Tommaso Parentucelli, anche lui papa dal 1447, conil nome di Niccolò V. Grazie ai buoni uffici dello zio, prioredella Certosa di Firenze, legatissimo all’Albergati e alParentucelli, Iacopo scala rapidamente i vertici della gerar-chia ecclesiastica.

Addottoratosi in utroque a Bologna, diviene prima segre-tario del Parentucelli, quando costui, morto l’Albergati, assu-me il vescovato di Bologna; quindi cubicolario e chierico di

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camera, quando lo stesso Parentucelli ascende al soglio diPietro. Ha inizio da questo momento la fulminante carrieradel Vagnucci che nel 1448 diviene vescovo di Rimini e, nel1449, vescovo di Perugia: una carica, questa, che riuscirà aonorare solo dieci anni più tardi, dopo aver rivestito, sempreper volontà papale, prima la carica di governatore a latere diBologna, quindi l’ufficio di tesoriere e vicecamerlengo pon-tificio. I suoi meriti politico-diplomatici gli frutteranno l’ele-vazione al rango nobiliare. Nel 1450, ricevuto dal papa ilfeudo di Petrignano del Lago, otterrà dall’imperatore l’auto-rizzazione a fregiarsi dello stemma gentilizio, un orso convello dorato, incoronato e recante nella zampa destra trerose. La morte di papa Parentucelli (1455) e l’ascesa al sogliopontificio di Callisto III Borgia non interrompe la fortuna diIacopo, che diviene referendario papale.

Le cose cambiano con Enea Silvio Piccolomini, subentra-to a papa Borgia nel 1458. “Unico fra tutti i pontefici sottoi quali si snoda la carriera ecclesiastica del Vagnucci - scriveCaracciolo - pare che il Piccolomini non si sia avvalso delledoti diplomatiche maturate dal cortonese in seno alla curiaromana, benché abbia mantenuto con lui un rapporto assaicordiale sul piano della stima personale”. È a questo puntoche il Vagnucci, sollevato da incarichi di curia, trova il tem-po per dedicarsi alla diocesi perugina.

Se ragioni di ordine politico lo costringono nel 1459 aprendere l’impopolare e antidemocratico provvedimento disopprimere le libertà universitarie di Perugia, la sua immagi-ne si riscatta decisamente quando, per arginare l’odioso edilagante fenomeno dell’usura, promuove, nel 1462, l’istitu-zione del Monte dei Poveri. Nel 1464, morto Pio II, torna aoccuparsi di “questioni romane”. Paolo II, che non tarda adaccorgersi delle sue doti politico-diplomatiche, lo fa primagovernatore di Fano e della Romagna, quindi di Spoleto,Narni ed Amelia.

Con Sisto IV Della Rovere Iacopo riconquista l’ambitacarica di vicecamerlengo; carica che esercita nel luglio del1478, quando il pontefice è costretto ad allontanarsi da Roma.La parabola più alta del suo prestigioso curriculum è rappre-sentata dalla nomina, nel 1482, ad arcivescovo di Nicea.

La conseguente rinuncia alla diocesi di Perugia apre lastrada al nipote Dionisio, che gli subentra il 29 maggio di

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quell’anno. Ritiratosi a vita privata, il Vagnucci passa lunghiperiodi nella residenza fortificata di Pieve del Vescovo, neipressi di Corciano. Qui dopo aver impiantato “un’aziendaagricola in grado di fornirgli una fonte ulteriore di guada-gno” e aver trasformato l’antico maniero in una “dimorasignorile lontana dal caos e dai torbidi cittadini”, conduceun’agiata vita neo-feudale. E qui, fra gli otia di campagna ela caccia, sua grande passione, si spegne il 28 gennaio 1487,all’età di 71 anni. Infaticabile promotore delle arti, ilVagnucci è protagonista, negli anni del suo lungo episcopa-to, del rinnovamento della cattedrale di Perugia. È per suavolontà che vengono realizzati il cenotafio pensile del vesco-vo Giovanni Andrea Baglioni, la statua bronzea del pontefi-ce Paolo II, gli altari marmorei di San Bernardino e dellaPietà, il monumentale coro ligneo; e che, soprattutto, vienedipinta la famosa pala di Sant’Onofrio, indiscusso capolavo-ro della pittura rinascimentale italiana, opera che mostral’autore, il cortonese Luca Signorelli, alla ricerca di un eroi-co gigantismo, di una forma solida e compatta, di stupefa-centi effetti-verità.

Non è un caso che lo studio di Caracciolo dedichi quasiquaranta pagine all’esame di questo dipinto, analizzato inogni minino dettaglio. Riflessioni sulla datazione dell’opera,che un’iscrizione, oggi scomparsa, dice eseguita nel 1484,sulla fortuna critica della stessa, sulla cappella che originaria-mente l’accoglieva, sull’iconografia e sullo stile dei santi, sul-la storia dei restauri, sulla figura di sant’Ercolano, da moltiinterpretata come ritratto dell’ormai vecchio committente,conferiscono grande pregio a questa parte del libro; dove nonmanca un capitolo dedicato alla vetrata che in antico si tro-vava al di sopra della tavola.

Lavorando su più fronti (documenti, disegni antichi,frammenti superstiti, oggi visibili nel Museo del SacroConvento di Assisi), l’autore propone una “ricostruzione vir-tuale” della vetrata, dimostrando che esiste un nesso logico,una concatenazione tematico-concettuale tra i santi realizza-ti da Nerio di Monte, forse su disegno di BartolomeoCaporali, e quelli dipinti dal Signorelli.

Il volume si chiude con una riflessione su un aspettocaratteristico della personalità del Vagnucci: il culto per lereliquie; culto che se da un lato si spiega “con il desiderio di

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accumulare meriti per l’aldilà, attraverso la commissione diopere essenzialmente destinate alla devozione popolare”, dal-l’altro può essere letto come un consapevole tentativo diarginare “la ventata di laicismo portata dall’Umanesimo”.

Molto altro si potrebbe aggiungere per dar conto dell’am-piezza e della profondità dello studio di Caracciolo. Ci fer-miamo tuttavia qui, lasciando al lettore il piacere di entrarenel libro e di scoprire, passo dopo passo, la fisionomia di unpersonaggio che non è esagerato collocare tra i grandi prota-gonisti dell’Umanesimo italiano.

Francesco Federico ManciniDirettore del Dipartimento

di Scienze Umane e della FormazioneUniversità degli Studi di Perugia

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INTRODUZIONE

L’obiettivo che il presente lavoro si prefigge è quello di colma-re una vistosa lacuna nel panorama degli studi storici e stori-co-artistici relativi alla diocesi perugina, gettando luce sullavita e sul mecenatismo di un personaggio fino ad oggi strana-mente trascurato, ma del quale diversi studiosi hanno “intui-to” il coinvolgimento, quasi sempre diretto, in alcune delle piùimportanti iniziative sociali, religiose, culturali ed artistichedell’Umanesimo soprattutto perugino.

Iacopo Vagnucci (Cortona, 1416-Corciano, 1487) fuvescovo di Perugia dal 1449 al 1482, anno in cui affidò la“successione” nella cattedra vescovile al nipote Dionisio, chemorì a Perugia nel 1491: come si può constatare, l’episcopatodei Vagnucci copre quasi tutta la seconda metà delQuattrocento, periodo denso di rivolgimenti politico-istitu-zionali (le lotte civili, la “dialettica” comune-Papato, la riformadelle istituzioni universitarie), caratterizzato da avvenimentiimportanti sul piano sociale e religioso (la fondazione delMonte dei Poveri, l’arrivo e l’incameramento del Santo Anello)e ricco di imprese artistiche che proiettano Perugia tra i mas-simi centri del Rinascimento italiano (la ricostruzione e deco-razione del duomo, l’oratorio di San Bernardino, ecc.).

Ciononostante, gli scritti di prosopografia vescovile perugi-na giungono sino alla metà del ’400, per poi riprendere con ilnuovo secolo, saltando proprio il lungo periodo degli episcopa-ti “forestieri” (compreso tra i vescovati di due Baglioni,Giovanni Andrea, morto nel 1449, e Troilo, eletto nel 1501),tra i quali è assolutamente rilevante, per durata e incidenza neltessuto cittadino, quello dei due Vagnucci. D’altra parte, la cat-tedrale di Perugia, il monumento che ha maggiormente benefi-ciato delle loro attenzioni, attende ancora, dopo il convegno del1988, di vedere svelati e risolti tutti i misteri e i problemi cheessa cela nelle maglie della sua complessa e travagliata storia.

Il compito si è presentato subito arduo, poiché lo studio diun vescovo perugino anteriore alla metà del Cinquecento sof-fre di un grave deficit documentario: nel 1534, infatti, undevastante incendio appiccato da un gruppo di fuoriuscitiribelli al palazzo del governatore (il “palazzo abrugiato”), conl’intento di bruciare le carte della “cancelleria criminale”, por-

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tò alla distruzione anche del contiguo palazzo vescovile; neconsegue che i documenti conservati nell’attuale ArchivioDiocesano sono posteriori a quella data, con qualche eccezio-ne relativa al XV secolo, ma di scarsa rilevanza1.

A Cortona, patria dei Vagnucci, è stato possibile colmareparzialmente questa lacuna, attraverso le notizie reperite tra lecarte della locale Accademia Etrusca, al cui storico biblioteca-rio, Girolamo Mancini (1832-1924), si deve l’unica breve trat-tazione sul nostro personaggio (appena tre pagine scritte nel1897): oltre alle pergamene del Fondo Vagnucci, molto impor-tante si è rivelata una miscellanea della metà del Settecento,contenente una Vita di Iacopo iniziata nel 1469 dal fratelloPietro (padre di Dionisio) e terminata nel 1594, probabilmen-te dall’erudito Francesco Vagnucci.

Oltre alle cronache annalistiche e ai repertori generali, sisono rivelate di qualche utilità anche le numerose cronotassimanoscritte relative ai vescovi perugini, compilazioni sei-sette-centesche che, essenzialmente, si basano su uno spoglio metico-loso della Historia del Pellini e della Perugia Augusta delCrispolti, ma che, talvolta, offrono notizie e spunti assoluta-mente inediti2: tra queste spiccano il ben noto “Belforti-Mariotti” e, per quanto concerne il solo Vagnucci, le Vite fioren-tine di Salvino Salvini, opera sconosciuta agli studiosi locali.

Ricomponendo le tessere di un mosaico, è stato possibiledelineare il profilo di una personalità estremamente comples-sa ed interessante: un vescovo che, vuoi per la sua provenien-za esterna, vuoi perché erede della medesima dirittura moraledel suo predecessore (Giovanni Andrea Baglioni), si dedicaattivamente al proprio ufficio pastorale, interessandosi dellarealtà politica circostante solo nel momento in cui è chiamatoa comporre i dissidi cittadini; un ecclesiastico la cui principa-le virtù è la diplomazia, ampiamente sfruttata in situazioni dif-ficili da ben quattro pontefici e particolarmente adatta a cittàtempestose quali Perugia, Bologna o Norcia; un dignitarioche, specie nel primo periodo, stabilisce la propria residenza aRoma, dove lo costringono gravosi incarichi papali, ma chenon dimentica la sua città natale, Cortona, e la sua patriad’elezione, Perugia; un dotto esperto in utroque iure (dirittocivile e canonico), intollerante verso la “vivacità” studentesca,ma che, “amante degli esercizi del corpo”, non disdegna il suosport preferito, la caccia; un insigne prelato della Curia roma-na, intimo dei più grandi potenti del secolo (come Niccolò V,

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Sisto IV o l’imperatore Federico III), eppure molto vicino alladevozione e alla religiosità popolari, impegnato in prima per-sona nel sostegno ai bisognosi e nella lotta all’usura; un uomodi grande religiosità e profonda devozione che, coerentementecon la mentalità del tempo, si avvale della propria posizioneper favorire il nipote prediletto ed accrescere il prestigio dellafamiglia; un vescovo che, alla vigilia del cardinalato, termina lapropria esistenza come un qualsiasi prete di campagna.

Ma soprattutto un vescovo del primo Rinascimento, amicodei più illustri mecenati e letterati dell’epoca, interessato allacultura, amante dei libri manoscritti e miniati, appassionatoalle arti: in lui si riflette un aspetto caratteristico del mecena-tismo del Quattrocento, il desiderio di accumulare meriti perl’aldilà, attraverso la commissione di opere essenzialmentedestinate alla pietà devozionale. In questo contesto, si collocaun impegno del tutto particolare nel sostenere la venerazionedelle sacre reliquie, proprio nel momento in cui la ventata dilaicismo portata dall’Umanesimo aveva messo profondamentein crisi un culto assai radicato nel corso del Medioevo: un trat-to dominante della personalità del cortonese che permette dicogliere affascinanti connessioni tra l’intricata vicenda perugi-na del Santo Anello (1473) e la commissione, da parte del pre-sule, di alcuni reliquiari cortonesi.

Il fine prioritario del presente volume, di cui l’indagine pret-tamente storica costituisce, per così dire, la premessa, è dunquequello di ricondurre al denominatore comune rappresentatodal mecenatismo del Vagnucci numerose e diversificate impre-se artistiche (che spaziano dall’architettura alla scultura, dallapittura alla miniatura, dall’oreficeria all’arte vetraria), moltedelle quali necessitavano ancora di studi approfonditi, chiari-menti e precisazioni. Delle cure e attenzioni del Vagnucci bene-ficiarono, in primo luogo, tre illustri monumenti: la cattedraledi Perugia, come già detto, il castello di Pieve del Vescovo pres-so Corciano e il futuro duomo di Cortona.

Nella cattedrale di Perugia, alla cui ricostruzione e decorazio-ne diede un contributo essenziale, imprimendovi un indirizzo dimarca esplicitamente toscano-fiorentina, il Vagnucci chiamò loscultore Agostino di Duccio e fece edificare la cappella di fami-glia dedicata a sant’Onofrio (proprio nume tutelare), commis-sionando al conterraneo Luca Signorelli il suo primo capolavo-ro, la splendida Pala d’altare di Sant’Onofrio (1484), e al perugi-no Bartolomeo Caporali i cartoni per la vetrata sovrastante: pala

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e vetrata, ridotte a “frammenti” dispersi in vari musei e deposi-ti, sono state ricostruite nella loro strettissima unità iconografi-ca, a formare uno dei progetti decorativi più vasti, organici ecoerenti di tutto il Rinascimento non solo perugino.

A Corciano fece opportunamente ampliare e restaurare ilcastello di Pieve del Vescovo, dove trascorse in ritiro gli ulti-mi cinque anni della propria vita. A Cortona fece realizzare,per la cappella di famiglia nella pieve di Santa Maria (attualeduomo), lo splendido Reliquiario Vagnucci (1457-1458), ilcui piano iconografico ruota tutto intorno alla figura delcommittente, alle sue devozioni, al suo debito verso l’amatis-simo Niccolò V, il pontefice che, presa sotto la propria prote-zione il Vagnucci, lo avviò ad una straordinaria carriera eccle-siastica durata quasi 50 anni.

Un sentito ringraziamento al prof. Francesco FedericoMancini, per la fiducia e la stima che ha manifestato nell’affi-darmi questo impegnativo argomento di tesi, per avermi inco-raggiato nelle inevitabili difficoltà e, soprattutto, per aversostenuto i risultati del mio lavoro, trasmettendomi metodo epassione per una storia dell’arte seria e sorretta da adeguataricerca documentaria.

La mia sincera gratitudine anche a mons. GiuseppeChiaretti, arcivescovo di Perugia e Città della Pieve, al dott.Amilcare Conti, segretario episcopale, e a Pasquale Caracciolo,mio padre, i quali hanno voluto fortemente la stampa di que-sto volume.

Un ringraziamento particolare alla Provincia di Perugia, nel-la persona del Presidente Giulio Cozzari che ha reso possibile lapubblicazione; alla dott.ssa Marinella Ambrogi, al graficoSimone Caligiana e al fotografo Enrico Mezzasoma dell’UfficioRelazioni Esterne e Editoria per aver voluto accogliere e valoriz-zare questo lavoro, per la professionalità con cui hanno saputotradurlo in un volume a stampa e, specialmente, per la cortesiae la disponibilità sempre mostrate verso il suo autore.

Un grazie alla dott.ssa Loredana Mondellini, mia madre,che ha pazientemente condiviso la revisione del testo, offren-domi consigli per la sua fruizione anche da parte di un pub-blico non specialistico, e alla dott.ssa Annamaria LucreziaRussi, compagna di vita e “collega” negli studi storico-artisti-ci, che mi ha accompagnato e sostenuto nel lungo lavoro dipreparazione, condividendo dubbi, insuccessi e scoperte.

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Si ringraziano poi tutti coloro che, a vario titolo e in diver-sa misura, hanno contribuito, con indicazioni ed osservazioni,alla realizzazione del presente studio: il personale dellaBiblioteca Augusta di Perugia; Maria Grazia Bistoni Colangeli(Archivio di Stato di Perugia); Leopoldo Boscherini (studioso,Petrignano del Lago); Maria Luisa Cianini Pierotti (Universitàdi Perugia); Jane Donnini (Soprintendenza BAPPSAE diArezzo); Isabella Farinelli (Archivio Diocesano di Perugia);Bruno Gialluca (Archivio Storico del Comune di Cortona);Elvio Lunghi (Università per Stranieri di Perugia); padrePasquale Magro (Sacro Convento di Assisi); Bruno Masci(restauratore, Passignano sul Trasimeno); Paola Passalacqua(Soprintendenza BAPPSAE di Perugia); Daila Radeglia(Istituto Centrale per il Restauro di Roma); GiovanniRiganelli (studioso, Magione); Patrizia Rocchini (MuseoDiocesano di Cortona); Alberto Maria Sartore (Archivio diStato di Perugia); Laura Teza (Università di Perugia);Fernando Tibidò (cattedrale di Perugia).

1 Si tratta per lo più di vertenze di natura civile ed ecclesiastica, le cui sen-tenze venivano date dal vescovo (o più frequentemente dal suo vicario gene-rale) nell’udienza della cancelleria vescovile. L’unico documento di un certointeresse è un manoscritto cartaceo che, in tre fascicoli, contiene alcuni attirelativi ad una causa tra il vescovato e il comune di Corciano, riguardante losfruttamento dei boschi di monte Malbe (cf. par. I, 5).

2 Per una rassegna delle cronotassi vescovili, per lo più conservate nellaBiblioteca Augusta di Perugia, cf. CIANINI PIEROTTI 1995, pp. 36-37 e 51-52,note 4-9.

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Capitolo I

La vita

1. La carriera ecclesiastica (1416-1450)2. Al servizio della Curia romana (1450-1458)

3. Il vescovato sotto Pio II e Paolo II (1458-1471)4. Il vescovato sotto Sisto IV (1471-1482)

5. Il ritiro alla pieve di Corciano (1482-1487)6. Dionisio Vagnucci vescovo di Perugia (1482-1491)

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1. La carriera ecclesiastica (1416-1450)

Da Cortona a FirenzeIacopo, secondogenito di Francesco di Giovanni Vagnucci,

facoltoso mercante di lana, nacque a Cortona intorno al 1416(figg. 1-3): è possibile risalire a questa data grazie ad unadenuncia catastale del 1428, nella quale Francesco dichiarache il figlio Iacopo ha l’età di 12 anni1. Il giovane trascorsediversi anni di studio a Perugia, ospite in casa di un certoGiovanni di Petruccio dei Veli, amico di famiglia; quindi, tra-sferitosi a Città di Castello, passò nove mesi nel monastero deifrati Gesuati, vivendo in assoluta solitudine2.

Sotto il pontificato di Eugenio IV (1431-1447), il venezia-no Gabriele Condulmer, probabilmente intorno alla metàdegli anni trenta, Iacopo si portò a Firenze, dove il papa,costretto a lasciare Roma in seguito ai disordini verificatisi nel-lo Stato della Chiesa, aveva spostato la sua residenza sin dalgiugno del 14343. Nella “città dell’Arno” si trovava lo zio diIacopo, fra Niccolò Vagnucci, priore della Certosa fiorentina4.Questo personaggio fu determinante ai fini della carrieraecclesiastica del giovane nipote, favorendone l’inserimentonell’ambiente della Curia papale, dove Iacopo avrebbe prestoguadagnato credito ed onori5. Infatti lo zio era intimo del con-fratello Niccolò Albergati, vescovo di Bologna e cardinale diSanta Croce in Gerusalemme6, e di Tommaso Parentucelli da

Fig. 1T. Braccioli, genealogiadella famigliaVagnucci, 1565.

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Sarzana, l’umanista in segui-to divenuto papa con il nomedi Niccolò V, che amministròininterrottamente la casadell’Albergati fino alla mortedel proprio benefattore7.Dopo il trasferimento dellacorte, i tre religiosi si eranoritrovati a Firenze, guidandopoi insieme la legazione pon-tificia che, nel 1434-1435, fuimpegnata in Francia e inInghilterra, nel vano tentati-vo di porre fine alla guerradei Cent’anni. Il legameaffettivo che coinvolgevaquesti personaggi è testimo-niato in modo emblematicodal fatto che tanto l’Albergatiquanto il Parentucelli chia-marono l’amico Certosino alletto di morte, rispettiva-mente nel 1443 e nel 14558.

Approdato dunque aFirenze e distintosi subito perla sua dottrina, grazie allamediazione dello zio, Iacopoentrò nella casa del cardinale

Albergati, stringendo col Parentucelli un legame che si sareb-be rivelato denso di conseguenze. Sicuramente fu per tramiteloro che, a un certo punto, lo troviamo a completare gli studinella rinomata Università di Bologna: infatti il vescovato dellacittà era retto sempre dall’Albergati (di cui il Vagnucci diven-ne l’auditore), mentre il futuro papa vi aveva svolto a più ripre-se tutta la propria formazione culturale9.

Il chiericato presso la Curia papaleAddottoratosi in utroque iure, cioè in diritto sia civile che

canonico, e dopo un periodo trascorso a Cortona, Iacopofece ritorno alla corte pontificia, probabilmente a Firenzeprima del 1443, quando, grazie alle sue referenze, ebbe un

Fig. 2Cortona, palazzoCoppi-Vagnucci.

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canonicato presso il duomodi Santa Maria del Fiore10.Nel marzo di quell’anno,però, potendo Eugenio IVrientrare a Roma dopo noveanni di “esilio”, è possibileche anche il Vagnucci abbiaseguito il trasferimento dellafamiglia papale, durante ilquale mandarono a chiamaresuo zio Niccolò, la cui pre-senza era richiesta dalmorente Albergati.

A Roma (dove la cortegiunse in settembre) giova-rono al Vagnucci anche irapporti di familiarità stretticon la famiglia del ponteficee, in modo particolare, colnipote di questi, il cardinalecamerlengo e vicecancelliereFrancesco Condulmer che,da quel momento, prese sot-to la sua protezione ilParentucelli11. Nel 1444,poi, quest’ultimo venne pro-mosso al vescovato diBologna, “ereditando” lacarica del defunto Albergati12 e, come lui, avvalendosi diIacopo in qualità di segretario (precisamente maestro delregistro ed auditore), anche se Tommaso non risiedette qua-si mai nella città emiliana. Infine, a partire dal marzo del1447, essendo il medesimo Parentucelli, da pochi mesinominato cardinale, asceso improvvisamente al soglio ponti-ficio col nome di Niccolò V (1447-1455), il Vagnucci con-tinuò a servirlo nella “città dei papi”, questa volta comecubiculario e chierico di Camera13.

La nomina a vescovo di RiminiLa fulminante carriera ecclesiastica del Vagnucci ottenne il

suo primo coronamento nel 1448, allorché Iacopo, benché

Fig. 3Cortona,hotel Sabrina(già palazzo Vagnucci).

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insignito dei soli ordini minori e grazie alle solite spinte dellozio14, venne nominato da Niccolò V vescovo di Rimini inluogo del defunto Bartolomeo Malatesta: la bolla risulta invia-ta da Roma in data 14 giugno15. L’esperienza riminese delVagnucci fu piuttosto breve, durando praticamente meno diun anno: infatti, dall’aprile del 1449 alla partenza per Bolognadi cui si dirà (novembre successivo), Iacopo si trovava sicura-mente a Roma, dove ricoprì l’incarico di luogotenente dellaCamera Apostolica, supplendo all’assenza del tesoriere desi-gnato, il vescovo di Traù Angelo Cavaccia16.

Ciononostante, è assai probabile che, durante la permanen-za nella città romagnola, Iacopo sia venuto in contatto conAgostino di Duccio, impegnato dal 1448 circa nella decorazio-ne plastica delle cappelle del Tempio Malatestiano: un incontroche, come vedremo, sarà ricco di conseguenze per la futuravicenda professionale dello scultore fiorentino (cf. par. III, 2).

La nomina a vescovo di PerugiaSecondo il Graziani, Iacopo fu a Perugia il 19 febbraio 1449,

allorché vi giunse per “provedere le stanzie per papa e per li car-dinali e per tutta la corte”, in vista dell’imminente soggiorno diNiccolò V nella cittadina umbra: infatti il pontefice, ritenendoopportuno abbandonare Roma nella calda stagione, a causa del-le pestilenze che puntualmente opprimevano la città, aveva deci-so di trasferirsi per un breve periodo a Perugia. Ricevuto nelpalazzo del governatore con quegli onori che si convenivano allastima di cui già godeva, Iacopo venne presentato alla comunitàdai magistrati del comune e da altri illustri cittadini; quindi siprovvide alla nomina di due incaricati per ciascuno dei cinquerioni della città, affinché concordassero col Vagnucci tutto l’oc-corrente (gli alloggi per la corte, le stalle per i cavalli, le vettova-glie); infine, si decise di inviare due ambasciatori al papa, perrivolgergli ufficialmente l’invito della comunità17.

Niccolò V lasciò Roma nel mese di aprile, dando inizio aduna vera e propria peregrinazione della corte pontificia,costretta più volte a spostarsi a causa della diffusione delle epi-demie (“et continuo la peste lo’ va derieto”, recita il Graziani):in luglio il papa, raggiunto a Spoleto dalla notizia che il mor-bo aveva ripreso a mietere vittime anche a Perugia, si trasferìdefinitivamente a Fabriano, dopo una brevissima sosta aFoligno18. Nel frattempo il vescovo di Perugia, Giovanni

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Andrea Baglioni, si ammalò gravemente (probabilmente nondi peste), profilandosi subito una accesa lotta tra le varie con-sorterie cittadine, al fine di accaparrarsi un titolo che rappre-sentava un nodo strategico nel controllo del potere. TuttaviaIacopo, tempestivamente informato della malattia delBaglioni, bruciò sul tempo i pretendenti perugini alla caricavescovile e, raggiunto il pontefice a Fabriano, ne ottenne l’in-vestitura: era il 27 ottobre 1449; il Baglioni era morto solo tregiorni prima, il 24, di ritorno da Passignano19.

La rapidità dell’avvenimento, preceduto dal soggiornoperugino del Vagnucci, sembra indicare il coronamento di unproposito che il cortonese forse coltivava già da tempo: dopo-tutto, non fu difficile per lui ottenere la nomina del pontefice,presso il quale godeva di una posizione privilegiata. I motividella preferenza per la sede vescovile di Perugia, a parte il suomaggiore prestigio, possono essere facilmente immaginati: lacittà si trova tra Cortona, patria del presule, e Roma, città nel-la quale il Vagnucci risiedeva abitualmente e dove numerosiincarichi per conto della Curia papale lo avrebbero spesso trat-tenuto. Comunque, l’investitura del cortonese non può essereinquadrata in un’ottica semplicemente “nepotistica”, ma rispo-se anche ad una precisa esigenza di equilibrio politico: la scel-ta, dopo quasi mezzo secolo, di un illustre “forestiero”20, inquanto tale indifferente alle lotte tra le varie fazioni cittadine,risultò funzionale alla necessità di svincolare il seggio vescovi-le dai contenziosi locali e di rafforzare sulla città il dominioassai traballante della Curia romana.

Tale nomina va considerata anche in una sorta di idealecontinuità col precedente episcopato: il Baglioni, infatti, perquanto appartenente alla famiglia dei “signori occulti” diPerugia (precisamente al ramo secondario dei Fortera), si con-traddistinse per le sue altissime virtù morali e per l’impegnoesclusivo di riformatore religioso, rimanendo completamenteestraneo alle vicende politiche contemporanee21. Le fonti nonmancano di rilevare le stesse qualità anche nel Vagnucci, chepoté anzi tradurre la sua provenienza esterna in una sorta diarbitrato super partes: di qui l’impegno fattivo del cortonese(e del nipote Dionisio Vagnucci, successore di Iacopo allacattedra vescovile) nel comporre i dissidi locali22.

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2. Al servizio della Curia romana (1450-1458)

Governatore a BolognaSe l’investitura del Vagnucci fu repentina, non si può dire

altrettanto del suo ingresso nella diocesi di Perugia, rimasta difatto vacante per sei anni e mezzo, fino al marzo del 1456.Infatti nel settembre del 1449 scoppiarono sanguinosi disordinia Bologna, città tra le più turbolente e instabili dello StatoPontificio23: il papa, avendo scelto di temporeggiare, per potertrovare una soluzione definitiva all’annoso problema, decise dimandarvi a gestire l’emergenza il fidato Vagnucci, dapprima inqualità di semplice ambasciatore, quindi di governatore a latere.

Senza dubbio, Iacopo risultava il funzionario più adatto aldelicato incarico, avendo una conoscenza adeguata della diffi-cile realtà emiliana, maturata nel corso degli studi universitarie al tempo del vescovato felsineo del Parentucelli. Egli giunsea Bologna il 16 novembre 1449: riportata la calma, rientrò aRoma già alla fine del gennaio successivo, consegnando il“testimone” nelle mani del cardinale niceno Bessarione24.

L’acquisizione del titolo gentilizioIl 1450 fu un anno memorabile per la famiglia Vagnucci

che, nello spazio di pochi mesi, si vide riconoscere il rango

Fig. 4Diploma imperiale

del 10 settembre 1450indirizzato a FrancescoVagnucci, part. con lo

stemma della famiglia.

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nobiliare dalle due massime espressioni dell’universalismomedievale, la Chiesa e l’Impero: dapprima, in febbraio, papaNiccolò V concesse il titolo gentilizio alla famiglia del vesco-vo, investendola, per un periodo di 20 anni, del feudo nobiledi Petrignano del Lago (nel Chiugi perugino)25; quindi, in set-tembre, l’imperatore Federico III d’Asburgo accordò aFrancesco Vagnucci (padre di Iacopo), ai figli del defunto fra-tello Angelo e ai loro legittimi discendenti la conferma deltitolo nobiliare, con la conseguente facoltà di fregiarsi di unostemma gentilizio (fig. 4)26.

Certamente, non è casuale che Niccolò V intrattenessestretti e buoni rapporti coi vertici dell’Impero Asburgico,come testimoniato in quegli anni da diversi avvenimenti che,naturalmente, coinvolsero anche il Vagnucci27, il quale, moltotempo dopo (1469), memore del privilegio imperiale, avrebbeaccolto e addirittura ospitato Federico, mentre questi si trova-va in viaggio in Italia. A partire dal 1450, l’orgoglio del vesco-vo perugino risalterà in tutte le sue commissioni artistiche,dove una “fetta” di protagonismo è sempre riservata al blasonedi famiglia, spesso replicato: un orso coronato dal vello aureo,rampante verso sinistra, recante nella zampa anteriore destraun mazzo di tre rose (figg. 4-6)28.

Fig. 5Cortona,hotel Sabrina(già palazzo Vagnucci),part. del portalecon lo stemmadella famiglia.

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Fig. 6Cortona,

casa Vagnucci,part. della finestra

con lo stemmadella famiglia.

Fig. 7Cortona,

casa Vagnucci,part. del portale

con il monogrammadella famiglia.

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Il vescovato sotto Niccolò VNegli anni a venire, una serie di incarichi di assoluta impor-

tanza, tra cui quelli di tesoriere e vicecamerlengo, obbligòIacopo a trattenersi costantemente nella “città dei papi”, sem-pre al servizio di Niccolò V29: pertanto errano le cronotassivescovili, quando affermano concordemente che la lontanan-za del Vagnucci da Perugia fu determinata, in quegli anni, damansioni di governo che lo tennero occupato in varie città del-lo Stato Pontificio, in modo particolare nel territorio diFano30. In verità, questi incarichi si collocano all’inizio delpontificato di Paolo II (1464), dopo che sotto il suo predeces-sore Pio II erano iniziate le ostilità tra il Papato e SigismondoPandolfo Malatesta, signore della Romagna.

Comunque, nonostante la lunga permanenza romana,Iacopo mantenne rapporti molto stretti con la città di Perugia:il fatto è testimoniato da una riformanza del 6 novembre1452, nella quale veniamo a sapere che il vescovo Vagnucciaveva presentato una lettera al papa, per chiedere la revoca diun breve pontificio relativo ad un esule perugino31.

Il vescovato sotto Callisto IIILa morte di Niccolò V e l’elezione al soglio apostolico del

valenzano Alfonso Borgia comportarono inevitabilmenteuna ridefinizione dei compiti del cortonese: infatti conCallisto III (1455-1458) ebbe inizio quello scandalosonepotismo dei Borgia che avrebbe raggiunto il culmine sot-to il pontificato di Alessandro VI. La matrice “straniera” delnuovo governo pontificio portò, in breve tempo, ad una verae propria invasione di catalani nella corte romana e determi-nò l’allontanamento dei “familiari” e collaboratori diNiccolò V32. Ciononostante, Iacopo riuscì bene accetto per-sino al nuovo papa, anche se non poté evitare di perdere lacarica di tesoriere, assegnata a Pietro Daltello, canonico diBarcellona33.

Temporaneamente libero da impegni romani, finalmente il25 marzo 1456 il Vagnucci prese possesso della sede vescovileassegnatagli da Niccolò V, “ricevuto da perugini con que’ pre-parativi di gioia che meritava la sua dignità e il suo arrivo datanto tempo desiderato”34. Racconta infatti il Pellini che, unavolta giunto a Perugia, “con molto fausto e pompa vi entrò, efu da magistrati, da tutto il clero, e da tutto il popolo honora-

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tissimamente raccolto, e accompagnato con grande allegrezza”ad insediarsi nel palazzo vescovile35.

La festa dei perugini, però, era destinata a trasformarsi benpresto in delusione: passò poco più di un mese, quando un bre-ve di papa Callisto III, datato 8 maggio 1456, ordinò alVagnucci di restituirsi immediatamente alla Curia romana, dovel’attendeva l’ufficio di referendario36. Fino alla morte del ponte-fice (6 agosto 1458), Iacopo rimase stabilmente a Roma37: perquesto motivo non era presente a Cortona il 2 luglio 1458,quando, sulla piazza del futuro duomo, Michelangelo Pecci,procuratore del vescovo perugino, consegnò ai canonici dellapieve di Santa Maria il Reliquiario Vagnucci, oggi conservato nelMuseo Diocesano di Cortona (fig. 83)38. Proprio la commissio-ne del manufatto ad un orefice di Firenze può essere messa inrelazione con gli ottimi rapporti che, in quegli anni, Iacopointratteneva con la città toscana, documentati, tra il 1456 e il1458, dalle ripetute richieste, inoltrate al papa dal governo fio-rentino, di concedere il cardinalato al Vagnucci39.

3. Il vescovato sotto Pio II e Paolo II (1458-1471)

Il soggiorno di Pio II a PerugiaAlla morte di Callisto III, Iacopo rientrò definitivamente a

Perugia40, dove si trovava sicuramente nel febbraio del 1459,quando ricevette la visita del nuovo papa Pio II Piccolomini(1458-1464): costui, in viaggio alla volta di Mantova, peraprire i lavori della dieta che vi aveva convocato, sostò qualchesettimana nella città umbra (1-19 febbraio), desideroso diverificare la sottomissione della regione alla Sede Apostolica. Ilpontefice venne accolto con tutti gli onori del caso, al puntoche il comune, nella vana speranza di ottenere un buon capi-tolato, investì l’ingente cifra di 4000 fiorini41.

Durante la sua permanenza a Perugia, il papa fu omaggiatoda alcune ambasciate, tra le quali spicca certamente quella diFederico da Montefeltro, signore di Urbino (10-15 febbra-io)42. Il giorno 11 assistette alla consacrazione della chiesa diSan Domenico Nuovo, assiso “nelo altare grande dal canto delverso el coro, e voltava le spalle ala fenestra grande invetriata”:le funzioni furono officiate dal Vagnucci, insieme ad un prela-

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to designato dallo stesso Pio II, mentre la messa venne canta-ta da Ranieri Della Corgna, arciprete della cattedrale; infine ilpapa, tornato nella piazza Maggiore ed affacciatosi dalla ter-razza della Loggia di Braccio, concesse l’indulgenza plenariaalla chiesa dei domenicani.

Unico tra tutti i pontefici sotto i quali si snoda la carrieraecclesiastica del Vagnucci, pare che il Piccolomini non si siaavvalso delle competenze e delle doti diplomatiche maturate dalcortonese in seno alla Curia romana, benché abbia mantenutocon lui un rapporto assai cordiale sul piano della stima persona-le. Il papa, tra l’altro, sopravanzò il suo predecessore nel conce-dere cariche e benefici a parenti e conterranei: ancora una voltane fece le spese proprio Iacopo, rimasto deluso nel desiderio diottenere nuovamente il tesorierato della Camera Apostolica43.

Viceversa, il 30 settembre 1460 si colloca un episodio checonferma ulteriormente quanto il Vagnucci fosse legato alla caramemoria del suo protettore e benefattore, il pontefice Niccolò V:recatosi fino a Sarzana, patria dei Parentucelli, egli prese parte,nella cattedrale cittadina, alla consacrazione di una cappella fat-ta erigere dal vescovo di Bologna Filippo Calandrini - uno deicinque cardinali che l’anno precedente avevano accompagnatoPio II a Perugia - ed intitolata a san Tommaso Apostolo, proprioin ricordo del nome di battesimo di papa Niccolò, al quale ilCalandrini era legato da vincolo materno44. Sempre nel 1460 (4giugno), Iacopo suggellò il proprio legame con la diocesi conces-sagli dal Parentucelli undici anni prima, ottenendo la cittadi-nanza perugina a seguito di relativa istanza45.

Governatore a Fano e SpoletoRientrato a Roma nell’autunno del 1460, Pio II si accinse

a perseguire con ogni mezzo Sigismondo Pandolfo Malatesta,signore di Rimini, Fano e Senigallia (mentre il fratelloDomenico signoreggiava su Cervia e Cesena); terminate leostilità nel 1463, il papa, coerentemente con le sue inclinazio-ni nepotistiche, investì dei vicariati sottratti al Malatesta duepropri nipoti, Giacomo e Antonio Piccolomini: a quest’ultimotoccarono Mondavio e Senigallia46.

Alla morte di Pio II (agosto del 1464), Senigallia, desideran-do affrancarsi dalla soggezione al Piccolomini, si diedespontaneamente al nuovo pontefice Paolo II (1464-1471), apatto che questi, nel relativo capitolato, confermasse i privilegi

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già accordati alla città dal Malatesta, in modo particolare quellorelativo all’annuale fiera della Maddalena: a ciò provvide ilVagnucci, nominato, sin dal settembre di quell’anno, governa-tore di Fano e della Romagna, funzione che esercitò esattamen-te per due anni47. Durante questo periodo, Iacopo venne coa-diuvato dal fratello minore Pierlorenzo che, addottoratosi indiritto civile a Perugia nel 1462 (ricevendo il diploma di laureadalle mani del vicario generale del Vagnucci), ebbe i suoi primiincarichi, al seguito del fratello vescovo, proprio nella cittadinadi Fano, dapprima ricoprendovi l’ufficio podestarile, quindiesercitando le mansioni di castellano della rocca Malatestiana.Forse è proprio a dimostrazione di una rinnovata collaborazionecon l’autorità papale che il Vagnucci, con gli emolumenti perce-piti durante il governatorato nelle Marche, acquistò a Roma, inpiazza Navona, una casa del valore di circa mille scudi48.

Nel settembre del 1466 Paolo II, con bolla inviata daRoma, delegò al Vagnucci il governo di Spoleto, Narni,Amelia e loro distretti, con lo stipendio di 60 fiorini d’oro almese, incarico che, documentato fino al 1470, il cortonesericoprì verosimilmente sino alla morte del pontefice (luglio del1471)49. In questo lustro, Iacopo domò la ribelle Norcia(inverno del 1466)50, sovrintese ad alcuni lavori di restauro51

ed accolse a Spoleto l’imperatore Federico III d’Asburgo che,dopo l’incoronazione del 1452, intraprese un secondo viaggioa Roma alla fine del 1468.

Federico, percorrendo la via Flaminia - l’antica stradaromana che va da Rimini a Roma, passando per Fano,Fabriano, Nocera, Foligno, Spoleto e Narni -, transitò per lagiurisdizione del Vagnucci con più di trecento cavalli: avverti-to da un breve papale, Iacopo ospitò magnificamente l’impe-ratore, con l’impegno di accompagnarlo, sia all’andata che alritorno, nel tratto compreso tra Spoleto e la capitale pontificia.Al rientro da Roma, però, Federico volle passare per Città del-la Pieve, raggiungendo quindi Perugia il 14 gennaio 1469: ilgiorno successivo visitò l’erigenda cattedrale di San Lorenzo edassistette ai riti religiosi; il 16 ripartì per Venezia52.Probabilmente è in questa circostanza che, a Perugia, ilVagnucci rinnovò all’imperatore la propria ospitalità, di cuibeneficiò anche il neo-cardinale Francesco Della Rovere, futu-ro papa Sisto IV53: la notizia è riferita dal Crispolti al 1471,ma erroneamente, non essendo documentato dalle fonti unterzo viaggio di Federico54.

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La soppressione delle libertà universitarieCome si è visto, nel primo ventennio del suo episcopato

Iacopo fu in prevalenza trattenuto fuori dalla diocesi perugina(nella quale sopperivano alla sua assenza i vari vicari generali)55,con la sola eccezione degli anni del pontificato di Pio II (1458-1464), durante i quali il cortonese si distinse principalmenteper due vicende: la soppressione delle libertà universitarie(1459-1467) e la fondazione del Monte dei Poveri (1462).

Il vescovo perugino non solo era il cancelliere imperiale del-lo Studio56, incarico simboleggiato dalla prerogativa del con-ferimento delle lauree (nella sala del Dottorato, presso la cano-nica del duomo), ma era anche il superiore del più antico col-legio studentesco, la casa degli scolari di San GregorioConfessore o Sapienza Vecchia, responsabilità quest’ultimacondivisa con il priore del monastero olivetano diMontemorcino Vecchio57. Negli anni della sua residenzaromana (1450-1458), anche i rapporti con la Sapienza furonogestiti dal Vagnucci con l’ausilio dei primi vicari generali, acominciare da monsignor Giovambattista Manzoli58.

Rientrato quindi nella diocesi perugina, Iacopo vennedirettamente coinvolto in un episodio che rappresentò per leimmunità studentesche un colpo durissimo. Nel gennaio del1459, a causa di una lite sorta tra gli uomini di Sforza degliOddi e quelli del conte di Bagno (conestabile della Chiesa),circa l’assegnazione della vittoria in una giostra indetta dal ret-tore dello Studio, avendo questi deciso che il premio dovessedividersi tra due contendenti appartenenti alle rispettive fami-glie, gli uomini dello Sforza avevano aggredito e gravementeferito il rettore stesso. In seguito a questa vicenda, gli studentidelle due Sapienze (Vecchia e Nuova) erano entrati in uno sta-to di forte agitazione, dando “aperta manifestazione a quellospirito di rivolta contro le autorità locali di governo che già datempo andava probabilmente serpeggiando tra gli scolari”,irritati dalla passività del comune nei confronti della politicasignorile pontificia59.

Attesa la partenza da Perugia di Pio II (febbraio), il gover-natore Bartolomeo Vitelleschi, uomo notoriamente autorita-rio, e il vescovo Vagnucci risposero a tale insostenibile situa-zione con un atto clamoroso: dopo essersi consultati con ipriori e con il consiglio dei dottori, il 13 aprile ordinaronoun’irruzione militare nei locali della Sapienza, la fecero occu-

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pare dalle truppe papaline di stanza a Perugia e ne cacciaronofuori tutti gli studenti, senza dar loro il tempo di prendere leproprie cose60. Il fatto, come si legge nel Diario di Antonio deiVeghi, suscitò un ampio sconcerto nell’opinione pubblica, acausa del grave danno, d’immagine ed economico ad un tem-po, che ne derivò alla città di Perugia: infatti gli studenti, che“danno l’anno d’entrata al comune 1000 fiorini”, abbandona-rono in massa lo Studio perugino61. L’episodio, attestandol’incapacità delle vecchie istituzioni universitarie di mantenerela disciplina scolastica, ebbe anche la conseguenza di accelera-re la fine dell’autonomia dello Studio, definitivamente sancitadalla riforma papale del 146762.

L’anno stesso della repressione dei moti studenteschi, ilgovernatore, in ulteriore spregio alle immunità degli scolari,dettò le nuove costituzioni della Sapienza, includendovi unaserie di norme di carattere manifestamente oppressivo. Preseroparte alle decisioni anche il priore di Montemorcino fraLeonardo Cavalieri da Bologna e il Vagnucci, quest’ultimorappresentato dal nuovo vicario generale Fabiano Benci daMontepulciano. Le cancellerie ecclesiastiche trascrissero iltesto del nuovo statuto in due registri, uno tenuto dal mona-stero di Montemorcino e l’altro dal vescovo: in entrambi ladelibera risulta datata 23 maggio 1454 (anziché 1459), unadata volutamente erronea, allo scopo di far risultare l’entratain vigore delle misure restrittive anteriore all’irruzione neilocali della Sapienza63.

Nel 1461, poi, il Vagnucci trovò il modo di farsi detestare,ancora una volta, dagli studenti del collegio: il 17 aprile vietòil gioco della palla nell’angusto chiostro dell’istituto, a causadegli schiamazzi che ne derivavano; il 7 luglio fece trasferire lacampana della Sapienza dalla finestra del reparto camere ad unpiccolo campanile costruito sul tetto della cappella, con unprovvedimento che ha sapore di chiara provocazione64. Nel1462, infine, Iacopo non ebbe scrupoli nello smentire i Savidel comune, uno dei principali organi del governo universita-rio, circa la compilazione del ruolo dei lettori che dovevanoessere stipendiati per l’anno accademico appena terminato,includendovi un paio di nomi già esclusi dai magistrati comu-nali: segno evidente di una delegittimazione della funzione deiSavi che sarà poi sanzionata dalla citata riforma di Paolo II65.

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La fondazione e la difesa del Monte dei PoveriNonostante il Vagnucci, dottore in utroque iure, vantasse otti-

me competenze nel settore giuridico, esercitando anche l’ufficiodi referendario sotto Callisto III, nelle fonti consultate il corto-nese non risulta quale lettore di diritto nell’Università perugina,notizia quest’ultima riportata, forse erroneamente, da alcuni stu-diosi66. Sono ben noti, invece, i suoi interessi in campo lettera-rio e il suo amore per lo studio, attestati dalla fitta rete di rela-zioni che egli intratteneva con alcuni tra i più insigni umanistidel tempo, conosciuti tra Firenze e Roma presso la corte papale,grazie soprattutto al mecenatismo dell’Albergati e delParentucelli: tra questi Maffeo Vegio, Flavio Biondo, LorenzoValla ed Enea Silvio Piccolomini. Durante le feste natalizie del1453, i quattro dotti lo accolsero amichevolmente presso labadia di Montecassino, dove Iacopo, “allegro ed amante degliesercizi del corpo”, si era unito ad una brigata di cacciatori67.

Inoltre, per quanto il Vagnucci non fosse un letterato diprofessione, rimane testimonianza di un suo trattato in latino,intitolato De usuris e composto sotto il pontificato di Paolo II,cui l’opera era dedicata. Nella seconda metà del ’500Francesco Vagnucci, noto erudito cortonese, volle dare allestampe l’opera dell’antenato, consegnando al tipografoLorenzo Torrentino il manoscritto in questione68: purtroppoil testo, andato smarrito in tale circostanza, non ci è noto néattraverso copie, né attraverso stampe.

Il titolo di questo trattato si connette chiaramente al ruolodeterminante svolto dal prelato cortonese nella fondazione delMonte di Pietà di Perugia69, un istituto di credito che, allo sco-po di combattere la pratica ebraica dell’usura, concedeva presti-ti dietro pegno di beni mobili, con una lieve maggiorazionedestinata a coprire le spese di gestione. L’ampio dibattito che,in materia legislativa e dottrinale, andava contemporaneamen-te svolgendosi sul tema dell’usura, si arricchì così di ulterioripolemiche e vivaci controversie, connesse alla necessità diallontanare da questa e consimili organizzazioni il sospetto dipraticare una nuova “raffinata” forma di strozzinaggio.

Senza dubbio, l’autorità ecclesiastica fu la principale respon-sabile della stesura dei capitoli del Monte, nei quali, non a caso,le vennero riservati ampi margini di competenza: uno statuto difatto già pronto quando, il 20 aprile 1462, fu nominata unacommissione comunale di dieci camerlenghi incaricata di redi-

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gerne il testo. Significativa più che mai l’adunanza che, il giornoprecedente l’approvazione dei capitoli (27 aprile), si svolse nelpalazzo del governatore Ermolao Barbaro, alla presenza dellostesso, del “reverendissimo in Christo Padre e Signiore mesereIacomo per Dio gratia episcopo perusino” e di “molti reverendipatri e maestri e doctori in sacra teologia et eximii e famosissimidoctori perusini”, tra i quali erano sicuramente diversi francesca-ni dello Studio conventuale70. Reperiti i fondi di cui il Montenecessitava, grazie alla mediazione del nuovo legato BerardoEroli71, subentrò la delicata questione del tasso d’interesse, infi-ne risolta dal Vagnucci con un decreto del 22 febbraio 1463, nelquale legittimava ma rettificava il tasso mensile già fissato da unacommissione comunale; successivamente, con decreto del 13febbraio 1464, confermò le norme per lo stipendiamento degliofficiali (i soprastanti e il depositario) e per l’affitto del fondaco“in piazza” che ospitava la primissima sede del Monte (fig. 8)72.

Nell’ambito delle polemiche che ne seguirono, abbiamonotizia di ben quindici consilia a sostegno dell’istituzione peru-gina, scritti o sottoscritti da teologi e giuristi in momenti diver-si della controversia: tra questi anche un consilium composto dalVagnucci, da identificarsi col già menzionato trattato intitolatoDe usuris. Secondo la testimonianza di Bernardino De Bustis(discepolo di fra Michele Carcano da Milano, che nella quaresi-ma del 1462 aveva predicato a Perugia contro l’usura), questoscritto (che iniziava con le parole “Sit rector”) era come tantialtri incentrato sul tema cruciale del tasso d’interesse, giustifica-to dal Vagnucci come un “contractus locati”, vale a dire un con-tratto di lavoro col quale gli officiali del Monte venivano sem-plicemente retribuiti per l’opera da essi prestata; le conclusionidel vescovo (“non est vitium usure in hoc contractu”) in praticadiscendevano dal suo decreto del 22 febbraio 146373. Unaseconda testimonianza viene riportata dal Ballarini, secondo ilquale il Vagnucci, nel suo consilium, attribuiva essenzialmente algovernatore Ermolao Barbaro la preoccupazione per il problemadell’usura, con la conseguente chiamata a Perugia del Carcano;inoltre lodava l’esempio del cardinale Albergati, già suo protet-tore, che a Bologna aveva ridotto al 20% annuo il tasso d’inte-resse che gli ebrei potevano praticare74. Allo scritto del Vagnuccisi riferisce esplicitamente anche fra Fortunato Coppoli daPerugia nel consilium da lui composto, uno dei tre sopravissutitra quelli di cui abbiamo notizia75.

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La corresponsabilità di Iacopo nella nascita del Monteperugino è avvalorata da una evidente constatazione: nel1469-1470 vennero istituiti i Monti di Spoleto e Amelia, loca-lità della cui amministrazione era incaricato in quegli anniproprio il Vagnucci. Il primo venne fondato il 14 marzo 1469nel palazzo vescovile di Spoleto, alla presenza, tra gli altri, del“reverendissimi domini Iacobi episcopi perusini civitatisSpoleti gubernatoris auditor et locumtenens”76; il secondo fuistituito il 12 dicembre 147077. In entrambi i casi il Coppoli,personaggio chiave del fenomeno dei Monti, era presente allastesura dei capitoli, chiaramente esemplati sullo statuto peru-

Fig. 8Perugia,portale di accessoal secondo Monte di Pietà (oggi Tribunale).

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gino del 1462, che il frate stesso contribuiva a diffondere.Questi promuoverà anche l’istituzione del Monte di Cortona(14 febbraio 1472), del quale venne nominato officiale per ilterziere di San Vincenzo, e soprastante deputato alla riscossio-ne dei debiti, un Pierlorenzo di Francesco Vagnucci, da iden-tificarsi proprio con il fratello minore del vescovo Iacopo78.

Dopo la riforma dei capitoli perugini voluta da Paolo II(1468), tra il 1471 e il 1473 si procedette alla costituzione diun secondo e terzo Monte, sempre con la partecipazione attivadel Vagnucci che, dopo la morte del pontefice, aveva lasciato ilgovernatorato spoletino per rientrare nella propria diocesi79.

4. Il vescovato sotto Sisto IV (1471-1482)

Francesco Della Rovere e il BessarioneDopo Niccolò V, un altro pontefice originario della Liguria

sembra intrattenere col Vagnucci un rapporto di amicizia efiducia, probabilmente maturato già negli anni precedentil’elevazione al soglio apostolico: Sisto IV, al secolo FrancescoDella Rovere, proveniente da una modesta famiglia di Savona,eletto nell’agosto del 1471.

Francescano dell’ordine minoritico a soli 15 anni (1429), ilgiovane frate, dopo un triennio di studi e un triennio di bac-cellierato tra Chieri (Torino) e Pavia, nel 1435 si recava aBologna, conseguendo il dottorato in teologia ed avviandosisuccessivamente alla carriera accademica; nel 1439 si trasferi-va nuovamente a Pavia, dove veniva ordinato sacerdote80.

Come si è visto, il Vagnucci, quasi coetaneo del frate (era natodue anni dopo, intorno al 1416), in quel periodo studiava dirit-to nella stessa Università di Bologna, dove da Firenze lo avevaindirizzato il vescovo felsineo Niccolò Albergati: niente di piùprobabile, dunque, che i due si siano conosciuti per la prima vol-ta in questa circostanza. Sempre a Bologna, Iacopo e Francescoebbero l’occasione di incontrarsi anche in seguito: nel biennio1449-1451 il Della Rovere vi esercitava il doppio incarico di reg-gente dello Studio conventuale e professore pubblico di teologiae filosofia nella locale Università; mentre già sappiamo che, allafine del 1449, il Vagnucci venne inviato da Niccolò V a Bologna,dove ricoprì provvisoriamente la carica di governatore.

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Dopo aver insegnato per qualche mese a Firenze, dal 1451al 1455 Francesco soggiornò a Perugia: prima dimorò a lungonel convento di San Francesco al Prato, quindi entrò nelloStudio cittadino come docente di filosofia, raccogliendo ampiconsensi81; sono questi i primi anni dell’episcopato peruginodel Vagnucci, anche se il cortonese, trattenuto a Roma da mol-teplici incarichi papali, fu costantemente assente dalla città.

Professore di teologia alla Sapienza (1460) e ministro dellaprovincia francescana di Roma (1462), nel 1464 il DellaRovere, in occasione del Capitolo generale dei francescanitenutosi a Perugia, venne eletto ministro generale dell’ordine,ottenendo subito dopo la cittadinanza onoraria perugina: perquesto motivo, quando nel 1467 fu promosso cardinale coltitolo di San Pietro in Vincoli, i magistrati comunali non pote-rono esimersi dall’inviargli dei doni82.

Agli inizi del 1469, forse Francesco accompagnò a Perugial’imperatore Federico III d’Asburgo, venendo entrambi ospi-tati magnificamente dal Vagnucci. Sappiamo infine che, dal1460 sino all’ascesa al trono papale (9 agosto 1471), il fratemantenne ininterrottamente l’arcipriorato della chiesa perugi-na di San Luca Evangelista, in fondo a via dei Priori83.

Il Vagnucci e papa Sisto IV sono legati anche da un celebrepersonaggio, il cardinale niceno Bessarione (1403-1472), pro-tettore dei francescani a partire dal 1458: l’anno successivo,infatti, questi aveva scelto Francesco quale suo confessore per-sonale, da quel momento sempre riservandogli grande consi-derazione e sottoponendogli i propri scritti prima della pub-blicazione; una stima che il Della Rovere, una volta nominatopapa, avrebbe ampiamente ricambiato.

Numerosi sono gli episodi della vita del Bessarione che por-tano nella direzione di Iacopo e della città di Perugia84: si ripe-te, in definitiva, quanto già era accaduto nella prima fase del-la carriera ecclesiastica del Vagnucci, caratterizzata da un“triangolo” di relazioni molto simile (allora il cardinale eral’Albergati e il futuro papa il Parentucelli).

I funerali di Battista SforzaNel 1472 si colloca un avvenimento significativo per quan-

to concerne i rapporti tra il Vagnucci e il signore di UrbinoFederico da Montefeltro, legame certamente nato all’epocadella collaborazione svolta in Romagna ai danni dei Malatesta

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(1464-1466): essendo venuta a mancare la contessa Battista,figlia di Alessandro Sforza (signore di Pesaro e fratello del ducadi Milano) e moglie di Federico, il 14 agosto Iacopo, insiemea Giacomo Filippo Della Penna (abate di Santa Maria in Valdi Ponte, ossia Montelabate), si recò a Gubbio, dove, alla pre-senza di numerosi signori e ambasciatori di principi e liberecittà, si svolsero le solenni esequie funebri85.

In quell’anno Iacopo, fra gli altri benefici ecclesiastici,godeva in commenda a titolo perpetuo l’abbazia di Farneta,situata a pochi chilometri dalla nativa Cortona86. Poco prima,invece, la famiglia del vescovo si era vista rinnovare l’investitu-ra del feudo di Petrignano del Lago da parte di papa Sisto IV,che aveva prorogato di un altro ventennio la concessione diNiccolò V risalente al 1450: pertanto i Vagnucci resterannosignori di Petrignano fino al 1490, quando papa InnocenzoVIII assegnerà il feudo, per un periodo di venticinque anni,alla famiglia cortonese dei marchesi Bourbon di Petrella87.

La congiura dei PazziL’ambizione e la fame di terre di Girolamo Riario, nipote di

Sisto IV e signore di Imola, coinvolsero il pontefice nella falli-ta congiura ordita nel 1478 dalla famiglia fiorentina dei Pazzicontro Lorenzo il Magnifico e Giuliano de’ Medici88. Nel cli-ma di reciproca rappresaglia che ne seguì, a Firenze fu impri-gionato Raffaele Sansoni Riario, cardinale di San Giorgio epronipote del papa (nonché legato apostolico di Perugia), aRoma venne “fermato” Donato di Neri Acciaiuoli, ambasciato-re filomediceo del governo fiorentino nella “città dei papi”.

Nel vano tentativo di rimediare all’intricata situazione, il pon-tefice decise di inviare a Firenze il fido Vagnucci, il quale, dopodiversi giorni di permanenza, ne ripartì senza aver ottenuto nul-la89. Ad ogni modo, la scelta di affidare a Iacopo un incarico cosìdelicato è estremamente significativa, perché conferma comeegli fosse, ad un tempo, devoto al papa e, già dagli anni cin-quanta del ’400, legato alla città di Firenze ed ai Medici.

Nel biennio 1478-1479 il Vagnucci fu vicecamerlengo dellaChiesa romana, ricoprendo l’incarico già svolto sotto Niccolò V:nel luglio del 1478, essendo Sisto IV costretto ad assentarsi tem-poraneamente da Roma, Iacopo venne lasciato quale “supremoreggitore della Città Eterna”, con tutte le facoltà concesse aivicecamerlenghi nei casi di vacanza della sede pontificia90.

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Il riordinamento della vita monasticaDurante il vescovato del Vagnucci, proseguì l’opera di rifor-

ma e riordinamento della vita monastica perugina, già intra-presa dal suo predecessore Giovanni Andrea Baglioni: l’episo-dio più rilevante, il 28 ottobre 1468, fu la cessione da partedelle clarisse di Monteluce del monastero e della chiesa annes-sa di Santa Maria degli Angeli o dei Fossi (attuale ex-collegiodi Sant’Anna, in via Roma), che vennero assegnati ad unacomunità di canonici regolari91.

Nel 1469 il vescovo e i priori inviarono il giurisperitoMansueto Dei Mansueti al Capitolo generale degliOsservanti a Bolsena, affinché i padri di Monteripido nonabbandonassero la custodia delle terziarie del monastero diSant’Antonio da Padova (in corso Garibaldi): il problema sisarebbe riproposto nel 1482-1483, poiché il detto monaste-ro e quello di Sant’Agnese (sempre in corso Garibaldi) con-tinuavano a rigettare l’obbligo della clausura imposto dai fra-ti dell’Osservanza.

Nel 1472 le tre fraternite disciplinate di San Domenico,San Francesco e Sant’Agostino (già riunite nella confraternitadi Nostro Signore Gesù Cristo) stabilirono le proprie costitu-zioni, con una serie di norme relative al numero dei fratelli eall’amministrazione dei beni posseduti92.

Sotto Dionisio Vagnucci (nipote e successore di Iacopo), sisarebbero fusi gli insediamenti camaldolesi della SS. Trinità e diSan Severo (1484); quindi, nel 1487, il vescovo avrebbe appog-giato i monasteri benedettini di Santa Caterina Vecchia e diSanta Maria Maddalena all’abbazia di San Pietro, dove, sin dal1436, Giovanni Andrea Baglioni aveva insediato i monaci rifor-mati della congregazione di Santa Giustina di Padova93.

5. Il ritiro alla pieve di Corciano (1482-1487)

La nomina ad arcivescovo nicenoNel 1482 il Vagnucci, come giusto riconoscimento per i tan-

ti servigi resi negli anni alla Santa Sede, ottenne da Sisto IV lapromozione all’arcivescovato di Nicea, in partibus infidelium94:conseguentemente, rinunziò alla diocesi perugina in favore delnipote Dionisio, che gli subentrò il 29 maggio di quell’anno.

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Iacopo si garantì comunque una pensione annua pari ad un ter-zo delle rendite provenienti dal vescovato perugino, mantenen-do inoltre il diritto di regresso nella sede rinunziata, che avreb-be potuto riacquistare liberamente in caso di decesso del nipoteo cessione ad altri del seggio vescovile (fig. 9)95.

Ritiratosi a vita privata, il Vagnucci andò ad alloggiare inun complesso che, negli anni, aveva provveduto a restaurare edampliare, la pieve di San Giovanni presso Corciano, dettacomunemente la Pieve del Vescovo (figg. 10-11), in quantodimora alternativa dei vescovi perugini, soprattutto durante lacalda e malsana stagione estiva.

Fig. 9Bolla papale

del 29 maggio 1482indirizzata

a Iacopo Vagnucci.

Fig. 10Corciano (dintorni),

veduta aereadel castello di Pieve

del Vescovoe del borgodi Migiana

di monte Malbe.

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La pieve di San GiovanniNella recente monografia che un eminente gruppo di stu-

diosi ha dedicato alla poderosa “residenza fortificata”, GiovanniRiganelli, attraverso la lettura dei documenti fin’ora reperiti, hapotuto tracciare, lungo tutto l’arco del Medioevo (V-XV seco-lo), un percorso storico-evolutivo della “plebs inter montes”,individuando principalmente quattro fasi: plebs, villa, castrum,palatium96. Benché dipendente dalla Curia vescovile sin dal-l’epoca della propria fondazione, la pieve fu adibita a dimoradei presuli perugini solo dal XIV secolo, quando fungeva ancheda presidio militare del comune cittadino in questa porzionedel contado; nella prima metà del ’400 il castello si convertìdefinitivamente in residenza vescovile, attenuando i suoi con-notati militari e divenendo il fulcro di un’azienda agricola diproprietà dell’episcopato. È in quest’ultima fase che s’innestal’attività del Vagnucci, il quale intese portare a compimento unprocesso dunque già in atto da mezzo secolo.

Come ha evidenziato Riganelli, la trasformazione dell’anticonucleo plebano precorre un fenomeno ampio e di lunga durata,quale l’evasione dagli spazi cittadini del ceto magnatizio che,vuoi per un discorso di status symbol, vuoi per le grandi trasfor-mazioni intervenute nel panorama agrario (l’incedere della mez-zadria), andava ricavandosi tutta una serie di residenze signorilidi campagna: processo che raggiungerà il suo apice nel XVI-

Fig. 11Corciano (dintorni),castello di Pievedel Vescovo.

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XVII secolo e di cui la pieve costituisce, per l’area perugina, uncaso piuttosto precoce, anche se non unico97.

L’affermazione secondo cui la “Plebs Episcopi” avrebbeassunto questa denominazione (attestata sin dalla fine del ’300)proprio dai ritiri abituali del Vagnucci è errata98, in quanto giàAndrea Bontempi, vescovo di Perugia dal 1354 al 1390, vi sog-giornava durante la bella stagione99; il fatto poi che GiovanniAndrea Baglioni, predecessore del cortonese, abbia lasciato allapieve un segno tangibile della propria presenza fa supporre che,anche in questo caso (come per la cattedrale di San Lorenzo),Iacopo abbia “ereditato” dal Baglioni un’attenzione “materiale”per i luoghi dell’autorità vescovile100.

Ciò non toglie che il legame pieve-vescovato si sia rafforzatosensibilmente quando il Vagnucci, già negli anni del suo insedia-mento, concepì l’ambizioso progetto di ritagliarsi nel territorio diCorciano un piccolo “feudo”, che potesse ospitare non solo unadimora signorile lontana dal caos e dai torbidi cittadini, maanche un’azienda agricola in grado di fornirgli una fonte ulterio-re di guadagno. Dal punto di vista logistico, poi, bisogna consta-tare come la pieve, collocata in posizione strategica all’incrocio diimportanti assi viari, si trovi non lontana da Perugia e sulla viache conduce a Cortona, patria d’origine con la quale il presulemantenne sempre legami molto stretti, anche dopo il suo ritiro.

I restauri della pieve e la vertenza col comune di CorcianoSostanzialmente il disegno del Vagnucci risulta articolato in

due fasi, cui corrispondono altrettanti documenti: una perga-mena del 1459, già appartenuta ad Annibale Mariotti ed oggiintrovabile, e la causa del 1469 sul “bosco conteso” dal vesco-vato al comune di Corciano, conservata nell’Archivio Storicodella cittadina e, in parte, presso l’Archivio Diocesano diPerugia. Dalla pergamena, citata in numerosi manoscritti come“cartapecora presso Mariotti segnata n. 7”, veniamo a sapere,attraverso il vicario generale Fabiano Benci da Montepulciano,che nel 1457 Iacopo aveva provveduto a risarcire il complesso,fornendolo di quattro nuove case coloniche, allo scopo dimigliorare l’agricoltura del piviere e di accrescerne le rese101. Seconsideriamo che il Vagnucci prese ufficialmente possesso del-la propria diocesi solo nel 1456, stabilendovisi a partire dal1458, risulta con chiarezza l’esistenza di un progetto immedia-tamente conseguente alla sua definitiva partenza da Roma.

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La vertenza del 1469102 ha la sua lontana premessa in unatto del 1242, con il quale il presule perugino Salvo concedevaalla comunità di Corciano la “custodiam et guardiam” di tuttala selva che l’episcopato possedeva nel distretto di monteMalbe, dietro un corrispettivo annuo pari alla metà dei frutti.Nel 1469 la comunità venne accusata dal Vagnucci di non avercorrisposto quanto dovuto, anche se, in realtà, l’ammanco eradestinato a coprire le spese sostenute dai corcianesi per la boni-fica di parte dell’incolto, ora destinato ad arativo e vigneti.

L’azione del Vagnucci, “tesa alla riappropriazione deldominio utile dei terreni concessi”, si fece più risoluta nellaseconda metà del 1471, quando il presule, terminata l’espe-rienza del governatorato spoletino, rientrò nella propria dio-cesi: essa venne demandata a due suoi concittadini, i corto-nesi Pietro di Nicola Barnabey e don Forese Vagnucci, rispet-tivamente procuratore e vicario generale del vescovo perugi-no. La vertenza si concluse finalmente il 1° giugno 1472, conla stipula di una convenzione che, in sostanza, lasciava inva-riati i diritti goduti dai corcianesi, i quali s’impegnavano,ogni anno, a versare una cifra di 30 fiorini per le terre messea coltura e, quale “riconoscimento del dominio del vescovo”,a consegnare cento tordi nel giorno di Natale103; entro unanno, poi, avrebbero dovuto realizzare un calcinaio per laproduzione di calce destinata ad ulteriori lavori di restaurodella Pieve del Vescovo. L’ultima parola spettò al ponteficeSisto IV, che incaricò gli abati perugini di San Pietro eMontemorcino Vecchio di ratificare la convenzione. Laseconda fase del progetto del Vagnucci ebbe dunque un esi-to fallimentare: se i corcianesi continuarono a godere deidiritti a loro concessi più di due secoli prima, Iacopo rimasedeluso nel suo desiderio di accrescere la dotazione di terre delpiviere di San Giovanni.

Considerando che il distretto di monte Malbe era caratte-rizzato da un’economia agricolo-pastorale, tant’è che una notafiera del bestiame risulta attestata presso la pieve a partire dal’500 (ma non è escluso che le sue origini risalgano al secoloprecedente), la sensazione è che Iacopo, discendente da unceppo benestante di lanaioli cortonesi, abbia riversato nel suoproposito una mentalità mercantile e imprenditoriale tipicadella famiglia, anche “comprendendo appieno quale dovevaessere la funzione della struttura in rapporto al mondo mezza-drile in via di affermazione”104.

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Da questo punto di vista, è significativo che l’unico stemmalapideo del Vagnucci presente alla pieve sia collocato sul lato lun-go del corpo di fabbrica che immette nel secondo cortile (quel-lo delle botteghe), a dominare dall’alto della parete il cortilemedesimo, anche se non è da escludere la possibilità di un ripo-sizionamento successivo (fig. 12). Lo stemma, di grandi dimen-sioni, inscritto in una formella rettangolare di pietra, potrebberisalire proprio agli anni cinquanta, all’epoca dei primi lavori direstauro, poiché presenta caratteri nettamente arcaici (tra cui loscudo a forma di mandorla o “a goccia rovesciata”, caratteristicodel XIV-XV secolo)105, pur se una certa grossolanità può esserericondotta all’esigenza di renderlo visibile da lontano.

Da arcivescovo a “prete di campagna”La “villa plebis infra muntes”, attestata come comunità

autonoma ancora nella seconda metà del ’200, tra la fine del

Fig. 12Corciano (dintorni),

castello di Pieve del Vescovo,

part. del secondocortile con lo stemmadel vescovo Vagnucci.

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secolo e la metà di quello successivo andò perdendo del tuttole antiche prerogative parrocchiali, assorbite dalle chiese diSanta Maria a Corciano e di San Bartolomeo a Migiana dimonte Malbe, entrando così a far parte del territorio primadell’uno, poi dell’altro paese. Ciononostante, è possibile che lacappella di San Giovanni continuasse a rappresentare un pun-to di riferimento religioso (esclusivamente liturgico) almenoper coloro che lavoravano nei terreni del piviere, soprattuttonegli anni in cui il Vagnucci vi fece residenza fissa: in questocontesto si colloca la notizia, riportata da un manoscritto diCortona, secondo la quale Iacopo concluse la propria esisten-za alla pieve “facendo vita esemplare, esercitando l’offizio diparroco o pievano di quella parrocchia”106.

Anche nel periodo del ritiro corcianese, Iacopo mantenneintensi rapporti con la città natale e con la sede episcopale cheaveva ceduto al nipote Dionisio. Nel settembre del 1483entrambi i Vagnucci si trovavano a Cortona, dove, alla presen-za del vescovo cittadino, donarono alla chiesa di Santa Mariadei Servi (oggi distrutta) un secondo reliquiario purtropposcomparso (cf. par. IV, 3). Quindi, nel 1484, Iacopo non potémancare alla consacrazione della cappella di Sant’Onofrio nelduomo di Perugia, il sacello di famiglia in cui aveva prescrittodi essere sepolto e per l’altare del quale aveva commissionatoal conterraneo Luca Signorelli la tavola oggi conservata nelvicino Museo Capitolare (cf. parr. II, 1-3).

La morte di Iacopo VagnucciIl nostro arcivescovo niceno si spense all’età di 71 anni cir-

ca, il 28 gennaio 1487. Dalla pieve di Corciano le spoglie delcortonese furono trasferite momentaneamente nell’oratorio diSan Bernardino a Perugia, giusto il tempo di allestire la solen-ne cerimonia funebre che si sarebbe svolta due giorni dopo. Il30 gennaio, infatti, il corpo del prelato venne portato in pro-cessione dalla chiesa di San Francesco al Prato sino alla catte-drale, dove fu tumulato nella cappella di Sant’Onofrio: alleesequie furono presenti, oltre ad un numero eccezionale dinobili e popolani, tutti i rappresentanti della Chiesa locale, delcomune e dello Studio; l’orazione funebre venne tenuta da uncerto Carlo di Antonio di Matteo107.

Secondo Paolo Uccelli, la morte colse il Vagnucci poco pri-ma che questi ricevesse il cappello cardinalizio, titolo che avreb-

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be coronato una straordinaria carriera ecclesiastica durata qua-si 50 anni108. È invece certo che la morte privò Iacopo di un’al-tra grande soddisfazione, quella di assistere alla solenne inaugu-razione della nuova cattedrale perugina, che il nipote avrebbecelebrato, a distanza di pochi giorni, il 10 febbraio.

6. Dionisio Vagnucci vescovo di Perugia (1482-1491)

La carriera ecclesiasticaDionisio, figlio di Pietro di Francesco Vagnucci, fratello di

Iacopo, nacque a Cortona in data ignota. Avviato alla carrieraecclesiastica, svolse il proprio iter sotto la rassicurante protezionedello zio, forte della posizione di prestigio di cui questi godevanella nativa Cortona, a Perugia e soprattutto a Roma. Nella cor-te papale, infatti, il giovane chierico ottenne di ricoprire alcuniimportanti uffici, prima quello di accolito e familiare di Paolo II(e successivamente di Sisto IV), quindi quello di scrittore aposto-lico, per il quale, grazie al contributo finanziario dello zio, versòuna somma di 1400 fiorini d’oro, compiendone il pagamentonel settembre del 1471109. Naturalmente, in precedenza avevacompletato gli studi universitari di diritto, per cui nei documen-ti lo troviamo chiamato con l’appellativo di “legum doctor”110.

In aggiunta a tale sicuro “investimento” (dove il salario per-cepito rappresentava una sorta di “interesse” sul capitale spe-so), non mancarono a Dionisio, sempre sotto il pontificato diSisto IV, le solite dotazioni di benefici e commende, tra cui ilpriorato dell’abbazia di Sant’Egidio al monte di Fieri (1472) eil priorato della chiesa di San Pietro di Marzano a Cortona(1476), con una rendita annuale rispettivamente di 40 e 24fiorini d’oro111.

Come sappiamo, il 29 maggio 1482 Iacopo Vagnucci,venendo elevato all’arcivescovato di Nicea, ottenne da Sisto IVche la diocesi perugina fosse affidata, a mo’ di “successione”, alproprio nipote, per quanto questi avesse ricevuto soltanto ildiaconato (il secondo degli ordini maggiori): pertanto il papa,con apposita bolla, gli conferì ad un tempo il presbiterato el’episcopato (fig. 13)112. La continuità nel vescovato fu garan-tita anche dal fatto che, sotto Dionisio, proseguì nell’ufficio divicario generale Antonio Pagani da Fermo113.

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L’inaugurazione di San Severo e del duomo di San LorenzoIl 20 marzo 1484 il nuovo vescovo consacrò i tre altari o

cappelle di San Severo, chiesa appartenente ai monaciCamaldolesi che, attestati nel rione di Porta Sole sin dal seco-lo XI, in quell’anno vennero definitivamente uniti al prioratocamaldolese della SS. Trinità (fuori porta San Girolamo), conil trasferimento di quest’ultimo a San Severo114. Secondo ilCrispolti, la chiesa quattrocentesca era stata ricostruita con ifinanziamenti del comune, come indicato dal grifone checompariva sopra la porta dell’edificio. L’episodio della consa-crazione era invece celebrato, secondo una “moda” tipica del-la Roma sistina115, da una lapide murata “in una facciata del-la chiesa incontro all’organo”116. Della ristrutturazione del XVsecolo rimane solo la cappella di sinistra, quella orientata a set-tentrione e consacrata alla Madonna, come si rileva dalla sta-tua in terracotta della Vergine collocata entro la nicchia (finedel ’400). Tra il 1505 e il 1521 la parete di fondo della cappel-la venne affrescata prima da Raffaello (Trinità e sei santi bene-dettini), poi dal Perugino (Sei santi), come attestano le iscrizio-ni leggibili in loco117.

Qualche anno dopo, il 10 febbraio 1487, terminata final-mente la ricostruzione del duomo perugino, si svolse la ceri-monia di traslazione del corpo di sant’Ercolano sotto la men-sa del nuovo altare maggiore: alla presenza di una gran folla dicittadini, intervennero alla funzione, celebrata solennemente

Fig. 13Bolla papaledel 29 maggio 1482indirizzataa Dionisio Vagnucci.

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dal vescovo Dionisio, il vicelegato, i signori priori e il Capitolodella cattedrale. Secondo le antiche cronache, all’aprirsi dellacassa furono manifesti i segni della santità del vescovo marti-re: il corpo era ancora integro, recava alcune gocce di sanguenella barba ed emanava un soave odore per tutta la chiesa118.

Sulla scia dello zioL’episcopato di Dionisio Vagnucci si svolse in anni partico-

larmente difficili, a causa delle turbolenze che caratterizzaronola scena politica e, di riflesso, la vita universitaria: in particola-re, il penultimo decennio del secolo vide degenerare in un veroe proprio conflitto civile i contrasti esistenti tra le famiglierivali dei Baglioni e degli Oddi, quest’ultimi definitivamenteespulsi dalla città nell’ottobre del 1488. Ciononostante,Dionisio “non fu punto dissimile dal suo zio nella candidezzade’ costumi e nell’integrità della vita e, come quello, [...] nonrestò di affatigarsi con ogni suo potere per sedare così grantempeste”119: in questo contesto si colloca la notizia, riportatadalle cronotassi vescovili, secondo la quale Dionisio, con l’au-torità di Sisto IV, poté assolvere il popolo perugino dalle cen-sure ecclesiastiche nelle quali era incorso.

Per quanto riguarda invece i rapporti con la SapienzaVecchia, i cui studenti si dimostravano troppo avvezzi alle rivol-te e alle armi, il secondo dei Vagnucci portò avanti una lineacertamente più conciliante di quella dello zio, benché ancorarisoluta, soprattutto quando, sempre sotto Sisto IV, gli scolarifurono costretti a giurare solennemente dinanzi al vescovo120.

Secondo alcune testimonianze, anche Dionisio avrebbecomposto in latino un trattato intitolato Contra Judaeos, di cuisarebbe esistita una stampa a Fermo: tuttavia esso non è citatodai bibliografi, né è stato rinvenuto manoscritto da GirolamoMancini121. Ad ogni modo, l’ipotetico testo richiama nel tito-lo il problema dell’usura ebraica e la conseguente fondazionedei tre Monti di Pietà di Perugia (1462, 1471, 1473), il primodei quali era stato difeso da Iacopo Vagnucci con un consiliumscritto intorno alla metà degli anni sessanta.

La morte di Dionisio VagnucciDionisio, “el quale era tenuto bona persona”, morì il 9 apri-

le 1491, “e molto recrevve la morte sua al populo de questacità”122: il corpo del vescovo, trasportato in cattedrale, fu

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tumulato nella cappella di Sant’Onofrio, il sacello di famigliadove già riposavano le spoglie dello zio Iacopo123.

Il Graziani afferma che, dopo la morte di Dionisio, “latenuta del vescovato e delli suoi beneficii la pigliaro liBaglioni”; in effetti, stando al Pellini, nacque subito un con-tenzioso tra i fratelli Guido e Rodolfo Baglioni: il primo vole-va che l’episcopato fosse assegnato al figlio Gentile, chierico diCamera, il secondo al figlio Troilo, arciprete della cattedrale egià possessore di numerosi benefici124. Troilo avrebbe ottenu-to l’ambito vescovato solo dopo un decennio, nel 1501, poi-ché papa Innocenzo VIII (1484-1492), adottando la stessapolitica di cui si avvalse Niccolò V nel 1449, decise di affida-re la diocesi perugina ad un altro forestiero di origini toscane,il lucchese Girolamo Balbano (1491-1492), già suo segretario.

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NOTE

1 ASF, Catasto (1427-1491), Catasto di Cortona del 1427, II, c. 405 (n.215). Francesco conduceva l’attività di lanaiolo in società col fratello Angeloe con un certo Giovanni di Berto di Pietro; Iacopo aveva quattro fratelli:Pietro, Onofrio, Tommaso e Pierlorenzo. La genealogia dei Vagnucci è statatratta da BAEC, Braccioli, Stemmi e brevi notizie..., cc. 5v-6r (fig. 1): perquanto non vi compaia, in alcuni documenti si ha testimonianza anche di unquinto fratello, tale fra Bernardino. Notizie sulla famiglia si possono trovare,oltre che nel manoscritto citato (cc. 7r-8v), in BAEC, ms. 473, cc. 36r-37v;l’unico studioso che ha saputo invece documentare un profilo biografico diIacopo Vagnucci è Girolamo MANCINI (1897, pp. 336-338), storico bibliote-cario dell’Accademia Etrusca. A Cortona, tra gli edifici appartenuti alla fami-glia, spiccano il duecentesco palazzo Coppi-Vagnucci (fig. 2), all’angolo tra viaCoppi e il vicolo Vagnucci, e l’elegante palazzotto costruito sul finire del ’500in via Roma (fig. 3), attuale hotel Sabrina (cf. TAFI 1989, pp. 86 e 211-213).

2 La famiglia dei Veli risiedeva nella parrocchia di Santa Maria dell’Olivetodi Porta Eburnea (GROHMANN 1981, pp. 578-579). L’ordine dei frati Gesuati,istituito a Siena alla metà del ’300, era dedito alla carità ospitaliera, soprattut-to durante le epidemie.

3 Con questa “fuga” il pontefice scontò le imprudenze della propria politi-ca nei confronti del Concilio di Basilea (1431-1449), del Ducato di Milano edella famiglia romana dei Colonna, alla quale era appartenuto il suo predeces-sore Martino V (PASTOR 1910, pp. 266-268 e 273).

4 Nominato nell’aprile del 1434, mantenne questo incarico fino alla mor-te, avvenuta nel luglio del 1459 (BAEC, ms. 545, cc. 59r-60r). Per un profi-lo del frate, “venerabile, santo e dotto”, amico degli studi e degli umanisti, cf.DE TOTH 1934, vol. I, pp. 404-405, vol. II, pp. 479-482.

5 BAEC, Vita del vescovo..., p. 66. Nel corso del presente volume, si farà spes-so riferimento a questo documento inedito (per la trascrizione completa, cf.appendice A, n. 4), che Girolamo Mancini certamente conosceva (se non altroper averlo menzionato negli inventari a stampa [MANCINI 1884; IDEM 1911-1913] dei manoscritti posseduti dalla BAEC), anche se non risulta segnalatonei suoi contributi. Tra i manoscritti dell’Accademia Etrusca di Cortona si con-serva una serie di miscellanee intitolata Notti Coritane (12 voll. [1744-1755],mss. 433-445; il titolo discende dall’antico nome latino della città), che riuni-sce numerosi saggi d’erudizione, prodotti o esibiti dai vari membridell’Accademia durante convegni serali che si tenevano nei salotti di alcunefamiglie cortonesi. Tra quelli contenuti nella Notte XXII (8 giugno) del vol.VIII (1751) dell’opera, compare la trascrizione di una Vita del vescovo della Casadi Vagnucci di Cortona, composta dal fratello Pietro di Francesco nel 1469,copiata da Francesco di Cornelio Vagnucci nel 1577, di nuovo trascritta nel1582 da Ottavio di Fabrizio Vagnucci (un discendente di quarta generazione diTommaso, uno dei fratelli di Iacopo). Francesco di Cornelio (1519-1595),grande erudito cortonese appartenente all’altro ramo principale della famiglia,ci informa che il testo originale di Pietro Vagnucci si trovava nelle mani delnipote di costui (Pietro di Candido di Pietro), i cui figli (Candido e Francesco)gli fornirono una copia che egli si incaricò poi di completare ed aggiornare. LaVita, infatti, si fermava originariamente al 1469, mentre l’integrazione checompare sotto la sigla “FVC” spetta appunto a “Francesco VagnucciCortonese” e risale all’ottobre del 1577. Probabilmente anche l’ultima aggiun-

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ta, datata 23 marzo 1594, va ricondotta alle memorie raccolte dal noto erudi-to: infatti Francesco di Cornelio si spense l’anno seguente, mentre il tale“Angelo di Cornelio Vagnucci nostro” citato nel testo è sicuramente suo fratel-lo. Proprio la formazione e la trasmissione nel tempo di questo scritto ne han-no determinato la natura frammentaria, unitamente a qualche dato imprecisoe a numerose scorrettezze sintattiche. Ciononostante, si tratta di un documen-to molto importante, sia per la ricostruzione della vita di Iacopo, sia per lo stu-dio della più importante iniziativa da lui intrapresa in campo artistico: l’erezio-ne della cappella di Sant’Onofrio nel duomo di Perugia, che venne distrutta nel1608, poco dopo l’ultima integrazione del testo in questione (cf. cap. II).

6 Già priore della Certosa di Bologna (sua città natale), vescovo felsineo dal1417, l’Albergati venne nominato cardinale nel 1426, trasferendosi successiva-mente presso la Curia romana. Fu legato pontificio ai Concili di Basilea (1433)e Ferrara (1438). Durante il ritorno a Roma della corte papale, s’ammalò grave-mente, morendo a Siena nel maggio del 1443. Sulla figura del beato Albergati,oltre alla monografia di DE TOTH (1934), cf. PASZTOR 1960, pp. 619-621.

7 Sin dal 1420 circa, il Parentucelli era stato accolto a Bologna nella fami-glia del vescovo Albergati, seguendolo poi a Roma dopo la nomina cardinali-zia, accompagnandolo in molti dei suoi viaggi diplomatici ed assistendolo neisuoi gravosi impegni conciliari. Già a Bologna, ma soprattutto a Firenze,Tommaso ebbe modo di stringere legami con i più insigni dotti del tempo: trail 1441 e il 1443 fu anche incaricato da Cosimo de’ Medici di insediare lafutura Biblioteca Niccoli nel convento domenicano di San Marco, le cui pare-ti venivano affrescate proprio allora dal Beato Angelico. Sulla carriera ecclesia-stica del Parentucelli e i suoi rapporti col cardinale di Santa Croce, cf. MIGLIO2000, pp. 644-646; anche PASTOR 1910, pp. 330-338.

8 DA BISTICCI \ GRECO 1970-1976, vol. I, pp. 75-81 e 132-135. Il cardi-nale volle essere sepolto alla Certosa fiorentina di monte Acuto, e fu lo stessofra Niccolò a dettarne l’epigrafe tombale. Il monumento sepolcrale di papaNiccolò V, invece, si trova nelle cosiddette Grotte Vaticane.

9 BAEC, Vita del vescovo..., pp. 66-67. Si aggiunga poi che “administratorepiscopatus” di Bologna era Ludovico Scarampi, arcivescovo di Firenze dal1437 al 1439.

10 Ibidem. Nominato canonico della chiesa metropolitana “coll’espettativa”,ottenne la prebenda solo nel 1445 (in qualità di “quinto di libera collazione”),ma dovette rinunciare l’anno seguente, essendo sorta una lite con Antonio diFrancesco Tornabuoni. Cf. ACDF, Salvini, Vite e memorie... (le cc. non sononumerate): da questo materiale manoscritto sarà tratto, a mo’ di sunto, unCatalogo a stampa (SALVINI 1782), dove la Vita di Iacopo è la n. 354, alle pp.42-43; il testo della Vita manoscritta è riportato per esteso in appendice A, n. 3.

11 Mentre Tommaso veniva nominato vicecamerlengo, nel 1443 ilVagnucci esercitava il suo primo incarico nella Curia papale, in qualità di regi-stratore della segnatura delle suppliche; successivamente, nel 1446, avrebbericoperto l’ufficio di collettore dei proventi della Camera Apostolica nelDucato di Milano; infine, nel 1447, avrebbe ricevuto un canonicato nellaPrimaziale di Pisa. Cf. ACDF, Salvini, Vite e memorie...; BAEC, CartapecoreVagnucci, 8 febbraio 1446 (in questo documento Astorgio Agnesi, luogote-nente di Ludovico Scarampi, cardinale camerlengo, ordina al Vagnucci di pro-cedere contro il suo antecessore, reo di appropriazione indebita di denaro).

12 Il vescovato bolognese fu retto per un anno da Nicola Zanolini, mortonel maggio del 1444.

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13 ACDF, Salvini, Vite e memorie...; BAEC, Vita del vescovo..., pp. 66-67.Cf. anche MANCINI 1897, p. 336. Secondo la consuetudine umanistica, lascelta del nome da parte del Parentucelli avvenne in onore del proprio bene-fattore, il cardinale Niccolò Albergati (PASTOR 1910, p. 331). Niccolò V fu ilprimo pontefice ad avvalersi di un cubiculario, ossia segretario domestico ecameriere segreto (MIGLIO 2000, p. 653).

14 Secondo Vespasiano da Bisticci, papa Niccolò voleva fregiare della por-pora cardinalizia lo zio di Iacopo, fra Niccolò Vagnucci, in segno della profon-da riverenza e dell’intima amicizia che nutriva per lui; tuttavia costui, per rigi-da fedeltà alla propria scelta cenobitica, avrebbe sempre cortesemente rifiuta-to. Allora, stando a Francesco Castiglioni, il Certosino avrebbe fatto in modoche il desiderio del papa fosse convogliato sul proprio nipote, che venneappunto insignito della dignità episcopale (DA BISTICCI \ GRECO 1970-1976,vol. I, p. 78; BANDINI 1778, pp. 412-413).

15 BAEC, Cartapecore Vagnucci, 14 giugno 1448. Cf. anche UGHELLI[1644], tomo II, col. 434; GAMS 1873, p. 722. Secondo EUBEL (1913, p. 95)la data di nomina sarebbe invece il 10 giugno.

16 MORONI 1840-1861, vol. LXXIV, p. 281. La presenza a Roma delVagnucci trova conferma in una lettera di Poggio Bracciolini a Pietro diNoceto del 26 agosto 1449: “Ariminensi [episcopo] me commenda, cum estin mensa” (BRACCIOLINI \ HARTH 1987, pp. 100-101). Niccolò V ebbe un’at-tenzione particolare per la Camera Apostolica, la quale venne completamenterinnovata nel personale, con la riduzione dei chierici al numero di sette(MIGLIO 2000, pp. 652-653).

17 GRAZIANI \ FABRETTI 1850, p. 614. Cf. anche PELLINI 1664, parte II, p. 574.18 GRAZIANI \ FABRETTI 1850, p. 618. Cf. anche PELLINI 1664, parte II, p. 577.19 Tra gli aspiranti perugini all’ambito titolo ci sarebbero stati il figlio di

Guido degli Oddi e l’arciprete della cattedrale Baldassarre di FabrizioSignorelli, per tanti anni collaboratore del Baglioni (GRAZIANI \ FABRETTI1850, p. 620; cf. anche PELLINI 1664, parte II, p. 579). Secondo il GAMS(1873, p. 714) la data di nomina non sarebbe il 27, ma il 31 ottobre (cf.UGHELLI [1644], tomo I, col. 1164: “postrema die expirantis octobris”). Trale Cartapecore Vagnucci (BAEC), in data 1 novembre 1449, si conservano duebolle di Niccolò V, inviate al neo-vescovo Vagnucci da Fabriano.

20 Il vescovato del Baglioni (1435-1449) fu preceduto da quello diEdoardo (1404-1411) e Antonio Michelotti (1412-1434), altra influentefamiglia perugina.

21 MONACCHIA 1995, pp. 60-62. Sul Baglioni e la relativa bibliografia, cf.par. II, 1 e nota 4.

22 CRISPOLTI iunior 1648, pp. 270-271.23 GRAZIANI \ FABRETTI 1850, p. 619. Cf. anche PELLINI 1664, parte II, p. 579.24 Bologna, “la città che da secoli era pei papi, dopo Roma, la più bella per-

la della loro corona temporale”, viveva una situazione istituzionale per certiversi simile a quella di Perugia, divisa com’era tra le magistrature comunali, unsignore di fatto, Sante Bentivoglio, e il legato papale, quest’ultimo costrettoperiodicamente a fronteggiare la mai repressa aspirazione popolare alla com-pleta indipendenza della città dal governo pontificio. Subito agli inizi del suopontificato, Niccolò V, “che aveva una speciale propensione per la città in cuiaveva passato gran parte della propria vita”, fece di Bologna un punto fonda-mentale della sua celebre politica irenica, riconoscendole, con la pace conclu-sa nell’agosto del 1447, un’ampia autonomia politica. Segni di particolare

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attenzione alla città furono anche, nello stesso 1447, la nomina a governatoredi Roma del bolognese Giovanni del Poggio (già vescovo della città) e, nel1448, il conferimento del cappello cardinalizio al nuovo vescovo FilippoCalandrini (fratello uterino di Niccolò V) e al governatore di BolognaAstorgio Agnesi (PASTOR 1910, pp. 375-376). Ciononostante, nel 1449 nuo-ve turbolenze tornarono ad agitare la città: violenze, omicidi, esecuzioni capi-tali; nell’agosto fu anche sventata una congiura contro Sante Bentivoglio, lacui fazione governava col tacito assenso dell’autorità papale. Il fallimento delcomplotto causò la fuoriuscita di numerose famiglie bolognesi, le quali occu-parono i castelli che nel contado fungevano da presidi del dominio pontificio,tenendo così la città in uno stato di continua pressione. Il Vagnucci giunse aBologna il 16 novembre 1449, andando ad alloggiare nel palazzo vescovile. Inun primo momento l’accoglienza dei governanti non fu certo delle migliori,finché il 23 novembre il senato, in segno di distensione, “non mancò di pre-sentarli biada, confetti, cera, capponi, fasani et altre cose assai necessarie alvivere”. Ricevuta il 16 dicembre un’ambasceria del papa, il quale lo invitava anon lasciare la città a propria insaputa, il 21 dicembre Iacopo, che nel frattem-po si era trasferito nel convento dei Serviti, venne raggiunto dai magistrati, dalclero e dai rappresentanti delle arti, e fu accompagnato “al palazo con festa ettrihumpho et sono de campane”, insediandosi nella metà dell’edificio assegna-ta al governatore (CRONACHE \ RIS 1924, p. 170; cf. anche GHIRARDACCI[1596], pp. 132-133). Il 26 dicembre, infine, il pontefice, con bolla da Roma,lo nominò governatore della città e di tutto il territorio di Bologna, conferen-dogli i poteri di legato a latere (BAEC, Cartapecore Vagnucci, 26 dicembre1449). Il governatorato del Vagnucci fu molto breve: difatti il suo provvedi-mento più importante fu a salvaguardia della sicurezza di quei pellegrini che,diretti a Roma per il giubileo indetto dal papa, dovessero attraversare il terri-torio bolognese (GHIRARDACCI [1596], p. 134). Dopo il rientro di un’amba-sceria diretta a Niccolò V (4 gennaio), Iacopo venne informato che il ponte-fice desiderava conferire personalmente con lui sulla situazione della città: per-tanto il 26 gennaio, lasciato in sua vece il tesoriere Giovanni Venturelli daTerni, si recò a Roma con tre oratori, scelti tra i rappresentanti della fazionedel Bentivoglio. Mantenendo le promesse fatte al senato, Iacopo raccomandòal papa il governo della città e ne sostenne le ragioni contro le pretese dei fuo-riusciti. Niccolò V, dopo aver riflettuto a lungo sul da farsi, designò quale lega-to non solo di Bologna, ma di tutta la Romagna e della Marca Anconetana, ilcardinale niceno Bessarione (26 febbraio): questi, partito da Roma insieme aitre ambasciatori, fece il suo ingresso in città il 16 marzo, accolto con le con-suete manifestazioni di giubilo. Quanto al Vagnucci, che aveva esaurito il pro-prio compito, non vi fece più ritorno, restando quindi nella capitale pontifi-cia (CRONACHE \ RIS 1924, pp. 171-173; cf. anche GHIRARDACCI [1596], pp.134-135). Sulla figura del cardinale Bessarione, cf. LOENERTZ 1949, coll.1492-1498; LABOWSKY 1967, pp. 686-696; sul suo governatorato bolognese,cf. PASTOR 1910, pp. 377-380.

25 BAEC, ms. 423, c. 33rv. La copia del documento è datata “anno 1453,tertio decimo [die ante] kalendas martii, pontificatus nostri anno tertio”, mail terzo anno del pontificato di Niccolò V inizia il 19 marzo 1449 (quindi sia-mo nel febbraio 1450, precisamente il giorno 17): che la data sia dunque erra-ta è confermato dal fatto che nel diploma del settembre 1450, con il qualel’imperatore conferiva le insegne gentilizie alla famiglia cortonese, FrancescoVagnucci viene qualificato già come “nobilis” (cf. nota 26). Il Chiugi (oChiusi) perugino è la zona agricola a sud-ovest del lago Trasimeno, tradizio-

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nale granaio del comune di Perugia, i cui introiti erano contesi alla CameraApostolica: a quest’ultima la famiglia Vagnucci doveva pagare un censo annuo(una libbra di cera lavorata) nel giorno della festa dei Santi Pietro e Paolo.

26 BAEC, Cartapecore Vagnucci, 10 settembre 1450 (cf. appendice A, n. 9).Il diploma venne ordinato in Neustadt (Nova Civitas) ad Enea SilvioPiccolomini, vescovo di Siena e futuro papa Pio II, segretario personale edambasciatore di Federico, già artefice di un’importante mediazione nelle rela-zioni tra l’Impero e papa Eugenio IV: mediazione sfociata nell’accordo dei pri-mi mesi del 1447, con il quale l’imperatore aveva abbandonato la neutralitàrispetto al conflitto tra il Concilio e il Papato (MIGLIO 2000, p. 647).

27 Nel 1448 Federico III, riconoscendo l’autorità del pontefice neo-eletto,aveva cacciato da Basilea il Concilio, costretto a riparare a Losanna; lo stessoanno era stato stipulato il “Concordato di Vienna” (febbraio-marzo), cheavrebbe regolato i futuri rapporti tra Impero e Papato; nel marzo del 1452,infine, nella basilica di San Pietro, Niccolò V benedisse le nozze di FedericoIII con Eleonora di Portogallo e, tre giorni dopo, lo incoronò solennemente“Imperatore dei Romani” (GRESCHAT-GUERRIERO 1994, pp. 412-416).

28 Sulla rappresentazione dello stemma la bibliografia non è unanime (cf.UGHELLI [1644], tomo II, col. 434; ASSP, Belforti-Mariotti, Serie de’ vescovi...,pp. 266 e 272; DI CROLLALANZA 1887-1890, vol. III, p. 60), ma i numerosiesemplari esistenti (lapidei e dipinti) confermano quanto dichiarato ufficial-mente nel diploma imperiale del 1450 (fig. 4; cf. appendice A, n. 9). Lo scu-do appare in diverse forme (gli esempi più antichi sono del tipo “gotico” o “amandorla”) e presenta il campo smaltato di blu scuro; nel caso del vescovoperugino, poi, esso risulta sormontato dalla mitra ingemmata, dotata di dueappendici svolazzanti (infule). Sulla testa dell’orso svetta una corona, simbolodell’investitura imperiale: quella della nobiltà semplice è costituita da un cer-chio d’oro che sorregge otto perle (o punte), di cui solo cinque visibili(BASCAPÈ-DEL PIAZZO 1983, pp. 486 e 604). Le tre rose sono ciascuna di uncolore diverso: rossa quella all’interno (verso il muso dell’animale), verde lacentrale, bianca quella all’esterno. Di esse apparentemente sfugge il significa-to, ma il numero tre potrebbe indicare i figli (Angelo, Francesco e Niccolò) diGiovanni detto Vagnuccio, che diede il cognome e la discendenza alla fami-glia cortonese; inoltre si noti che “R-O-S-A” è l’anagramma di “O-R-S-A”. Èpossibile che la scelta dell’orso sia da mettere in relazione con il toponimo“Orsaia, villa di Cortona apresso al Trasimeno” (BAEC, Braccioli, Stemmi ebrevi notizie..., c. 7r), vale a dire Ossaia, cittadina a sud di Cortona nella qua-le pare che i Vagnucci abbiano vissuto in esilio al tempo della signoria deiCasali (terminata nel 1409) e dove, in effetti, erigeranno una villa (tutt’ora esi-stente) nella prima metà del ’600. L’etimologia di Ossaia è molto controversa:il riferimento alla strage di Romani nella battaglia del Trasimeno è infondato,mentre il toponimo potrebbe derivare, secondo quanto mi riferisce uno stu-dioso locale, da un personaggio di nome Ursus (da cui “Ursaia” o “Ursaria”),che in latino significa appunto “orso”. Oltre al blasone gentilizio, i discenden-ti di Angelo e Francesco Vagnucci, i fratelli lanaioli che diedero vita ai duerami principali della famiglia, utilizzarono un monogramma simile ad una“&”, derivante dalle iniziali dei nomi dei due avi (ivi, c. 7v). Stemma e siglacompaiono, in diverse realizzazioni lapidee dei secoli XVI-XVIII (figg. 5-7),lungo le vie di Cortona (hotel Sabrina, Monte dei Paschi di Siena, vicoloVagnucci, piazza del Pozzo Cavriglia, casa parrocchiale di San Cristoforo,vicolo della Luna, portico del santuario di Santa Margherita) e presso le dueville che i Vagnucci possedevano a nord di Petrignano del Lago, in località

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Palazzi, e a sud di Cortona, nei pressi di Ossaia (attuale villa Laura); altriesemplari sono testimoniati dal DELLA CELLA (1900, p. 265).

29 Già dal febbraio del 1450 ricopriva nuovamente la carica di luogotenen-te della Camera Apostolica, che mantenne fino al mese di agosto, quando ven-ne nominato, con amplissimi poteri, commissario del PatrimonioEcclesiastico (MORONI 1840-1861, vol. LXXIV, p. 281; BAEC, CartapecoreVagnucci, 4 agosto 1450). Nel 1451 comandava le truppe pontificie, venendoimpegnato soprattutto nel territorio di Viterbo (ivi, 6 maggio 1451; BAEC,Vita del vescovo..., p. 67). Nei primi sei mesi del 1452 esercitò per la terza vol-ta l’ufficio di luogotenente, finché il 30 giugno, scomparso il vescovo di TraùCavaccia, Niccolò V lo nominò definitivamente tesoriere della CameraApostolica, incarico che il Vagnucci ricoprì fino al marzo del 1456, quandoprese possesso della diocesi perugina (MORONI 1840-1861, vol. LXXIV, pp.281-282; BAEC, Cartapecore Vagnucci, 30 giugno 1452). Nel giugno del1453 è citato in una lettera di Poggio Bracciolini a Pietro di Noceto (“Salutacommatrem verbis meis, dominum episcopum perusinum omnesque cubicu-larios”), mentre altre due lettere di Poggio gli sono indirizzate nell’autunno del1454 e nella primavera del 1456 (BRACCIOLINI \ HARTH 1987, pp. 150-151,297-298 e 399). Durante le feste natalizie del 1453 si trovava nei pressi dellabadia di Montecassino, dove si era unito ad una brigata di cacciatori (cf. par.3 e nota 67). Nei primi mesi del 1455 fu incaricato dal pontefice, ammalato-si mortalmente, di intrattenere a corte Ludovico Bentivoglio che, nominato“Cavaliere Aurato” e “Conte Lateranense”, ricevette gli sproni d’oro dal vesco-vo perugino e da Pietro di Noceto (GHIRARDACCI [1596], pp. 156-157).Comunque, nonostante il silenzio di buona parte delle fonti, l’ufficio piùimportante che Iacopo ricoprì sotto Niccolò V fu quello di vicecamerlengo(BAEC, Dignità e uffizi..., p. 146; Vita del vescovo..., p. 67; ACDF, Salvini,Vite e memorie...), documentato dal 9 giugno 1449 al 3 marzo 1452: in que-sta veste il Vagnucci manifestò un’attenzione tutta nuova per gli immobili e irelativi arredi della Camera Apostolica (Archivio di Stato di Roma, CameraleI, Mandati, reg. 831, cc. 117r-266v; cf. CHERUBINI 1988, pp. 38-39 e 78).

30 UGHELLI [1644], tomo I, col. 1164; BAP, Belforti-Mariotti, Serie de’vescovi..., p. 124 (la trascrizione delle Vite di Iacopo e Dionisio è in appendi-ce A, nn. 2 e 5).

31 ASP, ASCP, Riformanze, n. 88 (1452), c. 147r. Il Bottonio (BAP, Annalidel convento..., p. 106) accenna al vescovato del cortonese in relazione al 1454,ma senza riferirsi ad un episodio particolare (“Iacopo Vannucci da Cortonaera vescovo”).

32 BAEC, Vita del vescovo..., p. 67. Sulla politica romana del papa, cf.MALLET 2000, pp. 661-662.

33 MORONI 1840-1861, vol. LXXIV, p. 282.34 BAP, Belforti-Mariotti, Serie de’ vescovi..., p. 124. Cf. anche UGHELLI

[1644], tomo I, col. 1164 (“occepitque sibi creditam administrare Ecclesiamdie 25 mensis martii”).

35 PELLINI 1664, parte II, p. 631. Una breve descrizione di questo solennecorteo si può leggere, oltre che negli Annali del Bottonio (secondo il qualel’ingresso in città sarebbe avvenuto Domenica 21 marzo), nella Cronaca diPietro Angelo di Giovanni (BAP, Bottonio, Annali del convento..., p. 110; DIGIOVANNI \ SCALVANTI 1903, pp. 89-90): dopo aver pernottato a San Martinoin Campo, dove fu ricevuto dall’arciprete della cattedrale Ranieri, Iacopo ven-ne incontrato dalla processione di tutti gli ordini religiosi presso la chiesa diSan Costanzo, fuori la porta omonima; quindi fece il suo ingresso in città,

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montando un bellissimo cavallo ornato di tutto punto e cavalcando sotto unricco baldacchino, che la comunità aveva fatto realizzare a proprie spese appo-sitamente per l’occasione. Una volta smontato presso l’udienza del Cambio, igiovani presero d’assalto gli oggetti e i paramenti destinati al ricevimento,secondo un costume consolidato che si ripeterà con la visita di Pio II (1459),nonostante gli espressi divieti delle autorità.

36 BAEC, Cartapecore Vagnucci, 8 maggio 1456. Il referendario era il fun-zionario della cancelleria pontificia incaricato di esaminare e “sintetizzare” ilcontenuto delle suppliche, prima che queste venissero sottoposte al papa perl’eventuale approvazione.

37 BAEC, Vita del vescovo..., p. 67 (“Il detto monsignore vescovo stette incastello a tempo di papa Calisto e non si partì mai di Roma”).

38 Allo stesso modo, Iacopo era assente da Perugia quando, il 28 giugnoprecedente, era stato rogato nel palazzo vescovile l’atto di procura (fig. 109).Sul Reliquiario Vagnucci, cf. parr. IV, 1-2.

39 COLLARETA 1987a, p. 96, nota 65. Cf. anche MANCINI 1897, p. 337.40 Mi astengo dal delineare il contesto politico-istituzionale della città nel-

la seconda metà del XV secolo, sul quale si potrà consultare, tra gli altri, il sag-gio di CHIACCHELLA-NICO OTTAVIANI (1990, pp. 13-33).

41 Pio II era accompagnato da cinque cardinali: Prospero Colonna (nipotedi Martino V), Pietro Barbo (nipote di Eugenio IV e futuro Paolo II),Rodrigo Borgia (nipote di Callisto III, vicecancelliere e futuro Alessandro VI),Filippo Calandrini (fratello uterino di Niccolò V e vescovo di Bologna) eGuglielmo De Estouteville. Narrano di questo soggiorno i cronisti dell’epoca(DEI VEGHI \ FABRETTI 1850, pp. 632-634; DI GIOVANNI \ SCALVANTI 1903,pp. 139-148), il PELLINI (1664, parte II, p. 650) e lo stesso Pio II nel vol. IIdei suoi Commentari. Cf. anche MARIOTTI 1806, pp. 528-545.

42 Federico da Montefeltro (1422-1482), conte di Urbino dal 1444, essendogiunto a Perugia con settanta cavalli, venne incontrato da alcuni vescovi (tra cuiforse il Vagnucci) e da un nipote di Pio II (Francesco Piccolomini?) che lo accom-pagnarono al palazzo del governatore, dove il papa non tardò a dargli udienza.

43 Questo venne assegnato, nel novembre del 1459, al vicetesoriereNiccolò Forteguerri da Pistoia, vescovo di Teano (1458-1473) e familiare delpapa (cf. EUBEL 1913, p. 249); vi aspirava anche Bartolomeo Regas, canoni-co di Vich e Barcellona (MARINI 1784, p. 157).

44 TARGIONI TOZZETTI 1779, p. 30.45 ASP, ASCP, Riformanze, n. 96 (1460), c. 55. Cf. BAP, Belforti-Mariotti,

Serie de’ vescovi..., p. 126.46 Sigismondo, reo di non aver accettato le rinunce territoriali impostegli dal

Concilio di Mantova e, soprattutto, convinto sostenitore della causa angioinain Italia, venne colpito da scomunica papale nel dicembre del 1460; la guerra,condotta dal suo nemico giurato Federico da Montefeltro, generale della Chiesae signore di Urbino, si concluse nel settembre-ottobre del 1463, con la capito-lazione di Fano (che passò in vicariato a Federico) e Senigallia: al Malatestarimase appena il possesso di Rimini, a suo fratello Domenico (MalatestaNovello) quello di Cesena (PELLEGRINI 2000, pp. 677-678). Con l’istituzionedella signoria-vicariato di Antonio Piccolomini, la Curia romana entrava diret-tamente nella gestione politica della Marca, mantenendo tuttavia una continui-tà col passato: un semplice funzionario papale, infatti, non avrebbe dato suffi-cienti garanzie contro l’oligarchia locale che, d’altra parte, non tardò a venire incontrasti con il Piccolomini (CARAVALE-CARACCIOLO 1978, pp. 83-84).

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47 MORONI 1840-1861, vol. LXVI, pp. 216-217 e 242. Diversamente dalsuo predecessore, Paolo II optò per un funzionario nel quale riponeva grandefiducia, capace di affrontare l’oligarchia locale e di allontanare dalla Marca lemire dei Malatesta (CARAVALE-CARACCIOLO 1978, p. 93). In questo biennio irapporti tra Iacopo e il pontefice furono molto intensi, come testimonianoben 16 brevi, inviati da Roma e firmati Leonardo Dati (BAEC, CartapecoreVagnucci, dal 28 settembre 1464 al 12 maggio 1466).

48 BAEC, Vita del vescovo..., pp. 67-68. Sulla laurea perugina diPierlorenzo, cf. FROVA-GIUBBINI-PANZANELLI FRATONI 2003, pp. 47 e139-141.

49 BAEC, Cartapecore Vagnucci, 26 settembre 1466. Anche durante questosecondo governatorato, le relazioni con Paolo II sono ampiamente documenta-te da altri 17 brevi firmati Leonardo Dati (ivi, dal 16 ottobre 1466 al 31 luglio1470). Sappiamo che negli anni di questa ulteriore assenza dalla diocesi perugi-na, precisamente tra il 1465 e il 1473, molti beni del vescovato furono dalVagnucci concessi in enfiteusi (BAP, Belforti-Mariotti, Serie de’ vescovi..., p. 126).

50 La cittadina, da sempre gelosa dei suoi privilegi e delle sue antichelibertà, nemica tradizionale di Spoleto e di Ascoli Piceno (che si era vistasottrarre il possesso di Arquata), aveva attirato su di sé le antipatie di PaoloII (ancor prima che questi divenisse papa), il quale ebbe a definire i nursini“i più cattivi homini del mondo”. Ribellatasi apertamente alla Santa Sede,Norcia prima fu sottoposta ad interdetto (gennaio del 1466), quindi vennescomunicata (dicembre successivo), dovendo infine cedere all’esercito pon-tificio guidato da Braccio Baglioni (signore di Perugia) ed accettare, per laprima volta, un governatore apostolico ed una rocca entro le proprie mura.Iacopo, giunto a Norcia ai primi del 1467, passò gli ultimi mesi invernalicon il campo, sottomise tutta la regione all’autorità pontificia e scongiurò lemire territoriali dei Da Varano, signori di Camerino, che intendevanoapprofittare della situazione per impadronirsi di Norcia (BAEC, CartapecoreVagnucci, 1 gennaio 1466, 23 dicembre 1466, dal 22 gennaio al 15 marzo1467; Vita del vescovo..., p. 68; DE REGUARDATI 1989, p. 61; CORDELLA1995, p. 12).

51 Con due brevi papali, il Vagnucci fu incaricato di avviare i lavori di con-solidamento dei palazzi del Podestà di Narni e Spoleto e, nella seconda citta-dina, di un ponte ausiliario della rocca Albornoziana (“pontem sussidiariumsive succursus arci”), quest’ultima presidio papale, nonché dimora abituale delgovernatore, e meta obbligata di qualsiasi viaggio dei pontefici nel nord delloStato Ecclesiastico (BAEC, Cartapecore Vagnucci, 13 giugno 1469).

52 Ivi, 7 dicembre 1468; DI GIOVANNI \ SCALVANTI 1903, pp. 219-221;PELLINI 1664, parte II, p. 699. I motivi di questo secondo viaggio dell’impe-ratore sono sempre rimasti oscuri (cf. MODIGLIANI 2000, pp. 694-695).

53 UGHELLI [1644], tomo I, col. 1164; CRISPOLTI iunior 1648, p. 270. Cf.anche BAP, Baglioni, Perugia sagra..., c. 115v; Belforti-Mariotti, Serie de’ vesco-vi..., p. 124.

54 Dagli Annali del comune risulta che Federico era accompagnato daquattro vescovi commissari del papa, tra i quali potrebbero riconoscersi ilVagnucci e il Della Rovere (ASP, ASCP, Riformanze, n. 105 [1469], c. 5). Nelmarzo del 1471, invece, transitò per Perugia, con una magnificenza addirittu-ra superiore, Borso d’Este, duca di Modena e marchese di Ferrara, che si reca-va a Roma per ricevere da Paolo II il titolo di duca (DI GIOVANNI \ SCALVANTI1903, p. 231; PELLINI 1664, parte II, p. 709).

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55 Questi, tutti canonisti (dottori in lettere decretali), furono nell’ordine:Giovambattista Manzoli di Bologna, Fabiano Benci di Montepulciano,Niccolò de’ Ferretti di Montefortino (Marche), Antonio Passamedi di Castro(Lazio), Antonio Pagani di Fermo e, infine, Forese Vagnucci di Cortona (sipresume un parente di Iacopo, ma non compare nella genealogia). Durante ilpontificato di Sisto IV, si succederanno, dopo Michelangelo Barbi di Cortona,ancora Forese Vagnucci e Antonio Pagani, l’ultimo dei quali proseguirà il pro-prio mandato sotto il nuovo vescovo Dionisio Vagnucci (vedi, tra le varie fon-ti, BAP, Belforti-Mariotti, Serie de’ vescovi..., p. 126).

56 L’Università perugina, fondata nel 1308, conosce nel corso del ’400 unaradicale trasformazione dei suoi ordinamenti e dei suoi privilegi: nata infatticome “Studio della medievale monarchia universale” (donde l’epiteto di“generale”), essendo guidata e sostenuta dal comune col beneplacito dell’au-torità imperiale e di quella pontificia, vivrà successivamente solo per direttaconcessione signorile, con tutte le limitazioni e le ingerenze che ne consegui-ranno. Emblematica, nel primo quarto del ’400, è la costante preoccupazionedel comune di garantirne la sopravvivenza, ogni qual volta esso pattuisce ladedizione in signoria della città (ERMINI 1971, pp. 189-195). A partire dal1424, ristabilita da Martino V (1417-1431) la diretta sovranità pontificia suPerugia, il signore con cui dialoga l’Università non è Malatesta Baglioni (inquell’anno succeduto al cognato Braccio Fortebracci da Montone), ma ilpapa, rappresentato dal governatore (o legato papale) e dal vescovo cittadino:mentre il primo rende esecutiva la volontà del signore-pontefice, il secondosvolge la funzione di supervisore dell’intera vita universitaria.

57 Ivi, pp. 406 e 470. Nel 1443 si era aggiunto il collegio di San Girolamoo Sapienza Nuova, aperta, sul modello della prima (divenuta “Vecchia”), pervolontà testamentaria di monsignor Benedetto Guidalotti: ne erano superiorii consoli della Mercanzia e il priore della cattedrale; il primo rettore fu mon-signor Angelo Geraldini da Amelia, vicario generale del vescovo peruginoGiovanni Andrea Baglioni.

58 Questi, riunitosi nel febbraio del 1450 col priore di Montemorcino fraPaolo da Bologna, decretò di portare da sei ad otto gli anni di permanenza nelcollegio (per una retta complessiva di 50-60 fiorini d’oro), venendo così incon-tro alle aspettative degli studenti, esasperati dai continui disagi causati dallapestilenza del 1448-1450. Viceversa, gli scolari non furono affatto contentiquando, nel 1452, vennero privati del diritto, fino ad allora intangibile, di eleg-gere autonomamente il proprio rettore: il Vagnucci e il priore diMontemorcino fra Bartolomeo da Firenze, confermati i mandati già affidatiper il 1452 a Niccolò da Cortona e per il 1453 a Cristoforo da Ragusa, sanci-rono che, a partire dal 1454, la nomina del rettore sarebbe stata disposta adanni alterni dal vescovo e dal priore di Montemorcino, venendo comunquesottoscritta da entrambi. La medesima normativa rendeva poi vincolantel’usanza, invalsa fino ad allora, che il rettore neo-eletto corrispondesse un emo-lumento alle suddette autorità (ANGELETTI-BERTINI 1993, pp. 165-167 e 492).

59 Ne derivarono numerose intemperanze: gli studenti impedirono ai prio-ri la visita annuale alla Sapienza Vecchia, anche rivolgendo loro parole ingiu-riose; boicottarono e disturbarono in tutti i modi la celebrazione della festa diSant’Ercolano; “congiuravano perché nessuno scolaro assumesse più i gradiaccademici in Perugia, e minacciosi ostentavano perfino contro il governato-re e il vescovo schioppi e altre armi”; progettavano di trasferirsi in massanell’Università di Siena (ERMINI 1971, p. 199).

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60 Ivi, pp. 199-200. Cf. anche ANGELETTI-BERTINI 1993, pp. 171-172.61 DEI VEGHI \ FABRETTI 1850, p. 635. Cf. anche PELLINI 1664, parte II, p.

651. Tutta la vicenda è narrata minuziosamente pure nel Diario di Angelo diGiovanni (DI GIOVANNI \ SCALVANTI 1903, pp. 136-153). Dalle cronacheveniamo a sapere che all’irruzione nei locali della Sapienza partecipò monsignorFrancesco Piccolomini, nipote di papa Pio II, che si era trattenuto a Perugia.

62 Infatti i priori, allo scopo di giustificare il proprio discutibile operato,inviarono un’ambasceria a Pio II, rimettendo lo Studio nelle mani del ponte-fice e chiedendone addirittura una riforma costituzionale. Questa arriverà neiprimi mesi del 1467 ad opera di Paolo II, decretando il tramonto definitivodei tradizionali organi del governo universitario (soprattutto la magistraturacomunale dei Savi e l’organismo della Università degli scolari) e demandandoal legato papale tutte le questioni relative ai lettori, tra cui quelle spinose del-le nomine e dei salari (ERMINI 1971, pp. 200-205).

63 ANGELETTI-BERTINI 1993, p. 173.64 Ivi, pp. 173-174. Tutti i provvedimenti di cui si è detto sono registrati

nelle Costituzioni della casa degli scolari di San Gregorio, leggibili in duplicecopia presso l’Archivio di Stato (ms. del vescovo) e presso la BibliotecaAugusta (ms. del monastero di Montemorcino): nel secondo, segnato ms.1239, le costituzioni dettate dal Vagnucci si trovano alle cc. 34r-47r (la tra-scrizione e la traduzione del testo sono in ANGELETTI-BERTINI 1993, pp. 410-437). Si noti che l’ultimo estensore della Vita di Iacopo fa riferimenti moltoprecisi alle costituzioni di proprietà del vescovato (ASP, Collegio dellaSapienza Vecchia, Miscellanea, misc. 1), delle quali evidentemente aveva pre-so visione in prima persona (BAEC, Vita del vescovo..., pp. 69-70).

65 ERMINI 1971, pp. 244-245. L’ordine degli stipendi è pubblicato inMAJARELLI-NICOLINI 1962, pp. 389-394.

66 MAGLIANI 1992, p. 299, nota 17; SCARPELLINI 1992, p. 580.67 Nel 1448 Iacopo aveva ricevuto in prestito dal Valla le Eleganze della

lingua latina; il Biondo, nella Italia illustrata, elogia il Vagnucci quale uno deipiù illustri italiani viventi (“[Cortona] quam Iacobus perusinus episcopuscivis suus nunc plurimum exornat”); il Piccolomini, in una sua Opera inedi-ta, narra l’incontro dei dotti coi cacciatori e riserva a Iacopo parole di gran-de stima; Poggio Bracciolini gli diresse delle lettere (cf. nota 29); frateAmbrogio di Cora gli dedicò il trattato De sacerdotum vita (MANCINI 1891,p. 236; IDEM 1897, p. 337; IDEM 1898, p. 45). L’abate Girolamo Aliotti,scrittore benedettino, gli indirizzò una lettera nel 1473, in cui lo definisce“beatum et opulentum episcopum” (SCARMALLI 1769, pp. 10-11: lettera n. 6del libro VIII, datata Arezzo 7 febbraio 1473).

68 BAEC, ms. 529, c. 76; ms. 708, c. 26 (cf. MANCINI 1898, pp. 44-45).69 L’istituzione del Monte dei Poveri, che vide l’approvazione dei propri capi-

toli il 28 aprile 1462, ma che ufficialmente iniziò a funzionare solo il 25 febbra-io 1463, ruota intorno a due quesiti, a lungo dibattuti dagli studiosi non senzaun pizzico di campanilismo: trascurando il problema della priorità del progetto(contesa da altre città dell’Italia centrale, tra cui Ascoli Piceno ed Orvieto), èimportante invece considerare la questione della sua attribuzione, distinguendotra merito dell’idea e merito dell’attuazione. Quanto al primo punto, esiste una“tradizione municipale” perugina (sostenuta dai documenti comunali e dalleantiche cronache) che fa insistentemente il nome di fra Michele Carcano daMilano, il quale, chiamato a predicare durante la Quaresima del 1462, si sca-gliò contro la tolleranza del comune nei confronti dell’usura ebraica. Tuttavia,

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vari filoni di una “tradizione francescana” inducono a concludere che l’idea siagerminata e maturata nell’ambiente dell’Osservanza (che a Perugia aveva il suocentro nel convento di Monteripido), grazie soprattutto al ruolo attivo di fraBarnaba Manassei da Terni e fra Fortunato Coppoli da Perugia. Quanto alsecondo punto, è indubitabile che l’effettiva realizzazione del Monte fu il risul-tato di un concorso di forze, dove però una parte fondamentale venne svoltadall’autorità ecclesiastica, primi fra tutti i legati papali Ermolao Barbaro eBerardo Eroli (rispettivamente vescovi di Verona e Spoleto) e il vescovo perugi-no Vagnucci, quest’ultimo sicuramente in rapporti molto stretti con l’ambientefrancescano e, in particolare, col Coppoli (MAJARELLI-NICOLINI 1962, pp. 133-142; CUTINI-GROHMANN 2000, pp. 45-58; sul fenomeno dei Monti inUmbria, cf. GHINATO 1969, pp. 475-517).

70 ASP, ASCP, Riformanze, n. 98 (1462), c. 28r. Se i funzionari del comu-ne poterono occuparsi dell’organizzazione tecnico-finanziaria del nascenteistituto, fu altresì necessaria la competenza giuridico-canonica di uomini qua-li il Vagnucci (MAJARELLI-NICOLINI 1962, pp. 109-116; il documento del-l’adunanza, volgarizzato e anteposto al testo dei capitoli a mo’ di proemio, èpubblicato alle pp. 260-261).

71 Il ritardo nell’inizio delle attività di prestito fu causato dal mancato finan-ziamento di 3000 fiorini che il comune aveva deliberato per il Monte, problemainfine risolto con un prestito ebraico di 2000 fiorini (ivi, pp. 142-150).

72 ASP, ASCP, Copiari di privilegi, bolle, brevi e lettere, reg. 2 (1439-1473),c. 89rv; Miscellanea, reg. 65 (Costituzioni e atti diversi riguardanti il Monte diPietà), carta sciolta originale. Su questi due documenti e per la loro trascrizio-ne, cf. MAJARELLI-NICOLINI 1962, pp. 36-37, 148-149 e 323-327. Non èchiaro se il fondaco in questione sia da identificarsi con quello attiguo alla salad’udienza del Cambio, affittato dal collegio alla nuova istituzione almeno dal1465. Ad ogni modo, mentre il primo Monte si stabiliva in posizione centra-le, vicino alle sedi delle arti del Cambio e della Mercanzia, cui era affidata lagestione “tecnica” dell’istituto, il secondo e il terzo Monte (1471 e 1473) pre-sero stanza non molto lontano, nel lato di palazzo Baldeschi che si affaccia sulRimbocco della Salsa (odierna via Danzetta). Nel 1516 il secondo e il terzoMonte si portarono presso i locali appartenenti all’ospedale della Misericordia,con due ingressi distinti in via della Pesceria (attuale via Oberdan), finché nel1572, in seguito all’accorpamento di tutte le sedi in una sola struttura, ancheil primo Monte raggiunse i locali occupati dagli altri due. L’ingresso al secon-do Monte, dove l’istituto ha continuato ad esistere fino al 1972, è tutt’oggivisibile sopra quattro scalini all’imbocco di via Oberdan (fig. 8): all’interno,sopra l’enfatica scritta “HIC MONS PIETATIS PRIMUS IN ORBE FUIT”, più volteriportata dalla letteratura perugina, si trovava un dipinto (ora presso l’ex-Banca dell’Umbria) raffigurante il Beato Giacomo della Marca (nativo diMonteprandone) nell’atto di sorreggere i simboli del Monte di Pietà (SIEPI1822, p. 451; ROSSI 1887, pp. 34-36; MAJARELLI-NICOLINI 1962, pp. 149-150; CUTINI-GROHMANN 2000, pp. 79-88).

73 Nel medesimo scritto, circa il quesito se la vertenza dovesse essere risoltadai teologi o dai canonisti, Iacopo prendeva una netta posizione in favore deisecondi: si ricorderà infatti che egli era dottore in utroque iure (DE BUSTIS1497, cc. 24ra, 40vb, 53va-54rb; cf. MAJARELLI-NICOLINI 1962, pp. 198-199).

74 Il Ballarini lesse il testo del Vagnucci in una raccolta di consilia apparte-nuta al beato Bernardino da Feltre, già conservata nel convento francescano diquella città ed oggi dispersa (BALLARINI 1747, pp. 90-91; cf. MAJARELLI-NICOLINI 1962, pp. 101-104 e 196, nota 2).

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75 BAEC, Coppoli, Consilium..., c. 3v. Questo consilium, probabilmentegià scritto nel 1469 (i sottoscrittori sono tutti di Spoleto, dove il frate predi-cò nella Quaresima di quell’anno), è conservato solo a Cortona (dove il fratepredicò nell’Avvento del 1471), forse perché venne utilizzato in quella cittàper superare le solite polemiche relative al Monte locale (MAJARELLI-NICOLINI1962, pp. 44-45).

76 ASP, Sezione di Spoleto, Archivio Storico del Comune di Spoleto,Riformanze, Serie I (1352-1541), n. 45 (1469), c. 44r. Il testo dell’atto di fon-dazione è in MAJARELLI-NICOLINI 1962, pp. 418-420.

77 Archivio Storico del Comune di Amelia, Riformanze, n. 42 (1470), c.159r. A questo Monte è dedicata la monografia di GHINATO (1956).

78 BAEC, Originale dell’atto di fondazione..., cc. 5v e 9r (“Item, per insinose incominciarà a exercitare decto offitio, havemo ordinati et deputati sopra-stanti a exigere et fare exigere tucti debitori, et omne altra quantità di denarefusse al presente consignata et deputata al servizio del Monte a quella perl’avenire fusse consignata, messer Pierlorenzo di Francesco Vangiucci etFrancesco de Nicolò Puntelli”). Emblematico è anche il capitolo 26 degli sta-tuti cortonesi, che dichiara esplicitamente la discendenza da quelli peruginiriformati del 1468 (ivi, c. 10r). Il testo dell’atto di fondazione è in MAJARELLI-NICOLINI 1962, pp. 424-425: i due studiosi, mentre hanno evidenziato ildenominatore comune rappresentato dal Coppoli (ivi, pp. 211-212), non sisono accorti del nesso di parentela di cui si è detto, tant’è che nell’Indice i duefratelli Vagnucci risultano elencati sotto voci diverse.

79 Ivi, pp. 162-178.80 Sulla vita di Francesco Della Rovere, prima che venisse nominato papa,

cf. LOMBARDI 2000, pp. 701-704.81 Qui risulta documentato, in qualità di lettore, nel 1453 (ASP, ASCP,

Riformanze, n. 89 [1453], c. 114r; cf. ERMINI 1971, p. 579). Il Della Rovere,memore del prolungato soggiorno perugino, manifestò sempre grande consi-derazione per lo Studio francescano e per quello municipale: vi mandò adapprendere le discipline sacre, umane e giuridiche il nipote predilettoGiuliano Della Rovere (futuro papa Giulio II), le cui fortune sarebbero ini-ziate con la nomina a pontefice dello zio paterno; nel 1483, a distanza esattadi trent’anni da quel suo lettorato, diede inizio alla costruzione del palazzodell’Università Vecchia (sopra le botteghe dell’ospedale della Misericordia, inpiazza Matteotti), che rimase la sede dello Studio cittadino fino al 1811(PELLINI 1664, parte II, p. 813-814).

82 ASP, ASCP, Riformanze, n. 100 (1464), c. 50; n. 103 (1467), c. 53.83 CRISPOLTI iunior 1648, p. 85; BAP, Baglioni, Perugia sagra..., c. 115v (nota

a margine della carta). Dopo la caduta dell’ultimo baluardo latino in Terra Santa(1291), nella chiesa di San Luca a Perugia si era trasferita la casa-madre dell’ordi-ne dei cavalieri del Santo Sepolcro (arcipriorato di Gerusalemme). Dal Crispoltiveniamo a sapere che lo stemma marmoreo del pontefice compariva nella faccia-ta dell’edificio adiacente alla chiesa, riedificato nel 1484 per iniziativa di “CATA-NEUS DE TRAVERSAGNIS” da Savona (iscrizione del portale), suo conterraneo e suc-cessore nell’arcipriorato. A partire dal 1489 tutto il complesso passò ai cavalieridi San Giovanni, all’epoca detti di Rodi, successivamente di Malta.

84 Dal 1437 alla nomina cardinalizia (1439), il Bessarione fu metropolitadi Nicea, titolo che il Vagnucci avrebbe detenuto dal 1482 alla morte (1487);nel 1438-1439 fu il principale oratore dei greci al Concilio di Ferrara-Firenze,di cui pronunciò il discorso inaugurale. Dopo aver preso parte all’elezione del

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primo patriarca unitario di Costantinopoli (Metrofane II), si stabilì alla cortefiorentina di Eugenio IV (1440), entrando nella cerchia degli umanisti e, suc-cessivamente (1443), trasferendosi a Roma con la Curia. Sino al 1449 ebbe incommenda l’abbazia benedettina di San Giuliano a Rimini, città di cui ilVagnucci era vescovo (1448-1449); fu incaricato della ricognizione delle reli-quie di san Lorenzo martire (1447) e della canonizzazione di san Bernardinoda Siena (1449-1450); divenne il protettore dell’ordine di San Basilio, che aPerugia possedeva la chiesa di San Matteo degli Armeni. Nel 1450 subentròal Vagnucci come governatore di Bologna, città che lasciò alla morte diNiccolò V (1455), transitando per Perugia durante il ritorno nella capitalepontificia. A Roma il cardinale riunì intorno a sé un circolo di umanisti(“Accademia di Bessarione”), e tra questi fu particolarmente amico di LorenzoValla e del Platina; ebbe rapporti molto cordiali con l’imperatore Federico IIIe con il signore di Urbino Federico da Montefeltro; il suo segretario predilet-to, l’ecclesiastico Niccolò Perotti, era cittadino perugino e dal 1474 al 1477 fugovernatore della città umbra. Si noti infine che le Tavolette di San Bernardinodi Perugia (1473), provenienti da un contesto minoritico, potrebbero celareun omaggio al protettore dei francescani da poco scomparso (1472). Per labibliografia sul Bessarione, cf. nota 24; sulle tavolette, si veda il par. III, 2.

85 I due intrapresero il viaggio in rappresentanza e a spese del comune,accompagnati da amici e familiari, tutti vestiti di bruno (DI GIOVANNI \SCALVANTI 1903, p. 239; PELLINI 1664, parte II, pp. 719-720; BAP, Baglioni,Perugia sagra..., c. 115v). Battista Sforza morì a Gubbio nel luglio del 1472,dopo aver dato alla luce Guidobaldo, il sospirato erede maschio. Due annidopo, nel 1474, Federico da Montefeltro avrebbe suggellato la propria intesacon Sisto IV, venendo nominato capitano generale della Chiesa, ottenendo iltitolo di duca di Urbino e concedendo in sposa la figlia Giovanna a GiovanniDella Rovere, nipote del papa e signore di Senigallia.

86 BAEC, Cartapecore Vagnucci, 13 ottobre 1472 (in questo documento ilVagnucci concede alcune terre in livello a vari concessionari). Nel 1479 ilnipote Dionisio, succeduto allo zio nella commenda, avrebbe nominato pro-curatore generale alle liti un canonico cortonese (BAEC, ms. 616, c. 7).

87 Tutte le precedenti investiture sono testimoniate, a mo’ di riepilogo, dal-la bolla con la quale, nel 1519, papa Leone X concede il tenimento diPetrignano alla famiglia cortonese dei Passerini, che ne resteranno signori finoal 1737 (per il testo della bolla, cf. GAMURRINI 1671, pp. 70-75). Si conser-vano otto ricevute della Camera Apostolica ai fratelli Pietro ed OnofrioVagnucci, attestanti l’avvenuto pagamento di una libbra di cera lavorata(ovvero baiocchi 12) come censo annuo per la Posta di Petrignano; nel 1479presentò la cera il Vagnucci, che si trovava a Roma come vicecamerlengo(BAEC, Cartapecore Vagnucci, dal 29 giugno 1478 al 29 giugno 1490).

88 Non è chiaro quanto il papa fosse realmente implicato in questa congiu-ra: ad ogni modo, la sua posizione ne uscì gravemente indebolita, mentre irapporti con Firenze si fecero estremamente tesi (LOMBARDI 2000, p. 708).

89 DA BISTICCI \ GRECO 1970-1976, vol. II, p. 42. Cf. anche D’ADDARIO1960, p. 81.

90 BAEC, Cartapecore Vagnucci, 10 luglio, 27 luglio e 7 agosto 1478 (il pri-mo documento è il breve di nomina, il secondo e il terzo sono brevi inviati daBracciano, dove si trovava il pontefice). Cf. anche MORONI 1840-1861, vol.XXXII, p. 38; MANCINI 1897, p. 337.

91 Si tratta della congregazione bolognese di San Salvatore (militante sotto laregola di sant’Agostino), i cui canonici erano detti volgarmente “Scopetini” (dal

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convento di San Donato in Scopeto di loro pertinenza), la stessa che dal 1487prenderà in custodia la chiesa di Santa Maria del Calcinaio a Cortona. Nellaseconda metà del ’400, dagli Annali Decemvirali risultano numerose richieste,inoltrate da questi frati al comune perugino, per sovvenzioni ed elemosine desti-nate alla ristrutturazione e all’ampliamento del loro complesso monastico.

92 BAP, Baglioni, Perugia sagra..., cc. 115rv e 117v. Cf. anche PELLINI1664, parte II, p. 807; BAP, Belforti-Mariotti, Serie de’ vescovi..., pp. 125-126.

93 PANTONI 1954, pp. 236-237 e 245-246.94 Nicea, antica città della Bitinia famosa per il Concilio del 325, è

l’odierna Iznik, piccolo villaggio situato sulle rive del lago omonimo. Dopol’occupazione turca (1331), continuò a sussistere come sede metropolitanabizantina (anche se i vescovati suffraganei vennero soppressi), mentre l’arci-vescovato latino divenne in partibus infidelium: si tratta di un semplice tito-lo onorifico assegnato ai vescovi (detti pertanto “titolari”) delle soppressesedi latine, i quali, non potendovi fare residenza, si limitavano a coadiuvarenell’esercizio delle funzioni episcopali i vescovi delle grandi diocesi occiden-tali, anche sostituendoli durante eventuali periodi di assenza (vicarii in pon-tificalibus). Nel caso specifico, Iacopo Vagnucci, pur percependo la renditarelativa al suo titolo di metropolita latino, poté ritirarsi a vita privata nonlontano da Perugia, dove avrebbe assistito nell’esercizio della carica vescovi-le il giovane e inesperto nipote Dionisio.

95 BAEC, Cartapecore Vagnucci, 29 maggio 1482. Si tratta di sei bolle, laprima delle quali indirizzata a Iacopo (fig. 9), le restanti al nipote Dionisio(fig. 13). Cf. anche UGHELLI [1644], tomo I, col. 1164.

96 RIGANELLI 2003, pp. 15-34. Si vedano in particolare le pp. 20-23 sulleprerogative (religiose, sociali, giuridiche, politiche) e sulle pertinenze territo-riali dell’antica pieve di San Giovanni.

97 Ivi, pp. 28-34.98 PICCOLPASSO \ CECCHINI 1963, p. 154, nota 8.99 CIANINI PIEROTTI 1996, p. 236.100 Sul contributo dato alla causa del duomo dai due prelati, si veda il par.

II, 1. La cappella di San Giovanni, che si affaccia sul primo cortile del castello,recava, fino al principio del secolo scorso, i battenti lignei oggi conservati nelMuseo della Pieve, opera pregevole dell’intagliatore Paolino da Ascoli: neglispecchi quadrati del quarto livello dal basso e, in foggia ridotta, in quelli del pri-mo e terzo ordine compaiono gli stemmi vescovili della famiglia Baglioni.

101 BAP, Belforti-Mariotti, Serie de’ vescovi..., p. 125; Fabretti, Memorie diCorciano..., pp. 112-113 e 115-116; ASSP, Belforti-Mariotti, Memorie istori-che..., pp. 654-655. Il Fabretti ci informa che nel documento del 1459 la pie-ve viene denominata “plebs Sancti Ioannis intra montes et prope villamMigiane, que vocatur la Pieve del Vescovo districtus dicte ville Migiane”:infatti a queste date il castello non fa più parte del territorio corcianese, madipende dalla comunità di Migiana di monte Malbe.

102 Sulle varie fasi della vicenda giudiziaria, cf. RIGANELLI 1999, pp. 288-290; ANGELUCCI MEZZETTI 2000, pp. 3-28.

103 Questa clausola richiama alla mente il menzionato episodio del 1453,quando, durante le feste natalizie, il Vagnucci si trovava presso Montecassino,impegnato con una brigata di amici in una battuta di caccia, lo sport da luiprediletto (cf. par. 3 e nota 67). Sull’attività venatoria nella comunità diCorciano, cf. RIGANELLI 1999, pp. 269-271.

104 IDEM 2003, p. 34. Sulla fiera di Pieve del Vescovo (che si svolgeva il 23-24 giugno, in occasione della festa di San Giovanni), cf. anche GROHMANN

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1981, pp. 784-786; RIGANELLI 1997, p. 216; IDEM 1999, pp. 364-366. Circala possibilità che le origini di questa fiera vadano ricondotte all’attenzione dimo-strata dai vescovi perugini verso la dimensione economica della pieve, si ricordil’intervento del Vagnucci a favore della più rinomata fiera della Maddalena diSenigallia, quando nel 1464 venne nominato da Paolo II governatore di Fano.

105 Questa soluzione viene imitata dal più tardo stemma del vescovoGiovanni Lopez da Valenza (1492-1498), stemma che compare, tra le nume-rose repliche conservate alla pieve, sul lato corto del medesimo corpo di fab-brica. L’emblema, che rappresenta un lupo passante, è stato inizialmente rife-rito al vescovo perugino Salvo morto nel 1244 (GALLI 2001, p. 24), ma latestimonianza del Crispolti (che lo vedeva “nella facciata del vescovato, cherisponde nella piazza, e ancora in una facciata del palazzo della pieve diCorciano”), confermata da un documento munito del sigillo del Lopez, rin-venuto di recente nell’Archivio Diocesano di Perugia, permette di ascriveredefinitivamente questo stemma al valenzano, al quale di norma i blasonariassegnano un toro bianco su campo rosso-verde (BAP, Bigazzini, Vescovi..., c.9v; CRISPOLTI iunior 1648, pp. 271-272): evidentemente è nata confusionecon l’arme di papa Alessandro VI Borgia (1492-1503), del quale Giovanni eraconcittadino e “familiare”. Già datario del pontefice, il Lopez tenne il seggiovescovile di Perugia dal dicembre del 1492 all’ottobre del 1498, quando ven-ne trasferito nella sede arcivescovile capuana; fu nominato cardinale prete coltitolo di Santa Maria in Trastevere nel 1496, venendo quindi chiamato il “car-dinale di Perugia”; dal 1499 sino alla morte (1501) tenne il vescovato diPerugia “in administratione” (UGHELLI [1644], tomo I, col. 1164; GAMS1873, p. 714; EUBEL 1913, p. 214).

106 BAEC, Dignità e uffizi..., p. 147.107 Una descrizione dettagliata del rito funerario, organizzato pomposa-

mente e scenograficamente senza badare a spese, può essere letta nella crona-ca di Pietro Angelo DI GIOVANNI \ SCALVANTI 1903, p. 401. Cf. anche BAP,Bottonio, Annali del convento..., p. 168; CRISPOLTI iunior 1648, pp. 72 e 270;PELLINI 1664, parte II, pp. 833-834. La traslazione provvisoria nell’oratoriodi San Bernardino non ebbe solo motivi logistici (probabilmente il feretroentrò da porta Santa Susanna), ma sta anche ad indicare i frequenti rapportiche il Vagnucci ebbe coi francescani nel corso della propria vita.

108 UCCELLI 1835, p. 112, nota 7.109 ASF, Notarile Antecosimiano, C (1400-1561), reg. 682 (1471-1485), c. 2.

Sotto il pontificato di Sisto IV si consolidò la pratica, destinata a svilupparsialquanto con i suoi successori, della vendita degli uffici, molti dei quali vacabi-li, cioè trasferibili ad una terza persona una volta pagato il diritto (LOMBARDI2000, p. 710): infatti l’ufficio di Dionisio venne acquistato, entro il 1469, daun certo Matteo di Castiglione Aretino (BAEC, Vita del vescovo..., p. 68).

110 Cf. EUBEL 1913, p. 214, in nota.111 BAEC, Cartapecore Vagnucci, 9 aprile 1472 e 7 febbraio 1476. L’abbazia

di Sant’Egidio (oggi distrutta), già situata sul monte omonimo (detto di Fieridal nome di un’antica famiglia), apparteneva ai Camaldolesi, che ne erano tor-nati in possesso nel 1433; invece la chiesa di San Pietro (anch’essa distrutta)era detta di Marzanello, perché nel Medioevo dipendeva dall’abbazia diMarzano nella diocesi di Città di Castello (TAFI 1989, pp. 280 e 398).

112 BAEC, Cartapecore Vagnucci, 29 maggio 1482 (cinque bolle).113 Ivi, 24 giugno 1482. In questo documento Dionisio cede il canonica-

to cortonese al chierico quindicenne Angelo di Francesco Vagnucci, suo con-giunto (si tratta di un nipote del lanaiolo Angelo).

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114 PANTONI 1954, pp. 252 e 255. San Severo dipendeva dalla badia di SanSalvatore di monte Acuto, tornata ai Camaldolesi nel 1435, come era avvenu-to per l’abbazia di Sant’Egidio presso Cortona, di cui Dionisio era stato com-mendatario.

115 Come è noto, a partire dai lavori indetti per il giubileo del 1475, papaSisto IV inaugurò un ampio programma di rinnovamento edilizio della cittàdi Roma, dove fu tutto un proliferare di lapidi commemorative: se ne conta-vano ben centodiciotto, di cui ottantotto ancora conservate, le rimanenti noteattraverso copie (LOMBARDI 2000, p. 711).

116 CRISPOLTI iunior 1648, pp. 95-97 e 270. La chiesa odierna venne edi-ficata intorno alla metà del ’700, in posizione trasversale rispetto all’edificioprimitivo che, invece, occupava il sito della piazzetta e dell’ex-monasteroattuali. Non è stato possibile rinvenire la lapide celebrativa, che il Pantonidichiara ancora esistente ai suoi tempi (1954). Questo il testo dell’iscrizione:“NOTUM SIT OMNIBUS INSPECTURIS QUALITER ALTARIA HUIUS ECCLESIAE SAN-CTI SEVERI FUERUNT CONSECRATA PER REVERENDISSIMUM DOMINUM DIONY-SIUM, DEI GRATIA ET APOSTOLICAE SEDIS CIVITATIS PERUSIAE EPISCOPUM. NAMMAIUS AD HONOREM SANCTI SEVERI, SECUNDUM IN SEPTENTRIONE AD HONO-REM MARIAE VIRGINIS, TERTIUM IN MERIDIE AD HONOREM SANCTI NICOLAIDEDICATUM [EST]. QUI EPISCOPUS OMNIBUS QUI DICTAE CONSECRATIONIINTERFUERUNT QUADRAGINTA DIES DE INDULGENTIA CONCESSIT, QUAMVOLUIT OMNIBUS DEVOTE VISITANTIBUS HANC ECCLESIAM SANCTI SEVERI DIEXX MARTII PERPETUO DURATURAM. ANNO DOMINI M.CCCC.LXXXIV”. Questa latraduzione: “Sia noto a quanti leggono che gli altari di questa chiesa di SanSevero furono consacrati dal reverendissimo messer Dionisio, per grazia diDio e della Sede Apostolica vescovo della città di Perugia. Infatti il maggioreè dedicato a lode di san Severo, il secondo a settentrione a lode della VergineMaria, il terzo a meridione a lode di san Nicola. Il quale vescovo concesse aquanti parteciparono alla detta consacrazione quaranta giorni di indulgenza,che volle prolungata in perpetuo per quanti avrebbero visitato devotamentequesta chiesa di San Severo il giorno 20 marzo. Anno del Signore 1484”.

117 MANCINI-CASAGRANDE 1982, pp. 46-47.118 DI GIOVANNI \ SCALVANTI 1903, p. 404; CRISPOLTI iunior 1648, p. 69;

PELLINI 1664, parte II, p. 834.119 CRISPOLTI iunior 1648, pp. 270-271. Tra i vari episodi di questa poli-

tica irenica di Dionisio, si può citare quello del 1486, quando in San Lorenzo,alla presenza del vicelegato, il vescovo pacificò le famiglie nemiche degliArcipreti (o Della Penna) e degli Ermanni (o Della Staffa), in seguito a screzinati dopo la morte di Giacomo Filippo Della Penna (detto l'Abate degliArcipreti), di cui lo stesso Dionisio aveva celebrato poco prima il funerale (DIGIOVANNI \ SCALVANTI 1903, pp. 375-377).

120 Ivi, pp. 394 e 421-422; BAP, Belforti-Mariotti, Serie de' vescovi..., p. 127.121 BAEC, Braccioli, Stemmi e brevi notizie..., c. 8v; MANCINI 1898, p. 45.122 GRAZIANI \ FABRETTI 1850, p. 739. Sulla data di morte, cf. BAP,

Belforti-Mariotti, Serie de' vescovi..., p. 127.123 UGHELLI [1644], tomo I, col. 1164.124 GRAZIANI \ FABRETTI 1850, p. 739; PELLINI 1664, parte III, p. 16.

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Capitolo II

La cappella

di Sant’Onofrio

nel duomo di Perugia

1. L’addizione del transetto (1480 ca)

2. La cappella Vagnucci (1481-1484)

3. La Pala di Sant’Onofrio (1483-1484)

4. L’iscrizione perduta

5. Il ritratto del vescovoe la devozione al santo eremita

6. Le vetrate (1484 ca)

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1. L’addizione del transetto (1480 ca)

La riedificazione del duomo di San LorenzoIl rinnovamento del massimo tempio perugino, edificato

allo scadere del XII secolo e consacrato nel 1216 da papaInnocenzo III, fu deliberato già nel marzo del 1300, quando nelchiostro della chiesa di San Francesco al Prato il consiglio gene-rale del popolo decise di donare alla piazza Maggiore, comple-tamente trasformata nell’ultimo quarto del secolo appena tra-scorso, una degna cornice settentrionale1. Tuttavia, la costruzio-ne del palazzo Nuovo del Popolo, ferma al primo nucleo del-l’edificio (1293-1297) e verso cui il comune intendeva concen-trare il proprio sforzo finanziario, posticipò di oltre 40 annil’inizio dei lavori: solo il 20 agosto 1345, infatti, si svolse la ceri-monia di posa della prima pietra2, anche se, da questa data, siproseguì con notevole lentezza per altri 90 anni, passando attra-verso la sventurata dominazione del vicario papale Girardo DePuy, detto l’Abate di Monmaggiore (1372-1375)3.

Chi seppe infondere una prima svolta al cantiere della cat-tedrale fu il nuovo vescovo di Perugia Giovanni AndreaBaglioni, eletto il 9 marzo 1435 a Firenze, dove si trovavano lacorte pontificia e, probabilmente, anche il Vagnucci4. IlBaglioni, forte dell’autorità che gli derivava dall’appartenerealla famiglia dei “signori occulti” di Perugia e giovandosi degliottimi rapporti che la stessa intratteneva col pontefice EugenioIV (diversamente da quanto era avvenuto col suo predecesso-re Martino V), profuse, in massimo grado e in prima persona,un nuovo impegno a favore della fabbrica, risiedendo stabil-mente nel palazzo vescovile (dal quale poteva seguirne la cre-scita) ed arrivando a prendere delle decisioni persino clamoro-se, puntualmente avvallate dall’autorità pontificia5.

Ma il periodo veramente decisivo per le sorti del duomo fuil decennio successivo alla morte del presule (ottobre del1449): solo nel gennaio del 1450, infatti, un ingente finanzia-mento congiunto della Curia romana, del comune e delCapitolo cattedrale rese possibile una intensificazione dei lavo-ri, finalmente affrancati dalle incertezze e dalle lentezze delpassato. Determinante fu l’interessamento di papa Niccolò V,certo favorito dagli introiti che la concessione del giubileo perquell’anno avrebbe garantito, nonché probabilmente sollecita-

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to dalla presenza a Roma del nuovo vescovo Vagnucci, cheintese “ereditare” l’impegno personale a favore della fabbricaprofuso dal suo predecessore6.

Gli anni sessanta del ’400, a fronte dell’ennesima stasidovuta a difficoltà finanziarie e a ricorrenti epidemie, furonosostanzialmente un periodo di demolizioni7. Solo nell’ottavodecennio, terminata la costruzione di tutte le pareti perimetra-li, il San Lorenzo venne ad assumere l’aspetto attuale, a partela sopraelevazione in laterizio effettuata nella prima metà del’600, in concomitanza con il rifacimento del tetto8.

La testimonianza degli affreschi della cappella dei PrioriUna testimonianza iconografica, preziosa per la storia di

questa tormentata vicenda ricostruttiva, è rappresentata dallapenultima scena del ciclo di affreschi della cappella Nuova nelpalazzo dei Priori, capolavoro del pittore perugino BenedettoBonfigli (1418/20-1496): essa narra la Seconda traslazione delcorpo di sant’Ercolano dall’abbazia di San Pietro alla cattedraledi San Lorenzo, evento avvenuto prima del 966, ma ambienta-to dal pittore nella Perugia a lui contemporanea9. L’affresco,per la sua centralità nel piano iconografico, si dispiega per tut-ta la lunghezza della parete sud della cappella, offrendo unapanoramica di straordinaria precisione del centro politico-reli-gioso della città: considerando che nel 1534, pochi anni primadella devastazione farnesiana (1540-1543)10, un incendiodoloso avrebbe distrutto completamente il palazzo delPodestà, la vasta sala gotica di via Maestà delle Volte e la fac-ciata della chiesa omonima (opera dello scultore fiorentinoAgostino di Duccio), è superfluo sottolineare la grande impor-tanza di questa scena per una ricostruzione, sia pure ideale,della platea Maior quattrocentesca11.

Nell’affresco una lunga processione cittadina, che si snodada sinistra verso destra, sfila davanti al palazzo dei Priori e siconclude lentamente ai piedi del sagrato di San Lorenzo: sul-lo sfondo vediamo il palazzo che fu di Braccio Fortebracci daMontone (già palazzo del Podestà), caratterizzato dall’impo-nente scalinata e sovrastante l’arcone che immetteva nellaMaestà delle Volte. Tra la rampa dei gradini e il fianco sud del-la cattedrale si innalza la cosiddetta Loggia di Braccio, fattacostruire dal condottiero montonese nel 1423 ed addossataalla parete perimetrale del duomo romanico (fig. 14): sotto di

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essa si possono ancora vedere alcune preesistenze architettoni-che (un portone sovrastato da un rosoncino), che sono stateinterpretate come l’antica facciata della cattedrale o come l’ac-cesso esterno alla cripta di Sant’Ercolano12. In ogni caso, nonsi scorge alcuna traccia del braccio sinistro del transetto espo-sto, che tutt’oggi ingombra lo spazio della loggia fino all’altez-za della terza arcata (fig. 15): questo, insieme al braccio corri-spondente sul lato nord, venne aggiunto, rompendo le paretiperimetrali del presbiterio, in un periodo sicuramente succes-sivo alla realizzazione della veduta del Bonfigli.

Se l’anno in cui il pittore mise mano alla seconda metà del-la decorazione pittorica non trova concorde la critica, causa ladiversa interpretazione di un documento del 146913, non sus-sistono dubbi, invece, sugli estremi cronologici delle ultime

Fig. 14B. Bonfigli,Seconda traslazionedi sant’Ercolano,ca 1470-1480,part. con la Loggiadi Braccio.Perugia, palazzodei Priori, cappelladei Decemviri.

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due scene del ciclo (Seconda e Prima traslazione disant’Ercolano dal luogo della sepoltura all’abbazia di San Pietro),dove tutta una serie di elementi iconografici, unitamente atestimonianze documentarie, permettono di fissare il termineante quem al 1479-148014. Rispetto a questa data, appare for-se significativo un particolare ulteriore dell’affresco che abbia-mo preso in considerazione: la processione che accompagna ilferetro di sant’Ercolano non si arresta sotto la loggia, all’entra-ta dell’antica cattedrale o della cappella dedicata al santo, masi accinge a salire sul sagrato, per accedere dall’ingresso princi-pale alla maestosa “sala” del nuovo San Lorenzo15. Il Bonfiglisembra cioè anticipare un fatto che avverrà soltanto nel 1487,ossia la terza e definitiva traslazione delle reliquie del santo sot-to il nuovo altare maggiore: probabilmente questo evento eraatteso a breve termine, se nel frattempo non fossero intercorsinuovi e imprevisti lavori nella zona del presbiterio.

La questione del transettoLa cappella di Sant’Onofrio, ricavata nella testata del tran-

setto destro della cattedrale (cf. par. 2), fu voluta da IacopoVagnucci quando ancora amministrava la diocesi perugina,prima cioè che questi, nominato arcivescovo niceno nel 1482,ne affidasse la “successione” al nipote Dionisio, il “diretto”

Fig. 15Perugia,

Loggia di Braccioe transetto suddella cattedraledi San Lorenzo.

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responsabile della decorazione del sacello di famiglia. Il fatto ètestimoniato da una iscrizione purtroppo perduta, riportatanel ’600 dal Crispolti e già situata in un punto non bene iden-tificato dell’altare16:

IACOBUS VANNUTIUS NOBILIS CORTONENSIS || OLIM EPISCOPUSPERUSINUS || HOC DEO MAX[IMO] ET DIVO HONUPHRIO ||SACELLUM DEDICAVIT || CUI IN ARCHIEPISCOPUM NICAENUMASSUMPTO || NEPOS DIONISIUS SUCCESSIT || ET QUANTA VIDESIMPENSA [RITE] ORNAVIT || AEQUA PIETAS || M.CCCC.LXXXIV

[Consacrò questa cappella a Dio Onnipotente e asant’Onofrio Iacopo Vagnucci, nobile cortonese, un tempovescovo di Perugia: a questi, promosso arcivescovo niceno,succedette il nipote Dionisio, ed una pari devozione (la)decorò con l’ingente spesa che puoi constatare (oppure diedegli ornamenti dispendiosi che puoi ammirare). 1484.]

Dai dati in nostro possesso, è possibile concludere che iltransetto sporgente venne aggiunto, rompendo le pareti peri-metrali della cattedrale, in un periodo che si colloca approssi-mativamente tra il 1479 e il 1482, cioè tra il completamentodegli affreschi della cappella dei Priori e la fine dell’episcopatodel Vagnucci. Tuttavia le fonti ci permettono di restringereulteriormente questo intervallo di tempo: sappiamo infatti chenel 1481 si cominciò a murare le volte dell’edificio che, evi-dentemente, doveva essere pressoché ultimato nell’alzato17;possiamo pertanto immaginare che, a quella data, i due nuovicorpi di fabbrica fossero già eretti.

La tardiva decisione di costruire il transetto può esserevariamente giustificata: innanzitutto, si è ipotizzato che il pro-getto del nuovo San Lorenzo, tradizionalmente assegnato a fraBevignate, sia mutato in corso d’opera, non prevedendo ini-zialmente la copertura in muratura, tanto meno i bracci spor-genti del transetto18. Tra l’altro, l’aggiunta di questi ultimiavrebbe comportato non pochi problemi, come effettivamen-te avvenne sul fianco sud “ingombrato” dalla Loggia diBraccio, il tetto della quale andò a sovrapporsi alla trifora delprimo ordine, tagliandola in due. Non mancarono difficoltàanche sul fianco nord, dove fu necessario intervenire, conadattamenti e demolizioni, sulle strutture preesistenti dei“casalini” di San Lorenzo, lungo via delle Cantine.

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In secondo luogo, bisogna considerare la gradualità con cuiprocedette l’opera di demolizione della vecchia cattedrale, sicura-mente determinata, tra i vari fattori, dall’esigenza di rendere agi-bile l’antica struttura durante l’opera di ampliamento della stes-sa verso piazza della Paglia. Mentre infatti si lavorava al corpolongitudinale dell’edificio, è molto probabile che la zona del pre-sbiterio (coincidente con il duomo romanico, a prescindere dal-la questione del suo orientamento) continuasse ad essere regolar-mente officiata19. Questo perché durante l’effettiva ricostruzionedel tempio, durata ben 50 anni, la città non poteva perdere il suopunto di riferimento religioso più importante, specialmente indeterminate ricorrenze (come l’annuale processione di SanBernardino) o in occasione di alcuni avvenimenti straordinari (sipensi, per esempio, all’ostensione del Sant’Anello nel novembredel 1473)20. D’altra parte, le fonti non mancano di sottolineareil grande attaccamento dei perugini alla vecchia cattedrale, che sivolle ampliare, ma non abbattere del tutto21.

Una terza spiegazione, forse la più plausibile, va individua-ta nella responsabilità diretta del vescovo perugino: è possibi-le, infatti, che il transetto esposto sia stato appositamente edi-ficato per ricavarvi due cappelle speculari poco profonde, tracui quella del Vagnucci sul lato nord. Essendo la cappelladestinata ad accoglierne il sepolcro22, è facile immaginare chetale preoccupazione per il proprio sacello sia nata nel presulecortonese poco prima che questi si ritirasse dalla vita pubblicanel 1482, allorché si accinse a trascorrere gli ultimi anni di vitanella tranquillità della pieve di Corciano.

L’improvvisa iniziativa del Vagnucci può essere ricondottaanche alla bolla Etsi de cunctarum civitatum (30 giugno 1480),emanata da Sisto IV nel contesto del rinnovamento ediliziodella città di Roma, promosso a partire dal giubileo del 1475:essa concedeva la facoltà di acquisire e demolire il tessutourbano, spesso fatiscente, che si trovava in prossimità dei gran-di complessi civili e religiosi, onde ottenere lo spazio necessa-rio per ulteriori e progressivi ampliamenti, secondo il “princi-pio della fusione delle cellule edilizie contigue”23.

Sicuramente, i lavori di costruzione e decorazione dellacappella non erano terminati nel 1482: dal proprio ritiro cor-cianese, quindi, Iacopo poté seguirne l’andamento e la conclu-sione, affidandone la diretta supervisione al nipote Dionisioche, dopotutto, avrebbe trovato sepoltura nel medesimo sacel-lo di famiglia. Il fatto, ancora una volta, è attestato dalla per-

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duta memoria recante la data del 1484, anno in cui probabil-mente la cappella venne ultimata e consacrata, con la colloca-zione sull’altare della pala commissionata al Signorelli24.

Del resto, il prolungarsi dei lavori nella zona del presbiterioè confermato dal fatto che soltanto il 10 febbraio 1487 il cor-po di sant’Ercolano venne traslato sotto il nuovo altare mag-giore, evento che può essere considerato il termine ante quemdel compimento definitivo dell’edificio25. A distanza esatta diun secolo, nel 1587, la cattedrale sarebbe stata consacrata uffi-cialmente dal vescovo Anton Maria Gallo, a completamentodi un progetto che durava dal lontano 1300.

2. La cappella Vagnucci (1481-1484)

Il problema dell’ubicazioneNel tentativo di ricostruire, sia pure in maniera ipotetica, la

fisionomia della cappella quattrocentesca, è indispensabile,innanzitutto, affrontare il problema della sua ubicazione: suquesto punto l’imprecisione delle fonti (dal ’700 in poi) e laconfusione dei contributi moderni rendono necessario unchiarimento definitivo.

Probabilmente l’equivoco, che si è protratto fino ai giorninostri, pur essendo nato con la Descrizione del duomo editadal Galassi nel 1776, è stato “fissato” da Serafino Siepi che, nel1822, vedeva nel transetto destro una situazione non dissimi-le da quella odierna26. Sulla base del Siepi, le vicende di que-sto angolo della cattedrale potrebbero essere ricostruite nelmodo seguente:

1) alla fine del ’400 il Vagnucci fonda il transetto ed apre,dietro il braccio destro dello stesso, una cappella dedicata asant’Onofrio;

2) ai primi del ’600 il transetto settentrionale viene occupatodall’attuale cappella di Santo Stefano e, di conseguenza, si rendenecessario aprire due porticine ai lati dell’altare del Protomartireper entrare nella cappella del santo eremita (n. 30 [i numeri siriferiscono alla pianta del duomo in appendice D]; fig. 16);

3) nel corso del ’600 la cappella di Sant’Onofrio cade inrovina e, pertanto, la tavola del Signorelli viene spostata nellacappella adiacente;

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4) ai primi del ’700 lacappella di Sant’Onofrio vie-ne restaurata e trasformatanell’attuale oratorio, assu-mendo una forma semicirco-lare e subendo il ribaltamen-to dell’altare (n. 32; fig. 17).

Il problema nasce dal fat-to che le fonti del XVI-XVIIsecolo, al di là di qualchespiegabile “stranezza”, con-trastano apertamente contale ricostruzione: quelle cin-quecentesche, infatti, sonoconcordi nel descrivere nonun sacello aperto dietro ilbraccio nord del transetto,bensì una cappella occupanteil braccio medesimo, in

quanto immediatamente attigua alla sacrestia; allo stesso modo,le fonti seicentesche non parlano di due sacelli distinti, ma di unasola cappella, prima consacrata a sant’Onofrio, successivamentea santo Stefano27: ne deriva che, nei primi anni del ’700, l’odier-no oratorio di Sant’Onofrio non venne semplicemente restaura-

Fig. 16Altare di Santo Stefano

(già di Sant’Onofrio).Perugia, cattedrale

di San Lorenzo.

Fig. 17Oratorio

di Sant’Onofrio.Perugia, cattedrale

di San Lorenzo.

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Fig. 19Perugia, oratoriodi Sant’Onofrioe transetto norddella cattedraledi San Lorenzo.

Fig. 18L. Eusebi,pianta della cittàdi Perugia, 1602,part. con la cattedraledi San Lorenzo.

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to, ma edificato ex novo, anche se riutilizzando un preesistentecorpo di fabbrica tutt’oggi comunicante con la canonica e forsefornito di accesso esterno28.

Questa “fabbrichetta ad uso di cappella”, come la chiama ilRossi, esisteva già alla fine del ’500, poiché compare nelle piùantiche piante topografiche di Perugia, ad esempio in quella diLivio Eusebi (fig. 18)29: essa, infatti, potrebbe essere il frutto“allargato” della ristrutturazione che, intorno al 1572, coinvol-se la grande sacrestia quattrocentesca, dalla quale furono rica-vati vari ambienti per le esigenze dei canonici30.

Il nuovo corpo di fabbrica, pur addossandosi alla pareteesterna del transetto destro (forse con l’effetto di nasconderealla vista la parte bassa della trifora del primo ordine, che nonper questo venne privata della propria luce), non le si appoggiòfino ai primi del ’700, quando, con una sorta di prolungamen-to che pare indicato dal dislivello del tetto (meno alto in quelpunto) e dallo sviluppo orizzontale della cappella, venne postoin duplice comunicazione con il transetto medesimo, col risul-tato, però, di accecare la metà inferiore della trifora, la cuivetrata, nel frattempo deterioratasi, era stata rimossa (fig. 19).

La fisionomia originariaIn posizione simmetrica rispetto all’altare Vagnucci, nel brac-

cio meridionale del transetto, si trovava un’altra cappella pocoprofonda intitolata a santa Barbara, anch’essa nel ’600 radical-mente trasformata per essere consacrata al Crocifisso (n. 5)31.Tre gradini marcavano il limite tra lo spazio del presbiterio equello dei due larghi sacelli: oggi ne manca uno, in seguito alrialzamento del pavimento voluto nel 1849 dal vescovoGioacchino Pecci, che fece eliminare le fastidiose e pericolosesporgenze dei numerosi sepolcri terragni disseminati nellachiesa32. Nel ’700, poi, la delimitazione delle cappelle venneaccentuata dalla costruzione di due balaustre in marmo bian-co, ma non è escluso che qualche forma di chiusura sia esisti-ta anche prima di questo periodo33.

Dell’altare di Sant’Onofrio non abbiamo descrizioni vere eproprie e non conserviamo alcun frammento: non sappiamo,pertanto, se e come la tavola del Signorelli fosse integrata conla mostra marmorea. Tuttavia, è assai probabile che il dipintofosse collocato entro un prospetto ligneo dalle forme classi-cheggianti, semplicemente appoggiato sulla mensa di marmo

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(o dietro la stessa): questa pala poteva essere costituita da unbasamento (contenente una predella e la nota iscrizione), duelesene laterali (forse a foggia di paraste corinzie, come spessonel ’400) ed una trabeazione34. Ciò sembra confermato dalbreve cenno all’altare contenuto nella prima visita pastoraledel vescovo Napoleone Comitoli (1592)35:

Inde visitavit cappellam et altare Sancti Honofrii, cum men-sa lapidea petra sacra, candelabris ferreis et cruce lignea aura-ta tobaleisque munitum, cuius altaris icona habet figurasVirginis, sancti Honofrii et aliorum sanctorum.

[Quindi visitò la cappella e l’altare di Sant’Onofrio, con unamensa lapidea munita di pietra sacra, provvisto di candelabridi ferro, di una croce di legno indorato e di tovaglie, la tavo-la del quale altare mostra le figure della Vergine, disant’Onofrio e di altri santi.]

Anche dal Crispolti sappiamo che la tavola era appoggiata sul-l’altare e racchiusa da una grossa cornice, sotto la quale figura-va l’iscrizione commemorativa (cf. par. 4).

Davanti alla mensa si trovava la pietra tombale dei Vagnucci,col sottostante sepolcro contenente i corpi dei due prelati cor-tonesi. A differenza di quanto sostenuto dal Galassi e dal Siepi,che vogliono collocata sotto il pavimento del moderno oratoriodi Sant’Onofrio la tomba dei due vescovi, questa non seguì lesorti della cappella Vagnucci, ma rimase sempre murata nel luo-go originario, cioè davanti all’altare prima di Sant’Onofrio, poidi Santo Stefano: così attesta il Lancellotti36.

Le vicende successiveDemandando ai prossimi paragrafi l’analisi del progetto

decorativo, del relativo programma iconografico e di tutti iproblemi connessi, ora è importante seguire le vicende succes-sive all’erezione del sacello, passando in rassegna le fonti sinoal configurarsi della situazione a noi familiare, onde poteranche verificare quanto affermato precedentemente.

1564. Il cardinale Fulvio Della Corgna, vescovo di Perugiadal 1550 al 1553 e di nuovo dal 1564 al 1574, inaugura laserie perugina delle visite pastorali prescritte dal Concilio diTrento appena conclusosi (1545-1563), iniziando natural-

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mente dalla chiesa cattedrale. Il cardinale visita l’altare diSant’Onofrio, collocato nella cappella detta anche “del vesco-vo di Cortona”, situata “prope sacristiam”; al suo interno e inposizione laterale (probabilmente a sinistra), scorge anche unaltare dedicato a san Nicola, destinato a scomparire nella visi-ta successiva (1568)37.

Molto importante è la precisazione circa la posizione dellacappella, la cui denominazione derivava dal fatto che davantialla mensa principale erano sepolti i due vescovi perugini,Iacopo e Dionisio Vagnucci da Cortona.

1571. Paolo Mario Della Rovere, visitatore apostolico, tro-va la cappella in pessime condizioni, priva di patronato e dimanutenzione: ordina pertanto ai canonici di prendersenecura e di celebrarvi messa38.

1587. Il vescovo Anton Maria Gallo (1586-1591) ordina dimurare nella mensa d’altare una “pietra sacra”39. Quest’ultimaera una lastra quadrangolare consacrata dal vescovo e conte-nente reliquie di martiri, di solito adoperata come altare por-tatile per la celebrazione della messa.

1592. Il vescovo Napoleone Comitoli (1591-1624)40 trova“appoggiata” alla cappella una societas Sancti Honofrii del clerosecolare diocesano, la quale, militando sotto il nome del santo,vi si riuniva una volta al mese; la cappella era sempre priva dipatronato e, per questo motivo, affidata alle cure del Capitolo41.

La congregazione era nota come “fraternita del Pilo”, per-ché aveva come scopo quello di suffragare le anime dei sacer-doti defunti: con il termine “pili”, infatti, si indicavano le pie-tre tombali che, col rispettivo vano sottostante, apparivanodisseminate un po’ ovunque nella cattedrale, sporgendo peri-colosamente dal pavimento; ovviamente nel caso specifico ilpilo era quello dei vescovi Vagnucci.

1594. Nell’ultima integrazione della Vita cortonese diIacopo, si legge un passo assai eloquente circa la questione del-l’ubicazione del sacello: “a mano sinistra dell’altar maggiore eaccanto alla sagrestia apparisce una cappella grande”42.

1597. Cesare Crispolti senior (morto nel 1608, omonimozio di Cesare iunior) afferma che “è in detta cappella [di

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Sant’Onofrio] una sepoltura di monsignor Hippolito DellaCorgna, già vescovo di Perugia, quale sepoltura è delloScalzo”43.

La tomba di Ippolito, vescovo di Perugia dal 1553 al 1562,fu commissionata dal congiunto Fulvio Della Corgna aLudovico Scalza intorno al 156844. Sappiamo con certezza chequesto monumento si trovava dove oggi è la Tomba dei papi,sulla parete destra del transetto settentrionale (n. 29), il quale,di conseguenza, coincideva con la nostra cappella.

1608. In tale anno l’altare di Sant’Onofrio cessa di esistere,iniziando per l’omonima pala un “travaglio” di cui essa portaancora i segni: Salvuccio Salvucci, protonotario apostolico evicario generale del vescovo Comitoli, grazie ai guadagni per-cepiti in tanti anni di onorato servizio, subentrò alla famigliaVagnucci nel patronato della cappella, ne cambiò l’intitolazio-ne e, pertanto, ne fece ricostruire l’altare, ora dedicato a santoStefano (fig. 16)45. La data del 1608 è testimoniata dall’iscri-zione che, tutt’oggi, si può leggere a fatica sulla trabeazione delmonumento:

Al medesimo anno appartiene la realizzazione della telad’altare raffigurante la Lapidazione di santo Stefano, firmata edatata dal romano Giovanni Baglione46; risalgono allo stessomomento, prima dell’apertura al culto della cappella (1609),anche le Storie di santo Stefano, affreschi perduti del peruginoGiovanni Antonio Scaramuccia47. Forse già a partire dal 1608,la tavola del Signorelli, non potendo trovare posto sul nuovoaltare, venne appesa alla parete sinistra del transetto. IlComitoli approfittò del rinnovamento della cappella per tra-sferire sotto la mensa dell’altare una parte del corpo di sanBevignate, proveniente dalla decadente chiesa omonima sottoMonteluce (17 maggio 1609)48.

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1625. Il vescovo Cosimo De Torres (1624-1634), nella primadelle sue visite pastorali (1625 e 1629), “visitavit altare divoStephano dicatum, quod olim divo Onofrio dicatum erat”49.

Ante 1642. Emblematico anche un passo del Bigazzini,relativo al vescovo Dionisio50:

Nelle Memorie della catredale di Perugia [...] si ha che fecel’altare di Sant’Honofrio in San Lorenzo domo di Perugia,ove oggi è [la] cappella ornata dal canonico SalvuccioSalvucci dedicata a santo Stefano.

1644. Il vescovo Orazio Monaldi (1643-1658) trova sullaparete destra del transetto la tomba del vescovo Ippolito DellaCorgna, con sopra un’immagine del Salvatore; quindi ci fasapere che la confraternita del Pilo officiava regolarmente pres-so l’altare del Crocifisso51: qui, infatti, la congregazione avevadovuto trasferire i propri riti dopo la distruzione della cappel-la di Sant’Onofrio, sua sede primitiva.

Contemporaneamente l’Ughelli, nella Vita del vescovoDionisio, afferma che questi “Sanctorum Stephani ac Benignatissacellum in cathedrali construxit, ubi beati Benignatis corpusconditum iacet”52: a parte l’imprecisione indicante la coinciden-za degli altari di Sant’Onofrio e di Santo Stefano, è evidente ilriferimento (presente anche nel Bigazzini) all’iscrizione perduta,all’epoca forse già scomparsa, dalla quale traspariva la correspon-sabilità di Dionisio nella decorazione della cappella.

1648. Un ostacolo alla ricostruzione sin qui effettuata èrappresentato dalla Perugia Augusta, opera pubblicata daCesare Crispolti iunior (1609-1652): egli, infatti, afferma chela pala del Signorelli era ancora collocata sull’altare della cap-pella di Sant’Onofrio, ma aggiunge poi che “in una facciatadella detta cappella”, collocata “a lato alla sagrestia”, compari-va il monumento dello Scalza; sorprende inoltre l’assenza diogni minimo riferimento all’altare di Santo Stefano53.

Il tutto fa pensare che il Crispolti, rielaborando, plagiandoe pubblicando il materiale manoscritto raccolto dallo zio, nonabbia registrato il mutamento intercorso nel transetto destronel 1608, cioè lo stesso anno in cui lo zio venne a mancare54;allo stesso modo, non annota le trasformazioni avvenute sullato opposto del duomo, nel transetto meridionale, con la

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costruzione della nuova cappella del Crocifisso (1613) e con iltrasferimento nella stessa della Tomba dei papi, provenientedalla sacrestia (1615)55.

Il Crispolti è il primo a pubblicare l’iscrizione che si trova-va sotto il monumento dello Scalza, descritto come “unasepoltura di stucco [...] con belli ornamenti”56:

HIPPOLYTO CORNEO EPISCOPO PERUS[INO] || FULVIUS COR-NEUS S[ANCTAE] R[OMANAE] E[CCLESIAE] P[RESBYTER]CARD[INALIS] B[ENE] M[ERENTI] F[ECIT] || V[IXIT] A[NNOS] LVRESEDIT A[NNOS] IX || VETERIS SANCTITATIS EXEMPLUM

[Fulvio Della Corgna, cardinale prete di Santa RomanaChiesa, innalzò (questo monumento) al benemerito IppolitoDella Corgna, vescovo perugino, (il quale) visse per anni 55e risiedette (nel vescovato) per anni 9, come esempio di anti-ca santità.]

Ante 1671. Il Lancellotti (morto nel 1671) ci informa chenel 1584, con licenza di papa Gregorio XIII (1572-1585), ilprivilegio per le anime dei defunti era stato trasferito dall’alta-re di Sant’Onofrio (al quale venne concesso nel 1577) a quel-lo del Crocifisso, e che la confraternita del Pilo, di antica fon-dazione, aveva ottenuto l’approvazione dei propri ordini nel1579, ad opera del vescovo Francesco Bossi (1574-1579)57.

A partire dal 1608 (costruzione dell’altare di Santo Stefano),la compagnia officiava regolarmente presso il Crocifisso (comericorda il vescovo Monaldi nel 1644); tuttavia, militando sottoil nome di sant’Onofrio, il 12 giugno, festa del santo, essa ono-rava la sua effigie “alla cappella di Sant’Onofrio oggi di SantoStefano”, alla cui parete sinistra era appesa la pala del Signorelli.Ciò è attestato sempre dal Lancellotti, quando afferma che“della cappella antica non resta altro che la tavola ch’oggi sivede attaccata alla facciata del lato sinistro della cappella diSanto Stefano”58: questo passo, dal Siepi in poi, è stato inter-pretato come la testimonianza di una cappella di Sant’Onofriodistinta da quella di Santo Stefano e caduta in rovina nel corsodel ’600; a ben guardare, però, il Lancellotti vuole semplice-mente riferirsi alla demolizione dell’altare originario e alla per-dita di chissà quali altri ornamenti.

Probabilmente, l’impossibilità per la famiglia Vagnucci(residente a Cortona) di curare la manutenzione della cappel-

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la, il successivo trasferimento del privilegio (1584) e la conse-guente mancanza di una stabile ufficiatura (fatta eccezione perle riunioni mensili della fraternita del Pilo) determinarono ilpassaggio del sacello nelle mani del Salvucci. A questo punto,niente è più significativo di quanto afferma il Lancellotti aproposito della nuova cappella di Santo Stefano:

Con buona gratia de’ Vannucci nobili cortonesi, de’ quali eraquesto sito con la cappella di Sant’Onofrio, come a 12 di giu-gno, fondò questa di Santo Stefano il canonico SalvuccioSalvucci, che vi spese quanto acquistò per i molti anni che ser-vì nella carica di vicario generale l’idea de’ vescovi NapolioneComitolo, per esser l’ultimo della sua famiglia, nel 1608.

Il Lancellotti, infine, è il primo a menzionare i due affreschicon Storie di santo Stefano, dipinti da Giovanni AntonioScaramuccia ai lati dell’altare omonimo59.

1674. Luigi Scaramuccia conferma che la tavola delSignorelli era appesa ad una parete laterale, dalla parte dellasacrestia60.

1683. Il Morelli, dopo aver elogiato i due “quadri a fresco”dello Scaramuccia (“sono stimate le più belle che habbi fatte”),vede appese alle pareti laterali due tavole, il dipinto delSignorelli e un quadro raffigurante il Martirio di sanSebastiano (1576), opera del perugino Orazio Alfani61.

1703. Il vescovo Antonio Felice Marsili (1701-1710) visi-ta il nuovo oratorio di Sant’Onofrio (n. 32; fig. 17), appenaricavato dietro l’altare di Santo Stefano, riutilizzando un cor-po di fabbrica già esistente. Il testo del registro è quanto maieloquente:

Novum chorum ingressus [est] post dictum altare SanctiStephani nuper constructum, in quo erectum invenit altaredivo Onufrio dicatum.

[Entrò nel nuovo coro da poco costruito dietro il menziona-to altare di Santo Stefano, nel quale trovò eretto un altarededicato a sant’Onofrio.]

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Dalla visita risulta che la confraternita del Pilo aveva ristabili-to la propria sede nella nuova cappella del santo sotto cui mili-tava62; sappiamo pure che, sempre nel 1703 (novembre), gliordini della compagnia vennero rinnovati ed approvati dallostesso vescovo Marsili63.

Per accedere al nuovo oratorio, si rese necessario aprire duepiccole porte ai lati dell’altare del Protomartire, attraverso laparete di fondo del transetto. La cappella presenta un corettosemicircolare e, pertanto, l’altare risulta appoggiato alla pareted’ingresso. Sulla mensa venne ricollocata la tavola delSignorelli, racchiusa entro un “ornamento di legno intagliatoe dorato che fregia il quadro e la superior finestra che serve difrontespizio all’altare”64: qui il dipinto rimase fino al 1923,anno della sua sistemazione nel Museo Capitolare di SanLorenzo, istituito nel IV centenario della morte di PietroVannucci detto il Perugino (1450 ca-1523).

1776. Il Galassi ci informa che gli affreschi delloScaramuccia erano stati alquanto rovinati da una disgraziataripulitura; nota inoltre la Tomba dei papi sulla parete sinistra(dove la vede anche il vescovo Odoardi nel 1781)65 e il monu-mento dello Scalza sempre sulla parete destra; infine riporta iltesto della lapide che, sino a qualche tempo fa, si trovava aipiedi dell’altare del Salvucci66:

SALVUTIUS CAN[ONICUS] SALVUCCI PR[OTHONOTARIUS]AP[OSTOLICUS] || NEAPOL[EONIS] COMITOLI OLIM PROANTI-STES || ANNORUM PLENUS AC MERITORUM || DIEM SUUM ETFAMILIAM CLAUSIT || X KAL[ENDAS] APR[ILES] M.D.C.XXIII ||NUNQUAM DESITURUS || IN QUATUOR HUIUS BASILICAE || PRE-SBYTERIS BENEFICIARIIS || QUI EX ASSE HEREDES || AUCTORIOPT[IMO] MER[ITO] PP[= POSUERUNT] M.D.CC.XIX

[Salvuccio Salvucci, canonico, protonotario apostolico, untempo primo prelato di Napoleone Comitoli, pieno di annie di meriti, terminò la propria vita e la propria famiglia ilgiorno 23 marzo 1623, perpetuando (il patronato) nelle per-sone di quattro prelati beneficiari di questa cattedrale, i qua-li, (suoi) eredi universali, accrescitori (della cappella) con otti-mo merito, posero (questa lapide) nel 1719.]

La lapide, posizionata nel 1719, andò a sostituire la pietratombale dei Vagnucci, ma le ceneri dei due vescovi perugini

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non vennero spostate sotto il pavimento del moderno oratorio,dove le colloca il Galassi: il Salvucci, morto nel 1623, vennequindi sepolto in “condominio” con loro67. Già si è accennatocome il Galassi, ritenendo l’oratorio fondato nel 1484 dalVagnucci, sia all’origine della ricostruzione errata del Siepi.

1784. L’Orsini ipotizza che l’altare di Santo Stefano fossestato eseguito su disegno di Valentino Martelli; inoltre ciinforma che il vuoto del frontone, lasciato interrotto per nonprecludere la vista delle vetrate (poi rimosse e vendute nel1765), era stato colmato con un attico eseguito su propriodisegno “in stucco colorito ad imitazione degli altri marmi”(fig. 16); descrive infine gli affreschi dello Scaramuccia, con-fermandone la grave alterazione68. Non si menziona più ilmonumento dello Scalza, forse già demolito.

1822. Il Siepi lamenta la demolizione sulla parete destra deldeposito di Ippolito Della Corgna, dovuta ai lavori settecente-schi di abbellimento della crociera; descrive ancora gli affreschidello Scaramuccia, per quanto faticosamente leggibili (in pra-tica cita l’Orsini)69.

1864. Il canonico Luigi Rotelli ci informa che, a partire dal1835, l’oratorio del santo eremita veniva utilizzato per l’ufficia-tura invernale, essendo perciò chiamato anche “coretto d’inver-no” (questo uso continua tutt’oggi); non vede più gli affreschidello Scaramuccia, definitivamente scomparsi, mentre descrivela Pala di San Nicola di Pompeo Cocchi (1480 ca-1582), recu-perata dalle sale capitolari e sistemata nella cappella70.

Poco dopo Adamo Rossi, in due passaggi della divertentepolemica col Rotelli (reo, tra le altre cose, di aver perpetuatol’errore del Siepi), è l’unico erudito a prendere posizione, congrande chiarezza, sulla questione dell’ubicazione della cappel-la71: se gli studiosi avessero prestato attenzione a queste pagi-ne, non sarebbe stato necessario dilungarsi sul problema!

1878. Giovan Battista Rossi Scotti vede nell’oratorio leStorie di sant’Onofrio, appena affrescate da Domenico Bruschisu commissione del vescovo Gioacchino Pecci (1846-1878),di cui compare il ritratto nell’affresco principale72. Al medesi-mo anno risalgono le finte tarsie del coretto ligneo, dipintesempre dal Bruschi73.

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1892. Il vescovo Federico Foschi (1880-1895), già segreta-rio di papa Leone XIII (1878-1903), sposta la Tomba dei papisulla parete destra (n. 29)74 e colloca al suo posto il monu-mento marmoreo di Leone XIII (n. 31)75.

3. La Pala di Sant’Onofrio (1483-1484)

Commissione e datazioneLa data del 1484, attestata sotto la cornice della Pala

Vagnucci, s’inserisce agevolmente nel percorso umano e profes-sionale di Luca Signorelli (Cortona, 1450 ca-1523)76, costi-tuendo un punto fermo di grande importanza per la compren-sione della vicenda artistica giovanile del cortonese, solo intui-bile dal punto di vista documentario, ma pressoché sconosciu-ta da quello visivo: infatti, dopo l’affresco di Città di Castello(per altro di controversa attribuzione), si tratta della primadata certa per un’opera conservata di Signorelli, nella quale,per giunta, egli appare un pittore completamente indipenden-te dalle botteghe dei maestri con cui si era andato formando,a cominciare da Piero della Francesca (1416/20-1492)77.

Divenuto il primo collaboratore del coetaneo PietroVannucci, forse frequentando a Firenze, nel corso degli annisettanta, la bottega di Andrea del Verrocchio (1435-1488),Signorelli, quasi certamente, dovette recarsi a Roma per ricon-giungersi al Perugino ed assisterlo nell’impresa decorativa del-la cappella Sistina, per quanto nei documenti dell’ottobre1481 e del gennaio 1482 non risulti menzionato tra i pittorireclutati dal pontefice Sisto IV78. Proprio il contatto rinnova-to con l’ambiente della pittura umbra (rappresentata anche dalPintoricchio, altro aiutante del Perugino) forse contribuì alsuccessivo trasferimento del pittore a Perugia79.

In questo senso, però, ancora più decisivi dovettero risultarei noti legami del vescovo Vagnucci con la Curia romana e, inmodo particolare, con papa Sisto IV che, proprio nel 1482, pro-mosse Iacopo all’arcivescovato di Nicea (cf. par. I, 4).Considerando poi come il mecenatismo dei Della Rovere avreb-be successivamente coinvolto il pittore cortonese in altre impor-tanti realizzazioni (affreschi di Loreto, Orvieto e Roma)80, sipuò pensare ad un ruolo d’intermediazione svolto dalla famiglia

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del pontefice nel determinare la chiamata di Signorelli aPerugia. Superfluo infine sottolineare che la scelta del Vagnuccicadde sul nome di un affermato pittore conterraneo, anch’eglifortemente legato alla propria città natale, per la quale aveva rea-lizzato diverse opere durante l’ottavo decennio del secolo e dovespesso aveva ricoperto incarichi di pubblica utilità81.

La permanenza a Roma di Signorelli potrebbe collocarsi tra iprimi mesi del 1482 e l’ottobre seguente, quando un lavoro diLuca è documentato nella chiesa di San Francesco a Lucignano(presso Arezzo), su commissione della confraternita di SantaMaria82. È verosimile, quindi, che egli abbia ricevuto l’incaricodi dipingere la Pala di Sant’Onofrio nella primavera del 1483, alloscadere del primo anno di episcopato di Dionisio Vagnucci,committente “diretto” dell’opera, come indicato dalla “didasca-lia” perduta. Mentre il termine post quem va fissato al maggio diquell’anno83, la realizzazione della tavola può essere collocataentro la metà del 1484: nel mese di giugno, infatti, vediamoSignorelli recarsi in ambasceria a Gubbio, per invitare a Cortona,a nome del proprio comune, l’architetto senese Francesco diGiorgio Martini (1439-1501) che, nella cittadina toscana, avreb-be elaborato il progetto per la chiesa di Santa Maria delle Grazieal Calcinaio; nel novembre seguente Luca acquista un terrenoproprio a Cortona, mentre nel gennaio dell’anno successivo lotroviamo a Spoleto, dove stipula con le monache del convento diSant’Agata il contratto per una pala d’altare mai eseguita84.Niente di più probabile, dunque, che il dipinto sia stato sistema-to sull’altare della cappella di Sant’Onofrio (la cui festa ricorre il12 giugno) alla metà del 1484, quando venne apposta l’iscrizio-ne commemorativa che, appunto, riportava quella data85.

Iconografia e personaggiL’importanza della Pala Vagnucci (fig. 20) va ben oltre il sem-

plice “appiglio” cronologico, dal momento che essa rappresenta,prima della perduta Corte di Pan (1489-1490, già a Berlino) e,probabilmente, prima anche della Conversione di San Paolo (affre-schi della sacrestia di San Giovanni nella basilica di Santa Mariaa Loreto)86, l’opera più significativa del periodo “giovanile” diSignorelli (le virgolette sono d’obbligo, visto che all’epoca il pit-tore aveva già 35 anni, se non di più): una vera e propria “sinte-si-antologia” delle sue prime esperienze artistiche e, nello stessotempo, l’opera che ne inaugura lo stile più tipico e riconoscibile.

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Fig. 20L. Signorelli,

Pala di Sant’Onofrio,1483-1484.

Perugia,Museo Capitolare

di San Lorenzo.

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Non ci sono documenti attestanti l’autografia del dipinto,comunque assegnato al Signorelli già dal Vasari, il quale cosìne scrive nella Vita del cortonese87:

In Perugia ancora fece molte opere, e fra l’altre, in duomo,per messer Iacopo Vannucci cortonese vescovo di quella cit-tà, una tavola; nella quale è la Nostra Donna, sant’Onofrio,sant’Ercolano, san Giovanni Battista e santo Stefano; et unangelo che tempera un liuto, bellissimo.

Dal 1550 (prima edizione delle Vite) ad oggi, l’attribuzionedel biografo aretino non è stata mai messa in discussione, sìche la critica ha preferito piuttosto concentrarsi sul problemadello stile e delle possibili influenze ravvisabili nell’opera88.

Prima di analizzare questo aspetto, però, è bene partire dauna illustrazione del dipinto (Sacra Conversazione, precisa-mente Madonna in trono col Bambino, i santi GiovanniBattista, Onofrio e Lorenzo, un santo vescovo ed un angelo musi-cante), i cui personaggi sono disposti nel modo seguente:

Nel passo citato, che rappresenta la più antica descrizione dellatavola, il Vasari crede di scorgere santo Stefano nella figura inalto a destra. Le ragioni di questa errata identificazione sonofacilmente comprensibili: infatti, come ha spiegato GirolamoMancini, la dalmatica, il libro dei Salmi e il ramo di palma sonosimboli allusivi tanto al Protomartire quanto a san Lorenzo,

anch’egli diacono e martire;ed essendo quest’ultimo iltitolare della cattedrale peru-gina, nonché il patrono dellacittà, è assai più probabile cheil vescovo Vagnucci abbia pre-ferito la sua immagine a quel-la di santo Stefano89. Unaconferma, del resto, ci vienedall’originaria presenza di SanLorenzo nella vetrata dellasovrastante trifora del transet-

Altezza: cm 226

Larghezza: cm 193,5

Battista Vergine Lorenzo

Onofrio Angelo Vescovo

Fig. 21L. Signorelli,

disegno per la testadel Battista.Stoccolma,

Nationalmuseum.

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to, in una posizione corrispondente a quella del dipinto: quil’identificazione non lascia spazio ad alcun dubbio, dal momen-to che il santo è connotato inequivocabilmente dalla griglia sul-la quale venne martirizzato (cf. par. 6; fig. 44)90.

Tradizionale è la figura del Battista (per la cui testa si conser-va un cartone forato a Stoccolma, Nationalmuseum; fig. 21),sovente rappresentato alla destra della Vergine: una pelle di cam-mello per vestito, l’indice destro alzato ad indicare il Messia e, trale dita della mano sinistra, una leggerissima croce astata, dalla

Fig. 22Pala di Sant’Onofrio,part. con le figuredella Verginee del Bambino.

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quale sventola il solito cartiglio (“ECCE AGNIU[S DEI]”); l’aspettodel Precursore, però, non è quello di un uomo fiaccato dalla vitaeremitica, bensì di un giovane attraente. Appare espressivo piùche mai, invece, il sant’Onofrio, praticamente nudo, con barba echiome fluenti, “disseccato” e piegato sul proprio bastone: unafigura che tornerà altre volte nella pittura di Signorelli91.

Seduto sul primo gradino del trono, un angelo volge lespalle alla Madonna, intento ad accordare il liuto92: sorpren-dono il ventre insolitamente gonfio e le gambe leggermente“rachitiche”. Infine la Vergine, assisa imponente su un tronoaltissimo e con lo sguardo fisso sul libro, al quale rivolge lapropria attenzione anche il Bambino ricciuto (fig. 22): inmano a quest’ultimo è il giglio, simbolo di purezza e vergini-tà93. Del presunto santo vescovo, assorto nella lettura in bassoa destra, si dirà nel paragrafo 5 (fig. 30).

Stile e influenzeStupisce vedere una Sacra Conversazione completamente

priva di ambientazione, senza elementi paesaggistici o archi-tettonici: qui l’elemento unificante è il controluce del cielo, diun azzurro terso e luminoso, che “riesce a dar risonanza e per-fino giustezza tonale ai colori”, esaltando la monumentalitàdelle figure; un timido accenno paesaggistico è visibile solo

Fig. 23Pala di Sant’Onofrio,

part. con il vasodi fiori in primo piano.

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nell’angolo in basso a sinistra, con un alberello e un edificioche è stato interpretato come la tribuna absidale del duomo diSan Lorenzo (fig. 128)94. La spazialità, dunque, non è ottenu-ta con inquadrature prospettiche, ma è creata unicamente dalmodellato energico delle figure, che Signorelli sembra sbalzarea tutto tondo con il fare di uno scultore: caratteri, questi, cheresteranno distintivi dello stile maturo del pittore.Ciononostante, “l’enfasi è posta significativamente sul prima-to decorativo della superficie pittorica e della cornice che lacontiene”95, con i sei personaggi disposti entro un quadratoche, parallelo ai bordi della tavola, inscrive il “rombo” forma-to dagli oggetti sostenuti dalle figure laterali (bastone, asta,palma, pastorale): proprio la straordinaria accuratezza dei par-ticolari, poi, costituisce l’aspetto che catalizza maggiormentel’attenzione dello spettatore (fig. 23)96.

Non è il caso di ripercorrere la nutrita letteratura critica suldipinto, messo in relazione ora con l’ambiente fiorentino, oracon l’arte fiamminga, ora con la pittura dell’Italia settentriona-le, con specifico riferimento all’area veneto-romagnola97. Adogni modo, tentare di etichettare lo stile della tavola, assegnan-dolo a questo o quell’ambiente, è un esercizio davvero vano:come ha osservato lo Scarpellini, Luca, attraverso un sapientegioco di incastri e torsioni, “monta insieme pezzo a pezzo branidiversamente pensati e di disparata provenienza”: sant’Onofrio,le cui forzature espressionistiche rievocano Andrea del Castagnoo il Pollaiolo; il Battista, decisamente peruginesco nell’atteggia-mento patetico e nella tipica inclinazione del capo; l’angelo bot-ticelliano; il san Lorenzo donatelliano; l’imponente Madonna,che richiama la monumentalità e la nitidezza geometrica diPiero della Francesca98; le forme architettoniche, che ricordanole sculture di Andrea del Verrocchio; per poi non parlare del-l’ampio spazio concesso alle suggestioni fiamminghe99.

Fortuna e restauriSe l’impatto del dipinto fu limitato, in quanto destinato ad

una “città di provincia”, l’ambiente pittorico umbro, dominatodallo stile facile e divulgativo del Perugino, venne sensibilmen-te “sconvolto” da un’opera che, dopo le prove dell’Angelico(Pala di San Domenico) e di Piero della Francesca (Pala diSant’Antonio), segnava una tappa ulteriore del processo diaggiornamento sulle novità più importanti della pittura primo-

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rinascimentale: ricordi e imitazioni sono evidenti nello stessoPerugino (Crocifissione e santi degli Uffizi), in Raffaello (PalaColonna di New York, Pala Ansidei di Londra), in DomenicoAlfani (Pala della Sapienza Vecchia nella Galleria Nazionaledell’Umbria), in Pompeo Cocchi (Pala di San Nicola nel MuseoCapitolare di Perugia) e in qualche pittore secondario100.

La tavola è stata restaurata presso l’Istituto Centrale per ilRestauro di Roma, una prima volta nel 1948-1951, di nuovonel 1984-1994; in precedenza dovette subire almeno dueinterventi, uno ai primi del ’700 (in occasione della ricolloca-zione sull’attuale altare di Sant’Onofrio), l’altro documentatonel 1923, quando l’opera venne allogata nel nuovo MuseoCapitolare di San Lorenzo (cf. appendice B).

4. L’iscrizione perduta

Posizione e scomparsa della memoriaA lungo eruditi e studiosi si sono interrogati sull’esatta ubica-

zione della già menzionata scritta, un tempo posta nella cappel-la di Sant’Onofrio a ricordo dell’impresa decorativa deiVagnucci. Dopo la “pionieristica” citazione del cortoneseBraccioli (1565)101, il primo tra gli scrittori locali a riportare iltesto della memoria è il più anziano dei Crispolti che, nella pri-ma stesura manoscritta della Perugia Augusta (1603 ca), poi pub-blicata postuma dal nipote, afferma di vederla collocata “sotto ilcornicione” della tavola, definita “bella e diligente”102. Lo stessoconcetto viene ripreso nella pubblicazione del 1648, dove Cesareiunior, dopo aver genericamente affermato che l’iscrizione cam-peggiava “sotto la detta tavola”, specifica in un passo successivocome essa fosse posizionata “sotto la cui cornice”103.

Possiamo dunque ipotizzare che la scritta fosse fisicamenteseparata dall’incorniciatura vera e propria del dipinto e si tro-vasse in una fascia sottostante (un gradino o una predella) del-la pala d’altare: così sembra suggerire anche la solita Vita diIacopo, dalla quale ricaviamo che la memoria, scritta in carat-teri capitali di colore oro, era sistemata “nella tavola dell’altaredella cappella”, precisamente “nel fregio di detta tavola”104.

Problematico è capire anche quando l’iscrizione sia scom-parsa: ciò potrebbe essere accaduto già nel 1608, in seguito

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allo smantellamento dell’altare Vagnucci e al conseguente spo-stamento del dipinto sulla parete sinistra del transetto (doverisulta appeso, il che attesta la separazione dal resto della pala).Tant’è vero che, con la sola eccezione (che per altro abbiamogiustificato) del Crispolti iunior, tutti gli scrittori del ’600dimostrano di non scorgere più la scritta, anche se paiono rie-vocarla nell’affermare la corresponsabilità di DionisioVagnucci per quanto riguarda la decorazione del sacello105.Sennonché, ancora nel 1700, lo storico cortonese DomenicoTartaglini accenna genericamente all’iscrizione, anche se appa-re abbastanza chiaro come questa menzione non sia il frutto diun’esperienza diretta106.

Ad ogni modo, ai primi del ’700, in occasione della ricollo-cazione sul nuovo altare di Sant’Onofrio, la tavola, già liberatadagli elementi architettonici della pala (gradino, lesene e trabea-zione), venne forse privata anche della propria cornice, e pureresecata per essere ancora incorniciata e riadattata al prospettodel moderno altare in muratura. Infatti la superiore delle cinque(o sei) assi orizzontali di cui è composto il quadro è stata accor-ciata di 4-5 cm circa (come risulta evidentemente dal corona-mento mozzato del trono della Vergine), mentre l’assottiglia-mento dell’intero supporto ligneo (spesso circa 2 cm) va ricon-dotto al penultimo restauro107; inoltre l’abrasione della pellico-la pittorica e dello strato preparatorio lungo i margini lateralidel dipinto, laddove con l’ultimo restauro sono riemersi i con-torni di due candelabre, potrebbe indicare l’esistenza di unduplice profilo ligneo, aderente alla superficie del quadro e suc-cessivamente asportato insieme ai corniciamenti originari108.

Possiamo certamente escludere, invece, una seconda ipotesi,cioè che la scritta fosse dipinta sul bordo inferiore della tavola(che non risulta né abraso né tagliato): così evidentemente ipo-tizza il Galassi, ancora una volta all’origine di una tradizioneerrata che pare coinvolgere persino le visite pastorali109.

Predella figurata o semplice gradino?Il problema preso in esame è strettamente connesso ad

un’altra questione, quella relativa alla possibilità che, secondol’uso del tempo, la tavola fosse munita di una lunetta e di unapredella, accessori di cui erano corredati, nella pittura diambiente toscano, quasi tutti i dipinti di grande formato ret-tangolare (ad esempio, la più tarda Pala Colonna di Raffaello):

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difficile che la tavola, già di per sé moderna e innovativa per lasua forma quadrangolare all’antica, fosse semplicementeincorniciata. L’ipotesi, avanzata per primo da GirolamoMancini, il quale attribuisce al rinnovamento settecentesco laperdita delle parti mancanti, è stata successivamente ripresa daaltri studiosi (Van Marle, Keach, Bernardini)110: bisogna peròconstatare come nelle fonti non si faccia il minimo accenno néa una predella, né a un coronamento.

Che il dipinto fosse collocato piuttosto in alto rispetto alpiano della mensa, da questa separato attraverso un possibilegradino, sembra suggerito dal punto di vista della rappresen-tazione, così ribassato in funzione dell’effettivo spettatore cheSignorelli, coerentemente con le proprie inclinazioni, non sipone il problema di far intravedere il paesaggio retrostante.Un’idea, poi, di come poteva essere un’eventuale predella figu-rata, ci viene fornita dallo scomparto con la Natività e imposi-zione del nome del Battista (Parigi, Louvre; fig. 24), prima “sto-rietta” a noi nota di Signorelli, caratterizzata da uno stile assaiprossimo al dipinto di Perugia e, pertanto, datata intorno allametà del nono decennio del secolo (Salmi, Scarpellini,Paolucci)111. Il Mancini e la Keach, invece, hanno propostoun rapporto diretto con la tavola, poi dimostrato con validiargomenti da L. Kanter e T. Henry112.

In effetti, gli elementi che farebbero propendere per l’ap-partenenza alla Pala Vagnucci sono numerosi (fig. 25): primadi tutto, si può ipotizzare che la tavoletta del Louvre, ridot-ta su tutti e quattro i lati (con perdite minime lungo i mar-gini superiore ed inferiore), fosse posizionata sotto la figuradi san Giovanni, in pendant con una Storia di san Lorenzosotto la figura corrispondente e con la nota memoria collo-

Fig. 24L. Signorelli,

Nascita e imposizionedel nome del Battista,

1484 ca.Parigi, Museo

del Louvre.

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Fig. 25Ricostruzione virtuale

della Paladi Sant’Onofrio.

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cata in posizione mediana, in base ad uno schema (due oquattro riquadri figurati disposti simmetricamente intornoad un elemento centrale) che ricorre in altre predelle diSignorelli (spesso formate, come forse nel nostro caso, daun’unica asse di legno)113; secondo, le candelabre che delimi-tano la piccola scena domestica sono assai simili a quelle,metalliche e lucenti, del trono della Vergine e a quelle riap-parse, sotto forma di impronta, sui margini laterali dellatavola principale114; terzo, in entrambe le opere le figuresono “colpite” da una luce astratta, mentale, forzatamentelaterale da sinistra verso destra, come è giusto aspettarsi inuna pala collocata alla destra dell’abside del duomo; quarto,anche nello scomparto di predella, Signorelli sembra dimo-strare interessi assai vicini a quelli di uno scultore, costruen-do l’immagine in superficie (come in un fregio delVerrocchio) e ricorrendo ad “effetti illusori di rilievo sculto-reo”; infine, anche nel piccolo dipinto del Louvre, Luca uti-lizza la tecnica dello spolvero su cartone, già adottata nellatavola maggiore per i motivi decorativi dei gradini e, proba-bilmente, per la testa del Battista.

Da scartare, invece, è l’ipotesi che la pala fosse conclusa daun timpano o da una lunetta. In assenza di qualsiasi dato, sipuò soltanto osservare che un coronamento, triangolare o cur-vilineo, non si sarebbe adattato al profilo rettilineo dellosguancio inferiore del finestrone che, nella testata del transet-to destro, giungeva talmente in basso da non permettere soprala tavola altro spessore che quello di una trabeazione: come sivedrà (cf. par. 6), la trifora era strettamente collegata, nell’ico-nografia delle proprie vetrate, al “trittico” di Signorelli, rappre-sentandone essa stessa la “lunetta” (fig. 26).

Ricostruzione virtuale della pala: alcune confermeLa ricostruzione della Pala Vagnucci sin qui effettuata tro-

va preziose conferme in due ancone tra loro quasi coeve, laprima delle quali è la Pala della Sapienza Vecchia diDomenico Alfani (1518, Galleria Nazionale dell’Umbria):l’opera potrebbe essersi ispirata alla Pala di Sant’Onofrio nonsolo nella rappresentazione della scena sacra115, ma persinonella cornice (originale, anche se sottoposta a ridipinture nelXVIII secolo), come si rileva dalla struttura architravata pog-giante su un gradino, caratterizzato dalla finzione di due

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Fig. 26Ricostruzione virtualedella testatadella cappella Vagnucci.

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Fig. 27D. Alfani,

Pala della SapienzaVecchia, 1518.

Perugia, GalleriaNazionale dell’Umbria.

scomparti laterali di predella compresi tra gli stemmi eun’iscrizione centrale (fig. 27).

A parte un fatto assai significativo risalente al 1512116, ilrapporto tra Signorelli e la famiglia Vagnucci conobbe unsecondo episodio nel luglio 1523, quando, poco prima dimorire (ottobre), l’anziano pittore venne incaricato daGiovambattista Vagnucci (figlio di Filippo di Angelo diVagnuccio) di realizzare l’Immacolata Concezione con sei profe-ti, oggi esposta nel secondo altare a sinistra della chiesa diSanta Maria del Calcinaio a Cortona (fig. 28). L’opera, cheritrae il committente con il figlio adottivo Mauro, fu probabil-mente eseguita, su disegno dello zio, da Francesco Signorelli(1495 ca-1553), nipote e primo assistente di Luca.

Il rispetto dei tempi previsti dal contratto (l’opera dovevaessere consegnata entro la Pasqua dell’anno seguente) è attesta-to dal gradino della pala (fig. 29), oggi smembrata, recante

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Fig. 28F. Signorelli,Pala dell’ImmacolataConcezione, 1524.Cortona,chiesa di Santa Mariadelle Grazieal Calcinaio.

Fig. 29F. Signorelli,predella dellaPala dell’ImmacolataConcezione, 1524.Arezzo,Soprintendenzaai Beni Culturali(deposito).

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due scomparti laterali (Elevazione dell’ostia, Adorazione delSacramento) intorno ad uno sportello centrale (CorpusDomini) e, nei plinti dei pilastri, un’iscrizione inneggiante alcommittente e lo stemma di famiglia seguito dalla data del1524117: soluzioni straordinariamente simili a quelle ipotizza-te per la ben più famosa Pala Vagnucci, con la quale le analo-gie sono strettissime (si vedano anche il formato della tavola,gli angeli musicanti nei vertici superiori, la Vergine assisa inalto, il punto di vista ribassato, lo sfondo luminoso del cielo,il ritratto del committente). Considerando poi che, nella chie-sa del Calcinaio, l’opera era destinata ad una cappella ricavatanella testata del transetto sinistro, per la quale lo stessoGiovambattista nel 1517 aveva commissionato a Guillaumede Marcillat (1470 ca-1529) una vetrata rappresentanteSant’Onofrio (purtroppo perduta), è evidente come la cappellaVagnucci nel duomo di Perugia avesse rappresentato, a distan-za di trenta-quarant’anni, un modello puntuale per il proget-to decorativo della cappella della Concezione a Cortona118.

5. Il ritratto del vescovo e la devozione al santo eremita

Il problema del ritrattoTornando alla rappresentazione della tavola, un altro tema

di discussione è stato offerto agli studiosi dalla straordinariafigura collocata in basso a destra, quella di un vescovo comple-tamente assorto nella lettura, di cui è conservato a Londra(British Museum) un disegno preparatorio realizzato a puntametallica (figg. 30-32)119. Il presule, molto anziano, è calvo esbarbato, ed indossa un ricco piviale istoriato; con entrambe lemani tiene aperto un pesante volume, mentre con la sinistraregge anche il pastorale; la mitra vescovile è accanto a lui,appoggiata sul primo gradino del trono della Vergine.

Il più antico riferimento a questo personaggio è del Vasariche, nel già citato passo delle Vite, vi individua sant’Ercolano120.L’identificazione del biografo aretino, forse condizionata dallapresenza del santo nella vetrata maggiore della cappella (fig. 43),risulta piuttosto problematica per motivi iconografici: innanzi-tutto, come ha notato Girolamo Mancini, il capo del vescovo èl’unico a non essere fregiato dall’aureola, dettaglio che risalta

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quanto più si tenga conto della particolare cura impiegata dalpittore nel differenziare i nimbi; in secondo luogo, non compa-iono simboli allusivi al santo e alla sua decapitazione (il vessillocol grifo perugino), simboli invece utilizzati per connotare gli

Fig. 30Pala di Sant’Onofrio,part. con il vescovoVagnucci.

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altri tre santi che rendonoomaggio alla Vergine (la croceastata del Battista, la palmadel martire Lorenzo, la “cruc-cia rustica” di Onofrio)121;infine bisogna osservare comesant’Ercolano venga tradizio-nalmente rappresentato comeun uomo di mezza età, dallafolta ma corta barba bian-ca122: il Bonfigli ce ne offre unesempio quasi contempora-neo nella cappella dei Priori.

È lo stesso Mancini adipotizzare che in questa figu-ra, tanto naturale e vera dasembrare proprio un ritratto,il Signorelli abbia effigiato ilprincipale committente dellatavola, vale a dire IacopoVagnucci123. In effetti, la col-locazione del cortonese nel-l’impianto iconografico deldipinto e, in generale, di tut-ta la cappella è molto chiara,suggerendo alcuni significatiche, a molti spettatori del-l’epoca, non dovevano certosfuggire: egli da una parte èaffiancato a san Lorenzo,patrono di Perugia, a sottoli-neare un legame particolar-mente forte con la cattedraleomonima, alla cui ricostru-zione e decorazione il prelatoaveva dato un contributoimportante124; dall’altra sicontrappone specularmente asant’Onofrio, cui il Vagnucciera devotissimo, e al qualeaveva consacrato la cappellafondata nel transetto destro

Fig. 31Pala di Sant’Onofrio,

part. del vescovoVagnucci.

Fig. 32L. Signorelli,

disegno per la figuradel vescovo Vagnucci.

Londra,British Museum.

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del duomo; Onofrio, a sua volta, si trova in parallelo con unsanto eremita ben più illustre, Giovanni il Battista125.

La proposta del Mancini è stata respinta dalla maggior partedegli studiosi del ’900, per cui, anche recentemente, si è torna-ti a sostenere l’antica attribuzione del Vasari, ritenuta più ragio-nevole nel contesto del duomo perugino (nel quale sono conser-vate le ceneri del santo martire e compatrono della città)126.Tuttavia è probabile che il Mancini abbia derivato la sua ideadalla più volte citata Vita di Iacopo, nella quale, fatto non tra-scurabile, l’ultimo estensore (che scrive nel 1594, a distanza dipoco più di un secolo dalla morte del Vagnucci) argomenta, inmodo preciso e circostanziato, la convinzione di riconoscere intale figura “il vero ritratto del vescovo Iacopo”127. Ciò però nonesclude che nell’effigie del cortonese, collocata in posizionetroppo preminente e, addirittura, allo stesso livello degli altrisanti, sia adombrata proprio la figura di sant’Ercolano: questa,come si vedrà nel prossimo paragrafo (figg. 42-43), nella sovra-stante vetrata della cappella ricorreva nella medesima posizionedella tavola, istituendo un parallelo implicito con il ritrattofisionomico del vescovo Vagnucci che, pertanto, si presentavacome l’ultimo degno successore del defensor civitatis, facendosiin sostanza passare per esso.

È invece da escludere l’ipotesi della Keach che, partendo dauna interpretazione più letterale dell’iscrizione perduta, indi-vidua nel personaggio in questione san Dionigi, eponimo diDionisio (o Dionigi) Vagnucci, nipote e successore di Iacoposulla cattedra episcopale: in effetti la memoria attribuisce allozio solo la fondazione della cappella, mentre la decorazionedella stessa (compresa la commissione della pala d’altare) spet-terebbe al nipote128. Semmai, data l’assenza dell’aureola e diuna tipizzazione pari a quella che caratterizza gli altri santi, lafigura potrebbe rappresentare lo stesso Dionisio, ma è assai piùplausibile che il vescovo perugino in carica avesse voluto ono-rare la memoria dello zio, cui doveva i successi della propriacarriera ecclesiastica e al quale spettava il vero merito dell’im-presa129. In conclusione, l’età avanzata del vescovo che ammi-riamo nella tavola e il fatto stesso che Iacopo, committente“indiretto” dell’opera, fosse ancora in vita nel 1484 rendonomolto probabile, come sostiene lo Scarpellini, che il ritratto siaproprio quello del più anziano dei Vagnucci130.

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Il filone “locale” del san Nicola di BariÈ stato scritto che la “monumentalità della figura piramida-

le avvolta nel piviale” rievoca, ancora una volta, possibili pre-cedenti di Piero della Francesca131. Si può ritenere, piuttosto,che l’effigie di Iacopo ricordi da vicino un bellissimo ritrattorealizzato da un altro protagonista del primo Rinascimento,fra Giovanni da Fiesole detto il Beato Angelico (1395 ca-1455): mi riferisco alla Pala Guidalotti, oggi nella GalleriaNazionale dell’Umbria, dove il san Nicola di Bari è davvero un“gemello” del vescovo signorelliano (fig. 33)132. Oltre a certecaratteristiche fisionomiche del nostro personaggio, diversisono gli elementi in esso riconducibili al “modello” offertodall’Angelico: la disposizione di tre quarti al fianco dellaVergine, l’atteggiamento di totale assorbimento nella lettura, ilpastorale sorretto dal braccio esterno (rispetto alla convergen-za della figura verso il centro), il particolare della mitra vesco-vile appoggiata su un piano retrostante (una panca nella PalaGuidalotti, un gradino nella Pala Vagnucci).

Il Signorelli, reduce dall’esperienza nei Palazzi Vaticani,dove aveva potuto ammirare gli affreschi angelicani della cap-pella Niccolina, potrebbe essersi ispirato al polittico già collo-cato nella chiesa perugina di San Domenico per caratterizzaree nobilitare la figura del Vagnucci133. Tra l’altro, è da notarecome, nell’ambiente della pittura umbra, la pala del fratedomenicano segni una precoce penetrazione del gusto fiam-mingo, che ha modo di esercitare tutta la sua suggestione pro-prio nella tavola del Signorelli e, in maniera particolare, nellarappresentazione del vescovo.

Tuttavia, nonostante l’influenza delle Fiandre (impronta-ta alla mimesi realistica di Jan Van Eyck), nel nostroRinascimento il ritratto, soprattutto dalla seconda metà del’400, tende a ripudiare la concretezza per una resa ideale emonumentale del soggetto, “con l’arrivare alla realtà delmodello in un secondo tempo, dopo averne preideata l’im-magine d’insieme” (magari ispirandosi ad un precedente illu-stre)134. Così il Signorelli sembra inserire la sua figura in unfilone iconografico “locale” relativo al san Nicola di Bari,filone che fa capo all’Angelico e del quale, dopo la PalaVagnucci, seguiranno numerosi esempi: addirittura è il giova-ne Raffaello che, nella Pala Ansidei del 1505-1507 (Londra,National Gallery), si ispira palesemente alla tavola del

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Fig. 33Beato Angelico,Polittico Guidalotti,part. con la figuradel san Nicola di Bari.Perugia, GalleriaNazionale dell’Umbria.

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Signorelli per la figura di san Nicola, oltre che per la Verginee il Battista peruginesco; medesimo discorso per DomenicoAlfani (Pala della Sapienza Vecchia nella Galleria Nazionaledell’Umbria, 1518) e Pompeo Cocchi (Pala di San Nicola nelMuseo Capitolare di Perugia, 1519-1529), i quali prendonochiaramente spunto dall’effigie del Vagnucci per il loro san-to di Bari135; lo stesso Signorelli ne replicherà l’impostazio-ne generale nel san Nicola della Pala di Montone (Londra,National Gallery, 1515), anch’esso caratterizzato dal vivaceeffetto illusionistico dello stolone riccamente decorato.

Mentre quest’ultimo mostra alcune figure di santi, quellodel piviale del nostro vescovo reca numerosi episodi della Vitadella Vergine136; ricami analoghi abbelliscono la dalmatica disan Lorenzo, che mostra invece episodi della Vita di GesùCristo. Probabilmente il fatto non è casuale, poiché l’Ughelli ciinforma che il Vagnucci ebbe sempre una spiccata devozioneper la Madonna, come confermato dalle iniziative intrapresedal medesimo nel sostenere il culto delle reliquie della Vergine(cf. parr. IV, 3-4)137; allo stesso modo, non è fortuito che laveste di san Lorenzo, martire del III secolo, rechi alcune sce-nette della passione e resurrezione del Salvatore.

Il culto di sant’OnofrioLa devozione alla Vergine non toglie che l’esistenza del

Vagnucci e le imprese artistiche da lui promosse siano con-traddistinte da una venerazione, se non più grande, certo piùoriginale: quella per il santo eremita Onofrio, come riflette inmodo emblematico la contrapposizione tra i due personaggiofferta dalla tavola signorelliana (fig. 34).

La leggenda del santo, priva di alcuna consistenza storica, sì daapparire un semplice racconto edificante, ebbe grandissima for-tuna in Oriente, essendo nota in diverse recensioni (in greco edaltre lingue orientali): la Vita più diffusa, conservata in varie reda-zioni, era opera greca di un certo Pafnuzio (in copto “Dio mio”),monaco egiziano del V secolo che narra di aver “convissuto” neldeserto della Tebaide con il singolare eremita, apprendendone lastoria ed essendo testimone diretto dei suoi ultimi giorni divita138. La conoscenza della leggenda ci permette non solo didecifrare meglio la Pala di Sant’Onofrio139, ma anche di riscontra-re l’esempio del santo nella vicenda umana del Vagnucci, sia perquanto riguarda l’aspirazione di costui alla pace e alla solitudine,

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Fig. 34Pala di Sant’Onofrio,part. con la figuradi sant’Onofrio.

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sia per quanto concerne il suoimpegno costante sul versantesociale ed assistenziale140.

Naturalmente in Occidenteil culto di Onofrio era piutto-sto scarso, anche se in Italia,tra il XII e il XV secolo, le sueimmagini compaiono conrelativa frequenza specie lad-dove, a partire dal VI secolo, siera manifestata con più forzal’influenza della cultura orien-tale (in virtù della conquistabizantina della penisola e dellapermanenza di alcuni territori

sotto Bisanzio anche dopo l’occupazione longobarda), a maggiorragione in contesti monastici o eremitici141: è anche possibileche sulla devozione del Vagnucci abbia influito proprio la cono-scenza di insigni prelati orientali, quali Gregorio III Mammas(patriarca di Costantinopoli, città che annoverava ben due ora-tori dedicati al santo) e il Bessarione (arcivescovo di Nicea).

Anche se in area longobarda non mancano gli esempi (pro-babilmente perché la figura dell’anacoreta, “selvaggio” e con-sunto dagli stenti, risultava congeniale alla dimensione“espressionistica” della cultura barbarica), non è raro imbat-tersi nelle immagini del santo soprattutto nei territori rimastipiù a lungo sotto la dominazione bizantina: l’Italia meridio-nale, l’area veneta, il Lazio e il cosiddetto Corridoio Bizantino(sull’asse Roma-Ravenna)142. In particolare a Perugia, già roc-caforte del Corridoio, dal 1380 è attestata l’esistenza di unacappella di Sant’Onofrio presso le carceri del comune, nellazona del Campo di Battaglia sottostante alla piazza delSopramuro, cappella la cui ufficiatura venne affidata, a parti-re dal 1396, ai Servi di Maria di colle Landone e, successiva-mente, di Santa Maria Nuova (fig. 35)143.

Malgrado la mancanza nella regione di una radicata cultu-ra bizantina, il culto del nostro santo risulta ben attestatopure in Toscana, dove una compagnia detta dello “spedale diSant’Onofrio” operava a Siena sin dal 1348144: proprio lascuola pittorica senese, la più “orientale” tra quelle dellaregione, ha dato un contributo rilevante alla diffusione delleimmagini del santo in Toscana145.

Fig. 35Policleto di Cola (?),Sant’Onofrio, primametà del XV secolo.

Perugia, chiesadi Santa Maria Nuova.

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Ma è soprattutto a Cortona che tale culto appare assai radica-to, come testimoniano principalmente tre fatti: innanzitutto, ilnome “Onofrio” veniva con notevole frequenza imposto ai ram-polli delle famiglie cortonesi, e non ci stupisce constatare comeuno dei quattro (o cinque) fratelli di Iacopo si chiamasse proprioOnofrio (nome che ricorre spesso nella discendenza della fami-glia); in secondo luogo, nelle chiese cortonesi l’immagine del sin-golare eremita appare associata a quelle di altri santi molto vene-rati: così nella controfacciata sinistra della chiesa di SanFrancesco (Crocifissione con i dolenti e i santi Onofrio e Margheritadi Cortona; fig. 36), così nella parete sinistra della chiesa dellacompagnia di San Niccolò (Madonna col Bambino tra i santiRocco, Sebastiano, Cristoforo, Paolo, Caterina, Barbara, Nicola eOnofrio)146; ma il dato certamente più importante è costituitodal fatto che, sin dal XIII-XIV secolo, operava a Cortona unospedale intitolato ai santi Antonio ed Onofrio, ospitato neilocali dell’attuale chiesa di Sant’Antonio (cf. par. IV, 3), mentrenon lontano dalla città, in località Croce di Teverina, esisteva uneremo di Sant’Onofrio (oggi distrutto), fondato e dipendentedalla comunità agostiniana di Cortona147.

Comunque, al di là delle attestazioni presenti sia nella natiaCortona che nel territorio della propria diocesi, la devozione delVagnucci per il santo trova la sua spiegazione in una constatazio-ne molto interessante: a Firenze, città dalla quale Cortona dipen-deva politicamente e con la quale Iacopo mantenne rapporticostanti, sin dal suo “battesimo” nella vita della corte pontificia,Onofrio era non solo il titolare del convento omonimo in via

Fig. 36Jacopo di Minodel Pellicciaio (?),Crocifissionecon i Dolenti e i santiOnofrio e Margheritadi Cortona, XIV secolo.Cortona, chiesadi San Francesco.

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Faenza (che dal 1430 obbediva al monastero di Sant’Anna aFoligno), ma soprattutto il protettore della corporazione dei tinto-ri di lana, i quali concentravano i propri opifici lungo corso deiTintori (che da essi trae il nome sin dal ’300) e l’attuale via Tripoli,dunque in prossimità delle acque dell’Arno, necessarie ai processidi lavorazione148. All’angolo tra via Tripoli e via de’ Malcontenti,l’arte si riuniva in una chiesa o cappella dedicata al santo, alla qua-le, probabilmente già dal 1280, era annesso un ospedale mantenu-to a spese della corporazione e destinato alla cura ed accoglienzadei suoi membri149. Come sappiamo, Francesco ed AngeloVagnucci, rispettivamente padre e zio di Iacopo, esercitavano unafiorente attività proprio nel settore della lana, il cui commercio siapriva inevitabilmente in direzione di Firenze, alla quale Cortonasoggiaceva anche dal punto di vista dell’assetto corporativo150.

Nel ’600 il culto di Onofrio da parte dei tintori è attestatoanche in Umbria, specialmente a Perugia, dove, sin dalla pri-ma metà del ’400, l’arte si riuniva nella chiesa di SantaElisabetta alla Conca151. Sempre nel ’600 (e nel secolo succes-sivo) la devozione dei Vagnucci per il santo anacoreta risultaancora viva, poiché tra le pergamene della famiglia si conser-vano alcuni brevi papali che permettevano di lucrare indulgen-ze in una cappella di Sant’Onofrio ai Palazzi (nella diocesi diMontepulciano), in prossimità della villa che i Vagnucci pos-sedevano a nord di Petrignano del Lago (cf. appendice C)152.

6. Le vetrate (1484 ca)

Il programma decorativo della cappellaAlla confusione degli studiosi, circa l’ubicazione della cap-

pella di Sant’Onofrio nel XV-XVI secolo, è in parte connessal’incertezza riguardante la disposizione delle vetrate dellamedesima153. Tuttavia, fatta eccezione per chi, sulla scia delBombe (1912), ritiene che i pannelli figurati provengano dal-l’attuale oratorio, non sussistono dubbi sull’originaria colloca-zione degli stessi nella testata del transetto settentrionale154:qui si trovava la pala d’altare del Signorelli, con la quale levetrate erano innegabilmente collegate sotto il profilo icono-grafico. Il problema da risolvere, semmai, è capire come i pan-nelli fossero distribuiti nella trifora del primo ordine e come la

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bifora del secondo ordine, sopra il cornicione a mensole,entrasse a far parte del progetto decorativo.

Ebbene, la solita Vita di Iacopo ci offre, a questo proposi-to, l’indicazione in assoluto più importante: il passo che trat-ta della cappella di Sant’Onofrio si trova nell’ultima integra-zione del testo, quella risalente al 1594, registrando dunqueuna situazione anteriore alla costruzione della cappella diSanto Stefano e alla conseguente demolizione dell’altare diSant’Onofrio (1608). L’estensore afferma chiaramente che nel-la vetrata maggiore del sacello comparivano gli stessi santi del-la tavola signorelliana, con la sola eccezione dell’angelo sosti-tuito dalla figura di San Girolamo; inoltre descrive minuta-mente la disposizione degli stemmi vescovili del Vagnucci,ripetuti ben cinque volte (compresi i due della bifora)155. Allaluce di questo passaggio ed ipotizzando una perfetta corri-spondenza tra vetrata e dipinto, persino nelle posizioni dei sin-goli santi, è possibile ricostruire il progetto iconografico com-plessivo della cappella, esemplificato dal grafico 2.

Battista >Madonna

col Bambino< Lorenzo

Onofrio > Girolamo < Ercolano

�ORSO >

†< ORSO

�< ORSO

ORSO >†

< ORSO

Battista >Madonna

col Bambino< Lorenzo

Onofrio >Angelo

musicante< Vagnucci

�ORSO >

Nativitàdel Battista

Iscrizione1484

Martiriodi san Lorenzo?

�< ORSO

Bifora

Trifora

Pala

Altare

Pietratombale

Iscrizione funeraria

†< ORSO

Grafico 2Schema ricostruttivodel programmaiconograficodella cappelladi Sant’Onofrionel duomo di Perugia.

Mitra vescovile � † Croce vescovile

Figura orientata a destra > < Figura orientata a sinistra

Pannelli conservati ed esposti

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San Lorenzo e sant’Onofrio, titolari rispettivamente dellacattedrale e della cappella omonime, compaiono due voltecome il gruppo della Madonna col Bambino che, alla propriadestra (dunque in posizione privilegiata), trova sempre ilBattista. Ai lati della Vergine, le figure sembrano dispostesecondo due temi definiti: a sinistra i santi Battista e Onofriosono uniti dalla vita eremitica; a destra i due patroni diPerugia, il diacono Lorenzo e il vescovo Ercolano, quest’ulti-mo implicitamente replicato nel ritratto del vescovoVagnucci, sono accomunati dalla dignità ecclesiastica. Nellavetrata, al posto dell’angelo musicante della tavola, compareSan Girolamo raffigurato nella “versione umanistica” tipicadel ’400, cioè in abito cardinalizio, nonché assorto nel mede-simo esercizio di lettura del prelato cortonese: trovandosianche in posizione intermedia, egli sembra rappresentare ilpunto di convergenza tra l’ideale anacoretico (simboleggiatodal leone) e l’esigenza dottrinale dell’uomo di Chiesa (indi-cata, come per san Lorenzo e il vescovo Vagnucci, dal libro),due istanze che sappiamo ben presenti nella personalità delfondatore della cappella.

Prima di passare all’esame dei pannelli superstiti, onde con-fermare la validità dell’ipotesi sopra menzionata, è indispensa-bile ricostruire mentalmente l’altezza originaria delle trifore deltransetto (entrambe mutile nella parte bassa), analizzare le scar-ne indicazioni contenute nella più remota letteratura periegeti-ca ed accennare alla travagliata vicenda delle vetrate, infineapprodate nel Museo del Tesoro di San Francesco ad Assisi.

L’altezza della vetrata principaleIl limite inferiore del finestrone quattrocentesco si scorge

chiaramente sul lato sud del duomo, dove, guardando sopra esotto la volta della seconda campata della Loggia di Braccio, sivede come l’antica apertura sia stata murata in basso con picco-li mattoncini rettangolari; anche all’interno, lo sguancio nellaparete è stato debitamente accorciato con un riempimentomurario di grossolana fattura156. Invece sul lato nord, che è quel-lo che ci interessa, non è possibile compiere una simile verifica,poiché al transetto è addossato l’edificio settecentesco del nuovooratorio di Sant’Onofrio; tuttavia internamente si può ancoranotare come lo sguancio nella parete, visibile in tutta la sua lun-ghezza primitiva, vada a scomparire dietro l’altare di Santo

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Stefano, il cui frontone cur-vilineo, in origine, vennelasciato interrotto proprioper non coprire la vista dellavetrata (fig. 16)157.

Comunque, sulla basedel rilievo metrico del fine-strone meridionale (fig. 37)ed ipotizzando uno spessoredi 15 cm per la cornicemancante in basso, è possi-bile stabilire, per entrambele trifore, un’altezza di 6,2 mcirca per la luce centrale e di5,7 m circa per le luci latera-li158. Tenendo conto che laMadonna col Bambino (fig.38), il più integro dei pan-nelli rimasti, misura ben285 cm, l’altezza delle lucidel finestrone settentrionalepermette perfettamente lasovrapposizione su due livel-li di sei santi, ai quali biso-gna aggiungere lo spessoredegli elementi decorativi(compresi gli stemmi in bas-so)159.

Si tenga poi presente che,grazie ai ponteggi allestiti perla recente pulitura delle voltedella cattedrale, è stato possi-bile verificare che le medesi-me luci sono più larghe (86cm circa) di quelle della tri-fora corrispondente sul latosud, a fronte di un assotti-gliamento dei due pilastrinidivisori (17 cm circa): il chegiustifica la larghezza (87cm) del telaio della stessaMadonna col Bambino.

Fig. 37Rilievo metricodel transetto suddella cattedraledi San Lorenzoa Perugia.

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Fig. 38Vergine col Bambino

e due putti.Assisi, Museo

del Sacro Convento.

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Storia dei pannelli attraverso le fontiNella letteratura perugina, la più antica menzione delle

vetrate spetta a Cesare Crispolti iunior, il quale afferma cheDionisio Vagnucci “adornò detta cappella di una bella inve-triata”160. Ma di gran lunga più illuminante è il seguente pas-so del Lancellotti161:

Dall’istesso [Iacopo] Vannucci fu adornata la cappella, comechiaramente pruovano l’armi di quella Casa colorite, con ledue invetriate che sopra vi si vedono, venendo particolarmen-te la maggiore lodata dagli intendenti e per l’artifitio e per lavivacità oggi affatto perduta dei colori. In quest’ornamentovogliono avesse ancora qualche parte il vescovo DionigiVannucci, nipote di Giacomo.

Questo brano ci offre alcune conferme preziosissime: primo,l’altare di Sant’Onofrio si trovava all’interno del transetto, pro-prio sotto la trifora; secondo, il programma decorativo dellacappella coinvolgeva anche la bifora; terzo, l’arme della famigliaVagnucci compariva più volte in entrambe le finestre; quarto, ipannelli della vetrata maggiore, oltre ad essere di più alta qua-lità artistica, alla fine del ’600 si trovavano in uno stato di con-servazione migliore rispetto a quelli della bifora (che infatti nonsi sono conservati)162. Quest’ultimo particolare trova riscontroin una visita pastorale del 1660, nella quale il vescovo MarcoAntonio Oddi (1659-1668) loda la vetrata che, “lapidibusintersecta et pluribus sanctis imaginibus insignita”, nobilitavacon la sua esuberanza di luce e colore l’altare di SantoStefano163. Prima ancora del Lancellotti, gli stemmi Vagnuccivengono menzionati dal Bigazzini a proposito di Iacopo: “l’ar-me di lui è nell’invetriata sopra l’altare di Santo Stefano [...],fatta fare da uno di questi vescovi di Casa Vannucci”164.

Nei primi anni del ’700, in seguito ai lavori di restauro-costruzione del nuovo oratorio di Sant’Onofrio, la cui fabbricaandava a coprire la metà inferiore della trifora del transetto, ipannelli vennero asportati e nel 1765 acquistati dai francesca-ni di Assisi, per esigenze connesse con la manutenzione e sosti-tuzione delle vetrate nelle chiese superiore ed inferiore dellabasilica di San Francesco; analoga sorte toccò nel 1782 allevetrate provenienti dalla trifora absidale del duomo di Foligno.Entrambi i documenti di vendita sono stati pubblicati dal

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Fig. 39Sant’Onofrio.Assisi, Museo

del Sacro Convento.

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Fig. 40San Girolamo.Assisi, Museodel Sacro Convento.

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Giusto, ma da essi non si ricava granché165: nel primo caso siparla soltanto di un “finestrone di vetri colorati che stava sopral’altare di Santo Stefano”, venduto per il prezzo di venti scudi.

Dopo la rimozione, due sommari accenni alle vetrate nonpiù in situ si trovano nell’Orsini e nel Siepi166: il primo menzio-na “un’invetriata al di sopra tutta dipinta, colla Madonna, sanLorenzo, ed un’altra santa, e diversi adornamenti” (nella nota: “ipezzi di questa invetriata furono dati ai padri Conventuali diAssisi”); il secondo, ancora più vagamente, ricorda una “finestratutta formata a vetri colorati rappresentanti la Vergine ed alcunisanti, gli avanzi della quale invetriata, tolti nel 1765, furono poiimpiegati per le finestre della basilica di San Francesco”. Lagenericità di questi accenni si giustifica col fatto che nessuno deidue scrittori aveva visto le vetrate nella loro collocazione origi-naria; dalle espressioni usate (“avanzi”, “pezzi”) si desume inol-tre l’avanzato stato di deterioramento dei pannelli. La “santa”menzionata dall’Orsini potrebbe essere identificata conSant’Onofrio (fig. 39), all’epoca di certo illeggibile nella zona del

Fig. 41J. A. Ramboux,

disegno di alcunipannelli di vetrata

provenienti dallecattedrali di Perugia

e Foligno, 1836.

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volto e quindi “facilmente” scambiabile per una Maddalenapenitente o per una santa Maria Egiziaca, ad esempio; più signi-ficativo il riferimento ai “diversi adornamenti”, vale a dire glistemmi vescovili ed altri motivi ornamentali (si notino i tondidecorativi sotto il San Girolamo; fig. 40).

Acquistati dai francescani di Assisi, i pannelli andarono acolmare le luci di destra della terza e quarta bifora dall’ingres-so della parete meridionale (o sinistra) della chiesa superiore:qui li vide nel 1836 il Ramboux che, incaricato di redigere unarelazione sullo stato di conservazione delle vetrate, disegnòvarie figure, tra cui la Madonna e il Sant’Onofrio (fig. 41)167.Dopo il drastico restauro del milanese Giovanni Bertini(1838-1843), che intervenne pesantemente sulle figure conrifacimenti e sostituzioni di frammenti, i pannelli vennerodocumentati dalle prime fotografie, pubblicate dal Giusto nel1911168. Descrizioni della chiesa superiore ed ulteriori foto-

Sant’Onofrio San Girolamo Vergine San Lorenzo

cm 87 x 268 cm 86,5 x 290 cm 87 x 285 cm 85 x 174

5a, 5b, 5c 6a, 6b, 6c 4a, 4b

Grafico 3Stato di conservazionedei pannelli di vetrataprovenienti dal duomodi Perugia ed espostinel Museo del SacroConvento di Assisi(per la lettura delgrafico, cf. nota 170).

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grafie testimoniano che essi rimasero in quella posizione finoal secondo dopoguerra, quando, in seguito alla ricostruzionedel ciclo di vetrate sugli Apostoli, i pannelli furono rimossi edestinati ad altre collocazioni169. Approdati infine nei deposi-ti del Sacro Convento, in seguito solo la Madonna e ilSant’Onofrio sono stati sottoposti a pulitura e restauro (1989).

Ricostruzione virtuale della vetrata maggioreVeniamo ora alla lettura delle immagini170: le figure hanno le

medesime proporzioni e si stagliano tutte su un campo di colo-re azzurro, intenso come quello che fa da sfondo alla SacraConversazione signorelliana171; la larghezza è la stessa per tutti ipannelli (87 cm circa, escluso il San Lorenzo che misura 85 cm),senza considerare il bordo bianco, di 4 cm circa, aggiunto inepoca successiva ed oggi rimasto solo ai lati del San Girolamo.

Per quanto riguarda il registro inferiore della trifora, ladisposizione e l’orientamento delle figure, l’uniformità e lacontinuità degli elementi architettonici in cui sono inserite,nonché la struttura stessa dei pannelli vetrari, confermano l’al-lineamento da sinistra verso destra di Sant’Onofrio, SanGirolamo e Sant’Ercolano (fig. 42). Onofrio (fig. 39), con lemani giunte in atto di adorazione, converge a destra verso laVergine (fig. 38), a sua volta lievemente girata con il busto ver-so sinistra. Girolamo (fig. 40), trovandosi sotto la Madonna edessendo assorto nella lettura, mantiene una posizione quasifrontale, anche se di poco convergente verso il leone: infatti,nonostante la frontalità del volto (non autentico) e la scom-parsa di un piede, è verosimile che in origine la figura fosseleggermente disposta di tre quarti verso destra172. I tabernaco-li entro cui figurano i due santi sono identici in tutto: basa-mento, colonnine, coronamento, colorazioni del marmo,pavimento policromo sopra e sotto il gradino. Sotto il SanGirolamo si trova un fregio a tondi che, molto probabilmente,completava in basso tutte e tre le luci della vetrata, separandoi baldacchini dagli stemmi vescovili del Vagnucci: le stelle ver-di inscritte nei tondi sono le stesse che decorano il fregio deidue tabernacoli.

Il Sant’Onofrio è in buono stato di conservazione, se nonfosse per il pessimo volto che, già scambiato dal Giusto per ori-ginale, è stato asportato dal restauro del 1989173: la figura èconnotata secondo la tradizione, esattamente come nella tavo-

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Fig. 42Ricostruzione virtualedella vetrata maggioredella cappella Vagnucci,opera di N. di Montesu cartoni di B.Caporali, 1484 ca.

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la del Signorelli, della quale tuttavia non riprende l’esasperatorealismo, proponendo una interpretazione più dolce e serenadel santo anacoreta. Per quanto concerne il San Girolamo, ilBertini dovette ricostruire, oltre al volto (anch’esso ritenutoautentico dal Giusto), tutta la parte inferiore della figura, cherisulta malamente rattoppata con pezzi di vetro rosso: il santoeremita, secondo un inveterato anacronismo e un’errata esege-si medievale della sua vita, è rappresentato in assisa cardinalizia,mentre l’esperienza anacoretica sarebbe simboleggiata, secondoalcune interpretazioni, dalla figura del leone (ma si noti che lapresenza di quest’ultimo è una coperta allusione alle originicortonesi del committente!); nell’iconografia cristiana non èinsolito trovare Girolamo associato ad Onofrio174.

Passando alla figura di Sant’Ercolano (fig. 43), bisogna sot-tolineare come il pannello, ignorato da tutti gli studiosi dopola descrizione e le fotografie del Giusto, quindi dato perdisperso, si trovi invece nei magazzini del Sacro Convento(Elenco, 1991, nn. 7b-d), per quanto rimaneggiato dal Bertinicosì drasticamente da essergli addirittura attribuito175: perdu-

ta la conclusione dell’edicola, rimango-no a testimoniare l’originale i pannelli7b-c. La figura è orientata a sinistra(convergendo verso il Bambino inbraccio alla Vergine) e si trova sotto untabernacolo identico a quelli dei duesanti descritti in precedenza (comeindicano le colonnine tortili, gli archet-ti dentellati, la volta verde).Diversamente dal vescovo della PalaVagnucci, qui la figura risulta identifi-cata in modo inequivocabile dal grifoperugino del vessillo che sventola dalpastorale: già si è detto che proprio lacorrispondenza precisa tra vetrata etavola istituisce un parallelo implicitotra la figura del santo e il probabileritratto del vescovo Iacopo Vagnucci.

Anche nel registro superiore della tri-fora, ragioni di simmetria con la palasignorelliana suggeriscono l’allineamen-to da sinistra verso destra di un SanGiovanni Battista (mai ipotizzato dagli

Fig. 43Sant’Ercolano.Assisi, depositi

del Sacro Convento.

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studiosi), della Madonna col Bambino e di San Lorenzo (fig. 42).La Vergine (fig. 38) è disposta esattamente come nel dipinto, maquesta volta il Bambino è adagiato sulla coscia destra dellaMadre, seduto su un piccolo cuscino rosso, mentre con la destrabenedice e con la sinistra regge il globo dorato176. Il trono lapi-deo della Madonna è sormontato da un baldacchino conclusodiversamente (con una cupoletta) rispetto ai pannelli del regi-stro inferiore, mentre il gradino su cui poggia presenta unamaggiore prominenza, anche se per il resto è identico (si veda-no in particolare i riquadri decorativi nello spessore dello scali-no). Nella parte superiore del pannello, quasi completamenteintegro, è evidente come il Bertini, dovendolo riadattare allefinestre della basilica francescana, abbia modificato l’originarioprofilo trilobato con l’aggiunta di due cherubini, frutto di reim-piego e forse provenienti da uno dei due quadrilobi della trifo-ra perugina177: confrontando i volti con quello del Bambino, inparticolare nel modo di disegnare le labbra e le ciocche dei cap-pelli, sembra di trovarsi di fronte alla stessa mano. Altri dueputti di grossolana fattura vennero aggiunti in epoca successiva,ma sono stati rimossi col restauro del 1989178.

Per quanto riguarda infinela figura del San Lorenzo (fig.44), orientata a sinistra, nonconosciamo il basamento e laconclusione del tabernacoloche, comunque, mostra carat-teristiche diverse in confrontoalle edicole del primo livello etali da accostarlo, invece, al bal-dacchino che sovrasta il tronodella Madonna179. Rispetto allapala signorelliana, qui il santo èconnotato anche dalla graticoladel martirio, oltre ai consuetiattributi (palma, libro, dalma-tica, tonsura). Durante ilrestauro ottocentesco, alla figu-ra venne aggiunto un gradino(oggi rimosso e conservato neimagazzini) su cui poggiavanodei piedi addirittura rivolti dal-la parte sbagliata (a destra).

Fig. 44San Lorenzo.Assisi, Museodel Sacro Convento.

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Osservando attentamente questo pannello (Elenco, 1991, n. 4c),ho scoperto di trovarmi di fronte proprio ai muscolosi piedi delBattista (fig. 45): non solo il gradino e il pavimento sono deltutto identici a quelli della Madonna, ma è soprattutto la pre-senza della porzione inferiore della croce astata a fugare qualsia-si dubbio sull’identificazione del santo.

Come già anticipato, la Vita di Iacopo ci permette di cono-scere con estrema precisione la disposizione degli stemmivescovili (orsi rampanti coronati). Nella trifora si trovavanoripetuti in piccole dimensioni sotto i tabernacoli del registroinferiore, da questi separati attraverso il fregio a tondi tutt’og-gi visibile sotto la figura di San Girolamo: gli orsi laterali, for-se rampanti verso l’interno, erano accollati dalla mitra vesco-vile; diversamente quello centrale, di sicuro rampante a sini-stra, era sormontato dalla croce, altro simbolo tradizionale del-la dignità vescovile180. Invece nella bifora soprastante, le cuiluci misurano 3,2 m circa (fig. 37), gli orsi comparivano conla stessa scala delle altre figure, rispettivamente sormontati dal-la mitra e dalla croce, di certo l’uno contrapposto all’altro181.Da notare che nell’arme dei Vagnucci l’orso si staglia controun campo di colore azzurro, esattamente come avviene per isanti che decoravano la trifora e per quelli della SacraConversazione del Signorelli: l’unità del progetto decorativodella cappella è davvero indiscutibile; il programma è talmen-te coerente da poter essere ricondotto solo alla volontà deicommittenti.

Commissione e arteficiTerminata la ricostruzione virtuale della grande vetrata

perugina, è il momento di esaminare la questione della suaprogettazione e realizzazione, problema che inevitabilmente siscontra con le difficoltà in cui versa lo studio dell’arte vetrariadel ’400, un’attività all’epoca molto prestigiosa e redditizia, ma

Fig. 45Piedi del Battista.

Assisi, depositidel Sacro Convento.

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della quale oggi rimane ben poco: proprio per questo, le vetra-te del duomo di San Lorenzo rivestono una grande importan-za, essendo le uniche ad essersi fortunosamente conservate del-le molte che sappiamo realizzate a Perugia in quel secolo182.

Una seconda difficoltà deriva dalla necessità di capire dovefinisca il ruolo del pittore e dove cominci quello del maestrovetrario: sembra che dalla seconda metà del ’300 si vada versouna netta separazione dei ruoli, ma la documentata attività inquesto settore di pittori quali Benedetto Bonfigli eBartolomeo Caporali contribuisce a “sfumare”, per quantoriguarda il caso di Perugia, certe distinzioni troppo rigide. Inparticolare, dai documenti risulta l’esistenza di un rapporto dicollaborazione tra Caporali e Bonfigli da una parte e i maestrivetrari Francesco Baroni e Nerio di Monte di ser Cola (nipotedel precedente) dall’altra: una cooperazione che ha inizioquando, nel 1450, tutti e quattro gli artisti sono presenti aRoma nei cantieri vaticani di papa Niccolò V183.

Nella seconda metà del ’400, Nerio di Monte è senzadubbio il vetratista più attivo in Umbria, ricevendo impor-tanti commissioni a Foligno, Orvieto e soprattutto nellanatia Perugia, dove pare assumere il monopolio dell’artevetraria cittadina: il che rende molto probabile che il mae-stro perugino sia l’autore materiale anche delle vetrate di SanLorenzo, verosimilmente realizzate durante la messa in ope-ra di quelle destinate al vicino palazzo dei Priori (1483-1484), per essere installate, insieme alla pala signorelliana(alla quale erano legate da unità progettuale), forse alla metàdel 1484 (come documentato dalla nota iscrizione), comun-que non oltre la primavera del 1485. Ciò è confermato dalfatto che il gruppo proveniente dal duomo di Perugia mostrafortissime analogie con la quasi coeva serie folignate (fig.47): quest’ultima, infatti, venne realizzata tra il maggio del1485, quando vediamo che il Capitolo del duomo diFoligno commissiona a Nerio la vetrata “cum sex figuris” delcoro (per la quale era stato destinato un lascito testamenta-rio), e il novembre del 1488, allorché Niccolò di Liberatoredetto l’Alunno ne diede una perizia e “magister NeriusMontis de Perusio” rilasciò una quietanza di pagamento peruna somma di 100 ducati d’oro184.

L’omogeneità delle due serie, che difatti è stata responsabi-le del loro destino unitario con l’acquisto dei francescani diAssisi nella seconda metà del ’700, è più che evidente: a parte

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il San Lorenzo di Perugia (fig. 44), le inquadrature architetto-niche dei santi sono tali e quali, così come identici sono i duetroni marmorei della Vergine. Come si evince dal documentodel 1485, queste analogie non sono dovute soltanto ad un’abi-tudine del maestro vetrario, ma rispondono anche a precisedisposizioni dei committenti di Foligno che, esplicitamente,chiedono di prendere a modello la vetrata, appena compiutadal medesimo artefice, della cappella di Sant’Onofrio aPerugia, nota come la “cappella del vescovo”. Forme e tratta-mento delle singole figure, invece, mostrano come il vetratistaperugino si sia avvalso, per i cartoni della serie folignate, nondel disegno di artisti locali, ma di modelli forniti da maestran-ze transalpine, probabilmente originarie dell’Alsazia185.

Nei documenti il pittore più frequentemente associato aNerio di Monte è Bartolomeo Caporali (Perugia, 1420 ca-1503/5): tra i due sembra stabilirsi un vero e proprio sodalizioartistico. Questo fatto, unitamente al confronto con opere coe-ve del pittore, rende molto plausibile l’ipotesi che sia stato pro-prio il Caporali a disegnare i cartoni per le vetrate di Perugia.Anzi, la definizione chiaroscurale delle figure, dovuta ad una ste-sura molto accurata della grisaglia, farebbe pensare ad un inter-vento diretto del pittore nella bottega di Nerio di Monte186.

Il primo a suggerire il nome del Caporali, sulla base diosservazioni di carattere stilistico, è il Marchini (1956) che,successivamente (1973), chiama in causa lo stendardo diCivitella d’Arna (1492)187; più recentemente (1996), inve-ce, la Benazzi propone di confrontare il pannello dellaVergine (fig. 38) con la Madonna del Davanzale del Museodi Capodimonte a Napoli (1484), con la Pietà di SanMartino in Colle e con quella del Museo Capitolare diPerugia (1486; fig. 46)188. In ogni caso, il “quieto valoreillustrativo” e la “riposata dolcezza” già individuati dalMarchini sarebbero quelli delle opere tarde di Caporali,quando il pittore, abbandonate le suggestioni giovanili del-la pittura fiorentina, si assestò, nella fase finale della propriacarriera, su un linguaggio facile e provinciale, secondo lo sti-le dominante del Perugino189.

Prima del Marchini e a partire dal Thode (1885)190, il nomepiù frequentemente ripetuto è quello di Fiorenzo di Lorenzo,con la sola eccezione del Bombe (1912) e del Kleinschmidt(1915), i quali preferiscono parlare di Signorelli quale autoresia della pala che dell’intera vetrata (evidente è la suggestione

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esercitata dal ricorrere in entrambe delle medesime figure,anche se con caratteri stilistici molto diversi)191.

Diversi sono i canali attraverso i quali il Vagnucci potreb-be aver contattato il sodalizio Nerio-Caporali. Prima di tut-to, abbiamo già visto che i due lavorarono nei PalazziVaticani per Niccolò V nel 1450-1453, proprio negli anniin cui Iacopo, già cubiculario del papa ed ora vescovo diPerugia, risiedeva con vari incarichi a Roma, dopo aver fat-to ritorno, nel gennaio del 1450, dalla brevissima esperien-za bolognese192. Da notare, poi, che Bartolomeo era fratel-

Fig. 46B. Caporali,Pietà, 1486.Perugia,Museo Capitolaredi San Lorenzo.

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lo del miniatore Giapeco Caporali, collaboratore diPierantonio di Niccolò del Pocciolo, il quale realizzò per ilVagnucci il messale ms. 10 della Biblioteca Capitolare diPerugia (ottavo decennio del ’400): negli stessi anni,Bartolomeo era molto vicino all’ambiente della cattedrale(dominato dalla personalità del cortonese), sia per quantoriguarda la decorazione interna del “tempio” (arredi dipintidella cappella della Madonna del Verde, 1477-1479), sia perquanto concerne la propaganda religiosa connessa al nuovoculto perugino del Sant’Anello (Trittico della confraternitadella Giustizia, 1473-1475), nella cui compagnia il pittorerisulta iscritto sin dal 1487193.

Ricostruzione virtuale della vetrata del duomo di FolignoEffettuando la “ricostruzione” della vetrata perugina, è sta-

to indispensabile compiere uno studio analogo su quella giàcollocata nella trifora absidale del duomo di San Feliciano aFoligno, allo scopo di ben delimitare le due serie, i cui pannel-li sono stati spesso confusi e interscambiati. Quanto resta del-la grande finestra gotica è visibile solo esternamente percorren-do via dell’Oratorio, che costeggia la tribuna absidale edifica-ta da Bartolomeo di Mattiolo a partire dal 1457194.

Tra tutti gli studiosi, solo il Marchini ha tentato una “ricom-posizione” della vetrata folignate, ma in modo quasi certamen-te erroneo. Attraverso un’attenta lettura iconografica, tenendoconto degli aspetti strutturali e considerando la testimonianzadello Jacobilli (“resta però vestigio della dedicatione di sanGiovanni Battista ne i scritti, e nelle imagini antiche; e in parti-colare, nelle vetriate del coro, ove si vede dipinto san GiovanniBattista a mano destra, e san Feliciano a mano sinistra”), è pos-sibile ipotizzare la seguente disposizione delle figure195:

PIETRO > MADONNA < PAOLO

1+1a 7a

2a

2b

2c

BATTISTA > GIROLAMO < FELICIANO

3a

3b

3c

Grafico 4Schema ricostruttivo

della vetrata absidaledel duomo di San

Feliciano a Foligno(per lettura del grafico,

cf. nota 195).

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Fig. 47Ricostruzione virtualedella vetrata absidaledel duomodi San Felicianoa Foligno, opera di N.di Monte su cartonidi un maestro tedesco,1485-1488.

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Fig. 48Vergine col Bambino

e stemmadella donatrice

(in origine collocatosotto la figura

di San Girolamo).Assisi, Museo

del Sacro Convento.

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1) Confrontando le figg. 42 e 47, risulta evidente come lavetrata folignate presenti la medesima struttura di quella perugi-na, articolata com’è in due registri: le figure in basso sono com-poste di tre pannelli ciascuna e si trovano sotto edicole prive dicupoletta (dovendosi queste adattare ad un bordo rettilineo);invece le figure in alto sono suddivise in quattro pannelli ciascu-na e si trovano sotto tabernacoli le cui coperture seguono il pro-filo curvilineo del coronamento delle luci della trifora (che nelcaso di Foligno sono tutte trilobate e di pari altezza). IlSant’Onofrio di Perugia (fig. 39) è l’unica figura non “tagliata”secondo le giunture originali, ma ad un attento esame risultaevidente come dapprima le due separazioni passassero all’altezzadel bacino della figura e subito sotto il fregio del tabernacolo.

2) Le edicole del livello inferiore sono identiche in tutto,compresi il gradino e la decorazione del pavimento su cui pog-giano San Girolamo e San Feliciano (figg. 52-53); analogamen-te, nel registro superiore, laMadonna e il San Paolo(figg. 48 e 51) sono in per-fetta continuità nel pavi-mento (sopra e sotto lo sca-lino), molto diverso da quel-lo delle figure sottostanti.

3) Pietro e Paolo (figg. 50-51), nell’iconografia tradizio-nale spesso affiancati o inpendant, convergono al cen-tro verso la Vergine (fig. 48),sotto la quale si trova, come aPerugia, il San Girolamo investi cardinalizie (fig. 52);allo stesso modo, sono con-trapposti nel livello inferioreil Battista e San Feliciano(figg. 49 e 53), come testi-moniato dallo Jacobilli che,diversamente da quantosostenuto dagli studiosi,intendeva riferirsi alla “manodestra” di un osservatore chedesse le spalle all’abside. IlBattista, completamente alte-

Fig. 49Il Battista.Assisi, Museodel Sacro Convento.

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rato dal restauratore Bertini, in origine era sicuramente orienta-to verso la nostra destra, dove indicava col braccio alzato (oggirifatto). È da notare come la sequenza “santo eremita-Girolamo-santo vescovo”, nonché la contrapposizione tra il Battista e il san-to titolare del duomo, siano le stesse della vetrata perugina(rispettivamente del registro inferiore e superiore della medesi-ma), per quanto, in questo caso, San Feliciano risulti stranamen-te relegato in posizione marginale. Il fatto ha una duplice spie-gazione. Innanzitutto, il contesto è assai diverso da quello delduomo di Perugia, perché la trifora di Foligno non si apre inuna cappella privata del transetto, ma al centro della tribunaabsidale, nella quale si trova la cattedra del vescovo, la cui nomi-na dipende direttamente dalla Santa Sede: naturale, dunque, laprecedenza accordata ai due santi “romani” sul santo “locale”Feliciano. In secondo luogo, Pietro e Paolo sono santi moltovenerati a Foligno, perché, in base alla tradizione popolare, viavrebbero transitato e soggiornato: ciò è attestato da diversetestimonianze artistiche medievali, come nella cappelladell’Assunta all’inizio di Santa Maria Infraportas, o nella navatasinistra di Santa Maria in Campis (dove i due santi affiancanoproprio la Madonna del Latte), o nella chiesa dei Santi Pietro ePaolo a Cancelli sopra Foligno196.

4) I due coronamenti trilobati delle luci laterali (Elenco,1991, nn. 1+1a e 7a; figg. 54-56), già dal Marchini riferiti allaserie perugina197, probabilmente spettano a quella folignate:mentre in quello di destra (del tutto rifatto) sono visibili il pro-filo originario del pannello trilobato e il disegno primitivo della

Fig. 50San Pietro.

Assisi, depositidel Sacro Convento.

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Fig. 51San Paolo.Assisi, Museodel Sacro Convento.

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Fig. 52San Girolamo.Assisi, Museo

del Sacro Convento.

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Fig. 53San Feliciano.Assisi, Museodel Sacro Convento.

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Fig. 54Copertura

di tabernacolo (n. 1).Assisi, depositi

del Sacro Convento.

Fig. 55Frammenti di coperturadi tabernacolo (n. 1a).

Assisi, depositidel Sacro Convento.

Fig. 56Copertura

di tabernacolo (n. 7a).Assisi, depositi

del Sacro Convento.

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cupola emisferica (fig. 56), in quello di sinistra (frammentario ealterato) sono manifesti i colori originari, mentre si scorge anco-ra qualche traccia della primitiva copertura (figg. 54-55). Lapertinenza alla serie folignate di questi coronamenti è dimostra-ta dal già citato disegno del Ramboux (fig. 41) che, prima delrestauro del Bertini, ne schizza uno sopra la figura di San Paolo.Si noti poi che i due piccoli edifici che fungono da “lanterna”delle cupolette potrebbero riprodurre caratteristiche stilizzatedella facciata romanica (o secondaria) del duomo di Foligno,prima della sopraelevazione quattrocentesca.

5) Probabilmente, i due tondi con cherubini conservati inuna bacheca della sala Pio XI (Elenco, 1991, nn. 12a-b; fig. 57)appartengono, come già capito dal Marchini, ad uno dei duequadrilobi della vetrata folignate198: il disegno dei volti èdiverso da quello dei cherubini oggi montati sopra laMadonna di Perugia (fig. 38) e, viceversa, molto simile a quel-lo del Bambino in braccio alla Vergine di Foligno (fig. 48).

6) Infine, il piccolo scomparto rettangolare con lo stemmadella donatrice (fig. 58), la ricca vedova di un banchiere decedu-ta nel 1482, ci fornisce un’idea di come poteva essere quello conl’arme dei Vagnucci, che sappiamo ripetuto tre volte nella partebassa della trifora della cappella di Sant’Onofrio a Perugia.

Fig. 57Coppia di angeli.Assisi, Museodel Sacro Convento.

Fig. 58Stemmadella donatrice.Assisi, Museodel Sacro Convento.

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NOTE

1 CRISPOLTI iunior 1648, p. 58. Il documento è riportato integralmente inNICOLINI 1992, pp. 217-220.

2 PELLINI 1664, parte I, pp. 565-566. È dunque il comune a farsi carico delprogetto, “come ultimo tassello di un mosaico di ben più ampie dimensionigià in gran parte realizzato”, il che non stupisce, considerando come esso aves-se trasformato in un simbolo della propria autorità il campanile di SanLorenzo, nel quale si trovava murata la cosiddetta Petra Iustitiae (SILVESTRELLI1992, pp. 176-177): con questa lapide il comune rendeva noto nel 1234 diavere estinto il debito pubblico; l’originale è oggi conservato nella sala delConsiglio Comunale del palazzo dei Priori, mentre un calco è visibile sotto laLoggia dei Mercanti.

3 I lavori non dovevano essere molto avanti nel 1375, quando l’abate, perfare un “corridore” che collegasse la fortezza di Porta Sole alla piazzaMaggiore, ordinò di scaricare la torre campanaria e quanto già esisteva delnuovo edificio (GRAZIANI \ FABRETTI 1850, pp. 217-218; CIATTI 1638, p.102; CRISPOLTI iunior 1648, pp. 15-16; PELLINI 1664, parte I, pp. 1111-1112). Dopo la rivolta popolare che portò alla cacciata del francese e all’ab-battimento della fortezza, si procedette alla riparazione provvisoria dei danni,a dimostrazione di come non ci fosse molta chiarezza sul da farsi: anche ilcampanile, benché menomato nella sua altezza, venne ripristinato(CALDERONI 1980, p. 16). Sulle vicende della cattedrale negli anni 1375-1435, cf. LUNGHI 1994, pp. 29-31.

4 GRAZIANI \ FABRETTI 1850, pp. 393-394; PELLINI 1664, parte II, p. 377.Sulla figura del Baglioni, cf. la seguente bibliografia: UGHELLI [1644], tomo I,coll. 1163-1164; CRISPOLTI iunior 1648, pp. 269 e 318; BAP, Belforti-Mariotti,Serie de’ vescovi..., pp. 121-123; PRONIO 1963, pp. 192-193; BAGLIONI 1964, p.52; MONACCHIA 1992, pp. 359-362; EADEM 1995, pp. 60-62.

5 Avendo fatto della riforma e moralizzazione della disordinata vita mona-stica perugina l’obiettivo principale del proprio episcopato, tra il 1437 e il1439 il Baglioni soppresse il monastero femminile di Santa Maria dellaColombata (nei sobborghi di Porta Santa Susanna), ottenendo che tutti i benidella famiglia religiosa venissero incamerati dal Capitolo di San Lorenzo edimpiegati per la nascente fabbrica del duomo. Non solo: diversamente daquanto avveniva in casi simili (il trasferimento nella sede soppressa di un altroordine) e da quanto il pontefice aveva suggerito (cioè che la chiesa del mona-stero dovesse essere officiata dagli stessi canonici della cattedrale), nell’apriledel 1437 il Baglioni fece scaricare buona parte dell’edificio, affinché il mate-riale ricavatone fosse utilizzato nel cantiere di San Lorenzo. Analoga sorte,questa volta per iniziativa comunale, toccò alle sedi delle arti dei calzolari e deifabbri e, l’anno successivo, a quelle dei tavernieri e dei sartori, quest’ultimeospitate sotto la Loggia dei Mercanti (GRAZIANI \ FABRETTI 1850, pp. 417-418 e 436; PELLINI 1664, parte II, pp. 408-409). Tali iniziative furono poiaccompagnate da un rilevante sforzo finanziario, prodotto sia dall’autorità lai-ca che da quella ecclesiastica: lo stesso vescovo Baglioni donò mille fiorinid’oro a beneficio della fabbrica (ROSSI 1864a, p. 11). La ricostruzione delduomo poteva finalmente avere inizio: già nel 1436 si parla della riaperturadel cantiere (ASP, ASCP, Riformanze, n. 72 [1436], c. 158r). Nel settembre del1437 Bartolomeo di Mattiolo da Torgiano ottenne la commissione della fac-ciata orientale verso piazza della Paglia e del relativo portale, in seguito sosti-

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tuito da quello settecentesco di Pietro Carattoli (su Bartolomeo, magister lapi-dum morto a Perugia nel 1472, cf. MAGLIANI 1992, pp. 295-296): una rifor-manza del 1439 attesta che la facciata principale venne in parte realizzata, maessa sarebbe stata compiuta solo nel 1452 (ROSSI 1870, pp. 5-9). I maggioriprogressi, infatti, si videro nella parete meridionale verso la fontana Maggiore:nel 1439 vennero realizzati il portale secondario (poi sostituito da quellomanierista di Galeazzo Alessi), il cosiddetto pulpito di San Bernardino (dalquale il frate predicò nel 1440 o nel 1441) e l’edicoletta (recante un rilievocon la Resurrezione di Cristo) che Giancarlo Gentilini ha assegnato a Pagno diLapo Portigiani, allievo di Donatello e capomastro della fabbrica (GRAZIANI \FABRETTI 1850, p. 442); quindi, tra il marzo del 1445 e il luglio-agosto del1449, venne murata la cortina di pietra assisana collocata a destra del portale(ivi, pp. 567 e 618; PELLINI 1664, parte II, p. 578), in continuazione del rive-stimento già esistente a sinistra dello stesso e risalente alla signoria di Ladislaodi Durazzo (1406-1414).

6 Dopo un primo stanziamento di 500 fiorini da parte dei magistrati comu-nali, i canonici ne decretarono altrettanti; quindi, avendo il pontefice promes-so un contributo pari a quello stabilito dal comune, quest’ultimo stanziò unacifra ulteriore di 1000 fiorini (GRAZIANI \ FABRETTI 1850, p. 623; PELLINI1664, parte II, pp. 573 e 578-579). Questa nuova fase è testimoniata dal Librodella fabbrica del duomo, che registra l’andamento dei lavori dal gennaio del1451 sino al luglio del 1455, cioè fino all’ennesima interruzione cagionata dal-la pestilenza del 1456: il Libro si trova in duplice copia presso l’ArchivioCapitolare di San Lorenzo e presso l’Archivio di Stato perugino (ASP, ASCP,Fabbrica di San Lorenzo, reg. 1, di cc. 272). Nel 1451 il muro verso settentrio-ne venne allogato al maestro lombardo Gasparino d’Antonio, incaricato anchedi portare a termine la parete meridionale; inoltre si lavorava alle basi dei pila-stri e alle pietre per le finestre grandi del primo ordine. Nel frattempoBartolomeo di Mattiolo completò il muro della facciata orientale, per il qualevenne pagato nel 1452: a partire da quest’anno, lo stesso Bartolomeo eLudovico d’Antonibo presero a scolpire gli ornamenti e i capitelli delle finestre,mentre si conciavano le pietre del cornicione e si fondavano le colonne (ROSSI1864a, p. 11; IDEM 1870, pp. 9-12; MAGLIANI 1992, pp. 295 e 304-305). Nel1457 la ripresa dei lavori coincise con un provvedimento di autotassazionestabilito dai magistrati perugini e sottoposto con successo all’approvazione delpontefice Callisto III; altri 1000 fiorini vennero poi stanziati dal comune trail 1459 e il 1461 (PELLINI 1664, parte II, pp. 639, 653 e 664). La legge pre-vedeva la trattenuta di due soldi per fiorino dagli stipendi di tutti gli officialipubblici, compresi i priori e i camerlenghi: il decreto, già varato nel 1451,venne confermato periodicamente fino alla definitiva consacrazione dell’edifi-cio (1587); nell’aprile del 1462 fu temporaneamente sospeso, a causa delleimpellenze finanziare connesse all’istituzione del Monte dei Poveri(MAJARELLI-NICOLINI 1962, p. 109).

7 Nel luglio del 1462 ci si accinse alla demolizione, questa volta ordinatadai perugini, di ciò che rimaneva del campanile di San Lorenzo, asportando lacopertura in piombo e il gallo d’argento dorato che, unito alla croce, si staglia-va sulla sommità della stessa (DI GIOVANNI \ SCALVANTI 1903, p. 197): il gon-falone di San Francesco al Prato, datato 1464 ma realizzato da BenedettoBonfigli almeno dal 1462, mostra infatti il campanile ancora svettante con dueordini di finestre. È probabilmente in questa circostanza che la Petra Iustitiae,già inserita alla base del campanile, come documenta la miniatura del ms. 975

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della BAP (ante 1343), venne murata subito sopra la Loggia di Braccio, dovegià la ricorda il Crispolti nel 1648 e dove ancora la documenta una fotografiadel 1890 circa (CRISPOLTI iunior 1648, pp. 60-61; SILVESTRELLI 1992, pp.175-176 e 186-191). Ancora nel 1466 si attendeva all’abbattimento di quan-to, sopravvivendo del vecchio edificio romanico, non era destinato ad essereinglobato nelle nuove strutture perimetrali: sappiamo infatti che, in quell’an-no, si procedette al distacco di una devota immagine del XIV secolo (la cosid-detta Madonna del Verde), affrescata su un pilastro del duomo duecentesco.Tuttavia nel 1466 anche la facciata secondaria doveva essere giunta a compi-mento, se nella nicchia sormontante l’edicoletta del Portigiani venne data col-locazione alla statua di Paolo II di Vincenzo Bellano (cf. par. III, 1 e nota 19).

8 In questo decennio i lavori conobbero un’accelerazione decisiva, cometestimoniato dal libro di spese del 1471 (ASP, ASCP, Fabbrica di San Lorenzo,reg. 5, di cc. 187).

9 Il ciclo pittorico è articolato in due parti: la prima metà presenta quattroStorie di san Ludovico da Tolosa e venne realizzata tra il dicembre del 1454(documento di allogazione) e il settembre del 1461 (lodo di Filippo Lippi); laseconda metà presenta tre Storie di sant’Ercolano e venne compiuta entro il1479-1480 (MANCINI 1992a, pp. 53-66 e 78-80). Per una lettura dettagliatadella scena della Seconda traslazione, cf. MANCINI 1992a, pp. 95-97; ancheLUNGHI 1996, pp. 100-105.

10 L’erezione della rocca Paolina ha impresso una ferita irrimediabile al vol-to rinascimentale di Perugia, che gli affreschi e i gonfaloni del Bonfigli per-mettono di ricostruire in tutta la sua vivacità. Per un panoramadell’Umanesimo perugino, il cui fervore artistico e culturale trasformò la “cit-tà dei Baglioni” in uno dei centri più vitali del ’400, cf. MANCINI 1990, pp.61-74; IDEM 1992a, pp. 11-27.

11 Il palazzo del Podestà, costruito ed ampliato nel corso del ’200, parzial-mente distrutto da un primo incendio nel 1329, venne successivamente inglo-bato da quello di Braccio da Montone, e tutt’oggi ne sono visibili i resti, incor-porati nell’ala destra del palazzo Arcivescovile. Frammenti della facciata realiz-zata da Agostino di Duccio nel 1475 sono conservati nella Galleria Nazionaledell’Umbria, il cui allestimento ne propone un tentativo di ricomposizione.

12 La maggior parte degli studiosi sostiene che l’edificio duecentesco,“grande la mittà che al presente è” (MATURANZIO \ FABRETTI 1851, p. 7), fos-se diversamente orientato, con la facciata rivolta a meridione verso la “plateaMagna Sancti Laurenti” (la navata coincidendo grosso modo con il transettodel duomo attuale) e con la cappella di Sant’Ercolano addossata al fiancodestro dell’edificio: questa teoria è stata fissata dal “classico” studio delCalderoni che, nella sua ricostruzione, si è basato essenzialmente sulla debo-le testimonianza iconografica di un dipinto conservato nella GalleriaNazionale dell’Umbria (CALDERONI 1980, pp. 14-19). Si tratta di un’operauscita dalla bottega di Meo da Siena intorno al secondo decennio del ’300 edattribuita al cosiddetto Maestro dei dossali di Montelabate: in essasant’Ercolano, defensor civitatis, stringe tra le mani una veduta simbolica del-la città, dove l’unico monumento individualizzato con relativa fedeltà è ilcampanile poligonale a doppio ordine di finestre (SILVESTRELLI 1992, pp.174-175 e 184-185). La tesi del Calderoni è stata radicalmente rovesciata daElvio Lunghi nella sua Guida della cattedrale: l’edificio duecentesco sarebbesorto secondo il modello tipico delle chiese romaniche umbre, cioè con unacripta sottostante il piano rialzato delle navate, sfruttando la forte pendenza

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del terreno ad occidente. Ciò giustificherebbe la frequente menzione, in docu-menti dei secoli XIII e XIV, di due chiese e di due altari distinti: l’uno dedi-cato al santo titolare Lorenzo, l’altro al santo patrono Ercolano. Proprio l’af-fresco del Bonfigli potrebbe rappresentare una conferma iconografica dell’esi-stenza di una cripta di Sant’Ercolano fornita di accesso diretto “ex parte pla-tee Comunis”: del resto, l’eventuale facciata risulterebbe collocata sotto quotarispetto al piano della chiesa e in posizione eccessivamente disagiata (LUNGHI1994, pp. 16-17; IDEM 1996, p. 105). Ne consegue che il rinnovamento quat-trocentesco si sarebbe limitato ad aumentare la lunghezza delle navate, ingom-brando l’antica piazza della Paglia e conservando una parte delle strutturemurarie preesistenti, tra cui il rivestimento marmoreo a sinistra del portalemeridionale, la base del campanile e la Loggia di Braccio. Proprio quest’ulti-ma, eretta nel 1423 lungo il fianco del duomo romanico, secondo un model-lo visibile nel San Benedetto a Norcia, potrebbe indicarne la lunghezza origi-naria (ibidem): essa, comprensiva anche della quinta arcata abbattuta nel1570, della quale sono ancora visibili i peducci a muro, arrivava fino all’altez-za della terza coppia di pilastri delle navate odierne (IDEM 1994, pp. 18 e 68).Sulla costruzione della loggia, cf. CALDERONI 1980, pp. 38-42.

13 MANCINI 1992a, p. 78; MENCARELLI JORIO 1996, pp. 81-83.14 Nell’ultima scena sorprende la mancata rappresentazione di porta San

Pietro, compiuta da Agostino di Duccio nel 1481; ma già nel 1479 i prioriavevano commissionato a Pietro di Galeotto la pala d’altare della cappella, lacui decorazione, evidentemente, doveva essere pressoché ultimata. Il terminepost quem, invece, è rappresentato dal 1469-1470: sulla facciata orientale delpalazzo dei Priori, dipinto nella penultima scena, sono rappresentati l’orologiopubblico, per il quale Angelo di Baldassarre Mattioli venne pagato nel 1468, elo stemma dei Della Rovere, allusione al pontificato di Sisto IV (1471-1484);inoltre la nuova convenzione del dicembre 1469 prevedeva la ripresa dei lavo-ri per il marzo dell’anno successivo (MANCINI 1992a, pp. 78 e 96).

15 LUNGHI 1996, p. 105.16 CRISPOLTI iunior 1648, pp. 63 e 270. Nella Vita cortonese di Iacopo

(BAEC, Vita del vescovo..., p. 70) la memoria viene trascritta con l’aggiuntadella parola “rite” (“convenientemente”); l’avverbio compare già nel mano-scritto del Braccioli (dove però è depennato con una riga), il quale afferma diessere stato personalmente nella cappella (BAEC, Braccioli, Stemmi e brevinotizie..., c. 8r). Questo il senso dell’iscrizione: “Dionisio, con una devozio-ne pari a quella dello zio Iacopo, fondatore della cappella, la decorò senzabadare a spese, come puoi vedere”.

17 BAP, Bottonio, Annali del convento..., p. 158 (1481: “fu incominciata afabbricarsi la parte di sopra de’ la chiesa di San Lorenzo”); BAP, Lancellotti,Scorta sagra..., tomo II, c. 290rb (10 agosto: “nel 1481 cominciò ad alzarsi laparte superiore”). Cf. anche ROTELLI 1864a, p. 21, nota 9 (“nel 1481 si fab-bricava la crociata e la parte superiore”); ROSSI 1864a, p. 11 (“finalmente del1481 si cominciò a murare la crociata e la volta”).

18 Così, ad esempio, il San Francesco a Gubbio, attribuito ad un progettodell’architetto perugino e trasformato in chiesa voltata solo nel ’700 (LUNGHI1994, pp. 28, 32 e 72). Nel duomo di San Lorenzo, versione ridotta dellatipologia germanica della “chiesa a sala” (San Domenico a Perugia), la larghez-za dimezzata delle navate laterali, l’assenza di contrafforti esterni e l’aver ripie-gato sulle catene di ferro inducono a pensare che, in un primo momento, ipilastri ottagonali siano stati concepiti per sostenere un tetto a capriate lignee

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o comunque navate non di pari altezza, onde evitare problemi statici come loschiacciamento delle volte minori (ROCCHI 1992, pp. 227-234).

19 CALDERONI 1980, p. 35, nota 13; MACELLARI 1992, pp. 559-560.20 GRAZIANI \ FABRETTI 1850, pp. 626-627; PELLINI 1664, parte II, p. 733.

Comunque le cronache, soprattutto quella di Pietro Angelo di Giovanni, sonointeramente costellate di episodi di utilizzazione interna ed esterna della cat-tedrale, anche in alcune circostanze pubbliche.

21 PELLINI 1664, parte I, pp. 565-566. Così anche nell’incipit del Libro del-la fabbrica del duomo del 1451-1455.

22 BAP, Belforti-Mariotti, Serie de’ vescovi..., pp. 124-125 (“edificò da fon-damenti nel duomo la cappella di Sant’Onofrio, nella quale ordinò di esseresepolto; […] fu tumulato nel luogo che si era prescritto”).

23 GUIDONI 1981, pp. 223-226; LOMBARDI 2000, p. 712.24 Sempre nel 1484 fu emanato l’ennesimo decreto comunale a sostegno

della fabbrica del duomo, vennero sospesi gli uffici del podestà e del capitanodel popolo (per incamerarne le relative entrate) e si rinnovò la domanda diapprovazione della legge sulle trattenute (PELLINI 1664, parte II, p. 816;ROTELLI 1864a, p. 22; CALDERONI 1980, p. 25). Cf. anche BAP, Bottonio,Annali del convento..., p. 165 (1484: “il presbiterio de l’altar maggiore fu fat-to in questo anno”).

25 DI GIOVANNI \ SCALVANTI 1903, p. 404; CRISPOLTI iunior 1648, p. 69;PELLINI 1664, parte II, p. 834.

26 GALASSI 1776, pp. 82-91; SIEPI 1822, pp. 82-84. Tra i contributi piùvicini, cf. BERNARDINI 1991, p. 22.

27 Del resto, i canoni architettonici del ’400 avrebbero mal tollerato una simi-le asimmetria: anzi, la costruzione problematica del transetto meridionale ebbeproprio lo scopo di simmetrizzare l’edificio rispetto alla cappella del lato nord.

28 Un’operazione analoga sarebbe avvenuta nel 1855, quando venne rica-vata l’attuale cappella del Battistero (n. 23) nella “sacrestia” della cappella del-lo Spirito Santo (detta anche Oradina), fatta costruire nel 1557 dall’arcipreteLeone Baglioni, il cui nome campeggia su tutti gli architravi delle porte che siaprono nel basamento esterno (oggi occupato da negozi).

29 ROSSI 1864a, p. 16. Oltre alla carta dell’Eusebi (Perusiae Augustae, vetu-state originis gloriaque armorum ac litterarum, clarissimae imago a Livio Eusebioperusino diligenter expressa et in aere incisa, 1602), vanno ricordate le piante diEgnazio Danti (1580-1581), Matteo Florimi (fine ’500-inizio ’600), anonimo(forse Antonio Lafrery) e Pierre Mortier (inizio ’600): per una rassegna, cf.ROMANA CASSANO 1990, pp. 191-231; MIGLIORATI 1993, pp. 897-912.

30 Cf. MANCINI 1992b, pp. 497-498; LUNGHI 1994, pp. 54 e 109-114. Ilavori, voluti dal vescovo Fulvio della Corgna, sono registrati dal medesimogià in occasione della sua visita pastorale del 1568 (ADP, Visitationes DellaCorgna, ms. 1, cc. 435v-436r), dove si parla della costruzione di una cappella(“idem illustrissimus construi faciebat quandam capellam”) che è probabil-mente da identificarsi con quella che ospitò le reliquie dei papi (n. 35). Per levisite pastorali, si fa riferimento alla cartulazione moderna eseguita a matita(quando presente); i passi più significativi, in relazione agli argomenti trattatinel presente volume, sono riportati in appendice A, n. 8.

31 L’antico altare del Crocifisso (giuspatronato della famiglia Brunelli) si trova-va addossato alla parete destra della cappella (n. 4), forse sormontato dall’attualecrocifisso ligneo che, appoggiato al muro, doveva integrarsi con le figure di santisecondo il Vasari affrescate dal Perugino, ma già all’epoca del Crispolti malconce

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e bisognose di restauro. Nel 1613 il vescovo Napoleone Comitoli fece risarcire lacappella, consacrando al Crocifisso l’altare già di Santa Barbara (giuspatronato deiCaporali) e commissionando a Giovanni Baglione una tela raffigurante la santa,in memoria dell’antica titolare. Nel 1735 la famiglia dei marchesi Florenzi, cheaveva acquisito il patronato della cappella, commissionò l’attuale mostra marmo-rea a Pietro Carattoli; infine, nel 1740, il crocifisso ligneo venne trasferito nelnuovo altare, affiancato dalle coeve statue in stucco della Vergine e di SanGiovanni (VASARI [1568], p. 533; CRISPOLTI iunior 1648, pp. 62-63; SIEPI 1822,pp. 97-99; GABRIJELCIC 1992, pp. 529-530; LUNGHI 1994, pp. 59-60 e 100).

32 GABRIJELCIC 1992, pp. 529 e 532; LUNGHI 1994, p. 62.33 La balaustra del transetto sinistro venne eretta contemporaneamente

all’altare del Carattoli (1735), mentre quella del transetto destro fu voluta nel1781 dal chierico perpetuo Salvucci (SIEPI 1822, pp. 80 e 99).

34 LUNGHI 1994, p. 50.35 ADP, Visitationes Comitoli (1592), ms. 10, c. 39r.36 BAP, Lancellotti, Scorta sagra..., tomo II, c. 504rb (26 dicembre: “nel

pavimento di questa cappella [di Santo Stefano] riposano i corpi di due vesco-vi Vannucci, Giacomo e Dionigi, zio e nipote). Cf. anche ROSSI 1864a, p. 16.

37 ADP, Visitationes Della Corgna (1564), ms. 1, c. 20r.38 ADP, Visitationes Della Rovere (1571), ms. 2, c. 1v.39 ADP, Visitationes Gallo (1587), ms. 8, c. 20r.40 Circa l’attività del Comitoli, che incise profondamente sull’aspetto

materiale del duomo perugino, cf. GABRIJELCIC 1992, pp. 521-523; LUNGHI1994, p. 59.

41 ADP, Visitationes Comitoli (1592), ms. 10, c. 39r.42 BAEC, Vita del vescovo..., p. 70.43 BAP, Crispolti senior, Raccolta..., c. 4r (cf. appendice A, n. 6).44 ADP, Visitationes Della Corgna (1568), ms. 1, c. 435r (Fulvio “ibi con-

stituit velle se suis sumptibus capellam honorificam construere”). L’orvietanoLudovico Scalza (1532-1617) fu chiamato ad eseguire anche altri lavori in cat-tedrale: progettò la mostra d’altare della nuova cappella di San Bernardino edeseguì la decorazione in stucco delle pareti della cappella dello Spirito Santo(MANCINI 1992b, p. 497).

45 Cf. più avanti quanto dice il Lancellotti (al 26 dicembre). L’arme delSalvucci è scolpita due volte sulla faccia anteriore dell’altare, sormontata dalcappello dei protonotari apostolici (identico a quello dei vescovi, con sei fioc-chi per parte su tre file).

46 FALCIDIA 1989, p. 112. Giovanni Baglione (1573-1644) fu chiamato incausa dal Comitoli anche nel rinnovamento seicentesco del transetto meridiona-le (cf. nota 31), per il quale eseguì tre tele, tra cui una Santa Barbara e una SantaChiara ancora collocate sulle pareti laterali al tempo del SIEPI (1822, pp. 98-99).

47 MANCINI 1981, p. 375 e nota 23. Il pittore nacque intorno al 1570 emorì nel 1633.

48 PANZIERA 1609; GALASSI 1776, pp. 83-84; SIEPI 1822, p. 81;GABRIJELCIC 1992, p. 525.

49 ADP, Visitationes De Torres (1625), ms. 15, c. 29r.50 BAP, Bigazzini, Vescovi..., c. 9v (le Vite di Iacopo e Dionisio sono ripor-

tate integralmente in appendice A, n. 1).51 ADP, Visitationes Monaldi (1644), ms. 19, cc. 13v-14v e 17v-18r (“in

quo altari [Sanctissimi Crucifixi] qualibet die sacrum misse sacrificium cele-bratur a reverendis presbiteris cleri perusini”).

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52 UGHELLI [1644], tomo I, col. 1164. Cf. anche BAP, Belforti-Mariotti,Serie de’ vescovi..., p. 127 (“fece parimenti inalzare a sue spese nella cattedralel’altare di Santo Stefano, nella cavità del quale sono riposte alcune ossa di sanBevignate, monaco perugino”).

53 CRISPOLTI iunior 1648, pp. 63, 72, 270 e 275.54 Parere positivo, in questo senso, mi è stato dato da Laura Teza, la quale ha

minutamente studiato e collazionato i manoscritti dello zio e la pubblicazionedel nipote: in particolare, il ms. 1662 della BAP (1605-1606) mostra un testopraticamente identico all’edizione del 1648. Non sorprende, dunque, che ilCrispolti iunior, poco interessato ai fenomeni artistici in senso stretto, non abbia“aggiornato” i passaggi descrittivi dello zio (TEZA 2001, pp. 66-67 e 288-289).

55 CRISPOLTI iunior 1648, p. 66. I resti mortali dei tre papi deceduti aPerugia (Innocenzo III, Urbano IV, Martino IV) giacquero per lungo tempoin un sacello accessibile dalla sacrestia (n. 35), fino a quando, nel 1615, il soli-to Comitoli li fece trasferire in un’urna collocata dove oggi è il monumento alMorlacchi (parete sinistra della cappella del Crocifisso, n. 6).

56 La memoria viene già riportata dalla prima stesura manoscritta dellaPerugia Augusta (BAP, Crispolti senior, Perugia Augusta..., c. 56r; cf. appendi-ce A, n. 6).

57 BAP, Lancellotti, Scorta sagra..., tomo I, cc. 142ra (3 maggio) e 195rbv(12 giugno): cf. appendice A, n. 7. Al trasferimento del privilegio presso ilCrocifisso accenna brevemente anche il CRISPOLTI iunior (1648, p. 63). Nonè chiaro se la nascita della “Vetustissima Societas Divi Onuphrii” (la cui inse-gna è rappresentata da un rosario con la croce greca, incorniciato da due pal-me intersecantesi) possa essere ricondotta ad una qualche iniziativa dei vesco-vi Vagnucci: certo è significativo che, nel 1579, i capitoli vennero confermatiil giorno 28 gennaio, coincidente con l’anniversario della morte di Iacopo, ilcui merito era quello di aver fatto erigere la “cappella nel sito a lato della sagre-stia in detta chiesa”. Nel novembre del 1625 gli ordini della confraternitafurono riformati ed approvati dal vescovo Cosimo De Torres (1624-1634),venendo pubblicati e poi ristampati nel 1665 (ORDINI 1665; cf. MARINELLI1965, pp. 858-859): sono suddivisi in dodici capitoli e trattano dello scopodella compagnia (1), degli officiali (2-9), delle adunanze (10), dei novizi (11)e degli obblighi dei confratelli (12).

58 BAP, Lancellotti, Scorta sagra..., tomo I, c. 195rbva (12 giugno).59 Ivi, tomo II, c. 503ra (26 dicembre): cf. appendice A, n. 7.60 SCARAMUCCIA 1674, p. 83.61 MORELLI 1683, pp. 40-41. La tavola di Orazio Alfani (1510-1583) pro-

veniva dall’altare dei Cantagallina, già a destra dell’uscita principale (n. 16);sostò anche nella cappella del Crocifisso (SIEPI 1822, p. 99); oggi si trovaappesa alla parete della navata destra, tra la cappella del SantissimoSacramento e il transetto settentrionale (n. 28).

62 ADP, Visitationes Marsili (1703), ms. 24, c. 11r.63 SIEPI 1822, p. 83. Gli ordini furono ripubblicati con l’aggiunta di due

capitoli, uno relativo ai sagrestani e festaioli (8), l’altro al modo di abilitare ifratelli (13); nel 1737 vennero ristampati con l’inserzione di un capitolo 9,riguardante i provveditori dei suffragi (ORDINI 1703; ORDINI 1737; cf.MARINELLI 1965, p. 859).

64 SIEPI 1822, p. 83.65 ADP, Visitationes Odoardi (1781), ms. 32 bis, c. 11v.66 GALASSI 1776, pp. 82-91.

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67 In occasione degli scavi effettuati recentemente sotto il transetto destro,si è tentato di rimuovere la settecentesca pietra tombale, col risultato di man-darla in pezzi: comunque dal loculo interrato è emerso un piccolo sarcofagolapideo contenente uno scheletro ricomposto, probabilmente quello delSalvucci. Purtroppo il successivo scavo, condotto nella nicchia sepolcrale esotto il pavimento dell’intera cappella, non ha rivelato alcuna traccia dellespoglie dei due vescovi Vagnucci, mentre sono emersi i resti di una strada e diuna torre, “investiti” dalla costruzione tardiva del transetto sporgente.

68 ORSINI 1784, pp. 116-118.69 SIEPI 1822, p. 81.70 ROTELLI 1864a, pp. 31-33. La Pala di San Nicola (1519-1529) allo scade-

re del ’500 si trovava alla fine della navata sinistra (n. 7), dove la notano il vesco-vo Comitoli (ADP, Visitationes Comitoli [1592], ms. 10, c. 40v: “icona [...] quehabet figuram Virginis”) e il Crispolti senior (BAP, Raccolta..., c. 3r); nel 1792,essendosi deciso di smantellare l’altare per simmetrizzare le navate dopo la rimo-zione dell’organo dalla parete opposta (n. 28), il quadro passò nella canonica,dove attese il restauro di metà ’800 (cf. BERNARDINI 1991, pp. 38-40).

71 ROSSI 1864a, p. 16; IDEM 1864b, p. 16. La polemica, tutta condensata nel1864, si svolse in quattro atti: Il duomo di Perugia del Rotelli, il Saggio di svario-ni del Rossi, la Risposta del Rotelli e la replica definitiva (Senza titolo) del Rossi.

72 ROSSI SCOTTI 1878, p. 34.73 LUNGHI 1994, p. 91.74 Qui rimase fino al 1896, quando venne dirottata di nuovo al Crocifisso,

per lasciare spazio alla Sacra Famiglia del perugino Ludovico Caselli (1859-1922), tela donata da Leone XIII; riportato nel sito attuale (n. 29), il sarcofagoè stato collocato entro un prospetto marmoreo disegnato da Renzo Pardi(1960). Oggi la tela del Caselli è appesa alla parete sinistra della cappella delCrocifisso (n. 6).

75 L’opera, realizzata da Giuseppe Luchetti (1823-1907), scultore marchi-giano residente a Roma, è una di quattro statue donate al pontefice da un fer-vente ammiratore americano: quella del duomo doveva ricordare il lungo epi-scopato perugino di Gioacchino Pecci, prima dell’elezione al pontificato(CERNICCHI 1911, pp. 16-17).

76 Una bibliografia completa sul pittore è consultabile nell’ultima mono-grafia di KANTER-HENRY-TESTA (2001, pp. 262-271). Aggiungi: BIGANTI2005; HENRY 2006.

77 Prima del penultimo decennio del secolo, le uniche date di cui siamo aconoscenza sono quelle del 1470 (quando Luca dipinge per la confraternitadei Laudesi nell’oratorio di San Francesco a Cortona) e del 1475-1477 (quan-do lavora nella chiesa di San Domenico sempre a Cortona); il Vasari, inoltre,ricorda altre opere perdute eseguite intorno al 1472 ad Arezzo, sotto il patro-cinio di Piero della Francesca (VASARI [1568], p. 547; SCARPELLINI 1964, pp.11-12 e 105; KANTER-HENRY-TESTA 2001, p. 17). Per il problema dell’affre-sco già sulla Torre del Vescovo a Città di Castello (1474), oggi nella PinacotecaComunale di quella città, cf. KANTER-HENRY-TESTA 2001, pp. 13-14 e 254-256; HENRY 2004, pp. 76-78.

78 L’assenza del suo nome, però, potrebbe giustificarsi semplicemente con ilruolo subalterno svolto alle dipendenze del Perugino: non è dunque necessarioconcludere che egli sia giunto a Roma in un periodo precedente o successivo aquelle date. Sul problema dell’attribuzione a Signorelli di alcune parti delladecorazione della Sistina, in particolare nella scena della Consegna delle Chiavi

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(capolavoro del Vannucci) e in quella del Testamento e morte di Mosè (tradizio-nalmente assegnata dalla critica a Bartolomeo della Gatta, anch’egli assistentedel Perugino), cf. KANTER-HENRY-TESTA 2001, pp. 16-17, 98-101 e 161.

79 Il Perugino, dopo un soggiorno a Firenze (dove si trovava nell’ottobredel 1482), è presente a Perugia solo nel novembre del 1483, quando gli ven-ne allogata la pala d’altare (terminata nel 1495-1496) per la cappella deiDecemviri nel palazzo dei Priori: a quella data, probabilmente, Signorelli lavo-rava già da qualche mese alla Pala Vagnucci.

80 Al centro della volta della sacrestia di San Giovanni a Loreto (affrescata daSignorelli nel 1484-1487 circa) si trova lo stemma del cardinale Girolamo BassoDella Rovere, nipote di Sisto IV e vescovo di Recanati e Macerata dal 1476 finoalla morte (1507); tra i “venerabiles magistri” che definirono il programma ico-nografico della cappella di San Brizio nel duomo di Orvieto (affrescata da Lucanel 1499-1504) era sicuramente il vescovo della città Giorgio Della Rovere(1476-1505); intorno al 1507 Signorelli si trovava di nuovo a Roma, per deco-rare, insieme al Perugino e al Pintoricchio, le Stanze Vaticane di papa Giulio II(altro nipote di Sisto IV, 1503-1513), poi interamente affidate al pennello diRaffaello; infine, nel 1507-1508, Luca ottenne cinque commissioni per altret-tante pale tra Jesi e Arcevia, nella diocesi di Senigallia, di cui era vescovo il car-dinale Marco Vigerio Della Rovere (1476-1513), il cui stemma compare nelgradino della Pala di San Medardo (cf. GAMS 1873, pp. 703, 712 e 727).

81 Nel 1479, ad esempio, Luca venne sorteggiato come membro del con-siglio dei Diciotto, ricoprendo in seguito un incarico comunale (SCARPELLINI1964, pp. 105-106).

82 Ivi, p. 106.83 Cf. sotto, alla nota 99.84 MANCINI 1903, pp. 60-61.85 Considerando le dimensioni e l’impegno dell’opera, possiamo conclude-

re che questa venne realizzata in tempi relativamente brevi (massimo unanno), fatto che non stupisce in un pittore abitualmente “spiccio e risoluto nelcondurre il lavoro” (SCARPELLINI 1964, p. 22): forse le stesse qualità che deter-minarono la chiamata di Luca a Roma e che, successivamente (1499), gliavrebbero permesso di ottenere l’ambitissima commissione degli affreschi del-la cappella di San Brizio nel duomo di Orvieto, rimasti incompiuti dalla finedegli anni quaranta.

86 Sul problema della datazione degli affreschi di Loreto, tradizionalmentecollocati alla fine degli anni settanta, prima dell’impiego del pittore nel cantieredella Sistina, cf. KANTER-HENRY-TESTA 2001, pp. 20-21, 106-109 e 163-165.Anche la nota Flagellazione di Brera (Milano) sembrerebbe, ad un’attenta lettu-ra stilistica, contemporanea e non anteriore alla Pala Vagnucci del 1483-1484(ivi, pp. 19-20, 102-103 e 161-162; cf. anche MARTELLI 2005, pp. 11-24).

87 VASARI [1568], p. 548.88 Sulla pala e per la sua ampia letteratura, cf. KANTER-HENRY-TESTA

2001, pp. 17-19, 104-105 e 162-163. Aggiungi: MARTELLI 2005, pp. 15-17;CARACCIOLO 2005a, pp. 33-48 (con ulteriore bibliografia alle pp. 46-47, note18-19); IDEM 2005b, pp. 9-15; IDEM 2005c, pp. 65-66 e 80, nota 11;GRISANTI-GIANNINI 2007, pp. 39-41.

89 MANCINI 1899, p. 496, nota 2.90 Sull’iconografia di san Lorenzo, cf. CARLETTI-CELLETTI 1967, coll. 121-129.91 Il sant’Onofrio di Perugia, replicato tale e quale in un affresco eseguito

sulla parete sinistra della chiesa di San Niccolò a Cortona (al punto da presup-

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porre l’utilizzo dello stesso disegno da parte della bottega di Signorelli), costi-tuisce il modello per il vecchio pastore che si trova sulla destra nella perdutaCorte di Pan; ad esso si ispira anche la ricorrente figura di san Girolamo peni-tente, ad esempio nella Deposizione della stessa chiesa di San Niccolò.

92 La presenza dell’angelo musicante va messa in rapporto con il forte incre-mento del mecenatismo musicale nella cattedrale di San Lorenzo (dove, nel cor-so dell’ultimo ventennio del ’400, operarono numerosi cantori ed organisti),mecenatismo riconducibile alla “signoria” dei fratelli Guido e Rodolfo Baglioni:il figlio di quest’ultimo, Troilo, divenne arciprete del duomo nell’aprile del 1483(PELLINI 1664, parte II, p. 806; CILIBERTI 1998, pp. 121-122).

93 HEINZ MOHR 1984, p. 172.94 SCARPELLINI 1964, p. 23. Il Kanter, però, osserva giustamente che la luce

del Signorelli non contribuisce all’unificazione dello spazio, come nei dipintidella pittura umbra e fiorentina contemporanea, bensì accentua l’isolamentoe il carattere astratto delle immagini (KANTER-HENRY-TESTA 2001, p. 19).

95 Ivi, p. 17.96 Si notino i fiori nei vasi di vetro, i fregi del basamento (cornucopie e

motivi vegetali), le venature rosate del marmo nel secondo gradino (con lafunzione di “mediare” tra i toni freddi della base e quelli caldi del seggio), iltrono di pietra finemente “intagliato” e con una base scolpita ad imitazionedel bronzo, le candelabre di ottone del seggio (sormontate da un arco dal qua-le pende un ricco festone), la raffinatezza delle stoffe ricamate (la sciarpa del-l’angelo, la stola del vescovo, la dalmatica del diacono), la mitra ingemmataappoggiata sul primo gradino.

97 BERNARDINI 1991, p. 24. Lo Scarpellini ha riferito lo schema compositi-vo verticalistico (con le figure disposte su due piani e la Madonna assisa in alto)e la stessa tipologia del trono alle pale d’altare veneto-padovane e ferraresi, inparticolare a prototipi di Ercole de’ Roberti (Ferrara, 1450 ca-1496): forse Lucaebbe modo di ammirare opere perdute del pittore romagnolo, durante un sog-giorno urbinate legato alla propria formazione pierfrancescana (SCARPELLINI1964, p. 23). Esemplificative di tale slancio verticalistico sono due opere diErcole de’ Roberti, la Pala di San Lazzaro (già a Berlino) e la Pala di Santa Mariain Porto a Ravenna del 1481 (Milano, Brera); alla pittura ferrarese sembrarimandare anche la qualità lucente e metallica del colore della Pala Vagnucci. Piùrecentemente, invece, il Kanter fa risalire lo schema compositivo del dipinto allaSacra Conversazione fiorentina, chiamando in causa la pala del duomo di Pistoia(1475-1485), attribuita ad un disegno di Andrea del Verrocchio ma realizzatadall’allievo Lorenzo di Credi (KANTER-HENRY-TESTA 2001, p. 17).

98 SCARPELLINI 1964, p. 23-24.99 Queste risultano evidenti nella precisione dei particolari (i ricami delle

vesti, i preziosismi della mitra vescovile e del medaglione della Vergine), nel-lo studio attento della luce (le trasparenze del vetro, i riflessi del bronzo e del-le gemme), nei colori splendidi ed intensi, nell’annotazione quasi casuale dipiccoli oggetti della realtà quotidiana (i vasi con fiori), nel verismo del ritrat-to del vescovo. I due bicchieri di vetro in primo piano (fig. 23) sembrano unomaggio esplicito ad Hugo Van der Goes, il cui Trittico Portinari (Uffizi)venne collocato sull’altare maggiore della chiesa di Sant’Egidio a Firenze nelmaggio del 1483 (PAOLUCCI 1990, p. 15). Non bisogna però trascurare che,al di là della citazione, i vari tipi di viola qui presenti (violetta, “viola del pen-siero” e violacciocca, le prime due richiamanti nelle tinte le rose tricolori del-lo stemma Vagnucci) celano in sé un significato simbolico, allusivo alla

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modestia e all’umiltà tanto della Vergine quanto del Cristo (IMPELLUSO2003, pp. 128-129).

100 KANTER-HENRY-TESTA 2001, p. 104. È possibile, però, che laCrocifissione degli Uffizi sia un’opera di collaborazione tra Perugino e Signorellianteriore alla Pala Vagnucci (cf. CARACCIOLO 2005a, pp. 36 e 46, nota 12). Trale opere meno note, si vedano la Pala di San Francesco a Corciano (post 1487),attribuita al perugino Orlando Merlini (attivo dal 1472, morto nel 1510), o laPala d’Ognissanti nella Pinacoteca Comunale di Città di Castello (1504 ca),opera di Francesco Tifernate (notizie dal 1490 al 1510).

101 BAEC, Braccioli, Stemmi e brevi notizie..., c. 8r: “e mentre io stava inPerugia, vi trovai nella capella de Sant’Honofrio in San Lorenzo l’infrascrittiversi: [...]”.

102 BAP, Crispolti senior, Perugia Augusta..., c. 56r.103 CRISPOLTI iunior 1648, pp. 63 e 270.104 BAEC, Vita del vescovo..., pp. 69-70.105 Il Bigazzini (BAP, Vescovi..., c. 9v), l’UGHELLI ([1644], col. 1164), il

Lancellotti (BAP, Scorta sagra..., tomo I, c. 195v [12 giugno]), loSCARAMUCCIA (1674, p. 83) e il MORELLI (1683, pp. 40-41) non fanno alcu-na menzione della memoria e neppure citano precedenti trascrizioni.

106 TARTAGLINI 1700, p. 134: “[Iacopo] fu creato arcivescovo di Nicead’Asia, come si legge in una iscrizione posta nella chiesa catedrale di SanLorenzo di Perugia in una cappella da esso fondata”.

107 Completando idealmente l’arco del trono, si raggiungerebbe il limitesuperiore della tavola, per cui si deve presupporre uno spessore ulteriore paria quello presente sotto il bicchiere in primo piano. La KEACH (1978, pp. 341-342), ripresa da KANTER-HENRY-TESTA (2001, p. 162), parla di una decurta-zione di 22 cm circa, ipotizzando che la tavola fosse composta di sette assiorizzontali di pari larghezza. In effetti, il rilievo delle probabili linee di giun-zione effettuato in occasione dell’ultimo restauro (quando si è proceduto allarevisione del sistema di parchettatura del supporto) ha evidenziato che le assisono cinque e di larghezza differente, con la possibilità di un’ulteriore suddi-visione della seconda dal basso in due assi distinte.

108 L’impronta lasciata dalle possibili cornici sagomate è riapparsa dopo ilrestauro del 1984-1994, che è andato a rimuovere le stuccature effettuate conquello del 1949-1951, quando le lacune vennero integrate con un tratteggioverticale all’acquerello.

109 Il GALASSI (1776, p. 91), vedendo il dipinto provvisto di una nuovacornice e ricollocato sul recente altare di Sant’Onofrio, afferma: “questamemoria però alla giornata non si vede, perché forse l’ornato moderno dellatavola, tutto indorato, la cuopre”. In verità, la rimozione del quadro dalla suacollocazione settecentesca nel 1923 e i due restauri effettuati nella secondametà del ’900 non hanno mostrato alcuna traccia di questa iscrizione. Cf.anche ADP, Visitationes Odoardi (1781), ms. 32 bis, c. 12r (“inferius dictamtabulam sequentia verba leguntur”); SIEPI 1822, p. 84.

110 MANCINI 1903, pp. 58-59; KEACH 1978, pp. 341-342; BERNARDINI1991, p. 24.

111 SCARPELLINI 1964, p. 24; PAOLUCCI 1990, p. 15.112 MANCINI 1903, p. 178; KEACH 1978, pp. 343-345; KANTER-HENRY-

TESTA 2001, pp. 19, 104 e 162-163.113 Si consideri, ad esempio, la predella del Compianto sul Cristo morto

nel Museo Diocesano di Cortona. La Natività del Battista è alta 31,5 cm e

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larga 70 cm: ammettendo ben tre scene di predella, si supererebbero di mol-to le dimensioni della Pala Vagnucci (larga 193,5 cm). Pertanto è possibileche gli scomparti laterali presentassero le storie dei due santi principali col-locati ai lati della Vergine, mentre quello centrale alludesse con le sole paro-le a Gesù Bambino (richiamato dall’espressione “Deo Maximo”) e ai restan-ti due personaggi (sant’Onofrio e il vescovo Vagnucci): quanto alla Storia disan Lorenzo, si può supporre una preferenza per la scena del Supplizio, chepermetterebbe di recuperare l’attributo della griglia sulla quale il santo ven-ne martirizzato, stranamente assente dalla tavola maggiore (così avvieneinfatti nella Pala di Paciano della Galleria Nazionale dell’Umbria, operaappartenente alla bottega di Signorelli). Ad ogni modo, il fatto che i dueCrispolti riportino il testo della memoria su più righe (da cinque a nove)non garantisce che essa fosse compressa in una “tabella” quadrangolare, poi-ché sono conosciuti casi di iscrizioni che si snodano per tutta la lunghezzadel gradino (si veda, ad esempio, la Madonna col Bambino e santi diFilippino Lippi nella chiesa di Santo Spirito a Firenze). Si noti però che indiverse tavole del Signorelli sono dipinti, sotto la Vergine e in posizione cen-trale, dei cartigli recanti la firma del pittore e la dedica del committente(come nella Pala di Montone della National Gallery di Londra).

114 L’insieme delle candelabre opera nel dipinto una suddivisione ideale intre scomparti, corrispondenti a quelli ipotizzati per la predella (anch’essa for-se articolata dal medesimo motivo) e alle luci della trifora sovrastante.

115 Dalla tavola del Signorelli derivano il trono sopraelevato su tre gradini,la figura di san Nicola, la mitra vescovile appoggiata su un gradino, i dueangeli svolazzanti negli angoli superiori e le porzioni di paesaggio ai lati delseggio. Sulla Pala della Sapienza Vecchia, la cui cornice è stata recentementerestaurata e riunita alla tavola principale, cf. CICINELLI 1982, pp. 74-78;SANTI 1985, pp. 167-169.

116 Nel settembre del 1512 il comune di Cortona inviò a Firenze, peromaggiare i Medici da poco ritornati al potere, una delegazione composta daSignorelli, due membri della famiglia Vagnucci e il futuro cardinale SilvioPasserini (MANCINI 1903, p. 161).

117 La predella, separata dalla tavola principale, per lungo tempo è stataconservata dietro il tempietto dell’altare maggiore della chiesa del Calcinaio;attualmente si trova in deposito presso la Soprintendenza di Arezzo. Il testodelle iscrizioni è il seguente: INTACTAE XP[IST]I || M[AT]RIS VANUT || IUS HEROS|| BAPTISTA H || OC SUPPLEX PI[N] || GERE IUSSIT || OPUS; MDXXIIII [BattistaVagnucci, uomo illustre, devoto all’Immacolata Madre di Cristo, fece dipin-gere quest’opera; 1524]. Sulla pala, cf. KANTER 1994, pp. 199-203; KANTER-HENRY-TESTA 2001, p. 253.

118 La tavola è illuminata da destra, quindi si trovava a sinistra del presbi-terio: infatti la vetrata col San Paolo (sempre del Marcillat), oggi nella mono-fora del transetto sinistro, in origine doveva trovarsi nel braccio destro, venen-do poi scambiata col Sant’Onofrio in seguito al restauro compiuto daFrancesco Moretti (1890).

119 KANTER-HENRY-TESTA 2001, p. 104.120 VASARI [1568], p. 548.121 MANCINI 1899, p. 496; IDEM 1903, pp. 58-59.122 KAFTAL 1965, col. 549.123 Lo studioso ritiene che la rappresentazione poco umile del prelato, col-

locato in piedi tra i santi che circondano la Vergine, non costituisca un gros-

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so elemento di difficoltà, come dimostrerebbero esempi contemporanei ana-loghi (MANCINI 1899, pp. 496-497).

124 Da questo punto di vista, non è priva di significato la rappresentazione delpresbiterio del duomo (nell’angolo in basso a sinistra), che si andava edificandoin quegli anni e nel quale più forte fu l’impronta lasciata dal prelato cortonese.

125 Nella leggenda greca di Onofrio si narra che il santo scelse di darsi allavita anacoretica proprio per seguire l’esempio del Battista (cf. le note 138-139).

126 KANTER-HENRY-TESTA 2001, p. 104.127 BAEC, Vita del vescovo..., p. 70.128 KEACH 1978, pp. 265-267. Nell’iconografia tradizionale anche san

Dionigi, primo vescovo di Parigi, è effigiato come un uomo di mezza età prov-visto di barba (KAFTAL 1952, coll. 307-308).

129 BERNARDINI 1991, p. 22.130 SCARPELLINI 1992, p. 580. Iacopo, nato intorno al 1416, nel 1484 ave-

va circa 68 anni: il volto del suo ritratto risulta giustamente emaciato e scava-to, come sottolineato con dovizia di particolari dalla Vita cortonese.

131 PAOLUCCI 1990, p. 15. Lo studioso si riferisce, in modo particolare, alSant’Agostino di Lisbona (già a Sansepolcro), che pare preannunciare il vivaceeffetto illusionistico della stola istoriata del nostro vescovo.

132 Si è ipotizzato, con argomenti non sempre convincenti, che nel santodi Bari sia effigiato papa Niccolò V (eletto nel 1447, ipotetico termine postquem per la realizzazione del polittico), grande amico dell’Angelico come delVagnucci (cf. GARIBALDI 1998, pp. 24-34).

133 Molti anni più tardi (1499), il Signorelli si sarebbe cimentato con lostile dell’Angelico negli affreschi della cappella di San Brizio nel duomo diOrvieto, completando la decorazione delle vele ed inserendo il proprio ritrat-to, accanto alla possibile immagine ideale del frate domenicano, sulla sinistradella scena che rappresenta i Fatti dell’Anticristo.

134 BATTISTI 1976, coll. 583-587.135 MANCINI 1903, pp. 59-60.136 Si tratta di sette scene per parte, di cui alcune illeggibili (perché coper-

te nell’illusione pittorica), altre difficilmente identificabili. A sinistra dall’altosi riconoscono: Incontro di Anna e Gioacchino alla porta Aurea, [?], Miracolodella verga fiorita (?), Sposalizio della Vergine, Fuga in Egitto, Riposo nella fuga,Battesimo di Cristo; a destra: Annunciazione, Natività, Adorazione dei Magi,Disputa di Gesù coi dottori, Pesca miracolosa, [?], Visitazione (?). La penultimascena, completamente estranea al tema mariano, rappresenta un ulteriorerichiamo al nome del committente, poiché uno dei primi quattro discepoliche Gesù chiamò a sé fu il pescatore Giacomo di Zebedeo (LUCA, 5, 1).

137 UGHELLI [1644], tomo I, col. 1164.138 Pafnuzio, lasciato il proprio monastero egiziano per fare esperienza di

vita anacoretica, dopo ventuno giorni di cammino s’imbatte nella spaventosafigura di Onofrio, dal quale viene iniziato all’eremitismo, esattamente comesessanta (o settanta) anni prima era capitato al santo, che aveva abbandonato ilproprio monastero nella Tebaide per seguire l’esempio del Battista. Nella nar-razione autobiografica che Onofrio fa a Pafnuzio opera tutta una serie di luo-ghi comuni della letteratura sui padri del deserto: il tema dell’anacoreta nudoe villoso, in sembianze quasi animalesche; il nutrimento fisico e spiritualegarantito dall’assistenza assidua di un angelo; la morte dell’eremita durante lavisita annuale di un compagno: proprio Pafnuzio, divenuto attore nel raccon-to di cui è destinatario, dovrà seppellire Onofrio che, prima di morire, promet-

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te la propria intercessione a chi, in suo nome, compirà opere di carità (SAUGET-CELLETTI 1967, coll. 1187-1193). Per l’iconografia di Onofrio, cf. le voci rela-tive in KAFTAL 1952, coll. 777-781; IDEM 1965, coll. 833-836; IDEM 1978,coll. 795-800; cf. anche SAUGET-CELLETTI 1967, coll. 1197-1200.

139 Spiegato il parallelo Onofrio-Battista a sinistra della Vergine; giustifica-ta la presenza dell’angelo ai piedi del trono; chiara la scelta di Onofrio qualenume tutelare di una cappella funeraria destinata ad accogliere le ceneri deicommittenti e, successivamente, ad ospitare una confraternita dedita al suffra-gio dei sacerdoti defunti. Trovare Onofrio associato al Battista non è infre-quente: ad esempio, nella chiesa di San Francesco a Montefalco i due santisono contrapposti negli sguanci della monofora della cappella absidale di sini-stra (decorata da Giovanni di Corraduccio intorno al 1415). Invece nella Paladi Sant’Agnese di Bicci di Lorenzo (1430-1440, Galleria Nazionaledell’Umbria) sant’Onofrio appare in compagnia di altri anacoreti, san PaoloEremita e san Girolamo penitente.

140 Già da giovanissimo, il Vagnucci aveva trascorso un lungo periodo a Cittàdi Castello nel convento dei Gesuati, ordine dedito alla carità ospitaliera; dagovernatore di Bologna aveva emanato disposizioni a favore dei pellegrini; inUmbria aveva combattuto l’usura, contribuendo alla fondazione di diversi Montidi Pietà; a Cortona probabilmente sosteneva la confraternita di Sant’Onofrio,dedita al soccorso di infermi e bisognosi; negli ultimi anni scelse di ritirarsi allaPieve del Vescovo presso Corciano, lontano da ogni sollecitudine, per terminaredegnamente la propria esistenza. A quest’ultimo proposito, è interessante notareche un piccolo sant’Onofrio appare nel finto pilastro destro dell’affresco staccatoconservato nel Museo della Pieve (datato 1496, forse proveniente dalla cappelladi San Giovanni): segno che la devozione del Vagnucci aveva lasciato il proprioricordo anche nella residenza di campagna dei vescovi perugini.

141 A Perugia, per esempio, nella chiesa di San Matteo degli Armeni (fon-data dai monaci di San Basilio) Sant’Onofrio è dipinto sulla parete all’iniziodella navata, a sinistra della monofora ogivale; nella stessa posizione (sul latosinistro della controfacciata; fig. 35) appare affrescato anche nella chiesa diSanta Maria Nuova, di fondazione silvestrina (famiglia appartenente all’ordi-ne benedettino). Sant’Onofrio compare poi nella sacrestia della chiesa di SantaMaria di Monteluce (parete destra), che apparteneva al monastero delle claris-se ora a Sant’Erminio.

142 A Roma, una chiesa di Sant’Onofrio venne fondata sul Gianicolo sot-to papa Eugenio IV. Al Sacro Speco di Subiaco (monastero benedettino a 70km da Roma, con due chiese sovrapposte), il santo è presente in due affreschi,ascrivibili a maestranze umbro-marchigiane e senesi del XIV secolo. InUmbria, oltre agli esempi già citati (cf. le note 139 e 141), due immagini delsanto sono conservate nella Pinacoteca Comunale di Assisi, mentre un altroSant’Onofrio è affrescato nella chiesa di San Crispolto a Bettona (nei pressi del-la quale sorge ancora un convento dedicato al santo). Resta difficile l’identifi-cazione di un malconcio affresco nella chiesa di San Francesco a Gubbio,mentre non ci sono dubbi per quello, un po’ sbiadito, nella cripta della chie-sa di San Ponziano appena fuori Spoleto.

143 La cappella sorgeva verso il rione di Porta San Pietro, ma dopo il 1382,essendo stata scaricata, venne ricostruita dalla parte opposta, verso il rione diPorta Sole; era destinata alla sepoltura dei condannati a morte: ASP, ASCP,Riformanze, n. 28 (1380), c. 60; n. 30 (1382), c. 184. Cf. BAP, Lancellotti,Scorta sagra..., tomo I, c. 195vb (12 giugno).

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144 L’antica sede dell’ospedale coincide con l’attuale cappella di Sant’Annain Sant’Onofrio, presso la chiesa di Sant’Andrea (cf. MARRI MARTINI 1965).

145 I nomi sono quelli di Bernardo Daddi e Puccio di Simone (fiorentini),Francesco d’Arezzo, Lorenzo Monaco (senese), Francesco Traini (pisano, madi formazione senese), ai quali bisogna aggiungere il polittico di Santa Crocea Firenze (scuola giottesca), il pannello alla Certosa di Firenze (scuola delBeato Angelico), il trittico della Pinacoteca di Siena e il Sant’Onofrio affresca-to dietro il chiostro dell’abbazia di Monte Oliveto Maggiore (presso Siena).

146 Il primo affresco è attribuito al senese Iacopo di Mino del Pellicciaio(cf. SCAPECCHI 1980, pp. 43-44); il secondo, già assegnato al Signorelli, è diattribuzione assai controversa, forse mediocre opera di bottega (KANTER-HENRY-TESTA 2001, pp. 258-259).

147 Del monastero, dove il beato Ugolino Zefferini (compatrono diCortona) trascorse gli ultimi anni della propria vita, oggi rimane solo un’edi-cola con la Madonna del Latte, affresco di scuola perugina del XIV secolo.

148 REAU 1958, p. 1008; KEACH 1978, p. 267. Uno statuto quattrocente-sco dell’Università dei Tintori (recante un Sant’Onofrio all’interno dell’inizia-le miniata) è conservato nel museo della Fondazione Horne di Firenze.

149 Chiesa ed ospedale furono ristrutturati nel XIV secolo e, tra alternevicende, rimasero in possesso dell’arte fino al 1719, quando, venendovi isti-tuito un convento di Cappuccine, i tintori furono costretti a trasferire sede edospizio in piazza dell’Uccello, quindi in via San Gallo, infine nell’attuale viaGuelfa (PASSERINI 1853, pp. 98-104; FANELLI 1988, pp. 47-48, 60-63 e 196-197). In una stanza dell’ospedale di Sant’Onofrio Michelangelo Buonarrotipreparò i cartoni della Battaglia di Cascina, celando a tutti il proprio lavoro.

150 Cortona era sotto il dominio di Firenze dal 1411, quando Ladislao diDurazzo, dopo aver messo fino alla signoria dei Casali (1409), vendette la cit-tà ai fiorentini. Come altre città toscane, mantenne una certa autonomiaamministrativa, mentre le arti, pur sopravvivendo, furono sottoposte a quellefiorentine affini od uguali.

151 Nella matricola dell’arte conservata alla British Library di Londra (Add.ms. 22497) è registrata al 1439 un’adunanza generale “congregata in ecclesiaSancte Elisabette sita in civitate Perusii Porta Sancti Angeli solito eorum loco” (cf.BAP, Mariotti, Spoglio delle matricole..., pp. 181-188; RONCETTI 2001, pp. 179-180). Nel 1647 fu istituita nella chiesa la compagnia di Sant’Onofrio dei Tintori,la quale fondò un altare decorato con un quadro effigiante Sant’Onofrio e quattor-dici scenette della propria vita: la compagnia ebbe vita effimera e con il tempo sisciolse; la tela oggi si trova nella chiesa dei Santi Sebastiano e Rocco, che ha rile-vato la parrocchia di Santa Elisabetta dopo la demolizione della chiesa (BAP,Lancellotti, Scorta sagra..., tomo I, c. 195r [11-12 giugno]; SIEPI 1822, p. 264;MARINELLI 1965, p. 861; MANCINI-CASAGRANDE 1980, p. 80). A Foligno, nelduomo di San Feliciano, l’arte dei tintori aveva il giuspatronato di una cappelladei Santi Onofrio e Barnaba (fondata ai primi del ’400 dalla famiglia degliOnofri), sul cui altare lo Jacobilli descrive un quadro, ora disperso, conSant’Onofrio nel deserto in atto contemplativo (opera di Ferraù Fenzoni da Faenza);nel 1682 l’arte decise di istituire la festa del santo per l’11 di giugno nella chiesadi Santa Margherita (JACOBILLI 1626, p. 94; METELLI 1981, pp. 170-171).

152 BAEC, Cartapecore Vagnucci, 10 marzo 1682, 31 gennaio 1727, 18 set-tembre 1736, 27 e 29 marzo 1776.

153 Per la bibliografia relativa alle vetrate, cf. BENAZZI 1996, p. 196.Aggiungi: Mecozzi 1991, p. 151; MARTIN-RUF 1998, pp. 205 (fig. 116), 218-

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225, 339-341 e tavv. 343-346; BENAZZI 1998, pp. 57-68; CARACCIOLO2005a, pp. 41-44 e 48, note 31 e 34; IDEM 2005b, pp. 11-12.

154 Cf. MARCHINI 1973, p. 162 e nota 309.155 BAEC, Vita del vescovo..., pp. 70-71.156 Possiamo farci un’idea dei rapporti proporzionali tra la trifora quattrocen-

tesca e la fiancata sud della cattedrale (sgombrata dalla “fastidiosa” loggia) attra-verso il progetto di completamento della decorazione esterna dell’architettoGuglielmo Calderini (scala 1:40), elaborato nel 1880 ed accompagnato da unpiccolo opuscolo esemplificativo (BOCO-KIRK-MURATORE 1995, pagg. 70-71).

157 ORSINI 1784, p. 116.158 Ringrazio i geometri Paolo Zarmanian e Tommaso Caracciolo per aver

provveduto a fornirmi queste misure. Il rilievo metrico della sezione trasver-sale della cattedrale è stato pubblicato da MATRACCHI 1992, p. 246.

159 Questa ricostruzione è stata avanzata per primo dal Marchini, anche sele due terminazioni trilobate rappresentanti colmi di baldacchino coperto acupola, dallo studioso riferite alla medesima serie, appartengono in effetti aduna serie di altra provenienza (MARCHINI 1973, pp. 161-162): per ora bastiosservare come le luci laterali delle trifore non siano coronate da un trilobocome quella centrale, ma da un semplice arco; terminazione trilobata presen-tano invece le luci delle bifore soprastanti.

160 CRISPOLTI iunior 1648, p. 270.161 BAP, Lancellotti, Scorta sagra..., tomo I, c. 195v (12 giugno).162 Cf. anche ROSSI 1864a, p. 16: “il Capitolo sul cominciare del secolo

decimosettimo [...] non provvide alla conservazione delle due belle invetriate”.163 ADP, Visitationes Oddi (1660), ms. 21, c. 42r.164 BAP, Bigazzini, Vescovi..., c. 9v.165 GIUSTO 1911, pp. 371-372.166 ORSINI 1784, p. 116 e nota (c); SIEPI 1822, pp. 80-81.167 RAMBOUX 1836, p. 111 (in basso).168 Sulla vicenda delle vetrate e per le fotografie del primo ’900, cf.

MARTIN-RUF 1998, pp. 218-225.169 La Madonna e il Sant’Onofrio sostarono per un breve periodo nella cap-

pella di Sant’Antonio Abate della chiesa inferiore, mentre il San Girolamotransitò in una delle due monofore della cappella di passaggio tra quella di SanMartino e quella di San Pietro d’Alcantara (MARCHINI 1956, p. 43 e nota 61).

170 Per una descrizione dei quattro pannelli esposti nel Museo del Tesorodi San Francesco (sala conferenze Pio XI), cf. MARTIN-RUF 1998, pp. 340-341. Nel grafico 3, tratto dal MARCHINI (1973, pp. 161-162) e rielaborato, ilcolore grigio indica le formelle non originali e quelle rimosse dopo l’ultimorestauro; i numeri fanno riferimento all’Elenco dei pannelli (già o tuttora inmagazzino) redatto nel 1991 e disponibile presso la Biblioteca del SacroConvento di Assisi; le misure sono state verificate personalmente, poiché quel-le riportate da MARTIN-RUF sono del tutto errate.

171 Non si comprende come si sia potuto affermare che il San Girolamo sistaglia contro un fondo giallo (ZOCCA 1936, p. 96).

172 Ibidem.173 Forse questo volto è il frutto di un ripristino della fine del ’700 (ivi, p.

98); comunque compare già nel disegno del Ramboux del 1836 (fig. 41).Prima del restauro di fine ’900, il pannello risultava concluso ad ogiva, perl’adattamento alla bifora della cappella di Sant’Antonio Abate nella chiesainferiore, dove sostò temporaneamente nel secondo dopoguerra.

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174 PENNA-CASANOVA 1965, coll. 1132-1134. A parte il fatto cheGirolamo (341 ca-420) non fu mai cardinale, l’abito purpureo venne in usosolo dal XIII secolo. Lo stemma di Cortona è costituito da una “variante” delleone di San Marco: significativo che esso compaia, insieme a sant’Onofrio,negli smalti del tempietto del Reliquiario Vagnucci di Cortona (cf. par. IV, 1).

175 GIUSTO 1911, pp. 244-245; BENAZZI 1996, p. 196; MARTIN-RUF1998, p. 343 (n. 302).

176 Si tratta di una rappresentazione tipica dell’iconografia orientale: il glo-bo simboleggia l’intera creazione divina e il regno di Cristo in cielo e in terra(HEINZ MOHR 1984, pp. 126-127 e 316-317).

177 MARCHINI 1973, p. 162. Infatti, essendo il pannello destinato ad unaluce tripartita, di cui doveva occupare la posizione centrale, fu necessario tra-sformare il profilo originario in rettilineo. Nel disegno del Ramboux (1836),precedente il restauro del Bertini, i due cherubini non compaiono (fig. 41).

178 BENAZZI 1996, p. 196. Con questi due cherubini, il pannello vennetrasformato in ogivale e riadattato alla bifora della cappella di Sant’AntonioAbate nella chiesa inferiore, dove nel secondo dopoguerra rimase montato perun breve periodo.

179 Il tabernacolo non ha pianta esagonale, bensì ottagonale; inoltre gliarchetti non sono dentellati, ma trilobati, e poggiano su colonnine che almotivo tortile (piatto e largo) delle altre tre edicole sostituiscono una spiralemolto simile a quella del trono della Vergine.

180 BASCAPÈ-DEL PIAZZO 1983, pp. 608 e 615.181 Già negli smalti del piede del Reliquiario Vagnucci (1457-1458), l’orso

del blasone occupava il medesimo spazio riservato alle figure dei santi, rappre-sentati però a mezzo busto e non a figura intera (cf. par. IV, 1).

182 BENAZZI 1996, p. 196. A queste dobbiamo ovviamente aggiungere ilmonumentale finestrone absidale di San Domenico, realizzato nel 1411 daBartolomeo di Pietro da Perugia (vetratista) e da Mariotto di Nardo da Firenze(pittore): proprio quest’ultimo, secondo il MARCHINI (1956, p. 43 e nota 61),avrebbe introdotto a Perugia la tipologia tardo-gotica delle “finestre-baldacchino”.

183 BENAZZI 1996, p. 185.184 Ivi, pp. 185-186; EADEM 2004, pp. 406-407. Per i due documenti

(ASP, Sezione di Foligno, Notarile, Serie I, 76 bis, notaio Battista di Gianni,17 maggio 1485; Miscellanea. Anonimi e frammenti, 140, notaio non identifi-cato, 5 novembre 1488), cf. FELICETTI 2000, pp. 92-93 e 96-97; il documen-to del 1488 è stato pubblicato da M. SENSI (1982, pp. 105-107).

185 BENAZZI 1994, pp. 438-439. Per la descrizione delle immagini, la sto-ria dei pannelli, i disegni della prima metà del XIX secolo, le fotografie del pri-mo ’900 e la bibliografia relativa, cf. MARTIN-RUF 1998, pp. 205 (fig. 116),207 (fig. 120), 215 (fig. 135), 218-225, 337-339, 344 (n. 303) e tavv. 341-342; BENAZZI 2004, pp. 406-407.

186 EADEM 1996, p. 196.187 MARCHINI 1956, p. 43 e nota 61; IDEM 1973, pp.163-164.188 Su questa opera del Caporali, cf. BERNARDINI 1991, pp. 26-27.189 BENAZZI 1996, p. 196.190 THODE [1885], p. 471.191 Cf. SUPINO 1924, pp. 217-219; anche MARCHINI 1973, p. 162 e nota 309. 192 Tra l’altro, sappiamo che il pittore perugino Benedetto Bonfigli giunse

a Roma nei primi mesi di quello stesso anno: un arrivo che, certamente deter-minato da numerosi fattori, andrebbe messo in relazione anche con la presen-

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za del Vagnucci. Allo stesso modo, il vescovo perugino e Pietro di Noceto, pri-mo segretario di Niccolò V e amico del cappellano dei priori di Perugia,potrebbero aver pesato nella decisione di questi ultimi di assegnare a Benedettoil ciclo della cappella Nuova dei Priori (MANCINI 1992a, pp. 36-38 e 53).

193 Sul messale ms. 10, cf. par. III, 3. Su Bartolomeo Caporali, cf. cap. III,nota 45 e cap. IV, nota 69.

194 Un disegno ricostruttivo della trifora si trova in FALOCI PULIGNANI1903, p. 182 (il disegno, rielaborato, è stato utilizzato per la ricomposizionevirtuale della fig. 47).

195 JACOBILLI 1626, p. 85; MARCHINI 1973, pp. 164-165 e tav. 134. Nelgrafico 4, i pannelli indicati in grigio sono esposti nella sala conferenze Pio XIdel Museo del Tesoro di San Francesco ad Assisi, davanti a quelli provenientidal duomo di Perugia; gli altri si trovano nei magazzini del convento; la nume-razione fa riferimento all’Elenco dei pannelli redatto nel 1991; le frecce indi-cano l’orientamento delle figure.

196 Cf. FALOCI PULIGNANI 1937.197 MARCHINI 1973, p. 162.198 Ivi, p. 164 e tav. 133.

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Capitolo III

Perugia, cattedrale

di San Lorenzo

1. Il Monumento Baglioni (1451)

2. Gli altari di Agostino di Duccio (1473-1475)

3. Il messale della Biblioteca Capitolare (1474-1478)

4. Il tabernacolo di Niccolò del Priore (1491-1492)

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IntroduzioneIn attesa di approfondite indagini nell’Archivio Capitolare

di San Lorenzo (oggetto di una recente catalogazione), il ruo-lo di Iacopo Vagnucci nella ricostruzione del massimo “tem-pio” perugino può essere, per il momento, solo intuito sullabase di una coincidenza cronologica con gli anni del suo epi-scopato; il discorso è diverso, invece, per quanto riguarda ladecorazione (scultorea, lignea e pittorica) degli interni dellacattedrale, dove l’impronta lasciata dal prelato cortonese (e,successivamente, dal nipote Dionisio) sembra emergere conmaggiore evidenza.

Il XV secolo, nel clima generale di rinnovamento ediliziodella città, segna anche per il duomo una forte ripresa nellacommittenza artistica privata, secondo i nuovi orientamentiteorizzati da Leon Battista Alberti nel De re aedificatoria(1452): non più vasti cicli di pitture murali, tipici della tradi-zione gotica, ma altari isolati con tavole dipinte o, preferibil-mente, scolpite a rilievo. Non è infatti casuale che, a Perugia,il massimo protagonista di questo mutato indirizzo sia il fio-rentino Agostino di Duccio, che aveva lavorato con l’Alberti,suo concittadino, nel Tempio Malatestiano di Rimini1.

Oltre ad Agostino, in cattedrale si alternano gli scalpelli diUrbano da Cortona, Bartolomeo Bellano detto “da Firenze”(in effetti era padovano), Benedetto Buglioni, Giuliano daMaiano e Domenico del Tasso (tutti originari della “cittàdell’Arno”): bastano i nomi ad evidenziare un orientamentoartistico di marca esplicitamente toscano-fiorentina, del qualeil vescovo perugino non può che essere il primo responsabile.A questo punto viene da chiedersi, per usare un’espressionedello Scarpellini, se il cortonese non sia il “vero deus ex machi-na dell’intero rinnovamento del duomo perugino”2.

Al suddetto quesito è connessa la necessità di chiarire sel’ornamentazione quattrocentesca sia il frutto di interventi iso-lati, legati alle singole committenze, o il risultato di un proget-to organico, capace di porre in diretta contiguità la fase deco-rativa con quella costruttiva3: se le difficoltà incontrate nellariedificazione del duomo e le manomissioni da esso subite neisecoli successivi possono aver generato una certa impressionedi frammentarietà, d’altra parte vediamo contemporaneamen-te impegnate su ambo i versanti sia maestranze locali(Bartolomeo di Mattiolo, Ludovico d’Antonibo, Piero di

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Giovanni), sia lombardo-comacine (Gasparino d’Antonio,Pietro Paolo di Andrea), sia toscane (Pagno di Lapo Portigiani,oltre ai nomi già menzionati).

Tra la fine del ’400 e gli inizi del ’500, sarà proprio il capo-lavoro commissionato dai Vagnucci al Signorelli ad inaugura-re, in luogo della mostra d’altare marmorea, la preferenza perla pala dipinta appoggiata sulla mensa, coniugata ad un rinno-vato interesse per la pittura ad affresco (a partire dai perdutilavori intrapresi dal Perugino nella cappella del Crocifisso).

Nel corso dei secoli, poi, l’incapacità della scuola perugi-na di raccogliere l’eredità lasciata dai maestri della sculturatoscana, il rinnovamento tardo-rinascimentale, il mutato cli-ma della Controriforma, le nuove esigenze del classicismosettecentesco (si pensi al giudizio negativo dell’Orsini)4 e,infine, il restauro purista condotto alla metà del XIX secolo,saranno responsabili del progressivo isolamento in cui sonoandate cadendo le opere scultoree del ’400, con la conse-guenza di essere distrutte o, nella migliore delle ipotesi,smantellate o alterate5.

1. Il Monumento Baglioni (1451)

Storia del cenotafio e sua attribuzioneParadossalmente, l’unica opera ad essersi conservata, anche

se in una foggia piuttosto difforme rispetto alla conformazio-ne originaria, è proprio la più antica, il cosiddetto MonumentoBaglioni (fig. 59), oggi collocato a sinistra dell’uscita principa-le (od orientale) della chiesa (n. 18)6. Si tratta della tombapensile di Giovanni Andrea Baglioni, vescovo di Perugia dal1435 al 1449, la cui immagine giacente occupa la parte supe-riore del monumento. La data del 1451, precocissima, puòessere desunta dall’iscrizione che si snoda nel riquadro media-no della tomba (fig. 60):

HEC BREVIS ILLUSTRI BALIONA AB ORIGINE || CRETUM ANDREAMTEGIT URNA GRAVEM VEN || ERANDA IOHANNEM INGENTIVIRTUTE VIRUM QUI IN IU || RE SACRORUM DOCTOR PONTIFI-CUM ET TECTIS || SURGENTIBUS AUCTOR LAURENTI ECLESIEPER || USINUS PRESUL ET INGENS ANTISTES VIX || IT NUNC ALTAIN PACE QUIESCENS || MCCCCLI

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[Questa piccola urna, degna di venerazione, conserva il nobi-le Giovanni Andrea, disceso dalla illustre stirpe dei Baglioni,uomo di grandissima virtù, dottore nel sacro diritto pontifi-cio e sostenitore della nascente fabbrica di San Lorenzo, chevisse quale vescovo perugino e sacerdote esemplare, ora ripo-sando nella pace del Cielo. 1451.]

L’opera in origine si trovava addossata alla parete sud (n. 9),tra la cappella del Gonfalone, nel ’500 detta di San Giovanni(o del Fonte Battesimale), e l’uscita secondaria verso la piazzaMaggiore7. In questa posizione, infatti, è attestata nel 1564dal vescovo Fulvio Della Corgna, che la vede collocata sopra

Fig. 59Urbano da Cortona,Monumento Baglioni,1451.Perugia, cattedraledi San Lorenzo.

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un altare dedicato a san Girolamo: il tutto, però, non è di suogradimento, perché, durante la seconda visita pastorale del1568, dà l’ordine di smantellare l’altare, riservandosi di deci-dere sulla sistemazione della tomba che, qualora fosse rimastaal suo posto, avrebbe dovuto comunque essere allestita inmodo più decoroso8:

1564. Visitavit altare Sancti Hieronimi positum prope por-tam maiorem dicte ecclesie et, cum ibi esset cadaver reveren-dissimi domini ... de Ballionibus olim episcopi perusini et sta-tura rilievi ipsius episcopi in petra marmorea sumptuose factaet in muro apposita, reservavit sibi alias deliberandi an debeatremoveri, cum ex ordine summi pontificis removende sint execclesiis capse mortuorum et alia in altum posita et eminentiadeposita, vel sic dimitti, cum potius videat locum decorare.

1568. Visitavit altare Sancti Hieronimi iuxta primam portamecclesie, quod altare supra se habet quoddam sepulchrummarmoreum reverendissimi olim Andree de Balionibus epi-scopi perusini, quod altare iussit quam primum removeri desepulchro, vero reservavit alias declarare quid agendum sit.

Evidentemente il vescovo e i canonici della cattedrale opta-rono per questa seconda soluzione, perché il cenotafio delBaglioni mantenne la sua antica collocazione: qui lo testimo-niano il Crispolti (1648), il Galassi (1776), il Siepi (1822), ildisegno di Gregorio Amadei (1834; fig. 61) e quello pubblica-to dal Rotelli (1864; fig. 62)9. Nel 1849-1852, in occasione delrifacimento del pavimento, voluto dal vescovo Cittadini mafatto eseguire dal successore Gioacchino Pecci (1846-1878), latomba venne collocata nel sito attuale (al posto di un altarededicato ai santi Ivo e Marta, giuspatronato dei Coppoli)10, inposizione simmetrica rispetto al monumento funebre di

Fig. 60Monumento Baglioni,

part. con l’iscrizionededicatoria e i putti

reggistemma.

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Marcantonio Oddi (n. 16), trasferito nella controfacciatadestra dalla chiesa di Sant’Agostino (1855). Probabilmente è inquesta circostanza che il sepolcro del Baglioni, forse già altera-to nella disposizione dei suoi elementi (con l’inversione tra ilsarcofago e il blocco delle quattro Virtù cardinali), vennerimontato con un assetto differente da quello schizzato daJohann Anton Ramboux agli inizi del XIX secolo (fig. 63)11.

Fig. 61G. Amadei,Disegno dell’internodella cattedrale (part.),riproduzionefotograficadell’originaledel 1834.Perugia,Museo Capitolaredi San Lorenzo.

Fig. 62Disegno dell’internodella cattedrale,pubblicato da L.Rotelli nel 1864.

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I bassorilievi della fronte (le Virtù, gli angeli reggi-stemmae il festone decorativo; figg. 60 e 64) sono eseguiti in marmo(forse di Carrara) levigato con cura, mentre la figura del vesco-vo giacente è realizzata sommariamente in calcare locale (sinotino i piedi piccolissimi e le enormi mani piatte), a dimo-strazione di come, anche nell’ubicazione originaria del monu-mento, essa fosse collocata molto in alto rispetto al punto divista dell’osservatore12. Nonostante alcune mediocrità (soprat-tutto le mani delle Virtù), si tratta di un’opera di indiscussovalore, assegnata dalla critica moderna ad un “povero scalpel-lino” (Venturi), Urbano di Pietro da Cortona (1426 ca-1504),già allievo di Donatello (1386-1466) a Firenze e a Padova.L’attribuzione è stata avanzata dallo Schubring, riproposta daVenturi ed infine confermata dalla Magliani e da Gentilini13.

Fig. 63Ricostruzione virtualedell’assetto originario

del MonumentoBaglioni.

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Commissione e realizzazione della tombaDai documenti sappiamo che Urbano soggiornò a Padova,

dove collaborava con il maestro alla decorazione dell’altare delSanto, dall’aprile del 1446 al settembre del 1447; terminatol’impegno padovano, decise di abbandonare Donatello (con ilquale i rapporti non erano idilliaci) per affermarsi come artistaautonomo, anche se le sue modeste qualità lo dissuasero dalrientrare a Firenze, dove la concorrenza dei maestri locali(Desiderio da Settignano, Luca Della Robbia e i fratelliRossellino) gli lasciava ben poco spazio14. Ristabilita così la resi-denza a Cortona, Urbano potrebbe essere giunto a Perugia trala fine del 1449 (il Baglioni era morto in ottobre) e i primi mesidel 1450, forse chiamato dal conterraneo Iacopo Vagnucci,vescovo neo-eletto della città: in quel lasso di tempo, tra l’altro,non è da escludere che Iacopo, nei suoi spostamenti tra Romae Bologna (dove esercitò le funzioni di governatore), sia transi-tato almeno una volta per la nativa Cortona, dove è possibileche abbia contattato direttamente lo scultore15. Tuttavia l’iniziodel soggiorno perugino di Urbano potrebbe essere anticipato al1448, data scolpita sulla lastra tombale del medico Luca diSimone in Santa Maria Nuova (ma proveniente dalla distruttachiesa di Santa Maria dei Servi), opera che, posta a confronto

Fig. 64Monumento Baglioni,part. con le Virtùdella Temperanzae della Fortezza.

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con le analoghe e successive produzioni senesi dello scultore,potrebbe essere ricondotta proprio alla sua mano16.

Comunque, a parte il dato scontato della comune originecortonese, diversi elementi avvalorano l’ipotesi di un interessa-mento del Vagnucci: innanzitutto, questi conosceva moltobene il Baglioni, anch’egli protetto di papa Eugenio IV, dalquale venne innalzato alla dignità vescovile nel 1435 a Firenze,dove probabilmente Iacopo si era già trasferito. Inoltre, abbia-mo visto come il Vagnucci intendesse “ereditare” l’impegnopersonale profuso dal suo predecessore a beneficio della fabbri-ca di San Lorenzo, mentre non è casuale che nell’iscrizionededicatoria (fig. 60) il vescovo Giovanni Andrea sia qualificatocome “tectis surgentibus auctor”, e che il suo cenotafio venissecollocato all’interno del duomo vecchio (che arrivava all’altez-za del portale laterale), quasi a vegliare su quei lavori che ilBaglioni aveva avviato con tanta energia. Infine, alla partenzadi Donatello per Padova e della corte pontificia alla volta diRoma (1443), Urbano già si trovava nella bottega fiorentina delmaestro, dove Iacopo potrebbe benissimo averlo conosciuto17.

Il monumento venne realizzato entro la primavera del1451, perché il 16 luglio di quell’anno Urbano si trovavasicuramente a Siena, dove la partenza di Antonio Federighi(Siena, ?-1490 ca), chiamato a dirigere il cantiere del duomodi Orvieto (1451-1456), aveva lasciato campo libero alloscultore: il cortonese vi sarebbe rimasto fino alla morte, rea-lizzando tutta una serie di lavori nei quali l’insegnamentodonatelliano (ancora palese nella tomba di Perugia) andòprogressivamente perdendosi, nonostante una rinnovata col-laborazione con l’antico maestro in occasione del soggiornosenese di costui (1457-1459)18.

La statua bronzea di Paolo IIMolti anni più tardi (1466), un altro allievo e assistente di

Donatello sarebbe stato chiamato ad eseguire la statua bronzeadel pontefice Paolo II (1467), già collocata nella nicchia (operadel lapicida perugino Piero di Giovanni) sovrapposta all’edico-letta della facciata meridionale del duomo di San Lorenzo,quindi andata distrutta ai tempi dell’occupazione napoleonicadi Perugia (1798): si tratta di Bartolomeo Bellano (1437/8-1496/7), scultore padovano figlio di un orefice, la cui breve bio-grafia è compresa tra le Vite di Giorgio Vasari. Mentre Urbano

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da Cortona, in un documento senese del 1451, non è denomi-nato “da Padova”, poiché era rientrato nella propria città nata-le, viceversa il padovano Bartolomeo, in due documenti peru-gini del novembre 1467, è chiamato “de Florentia”, perché quiaveva seguito il maestro Donatello (al quale era ben più legatodi Urbano) nel 1454, dopo aver collaborato all’altare del Santo.

Nella decisione dei magistrati perugini di affidare l’opera alBellano, che probabilmente si era già cimentato con l’effigiedel papa durante un precedente soggiorno romano (bustomarmoreo di Paolo II, 1464, Museo di Palazzo Venezia),potrebbe aver pesato l’autorità di Iacopo Vagnucci, di cuiconosciamo gli intensi rapporti intercorsi con Paolo II duran-te tutto il periodo del suo pontificato (1464-1471)19.

2. Gli altari di Agostino di Duccio (1473-1475)

Da Rimini a Perugia: la facciata di San BernardinoUna breve monografia dedicata al fiorentino Agostino di

Antonio di Duccio (1418-post 1481) recita nel sottotitolo “iti-nerari di un esilio”20, in riferimento al lungo peregrinare delloscultore, a partire dall’episodio del furto di argenterie nellachiesa della SS. Annunziata a Firenze (ante 1446)21. L’ambitod’indagine del presente studio non permette di esaminare det-tagliatamente i vari lavori intrapresi dallo scultore a Perugia,per cui ci si limiterà a delineare alcune problematiche e adosservare come le tappe di quell’esilio siano strettamente con-nesse alla figura del Vagnucci, cui lo scultore sembra legarebuona parte della propria carriera artistica.

Nel 1447 Sigismondo Pandolfo Malatesta, signore diRimini, incaricava il veronese Matteo De’ Pasti (morto nel1468) di sovrintendere alla ristrutturazione interna della chie-sa gotica di San Francesco e, successivamente, Leon BattistaAlberti (1406-1472) di “rivestire” in forme moderne l’interoedificio22: tra quella data e l’inizio dei lavori esterni (1450),sicuramente prima del giugno del 1449, Agostino giunse aRimini, per attendere, sotto la direzione di Matteo De’ Pasti,alla decorazione scultorea delle cappelle del tempio, di cui una(la prima a destra dopo l’entrata) dedicata a san Sigismondo,santo eponimo del committente. Nel 1457, in seguito all’in-

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terruzione dei lavori, Agostino lasciò Rimini, per approdare aPerugia il 17 luglio di quell’anno23.

Diversi sono i canali attraverso i quali lo scultore potrebbeessere giunto in città, dove era chiamato a realizzare la facciatadell’oratorio di San Bernardino, annesso al monastero dei padrifrancescani Conventuali: grande promotore dell’impresa del-l’oratorio, la cui costruzione era stata avviata sin dalla primave-ra del 1451, fu il generale dei frati Minori Angelo del Toscano,che ebbe il merito di convogliare sul monumento le attenzionidel comune, ma morì troppo presto (agosto del 1453) per esse-re considerato il responsabile della venuta dello scultore; chia-mare in causa i molteplici rapporti tra Perugia e Firenze, poi, èabbastanza problematico, perché sappiamo che Agostino erastato bandito dalla propria città natale per l’accusa di furto24.

Più che l’arruolamento da parte del Malatesta di GuidoBaglioni (fratello minore di Braccio), mandato controFederico da Montefeltro nel 1456, dovette risultare decisivol’interessamento di Iacopo Vagnucci che, dal 1448 al 1449, fuvescovo di Rimini, succedendo proprio ad un Malatesta (dalquale, il 31 ottobre 1447, era stata benedetta la prima pietradella cappella di San Sigismondo). A questo proposito, sinotino due particolari molto significativi: Agostino giunse aPerugia poco dopo l’ingresso del Vagnucci nella sua nuovadiocesi (marzo del 1456), anche se il cortonese ne ripartì qua-si subito alla volta di Roma; secondo, l’ex-chiesa di SanFrancesco a Rimini dipendeva dal ministro provinciale diBologna, dove il Vagnucci svolse le funzioni di governatoresubito dopo la breve parentesi riminese: il provinciale bolo-gnese era Francesco da Rimini, che nel 1450 fu presente alCapitolo generale di Roma - durante il quale (24 maggio)Niccolò V celebrò la canonizzazione di san Bernardino (e inquella cerimonia il Vagnucci gli era accanto) - e nel maggiodel 1453 al Capitolo generale di Perugia, nella cui occasionevenne inaugurato solennemente l’oratorio (beneficiato dal-l’indulgenza concessa da Niccolò V con la bolla Splendorpaternae gloriae).

La facciata di San Bernardino venne compiuta entro il1461, come attesta l’iscrizione scolpita sull’architrave delmonumento25: nel 1462 il Bonfigli e Angelo di BaldassarreMattioli ne diedero una perizia favorevole allo scultore che,nel frattempo, aveva realizzato altre opere, tra cui l’altare diSan Lorenzo nella chiesa di San Domenico (1459)26.

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L’altare di San Bernardino in duomoIl grande dispendio di energie e denaro, concentrato sul-

l’oratorio dai francescani e dal comune, aveva oscurato altreimportanti iniziative, volte a celebrare la figura di sanBernardino all’indomani della canonizzazione: tra queste spiccacertamente la costruzione di una cappella intitolata al santo nelmassimo “tempio” perugino, precisamente all’inizio della nava-ta sinistra (nel sito oggi occupato dalla cappella del Sant’Anello;n. 14). Essa fu deliberata sin dal marzo del 1451 (a questa datarisale il San Bernardino affrescato sul pilastro che la delimitava;n. 15)27, ma solo nel 1473, dopo numerose nomine di sopra-stanti e continui rinvii, e sull’onda di un rinnovato interesse peril santo (il cui corpo venne in quell’anno traslato all’Aquila),Agostino di Duccio dava finalmente inizio ai lavori28.

Infatti l’artista, dopo l’infelice parentesi bolognese (1462) el’altrettanto deludente ritorno a Firenze (1463), città egemo-nizzata dalle botteghe dei soliti scultori (con l’aggiunta delVerrocchio), tornò a Perugia29, dove poteva facilmente domi-nare un ambiente artistico “provinciale” e contare sull’appog-gio del Vagnucci, che subito lo indirizzò alla decorazione pla-stica della cattedrale, la cui costruzione era giunta nel frattem-po ad uno stadio avanzato.

La cappella di San Bernardino venne compiuta nella prima-vera del 1475, ma da quest’anno inizierà per essa un intermi-nabile “calvario”: officiata solo nel 1483, già nel 1486 venivasmantellata per essere ricomposta alla bell’e meglio sul latoopposto (n. 19); nel 1515 il patronato passò al collegio dellaMercanzia, che si incaricò di rinnovarla completamente(1559); nel 1793, infine, venne ricostruita nelle forme attuali:del complesso quattrocentesco e di quello manieristico non siconserva praticamente nulla30.

Con una possibile eccezione: le famose Tavolette di SanBernardino della Galleria Nazionale dell’Umbria, datate “1473FINIS” (anno coincidente con quello dell’inizio dei lavori).Infatti Laura Teza, in un saggio di recente pubblicazione31, havoluto dimostrare, con argomenti molto interessanti, la possi-bile provenienza dall’omonima cappella in duomo delle ottotavolette, da sempre riferite al complesso di San Francesco alPrato (dove “comparvero” misteriosamente nel 1784) e postein relazione con il “gonfalone” di Bonfigli del 1465 (di cuiavrebbero costituito, per così dire, la cornice)32: di quest’ulti-

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mo, d’altra parte, si continua a sollevare il problema di un pos-sibile uso processionale, nonostante che l’iconografia, come hadimostrato Mancini, lo escluda chiaramente33.

Comunque, se davvero l’origine delle tavolette andasse ricer-cata in cattedrale, l’altare di San Bernardino, da sempre conside-rato una realizzazione esclusivamente lapidea di Agostino,diventerebbe una mostra polimaterica, col risultato di ridurre ilruolo dello scultore a ben poca cosa, anche perché da fonti indi-rette veniamo a conoscenza, per la parte lapidea, di motivi deco-rativi che sembrerebbero estranei al linguaggio corrente del fio-rentino34. È davvero difficile, però, immaginare come la mostrascultorea potesse integrarsi con la Nicchia di San Bernardino,che negli sguanci accoglieva le tavolette e il “celetto” col trigram-ma bernardiniano, sul fondo un misterioso “quadro” diBonfigli35 e anteriormente una statua lignea o fittile del santo36.

Una soluzione, quella della nicchia foderata di tavole,“povera” e tipicamente francescana che, obiettivamente, sem-bra mal adattarsi al contesto quattrocentesco degli altari inpietra di cui la chiesa era disseminata, anche se l’altare dellaMadonna del Verde (1477-1479) offre un esempio quasi coe-vo di integrazione tra tavole dipinte (quelle del Caporali) emostra marmorea. Se fosse dimostrata la provenienza delletavolette dal duomo, bisognerebbe considerare seriamentel’ipotesi, già avanzata da alcuni studiosi37, che alla cosiddetta“Bottega del 1473” (forse coordinata dal medesimo Caporali)abbia partecipato anche Pierantonio di Niccolò del Poccioloche, in quegli anni, miniava per il Vagnucci il ms. 10 dellaBiblioteca Capitolare di San Lorenzo (cf. par. 3).

L’altare della Pietà (e altri lavori)Contemporaneamente alla cappella di San Bernardino e

poco lontano da essa, tra l’accesso al pulpito esterno e l’uscitameridionale, Agostino attese alla costruzione dell’altare dellaPietà (n. 11), commissionatogli dall’ospedale della Misericordiasu lascito testamentario di Niccolò Ranieri, nobile perugino:l’opera fu realizzata tra il maggio del 1473 (quando il Capitolole assegnò il sito) e l’aprile del 1474 (allorché venne stimata daun maestro comacino)38. L’altare, attestato in quella posizionedal vescovo Fulvio Della Corgna, che vi scorgeva accanto unapiccola mensa dedicata a san Matteo (n. 13)39, ebbe una vitapiuttosto travagliata, testimoniata nelle varie fasi dalle visite

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pastorali e dalla letteratura locale: dopo l’ultima collocazione(1832) nei pressi del transetto sinistro (n. 7), quel poco chesopravvive della pala marmorea è passato nei depositi, condestinazione Museo Capitolare.

Esaurito il duplice impegno della cattedrale, nel 1475Agostino ottenne una nuova commissione tra il duomo e ilpalazzo vescovile: la facciata dell’oratorio della Maestà delleVolte40, distrutta dall’incendio del 1534 e definitivamentedemolita nel 1566, di cui oggi rimangono alcuni frammentiesposti nella pinacoteca perugina. In precedenza, sin dal mag-gio del 1473, gli era stato affidato anche il rivestimento mar-moreo della Porta alle due porte, ubicata tra il convento di SanDomenico e il monastero di San Pietro41. Al secondo soggior-no perugino risale infine la replica in gesso (incassata nellaparete destra del duomo) della Madonna col Bambino conser-vata al Bargello di Firenze42.

Il trasferimento ad AmeliaAgostino concluse la sua straordinaria carriera artistica in

una piccola cittadina dell’Umbria meridionale, Amelia, dove sirecò nel 1476, anche se le ultime notizie che abbiamo di lui nedocumentano la presenza nel 1480-1481 ancora a Perugia,dove provvedeva alle rifiniture della Porta alle due porte43. AdAmelia lo scultore eseguì due monumenti funerari nella chiesadi San Francesco, più un terzo probabile in cattedrale: quellidel vescovo Giovanni Geraldini, dei coniugi Matteo edElisabetta Geraldini (fig. 65) e del vescovo Ruggero Mandosi44.

Nonostante che, nel 1477, si allogasse nel duomo peruginol’altare della Madonna del Verde (assegnato al lapicida lombar-do Pietro Paolo di Andrea da Como), in parte superstite all’in-terno della cappella del Battistero (n. 23)45, è molto probabi-le che Agostino venisse indirizzato ad Amelia ancora una vol-ta dal Vagnucci, che vi aveva esercitato le funzioni di governa-tore fino al 1471: in quella circostanza Iacopo ebbe modo diintrecciare rapporti sia con l’influente famiglia Geraldini (chenel 1476 ospitò per venti giorni papa Sisto IV) e, in particola-re, con Giovanni (vescovo di Catanzaro, morto nel 1488) edAngelo (vescovo di Sessa, morto nel 1486, figlio dei coniugiGeraldini); sia con Ruggero Mandosi, vescovo di Amelia perben 40 anni, dal 1444 al 1484 (quando rinunciò all’episcopa-to, morendo probabilmente l’anno seguente)46.

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Non è da escludere che all’ultimo soggiorno di Agostino adAmelia possa essere ricondotta, in qualche modo, la pietratombale del medico Andrea Chirurghi (in Santa Maria Nuovaa Perugia), celebre dottore perugino (insignito della cittadi-nanza nel 1467) morto ad Amelia nel 1490, data riportata aipiedi della lastra47.

3. Il messale della Biblioteca Capitolare (1474-1478)

Un esemplare di gran lussoTra i numerosi codici miniati dei secoli XIII-XV apparte-

nenti alla Biblioteca del Capitolo di San Lorenzo, spicca il ms.10 (di cc. 353), oggi esposto in una sala del Museo della

Fig. 65Agostino di Duccio,

Monumentodei coniugi

Geraldini, 1477.Amelia, chiesa di San

Francesco, cappelladi Sant’Antonio Abate.

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Cattedrale (figg. 66-67)48: si tratta di un messale romano (cc.7r-351v) risalente all’ottavo decennio del ’400 e realizzato perIacopo Vagnucci, come dimostra inequivocabilmente lo stem-ma prelatizio dipinto sul margine destro della pagina che fun-ge da frontespizio (c. 7r); invece il tondo con san Lorenzo, nelmargine inferiore della medesima carta, e il carattere tipica-mente perugino del calendario anteposto al messale (cc. 1r-6v)

Fig. 66Pierantonio di Niccolòdel Pocciolo, Messalems. 10, 1474-1478,dorso e primadi coperta.Perugia,Museo Capitolaredi San Lorenzo.

Fig. 67Messale ms. 10,quarta di coperta.

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Fig. 68Messale ms. 10,frontespizio miniato (c. 7r).

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indicano chiaramente come l’opera sia stata eseguita per l’uf-ficio liturgico della cattedrale (figg. 68-70).

Ci troviamo di fronte ad un esemplare membranaceo digran lusso, le cui caratteristiche riflettono il gusto e la raffina-tezza del committente: legatura coeva in assi e cuoio con riccheimpressioni (alcune delle quali in oro), piatti provvisti di bor-chie di ottone agli angoli (sul piatto anteriore ne mancano due),

Fig. 69Messale ms. 10,part. del frontespiziocon lo stemmadel vescovo Vagnucci.

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Fig. 70Messale ms. 10,

part. del frontespiziocon la figura

di san Lorenzo.

Figg. 71-72Messale ms. 10,

particolari delle cc.16v e 26r

con capilettera miniati(Natività e Adorazione

dei Magi).

Figg. 73-74Messale ms. 10,

particolari delle cc.195r e 248v

con capilettera miniati(Pentecoste e

Annunciazione).

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quattro fermagli (di cui uno solo integro), taglio delle paginedorato, pergamena bianca di ottima qualità, bella gotica rego-lare su due colonne, inchiostro multicolore (nero, blu, rosso,oro), decine di capilettera miniati (18 dei quali con figurazio-ni; figg. 71-75), frontespizio interamente miniato49.

Il servizio liturgico di San PietroLa vicenda attributiva del ms. 10 è piuttosto complessa ed

ha come imprescindibile punto di riferimento (e termine diconfronto) il servizio liturgico fatto eseguire dai monaci di SanPietro (sottoposti alla congregazione di Santa Giustina diPadova) negli anni 1471-1473, e composto dai codici segnaticon le lettere A, B, I, K, L, M50:

I) antifonario dalla prima Domenica d’Avvento alla Quaresima,pagato a Pierantonio di Niccolò del Pocciolo nel 1471-1472, data-to novembre 1472 (frontespizio con l’Annunciazione e san Pietro;carta con i santi Pietro e Paolo, san Benedetto e santa Giustina);

L) antifonario dalla Quaresima alla festa dei Santi Pietro e Paolo,pagato a Pierantonio di Niccolò del Pocciolo nel 1471-1472 (minia-tura con il Cristo benedicente);

Fig. 75Messale ms. 10,part. della c. 282rcon capoletteraminiato (Nascitadella Vergine).

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M) antifonario dalla festa dei Santi Pietro e Paolo alla primaDomenica d’Avvento, pagato a Giapeco Caporali nel 1472-1473(frontespizio con san Pietro in cattedra);

K) santorale realizzato da Giapeco Caporali nel 1472-1473, tra-fugato a Perugia nel 1906, oggi a New York;

A) graduale eseguito da due collaboratori di Pierantonio diNiccolò del Pocciolo (il fratello Niccolò e un tale Bernardino);

B) kiriale realizzato dai sopraddetti.

A ciò dobbiamo aggiungere la miniatura (serpente con testadi grifone perugino) della Riformanza 110, eseguita “gratuita-mente” da Giapeco Caporali durante il suo priorato del 1474(bimestre maggio-giugno)51.

L’insieme di queste miniature, confortato dai dati documen-tari, ci permette di distinguere nettamente la maniera diGiapeco da quella di Pierantonio (entrambi morti nel 1478) edi rilevare la mediocrità del primo al cospetto del secondo,dotato di sapienza prospettica e sensibilità volumetrica, cono-scitore della miniatura ferrarese e padovana mediatagli dalmonastero benedettino (come si desume dalla qualità lucente emetallica del suo modellato), aggiornato sulle novità figurativepiù avanzate: emblematico l’angelo dell’Annunciazione (codiceI), stretto “parente” di quello appena dipinto da Piero dellaFrancesca nella cimasa del Polittico di Sant’Antonio (ante 1468).

Non a caso, Pierantonio di Niccolò del Pocciolo, oltre adessere miniatore, dalla metà circa del secolo era iscritto perPorta Sant’Angelo alla matricola dei pittori perugini: nel 1475venne nominato camerlengo dell’arte; nel 1479, essendo statorieletto maldestramente in quella carica (in quanto, benchédefunto, il suo nome era rimasto nel bussolo), fu sostituito dalfratello Niccolò, anch’egli iscritto alla matricola dei pittori52.

Attribuzione, datazione e commissioneDopo una prima comparsa alla Mostra di antica arte umbra

del 190753, la fortuna critica del messale di San Lorenzo hainizio con la Mostra storica nazionale della miniatura (Roma,1953), dove viene esposto con l’attribuzione a GiapecoCaporali, poi confermata dal Muzzioli (1954). Il Caleca(1969) assegna a Giapeco l’ideazione generale del messale,relega i capilettera nel limbo della bottega e chiama in causaBartolomeo Caporali per i brani più alti del frontespizio (sanLorenzo e alcuni putti), mentre il David, l’Eterno e il fregio

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spetterebbero allo stesso Giapeco54. Lo Scarpellini (1975)conferma le distinzioni del Caleca e, notando la maggioredisinvoltura di Giapeco rispetto all’antifonario M di SanPietro, data il codice all’ultimo periodo di attività del pittore(poco prima del 1478). In verità, poiché le sottili differenzeindividuate dal Caleca sono impalpabili, la pagina sembraopera di una stessa mano, che ripetuti interventi del Lunghi(1984, 1987, 1992) hanno permesso di individuare in quelladi Pierantonio, sulla base di confronti stilistici con le miniatu-re degli antifonari I ed L di San Pietro.

In particolare, mi sembra molto significativa la coinciden-za d’impostazione tra il frontespizio del ms. 10 (c. 7r; fig. 68)e quello dell’antifonario I (c. 1r): una pagina interamente con-tornata da un esuberante fregio con volute vegetali, tra le qua-li alcuni putti giocano o suonano strumenti musicali; nel mar-gine inferiore, entro una ghirlanda circolare sorretta agli ango-li da quattro putti, il santo titolare della chiesa (san Lorenzo osan Pietro); praticamente identica, poi, è la qualità pungente emetallica della cornice vegetale.

L’attribuzione al Pocciolo trova una straordinaria confermain un documento dell’Archivio di Stato perugino segnalato daAlberto Maria Sartore, nel quale veniamo a sapere che nel1474 il “miniator” Pierantonio aveva preso in affitto una bot-tega, confinante con quella dei fabbri, addirittura nel palazzovescovile55: quest’ultimo, insieme alla vicina cattedrale, rien-trava nel rione di Porta Sant’Angelo, per il quale il Pocciolo eraappunto immatricolato come pittore. Possiamo concludere,pertanto, che la scelta del Vagnucci cadde sì sul nome di mag-giore spessore, ma anche sull’artista più facile da reperire;quanto alla datazione già proposta per il codice (anni settantadel ’400), questa trova riscontro nel fatto che, in quel decen-nio, risiedendo effettivamente nella diocesi perugina, Iacopopoté commissionare il messale in prima persona, destinandoloalle funzioni liturgiche da tenersi in cattedrale. Il codice fu rea-lizzato presumibilmente tra il 1473-1474 (quando Pierantonioriceve gli ultimi pagamenti dal monastero di San Pietro e allor-ché prende in affitto la bottega nel vescovato) e il 1478 (mor-te del pittore), anno in cui, come sappiamo, il Vagnucci tornòa Roma, chiamato da Sisto IV a ricoprire nuovamente la cari-ca di vicecamerlengo.

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Il coro ligneo di San LorenzoL’ufficio liturgico della cattedrale, al quale il messale roma-

no era destinato, alla fine del ’400 forse si svolgeva in un con-testo strutturale diverso da quello dell’attuale presbiterio, conl’altare maggiore avanzato verso la navata centrale e gli stallidel coro disposti ai lati innanzi alla mensa, occupando grossomodo lo spazio della prima campata, separata dalle rimanentiattraverso un documentato “serraglio”56: questa soluzione,prevista dalla consuetudine liturgica antecedente la riforma delConcilio di Trento (pur se in proposito le eccezioni non man-cano), poteva essere molto simile a quella descritta da GiorgioVasari nella Vita del Perugino, a proposito della chiesa di SanGiusto fuori le mura a Firenze. Anche se la maggior parte deglistudiosi (a partire dal Rossi) rigetta l’ipotesi di un successivotrasferimento del coro nella tribuna absidale, la testimonianzadel Lancellotti, forse supportata da un oscuro passo delCrispolti relativo alla traslazione di sant’Ercolano, meriterebbeun auspicabile approfondimento della questione57.

Il coro venne progettato, tra il 1481 e il 1485 circa, daGiuliano da Maiano (1432-1490), mentre Domenico DelTasso (1440-1508) lo completò e firmò entro il 1491 (i nomidei due fiorentini e la data finale erano leggibili nella testatadestra del coro, prima del devastante incendio del 1985)58. Ilpost quem del 1481 è molto importante, perché sappiamo che,proprio in quel periodo, Iacopo Vagnucci fece demolire lepareti laterali del presbiterio per edificarvi il transetto sporgen-te e, in modo particolare, la cappella di Sant’Onofrio sul latodestro: pertanto, anche nella progettazione del coro, che rien-trava a pieno titolo nella sistemazione di questa zona della cat-tedrale, è possibile che sia intervenuto il cortonese, che potéavvalersi dei suoi rapporti con Federico da Montefeltro (mor-to nel 1482) per la chiamata di Giuliano a Perugia.

A conferma del fatto che i vescovi Vagnucci ebbero contatticon maestri di legname, rimane testimonianza (ancora nel1594) di un’opera lignea realizzata per uno dei due prelati cor-tonesi, presumibilmente negli stessi anni dell’attività peruginadi Giuliano o della famiglia Del Tasso (Domenico e figli): i seg-gi della cancelleria (o sala d’udienza) del palazzo vescovile, con“doi armi de’ Vagnucci con mitre da vescovo sopra” scolpite ointarsiate nella parte superiore della cattedra, sulla quale ilvescovo o il suo vicario sedevano ed emettevano le sentenze59.

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All’epoca del Crispolti (1648), e dopo il furioso incendio del1534, la cancelleria si trovava al piano terra, “a lato di dettaentrata dalla parte di fuori”60.

4. Il tabernacolo di Niccolò del Priore (1491-1492)

Il Priore: un caso paradossaleTra i pittori umbri del ’400, Niccolò di Giovanni di

Benedetto del Priore (Perugia, 1455-1501) costituisce uno diquei casi anomali in cui alla ricchezza di notizie documentarienon corrisponda un’adeguata conoscenza della produzione arti-stica. Iscritto alla corporazione dei pittori per Porta San Pietrodal 1470 circa, Niccolò, che risulta allibrato al catasto nella par-rocchia di San Savino, apporta numerose modifiche ai propribeni (concentrati nella zona di Deruta) a partire dal 1473; daquesta data sino alla morte (dicembre del 1501) è tutto un sus-

Fig. 76Niccolò del Priore,Altarolo di SanLorenzo (con sportelliaperti), 1491-1492.Perugia,Museo Capitolaredi San Lorenzo.

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seguirsi di notizie: nel 1483 prende in affitto una bottega edesegue un pallio con San Girolamo per la chiesa di San Pietro;nel 1489 si associa al pittore Assalonne di Ottaviano61.

In assenza di qualsiasi convalida documentaria, gli studiosihanno potuto soltanto attribuirgli alcuni lavori, tra cui duesportelli (di cui uno recante sul rovescio la data del 1496) cherappresentano, su un fondo di broccato decorato con serafini,le figure di Santa Chiara e San Francesco: i due pannelli sonostati posti in rapporto (probabilmente in maniera impropria)con la tavola delle Stimmate di san Francesco, il tutto prove-niente dalla chiesa di San Francesco al Prato ed oggi conserva-to nei depositi della Galleria Nazionale del’Umbria62. Invecela Pietà tra san Girolamo e san Leonardo (datata 1469 sul bor-do inferiore), conservata in fondo alla navata sinistra di SanPietro ma proveniente dalla chiesa di San Costanzo, quadrotradizionalmente riferito a Niccolò, è di attribuzione assaiincerta, forse opera giovanile di Fiorenzo di Lorenzo, alla qua-le sicuramente guardò il Caporali per la sua Pietà del 148663.

Fig. 77Altarolo di SanLorenzo, part.

dell’anta sinistracon la figura

di san Lorenzo.

Fig. 78Altarolo di SanLorenzo, part.

dell’anta destracon la figura

di san Girolamo.

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L’anconetta del Museo Capitolare di Perugia (fig. 76)64 raf-figura nel riquadro centrale la Madonna col Bambino e sanGiovannino fra tre serafini, il tutto scolpito a pastiglia, e nelleante laterali, realizzate a tempera, San Lorenzo a sinistra e SanGirolamo a destra (figg. 77-78); sotto le lunette entro cui cam-peggiano le figure dei santi, sono dipinti, entro tondi, due stem-mi gentilizi sormontati dal cappello vescovile (figg. 79-80); lefasce “risparmiate” che delimitano i tondi e le lunette sonoripetute sulle facciate esterne degli sportelli, dove disegnanoquattro rombi che circoscrivono altrettante manopole trafora-te, rese con efficace effetto illusionistico (fig. 81-82)65.

L’opera viene riferita al Priore dallo Gnoli, che osserva unaqualche influenza di Bernardino Pintoricchio, e dal Van Marle;

Fig. 79Altarolo di SanLorenzo, part.dell’anta sinistracon lo stemma delvescovo D. Vagnucci.

Fig. 80Altarolo di SanLorenzo, part.dell’anta destracon lo stemma delvescovo G. Balbano.

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quindi il Santi propone una datazione intorno al 1480 e l’attri-buzione ad un ignoto seguace del Pintoricchio, poi conferma-ta dal Todini: quest’ultimo, infatti, parla di un pittore perugi-no con riflessi del giovane Bernardino e di Fiorenzo di Lorenzo.

Datazione, attribuzione e commissione del tabernacoloIn verità, proprio i due stemmi vescovili - sui quali è stata

fatta grossa confusione - consentono di pervenire ad una data-

Fig. 81Altarolo

di San Lorenzo(con sportelli chiusi).

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zione molto precisa del tabernacolo. Per quello dell’anta disinistra, il Todini e la Bernardini chiamano in causa il valenza-no “Antonio Lopez” che, sulla base del Crispolti, diconovescovo di Perugia dal 1495 al 1501: l’arme dello spagnolo(che in realtà si chiamava Giovanni e tenne il seggio vescoviledal dicembre del 1492 al 1498) rappresenta, come sappiamo,un lupo passante verso sinistra66. Per esso, probabilmente, èstato scambiato l’orso rampante contenuto a stento dallo scu-do “a cranio di bue” del blasone, il quale altro non è che lo

Fig. 82Altarolo di SanLorenzo, part.dell’anta sinistracon motivi geometrici.

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stemma dei Vagnucci (fig. 79), precisamente del secondo deidue prelati cortonesi, Dionisio, che fu vescovo di Perugia dal1482 sino alla morte (aprile del 1491).

Invece il blasone dell’anta di destra, che la Bernardini dicedi Iacopo Vagnucci, evidentemente confondendo e invertendoi due sportelli, è sicuramente l’arme di Girolamo Balbano daLucca (fig. 80), che resse la diocesi perugina dal 18 aprile 1491sino alla morte, avvenuta il 28 dicembre 149267. Lo stemmaera sconosciuto agli studiosi locali, poiché nei blasonari peru-gini (come il manoscritto del Bigazzini) viene sempre lasciatoin bianco, in quanto ignoto ai compilatori. Il fatto, piuttostocurioso, mi ha indotto a compiere una ricerca sulla famiglialucchese, scoprendo infine che il blasone dei Balbano consisteproprio in un campo argentato spartito obliquamente da “trebande d’azzurro caricate ciascuna di tre aquile d’oro poste nelsenso delle bande”68. Il Balbano, già segretario privato di papaInnocenzo VIII (1484-1492), ebbe uffici di rilievo nella Curiapontificia e, pertanto, restò prevalentemente a Roma, anche seciò non gli impedì di ottenere la cittadinanza perugina69; morìnella capitale qualche mese dopo la scomparsa del pontefice,venendo sepolto nella chiesa di Santa Maria del Popolo70.

Tenendo conto della concezione unitaria delle parti esegui-te a tempera (dal punto di vista stilistico e nella scelta dei moti-vi ornamentali), si può ipotizzare che l’opera, commissionatada Dionisio Vagnucci prima dell’aprile del 1491, sia stata suc-cessivamente rilevata dal Balbano e per lui completata entro ildicembre del 1492. Forse l’idea originaria prevedeva la ripeti-zione dello stemma Vagnucci su entrambe le ante, con l’orsosempre rivolto verso l’interno, esattamente come nelle vetratedella cappella di Sant’Onofrio e, probabilmente, nei plinti delgradino della pala signorelliana. È pure possibile che nell’antadi destra, in luogo del San Girolamo, fosse inizialmente con-templata un’altra figura (sant’Ercolano o san Dionigi?) e che,soltanto in un momento successivo, Girolamo Balbano avesserichiesto al pittore l’immagine del proprio santo eponimo.Dionisio, per disposizione testamentaria, potrebbe anche averlasciato una somma di denaro destinata all’esecuzione dell’ope-ra, incaricandone il Capitolo o il proprio successore: comun-que siano andate le cose, è indubbio che la “macchina” ligneasia stata dipinta in un lasso di tempo relativamente breve, sen-za una lunga interruzione, e che almeno lo sportello di destrasia stato terminato solo dopo la morte del cortonese.

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La corretta datazione del 1491-1492 permette ora di isti-tuire un confronto diretto con le due ante, di poco posteriori(1496), conservate nella Galleria Nazionale dell’Umbria, for-nendo nuovi elementi a chi voglia definire l’autografia deidipinti tradizionalmente attribuiti a Niccolò del Priore. Ineffetti, l’anconetta della cattedrale presenta molti aspetti incomune con l’ipotetico tabernacolo proveniente da SanFrancesco al Prato (anche se, come già detto, il quadro delleStimmate di san Francesco non è probabilmente pertinente aidue sportelli, pur condividendone provenienza, misure emomento stilistico): un quadro centrale delimitato da unacornice pressoché identica e affiancato da due ante di parialtezza, dipinte sul lato interno con figure e decorate all’ester-no con specchi a finto marmo. Gli sportelli del MuseoCapitolare presentano queste decorazioni marmoree anchesulle facce interne; inoltre il motivo dei tondi inscritti in fascerettangolari (gli stemmi) compare identico nelle sei tavolette(già formanti la predella di un tabernacolo) con Cristo morto ecinque santi, altra opera della Galleria Nazionale assegnata alPriore71. Questi sembra dimostrare una certa dimestichezza siacon la carpenteria degli altaroli in legno, sia con l’ornamenta-zione a finto marmo, conoscenze forse maturate nella bottegadel padre, che aveva esercitato l’arte della pietra e del legname.

Per quanto riguarda la scelta del pittore, un tramite fu forserappresentato dall’ambiente della legatoria dei codici miniati,nell’ambito del quale l’attività di Niccolò è documentata sin dal1476. A questo proposito, si noti che il pittore condivide conPierantonio di Niccolò del Pocciolo, miniatore reclutato dal pri-mo dei Vagnucci, una stessa cultura figurativa, che ruota intornoai nomi di Boccati, Bonfigli, Caporali e il cosiddetto “Maestrodella Pietà di San Costanzo”, anche se il Todini, accogliendo isuggerimenti dello Gnoli e del Santi, chiama in causa Fiorenzodi Lorenzo e il Pintoricchio: in effetti, nelle figure di entrambi itabernacoli, l’assenza di certe “durezze” tipiche di quei primi pit-tori, la pienezza dei volti, nonché la dolcezza o l’intensità delleespressioni, portano nella direzione di un pittore ben più tardo,maturo e raffinato quale il Pintoricchio: basti confrontare la figu-ra di San Girolamo con quella dipinta da Bernardino nella Paladi Santa Maria dei Fossi (Galleria Nazionale dell’Umbria), operacoeva ai due altaroli (1495-1496).

Per quanto concerne invece il gruppo scultoreo, questo èstato riferito ad uno sconosciuto scultore perugino della

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seconda metà del XV secolo, fornito di buona conoscenza del-la plastica fiorentina: il Todini parla di un prototipo diBenedetto da Maiano, altri studiosi chiamano in causa le ter-recotte invetriate di Luca Della Robbia72.

Il crocifisso d’argento della sacrestiaIl nostro tabernacolo, sicuramente pertinente alla cattedra-

le (data la presenza di San Lorenzo), proviene dalla cappellinadella sacrestia (n. 35)73, ma non è possibile capire come vi siagiunto e dove fosse inizialmente collocato. In sacrestia si tro-vava un’altra opera riconducibile al mecenatismo artistico deiVagnucci e tale da confermarne la predilezione per gli oggettid’oreficeria (soprattutto se destinati a contenere reliquie sacre):si trattava di una grande croce in argento, con la figura a rilie-vo del Crocifisso. Il fatto è testimoniato implicitamente dallaVita di Iacopo, nella quale, a proposito delle “Memorie che findi presente [1594] si vedono in Perugia del vescovo de’Vagnucci”, si dice74:

Di più nella sagrestia di detta chiesa [= cattedrale] si vede unabella et assai gran croce d’argento con il Crocifisso.

La notizia trova una preziosa conferma nella seconda visitapastorale di Fulvio Della Corgna (1568), quando, al terminedel consueto giro degli altari, il vescovo entra in sacrestia,all’epoca in piena fase di ristrutturazione. Poiché molti degliarredi sacri colà inventariati erano stati ceduti al monastero diSan Pietro, il giorno seguente Fulvio fece redigere un nuovocatalogo, dando poi una serie di disposizioni sugli arredi stes-si, riportate dal cancelliere in volgare: tra queste, anche che “siracconci la croce del vescovo di Cortona n. 1”, evidentementebisognosa di pulitura75. Esiste un solo luogo in cui cercarequesta croce, il Museo della Cattedrale, dove però le unicheargenterie conservate del XV secolo sono una testa diSant’Ercolano e un turibolo76.

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NOTE

1 LUNGHI 1994, p. 39.2 SCARPELLINI 1992, p. 580.3 Ivi, p. 579.4 Il pittore, riferendosi all’altare della Madonna del Verde, scrive: “Un

impaccio architettonico sono questa sorta di altari, e di questo, e di altri n’èquesta chiesa fornita. Discordano coll’architettura della medesima, e non dan-no che idea di piccolo” (ORSINI 1784, p. 114).

5 MAGLIANI 1992, p. 303.6 Si fornisce di seguito la bibliografia relativa all’opera: CRISPOLTI iunior

1648, pp. 71, 269 e 318; GALASSI 1776, pp. 47-48; SIEPI 1822, p. 102;ROTELLI 1864a, p. 27; ROSSI SCOTTI 1878, p. 32; SCHUBRING [1903], pp. 7-10; VENTURI 1908, p. 479; GURRIERI 1961, p. 19; BAGLIONI 1964, p. 52;GABRIJELCIC 1992, pp. 527-528; MAGLIANI 1992, pp. 296-298 e 306-308;MUNMAN 1992, pp. 228-231 e figg. 182-186; GENTILINI 1993, p. 528;LUNGHI 1994, pp. 39 e 80-81.

7 Il GABRIJELCIC (1992, p. 528), riferendosi alle prime VisitationesComitoli (1592), sostiene che la tomba si trovasse subito dopo la cappella delSant’Anello (cioè al n. 13); ma il registro non la cita affatto e, dopo averdescritto la cappella, passa subito a parlare dell’altare della Pietà di Agostinodi Duccio (ADP, ms. 10, c. 40r). Tra l’altro, nel 1451 questa zona della catte-drale era in piena fase di costruzione, ed è quindi improbabile che il monu-mento venisse qui collocato.

8 ADP, Visitationes Della Corgna (1564, 1568), ms. 1, cc. 19r e 433v.9 CRISPOLTI iunior 1648, p. 71; GALASSI 1776, p. 47; SIEPI 1822, p. 102;

ROTELLI 1864a, p. 4. Non è stato possibile rinvenire il disegno dell’Amadei cita-to dalla MAGLIANI (1992, p. 296 e nota 7), conservato in qualche deposito del-la cattedrale, ma riprodotto da una fotografia esposta nel Museo Capitolare.

10 Questo spostamento è testimoniato da una nota di commento alla descri-zione di San Lorenzo del Siepi (estratta dal suo testo del 1822): BAP, ms. 3293(seconda metà del XIX secolo), p. 39 della trascrizione dal Siepi, nota (b).

11 È probabile, infatti, che l’artefice (identificato, come si dirà, con undiscepolo fiorentino di Donatello) abbia preso a modello il monumento fune-rario di Baldassarre Coscia nel battistero di Firenze, realizzato da Michelozzoe Donatello intorno al 1427: in esso le mensole poggiano sul blocco delleVirtù e sostengono il sarcofago corredato d’iscrizione, sul quale è adagiata l’ef-figie del defunto. Rispetto alla situazione attuale, nel disegno di Ramboux leVirtù presentano una successione diversa, mentre si nota l’inversione tra i put-ti reggi-stemma e i vasi, quest’ultimi all’esterno e non all’interno del sarcofa-go (cf. MUNMAN 1992, pp. 229-231).

12 MAGLIANI 1992, p. 296.13 SCHUBRING [1903], pp. 7-10; VENTURI 1908, p. 479; MAGLIANI 1992,

p. 297; GENTILINI 1993, p. 528.14 SCHUBRING [1903], pp. 5-7 e 20.15 Dalla Vita, infatti, sembrerebbe di capire che il Vagnucci, tornando a

Roma, avesse lasciato a Cortona il vessillo gentilizio tenuto alla porta del suopalazzo bolognese (BAEC, Vita del vescovo…, p. 67).

16 GENTILINI 1993, pp. 528-529. Lo studioso ipotizza che i contatti delVagnucci con Urbano possano risalire già al periodo del suo vescovato rimine-

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se (1448-1449), quando lavorava in città Agostino di Duccio, la cui operapresenta molte affinità con quella dello scultore cortonese.

17 SCHUBRING [1903], pp. 3-4.18 Ivi, p. 20; MAGLIANI 1992, pp. 297-298.19 Sulla perduta statua di Paolo II, cf., oltre alla mia tesi di laurea (pp. 150-

153), la seguente bibliografia: VASARI [1568], p. 405; CRISPOLTI iunior 1648,pp. 59-60; GALASSI 1776, pp. 15-19; ORSINI 1784, p. 107; MARIOTTI 1788,pp. 113-114; SIEPI, 1822 pp. 49-50; ROTELLI 1864a, p. 47; ROSSI 1874, pp.81-91; GURRIERI 1961, p. 17; CESSI 1965, p. 589; SCERNI 1969, p. 8;MAGLIANI 1992, p. 298; SCARPELLINI 1992, p. 580; LUNGHI 1994, pp. 38-39e 72; KRAHN 2001, pp. 64-65.

20 CUCCINI 1990. Lo studioso è tra coloro che propongono di spostare ladata di morte dello scultore a dopo il 1484-1485, poiché la tomba (nel duo-mo di Amelia) del vescovo Ruggero Mandosi, morto in quegli anni, potrebbeessere opera autografa di Agostino (ivi, pp. 31 e 44-45, nota 70).

21 In quell’anno monna Lorenza, madre di Agostino, implora indulgenzaper il figlio, che sappiamo bandito da Firenze e rifugiato a Venezia; tuttaviagià nel 1442 lo scopriamo a Modena, dove scolpisce per il duomo la fronted’altare con quattro Storie di san Gimignano: la lastra, firmata e datata, oggi èmurata all’esterno della cattedrale (ROSSI 1875, pp. 5-6).

22 Sul Tempio Malatestiano di Rimini, cf. RICCI 1925; ZANOLI 1967, pp.57-84.

23 ROSSI 1875, p. 16. Per tutto l’iter documentario dei soggiorni peruginidi Agostino, resta ancora fondamentale ed attuale il Prospetto cronologico diAdamo Rossi, cui spetta il grande merito di aver fatto “emergere” una vicen-da fino ad allora completamente oscura.

24 MERCURELLI SALARI 1996, pp. 138-140.25 A questo è dedicata la monografia di COMMODI 1996. Cf. anche

ZANOLI 1967, pp. 169-196; MERCURELLI SALARI 1996, pp. 140-143. I docu-menti relativi alla facciata sono in ROSSI 1875, pp. 11-25 e 33-50.

26 Per una bibliografia sull’altare di San Lorenzo, cf. COMMODI 1996, pp.42-43, nota 137; per i documenti, cf. ROSSI 1875, pp. 76-83. L’opera vennerealizzata per gli eredi di Lorenzo di Giovanni di Petruccio dei Belli (sullafamiglia, cf. GROHMANN 1981, pp. 452-453).

27 Già ritenuto un ritratto del beato Bernardino da Feltre dipinto dalPintoricchio, è stato assegnato alla stretta cerchia del Bonfigli dal LUNGHI(1994, pp. 40 e 108) e, successivamente, considerato dallo stesso studiosoopera autografa del pittore (IDEM 1996, p. 46).

28 I documenti relativi a questo altare sono pubblicati dal ROSSI (1875,pp. 203-211). La bibliografia è assai scarsa, essendo il monumento completa-mente perduto: LUNGHI 1994, pp. 39-40 e 81-83; MERCURELLI SALARI 1996,p. 146, nota 9; COMMODI 1996, p. 45 e nota 145; TEZA 2004, pp. 250-259.

29 Sul decennio 1462-1472 dello scultore, cf. COMMODI 1996, pp. 43-44.30 Nel Museo della Cattedrale, alcuni frammenti di fregio formanti un

arcone, decorati con un motivo a treccia e recanti tracce di doratura, potreb-bero appartenere all’altare quattrocentesco di San Bernardino (BERNARDINI1991, pp. 296-297). Ma potrebbero anche provenire dal successivo altare delSant’Anello, rappresentato con un arcone assai simile in un’incisione pubbli-cata da Felice CIATTI nel 1637 (cf. TEZA 2004, p. 257): in tal caso, il mono-gramma bernardiniano, scolpito in corrispondenza della chiave di volta, nonsi riferirebbe al titolo della cappella di San Bernardino, ma al ruolo svolto

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dagli Osservanti nella fondazione di quella dedicata al Sant’Anello(CARACCIOLO 2005c, pp. 74 e 82, nota 69).

31 TEZA 2004, pp. 247-305.32 ORSINI 1784, p. 313 e nota (a). La letteratura relativa alle tavolette è

molto ampia (cf. MANCINI 1992a, p. 136; MERCURELLI SALARI 2004, p. 184):alla GARIBALDI (1995, pp. 25-51) spetta il punto sulla complessa vicenda rico-struttiva della Nicchia di San Bernardino.

33 MANCINI 1992a, pp. 75-76 e 109-110.34 In effetti, nel documento del 23 maggio 1475, l’ambiguità del notaio

non ci permette di capire se Agostino sia il “cottimatarius”, cioè l’artefice dellavoro, oppure il semplice estimatore o, in qualche modo, il titolare legale diuna commissione affidata, in fase di concreta realizzazione, a vari “magistriperiti in arte” (ROSSI 1875, pp. 210-211; TEZA 2004, pp. 253-256).

35 La Teza coglie nelle parole dell’Orsini relative al “quadro” di Bonfigli(“vien citato dal Vasari, ma è dipinto in tela, e non in tavola”) un “imbarazzodi fondo” del pittore-scrittore, che non riuscirebbe ad armonizzare bene i datiin suo possesso: tuttavia l’espressione potrebbe semplicemente indicare l’usonon-processionale del cosiddetto Gonfalone di San Bernardino del 1465, rea-lizzato su un supporto diverso da quello delle tavolette.

36 Probabilmente molto simile a quella di Corciano e forse coincidentecon quel San Bernardino che, attestato nella cappella del duomo, ha lasciatotracce di sé fino al ’700. Sul San Bernardino di Corciano, cf. MERCURELLISALARI 1996, pp. 158-159.

37 LUNGHI 1992, p. 261; MERCURELLI SALARI 1996, pp. 144-145; EADEM2004, p. 184.

38 Sull’altare della Pietà, cf. CUCCINI 1990, pp. 28-29 e 42-43, nota 62;MAGLIANI 1992, pp. 299-300 e 310; LUNGHI 1994, pp. 40-42 e 100-101;COMMODI 1996, p. 45 e nota 143; MERCURELLI SALARI 2000, pp. 173-188.I documenti relativi all’opera sono in ROSSI 1875, pp. 117-122.

39 ADP, Visitationes Della Corgna (1564, 1568), ms. 1, cc. 19rv e 434v.L’altare di San Matteo fu demolito nel 1587, in quanto troppo modesto, e iltitolo venne trasferito alla cappella del Crocifisso (SIEPI 1822, p. 102;GABRIJELCIC 1992, p. 530).

40 I documenti sono in ROSSI 1875, pp. 241-249 e 263-275.41 Per i documenti, ivi, pp. 141-152 e 179-184.42 Per la bibliografia di queste tre opere, cf. COMMODI 1996, p. 45, note

144-147.43 ROSSI 1875, p. 10.44 Per la bibliografia di questi monumenti, cf. COMMODI 1996, p. 46, note

148-149. La tomba dei coniugi Geraldini in San Francesco (1477) si trova nel-la cappella omonima (intitolata a sant’Antonio Abate), fatta costruire daGiovanni Geraldini e terminata nel 1476: a quest’anno risale il sepolcro delvescovo Giovanni, successivamente trasferito in cattedrale, per poi essere sman-tellato e nuovamente murato in prossimità del fonte battesimale, nella primacappella a sinistra. Di fronte a questa, sul lato opposto del duomo, si trova lacappella della famiglia Mandosi, con la lastra tombale del vescovo Ruggero(1484-1485), probabilmente rimasta incompiuta per la morte di Agostino.

45 Su questo altare, per il quale Bartolomeo Caporali fu chiamato nellostesso giorno (12 agosto) a dipingere delle tavole (probabilmente la Pietà diSan Martino in Colle e gli Angeli con strumenti della passione della GalleriaNazionale dell’Umbria), cf., oltre alla mia tesi di laurea (pp. 162-165), i

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seguenti contributi: BERNARDINI 1991, pp. 5-8 (e bibliografia precedente);EADEM 1992, pp. 543-544 e 554; GABRIJELCIC 1992, p. 526; MAGLIANI 1992,p. 301, nota 29; LUNGHI 1994, pp. 42 e 85; TEZA 2004, pp. 254-255.

46 GAMS 1873, pp. 662, 874 e 921; EUBEL 1913, pp. 86, 121 e 243. Lafamiglia Geraldini, appartenente alla nobiltà di Amelia, fu molto vicina (nonsolo geograficamente) all’ambiente politico-culturale romano, in particolare aidue papi Borgia (Callisto III e Alessandro VI) e a Sisto IV, il quale, grazie adessa, arruolò il pittore Pier Matteo d’Amelia per la volta stellata della cappel-la Sistina (cf. FREZZA FEDERICI 1989, pp. 453-457).

47 Cf. MARIOTTI 1788, p. 112; SIEPI 1822, pp. 289-290; VERMIGLIOLI1829, tomo II, pp. 204-205, nota 3. Utili considerazioni possono emergeredal confronto con la pietra tombale del vescovo Ruggero Mandosi ad Ameliae con quella di frate Angelo del Toscano nell’oratorio di San Bernardino aPerugia.

48 Sul messale ms. 10, cf. la seguente bibliografia: BELLUCCI 1892, p. 176,n. 25; CATALOGO 1907, p. 132, n. 45; CERNICCHI 1911, p. 118, n. 25;CATALOGO 1923, n. 25; MUZZIOLI 1954, p. 420, n. 673; DIRINGER 1958, p.353; CALECA 1969, pp. 107-110, 187-190, 230 e 369-374 (figg. 604-626);HARRSEN-BOYCE 1953, p. 42, nota 15; SCARPELLINI 1975, pp. 682-683;LUNGHI 1984, pp. 162 e 170; SILVI ANTONINI 1987, pp. 39-40; LUNGHI1987, pp. 20 e 34; TODINI 1989, tomo I, p. 283, tomo II, p. 367; LUNGHI1992, pp. 259-261 e 274-276; SANTANTONI MENICHELLI 1999, pp. 32 e 165.

49 Il codice è minutamente descritto in CALECA 1969, pp. 187-190.50 Cf. MERCURELLI SALARI 1996, pp. 191-193.51 ASP, ASCP, Riformanze, n. 110 (1474), c. 58r. Sulla miniatura in que-

stione, cf. LUNGHI 1987, pp. 18-20.52 GNOLI 1923, pp. 238-239.53 Nel Catalogo l’opera non può essere la n. 29 a p. 130, come riportato

in tutte le bibliografie, ma deve essere la n. 45 a p. 132, dove però si dice cheil codice appartiene all’abbazia di San Pietro.

54 CALECA 1969, pp. 108-110.55 ASP, Notarile, Bastardelli, cc. non inventariate, settembre 1474.56 Sul coro di San Lorenzo, cf., oltre alla mia tesi di laurea (pp. 170-175),

la seguente bibliografia: BAP, Lancellotti, Scorta sagra…, tomo II, c. 290vb;GALASSI 1776, p. 34; ORSINI 1784, p. 119; SIEPI 1822, p. 90; ROTELLI 1864a,p. 34; ROSSI 1872, pp. 97-106; GURRIERI 1961, pp. 28-29; FERRETTI 1982,pp. 526-527; ACIDINI LUCHINAT 1984, pp. 57-58; TRIONFI HONORATI 1992,pp. 279-281; GABRIJELCIC 1992, p. 534; LUNGHI 1994, pp. 47-48 e 97-98.

57 VASARI [1568], p. 530; CRISPOLTI iunior 1648, p. 69 (“fu il corpo diquesto glorioso martire [...] trasferito dall’altare vecchio di rimpetto al perga-mo all’altare che hora è sotto la tribuna”); BAP, Lancellotti, Scorta sagra…,tomo II, c. 290vb (“il coro che stava prima nel mezzo della detta nave allamonastica [...] fu trasportato dove hoggi il vediamo nel 1524”).

58 Nel 1481 Giuliano si trovava ad Urbino, mentre intorno al 1485 si tra-sferì a Napoli, chiamato da Ferdinando d’Aragona per costruire la portaCapuana e la villa di Poggio Reale. Nel libro contabile del duomo, all’anno1489, Giuliano è ricordato come debitore, mentre Domenico Del Tasso rice-ve delle somme destinate all’acquisto di legname, colla e cera (ASP, ASCP,Fabbrica di San Lorenzo, reg. 6, c. 78rv).

59 BAEC, Vita del vescovo…, p. 70.60 CRISPOLTI iunior 1648, pp. 31-32.

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61 Cf. BRIGANTI 1911, pp. 62-67; GNOLI 1923, pp. 217-218.62 GUARDABASSI 1872, p. 221; VAN MARLE 1933, pp. 149-150; SANTI

1985, p. 83; TODINI 1989, tomo I, p. 247, tomo II, p. 576.63 Per una rassegna sul dipinto, cf. MANCINI 1992a, p. 145.64 Si fornisce di seguito la bibliografia relativa al tabernacolo: CATALOGO

1907, p. 55, n. 13; GNOLI 1908, p. 49; IDEM 1923, p. 218; CATALOGO 1923,n. 14; VAN MARLE 1933, pp. 150-151; SANTI 1950, p. 42; GURRIERI 1961,pp. 38-40; TODINI 1989, tomo I, p. 372; BERNARDINI 1991, pp. 20-21;EADEM 1992, p. 541; LUNGHI 1994, p. 117.

65 Si noti qui come il campo circolare, incavato a forma di patera, sia mol-to simile a quello su cui si staglia lo stemma Vagnucci nel frontespizio del mes-sale ms. 10 (fig. 69).

66 Cf. cap. I, nota 105.67 UGHELLI [1644], tomo I, col. 1164; GAMS 1873, p. 714; EUBEL 1913,

p. 214.68 DI CROLLALANZA 1887-1890, vol. I, p. 80. L’assenza di tre delle nove

aquile dorate è giustificata dalla scelta del pittore di adottare per gli stemmi loscudo “a cranio di bue” al posto di quello tradizionale (“gotico” o “a mandor-la”); l’argento dello sfondo si è annerito per ossidazione.

69 ASP, ASCP, Riformanze, n. 121 (1491-1492), c. 33.70 Su questo personaggio, cf. MIANI 1963, pp. 354-355.71 Cf. SANTI 1985, p. 84.72 TODINI 1989, tomo I, p. 372.73 CATALOGO 1907, p. 55, n. 13.74 BAEC, Vita del vescovo…, p. 71.75 ADP, Visitationes Della Corgna (1568), ms. 1, cc. 435v-436r.76 BERNARDINI 1991, pp. 116-117 e 180-181. Si noti che, tra gli argenti

del XVII secolo, il museo possiede un Reliquiario ad ostensorio di Sant’Onofrio,certamente appartenuto alla confraternita del Pilo, come dimostrano lo stem-ma e l’iscrizione (ivi, pp. 190-191).

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Capitolo IV

Il culto delle sacre reliquie

1. Il Reliquiario Vagnucci di Cortona (1457-1458)

2. La donazione del reliquiario alla città (1458)

3. Il Reliquiario dei Serviti di Cortona (1483)

4. Il Sant’Anello di Perugia (1473-1488)

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203

IntroduzioneFerdinando Ughelli, nella Vita di Iacopo Vagnucci, afferma

che “hic presul [...] in cortonensem Ecclesiam, ubi fueratnatus, multa contulit ornamenta”1: lo scrittore si riferisce cer-tamente ai due preziosi reliquiari commissionati e regalati allacittà dall’illustre cortonese. Il primo, il cosiddetto ReliquiarioVagnucci (1457-1458), è custodito nella sala n. 7 del MuseoDiocesano di Cortona (ex-chiesa del Gesù), situato propriodinanzi alla facciata del duomo cittadino, cui la teca fu dona-ta nel 1458; l’altro, purtroppo perduto, venne offerto allachiesa dei padri Servi di Maria nel 1483, dunque lo stessoanno in cui il Vagnucci incaricava il concittadino LucaSignorelli di dipingere la pala per il duomo di Perugia.

Un filo conduttore lega quest’ultima ai due reliquiari: parlan-do delle Storie della Vergine ricamate sulla stola del vescovo leg-gente, in cui è possibile riconoscere un ritratto del Vagnucci, si èdetto che Iacopo, stando ancora alla testimonianza dell’Ughelli,nutrì sempre una forte venerazione per la figura della Madonna:a Lei è intitolato il duomo di Cortona, che all’epoca della dona-zione era ancora noto come pieve di Santa Maria, venendovi lacattedra episcopale trasferita solo nel 1508; a Lei apparterrebbela ciocca di capelli custodita nel perduto reliquiario del 1483,destinato, ancora una volta, ad insignire un luogo-simbolo delculto alla Vergine, la chiesa di Santa Maria dei Servi.

Si noti, tra l’altro, che questo culto rappresenta una caratteristi-ca peculiare del pontificato di Sisto IV, personaggio che, comeabbiamo visto, appare legato in più modi al cortonese: tra gli scrit-ti teologico-filosofici attribuiti al Della Rovere e, in gran parte, risa-lenti al periodo precedente la sua elevazione al soglio pontificio,ampio spazio è concesso alla figura di Maria; inoltre il papa inter-venne direttamente nella costruzione o nel restauro di diversi tem-pli dedicati alla Vergine, tra cui la cappella della Concezione inVaticano (consacrata all’Immacolata l’8 dicembre 1479) e la cele-bre cappella Sistina (consacrata all’Assunta il 15 agosto 1483)2.

Alla venerazione di Iacopo per le reliquie e per la figura dellaMadonna non sembra estraneo anche il coinvolgimento del vesco-vo perugino nella delicata vicenda del Sant’Anello nuziale dellaVergine (1473), aspramente conteso tra Perugia e Chiusi, episodioche, grazie alla complicità decisiva del papa, si concluse definitiva-mente con la collocazione della presunta “reliquia”3 in una cappel-la appositamente costruita nel duomo di Perugia (1488).

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1. Il Reliquiario Vagnucci di Cortona (1457-1458)

Studi precedentiQuanto oggi sappiamo sul reliquiario di Cortona (figg. 83-

84) è in gran parte dovuto alla straordinaria erudizione diGirolamo Mancini che, negli anni 1897-1909, tornò più vol-te sull’argomento: da qui muove il mirabile saggio di MarcoCollareta (1987), il più sistematico degli studi dedicati al

Fig. 83Giusto da Firenze,

Reliquiario Vagnucci(recto), 1457-1458.

Cortona,Museo Diocesano

del Capitolo.

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manufatto, del quale fornisce interessanti proposte di lettura4.L’analisi del reliquiario coinvolge fondamentalmente un dop-pio ambito d’indagine: l’uno relativo alla storia e all’iconogra-fia del manufatto, l’altro riguardante la sua realizzazione e lesue qualità artistiche e stilistiche. Il primo aspetto, quello chepiù ci interessa, concerne il committente e il pubblico al qua-le egli si rivolge attraverso i “messaggi” veicolati dall’oggetto; ilsecondo, quello maggiormente problematico, riguarda la

Fig. 84Reliquiario Vagnucci(verso).

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nebulosa figura dell’orefice, quel Giusto da Firenze il cui “mar-chio di fabbrica” (OP[US] GUSTO DE FL[OREN]TIA) è impressosulla testa del perno in bronzo che tiene insieme la montaturadel manufatto (fig. 85)5.

Fig. 85Riproduzione grafica

della firma dell’orefice,pubblicata da G.

Mancini nel 1909.

Grafico 5Schema delprogramma

iconografico delReliquiario Vagnucci.

LATO POSTERIORE

Crocifisso

Statuette Gregorio III CHIUDENDA Niccolò V

orso orso orso orso

Tempietto S. Margheritadi Cortona

ImagoPietatis

Leonedi Cortona

orso orso

Piede S. Onofrio

LATO ANTERIORE

Crocifisso

Statuette Niccolò V RELIQUIA Gregorio III

orso orso orso orso

Tempietto S. MicheleArcangelo

Madonnacol Bambino

S. OnofrioEremita

orso orso

Piede S. Iacopo

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Le iscrizioniNon si può non partire da un esame del cospicuo corredo

di iscrizioni latine che, eseguite a niello in moderni carattericapitali, risultano come pronunciate dai tre personaggi cheruotano intorno alla storia della reliquia e del “tabernacolo”destinato a contenerla: due di essi sono anche effigiati nellestatuette laterali del “candelabro”6.

Iacopo Vagnucci:+ HEC EST PARS || SACRE VESTIS D[OMI]NI || N[OST]RI YH[S]UXP[IST]I P[ER] CUIUS || TACTU[M] LIBERATA EST MU || LIER AFLUXU SANGUIN || IS ET QUOMO[DO] P[ER]VENIT || AD MANUSMEAS IACOBI || EP[ISCOP]I P[ER]USINI IN [H]OC OPE || RE APPARETL[ITTE]RIS GR || ECIS ET LATINIS

[Questo è un frammento della sacra tunica del SignoreNostro Gesù Cristo, toccando la quale la donna fu guarita dalflusso sanguigno; e in quale modo esso pervenne nelle manidel sottoscritto, Iacopo vescovo di Perugia, appare in questomanufatto, scritto in caratteri greci e latini.]

L’iscrizione, conchiusa in basso dallo stemma vescovile delVagnucci, si trova sulla chiudenda posteriore (in argento) del-la teca a forma di mandorla che contiene la reliquia (figg. 86-88). Il ritrovamento della chiave del reliquiario, in occasione

Fig. 86Reliquiario Vagnucci,part. con il rectodella “mandorla”.

Fig. 87Reliquiario Vagnucci,part. con il versodella “mandorla”.

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della campagna fotografica del 1987, ha permesso di verifica-re che l’epigrafe in greco si trova sulla faccia interna del mede-simo sportellino; nella stessa circostanza, si è potuto constata-re che l’encolpio d’oro (reliquario a forma di medaglione daportare al collo), nel quale la reliquia è direttamente racchiu-sa, è decorato sul retro con una minuta rappresentazione delMiracolo della guarigione dell’emorroissa (figg. 89-90), motivoiconografico di tradizione assai scarsa e, per questo, tanto piùimportante. L’encolpio è sostenuto dal perno in bronzo della

Fig. 88Reliquiario Vagnucci,

part. del versodella “mandorla”

con lo sportellino el’iscrizione dedicatoria.

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Fig. 89Reliquiario Vagnucci,l’encolpio sostenutodal perno in bronzodella montatura.

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montatura e lascia intravedere la reliquia anteriormente,attraverso il cristallo di rocca molato incastonato nella “man-dorla” (fig. 86).

Patriarca Gregorio:+ HEC E[ST] PARS SACRE VESTIS D[OMI]NI N[OST]RI YH[S]UXP[IST]I QUAM DIVO NICOLAO V° SUM[M]O || PONTIFICI EGOG[RE]GOR[IUS] PAT[R]IARCHA EX CONSTANTINOPOLI DONOTRADUXI

Fig. 90Reliquiario Vagnucci,il verso dell’encolpio

decorato con la scenadella Guarigionedell’emorroissa.

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[Questo è un frammento della sacra tunica del SignoreNostro Gesù Cristo, che io, Gregorio patriarca diCostantinopoli, portai in dono a Sua Santità Niccolò V, som-mo pontefice.]

Papa Niccolò:+ HEC E[ST] PARS SACRE VESTIS P[RE]D[I]C[T]E Q[UE] NOB[IS]P[ER] PATRIARCHA[M] CONSTANTINOPOLITANU[M] || LARGITAE[ST] IP[S]AMQ[UE] DONO DEDIM[US] IA[COBO] EP[ISCOP]OP[ER]USINO VICECAMER[ARI]O AC THESAURAR[I]O N[OST]RO

[Questo è un frammento della sacra tunica suddetta, che ci èstato donato dal patriarca di Costantinopoli; e lo stesso dem-mo in dono a Iacopo, vescovo perugino, vicecamerlengo etesoriere nostro.]

D[OMI]NE IH[S]U || XP[IST]E PHILI || DEI VIVI || P[ER] CRUCEM|| ET PASSION || EM TUAM || LIBERATI || SUMUS || QUIA TU ES ||SALVATOR || MUNDI MI || SERERE N || OBIS || D[OMI]NE LABIA ||MEA APERI || ES ET HOS

[Signore Gesù Cristo, figlio del Dio vivente, per mezzo dellatua croce e passione noi siamo liberati, poiché tu sei ilSalvatore del mondo; abbi pietà di noi; Signore, apri le mielabbra e la mia bocca.]

Fig. 91Reliquiario Vagnucci,part. con la statuettadel PonteficeNiccolò V.

Fig. 92Reliquiario Vagnucci,part. con la statuettadel PatriarcaGregorio III.

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Le prime due iscrizioni si trovano sotto le statuette corri-spondenti, agli estremi del “candelabro” (figg. 91-92); la terzascritta, invece, compare sul libro che il Pontefice tiene aperto nel-la mano sinistra, mentre con la destra benedice (figg. 93-94).

Iacopo Vagnucci:+ EGO IACOB[US] EP[ISCOP]US P[ER]USINUS HOC TABERNACU-LUM FECI FIERI AD HONOREM HUIUS SACRE VESTIS PREDIC[T]EDIE X SEPTE[M]BR[IS] MCCCCLVII

[Io, Iacopo vescovo perugino, feci realizzare questo reliquia-rio in onore della sacra veste suddetta il giorno 10 settembre1457.]

L’epigrafe compare alla base del tempietto esagonale chesorregge la teca (fig. 95), chiudendo la narrazione che lo stes-so committente ha introdotto sullo sportellino posteriore del-la “mandorla”.

Storia della reliquia e suoi protagonistiGrazie a questo ricco corpus di iscrizioni, veniamo a sapere

che Gregorio Mammas, un alto prelato ortodosso convertito-si alla Chiesa latina e divenuto nel 1443 patriarca cattolico diCostantinopoli, aveva donato a papa Niccolò V (TommasoParentucelli) un frammento della veste indossata da Cristoquando venne toccato dall’emorroissa7. Gregorio, in qualitàdi protosyncellus del patriarca greco di Costantinopoli e di

Figg. 93-94Reliquiario Vagnucci,

particolaridella statuettadel Pontefice

Niccolò V.

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confessore dell’imperatore bizantinoGiovanni VIII, aveva partecipato alConcilio di Ferrara-Firenze (1438-1439), diventando uno dei più fer-venti “unionisti” di parte greca e sot-toscrivendo la bolla del 6 luglio1439, con la quale veniva sancital’unione tra le due Chiese. Passatoalla Chiesa cattolica ed essendosischierato contro il mancato rispettodelle clausole conciliari, fu costrettonell’agosto del 1451 ad abbandonarela propria sede vescovile, trovandorifugio a Roma presso Niccolò V,che lo dotò di una pensione8: proba-bilmente è in questa circostanza cheGregorio, in segno di riconoscenza,fece dono al pontefice della reliquiache, racchiusa in un encolpio secon-do l’uso orientale, aveva portato consé da Costantinopoli.

I due “attori” principali dellavicenda, effigiati nelle statuette latera-li del reliquiario, sono collocati in unrapporto reciproco che è tale da sot-tolineare la preminenza del papa sul patriarca, quindi dellaChiesa occidentale su quella orientale, come sancito dalla bol-la di unione emanata dal Concilio di Firenze, sottoscritta daGregorio e pubblicata dal Parentucelli9: il Papa, rappresentatosecondo l’iconografia usuale per san Gregorio Magno, si trovaalla destra del Cristo (fig. 97), al quale rivolge l’invocazionescritta sul libro aperto; viceversa il Patriarca, effigiato come unodei tanti santi vescovi, regge un libro chiuso, particolare allusi-vo alla fedeltà di costui verso il magistero papale10.

Il Collareta ha inoltre notato che il complesso delle statuette,con il Cristo portacroce in alto e i due personaggi laterali che adesso alzano la testa, ripropone l’iconografia familiare dellaCrocifissione, dove la sequenza di lettura “Cristo-Madonna-sanGiovanni” (guidata da un vero e proprio automatismo dell’osser-vatore) corrisponde a quella “Cristo-Papa-Patriarca” del reliquia-rio: nello stesso ordine gerarchico le tre statuette sono enumera-te nel documento di donazione del 1458 (cf. par. 2)11.

Fig. 95Reliquiario Vagnucci,part. con il tempiettoesagonale.

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Fatto straordinario per l’oreficeria, la statuetta di Niccolò V(fig. 96) offre un ritratto fisionomico del papa estremamenteveritiero: chi all’epoca fosse dotato di buona cultura potevariconoscerlo facilmente, grazie alla circolazione dell’immaginedel pontefice promossa dalle cosiddette “medaglie-ritratto”. Ilrealismo di questa effigie risulta con evidenza se messa a con-fronto con l’immagine proposta dal monumento funerario delParentucelli nelle Grotte Vaticane e con quella dipintadall’Angelico nella cappella Niccolina (sotto le sembianze dipapa Sisto II)12. La verosimiglianza travalica certe caratteristi-che fisiche, coinvolgendo anche aspetti ben noti della persona-lità del pontefice: infatti è risaputo che Niccolò V, papa mol-to attento alla liturgia, ebbe una cura particolare per le vestisontuose e gli arredi sacri, e che il medesimo, rifondatore del-la biblioteca pontificia, predilesse i codici elegantemente rile-gati e vergati con uno stile epigrafico innovativo13.

La passione per lo splendore liturgico e la bibliofilia del papaumanista trovano interessanti riscontri proprio nella personali-tà del Vagnucci, sì da ritenere che sia stato il committente asuggerire certi particolari iconografici: basti ricordare lo sfarzo-so piviale del vescovo ritratto nella pala di Signorelli e il prezio-so messale miniato per il Vagnucci da Pierantonio di Niccolòdel Pocciolo14. Quando poi si pensi che nelle Elegantiae, di cuiLorenzo Valla reclamava la restituzione, è contenuta una vio-lenta requisitoria contro i codici scritti alla maniera gotica, non

Fig. 96Reliquiario Vagnucci,part. della statuetta

del PonteficeNiccolò V.

Fig. 97Reliquiario Vagnucci,part. della statuetta

di Cristo.

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ci stupisce constatare che i moderni caratteri capitali delle iscri-zioni niellate sul reliquario siano gli stessi della perduta epigra-fe commemorativa (“a lettere d’oro maiuscole”) che comparivanel gradino della Pala Vagnucci di Perugia15.

La commissione e il problema della statuetta del CristoIl terzo “attore” della vicenda, vale a dire il committente

Iacopo Vagnucci, non è effigiato da alcuna statuetta, ma è rap-presentato dall’immagine di san Iacopo (o san GiacomoMaggiore) nel tondo anteriore del piede. Il Vagnucci ricevettela reliquia in dono da Niccolò V, mentre si trovava a Roma alsuo servizio, precisamente tra il gennaio del 1452, quandovenne nominato vicetesoriere della Camera Apostolica, e ilmarzo successivo, allorché concluse il mandato di vicecamer-lengo (con questi due titoli, infatti, viene qualificato nelmanufatto). Per dare una degna collocazione al frammentodella sacra tunica, egli fece forgiare l’imponente gioielloall’orefice fiorentino Giusto, affidandogli la commissione il 10settembre 1457: la data niellata sul reliquiario, infatti, non siriferisce alla sua messa in opera, ma rientra a pieno titolo nel-la sfera del committente.

Come ha dottamente scritto il Collareta, questa data, nelsuo valore assoluto e ciclico, cela in sé una doppia valenza sim-bolica, allusiva al valore teologico e taumaturgico della reliquia:essa, infatti, non solo segue di poco l’istituzione della festa del-la Trasfigurazione (6 agosto 1457), ma soprattutto coincidecon la festa di San Nicola da Tolentino (10 settembre), cano-nizzato da Eugenio IV nel 1446 anche grazie alla guarigionemiracolosa di una emorroissa (la bolla fu edita solo nel giugnodel 1447, quindi sotto Niccolò V)16. Il Vagnucci, però, non fuindotto solo dalla devozione popolare per il santo agostinianoa stabilire questo nesso, perché il nome “Niccolò” appartiene atre personaggi-chiave della carriera ecclesiastica del cortonese:fra Niccolò Vagnucci (a queste date ancora vivente), certosinoe zio di Iacopo, il beato cardinale Albergati e papa Niccolò V,il quale, come sappiamo, aveva assunto questo nome proprio inonore del secondo (cf. par. I, 1). Il ritratto fisionomico del pon-tefice nella statuetta di sinistra, dunque, non lascia dubbi sulfatto che il Vagnucci volesse dedicare, soprattutto all’amico dapoco scomparso (1455), un ricordo pieno di ossequioso affet-to: del resto, il fatto che nel documento del 1458 sia del tutto

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omessa la descrizione degli smalti figurati dimostra che l’inten-zione del Vagnucci fosse quella di “pilotare” sulle statuette lalettura del messaggio veicolato dal reliquiario.

Tra l’altro, la statuetta del Cristo portacroce che corona l’og-getto (fig. 97) venne fornita all’orefice direttamente dalVagnucci: sappiamo infatti dagli antichi storici di Cortona cheil “Cristo d’oro con la croce di valuta sopra cinquecento scudid’oro di peso” gli era stato donato dal marchese di Mantova(quindi da Ludovico III Gonzaga, 1444-1478); il dato è con-fermato dalla Vita di Iacopo, nella quale, però, si chiama incausa il marchese di Ferrara (quindi Borso d’Este, 1441-1471),cui il Vagnucci aveva donato a sua volta un bellissimo cavallo17.L’ipotesi di una provenienza mantovana della statuetta, trascu-rata in tutta la successiva letteratura critica, è stata seriamenteconsiderata da Colin Eisler, il quale ha proposto alcune spiega-zioni abbastanza deboli e non sempre confortate da dati preci-si18. Tenendo conto che, di fatto, il marchesato estense facevaparte dello Stato della Chiesa, che Ferrara (città non lontana daBologna, dove il Vagnucci soggiornò più volte) ospitò il conci-lio del 1438 (al quale parteciparono sia l’Albergati che ilParentucelli e le cui finalità sono ampiamente presupposte dalnostro reliquiario) e, infine, che nel 1452 Borso d’Este venneinvestito dall’imperatore Federico III del Ducato di Modena eReggio, è molto più probabile che sia corretta la notizia ripor-tata, in maniera ben più circostanziata, dalla Vita cortonese.

In ogni caso, la cesura stilistica che separa il Cristo dalle sta-tuette laterali (fisicamente e psicologicamente forti e austere) èevidentissima, al punto che il Mancini ha ipotizzato che l’origi-nale “totus aureus” sia stato sostituito, in tempo di gravi neces-sità finanziarie (1529), con un surrogato in ottone dorato.Tuttavia Eisler ha decisamente rivalutato la statuetta, definendo-la un prezioso esempio della plastica di piccole dimensioni col-tivata in Francia nel primo quarto del XV secolo, in parallelocon la miniatura. Il Collareta ha giustamente osservato che lapreesistenza della statuetta ha condizionato sensibilmente illavoro dell’orefice, come si rileva dall’andamento della pianta diogni elemento strutturale, che in sostanza ripete quello dellabase esagonale del Cristo portacroce (ornata con i cosiddetti fio-ri ad émail en ronde bosse bianco, cioè in smalto a tutto tondo)19.

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Gli smalti del piede e del tempiettoVeniamo ora agli smalti figurati del reliquiario, racchiusi

nei quattro tondi del piede mistilineo e nei due “trittici” deltempietto esagonale che sostiene la “mandorla” contenente lareliquia. Nel piede, a parte la ripetizione dell’orso di CasaVagnucci, è eloquente la contrapposizione tra san Iacopo, epo-nimo del committente, e Onofrio, santo al quale Iacopo eradevotissimo (figg. 98-101): essa ci ricorda l’analoga contrap-posizione, fra il ritratto del Vagnucci e la figura del santo ere-mita, che verrà proposta da Signorelli nella pala di Perugia.

Nel “trittico” posteriore (figg. 102-104), l’Imago Pietatis, inrapporto con la sovrastante statuetta del Cristo portacroce, ècircondata da santa Margherita, protettrice di Cortona, e dal-lo stemma della città (un leone rampante riguardante)20. Nel“trittico” anteriore (figg. 105-107), invece, san MicheleArcangelo, contrapposto ad un altro sant’Onofrio, è stato defi-nito il “punctum dolens” del programma iconografico21.Tuttavia questa figura non sembra rappresentare un grossoproblema: prima di san Marco e di santa Margherita, infatti,il più antico protettore di Cortona era san Michele, la cuiimmagine compariva nello stemma della città, che solo in unsecondo momento ha assunto il leone di san Marco22; la rap-presentazione del santo ricorre spesso nelle opere di LucaSignorelli e nelle chiese di Cortona, dove anche esisteva un

Figg. 98-99Reliquiario Vagnucci,particolari del piedecon gli stemmidel vescovo Vagnucci.

Figg. 100-101Reliquiario Vagnucci,particolari del piedecon le figure di sanGiacomo Maggioree di sant’Onofrio.

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Figg. 102-103Reliquiario Vagnucci,

particolaridel tempiettocon le figure

dell’Imago Pietatise di santa Margherita.

Figg. 104-105Reliquiario Vagnucci,

particolaridel tempietto

con lo stemmadi Cortona e la figura

di san MicheleArcangelo.

Figg. 106-107Reliquiario Vagnucci,

particolaridel tempiettocon le figure

di sant’Onofrioe della Vergine

col Bambino.

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monastero di San Michelangelo (oggi distrutto), mentre nonlontano dalla città sorge ancora l’antica chiesa di Sant’Angeloa Metelliano23. Al centro del “trittico” anteriore, infine, nonpuò mancare l’immagine della Madonna col Bambino (fig.107), dal momento che il reliquiario era destinato ad una chie-sa consacrata alla Vergine.

In questa parte del programma iconografico la volontà delVagnucci è chiarissima: nella scelta delle figure, nell’iterazionedello stemma gentilizio e di sant’Onofrio, nella fastidiosa rot-tura della “logica visiva all’interno dello stesso registro di figu-razioni”24. Da notare poi che i sei quadrupedi seduti sullezampe posteriori, scolpiti ai vertici della cupola esagonale deltempietto, altro non sono che ulteriori orsi (fig. 108), derivan-done una presenza “dilagante” del blasone di famiglia, simile aquella già registrata nella futura cappella di Sant’Onofrio nelduomo di Perugia. Ma non è su questi aspetti, legati ad unaconoscenza (limitata a pochi) della casata e delle devozioni delcommittente, che Iacopo intendeva concentrare l’attenzione:gli smalti sono illeggibili da lontano e non vengono ricordatinel documento di donazione, mentre gli orsi della cupolettanon sono immediatamente riconoscibili come tali.

Fig. 108Reliquiario Vagnucci,part. del tempiettocon piccoli orsiaraldici.

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La realizzazione del manufattoDemandando al prossimo paragrafo le vicende del reliquia-

rio, passiamo ora al secondo grande aspetto, quello concernen-te la misteriosa figura dell’orefice e i suoi riferimenti stilistici,senza troppo addentrarci in questioni sulle quali regna il mas-simo disaccordo e, pertanto, ben lontane dal trovare una solu-zione soddisfacente. A parte chi nega validità alla firma“Giusto da Firenze” (Frescucci, 1969), è indubbio che il reli-quiario vada ricondotto all’ambiente dell’oreficeria fiorentinache, alla metà del XV secolo, si apriva a sostanziali innovazio-ni, accogliendo suggerimenti provenienti dall’architettura clas-sica25: a questo proposito, il Collareta ha rilevato strette affini-tà tra il tempietto che sorregge la teca e le opere di FilippoBrunelleschi (Firenze, 1377-1446), in modo particolare la lan-terna della cupola di Santa Maria del Fiore (realizzata dopo lamorte dell’architetto su disegno del medesimo), notazioneinteressante se si considera che un “Gusto orafo” risulta tra imaestri chiamati a decidere sulla palla della lanterna nel 1467.Ciononostante, la forma generale dell’oggetto rimanda ancoraal Gotico Internazionale, nel cui clima artistico si colloca lastatuetta oltremontana del Cristo portacroce; viceversa lo stiledelle figure, nelle statuette laterali e negli smalti traslucidi, tor-na a nutrirsi delle novità rinascimentali, soprattutto di quelleproposte da Domenico Veneziano (m. 1461)26.

In sostanza di questo Giusto, che non risulta immatricola-to tra gli orefici fiorentini, non sappiamo nulla, anche se laLiscia Bemporad ha reso noto un documento che permette diascrivere alla stessa mano un lavoro eseguito nella chiesa diSant’Ambrogio a Firenze (cappella del Miracolo Eucaristico);la studiosa ha anche ipotizzato, riprendendo alcune osserva-zioni del Middeldorf, la possibile origine tedesca di Giusto27.Ciò potrebbe spiegare, tra l’altro, perché l’atto di procura cheprecede la donazione del manufatto venga stipulato da unchierico di Colonia (cf. par. 2).

Una questione irrisolta è quella della priorità progettualedel nostro reliquiario rispetto alla Croce d’argento del battiste-ro di Firenze (lavoro di Antonio del Pollaiolo e Betto diFrancesco, ora nel Museo dell’Opera del Duomo), con la qua-le le concordanze tipologiche e stilistiche sono innegabili28. LaCroce venne commissionata nell’aprile del 1457 (quindi pocoprima del reliquiario) e fu saldata soltanto nel 1459 (quando

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il prezioso oggetto splendeva già da un anno nella pieve diCortona): mentre il Collareta ritiene che l’orefice Giusto abbiaavuto accesso ad alcuni disegni preparatori per la Croce delbattistero, viceversa la Liscia Bemporad assegna proprio aGiusto la precedenza ideativa29.

Comunque stiano le cose, è facile concludere che ilVagnucci non ebbe alcuna difficoltà nel reperire un orefice fio-rentino, essendo in rapporti molto stretti con la “cittàdell’Arno” sin dalla seconda metà degli anni trenta e, in parti-colare, godendo di grandissima stima negli ambienti legati allasignoria medicea (cf. par. I, 2).

A questo proposito, si noti che il vescovo di Cortona, il fio-rentino Mariano Salvini (1455-1477), creatura dei Medici ead essi estremamente devoto, fu il principale artefice dellaricostruzione del duomo cittadino, per il quale venne proba-bilmente chiamato Giuliano da Sangallo. Invece la notazionedel Middeldorf, che ha riferito a Giusto alcune montature divasi provenienti dal tesoro di Lorenzo il Magnifico, è statarigettata dalla maggior parte degli studiosi30.

2. La donazione del reliquiario alla città (1458)

L’atto di donazioneVeniamo ora alle vicende del reliquiario, probabilmente

consegnato dall’orefice fiorentino solo nella primavera del1458. Il 28 giugno di quell’anno, infatti, il Vagnucci (residen-te a Roma al servizio di papa Callisto III), volendo donare lareliquia alla vecchia pieve di Santa Maria a Cortona31, nomi-nò suo procuratore il concittadino Michelangelo di NiccolòPecci, affinché costui, insieme al giovane Dionisio (nipote diIacopo), stipulasse i dovuti patti con il vescovo di CortonaSalvini, il Capitolo dei canonici e i priori del comune: l’atto diprocura venne rogato da messer Gonsbuino di Diepenbroich(notaio e chierico della diocesi di Colonia) nel palazzo vesco-vile di Perugia, alla presenza di Fabiano Benci daMontepulciano e Guglielmo di Goro, rispettivamente vicariogenerale e cappellano del vescovo Vagnucci (fig. 109)32.

Finalmente il 2 luglio 1458, nel corso di una solenne cerimo-nia, si svolse sulla piazza dell’erigendo duomo cortonese la con-

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segna del prezioso cimelio: l’atto di donazione, datato 3 luglio econservato nel locale Archivio Comunale, venne rogato daNiccolò di Cristoforo di Tommaso da Cortona, cancelliere enotaio del comune (figg. 110-111); il documento ci è pervenu-to anche in due trascrizioni (risalenti, rispettivamente, al ’500 eal ’700), mentre nel 1747 un certo Niccolò Vagnucci lo presen-tò in casa propria nel corso di una delle celebri Notti Coritane(Notte XXXVII del 21 ottobre)33. Molto interessante, ai nostrifini, è la parte centrale dell’atto, quella che descrive minutamen-te l’oggetto della donazione34.

Assente il Vagnucci (sempre trattenuto a Roma), interven-nero alla cerimonia il vescovo e il clero di Cortona, il Capitolodella pieve, l’abate di Pietrafitta Iacopo, il capitano fiorentinomesser Giovannozzo di Francesco Pitti, il collaterale (vice-

Fig. 109Atto di procura

del 28 giugno 1458per la consegna

del ReliquiarioVagnucci.

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podestà) messer Vellichino di Arezzo, i sei priori del comune(in rappresentanza di ciascun terziere della città: Santa Maria,San Marco e San Vincenzo) e il lanaiolo Michelangelo diAndrea, oltre ad uno straordinario numero di cittadini e adiversi membri della famiglia Vagnucci: tra questi il vecchiolanaiolo Francesco di Vagnuccio (padre di Iacopo, giunto allavenerabile età di 84 anni), il figlio Pietro (fratello e “biografo”di Iacopo, uno dei due priori del terziere San Vincenzo) e ilnipote Dionisio di Pietro.

In tale circostanza, i parenti del vescovo perugino accompa-gnarono il dono del reliquiario con altre offerte: così la mogliedi Onofrio, altro fratello di Iacopo, con le figlie Cassandra eMargherita (“una tovalia contesta cum virgis de filo aureato”,“duo caputergia nova et pulcra”, “unum par paternostrum deambris grossis et magnis”); così la vedova del lanaiolo Angelodi Vagnuccio (“unum iocale cum dindolis argenteis iam aurea-tis”), come pare di capire; lo stesso Iacopo aggiunse al suodono “una clamis parvula de bisso cum dindolis argenteis etaureatis”. Invece Michelangelo Pecci, il procuratore incaricatodal Vagnucci di presenziare alla consegna, donò “unus çaffirilapis [...], qui lapis reponi et aptari debet super dicto nobilis-simo tabernaculo”, forse la stessa “nobilissima matreperla”(oggi dispersa) descritta dal contratto sulla sommità della cro-ce del reliquiario.

Fig. 110Registrodelle ostensionidel ReliquiarioVagnucci.

Fig. 111Prima pagina dell’attodi donazione del 2-3luglio 1458.

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Il giorno successivo (3 luglio) seguirono all’atto pubblico lefunzioni religiose, durante le quali si celebrò l’uffizio dei mor-ti per gli antenati del vescovo donatore, alla presenza di tutticoloro che erano intervenuti il giorno avanti.

Fig. 112Frontespizio

dei capitoli relativial Reliquiario Vagnucci.

Fig. 113Prima pagina

dei capitoli relativial Reliquiario

Vagnucci.

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I capitoli del reliquiarioCome si deduce dal documento, la gestione del “tabernaco-

lo” e l’ostensione della reliquia in esso contenuta sarebbero sta-te regolate da dettagliati capitoli che, redatti nel 1456 dal cor-tonese Mariotto di Giovanni, dottore in legge, furono appro-vati dal Vagnucci e confermati da una votazione comunale del24 maggio, venendo infine registrati dal solito cancelliere delcomune il 24 giugno 1458, qualche giorno prima della conse-gna del reliquiario (figg. 112-113). Così infatti si legge allafine del testo dei capitoli, allegati all’atto di donazione35:

Que omnia dicta ordinamenta lecta fuerunt in dicto consiliocomunis Cortone et finaliter approbata per dominos priores etconsilium dicti comunis [...] sub annis Domini ab incarnatio-ne MCCCCLVI die XXIIII mensis maii. Ego, Nicolaus con-dam Christofori Tome, cancellarius comunis Cortone, copiaviet complevi manu propria subscripsi sub die XXIIII iunii 1458.

Da questo passo si evince un dato molto importante, cioèla decisione del Vagnucci di donare la reliquia alla pieve diSanta Maria già prima del maggio del 1456, quindi in unadata prossima al passaggio della stessa nelle sue mani e, soprat-tutto, assai vicina alla morte dell’amato papa Niccolò V, even-to che rappresenta, come già sottolineato, l’immediato prece-dente dell’iniziativa artistica e devozionale del cortonese.Proprio nel 1456 si dava inizio alla costruzione della nuovacattedrale, nella cui cappella maggiore (il coro attuale), dipatronato di Francesco Vagnucci e dei suoi discendenti, sareb-be stato collocato il reliquiario, custodito da un “armario for-titer roborato meliusque roborando”, protetto da ben quattrochiavi36. A dimostrazione della grande considerazione di cuisempre godette il manufatto, anche i capitoli vennero copiatiintegralmente nel XVI e nel XVIII secolo37.

Il privilegio di Gregorio III MammasNel medesimo manoscritto che contiene le trascrizioni sia

dell’atto di consegna che dei capitoli, si conserva in duplice copiapersino la traduzione del privilegio che il patriarca Gregorio III,al fine di certificare la validità della reliquia, aveva fatto deposi-tare presso il Capitolo del duomo, privilegio scritto sia in latinoche in greco, un doppio attestato legale simile a quello della

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chiudenda opistografa del reliquiario: in esso il prelato garantivache la reliquia in questione era proprio quella della veste incon-sutile di Cristo, e che egli, fuggendo da Costantinopoli, l’avevaportata con sé insieme ad altri frammenti sacri, prima a Napoli,poi a Roma, facendone infine dono a papa Niccolò V38.

Si noti, tra l’altro, che lo stesso patriarca aveva in preceden-za accertato l’autenticità di un altro frammento della veste toc-cata dall’emorroissa, attraverso una bolla inviata al duca diBorgogna Filippo III Valois il Buono (1419-1467), che avevaricevuto la reliquia in omaggio da Teodoro Paleologo, fratellominore dell’imperatore bizantino Giovanni VIII (1420-1448)39. Sarebbe importante indagare se la provenienza france-se della statuetta portacroce del reliquiario (fig. 97), da alcuniassegnata proprio ad una scuola borgognona, possa essere col-legata a questa vicenda piuttosto che alla già menzionata “pista”ferrarese: Gregorio potrebbe averla ricevuta in dono dal duca,in ricompensa del proprio servizio, e successivamente averla“girata” al Vagnucci (in questo caso assumerebbe maggioresignificato il ritratto del patriarca proposto dal reliquiario).

Questo secondo frammento della tunica miracolosa, insie-me ad altre reliquie collegate alla passione di Cristo (quattroframmenti provenienti rispettivamente dalla veste, dalla can-na, dalla spugna e dal sudario), si trovavano agli angoli di unacroce-reliquiario contenente un pezzetto della Vera Croce; èmolto probabile che, sempre per mezzo del patriarca Gregorio,una parte di quest’ultima reliquia sia finita nelle mani delVagnucci, perché da diverse fonti si deduce che, nella donazio-ne alla pieve di Santa Maria, il reliquiario di Cortona fuaccompagnato da un’altra teca a forma di croce dorata, rac-chiudente appunto un pezzetto della Vera Croce40.

Le vicende successive alla donazioneIn attesa che si completasse la costruzione del coro del duo-

mo, il Reliquiario Vagnucci fu riposto nella vecchia pieve, in unacollocazione provvisoria: tant’è vero che, nell’inverno del 1462,i danni causati dal maltempo generarono grossa preoccupazioneper il manufatto41. Questo venne avvolto in “pannis lineis finis-simis” e, insieme a tutti gli altri oggetti della donazione, fu rin-chiuso in un grande armadio ad ante serrato da tre chiavi (“qua-dam fenestra magna sub tribus clavibus”)42: una fu data incustodia a Francesco Vagnucci, la seconda al preposto dei prio-

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ri, la terza al medesimo, essendo da consegnarsi ad uno dei tresoprastanti della reliquia, che sarebbero stati eletti dopo qualchegiorno, il 6 luglio. Quanto alla quarta chiave che, come previstodai capitoli, doveva essere conservata dal vescovo di Cortona,essa era forse destinata, una volta terminata la cappella, ad apri-re una cancellata o una grata metallica che proteggesse l’arma-dio delle reliquie (“se serri et ferri con 4 chiavi de diversi inge-gni”), ma pare che non sia mai stata predisposta.

Sempre secondo il testo dei capitoli, l’ostensione della reli-quia era prevista per il 2 luglio, festa della Visitazione dellaVergine Maria: ancora una volta, dunque, torna la devozioneper la figura della Madonna, motivo conduttore di larga partedel mecenatismo artistico del Vagnucci. Ogni anno, in quelgiorno, i magistrati del comune dovevano recarsi collegialmen-te alla cappella del reliquiario per portarvi le loro offerte: que-sta tradizione è attestata ancora nel ’600 da Giacomo Lauro(pseudonimo di Pietro Ridolfini), quando, oltre alla primaDomenica di luglio, si usava esporre la reliquia anche durantele celebrazioni pasquali43.

In seguito alla radicale trasformazione del coro del duomo(altare maggiore di Francesco Mazzuoli del 1664, stalli ligneidi Vincenzo Conti e Stefano Fabbrucci del 1684-1688), il reli-quiario venne rinchiuso sotto la mensa del nuovo altare mag-giore, in un ripostiglio le cui chiavi erano custodite nel palaz-zo del comune: qui lo descrivono l’Uccelli e il Mancini, ai cuitempi la teca veniva esposta solo il Venerdì Santo44.

È lo stesso Mancini ad informarci, con sommo sdegno, chenel 1895, dopo ben quattro secoli e mezzo di permanenza, erastata cancellata dalla sala maggiore del palazzo comunale l’ar-me dei Vagnucci, accompagnata da un’epigrafe che ricordavala munificenza del prelato cortonese; questa testimonianza èriportata già dal Braccioli (1565), dal quale veniamo a sapereche “un’arme grande in pietra” del vescovo Vagnucci compari-va anche all’interno del duomo, precisamente nel coro dellachiesa, già coincidente con la cappella del reliquiario45.

Oggi, come detto, si può ammirare il prezioso oggetto nel-la sala n. 7 del Museo Diocesano di Cortona.

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3. Il Reliquiario dei Serviti di Cortona (1483)

Dalla chiesa di Santa Maria dei Servi...Un altro reliquiario perduto46, donato nel 1483 alla chiesa

di Santa Maria dei Servi a Cortona (ancora una volta, dunque,un tempio intitolato alla Madonna)47, testimonia la dedizionedei Vagnucci al culto delle sacre reliquie: in questo caso si trat-ta di un frammento alquanto improbabile, ossia una “bietta-rella” (o “mazzetto”) di capelli della Vergine.

L’Ughelli parla genericamente di una teca elegante (defini-ta nelle memorie di un frate Servita come un “tabernacolo dicristallo”), la quale custodiva, oltre alla preziosissima reliquia,altri resti sacri, come attestavano due distici incisi o niellatiintorno all’oggetto48:

PIXIDE INAURATA POSUIT VANNUCCIUS HEROS || CAESARIEMSACRAM VIRGO BEATA TUAM || OSSAQUE SANCTORUM FELICIHAC FEDE [SEDE] QUIESCUNT || QUORUM ANIMAE IN COELISGAUDIA VERA FERUNT

[Vergine Beata, in questa pisside indorata il Vagnucci, uomo illu-stre, ha riposto i tuoi sacri capelli; e le ossa dei santi, le cui ani-me recano in cielo le vere gioie, riposano in questa sede felice.]

Il convento dei padri Serviti, che si stabilirono in città nellaseconda metà del secolo XIII, sorgeva un tempo nel borgo diSanta Maria, in prossimità delle mura cittadine, a non moltadistanza dalla porta omonima: borgo, porta e via di SantaMaria (attuale via Roma) probabilmente dovevano il loronome, piuttosto che alla presenza del complesso dei Serviti, allavicina pieve urbana di Santa Maria. Al pari degli altri due bor-ghi (San Vincenzo e San Domenico), anche quello di SantaMaria venne in gran parte distrutto intorno al 1554, per esi-genze militari legate alla guerra tra Siena e Firenze49.

Non potendo quindi ricorrere alla pianta di Piero Berrettinidel 1634 (la quale, tra l’altro, non rappresenta il nostro bor-go), ci viene in soccorso un disegno a penna (piuttosto som-mario) di Tommaso Braccioli, eseguito a memoria nella secon-da metà del ’500 (fig. 114): si scorge con chiarezza la facciatadella chiesa, molto semplice, con il portale sormontato da unrosone50. Dal disegno apprendiamo pure che i Vagnucci pos-sedevano alcune proprietà non lontano dal convento: conside-

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rando la presenza nell’attuale via Roma di un palazzottoappartenuto ai Vagnucci (oggi Hotel Sabrina) e la scelta diIacopo di collocare il primo reliquiario nella cappella maggio-re della pieve di Santa Maria, sembra attestata una forte pre-senza della famiglia in questo lato occidentale della città.

A differenza dell’ex-cattedrale di San Vincenzo e del conven-to di San Domenico (ubicati nei rispettivi borghi omonimi), lachiesa di Santa Maria dei Servi, troppo a ridosso delle muraurbiche, venne completamente demolita: non diversamente daquanto accadeva a Perugia negli stessi anni (dove, sempre perragioni militari, la chiesa dei Servi venne sacrificata alla costru-zione della rocca Paolina), i padri Serviti furono costretti a tra-sferire la propria dimora (e i propri oggetti, compreso il nostroreliquiario) all’interno del perimetro cittadino, andando adoccupare gli ambienti della chiesa di Sant’Antonio Abate51.

Fig. 114T. Braccioli, disegnodell’antico borgodi Santa Mariaa Cortona, secondametà del XVI secolo.

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...alla chiesa di Sant’Antonio AbateLa storia di questo complesso è assai interessante. La chiesa

fu con molta probabilità costruita nel XIV secolo dai canoni-ci regolari di Sant’Antonio Abate, ai quali venne affidato unpreesistente oratorio con annesso ospedale, intitolati ai santiAntonio e Onofrio e già gestiti da una confraternita locale(forse proprio quella di Sant’Antonio, attestata nel terziere diSanta Maria sin dal ’300). Racconta Domenico Tartaglini, sto-rico cortonese del ’700, che questa congregazione offriva soc-corso ed assistenza a poveri, pellegrini e forestieri, soprattuttoin tempo di guerra; ma doveva occuparsi anche dei malatiaffetti dal cosiddetto “fuoco di Sant’Antonio”, fornendo loroquelle cure per le quali era rinomata la casa-madre dell’ordineomonimo (nel Delfinato, in Francia)52.

Nel XV secolo la confraternita rientrò in possesso della chie-sa, unendo al culto dei santi sotto cui militava quello di sanRocco, patrono contro la peste e santo legato al conforto deicondannati a morte: nacque così la compagnia dei SantiAntonio, Onofrio e Rocco53. È in questo momento che il pit-tore già identificato con Luca Signorelli dipinse per l’oratoriouno stendardo processionale a due facce, rappresentanteSant’Antonio Abate sul lato anteriore e la Vergine col Bambino trai santi Onofrio e Rocco sul lato posteriore, tela oggi conservatanel Museo dell’Accademia Etrusca di Cortona: l’opera è collo-cata da L. Kanter e T. Henry tra le attribuzioni respinte, essen-do piuttosto assegnata a Francesco Signorelli, nipote di Luca54.

Fig. 115P. Berrettini, pianta

della città di Cortona,1634, part.

con il complessodi Sant’Antonio Abate

(n. 18) e la chiesadi San Rocco (n. 20).

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Come già detto, intorno al 1554 la confraternita cedette lachiesa e i locali annessi ai Servi di Maria, trasferendosi in unaltro oratorio ubicato vicino al medesimo complesso e notonelle antiche descrizioni come chiesa di San Rocco: ancora oggise ne può vedere l’accesso in fondo a via Sant’Antonio, sulladestra, al n. 14 (fig. 115, n. 20). Diversamente dal gonfalonesopra citato, seguì il trasferimento della compagnia un’altraopera già attribuita al Signorelli, rappresentante il Crocifisso coni santi Giovanni Battista, Rocco, Maria Maddalena e altri santi(Antonio e Onofrio?). Sappiamo dal Della Cella che, dopo lasoppressione delle compagnie voluta dal granduca PietroLeopoldo nel 1785, la tavola venne trasportata nel coro dellacattedrale, dove rimase gravemente danneggiata dall’incendiodel 1886, per poi finire in un ripostiglio della sacrestia55.

L’antica intitolazione ai santi Antonio e Onofrio ha lasciato,relativamente alla chiesa di Sant’Antonio, anche altri ricordi. IlDella Cella ci informa che, al di sopra della lapide (oggi illeggi-bile) collocata sull’architrave della porta, si aprivano tre nicchiecontenenti le statue dei due santi e della Vergine: furono chiuseai primi dell’800, come si scorge chiaramente dal rifacimento ditutta la porzione centrale della facciata. Da una visita pastoraledel 1583, sappiamo poi che monsignor Angelo Peruzzi, visita-tore apostolico, aveva ordinato il restauro di antiche pitture chesi trovavano agli altari dedicati ai santi Antonio ed Onofrio (suc-cessivamente distrutti dall’apertura delle navate laterali). Ancoranel ’700, il pittore cortonese Lorenzo Zalli effigiava i due santiorientali in un quadro andato poi smarrito56.

Ancora una volta, dunque, il nome di sant’Onofrio risultalegato alla città che diede i natali al Vagnucci, della cui devozio-ne per il santo eremita si sono già analizzate le ragioni (cf. par.II, 5): proprio la matrice signorelliana delle due opere sopramenzionate renderebbe necessaria un’indagine approfondita sulruolo eventualmente ricoperto dalla famiglia Vagnucci nellevicende artistiche e decorative della chiesa di Sant’Antonio.

La scomparsa del reliquiarioMa torniamo alla nostra reliquia che, solo per un caso for-

tuito (è bene precisarlo), transitò in un luogo-simbolo delladevozione a sant’Onofrio. La preziosa teca venne consegnataai padri Serviti non nel 1481, come affermato dal Tartaglini(che tra l’altro ritiene il reliquiario pertinente sin dall’inizio

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alla chiesa di Sant’Antonio!), ma il 15 settembre del 1483,come testimoniato dalle carte del convento dei Servi e comeripetuto da tutti gli eruditi57. In modo analogo a quanto acca-duto nel 1458 con il primo reliquiario, anche questa volta ladonazione si svolse nel corso di una solenne cerimonia, prece-duta da una processione che, una volta all’anno, si sarebberipetuta in quei giorni; diversamente però dal 1458, quandogli impegni romani avevano costretto il Vagnucci all’assenza,nell’occasione avvenne che “in un dì si trovarono insieme trevescovi cortonesi”, cioè nativi di Cortona: Iacopo arcivescovodi Nicea, Dionisio vescovo di Perugia e Cristoforo dei marche-si Bourbon di Petrella, vescovo di Cortona (1477-1502)58.

Stando sempre al Tartaglini, che ci narra un curioso aneddo-to popolare già riportato dal Lauro, il Vagnucci avrebbe dimo-strato l’autenticità della ciocca di capelli della Vergine, tentan-do inutilmente di bruciarla per ben due volte. Ancora ai tempidello storico cortonese (1700), la reliquia era oggetto di fervi-da devozione cittadina: una volta all’anno, “con gran decoro” e“gran concorso di popolo”, veniva portata in processione per levie di Cortona, insieme ad una reliquia “complementare” (il“latte della beatissima Vergine”); il rito si ripeteva la terzaDomenica di settembre, a ricordo, appunto, della data in cuiIacopo aveva consegnato il reliquiario alla chiesa dei Serviti59.

Ai tempi del Salvini (1751) e prima dell’ulteriore trasferi-mento dei Servi nel convento di San Domenico (1788), ubi-cato all’esterno delle mura cittadine, il reliquiario si trovavaancora presso quei padri60. La reliquia che esso conteneva haovviamente poco credito di autenticità. Ma la teca, che dove-va essere preziosissima, dove è andata a finire?

4. Il Sant’Anello di Perugia (1473-1488)

Il furto e la gestione della reliquiaCome la veste di Cristo o i capelli della Vergine nei reliquia-

ri di Cortona, così il Sant’Anello di Perugia (niente meno chel’anello nuziale della Madonna; figg. 116-117) è protagonistadi una vicenda storico-artistica di grande importanza, al di làdella presunta autenticità della reliquia e della tradizione leg-gendaria che ruota intorno ad essa61.

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Sottratto alla chiesa di San Francesco a Chiusi (nellaRepubblica di Siena), dove si trovava malamente custodito sindal 1420, il Sant’Anello fece la sua prima comparsa a Perugia il29 luglio 1473, divenendo ufficialmente proprietà del comu-ne il 6 agosto successivo62. Come ha sottolineato la Duranti,l’autorità politica e quella religiosa compresero immediata-mente la possibilità di sfruttare “le caratteristiche bidimensio-nali della reliquia (sicuro interesse devozionale quanto econo-mico)”, la prima trovando con essa l’occasione per un sussul-to di orgoglio municipale, la seconda cogliendo il momento

Fig. 116Il Sant’Anellocon la sua coroncina.

Fig. 117Part. del Sant’Anellocon la cavità inferiore.

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propizio per risvegliare il fervore religioso della città e rinver-dire un culto, come quello delle sacre reliquie, che si era anda-to progressivamente affievolendo nel corso del ’400.

Chi mostrò subito vivo interesse per la reliquia dellaVergine, divenendo il “punto focale dell’organizzazione dellafase perugina del culto al Sant’Anello”, fu ovviamente il vesco-vo di Perugia Iacopo Vagnucci che, a quelle date, dimorava inmaniera stabile nella propria diocesi63. È da ritenersi, infatti,che nella gestione complessiva della vicenda, a tal punto deli-cata da apparire imminente un conflitto armato tra Perugia ela repubblica senese (che reclamava la restituzione della reli-quia)64, e che per il buon esito finale della stessa, il Vagnucciabbia svolto un ruolo fondamentale, alla luce del quale potreb-be essere letto l’atteggiamento, a dir poco sorprendente, tenu-to in quell’occasione da papa Sisto IV, chiamato dalle parti apronunciarsi sulla contesa65.

Infatti gli anni 1473-1474 videro un susseguirsi ininterrot-to di legazioni tra Perugia, Chiusi, Siena e Roma, periododurante il quale il pontefice, piuttosto che condannare quellache si presentava come una palese “operazione ladresca”, man-tenne un atteggiamento attendista e diplomatico, prima di sta-bilire che l’anello, secondo le autorità perugine “capitato inquesta città miracolosamente per volontà de la Vergene glorio-sa”, sarebbe rimasto dove si trovava, sulla base di una sempli-ce ratifica dell’accaduto. Le fonti sottolineano come il succes-so finale venisse favorito anche dalla morte improvvisa, nellospazio di pochi giorni, dei due cardinali che si erano assunti ladifesa della parte lesa, Niccolò Forteguerri, vescovo di Teano ecardinale di Santa Cecilia (morto nel dicembre del 1473), ePietro Riario Della Rovere, nipote del papa, cardinale di SanSisto e legato apostolico di Perugia nel 1473 (morto nel gen-naio del 1474)66.

La linea tutt’altro che imparziale tenuta dal pontefice è sta-ta interpretata da Adamo Rossi e da Ettore Ricci alla luce degliintensi rapporti che, sin dagli anni cinquanta, Francesco DellaRovere intratteneva con Perugia, di cui era cittadino onora-rio67. La Duranti, attenuando la portata di questa antica ami-cizia perugina, ritiene piuttosto che Sisto IV fosse mosso daldesiderio di non indagare in casa francescana, evitando così difar precipitare in uno scandalo l’ordine religioso al quale eglistesso apparteneva68. Non si può tuttavia negare che l’attivi-smo privo di indugi del Vagnucci, molto legato al pontefice

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come ai francescani (con i quali stava costituendo in queglianni il terzo Monte di Pietà), derivasse dalla consapevolezza diavere “le spalle coperte” sin dal primo momento69.

Dopo il suo approdo in città, la reliquia venne riparata nel-la cappella Nuova del palazzo dei Priori e, “testimone” ilBonfigli che lavorava alla decorazione pittorica delle pareti, furiposta sotto l’altare della cappella, in un cassone di legno fer-rato protetto a sua volta da una grata metallica: il primo chiu-so da ben sette chiavi, una delle quali fu consegnata al vesco-vo, la seconda serrata da quattro chiavi, di cui una venne datain custodia ai francescani (fig. 118)70.

Già il 15 agosto del 1473 il Vagnucci, in occasione dellafesta dell’Assunzione della Vergine, inaugurò la prassi delleostensioni periodiche della reliquia, esibendola per la primavolta alla cittadinanza71. L’ostensione venne ripetuta il primodi novembre (festa di Ognissanti), quando l’anello fumostrato “per le mani di monsignor Giacomo vescovo dellacittà nel duomo con molta concorrenza di popolo e divotio-ne”: si narra che in piazza ci “foro li migliaia de le persone”72.Il Vagnucci mostrò la reliquia con rito solenne anche il terzogiorno di Pasqua del 1474 (12 aprile) e il 3 agosto successi-vo, dopo averla prelevata personalmente dalla cappella delpalazzo comunale alla presenza dei priori, evento sintomati-co di una singolare convergenza d’interessi tra le due massi-me autorità perugine73.

Fig. 118Forzieredel Sant’Anello.Perugia, cattedraledi San Lorenzo,cappelladi San Giuseppe.

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La cappella del Santo Anello in cattedraleDopo gli eventi convulsi del biennio 1473-1474, seguiti da

uno strascico di polemiche e tensioni che continuò fino allasentenza definitiva di papa Innocenzo VIII (1486), si tornò aparlare del Sant’Anello nel 1487, allorché, sull’onda della pre-dicazione del beato Bernardino da Feltre (1439-1494),Minore Osservante, venne istituita in cattedrale la compagniadi San Giuseppe, nel cui ruolo il frate registrò personalmenteil proprio nome74. A quelle date, infatti, i francescanidell’Osservanza erano impegnati in un’assidua promozionedella figura e del culto di san Giuseppe, finalizzata alla valoriz-zazione delle virtù familiari e dell’unità coniugale.

Nel frattempo, il beato Bernardino aveva ottenuto l’auto-rizzazione per la costruzione, all’inizio della navata sinistra del-la cattedrale (nel sito già occupato dall’altare di SanBernardino di Agostino di Duccio, n. 14), di una cappellaintitolata a san Giuseppe, destinata ad ospitarne il veneratopegno nuziale: la prima idea risale al 1486; quindi l’altare ven-ne eretto tra l’ottobre del 1487 (primi stanziamenti) e il set-tembre del 1488 (stima dei lavori) da Benedetto Buglioni daFirenze (1461 ca-1521), discepolo di Andrea Della Robbia,ancora una volta uno scultore toscano, a conferma di un indi-rizzo stilistico ben preciso del quale già si è parlato75.

Il 19 marzo 1488, sotto la spinta di un altro Minoredell’Osservanza, fra Michele lombardo, e in singolare anticiposulla festa di precetto istituita solo nel ’600, “fo comenzato aguardare la detta festa de S. Giosefe e che prima non se guarda-va”, con una processione di tutta la cittadinanza che dalla catte-drale giungeva sino alla chiesa di Santa Maria dei Servi di colleLandone, per poi ritornare al duomo e concludersi con un’of-ferta di cera alla cappella del santo (peraltro già funzionante)76.

Non era che la preparazione all’evento tanto atteso: l’ultimogiorno di luglio, infatti, nel corso di una solenne cerimonia pre-sieduta dal vescovo Dionisio, il Sant’Anello venne finalmentetraslato dall’altare della cappella dei Priori alla cappella da pocoedificata77. Purtroppo quest’ultima non ebbe sorte migliore diquella in cui, a distanza di tre anni (1491), le spoglie del secon-do dei Vagnucci avrebbero raggiunto quelle dello zio Iacopo.

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NOTE

1 UGHELLI [1644], tomo I, col. 1164.2 LOMBARDI 2000, pp. 704 e 711.3 Con il termine “reliquia” ci riferiremo anche a possibili oggetti appartenu-

ti a santi e beati o venuti a contatto con essi: pertanto si ometterà il virgolettato.4 Si fornisce di seguito la bibliografia completa relativa al reliquiario:

BAEC, Braccioli, Stemmi e brevi notizie..., c. 7v; LAURO 1633-1639, parte II,c. 17rb; TARTAGLINI 1700, pp. 82-83; BAEC, Contratto di donazione..., pp.188-190; BAEC, Vita del vescovo..., p. 68; ACDF, Salvini, Vite e memorie...;BREVI NOTIZIE 1827, pp. 23-24; UCCELLI 1835, p. 128 e nota 2; CARLONI1887, pp. 79-80; CRONACHE 1896, p. 45; MANCINI 1897, pp. 336-338; IDEM1898, p. 39; IDEM 1899, pp. 493-497; DELLA CELLA 1900, pp. 112-113;MANCINI 1909, pp. 60-63; SALMI 1916, p. 241, in nota; MIDDELDORF 1937-1940, pp. 437-438; MORASSI 1963, p. 12 e tavv. 4, 10, 16 e 17; FRESCUCCI1969, pp. 89-91; EISLER 1969, pp. 107-118 e 233-246; SALMI 1971, p. 132,nota 15; HEIKAMP-GROTE 1974, pp. 91-92, 105, 127-128 e 145; SCAPECCHI1980, p. 54; COLLARETA 1987a, pp. 87-96; IDEM 1987b, pp. 27-29; LISCIABEMPORAD 1988, pp. 195-214 e tavv.; TAFI 1989, pp. 478-479; MAETZKE1992, pp. 201-204; MORI 1995, pp. 84-85; CORTI 1998, pp. 147-148;CARACCIOLO 2005a, p. 47, nota 21; IDEM 2005c, pp. 79-80, nota 9.

5 La firma venne letta per primo dal MANCINI (1909, p. 63), il quale inprecedenza aveva ipotizzato che l’artefice potesse essere un orafo fiorentinodomiciliato presso la corte romana (1899, p. 493).

6 Il “tabernacolo” è in rame fuso, cesellato e dorato; le statuette laterali sonoin argento dorato; il Cristo centrale è d’oro; il tutto è decorato con smalti (tra-sludici ed opachi), paste vitree, pietre semipreziose e perle. Le iscrizioni niella-te sono state più volte riportate da vari studiosi, con lievi differenze ma nume-rosi errori: pertanto se ne fornisce la trascrizione definitiva, personalmente veri-ficata in loco. Inoltre non è condivisibile l’ordine di lettura proposto da alcuni(COLLARETA 1987b): la prima epigrafe, infatti, non ha la funzione di conclu-dere e riassumere la vicenda, ma serve ad introdurre la narrazione.

7 L’episodio è narrato da tre degli Evangelisti: MATTEO, 9, 20-22; MARCO,5, 25-35; LUCA, 8, 43-48.

8 Gregorio morì nel 1459 e venne sepolto in San Giorgio del Velabro(HOFMANN 1951, coll. 1087-1088; EISLER 1969, pp. 110-111). Nell’ottobre del1451 Niccolò V, inviando un severo documento all’ultimo imperatore bizantinoCostantino XII, reo di non aver ancora pubblicato la bolla di unione, gli intimòche il patriarca Gregorio venisse richiamato e reintegrato in tutti i suoi onori(PASTOR 1910, p. 532; MIGLIO 2000, pp. 647-648). Di lì a poco, nel 1453,Costantinopoli sarebbe caduta nelle mani dei Turchi del sultano Maometto II.

9 COLLARETA 1987a, pp. 89 e 92.10 MANCINI 1899, pp. 493-494. Il rapporto gerarchico tra le due figure è

rafforzato dal testo delle iscrizioni sottostanti, nelle quali solo il Pontefice uti-lizza il plurale maiestatis.

11 COLLARETA 1987a, p. 92.12 Viceversa, il presunto ritratto di Niccolò V adombrato nel san Nicola

di Bari del Polittico Guidalotti di Perugia (fig. 33) mostra tratti fisionomicitroppo discordanti per accettare l’ipotesi avanzata dal De Marchi (sulla que-stione, cf. GARIBALDI 1998, pp. 24-34).

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13 PLATINA \ PANVINIO 1663, p. 493; PASTOR 1910, pp. 498-504; MIGLIO2000, p. 655. Nella statuetta si vedano la dalmatica, la casula e il pallio, ispi-rati a prototipi reali di gran lusso, e il libro aperto, scritto in caratteri maiu-scoli rosso-neri.

14 La ricca stola istoriata del vescovo signorelliano risalta quanto più si ten-ga conto che, in pittura, si era ormai affermato il modello semplificato propo-sto da Domenico Veneziano nella Pala di Santa Lucia dei Magnoli ed accoltodall’orefice nel piviale del Patriarca Gregorio (COLLARETA 1987a, p. 91).

15 BAEC, Vita del vescovo..., p. 70. In una lettera a Giovanni Tortelli (pri-mo bibliotecario della Vaticana) del 28 ottobre 1448, il Valla scrive all’amicodi non essere ancora riuscito a farsi rendere il proprio libro dal vescovo diRimini che, nel 1448-1449, è il Vagnucci (MANCINI 1891, p. 236).

16 COLLARETA 1987a, pp. 88-89. A Cortona san Nicola da Tolentino eravenerato nella chiesa degli agostiniani, ordine religioso al quale appartenne ilpopolarissimo santo taumaturgo.

17 LAURO 1633-1639, parte II, c. 17rb; TARTAGLINI 1700, p. 83; BAEC,Vita del vescovo..., p. 68.

18 EISLER 1969, pp. 116-117. A quanto risulta, il Vagnucci non ebbealcun rapporto col Concilio di Mantova (1459), promosso da un pontefice(Pio II Piccolomini) che sembra tenere nei confronti della città di Perugia edel suo vescovo una linea piuttosto distaccata; quando poi la testa disant’Andrea, patrono di Mantova, venne dal Bessarione solennemente trasla-ta da Narni (dove era stata deposta) a Roma (aprile del 1462), Iacopo non eraancora governatore della cittadina umbra (LABOWSKY 1967, p. 691).

19 MANCINI 1899, p. 496; EISLER 1969, pp. 111-116; COLLARETA 1987a,p. 90.

20 Margherita, in attesa della canonizzazione (avvenuta solo nel 1728), vienerappresentata con l’aureola raggiata dei beati. La sua presenza è significativa inrelazione non solo alla città di Cortona, ma anche alla stessa famiglia Vagnucciche, proprio in quegli anni, alimentò un’antica leggenda in base alla qualeMargherita da Laviano (1247-1297) avrebbe pianto la morte dell’amato, il nobi-le di Montepulciano Arsenio, in un sacello annesso alla villa che i Vagnucci fece-ro costruire a nord di Petrignano del Lago (cf. anche l’appendice C). Ma il giocodelle allusioni familiari non si ferma qui, perché il nome del committente(Iacopo) è anche quello del figlio che Margherita ebbe dal nobile Arsenio.

21 COLLARETA 1987a, pp. 92-94. Lo studioso propone un nesso tra l’ar-cangelo, deputato a pesare le anime dei defunti, e il desiderio del committen-te di accumulare meriti per l’aldilà, attraverso la commissione e il dono di unoggetto destinato alla pietà devozionale.

22 San Michele che uccide il drago è una trasformazione cristiana del pri-missimo stemma pagano, un drago alato verde in campo rosso; il leone venneassunto per ricordare la data del 25 aprile 1261 (giorno di San Marco), quan-do i cortonesi rientrarono in patria dopo la guerra con Arezzo; rispetto allostemma di Venezia, in quello di Cortona il libro che il leone tiene tra le zam-pe anteriori è chiuso (DELLA CELLA 1900, pp. 245-259).

23 Tra i dipinti del Signorelli, si veda il già citato stendardo opistografo diSan Niccolò o il tondo dell’Accademia Etrusca. Sul distrutto monastero di SanMichelangelo, cf. TAFI 1989, pp. 356-357.

24 Infatti i simboli araldici (orso, leone) occupano a figura intera lo stessospazio riservato alle mezze figure dei santi (COLLARETA 1987a, p. 90).

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25 MAETZKE 1992, p. 204.26 COLLARETA 1987a, pp. 90-91 e 95 (note 22 e 25).27 MIDDELDORF 1937-1940, pp. 437-438; LISCIA BEMPORAD 1988, pp.

195-214.28 Il “tabernacolo” di Cortona ha molti elementi in comune con le croci

d’altare, collocandosi al di fuori della tipologia nota dei reliquiari; inoltre lasoluzione decorativa delle lastrine in argento smaltato è quella tipica dell’ore-ficeria toscana dopo la metà del ’400 (vedi anche il pastorale di Pio II nelMuseo Vescovile di Pienza): ma ciò non basta a spiegare le analogie troppostrette con la Croce di Firenze (su quest’ultima, cf. BECHERUCCI-BRUNETTI1969, pp. 229-236).

29 COLLARETA 1987a, p. 94; LISCIA BEMPORAD 1988, pp. 195-214.30 MANCINI 1897, pp. 323-326; MIDDELDORF 1937-1940, pp. 437-438;

COLLARETA 1987a, p. 91.31 I resti della pieve sono inglobati nella facciata del duomo attuale,

costruito tra il 1456 (documento citato dal Mancini) e il 1508, quando, conlicenza di Giulio II, la cattedra episcopale venne trasferita dall’antica chiesa diSan Vincenzo (MANCINI 1897, pp. 323-326).

32 BAEC, Cartapecore Vagnucci, 28 giugno 1458; cf. MANCINI 1899, p. 494.Nel documento di cui alla nota 33, il notaio è identificato dal toponimo“Diexenbroicsr”: questo dovrebbe coincidere con Diepenbroich, quartiere diWillich, cittadina tedesca a nord di Colonia, nei pressi di Düsseldorf.

33 ASCC, Opere riunite del duomo e di Santa Maria Nuova, ms. G59, cc.1r-2v; BAEC, ms. 739, cc. 37v-41r; BAEC, Contratto di donazione..., pp.188-190. Il primo manoscritto, che nell’antico inventario è descritto comeCapitoli concernenti le sacre reliquie regalate da monsignor Iacopo Vagnucci allacomunità ed entrata ed uscita di dette reliquie, registra tutte le ostensioni dal1458 sino al 1492 (cc. 3r-25v, mentre le carte restanti sono bianche). Anchese il contratto porta la data del 3 luglio 1458, considerata da tutti gli scritto-ri come quella della donazione, quest’ultima avvenne invece il 2 luglio, gior-no scelto dal Vagnucci per la coincidenza con la festa della Visitazione dellaVergine, mentre il giorno successivo si svolsero soltanto le celebrazioni religio-se, anch’esse comprese nella stipula dei patti.

34 Per la trascrizione completa del testo latino del documento, cf. appen-dice A, n. 10. La parte descrittiva è stata già pubblicata da MANCINI (1899,pp. 494-495) e da EISLER (1969, p. 107, nota 1). Quest’ultimo propone unatraduzione inglese affatto convincente; pertanto si fornisce una traduzione let-terale della sezione centrale dell’atto notarile:Michelangelo di Niccolò Pecci da Cortona, uomo spettabile e saggio, a tutte que-ste cose sotto menzionate procuratore in rappresentanza del reverendissimo inCristo padre e signore messer Iacopo di Francesco dei nobili Vagnucci di Cortonadegnissimo vescovo perugino [...], delegato insieme all’istruitissimo e non menoeloquentissimo giovinetto Dionisio figlio di Pietro figlio di Francesco dei nobiliVagnucci e nipote del detto reverendissimo messer Iacopo vescovo, presentò, donò econcedette [...] ai priori del popolo e del comune di Cortona [...] i beni sottodescritti, vale a dire innanzitutto questo eccellentissimo e preziosissimo dono, untabernacolo o reliquiario, parte in oro e parte in argento, abbellito e decorato conpietre preziosissime ed altre descritte più sotto, e cioè: sulla cima del detto taberna-colo è un Crocifisso interamente d’oro, del peso di tre libbre e tre once, che tiene inmano una croce che ha abbracciato, con un’altra croce di diaspro all’incrocio di

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detta croce ed una nobilissima madreperla sulla sommità di detta croce. Intornoal mezzo del detto tabernacolo è collocata l’immagine o figura della felicissima esantissima memoria di papa Niccolò V, lavorata in argento e oro, con un libroaperto in argento, e decorata con pietre varie e perle preziose e nobili: e questo dauna parte. Dall’altra parte del detto tabernacolo l’immagine o figura in argento eoro di un prelato di altissimo rango ed eccellentissimo, il patriarca diCostantinopoli, con un libro chiuso nella mano sinistra, ornata allo stesso modo.E per tutto il rimanente del detto tabernacolo, un ornamento di nobilissime e pre-ziosissime pietre ed un numero infinito di perle del massimo valore, con sculturevarie e sottilissime ed ornamenti che sopravanzano ogni altro reliquiario. Nel mez-zo poi di detto reliquiario è un frammento della veste o tunica del Salvatore NostroSignore Gesù Cristo, e si trova in una teca d’oro ornata da dodici pietre preziosis-sime e dodici perle di molta nobiltà e anche del massimo valore. E dalla partedavanti, cioè dalla parte anteriore, un cristallo. Dalla parte posteriore una chiu-denda d’oro, scolpita a caratteri greci e latini con molteplice splendore. Ad avere,tenere e possedere e nel tempo opportuno esporre o far esporre [questo reliquiario]e, una volta esposto, lo stesso riporre e far ricollocare nel luogo deputato alle mede-sime reliquie, e a compiere ed osservare ogni altra cosa, a tutto ciò sono tenuti idetti signori priori, che intervengono e accettano al posto e in nome del dettocomune, per se stessi e i propri successori, secondo il tenore e gli ordinamenti dialcuni capitoli editi e composti dal defunto egregio dottore in legge messer Mariottodi Giovanni da Cortona, e confermati ed approvati dal reverendissimo messer[Iacopo] vescovo perugino e nel consiglio del popolo e del comune di Cortona per21 fave nere. I sopraddetti signori priori, che si trovano nel sopraddetto luogo allapresenza del popolo [...], in nome del detto comune e della sua gente, per se stessie i propri successori, coi detti nomi, ricevettero ed accettarono questo singolarissi-mo, eccellentissimo, devotissimo e preziosissimo regalo, rendendo grazie con ogni eumile e debita riverenza alla donazione del suddetto reverendissimo messer[Iacopo] vescovo perugino.

35 I capitoli sono scritti in volgare e si trovano in un fascicolo di quattrocarte non numerate, collocato all’inizio del volume contenente l’atto:“Capitula pertinentia ad sanctas reliquias plebis de Cortona, quas largitus fuitreverendissimus dominus Iacobus comuni Cortone”. Per la loro trascrizione,cf. appendice A, n. 11.

36 Infatti l’ultima delle disposizioni recita che, in caso di incompiutezzadella cappella alla data di consegna del manufatto, questo sarebbe stato siste-mato nel luogo indicato dal vescovo di Perugia, ma le celebrazioni annualiavrebbero dovuto svolgersi ugualmente alla pieve. Le quattro chiavi menzio-nate dovevano essere consegnate ad un membro della famiglia Vagnucci (desi-gnato dal vescovo Iacopo e, dopo la morte di questi, dal più degno discenden-te per linea maschile), al vescovo di Cortona, al comune e ad uno dei tresoprastanti deputati alla custodia delle reliquie (in carica per un anno).L’esposizione del reliquiario era prevista per il 2 luglio (festa della Visitazione),ed eventuali ostensioni straordinarie potevano essere autorizzate solo daicustodi delle chiavi. Il notaio del comune doveva essere sempre presente aglispostamenti delle reliquie, registrando il tutto in un libro appositamente con-servato nella cancelleria comunale. Per tutti gli inadempienti erano stabilitesevere pene pecuniarie, che per la metà sarebbero state incamerate dal comu-ne, per la restante metà dalla cappella del reliquiario, a copertura delle speseconnesse alla conservazione ed ostensione delle reliquie. Il giorno seguente (3

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luglio) il Capitolo della pieve doveva celebrare l’uffizio dei morti per il vesco-vo Iacopo e i defunti della famiglia, con almeno trenta messe, di cui una solen-nemente presenziata dal vescovo cortonese o dal suo vicario. Il 2 luglio i prio-ri del comune dovevano recare alla cappella del reliquiario un’offerta di ventilibbre di cera in fiaccole accese e simbolicamente consegnare una torcia acce-sa ad un rappresentante della famiglia Vagnucci. Le offerte complessivamenteraccolte in quel giorno dovevano essere convertite nei modi stabiliti dal vesco-vo, dai priori e dai soprastanti delle reliquie.

37 BAEC, ms. 739, cc. 11r-16v e 21r-26r; alla c. 43rv si trova invece unestratto settecentesco dei medesimi capitoli.

38 Ivi, cc. 16v-18r e 26r-28r. Nella bolla si conferma che, all’epoca dellasuccessiva donazione da parte di Niccolò V, il Vagnucci era vicecamerlengo,vicetesoriere e familiare del pontefice. Dal contratto di donazione emerge cheun altro privilegio venne rilasciato dal cardinal ruteno Isidoro, il quale dichia-rava che in passato aveva venerato la reliquia nella città di Costantinopoli eaveva visto altri fare altrettanto: entrambe le bolle vennero collocate all’inter-no dell’armadio delle reliquie.

39 Questa donazione avvenne tra il 1443 (elezione a patriarca di Gregorio)e il 1446, quando Teodoro Paleologo, despota di Selimbria, scompare dallastoria, essendosi fatto monaco ed avendo ceduto tutti i suoi diritti all’altro fra-tello Costantino, ultimo imperatore bizantino (1448-1453). Cf. GHEYN1903, pp. 8-12 e 17-20.

40 “Vidit deinde quamplures sanctorum reliquias et presertim de crucedomini nostri Iesu Christi, quas reliquias omnias vidit conservari retro altaremaius” (ADC, Visitatio civitatis..., c. 10r); “fu questo prelato affezionatissimo allasua patria, onde alla cattedrale di quella donò molte insigni reliquie, fra le qualivi è quella della croce santissima del Signore Nostro in una croce d’oro” (ACDF,Salvini, Vite e memorie...); “monsignor Iacopo Vagnucci [...], insieme con buonnumero di altre sante reliquie, da diversi prelati donateli, [...] donò il tutto allasua patria di Cortona [...]. In oltre nella medesima chiesa si venerano parimen-te molti pezzetti del legno della santissima croce” (TARTAGLINI 1700, pp. 82-83).Si aggiunga poi che lo stesso documento del 1458 si riferisce alla donazione dipiù reliquie, anche se ad essere menzionato è soltanto il Reliquiario Vagnucci.

41 COLLARETA 1987b, p. 27.42 ADC, Visitatio civitatis..., c. 10r.43 LAURO 1633-1639, parte II, c. 17rb. Dal registro del reliquiario risulta

comunque che la pratica dell’ostensione pasquale (nei mesi di marzo-aprile) siaffermò da subito, già a partire dal 1459 (e ciò confermerebbe la compresen-za di un’altra teca contenente il legno della Vera Croce, “complementare” allastatuetta portacroce del Reliquiario Vagnucci).

44 UCCELLI 1835, p. 128 e nota 2; MANCINI 1899, p. 493.45 BAEC, Braccioli, Stemmi e brevi notizie..., c. 7v; MANCINI 1897, p.

336. Nel Braccioli una nota a piè della carta ci informa che lo stemma vennelevato dal coro del duomo nel 1787.

46 Si fornisce di seguito la bibliografia relativa a questo secondo reliquia-rio: BAEC, Memoria del reliquiario..., c. 18v; LAURO 1633-1639, parte II, c.19v; UGHELLI [1644], tomo I, col. 1164; TARTAGLINI 1700, pp. 95-96;BAEC, Vita del vescovo..., p. 68; ACDF, Salvini, Vite e memorie...; CRONACHE1896, p. 43; MANCINI 1897, p. 338; DELLA CELLA 1900, p. 154; TAFI 1989,pp. 308 e 349; CARACCIOLO 2005c, pp. 65 e 79-80, nota 9.

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47 Che questa chiesa fosse un luogo-simbolo del culto alla Madonna ètestimoniato dalla vicenda della pala di Andrea del Sarto oggi a palazzo Pitti(Firenze), rappresentante l’Assunzione della Vergine: essa fu commissionata dalcardinal Passerini per volontà della madre che, riavutasi da una grave malattiaper intercessione della Madonna, Le volle dedicare una sontuosa cappella nel-la chiesa dei Servi.

48 UGHELLI [1644], tomo I, col. 1164; CRONACHE 1896, p. 43.Nell’Ughelli “hac fede” non ha senso, ma può essere corretto con “hac sede”che compare nel Salvini (ACDF, Vite e memorie...).

49 La cosiddetta “Guerra di Siena” (1552-1559), che portò alla fine dellaRepubblica senese e al suo incorporamento in un più ampio stato regionale fio-rentino, non fu altro che il terreno di scontro tra la monarchia francese e l’Imperodi Carlo V per il predominio nella penisola. I borghi di Cortona, addossati allemura e, a loro volta, recintati e dotati di opere di fortificazione, caddero per ragio-ni di ordine pubblico e al fine di permettere una migliore difesa della città.

50 TAFI 1989, pp. 348-351.51 Ibidem. La chiesa mantenne la sua intitolazione, ma fu consacrata alla

Madonna Addolorata (sull’altare maggiore venne infatti trasferital’Assunzione della Vergine di Andrea del Sarto); durante la permanenza deipadri, essa subì grosse trasformazioni, con l’aggiunta delle navate laterali giàvisibili nella pianta del Berrettini del 1634 (fig. 115, n. 18). Nel 1788 iServiti si trasferirono nel convento del soppresso ordine domenicano, men-tre il complesso di Sant’Antonio venne ceduto all’Ospedale, per poi diven-tare la sede di una confraternita laicale. Nel 1875 vi si stabilirono i monaciCistercensi: dalla loro partenza (1976) la chiesa è caduta in uno stato dideplorevole abbandono (ivi, pp. 304-306).

52 Ibidem. È interessante l’associazione del culto di Onofrio (IV-V secolo)con quello di Antonio (251-356), altro santo anacoreta orientale, ma ben piùvenerato in Occidente: anche Antonio, come san Paolo Eremita (III-IV seco-lo), Onofrio e Pafnuzio, scelse di ritirarsi nella solitudine del deserto egiziano,nella Tebaide. Si noti che la “cruccia rustica” a forma di “T”, con la qualeOnofrio e Antonio sono sovente rappresentati, venne assunta come insegnadai religiosi ospedalieri dell’ordine di Sant’Antonio di Vienne.

53 DELLA CELLA 1900, pp. 155-156.54 Sulla tela opistografa dell’Accademia, cf. MANCINI 1903, pp. 174-175;

KANTER 1994, pp. 207 e 210-211; KANTER-HENRY-TESTA, 2001, p. 259.55 DELLA CELLA 1900, p. 202.56 Ivi, pp. 150-155.57 ASF, Diplomatico, Pergamene del convento dei Serviti di Cortona (1260-

1751), 15 settembre 1483. Si noti la vicinanza di questa data con quella del10 settembre che compare nel Reliquiario Vagnucci.

58 LAURO 1633-1639, parte II, c. 19v; BAEC, Vita del vescovo..., p. 68;EUBEL 1913, p. 138.

59 LAURO 1633-1639, parte II, c. 19v; TARTAGLINI 1700, pp. 95-96.60 ACDF, Salvini, Vite e memorie...61 Si tratta probabilmente di un anello-sigillo maschile del I sec. d.C., non

essendo in alcun modo attestato presso gli ebrei, almeno nei primi secoli del-l’era cristiana, l’uso di scambiarsi l’anello durante il rito matrimoniale. L’anello,traslucido e di colore grigio tendente al giallo, è realizzato in calcedonio, pesa15 grammi e ha un diametro interno medio di 15 millimetri; nel lato inferio-

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re risulta schiacciato e presenta una cavità profonda 3-4 millimetri (fig. 117).La leggenda vuole che esso sia stato trafugato a Chiusi da un certo fra Vinterioda Magonza, Minore Conventuale, il quale sarebbe stato indotto da alcunieventi soprannaturali a consegnare la reliquia nelle mani delle autorità perugi-ne. Sull’argomento esiste un’abbondante letteratura che, dalla fine del ’500,giunge fino ai testi di Adamo ROSSI (1857) e di Ettore RICCI [1942]; ne han-no scritto con molta chiarezza Giovanna CASAGRANDE (1987, pp. 155-183) eMaria DURANTI (1992, pp. 363-372); recentemente (CARACCIOLO 2005c), ungruppo di ricercatori ha studiato la reliquia sotto tutti gli aspetti (leggendario,storico, storico-artistico, antropologico, devozionale, religioso, gemmologico),nella prima opera monografica di carattere scientifico ad essa dedicata.

62 ASP, ASCP, Riformanze, n. 109 (1473), c. 70r; cf. PELLINI 1664, parteII, p. 722 (nelle pagine seguenti lo storico narra diffusamente la leggendaanteriore e successiva al furto del frate).

63 DURANTI 1992, p. 363 e nota 1.64 Già ai primi di ottobre del 1473 venne creata la magistratura dei Dieci

dell’Arbitro, affinché la città non si trovasse impreparata ad eventuali iniziati-ve dei senesi volte a recuperare la reliquia (ASP, ASCP, Riformanze, n. 109[1473], c. 94v; cf. PELLINI 1664, parte II, p. 732).

65 Significativo che i magistrati comunali, quasi presi in contropiede dalcomportamento risoluto del vescovo, inviassero prontamente alcuni amba-sciatori al papa (che si trovava in villeggiatura estiva a Tivoli), per sapere seautorizzava la permanenza a Perugia della reliquia (ASP, ASCP, Riformanze, n.109 [1473], cc. 71v-72r; cf. PELLINI 1664, parte II, p. 729).

66 Si ricorderà che il primo è il personaggio che nel 1459 aveva “soffiato” alVagnucci la carica di tesoriere generale. Le vicende di questi anni, ampiamentedocumentate dai libri consiliari del comune perugino, si possono leggere nellevarie cronache della città: GRAZIANI \ FABRETTI 1850, pp. 644-646; DIGIOVANNI \ SCALVANTI 1903, pp. 241-245; PELLINI 1664, parte II, pp. 729-734.

67 ROSSI 1857, p. 64; RICCI [1942], pp. 8-10. Su tali rapporti, cf. par. I, 4.68 DURANTI 1992, p. 366, nota 9.69 Cf. CARACCIOLO 2005c, pp. 65-67. Al Vagnucci porta anche il nome

di Bartolomeo Caporali, autore insieme a Sante di Apollonio del Celandro delcosiddetto Trittico della confraternita della Giustizia (1475 ca, GalleriaNazionale dell’Umbria), nel quale è rappresentata santa Mustiola (leggendariadepositaria della reliquia, in quanto titolare della basilica chiusina in cui essafu conservata fino al 1250 circa) nell’atto di mostrare l’anello penzolante dauna cordicella dorata. Sul problema iconografico sollevato dall’opera, il cuiscopo era quello di favorire il trapianto della reliquia in territorio perugino, cf.DURANTI 1992, pp. 367-369; CARACCIOLO 2005c, pp. 68-72. Sul trittico, sivedano anche SANTI 1985, pp. 65-66; LUNGHI 1996, pp. 194-195;MERCURELLI SALARI 2004, pp. 198-199.

70 ASP, ASCP, Riformanze, n. 109 (1473), c. 73rv; cf. PELLINI 1664, par-te II, p. 730. La DURANTI (1992, p. 366) interpreta la decisione di non collo-care subito la reliquia in duomo come un atto di buon senso, finalizzato a nonprovocare ulteriormente la depredata Chiusi; ma è assai più probabile chel’erigenda cattedrale non garantisse le necessarie misure di sicurezza, per cuil’anello vi venne traslato solo dopo l’inaugurazione del gennaio 1487. Sullechiavi del Sant’Anello, salite da undici a quattordici dopo il trasferimento delforziere in duomo, cf. CARACCIOLO 2005c, pp. 67-68.

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71 “Interfuit maximus et innumerabilis populus numero quasi trigintamilia et ultra” (ASP, ASCP, Riformanze, n. 109 [1473], c. 77r). Qualche gior-no prima, una disposizione comunale aveva stabilito tre date per l’ostensionedell’anello: il giorno di Pasqua, il 3 agosto e il primo di novembre; alla fine del1474, invece, si decise per la sola data del 2 agosto, poi diventata tradiziona-le. Oggi la reliquia viene mostrata negli ultimi giorni di luglio, a ricordo delsuo primo approdo sulla scena perugina (29 luglio 1473) e della sua traslazio-ne definitiva nella cattedrale di San Lorenzo (31 luglio 1488).

72 Ivi, c. 107v; cf. DI GIOVANNI \ SCALVANTI 1903, p. 244; PELLINI 1664,parte II, p. 733.

73 ASP, ASCP, Riformanze, n. 110 (1474), cc. 45v-46r e 114r. Ricalcandouna strategia già in atto a Chiusi, dove la reliquia veniva esposta il 3 agosto alloscopo di “catturare” il flusso dei pellegrini di ritorno dalla festa del Perdono diAssisi, tale data divenne tradizionale anche per i neo-possessori che, però, prefe-rirono subito anticiparla al giorno precedente (2 agosto), evidentemente per lamaggiore vicinanza tra Perugia ed Assisi (DURANTI 1992, p. 364, nota 3).

74 Cf. CRISPOLTI iunior 1648, p. 65. Fra Bernardino lasciò Perugia allafine di aprile del 1487, dopo aver concluso la sua predicazione quaresimalenella piazza Maggiore, alla presenza di una gran folla di cittadini (DIGIOVANNI \ SCALVANTI 1903, p. 406). La prima matricola maschile dellacompagnia copre il periodo 1487-1542 (BAP, ms. 3106): i suoi aderenti siregistravano attraverso una dichiarazione d’impegno di contenuto libero,spesso autografa. Vi compaiono anche nomi di pittori: nel 1487, al nume-ro 82 (c. 13r), troviamo Niccolò di Niccolò del Pocciolo, fratello diPierantonio; nel medesimo anno, al numero 98 (c. 14r), BartolomeoCaporali, che nel 1489 farà da procuratore al Pintoricchio relativamente allacommissione della tavola d’altare (Sposalizio della Vergine), poi finita alPerugino (1499). Sulla matricola della confraternita, cf. CASAGRANDE 1987,pp. 163-182 (la studiosa ha anche redatto una trascrizione manoscritta deltesto delle registrazioni).

75 Per tutto ciò che riguarda l’altare di San Giuseppe (il suo artefice, la suaconformazione originaria anche in relazione al quadro del Perugino, le trasfor-mazioni successive, i documenti e la bibliografia), si rimanda a CARACCIOLO2005c, pp. 72-79.

76 DI GIOVANNI \ SCALVANTI 1903, p. 424 e nota 2. Nel 1496 fra Micheleavrebbe istituito in cattedrale la compagnia del SS. Sacramento, dal 1583 uni-ta proprio a quella di San Giuseppe (CRISPOLTI iunior 1648, p. 65). Il suonome non compare tra quelli dei Minori dell’Osservanza iscritti alla compa-gnia del Sant’Anello. Questo personaggio non va confuso con quel beatoMichele Carcano da Milano (1427-1484) che, nel 1462, si era scagliato con-tro l’usura ebraica, ispirando l’istituzione del Monte dei Poveri.

77 ASP, ASCP, Riformanze, n. 120 (1487-1488), cc. 81r-82r; cf. PELLINI1664, parte II, p. 842.

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Appendice A

Documenti

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AVVERTENZE

Si sceglie di modernizzare l’uso delle maiuscole e della punteggiatura. I casilessicali anomali (anche per errore dell’estensore) vengono trascritti alla lette-ra. I riferimenti “bibliografici” sono compendiati, mentre le abbreviazionivengono sciolte. Per quanto riguarda invece la grafia, si seguono le norme con-suete della trascrizione paleografica. Questi, infine, i simboli utilizzati:

[ ] = integrazione del testo[...] = salto di trascrizione (o lacuna nel testo)[?] = omissione di parola incomprensibile(?) = restituzione incerta della parola(sic) = così nel testo

1. Girolamo Bigazzini:Vita di Iacopo e Dionisio Vagnucci

Vescovi dell’illustrissima città di Perugia, copia di PompeoBalzi (1642), BAP, ms. 1336, c. 9v (7v a matita).

Iacomo Vannucci da Cortona, vescovo di Perugia. Fu fattol’anno 1449, secondo le Memorie della catredale (sic) e nelPellino (parte II). Morì detto vescovo Iacomo dell’anno 1487\ Pellino (parte II). L’arme di lui è nell’invetriata sopra l’altaredi Santo Stefano posto in San Lorenzo domo (sic) di Perugia,fatta fare da uno di questi vescovi di Casa Vannucci. Morì adì28 gennaro 1487 e fu sepolto in San Lorenzo domo di Perugiacon molto honore, [come] appare per mano del sudetto Sozii.

Dionigio Vannucci da Cortona, vescovo di Perugia e nipo-te del sudetto vescovo Iacomo. Successe al zio nell’anno 1487\ Pellino (parte II) e nelle Memorie della catredale di Perugia,nelle quali anche si ha che fece l’altare di Sant’Honofrio in SanLorenzo domo di Perugia, ove oggi è [la] cappella ornata dalcanonico Salvuccio Salvucci dedicata a santo Stefano. Morìdetto vescovo Dionigio l’anno 1491, secondo le Memorie del-la catredale e il Pellino (parte III). Morì adì 9 aprile 1491,come si vede nelle Memorie del quondam Raffaello Sozio gen-tilhuomo perugino.

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2. Ferdinando Ughelli: Vita di Iacopo e Dionisio Vagnucci

Italia sacra sive de episcopis Italiae, Romae 1644, editiosecunda aucta et emendata, Venetiis 1717, tomus pri-mus complectens ecclesias Sanctae Romanae Sediimmediate subiectas, col. 1164.

Iacobus Vannuccius, nobilis cortonensis, ariminensis anteaepiscopus, ad hanc perusinam Ecclesiam translatus est anno1449 postrema die expirantis octobris.

Vir doctrina preclarus, intimus cubicularius a secretisqueNicolai V summi pontificis, singularique dexteritate in politi-cis explicandis componendisque negotiis fanensibus aliisque,Ecclesiastice Ditionis civitatibus ius incorruptum dixit.

Quibus negotiis distentus fuit usque ad annum 1456, occe-pitque sibi creditam administrare Ecclesiam die 25 mensismartii, a perusinis populis solemni pompa exceptus1.

In cathedrali sancto Onuphrio, suo tutelari divo, sacellumdicavit, ubi postea tumulatus quievit.

Imperatorem Fridericum Franciscumque Roboreum, quipostea Sixtus IV summus pontifex fuit, munificentissimeexcepit hospitio.

Cumque anno 1472 Deipare Virginis anulus pronubusPerusiam fuisset delatus, illum summo honore decentiaquecondidit in cathedrali. Cuius sane ingentis reliquie historiamIohannes Baptista Laurus erudite perscripsit.

Nepoti perusinam deinde cessit Ecclesiam ac Nicee archiepi-scopus renuntiatus est anno 1482, inque plebaniam corscianamdiecesis perusini sibi ipsi victurus se recepit, ubi in senectutebona quievit anno 1487 mense ianuario, delatusque Perusiamin summa ede, in Sancti Onuphrii sacello, conditus iacet.

Hic presul beatissime Deipare Virgini devotissimus fuit.Quamobrem in cortonensem Ecclesiam, ubi fuerat natus,multa contulit ornamenta, precipue autem Servitis fratribusplures sanctorum reliquias eleganti vase inclusas, ubi etiamVirginis Marie capilli asservari dicuntur, dono dedit, circaquevas hec carmina incisa leguntur:

PIXIDE INAURATA POSUIT VANNUCCIUS HEROSCAESARIEM SACRAM VIRGO BEATA TUAM

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OSSAQUE SANCTORUM FELICI HAC FEDE (sic)2 QUIESCUNTQUORUM ANIMAE IN COELIS GAUDIA VERA FERUNT

Dionysius Vannuccius cortonensis, preteriti nepos, ex ces-sione patrui episcopatum obtinuit, Sixto IV sedente, anno1482 die 29 mensis maii.

Herculani II pontificis perusini ac martyris invicti transtu-lit corpus die 10 mensis februarii 1487, SanctorumqueStephani ac Benignatis (sic) sacellum in cathedrali construxit,ubi beati Benignatis corpus conditum iacet.

Decessit autem 1491 die 9 mensis aprilis, inque cathedraliprope patruum sepultus est.

3. Salvino Salvini: Vita di Iacopo Vagnucci

Vite e memorie de’ nostri canonici della Metropolitanafiorentina (1751), tomo II (dal 1400 al 1500), ACDF,cc. non numerate.

Iacopo di Francesco di Giovanni Vagnucci da Cortona,nobile e possente famiglia arricchita di feudi e d’altri privilegiin Toscana.

Per notizie venutemi di Cortona per mezzo del non mencortese che virtuoso Anton Maria Pitti, allora depositario pelgranduca in quella città ed ora col nome di Cosimo degnissi-mo religioso delle Scuole Pie, [?] il nostro Iacopo, presa la lau-rea del dottorato in leggi nello Studio di Bologna, meritò per lemolte virtù sue e singolari qualità d’essere sempre impiegato dacinque sommi pontefici in isplendidi ed importanti maneggi.

Io trovo in un rogito di ser Bartolo Giannini all’ArchivioGenerale che egli l’anno 1445 ottiene un canonicato nel duomodi Firenze; ed in altro rogito di ser Filippo Mazzei in detto archi-vio de’ 6 giugno del 1447 si narra come, fino del 1443, il dettoIacopo aveva l’espettativa nel canonicato fiorentino da EugenioIV, “cuius erat supplicationum de ipsius mandato signatarumregistrator nec non reverendissimi patris et domini FrancisciClementis cardinalis et vicecancellarii continuus commensalis”,e che egli possedeva il canonicato fiorentino per morted’Antonio dell’Antella che morì nel 1445, per conto del quale

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era sorto litigio con Antonio Tornabuoni, a cui poi il Vagnuccidovette cedere il canonicato. In detto protocollo è una bolla diNiccolò V che chiama il nostro Iacopo dottore in ambe le leggi,chierico della Camera Apostolica e suo familiare.

In una filza d’atti beneficiali di quei da Lutiano3 nell’archi-vio del nostro arcivescovado si trova che l’anno 1447 egli pren-de il possesso d’un canonicato nella Primaziale di Pisa. InBologna esercitò la carica di auditore del cardinale di SantaCroce4 e quindi, portatosi a Roma, da Eugenio IV fu dichiara-to collettore nelle parti di Lombardia e di poi maestro del regi-stro e auditore insieme del cardinale di Bologna che, l’anno1447, creato pontefice col nome di Niccolò V, fece subito mes-ser Iacopo suo chierico di Camera [?] e l’anno dopo gli conferìil vescovado di Rimini; ma, appena tenutolo un anno, passò areggere la Chiesa di Perugia. Intanto, valendosi il pontefice dilui nelle cariche di segretario, vicecamerlingo, vicetesoriere,commissario delle genti d’arme della Chiesa e di governatore diBologna e suo vicegerente, non prima che l’anno 1456 potèprendere l’amministrazione del vescovado di Perugia, solenne-mente incontrato da quei cittadini il dì 25 di marzo. Da CalistoIII fu dichiarato referendario e susseguentemente da Paolo IIeletto governatore di Norcia, di Fano, di Spoleto, di Narni ed’Amelia e finalmente governatore di Roma.

Fu questo prelato affezionatissimo alla sua patria, onde allacattedrale di quella donò molte insigni reliquie, fra le quali viè quella della croce santissima del Signore Nostro in una cro-ce d’oro [e quella] della veste inconsutile del medesimo, a luidonate da Nicolò V pontefice, al quale furono portate dalpatriarca di Costantinopoli, cavate da quella città l’anno 1450,quando ella fu presa da’ Turchi5, come ben si riconosce dallememorie che allora furono scritte per dette reliquie dal vesco-vo e dal Capitolo unitamente col consiglio della città diCortona, dal quale si deputa un magistrato che abbia la curadelle medesime e intervenga quando si scuoprono al popolo,coll’assistenza d’uno della famiglia Vagnucci che precede almagistrato e tiene le prime chiavi di quelle.

L’anno 1483 a 15 di settembre, ritrovandosi il nostro mon-signor Iacopo in Cortona insieme con monsignor DionigiVagnucci suo nipote e successore nel vescovado, fece fare amonsignor Cristofano de’ marchesi di Petrella6 una solenneprocessione, alla quale il nostro Iacopo portò dei capelli dellabeatissima Vergine in un reliquiario e, terminata la processio-

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ne nella chiesa di Santa Maria de’ Servi allora fuori della città,donò quel prezioso tesoro a detta chiesa, la quale, trasferita poiin città, conserva ancora quella reliquia; e intorno al vaso sileggono questi versi, riportati anche dal padre Giani negliAnnali de’ Servi e dall’Ughelli nell’Italia Sacra:

PIXIDE INAURATA POSUIT VANNUCCIUS HEROSCAESARIEM SACRAM VIRGO BEATA TUAM

OSSAQUE SANCTORUM FAELICI (sic) HAC SEDE QUIESCUNTQUORUM ANIMAE IN COELIS GAUDIA VERA FERUNT

Anche l’anello di Maria Vergine, portato l’anno 1472 aPerugia, fu da lui ricevuto con grande onore e riposto nellacattedrale.

Un’anno avanti avea egli ricevuto in Perugia Federico IIIimperatore, col quale era il cardinale Della Rovere che, ascesoal pontificato col nome di Sisto IV, creò il Vagnucci arcivesco-vo di Nicea nel 1482, come afferma Cesare Crispolti nella suaPerugia Augusta (libro II). Ed egli, cedendo il vescovado aDionigi di Pietro Vagnucci suo nipote, si ritirò a far vita soli-taria alla pieve di Corciano, luogo fuori Perugia, ove in etàdecrepita se ne morì l’anno 1487, il giorno 28 di gennaio; e fuil suo corpo trasferito in quella città e datogli sepoltura nellacattedrale entro alla sua cappella, che egli vi edificò allato allasagrestia in onore di sant’Onofrio suo protettore e avvocato,ove è la bella tavola dipinta da Luca Signorelli da Cortona,assai lodata dal Vasari, sotto la quale sono queste lettere, ripor-tate pure dal Crispolti suddetto: [...].

Gli scrittori che parlano di Cortona non lasciano di nomi-nare con lode questo prelato. Il Biondo da Forlì nell’ItaliaIllustrata, ragionando di quella, dice: “quam Iacobus perusinusepiscopus civis suus nunc plurimum exornat”. Leandro Albertinella Descrizione d’Italia soggiugne: “ha illustrato questa città,questi anni passati, Silvio cardinale della Chiesa romana, fattoda Leone X, et Giacomo vescovo di Perugia”7. [...]

Sono fioriti in questa famiglia tre altri degni prelati, mon-signor Onofrio di Candido, cameriere e datario di ClementeVII e di Paolo III sommi pontefici, monsignor Francesco emonsignor Iacopo suoi fratelli, il primo governatore di Cittàdi Castello e il secondo di Foligno e Perugia8.

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4. Notti Coritane: Vita di Iacopo Vagnucci

Notti Coritane, vol. VIII (1751), BAEC, ms. 440,pp. 66-71.

Notte XXII.Nello Spedale Maggiore, 8 giugno 1751. [...][66] Furono portati i seguenti ricordi della persona di mon-

signor Iacopo di Francesco Vagnucci, vescovo di Perugia earcivescovo di Nicea.

Vita del vescovo della Casa di Vagnucci di Cortona.Sia noto come messer Iacomo di Francesco Vagnucci fu pri-

ma vescovo di Arimmine e poi vescovo di Perugia, ultimamentearcivescovo di Nicea d’Asia della Bithinia, la qual sua Vita auten-ticamente fu scritta da Pietro di Francesco Vagnucci, suo fratel-lo, e copiata da me, Francesco di Cornelio di Francesco diAgnelo di Vagnuccio di Pietro di Ristoro di Maffeo de’ Vagnuccida Cortona città di Toscana, e ricopiata da me, Ottavio diFabrizio di Iacopo di Sebastiano Vagnucci, nell’anno 15829.

Al nome di Dio, adì 24 di maggio 1469.Qui di sotto io, Pietro di Francesco, farò ricordo di messer

Iacomo, secondo genito, vescovo di Perugia, figliolo di dettoFrancesco.

In prima detto messer Iacomo, secondo genito, stette aPerugia a studio in casa di Giovanni di Petruccio del Velinostro amico e stette ad udir leggere alquanti anni; e di poi sipartì ed andò alla Città di Castello, e ridussesi con i fratiIngesuati e stette solitario e vagabondo ben nove mesi; e da poisi partì ed andò a Fiorenza in quel tempo, et era papa EugenioIV di nazione veneziana, e fe’ una disputazione così dotta chenon si potrebbe dir con quanto onore fosse riceuto.

Venendo all’orecchie del cardinale di Santa Croce10, che eradell’ordine de i frati Certosini, avendo notizia e grand’amici-zia con frate Niccolò, priore del luogo della Certosa di Firenze,essendo parente e nostro zio, lo volse tenere in casa. Il dettocardinale in quel tempo vacò (?) in corte [...] del registo (sic)della supplicazione in cat. (?), e fu dato al detto messer Iacomoe sotto fiorini (?) 600, e questo fu suo principio di corte.

Item, il sopradetto, stando in casa con il detto cardinale,avendo amicizia con un messer Thomaso da Serezzana, accadde

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che il detto messer Thomaso fu vescovo di Bologna e cardinalee papa in un medesimo anno11, [67] e il sopradetto vescovo lovolse in casa e fello suo segretario, e da poi si fe’ chierico diCamera Apostolica e stette ben tre anni e poi salì più oltre.

3. Prima che entrasse in detto luogo, s’addottorò in Bolognain utroque iure hoc est civili et canonico, come sono le bolle incasa, e tornò a casa con gran favore e di poi tornò alla corte.

4. Il detto messer Iacomo Vagnucci fu creato da papaNi[cc]ola vescovo di Rimmini e, stato vescovo di Rimmini perspazio di dua anni, accadde che morì il vescovo di Perugia, et ivifu eletto per 25 anni et ebbe la badia di Farneta in commenda12.

5. Il detto monsignor vescovo di Perugia fu mandato gover-natore di Bologna dal sopradetto papa e governò ben mesi dicen-nove (sic) e di poi tornò a Roma con gran corte13; et abbiamo labandiera in casa di seta azzurra con l’orso ritto, la qual bandierala teneva alla porta del palazzo del governatore di Bologna.

6. Item, fu detto monsignor vescovo di Perugia fatto vice-camerlingo e tesauriere maggiore del papa e luogo tenente del-l’armi: andò al campo a Viterbo et ebbe grand’onore.

Item, il detto monsignor vescovo resse e governò il tempo-rale e lo spirituale per tempo di anni otto, detrattone il tempodi papa Niccola V14.

Item, il detto monsignore vescovo stette in castello a tempodi papa Calisto e non si partì mai di Roma, e il detto papa lo ten-ne suo referendario, e tutti gl’altri di casa di papa Niccola si fug-girono, e stette il sopradetto vescovo sempre a paragone e volse-li gran bene. Detto papa Calisto III era di nazione spagnola.

Item, alla morte di papa Pio II di nazione senese, il re [di]Aragona et il collegio de’ cardinali mandarono per il dettomonsignor vescovo patente che andasse governatore a Fano,in detto vicariato: stette doi anni in governo in Fano15, e unanno fu potestà messer Pier Lorenzo nostro fratello e unanno stette Pietro nostro fratello castellano della rocca diFano, un anno con trenta paghe, che se fe’ buon guadagno eandava in governo.

Item, il detto monsignore vescovo fu mandato in dettotempo da papa Pauolo (sic) II di nazione veneziana governato-re di Spoleto, di Narni, di [A]melia, di tre città, e stette doianni in detto governo.

[68] Item, che in detto tempo papa Pauolo II lo mandò aNorcia che si era ribellata, e fu del 1467 e vi stette una verna-ta con il campo16, e fella ritornare alla devozione e governo che

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erano stati sempre liberi e prese tutti li castelli e fortezza di det-ta terra e partisse con grand’onore.

Item, che il detto comprò una casa in Roma in Navona divaluta scudi mille in circa del guadagno di Fano.

Item, che il detto monsignore comprò una scrittoria a mes-ser Dionigi nostro lire (?) 160 da un messer Mattio daCastiglione Aretino.

Item, che il detto messer Dionigi ha auto un offizio in cor-te di Roma che si chiamò acolito di papa Pauolo II, e assistet-te et è degno offizio.

Aggiunta di F. V. C. [= Francesco Vagnucci Cortonese]Il detto messer Iacomo vescovo di Perugia donò alla catte-

drale di Cortona, del 1458 adì 2 di luglio, le reliquie che oggivi sono17.

Item, l’anno 1478 papa Sisto IV lo lasciò vicecamerlingo egovernatore di Roma in sua assenza, e n’hanno oggi le bolle lifiglioli di Pietro Vagnucci.

Item, le soprascritte partite e ricordi si trovano in un librodi Pietro di Francesco de’ Vagnucci, de mano del detto Pietro;oggi detto libro è in mano del cancelliere Francesco e dell’al-fier Candido, fratelli e figlioli di Pietro di Candido Vagnucci,e detto alfiere l’ha copiate e date a me Francesco di Cornelio,et è scritto questo [nell’]anno presente 1577 del mese di otto-bre di detto anno18.

Item, il Crocifisso d’oro, il quale al presente è nel domo(sic) di Cortona, pesa libbre tre e once nove; lo donò il mar-chese di Ferrara al sopradetto vescovo, in ricompensa di un belcavallo quale gli aveva donato il detto vescovo, che non gne(sic) ne haveva voluto vendere per denari.

Item, adì 15 di settembre 1483 detto messer Iacomo arcive-scovo di Nicea e messer Dionigi Vagnucci vescovo di Perugiadonarono una biettarella di capelli della Vergine Maria a SantaMaria de’ Servi, all’ora fuora delle mura di Cortona, e feronouna processione ove fu ancora il vescovo di Cortona messerCristofano da Pratell19: e così in un dì si trovarono insieme trevescovi cortonesi che, al tempo di me, Francesco di CornelioVagnucci, Cortona non ha hauto, se non Alticozio Alticozivescovo di Guardia, e prima [69] fu vicelegato di Bologna e pri-ma auditor del cardinale Sforza al Concilio di Trento.

Di (?) più seguono ricordi, seguiti di Pietro di Francesco,scritti dall’alfiere Candido di Pietro di Candido Vagnucci.

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Il sopradetto Dionigi, figliolo del sopradetto Pietro diFrancesco de’ Vagnuccio, fu di poi vescovo di Perugia, che gnene rinunziò messer Iacomo suo zio e commendatario dellabadia di Farneta, e messer Iacomo restò arcivescovo di Nicead’Asia, al che appare nella tavola dell’altare della cappella diSan Lorenzo in Perugia, a man sinistra dell’altar maggiore.

Adì 23 di marzo 1594.Memorie che fin di presente si vedono in Perugia del vesco-

vo de’ Vagnucci e vescovo di detta città e massime di monsi-gnore Iacomo primo vescovo et [...].

Primo, nel libro dove sono registrate le costituzioni et ordi-ni dell’almo collegio Gregoriano detto Sapienza Vecchia di det-ta città, quale sta sotto il governo e regimento del vescovo didetta città e dell’abbate di Monte Morcino, appariscono moltecostituzioni in più tempi fatte dal detto monsignor vescovo etda un messer Forese Vagnucci dottore o pure da un messerFabio Bertii da Monte Pulciano suo general vicario; e prima nelsopradetto libro, a 61 sino a 77, si vedono molte costituzionifatte alcune dal detto monsignore vescovo e altre da i detti mes-ser Fabio e messer Forese suoi vicarii; e le prime furono fatte adì23 di maggio 145420, al tempo del pontificato di Pio II, anzine apparisce una a 69 fatta dal detto vescovo adì 28 di settem-bre 144621; e per quanto si vede in detto libro, non sono mes-se per ordine, poi che le prime sono indietro, né è da maravi-gliarsi, per che queste che oggi appariscono non sono gli origi-nali, ma copie autentiche delle costituzioni tanto del vescovode’ Vagnucci quanto di tutti gl’altri, qual copia fu cavata del1565 e 1566 al tempo dell’illustrissimo e reverendissimo cardi-nal Della Corgna e vescovo di Perugia, come nel principio didetto libro si vede22. L’ultima costituzione di detto monsigno-re vescovo apparisce fatta adì 17 giugno 1472, al tempo delpontificato di Sisto IV, come in detto libro a 74 nella [70]seconda faccia, di modo che, per quanto dalle costituzioni edetti millesimi si puol raccogliere, il vescovo Iacomo Vagnucciresse il vescovado di Perugia anni 23, mesi 8 e giorni 20.

Item, nell’audienza overo cancelleria del sopradetto vescova-do, nella suprema parte del banco dove si siede pro tribunali, sivedono doi armi de’ Vagnucci = con mitre da vescovo sopra.

Item, in San Lorenzo chiesa cattedrale di Perugia, a manosinistra dell’altar maggiore e accanto alla sagrestia, apparisceuna cappella grande, nella quale vi è un altare con una bella

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tavola, dove sono dipinti una Nostra Donna con il Figliolo ingrembo, a mano destra della quale si vede un san GiovanniBattista et a sinistra un san Lorenzo.

Item, sotto al detto san Giovanni Battista un santoOnofrio, sotto a piedi di Nostra Donna un angelo che siede efinge di accordare un liuto, e sotto a piedi di san Lorenzo sivede un vescovo in abito pontificale, ma con la testa scoperta,e questa figura tengo per certo che sia il vero ritratto del vesco-vo Iacopo per molti argomenti: la sua effigie mostra molta gra-vità, ha la testa in gran parte calva, la fronte rugosa e crespaassai, come ancora tutta la faccia, il naso grosso lungo et aqui-lino, la bocca grossa e massime il labbro di sotto, quale è perla grandezza e per la vecchiaia; credo io sta assai riverniciatonel mento, quale a proporzione dell’altre parti è assai grande;et in faccia è tutto raso. Questo vescovo pure assai si assomi-glia a Angelo di Cornelio Vagnucci nostro e molto più a frateBernardino suo fratello23. Nel fregio di detta tavola si leggonoqueste parole, scritte a lettere d’oro manuscole (sic):

IACOBUS VANNUTIUS NOBILIS CORTONENSIS OLIM EPISCOPUSPERUSINUS HOC DEO MAXIMO ET DIVO ONOFRIO SACELLUMDEDICAVIT CUI IN ARCHIEPISCOPUM NICENUM ASSUMPTONEPOS DIONISIUS SUCCESSIT ET QUANTA VIDES IMPENSA RITEORNAVIT [AE]QUA PIETAS 1484

Sopra il detto altare si vede un gran vetriata grande et alta[e] - eccetto che in detta vetriata in luogo dell’angelo [che] tie-ne la tavola vi è un san Girolamo - nella quale sono le mede-sime figure che sono nella tavola, di statura di giusto homo; enella parte più bassa di detta vetriata appariscono tre armi [71]de’ signori Vagnucci, doi con le mitre da vescovo sopra et unacon la croce che fanno i governatori de’ popoli.

Item, sopra il cornicione della cappella si vede di più un’al-tra vetriata non tanto grande quanto l’altra, nella quale appari-scono doi altre arme di Casa Vagnucci, una con la croce soprae l’altra con la mitria. Di più nella sagrestia di detta chiesa sivede una bella et assai gran croce d’argento con il Crocifisso.

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5. Belforti-Mariotti:Vita di Iacopo e Dionisio Vagnucci

Serie de’ vescovi di Perugia dall’anno di Cristo 171 a tut-to l’anno 1785, ms. autografo di G. Belforti con note diA. Mariotti (ante 1785), BAP, ms. 1349, pp. 123-12824.

[123] XLVIII.IACOPO VANNUCCI.Nell’anno di Cristo 1449.Nato in Cortona di nobile famiglia, [124] per il suo meri-

to e per la sua virtù, mentre era chierico di Camera (vediScarmalli, nota in Hieronimi Aliotti epistulae), meritò d’esserepromosso nel 1448 alla Chiesa vescovile di Rimino, dalla qua-le fu trasferito a questa di Perugia li 31 ottobre 1449 daNiccolò V, di cui era stato cameriere segreto, segretario ed inti-mo confidente.

Prima d’intraprendere la carriera ecclesiastica, avevamostrata la sua abilità e destrezza nell’amministrazione di varigoverni nello Stato Ecclesiastico e, specialmente, nel compor-re alcune rilevanti differenze a Fano; e questi governi lo tenne-ro occupato per fino all’anno 145625, in cui ai 25 di marzoincominciò ad amministrare questa Chiesa, ricevuto da peru-gini con que’ preparativi di gioia che meritava la sua dignità eil suo arrivo da tanto tempo desiderato (Pellini, parte II).

Edificò da fondamenti nel duomo la cappella diSant’Onofrio, nella quale ordinò di essere sepolto, e dal celebreLuca Signorelli, suo paesano, vi fece dipingere quella tavola cheanche oggi ne adorna l’altare (vedi Lettere pittoriche perugine).

In questa medesima cappella, secondo che accenna il Tartaglininella Storia di Cortona e come afferma il Crispolti (PerugiaAugusta), si ha la seguente iscrizione: [...].

Questa memoria però presentemente non si vede, perché forsel’ornato moderno della tavola tutto indorato la copre (vediGalassi, Descrizione di San Lorenzo).

Furono dal Vannucci, con quella magnificenza che si con-veniva, ricevuti Federigo III imperadore e il cardinal DellaRovere, che fu poi Sisto IV.

[125] Nell’anno 1472, avendo un tal fra Vinterio, MinoreConventuale, involato nella chiesa di Santa Mostiola diChiugi il pronubo anello della santissima Vergine e quello

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recato in Perugia26, fu dal vescovo Iacopo con somma decen-za collocato nella cappella del Magistrato, da dove poi fu tra-sferito nella chiesa di San Lorenzo.

L’anno 1482 rinunziò questa Chiesa a Dionigi Vannuccisuo nipote, ed avendo per sé ottenuto il titolo di arcivescovodi Nicea, si ritirò alla pieve di San Giovanni di Corciano det-ta comunemente la Pieve del Vescovo, da lui risarcita e fornitadi quattro case nuove coloniche (da cartapecora presso di mesegnata n. 7), ove visse vita privata e in buona salute fino all’an-no 1487, in cui nel mese di gennaio passò all’altra vita.

Trasportatone il cadavere in Perugia, dopo le solenni esequiein cui fu lodato con orazion funebre da Carlo di Aurelio di Matteo(Bottonio, Memorie manoscritte; Memorie Auguste manoscritte),fu tumulato nel luogo che si era prescritto (Ughelli, n° 49).

In tempo di questo vescovo, vennero ad abitare in Perugiai canonici regolari di San Salvatore, detti volgarmenteScopettini, a’ quali fu ceduto con diverse riserve dalle mona-che di Monteluce [126] la chiesa e monastero annesso di SantaMaria degli Angioli, oggi detta Santa Maria de’ Fossi.

E fu edificata la chiesa di San Bernardino, la quale fu com-pita nel 1461 sotto la direzione di Agostino Della Robbia fio-rentino27.

Fu parimenti eretto in Perugia il Monte di Pietà ad insinua-zione del beato Giacomo da Montefeltre, MinoreOsservante28, quale ha il vanto d’essere stato il primo Montenel mondo, come lo attesta l’iscrizione:

HIC MONS PIETATIS PRIMUS IN ORBE FUIT29

Tanto il nostro vescovo Giacomo quanto Bartolomeo Regas prete-sero che ad un di loro fosse dovuta la carica di tesoriere pontificio sot-to il papato di Pio II, ma niun di essi l’ottenne, essendo stata confe-rita il dì 6 novembre del 1459 a Niccolò Fortiguerri detto di Teano,stato infino allora pro-tesoriero (Marini, Degli archiatri pontifici).

Nel 1460 si trovò il vescovo Iacopo alla consagrazione del-la cappella eretta nella cattedrale di Sarzana dal cardinalFilippo Calandrino da quella città e fratello uterino di NiccolòV (Targioni, Viaggi per la Toscana).

Flavio Biondi, parlando di Cortona, dice: “quam Iacobusperusinus episcopus civis suus nunc plurimum exornat” (Blondi,Italia illustrata).

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Vicario generale del vescovo Giacomo Vannucci fu per cinqueanni Fabiano Benci da Montepulciano, celebre canonista, e in talofficio era nel 1459 (da cartapecora presso di me segnata n. 7).

Nel dì 4 giugno 1460, in cui fu fatto cittadin perugino, peristanza ch’egli ne fece, nel partito si dice: “Reverendissimus dominusFabianus De Bencis de Montepolitiano, decretorum doctor, olimvicarius episcopi perusini et nunc auditor reverendissimi dominiAlexandri de Sassoferrato, cardinalis Sancte Subxanne” (AnnalesDecemvirales; vedi Tiraboschi, Storia della letteratura italiana).

Altro suo vicario fu poi Michelangelo Barbi di Cortona, che era intale officio nel 1472 (Annales Decemvirales), e poi Forese Vannuccidi Cortona e, dopo questo, nel 1480 era in detto officio AntonioPagani di Fermo (da cartapecora antica presso di me segnata n. 24).

Nel 1460 era vicario del vescovo di Perugia “Venerabilis etegregius decretorum doctor dominus Nicolaus De Ferrettis deMonte Fortino” (Spoglio Brunetti).

L’abbate Girolamo Aliotti aretino, la cui famiglia discendevadallo stesso stipite del nostro vescovo Iacopo Vannucci, gli scrisseuna lettera in data di Arezzo 7 febbraio 1473, in cui lo chiama“beatum et opulentum episcopum” (Hieronimi Aliotti epistulae).

Molti beni del vescovado furono da lui dati in enfiteusi fra il1465 e il 1473 (Archivio Pubblico Perugino, Rogiti Marsilii serFrancisci; Spoglio Brunetti).

XLIX.DIONIGI VANNUCCI.Nell’anno di Cristo 1482.Nipote del qui sopra detto Giacomo, che per rinunzia del

zio ottenne la Chiesa di Perugia li 29 maggio 1482.Nel dì 10 febbraio del 1487 fece la traslazione [127] del cor-

po di sant’Ercolano, vescovo e martire, protettore di Perugia.Fece parimenti inalzare a sue spese nella cattedrale l’altare

di Santo Stefano, nella cavità del quale sono riposte alcuneossa di san Bevignate, monaco perugino.

Assolvette questo vescovo, per comando del papa, il popo-lo perugino dalle censure e, coll’autorità del medesimo, fecedare il giuramento e i mallevadori alla scolaresca di Perugia, laquale in que’ tempi, con sommo danno e dispiacere de’ buo-ni, faceva spesso de’ pericolosi tumulti (Serie de’ vescovi).

Consagrò la chiesa di San Severo de’ monaci Camaldolensi(Crispolti, Perugia Augusta).

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Mancò di vita li 9 aprile 1491 o (come è scritto nel Libro mor-tuale di San Lorenzo) li 10, e fu [128] sepolto nella cattedrale enella stessa cappella ove era stato sepolto il zio (Ughelli, n° 50).

6. Cesare Crispolti senior:cappella di Sant’Onofrio (poi di Santo Stefano)

Raccolta delle cose segnalate (1597), BAP, ms. 1256, c. 4r.

Appresso nella cappella di Sant’Onofrio la tavola è dipintada Luca da Cortona, della quale fa mentione Giorgio Vasarinella Vita di detto Luca. È in detta cappella una sepoltura dimonsignor Hippolito della Corgna, già vescovo di Perugia,quale sepoltura è dello Scalzo.

Perugia Augusta (1603 ca), BAP, ms. C45, c. 56r.

Segue la cappella dedicata a sant’Honofrio da IacomoVannucci da Cortona, vescovo di Perugia, il quale insieme aDionigi suo nipote, che li successe nel vescovato, l’adornò del-la bella e diligente tavola posta sopra l’altare e dipinta da LucaSignorelli da Cortona, famoso pittore di quei tempi, la qualtavola è molto comendata dal Vasari nella Vita di detto Luca.Sotto il cornicione d’essa sono queste lettere: [...].

A lato di questa cappella, l’illustrissimo cardinale FulvioDella Corgnia f. m. fece fare dallo Scalza la sepoltura, che horavi si vede di stucco nel muro, ad Ippolito Della Corgnia,vescovo di Perugia. Et in detta sepoltura si legge l’infrascrittainscrittione: [...].

7. Ottavio Lancellotti:cappella di Santo Stefano (già di Sant’Onofrio)

Scorta sagra (ante 1671), tomo I, BAP, ms. B4, c. 195rbv(12 giugno).

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[195rb] In San Lorenzo alla cappella di Sant’Onofrio, oggidi Santo Stefano, come a 26 di decembre, fa ogni onore pos-sibile al santo la compagnia dei sacerdoti secolari che sotto aldi lui glorioso nome militano. Era chiamata già la fraternita[195va] del Pilo, avendo per instituto particolare di giovare alleanime dei fratelli defunti con ogni sorta di suffragi. La fonda-zione è antica. Il vescovo Francesco Bossi nel 1579 le approvòalcuni ordini e capitoli, i quali nel 1625, riformati essendopriore don Lavinio Magi rettore della parrocchiale di SanSevero e Sant’Agata della Piazza, furono pure approvati dalcardinale Cosimo de Torres vescovo. Ogni primo Martedì delmese o pure, quando quello sia impedito, in altro giorno, sicanta con l’intervento dei fratri una messa per i confratri ebenefattori passati a miglior vita, con l’assoluzione in fine.

Della cappella antica non resta altro che la tavola ch’oggi sivede attaccata alla facciata del lato sinistro della cappella diSanto Stefano. È opera di Luca Signorelli da Cortona che morìnel 1521 (Bottonio, cent. ms.)30, ricercato da GiacomoVannucci concittadino, prima familiare di Nicola V e diCallisto III, poi vicelegato di Bologna e vicecancelliero inRoma e, finalmente, vescovo di Perugia nel 1449 (Lauri, DeAnnulo pronubo). Dall’istesso Vannucci fu adornata la cap-pella, come chiaramente pruovano l’armi di quella Casa colo-rite, con le due invetriate che sopra vi si vedono, venendo par-ticolarmente la maggiore lodata dagli intendenti e per l’artifi-tio e per la vivacità oggi affatto perduta dei colori. In quest’or-namento vogliono avesse ancora qualche parte il [195vb]vescovo Dionigi Vannucci, nipote di Giacomo, dal quale gli furinunciato il vescovato per esser egli stato dichiarato arcivesco-vo di Nizza (sic) in partibus (Chrispolti, in Annalibus).

L’altare di questa cappella fu già privilegiato per i defunti.Fu però, con licenza di Gregorio XIII, trasportato il privilegioa quello del Crocifisso, come a 3 di maggio.

Scorta sagra (ante 1671), tomo II, BAP, ms. B5, cc. 503ra-504rb (26 dicembre).

[503ra] Nella catedrale adorasi il prencipe tra guerrieri diChristo alla cappella di Santo Stefano, il cui quadro è operadegna del cavaliere Giovanni Baglioni romano e le pitture late-rali a fresco di Giovanni Antonio Scaramuccia perugino. Di

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pietre lustre è lavorata la cappella, e di questa materia fu la pri-ma ch’altrove si vedesse con gran spesa, non in duomo sola-mente ma in tutta la città.

Con buona gratia de’ Vannucci nobili cortonesi, de’ qualiera questo sito con la cappella di Sant’Onofrio, come a 12 digiugno, fondò questa di Santo Stefano il canonico SalvuccioSalvucci, che vi spese quanto acquistò per i molti anni che ser-vì nella carica di vicario generale l’idea (?) de’ vescoviNapolione Comitolo, per esser l’ultimo della sua famiglia, nel1608. La dotò poi nel 1619 (Riccardi, ex Archivio Episcopali)con instituire quattro cappellani perpetui et un chierico pureperpetuo, conferendo questo e quelli l’anno medesimo. I pri-mi quattro cappellani furono Placido Salvucci, NicolòTerrazzi, Marcantonio Senesi e Cesare Rossetti, il primo chie-rico fu Giovanni Paolo Sagramorri. [...]

[504rb] Nel pavimento di questa cappella riposano i corpi didue vescovi Vannucci, Giacomo e Dionigi, zio e nipote. Morìquelli alla Pieve [del Vescovo] nel 1487 a 28 di genaro, e portatoa Perugia ricevette tutti quelli honori che dalla città potessero far-si a persona di merito non ordinario, e questi a 10 d’aprile 1491.

8. Visite pastorali

Visitationes Della Corgna (1564), ADP, ms. 1, c. 20r31.

Visitavit altare Sancti Honophrii, episcopi olim perusini excivitate cortonie (sic) “il vescovo di Cortona” nuncupati, situm incapella nuncupata “del vescovo” prope sacristiam dicte ecclesie.

Visitavit altare Sancti Nicolai in eadem capella existens, etcirca illud quid agendum sit in camera reservavit deliberare.

Visitationes Della Corgna (1568), ADP, ms. 1, cc. 435r-436r.

[435r] Visitavit capellam Sancti Honofrii nuncupatam “delvescovo”, et ibi constituit velle se suis sumptibus capellamhonorificam construere. [...]

[435v] Et visitando totam ecclesiam, cum altaria existentiain dicta ecclesia sint admodum numerosa, mandavit archipre-sbitero et canonicis ut, si commode fieri potest, reducantur ad

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decem seu undecim, onera eorum que amovebuntur in aliaremanentia transferendo, et remanere possent ista altaria, vide-licet: [...] et Sancti Honofrii.

Visitavit portas ecclesie et maiorem invenit reaptari et ades-se muratores.

Postque visitavit sachristiam dicte cathedralis ecclesie, in qua[436r] idem illustrissimus construi faciebat quandam capellam,et aderant muratores illam fabricantes et, quoniam omnes resdescripte in inventario, ut assertum fuit, dicta die ibi non ade-rant, quia multe fuerunt accommodate monacis Sancti Petri,distulit earum visitationem pro altera die; et sic die sequenti,que fuit dies quarta dicti mensis, visitando bona sachristie, pro-ducto et lecto inventario manu ser Agabiti Nerulii confecto etpresentibus ser Gabriele Alexio et ser Ludovico Almerico nota-riis perusinis testibus etc., iussit ut infra, videlicet: [...] si rac-conci la croce del vescovo di Cortona n. 1.

Visitationes Della Rovere (1571), ADP, ms. 2, c. 1v.

Suam perseverando prefatus reverendissimus visitationem,pervenit ad dictam cathedralem ecclesiam Sancti Laurentii et,ibi celebrata missa, idem reverendissimus dominus visitavitcapellas et altaria in dicta ecclesia existentes et existentia, inci-piens ab altare Sancti Honofrii, erectum a reverendissimis epi-scopis Vanutiis cortonensibus et civitatis Perusii episcopis, quodinvenit nil possidere in bonis, et ibi perscripsit ecclesiam officia-ri et missas celebrari oportunis temporibus manutenerique.

Visitationes Gallo (1587), ADP, ms. 8, c. 20r32.

Ad altare Sancti Honofri nuncupati “episcoporum”, man-davit altare portatile in castrari et sigillari impetra dicti altarisin forma.

Visitationes Comitoli (1592), ADP, ms. 10, c. 39r.

Inde visitavit cappellam et altare Sancti Honofrii, cum men-sa lapidea petra sacra, candelabris ferreis et cruce lignea auratatobaleisque munitum, cuius altaris icona habet figuras Virginis,sancti Honofrii et aliorum sanctorum, et audivit illud erectumfuisse a reverendissimis dominis episcopis Vannutiis cortonensi-

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bus, olim episcopis Perusie, et hodie nullos habere redditus et,ob eam causam, ad ecclesiam spectare, assertumque fuit altarepredictum concessum seu accommodatum esse societati SanctiHonofrii Presbiterorum et illius cappella[m], in qua positum estaltare predictum, congregari semel quolibet mense.

Visitationes Oddi (1660), ADP, ms. 21, c. 42r.

Desuper vitria fenestra se attollit lapidibus intersecta et plu-ribus sanctis imaginibus insignita, que, preter lucem altari pre-stantem, suorum imaginum et colorum exuberantium venu-state dictum altare nobilitat.

Visitationes Marsili (1703), ADP, ms. 24, c. 11r.

Altare postremum Sancti Stephani Prothomartiris visitavit,sub quo custoditas decenter vidit reliquias sancti Beveniatis, etde omnibus optime ornatum et provisum reperiit. Novum cho-rum ingressus [est] post dictum altare Sancti Stephani nuperconstructum, in quo erectum invenit altare divo Onufrio dica-tum, audivit adesse societatem Presbiterorum eidem aggrega-tam, mandavit tantum appingi cruces ante illius aram.

Visitationes Odoardi (1781), ms. 32 bis, cc. 11v-12r.

[11v] Ingressus fuit postea cappellam seu oratorium subinvocatione sancti Honuphrii, huic sancto dicatum ab reve-rendissimo patre domino Iacobo Vannucci cortonensi, olimepiscopo perusino, qui illam ornavit una simul cum DionisioVannucci, eius nepote et in episcopatu successore. [12r]Tabula, que super altare inest, fuit depicta a Luca Signorellicortonensi, eximio et celeberrimo pictore, et inferius dictamtabulam sequentia verba leguntur: [...]. In cuius cappelle visi-tatione nihil habuit decernendum.

Visitatio civitatis et diecesis totius Cortone facta per illu-strem ac reverendissimum dominum dominum AngelumPerutium episcopum sarsinatensem et comitem visitatoremapostolicum generalem (1583), ADC, c. 10r.

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Vidit deinde quamplures sanctorum reliquias et presertimde cruce domini nostri Iesu Christi, quas reliquias omniasvidit conservari retro altare maius in quadam fenestra magnasub tribus clavibus, quarum duas retinet magnifica comunitasCortone et aliam retinet unus de familia de Vanutiis, ex eoquia unus episcopus de Vanutiis reliquias ipsas donavit. Etcum vidisset reliquias ipsas satis decenter asservari, visitavitcaput beati Guidonis de Cortona [...].

9. Concessione del titolo gentilizio ai Vagnucci

BAEC, Cartapecore Vagnucci, 10 settembre 1450 (perga-mena PR 31/4).

[...] Federigus, Dei gratia Romanorum Imperator semperAugustus, Austrie et Scitie dux, nobili Francisco de Vannutiiscortonensi nostro et Imperii Sacri fideli diletto [...], tibiFrancisco predicto ac tuis, et fratris tui condam Angeli deVannutiis, filiis et heredibus vostris legiptimis, et sucessoribuseorum, inperpetuum arma seu nobilitatis insignia, videlicet cli-peum cum campo cilestini seu saffiri coloris, in quo ursus seuforma ursi eretti aurei sive topatii coloris cum corona in capiteet pedibus ac cruribus extensis continetur, habens ac tenens indestro suo pede ramusculum tripartitum cum tribus rosis albiviridis et rubei colorum, prout in medio huius nostre pagineclarius sunt depicta gratiose, conferimus et largimur [...].

10. Reliquiario Vagnucci: donazione del 1458

Donazione del reliquiario del 2-3 luglio 1458, ASCC, Opere riu-nite del duomo e di Santa Maria Nuova, ms. G59, cc. 1r-2v33.

[1r] Iesus. In nomine domini nostri Iesu Christi eiusquepiissime atque intacte matrii (sic) Virginis Marie omniumquesanctorum celestis curie Paradisi, amen.

Anno Domini a nativitate MCCCCLVIII, indictione [...],pontifficatu sanctissimi patris et domini domini pape Chalistidivina providentia pape tertii, die vero tertia iulii.

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Actum in civitate Cortone in terçerio Sancte Marie, supercimiterio sive platea infrascripte ecclesie sito vel site iuxta ple-bem Sancte Marie de Cortona, in presentia reverendissimipatris et domini nostri domini Mariani de Florentie civitatedignissimi episcopi civitatis Cortone et generosi equitis etmagnifici capitanei civitatis eiusdem eiusque fortie et distric-tus domini Iohannoççi Francisci de Pictis de Florentia, presen-tibus domino Vellichino de Aretio iudice et chollatterale pre-fati ac magnifici ac generosi capitanei et Michelangelo Andreelanifice et Chamillo Francisci ser Lippi et quam pluribus aliisde civitate Cortone, testibus ad hec omnia infrascripta habitisvocatis et electis et rogatis.

Spectabilis et prudens vir Michelangelus Nicolai Peccie deCortonio, ad hec omnia infrascripta procuratoria et ut procu-rator et procuratorio nomine reverendissimi in Christo patriset domini domini Iacobi Francisci de nobilibus Vagnucii deCortona dignissimi episcopi perusini, ut patet manu serGonsbuini Diexenbroicsr (?) clerici diocesis coloniensis inquodam contractu per eum scripto edito et publicato, ex suascientia sponte deliberate et consulte, et non per alliquemerrorem iuris vel facti, et omni meliori modo et via quibusmagis et melius potuit, ac etiam de voluntate et mandato dic-ti reverendissimi domini Iacobi episcopi perusini, et cogno-scens id quod faciebat et facere intendebat esse bene bonaquefide factum, tam propter hobedientiam prestandam dictoreverendissimo domino Iacobo, tam etiam quia ad hec intercetera fuerat deputatus una cum instructissimo nec non elo-quentissimo iuvenculo Dionisio filio Petri filii Francisci denobilibus Vagnuciis et nepote dicti reverendissimi dominiIacobi episcopi, presentavit donavit et concessit Laççaro PetriLuce, Andree Antonii Usacti pro terçerio Sancte Marie,Nicolao Bernabei, Iacobi Christofori Rustichelli de terçerioSancti Marci, Petro Francisci de nobilibus Vagnuciis etMarcello domini Nicolai pro terçerio Sancti Vincentii, priori-bus populi et comunis Cortone, stipulantibus et recipientibuspro ipso comuni et vice et nomine ipsius comunis, infrascrip-ta bona, videlicet:

[1v] Imprimis hoc excellentissimum ac preçiosissimum[munus, I unum]34 tabernaculum sive reliquiarium, partimaureum et partim argenteum, redimitum et ornatum pretiosis-simis lapidibus et aliis inferius enarratis, videlicet: in culminedicti tabernaculi est unus Crucifixus totus aureus, ponderis

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librarum trium et unciarum III, habens unam crucem inmanu quam amplexatus est, cum quadam alia cruce de dia-spro in cruce dicte crucis, cum quadam nobilissima matreper-la in summitate dicte crucis. Circha medium dicti tabernacu-li posita est ymagho sive figura felicissime ac sanctissimememorie pape Nichole de argento et auro laborata, cum libroargenteo aperto, et variis lapidibus et pretiosis ac nobilibusperlis ornata: et hec ab una parte. Ab alia parte dicti taberna-culi ymago sive figura argentea et aureata persone curialissimi(sic) excellentissimeque patriarce constantinopolitani, cumlibro clauso in manu sinistra, ornata similiter. Et per totumresiduum dicti tabernaculi, ornamentum nobilissimorum acpretiosissimorum lapidum et numerus infinitus perlarummaximi valoris, cum variis subtilissimisque sculturis et orna-mentis excessivis omne aliud reliquiarium. In medio autemdicte reliquiarie (sic) est quedam pars vestis sive tunice salvato-ris nostri domini Iesu Christi, et est in quodam arculo aureoornato duodecim lapidibus pretiosissimis et duodecim perlismulte nobilitatis et maximi valoris ymmo. Et a parte antequoddam cristallum, videlicet a parte a parte (sic) anteriori. Aposteriori quedam claudenda aurea, literis grais et ytalicisschulpta cum multifariis nobilitatibus.

Ad habendum tenendum et possidendum et in temporeobstendendum sive obstendere faciendum et, illo obstenso, adipsum reponendum et in loco pro ipsis reliquiis deputatoreponi faciendum et omnia alia faciendum et observandum,ad que tenentur dicti domini priores, intervenientes et accep-tantes vice et nomine dicti comunis, pro eis et eorum subces-soribus, secundum tenorem et ordinamenta quorumdam capi-tulorum editorum et compositorum per egregium condamlegum doctorem dominum Marioctum Iohannis de Cortonaet confirmatorum et approbatorum per reverendissimumdominum episcopum perusinum et in consilio populi etcomunis Cortone per XXI fabas nigras.

Quod singularissimum excellentissimum devotissimum pre-tiosissimumque munus supradicti domini priores, in supradic-to loco coram populo existentes, primum invocatione facta etstipulata per me cancellarium infrascriptum subsequentem,servatis servandis, in presentia supradictorum testium, nominedicti comunis et hominum ipsius, pro se et suis subcessoribus,dictis nominibus, receperunt et acceptaverunt, Altissimo acdonationi prefati reverendissimi domini episcopi perusini cum

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omni ac humili ac debita reverentia regratiantes. Qui se, donecin oficio predicto erunt et postmodum pro suis subcessoribus,vice et nomine dicti comunis et hominum et personarumipsius, obligaverunt et obtulerunt, ita et taliter et in totum dic-tis nominibus, se facturos quantum et qualiter per dicta capi-tula in consilio obtenta disponitur, et melius, si melius pote-runt; [2r] et precipue in dictas reliquias obstendendo ad tem-pus et ad tempus bene reponendo et conservando et omnia aliafaciendo, ut supra promissum est omni exceptione remota etsub illis penis que in dictis capitulis continentur.

Qui dicti domini priores, ut supra obligati, dicta die et horaXX dicti vesperis35, solempniter cantatis et habitis quibuslibetsuis consolationibus de dictis pretiosissimis reliquiis, in pre-sentia dicti domini episcopi cortoniensis supradicti et pluriumhominum et personarum dicte civitatis, et precipue egregiidoctoris canonici iuris et sinodi cortoniensis prepositi dominiBaldassaris Luce et domini Gostantii Iohannis de Cortonaarchidiaconi cleri cortoniensis et domini Taddei Guidonisdoctoris egregii civilis, Nicolai Antonii Franceschini, PetriPauli Blaxii, magistri Iohannis et Baxilii Christofori Baxilii,testium ad infrascripta habitis vocatis (sic) habitorum et roga-torum, cum solempnitatibus requisitis, dictas reliquias repo-suerunt et in loco ad id deputato reponi fecerunt, videlicet inarmario fortiter roborato meliusque roborando, quas pannislineis finissimis involvi fecerunt, et tandem, omnibus facien-dis cum summa diligentia peractis, dictum armarium tribusclavibus clauserunt, quarum unam postmodum in custodiamFrancischo patri dicti reverendissimi domini episcopi, in pre-sentia venerabilis ac reverendi viri domini Iacobi dignissimiabatis abatie de Petraficta comitatus Perusii, dederunt, aliamvero simili modo et causa preposito dominorum priorum pre-sentaverunt, aliam vero eidem, ut ipsam custodiret et postmo-dum daret uni ex superstitibus eligendis die VI iulii proximifuturi, qui custodiam habere debent de dictis sanctissimis reli-quiis et quibuslibet eorum introitibus et oblationibus; alie,que fiende sunt, modo hoc, videlicet una domino nostro epi-scopo, alie aliis superstitibus, videlicet ut videbitur congruumdictis dominis prioribus et superstitibus.

Introitus primitus subsceptus est iste. Una clamis parvulade bisso cum dindolis argenteis et aureatis, obtulit dominusepiscopus perusinus supradictus. Item una tovalia contestacum virgis de filo aureato, oblata per uxorem Honofrii

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Francisci supradicti de nobilibus Vagnuciis. Unum iocale cumdindolis argenteis iam aureatis obtulit mater Ugucii PetriIohannini. Duo caputergia nova et pulcra, que obtulit domi-na Cassandra, uxor condam Iansonis Francisci. Unus çaffirilapis, quem habebat Michelangelus Nicolai Peccie supradic-tus, qui lapis reponi et aptari debet super dicto nobilissimotabernaculo. Unum par paternostrum de ambris grossis etmagnis, cum quadam mappula de siricho et perlis, largita fuitdomina Margherita, uxor condam bone memorie BartolomeiSensi de Cortona. Que omnia reposita fuerunt in armario pre-dicto, et cum ipsis duo brevilegia sive [2v] sive (sic) bulle, qua-rum una reverendissimi patris et domini domini Gregoriipatriarce constantinopolitani, in quo scriptum est grece et lac-tine de dictis sanctissimis reliquiis et fidem ipsarum et fidemipsarum (sic) et indulgentias; et unus alius repositus est, qui estreverendissimi domini domini Ysideri cardinalis rutinensis,qui attestatur qualiter iam temporibus elapsis hanc pretiosissi-mam vestem adoravit et adorare alios vidit quamplurimos incivitate constantinopolitana, et coram ipsa pretiosissima vestequamplurimas lacrimas effudit.

Die vero sequenti, videlicet die tertia presentis mensis iulii,reverendissimus pater noster et dominus episcopus et clerusipsius episcopatus ordinaverunt dixerunt atque solempniter etdevotissime celebraverunt unum solempne ofitium multarummissarum cum ofitio ordinato, cui interfuerunt prefatus domi-nus episcopus, magnifici priores et cancellarius dicti comuniset alliqui alii cives, et hoc totum pro animabus defunctorumet36 antenatorum de familia mortuorum dicti reverendissimidomini episcopi perusini, ut dominus noster Iesus Christusmisereatur earum que opus habent, et domino epischopo reve-rendissimo predicto et sue venerabili familie Altissimus in hocvitam felicitatem sanitatem et pacem tribuat longevam et infuturam mansionem et gloriam concedat eternam. Amen.

Oblate fuerunt libre XXXIIII solidi VI denarii III corto-nienses in dicta prima die et vice.

Ego, Nicholaus condam Christofori Tome de Cortonio,notarius et ad presens cancellarius dicti comunis Cortone,super dictis omnibus interfui et ea, rogatus scribere et ex37

debito mei ofitii, manu propria scripsi, et ad fidem et roburpredictorum signum meum apposui consuetum38.

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11. Reliquiario Vagnucci: capitoli del 1456

Capitoli del reliquiario del 24 maggio 1456, ASCC, Opereriunite del duomo e di Santa Maria Nuova, ms. G59,fascicolo sciolto di cc. 4, cc. 1r-3v39.

[1r] Capitula pertinentia ad sanctas reliquias plebis deCortona, quas largitus fuit reverendissimus dominus Iacobuscomuni Cortone.

[2r] Iesus. Spiritus Sancti gratia illuminet corda nostra.Capitula firmata in sacro sinodo cortoniensi circha celebra-

tionem et venerationem sanctarum reliquiarium sitarum etexistentium in ecclesia plebis Sancte Marie de Cortona sunthec, videlicet:

Imprima che il tabernacolo dele sancte reliquie, donate [alcomune de Cortona]40 per lo reverendissimo in Christo padreet signore messer Iacobo de’ nobili de’ Vagnucci de Cortonaveschovo de Perusgia, sia collocato et conservato chole reliquienella pieve de Sancta Maria da Cortona nella capella maggio-re hedifficata et facta sotto el nome et rasgione de’ padronatodel decto messer lo veschovo et de’ suoi consorti, nella qualcapella si debba fare construire uno luogho ydoneo honoreve-le et degno a conservare decte sancte reliquie. Il quale luoghosia fortifficato con serramenti per tal modo che non se possa[?] aprire né deinde trarre le dette reliquie se non per quelli achui seranno consegnate le chiave41.

Et, per dare forma et regola alla conservatione delle predec-te sancte reliquie, si è ordinato et stabilito, per lo reverendissi-mo in Christo padre et signore messer Mariano frate de l’ordi-ne de’ Servi de Sancta Maria dignissimo veschovo de Cortonaet per lo Capitolo dei chanonici et per lo sinodo dela dioceside Cortona ad perpetua fermeçça dei presenti capitoli et per loconseglio generale del comune de Cortona, che lo detto luo-gho, dove sarà lo detto tabernacolo chole decte sancte reliquie,se serri et ferri con 4 chiavi de diversi ingegni, delle quali l’unasi tengha in perpetuo per uno più degno dela Casa o vero con-sorti d’esso messer lo veschovo de Perusgia ciptadino dei nobi-li de’ Vagnucci da Cortona. El quale sarà deputato et electo peresso messer lo veschovo per fine che viverà esso messer loveschovo; et da puoi il più degno d’essa consorteria et descen-denti d’essa per linea mascholina. La seconda chiave se tenga

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et conservi per messer lo veschovo de Cortona. La terça chia-ve se tengha et conservi per li priori de Cortona42. La quartachiave [2v] se tengha et conservi per tre ciptadini, i quali sie-no electi et eleggere si debbano per li signori priori et conse-glio del comune de Cortona, a questo offitio solamente depu-tati, i quali sieno deputati et sieno soprastanti delle sancte reli-quie della pieve de Cortona, o per uno più degno dei dectisoprastanti, el quale debbono eleggere i signori priori deCortona. Et duri decto uficio uno anno. Et se per morte o peraltro iusto impedimento alchuno de’ decti soprastanti nonpotesse exircitare detto uficio, che in luogho de questo si pro-vegga d’uno altro per li signori priori et conseglio, approvatoimprima lo impedimento de tale impedito per li signori prio-ri de Cortona. Et così si provegga in perpetuo43.

Item, che dette sancte reliquie non si possano né debbanomostrare né trarre del sopradetto luogho se non una volta l’an-no, el dì dela Viçitatione de nostra Donna, ciò è adì 2 deluglio. Et dal decto dì in fuori non si possano né debbanomostrare in niuno modo né per veruno caso, sença licença etdeliberatione de messer lo veschovo o suo vicario et dei signo-ri priori et conseglio del comune de Cortona et d’uno dellaconsorteria del detto messer lo veschovo de Perusgia, il qualeterrà una delle decte chiavi, et dei detti soprastanti. Et acciòche né dolo né fraude non se possa commectere et per obviarealle malitie de chi volesse fare contra questi capitoli, sia orde-nato che, quando se mostraranno decte reliquie, vi sia presen-te messer lo veschovo de Cortona o vero suo vicario e i prioride Cortona e tucti quelli che tengono le chiavi predette et ilcancelliere del comune de Cortona. Sia rogato chome dettereliquie et tabernacolo d’esse se rimectono et sieno rimesse nelsopradetto luogho acciò deputato. Et de ciò faccia il cancellie-re publica scriptura in uno libro acciò deputato, el quale stia etconservisi in cancellaria del comune de Cortona44. Et se altri-menti facessero et non se observasse quanto de sopra se contie-ne, caggiano ipso facto in pena i priori et quelli che tengono lechiave in pena de libre cento per ciaschuno de loro che controfacesse, et in simile pena caggia il cancellieri se non observassequanto è detto de sopra, la qual pena per la meità s’intendaessere et sia applicata al comune de Cortona et l’altra al’operadel decte sancte reliquie, per conservatione delle decte reliquieet tabernacolo d’esse [3r] et per la festa quando se mostraran-no dette reliquie et per le spese occorrente in conservatione et

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veneratione d’esse reliquie45. Questo sempre inteso et exceptoche, se per deliberatione o vero per chomandamento dei nostrimagnifici et excelsi signori priori de l’arti et gonfaloniere delagiustitia del popolo et comune di Firençe se avessero a mostra-re decte reliquie, i decti priori de Cortona né altri sopra nomi-nati in detto caso non caggiano in decta pena per non avereobservato quanto se contiene de sopra46.

Item, per che degna chosa è render gratia et merito a chi fatanto dono quanto è quello che a facto el prefato messer loveschovo de Perusgia al comune de Cortona de decte sanctereliquie et tabernacolo, per evitare el vitio della ingratitudine,sia ordinato che ‘l primo seguente dì che occorrerà doppo lafesta de la Visitatione dela nostra Donna, ciò è adì 2 de luglio,et doppo la mostra et veneratione delle decte sancte reliquie elCapitolo dei canonici de Cortona et il vicario della pieve deCortona e i capellani de decta pieve sieno tenuti et debbanofare celebrare nella detta chiesa uno solempne et ordinato ofi-tio de’ morti per l’anima del decto messer Giacopo veschovode Perusgia, quando piacerà ad Dio chiamarlo a vita eterna, etper l’anima de quelli de Casa sua. Et questo si faccia una vol-ta l’anno in perpetuo doppo la morte del decto messerGiacopo veschovo predecto, alle spese del Capitolo et de l’en-trate et rendite della capella maggiore, se vi sarà entrata; altri-menti, se non vi fusse entrata, alle spese del Capitolo et delvicario della pieve et della capella d’essa pieve. Nel quale ufi-tio se celebrino al meno trenta messe, con una messa solem-pne cantando, et predichise degnamente. Al quale uficio inter-vengano et sieno presenti messer lo veschovo de Cortona overo il suo vicario, quando lui fusse impedito, e li priori deCortona et soprastanti d’esse reliquie et più altri ciptadini47.

Item, che le obferte che se faranno al decto altare maggiore[o vero al ceppo]48 della pieve, il dì che se mostraranno dettereliquie, si debbano convertire, per li soprastanti d’esse reliquieet per uno canonico deputato a ricevere dette offerte et entra-te, in quel modo et forma che sarà deliberato per messer loveschovo et per li priori de Cortona et per li soprastanti pre-detti, a conservatione et veneratione de detti sancti reliquii etdel tabernacolo d’esse, et per quelli che terranno le chiavi d’es-se o per la maggior parte de loro49.

[3v] Item, che, a honore et riverentia d’Iddio et dela suamadre sempre Vergene Madonna sancta Maria, el dì che semostraranno dette sancte reliquie, ciò è il dì che acciò serà

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deputato, una volta l’anno li priori de Cortona et conseglieridel conseglio del comune de Cortona siano tenuti et debbanoandare alla detta pieve honoratamente, a modo che si fa al’al-tre feste del comune, et debbino fare obferta alla capella mag-giore per le dette reliquie de libre venti de cera in facole acce-se alle spese del comune de Cortona, come si chustuma al’al-tre feste de’ comune, et [?] dieno stare alla messa et allo offi-cio50. Et in recognitione del padronato de decta capella, permemoria et ricordo del dono facto de decte sancte reliquie fac-to per lo prefato messer lo veschovo de Perusgia, i priori deCortona sieno tenuti et debbino dare et donare et mandare achasa de decto messer lo veschovo in Cortona il dì della dectafesta una facola de quelle che seranno ordinate et facte per lasopradetta obferta ogni anno in perpetuo; et che uno dei con-sorti d’esso messer lo veschovo de Perusgia sia alla decta obfer-ta in quel luogho che a lui sarà deputato per li priori deCortona. Et, quando si mostreranno dette reliquie, in venera-tione d’esse si faccia copia de’ lumi de quella quantità de cerache sarà deliberata per li sopradetti messer lo veschovo deCortona et per li priori del decto comune de Cortona et sopra-stanti sopradetti51.

Item, che, se altempo quando decte sancte reliquie sarannoportate a Cortona et presentate alla sopradetta capella dellapieve la capella non fusse facta e il luogho dove anno a stareesse reliquie et il tabernacolo et il tabernacolo (sic) non fussefacto et fortifficato per modo che se conviene et che stessonochome de sopra è detto, che decte reliquie et tabernacolo d’es-se si conservino in quello luogho et modo che deliberarà mes-ser lo veschovo de Perusgia, per infine a tanto che decto luo-gho in decta capella sarà fornito. Et, non de meno, semprel’ohnorança (sic) et veneratione d’esse si faccia nella detta pie-ve et non altrove al tempo de sopra ordinato.

Que omnia dicta ordinamenta lecta fuerunt in dicto consi-lio comunis Cortone et finaliter approbata per dominos prio-res et consilium dicti comunis, ut patet in actis venerandememorie ser Christofori Honofrii cancellarii comunisCortone proxime preteriti, sub annis Domini ab incarnationeMCCCCLVI die XXIIII mensis maii.

Ego, Nicolaus condam Christofori Tome, cancellariuscomunis Cortone, copiavi et complevi manu propria subscrip-si sub die XXIIII iunii 1458.

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NOTE

1 È l’errore ripetuto da tutte le cronotassi vescovili: l’ingresso nella dioce-si perugina non fu ritardato dalle mansioni di legato (che si collocano sotto ilpontificato di Paolo II), ma dagli incarichi romani svolti al servizio di NiccolòV (cf. par. I, 2).

2 Probabilmente la parola corretta è “sede” (cf., in questa appendice, il n. 3).3 Paese del Mugello presso Borgo San Lorenzo (Firenze).4 Il beato Niccolò Albergati (1375 ca-1443), cardinale di Santa Croce in

Gerusalemme.5 La fuga del patriarca Gregorio III (1451) non fu motivata dalla caduta

di Costantinopoli nelle mani dei Turchi (1453), ma dalle sue posizioni a favo-re dell’unione delle due Chiese (cf. par. IV, 1).

6 Cristoforo dei marchesi Bourbon di Petrella, vescovo di Cortona (1477-1502).

7 BIONDO, 1503; ALBERTI, 1550.8 Si tratta di alcuni nipoti di Pietro, fratello e “biografo” di Iacopo.9 Sulla formazione del documento, cf. cap. I, nota 5 (vedi anche l’albero

genealogico della famiglia nel grafico 1).10 Cf. nota 4.11 Si tratta di un’errata convinzione diffusa già presso i contemporanei di

Niccolò V: in effetti Tommaso Parentucelli divenne vescovo nel 1444, cardi-nale nel 1446 e pontefice l’anno seguente.

12 Il Vagnucci fu vescovo di Rimini dal 1448 al 1449 e di Perugia dal 1449al 1482 (effettivamente solo dal 1456, dopo la morte di Niccolò V).

13 Questo dato è assolutamente errato: l’esperienza bolognese delVagnucci durò appena due mesi e mezzo, dal novembre del 1449 al gennaiosuccessivo (cf. cap. I, nota 24).

14 Gli anni del suo pontificato (1447-1455).15 Dal 1464 al 1466.16 L’inverno del 1466-1467.17 Qui la conferma che la donazione avvenne il 2 e non il 3 luglio (cf. cap.

IV, nota 33).18 Cf. nota 9.19 Cf. nota 6.20 Anche se datate 1454, in effetti furono deliberate nel 1459 (cf. par. I, 3).21 Ovviamente il vescovo non è il Vagnucci, ma Giovanni Andrea Baglioni

(1435-1449).22 Il manoscritto in questione si trova presso ASP, Inventari diversi,

Sapienza Vecchia, misc. 1.23 Da questo passo si evincono due informazioni: primo, che l’estensore

dell’ultima parte della Vita probabilmente è sempre Francesco di Cornelio (cf.nota 9); secondo, che il vescovo Iacopo ebbe anche un quinto fratello, tale fraBernardino, del quale evidentemente sopravviveva un ricordo visivo alla finedel ’500.

24 Con il corsivo si indicano le note e le integrazioni autografe del Mariotti.25 Cf. nota 1.26 In verità l’anello fu sottratto dalla chiesa di San Francesco (cf. par. IV, 4).27 L’errata convinzione che Agostino di Duccio fosse fratello di Luca Della

Robbia discende dalle Vite del Vasari.28 Giacomo della Marca, responsabile della fondazione di diversi Monti di

Pietà, ma non di quello perugino (cf. cap. I, nota 72).

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29 Questa integrazione compare nella copia di Serafino Silvestrini (ADP).30 Vasari afferma che Signorelli morì nel 1521 all’età di 82 anni: in verità

il pittore venne a mancare nell’ottobre del 1523.31 Per le visite pastorali, si fa riferimento alla cartulazione moderna eseguita

a matita (quando presente).32 Cf. anche ADP, ms. 9, c. 23r.33 Dal punto di vista della tradizione diplomatistica, si tratta di un secon-

do originale [A’] che il medesimo notaio ha redatto copiando dal primo ori-ginale perduto [A], come indicano i frequenti errori di ripetizione.

34 Aggiunto sopra il rigo dalla stessa mano.35 Corrisponde all’hora secunda noctis dopo il tramonto del sole.36 “Et” corretto su un “de”.37 “Ex” corretto da un “de”.38 La completio del notaio è accompagnata dal signum tabellionis, sormon-

tato dalla croce e contenente il nome “Nicholaus”.39 Dal punto di vista della tradizione diplomatistica, si tratta di una copia

autentica redatta dallo stesso notaio del documento precedente, chiusa dallacompletio ma priva del signum tabellionis.

40 Aggiunto sopra il rigo dalla stessa mano.41 Rubrica: “Che ‘l tabernacolo cole sancte reliquie stia in la pieve de

Cortona”.42 Rubriche: “Prima chiave”; “Seconda chiave”; “Terça chiave”.43 Rubriche: “Quarta chiave”; “Dei soprastanti”. Una mano diversa da

quella dello scrittore, certamente sulla base del documento di donazione (dovesi parla di tre chiavi, più altre tre da fabbricarsi), ha operato delle correzioni,eliminando il periodo relativo alla seconda chiave da consegnarsi al vescovo diCortona e correggendo “terza” e “quarta” in “seconda” e “terza”. Alla stessamano appartengono altre integrazioni di cui è inutile dar conto.

44 Rubrica: “In che modo se debbano mostrare le reliquie”.45 Rubriche: “Pena a chi non observa el modo ordinato”; “Il cancelliere

cade in pena se non observa”.46 Rubrica: “In che caso se posso mostrare sença le solempnità sopra decte”.47 Rubriche: “El dì dela festa se debba offerire la mactina libre XX de cera

lavorata”; “Del’ofitio di morti”.48 Aggiunto sopra il rigo dalla stessa mano.49 Rubrica: “Quid debeat fieri de oblationibus”.50 Rubrica: “Obferta el dì dela festa”.51 Rubriche: “La facola a casa di Vagnucci”; “Che uno di Vagnucci sia

all’offerta”.

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Appendice B

I restauri

della Pala di Sant’Onofrio

di Daila Radeglia,Istituto Centrale per il Restauro di Roma

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1. Premessa

La grande tavola di Luca Signorelli1, opera fondamentale perla definizione del suo periodo giovanile sia per l’altissima qua-lità che per il fatto di essere datata con certezza al 1484, èun’opera che ha molto sofferto sia per le condizioni di conser-vazione che per gli effetti di antichi restauri.

I problemi conservativi, che rendono questa tavola una sor-ta di malato cronico, sono costituiti principalmente dalla suaforte sensibilità alle variazioni climatiche, che provocano per-dita di adesione degli strati pittorici e sollevamenti del colore,con conseguente perdita di porzioni di pittura. Questo feno-meno è legato alla struttura stessa del supporto, realizzato conassi assemblate orizzontalmente, che malgrado l’incamottatu-ra, avente il compito di attutire gli effetti dei movimenti dellegno sugli strati pittorici nelle linee di giunzione, risenteanche del peso delle assi le une sulle altre.

L’alto valore artistico e la notorietà del dipinto, accompagna-ti alla critica situazione conservativa, hanno prodotto una sortadi accanimento terapeutico che, se è riuscito a tramandare qua-si completamente le sue componenti iconografiche anche neidettagli, ha provocato però la perdita di importanti dati materia-li riguardanti il supporto e le finiture pittoriche. Analogamentea quanto è capitato ad altri capolavori della pittura rinascimen-tale, su quest’opera si sono esercitate le sperimentazioni e le pra-tiche di intervento considerate all’avanguardia nelle diverse epo-che, per cui la storia dei suoi restauri costituisce una sintesi carat-teristica della storia del restauro dei grandi dipinti su tavola.

Prima che si sviluppasse una coscienza critica del restauro,la prassi abituale era quella di effettuare drastiche puliture,anche con sostanze caustiche, ai cui danni il pittore-restaura-tore sopperiva con vere e proprie ridipinture e rifacimenti del-le parti mancanti, ravvivando e armonizzando l’insieme conpesanti vernici, spesso colorate e addizionate di olio.

Con l’affermarsi dello storicismo e la nascita della modernateoria del restauro, si instaura il principio del rispetto dell’ori-ginale e della riconoscibilità delle integrazioni e vengonoapplicate alla conservazione metodologie scientifiche e indagi-ni strumentali mutuate da altri campi.

In anni più recenti, in ottemperanza al criterio brandianodi restauro preventivo, e al subentrare del concetto di conser-

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vazione, è andata affermandosi la consapevolezza che è sul-l’ambiente in cui l’opera è conservata che occorre intervenireper preservarla nelle condizioni raggiunte con il restauro, ed èin questa direzione che si è orientato l’intervento effettuatodall’Istituto Centrale per il Restauro fra il 1984 e il 19942.

2. Interventi documentati

Eseguito dal Signorelli per il vescovo Vagnucci come pala d’al-tare della cappella di Sant’Onofrio, il dipinto dovette soffrirefin da epoche remote per le cattive condizioni della cappella.

All’inizio del XVIII secolo, in concomitanza con la costru-zione dell’attuale oratorio di Sant’Onofrio, l’opera dovetteessere restaurata in vista del suo inserimento nel nuovo altare,e a ciò viene fatta risalire la perdita della cornice originale edella predella che verosimilmente la completava.

A questo intervento probabilmente si deve l’abrasione dimolte parti delle figure, particolarmente degli incarnati, chesono stati oggetto di una drastica pulitura, come è evidentesoprattutto nei volti del san Giovanni, nel gruppo dellaMadonna col Bambino e nella figura dell’angelo, dalla qualetraspare addirittura il disegno preparatorio.

Purtroppo anche il nuovo oratorio di Sant’Onofrio non offrìa lungo condizioni climatiche ottimali, tanto è vero che la deco-razione a tempera delle volte, eseguita da Domenico Bruschi nel1877, deperì rapidamente a causa delle infiltrazioni dai tetti3.

Nel 1923, quando venne creato il Museo del Capitolo del-la cattedrale, il dipinto vi fu esposto (soprattutto per motivi disicurezza), e in quella circostanza è documentato un altrorestauro, che è registrato fra quelli eseguiti a cura dellaSoprintendenza di Perugia, senza ulteriori specificazioni4.

A tale intervento, o ad altro non molto precedente, potreb-be essere ascritto il rifacimento della testina e del piede dell’an-gelo volante in alto a destra, che nel 1948 era stato conserva-to per non interrompere la continuità dell’immagine, ed è sta-to invece rimosso nell’ultimo restauro, risultando di scarsaqualità e dipinto su un inserto di legno recente.

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3. L’intervento dell’I.C.R. del 1948-1951

Le cose nella nuova collocazione non procedettero però nelverso giusto, se dopo soli 25 anni la tavola dovette subire unnuovo restauro, questa volta effettuato presso l’IstitutoCentrale di Roma (fig. 119)5.

Individuando nel supporto la responsabilità dei danni allapittura addensati nei punti di giunzione delle assi, l’interventosi pose l’obbiettivo di intervenire sulla causa del degrado, equindi di conferire alla tavola la perduta planarità, correggen-do l’imbarcamento delle assi (fig. 120)6. Come è indicato nel-la scheda di restauro anonima compilata in quella occasione, la

Fig. 119La Paladi Sant'Onofrioprima del restaurodel 1948-1951.

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tavola venne raddrizzata, vero-similmente mediante riduzio-ne dello spessore, con l’inseri-mento di piccoli cunei nellegno in modo da costringerele assi incurvate a raggiungerela posizione piana, e vennedotata di una parchettaturacostituita da cinque traverseverticali scorrevoli in sedi defi-nite da cattelli incollati allatavola7.

Questo tipo di intervento,assai radicale anche se menotraumatico del “trasporto”,nel quale il supporto vienesacrificato a beneficio dei solistrati pittorici, era consideratoall’epoca il sistema più effica-ce per stabilizzare le tavolecaratterizzate da accentuatoimbarcamento delle assi, eraggiunge il risultato estetico

di migliorare le condizioni di lettura dell’opera conferendoleplanarità, ma qualora l’opera sia soggetta a variazioni climati-che non riesce a contrastare il naturale dilatarsi e contrarsi dellegno; inoltre, riducendo lo spessore del supporto, eliminaparte degli elementi costitutivi dell’opera d’arte e tutte leinformazioni tecniche in esso contenute. Pertanto, dopo esse-re stato ampiamente usato fino a tempi relativamente recenti,è stato abbandonato.

La campagna fotografica fu molto accurata, adottandoanche riprese a luce radente per evidenziare i sollevamenti e lediscontinuità della superficie pittorica, nonché particolari del-la tecnica esecutiva come la presenza della tela dell’incamotta-tura, visibile in seguito alla rimozione di una stuccatura sulvolto del vescovo (figg. 121-123).

Per quanto concerne l’intervento sulla pittura che, comedetto nella scheda, si presentava abrasa a causa di “un’anticadrastica pulitura, i cui effetti in seguito si cercò di mascherarecon un beverone di olio e vernice”, prima di intraprendere lapulitura furono effettuati alcuni prelievi stratigrafici nella zona

Fig. 120Il supporto della

Pala di Sant'Onofrioprima del restauro

del 1948-1951.

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Figg. 121-123Pala di Sant’Onofrio,particolari a luceradente del voltodel vescovo Vagnuccidurante il restaurodel 1948-1951.

Fig. 124Part. della Paladi Sant'Onofriodurante il restaurodel 1948-1951.

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del cielo, finalizzati a verificare se al di sotto delle ridipinturefosse presente uno strato pittorico originale da recuperare.

La pulitura fu molto cauta (fig. 124), allo scopo di rispetta-re l’eventuale patina (erano gli anni della polemica brandianacontro le eccessive puliture della National Gallery!) e di noncreare indesiderati squilibri fra le parti abrase e quelle meglioconservate; non venne pertanto completamente rimosso il vec-chio “beverone”, e furono mantenute anche le ridipinture, dovenon era conservato l’originale, e la parte di rifacimento dell’an-gioletto in alto a destra, frutto di un precedente restauro.

Come era consuetudine, vennero conservati alcuni tassellinon puliti a testimonianza dello stato della pittura precedenteal restauro.

Le estese lacune vennero stuccate e reintegrate con un trat-teggio ben visibile.

4. L’intervento dell’I.C.R. del 1984-1994

A lungo andare però, i provvedimenti presi per trattenere imovimenti del legno, accompagnati da condizioni climatichesfavorevoli nella sede espositiva, risultarono insufficienti, e siverificarono numerosi sollevamenti dello strato pittorico este-si a tutta la superficie del dipinto, che indussero a consultarenuovamente l’Istituto. In seguito al sopralluogo effettuato daM. Cordaro, si decise un nuovo ricovero presso i laboratoridell’I.C.R. (fig. 125)8.

L’orientamento che ha guidato l’intervento è stato quello dinon limitare l’azione alla riparazione dei danni esistenti, ma diindividuare le condizioni espositive da rispettare per evitare ilriproporsi dei danni stessi. Venne avviato pertanto un monito-raggio del comportamento del dipinto in relazione alle varia-zioni ambientali, finalizzato alla progettazione della nuovaesposizione museale.

In vista della fine dei lavori e in previsione del rientro insede, fu acquistata una centralina per il rilevamento dei valoriambientali “Climart 90”, che rimase posizionata nel laborato-rio di restauro in prossimità del dipinto dal maggio 1993, regi-strando per un intero anno i valori della temperatura e del-l’umidità relativa, allo scopo di confrontare, quando fosse sta-to individuato il luogo dove l’opera sarebbe stata esposta, i

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valori registrati nei due ambienti, e di accompagnare poi ildipinto nella sua nuova sede espositiva.

Purtroppo i pur lunghi tempi del restauro sono stati infe-riori a quelli di realizzazione del nuovo allestimento delmuseo; pertanto al termine del lavoro il dipinto è stato ricon-segnato ed esposto in una cappella della navata destra del duo-mo, e il suo monitoraggio è stato affidato alle cure dellaSoprintendenza competente9.

Entrata in laboratorio nel 1984, la tavola presentava estesisollevamenti particolarmente localizzati nelle zone critiche giàdette, nonché nella parte bassa del piviale del vescovo.

Il primo problema da affrontare era quello della verificadello stato del supporto e della funzionalità della parchettatu-ra approntata nel precedente restauro (fig. 126). Si trattava didecidere se mantenerla o sostituirla con altra più idonea.

Fig. 125La Paladi Sant'Onofrioprima del restaurodel 1984-1994.

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Dopo la disinfestazione con bromuro di metile10, si proce-dette quindi per prima cosa alla fissatura dei sollevamenti del-la pellicola pittorica, mediante infiltrazioni di adesivo a base dicolla animale a caldo, e poi alla revisione del supporto. Latavola, costituita da cinque o sei assi disposte orizzontalmen-te11, era stata assottigliata nel restauro precedente fino a rag-giungere lo spessore medio di 2 centimetri; inoltre molte gal-lerie di insetti xilofagi indebolivano ulteriormente il legno:necessitava quindi di una robusta struttura di sostegno.

Sebbene la parchettatura realizzata nel restauro del 1948 sifosse bloccata e le traverse non scorressero più nelle loro sedi ela struttura avesse perso in tal modo la sua originaria funzio-nalità, essa risultò ben strutturata e adatta a svolgere la suafunzione: si decise pertanto di conservarla, sottoponendola adun’attenta revisione che fosse in grado di restituire scorrevolez-za in modo permanente ai suoi elementi (fig. 127). Tale deli-cato intervento non invasivo consentì di evitare di assoggetta-re la delicata pittura agli inutili stress che sarebbero stati indot-ti dalla rimozione meccanica delle parti da asportare nel casodella sostituzione.

Nel corso di questa lunga e paziente operazione, che è sta-ta effettuata sfilando una per volta le traverse, che sono statefoderate di teflon e reinserite nei ponticelli, anch’essi opportu-

Fig. 126Il supporto della

Pala di Sant'Onofrioprima del restauro

del 1984-1994.

Fig. 127Il supporto della

Pala di Sant'Onofriodopo il restaurodel 1984-1994.

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namente ricoperti dallo stesso materiale in modo da evitare gliattriti del legno contro legno, è stato possibile documentarecapillarmente tutte le fessure, i fori lasciati dai chiodi e dainodi del legno rimossi nel precedente restauro, individuare ipunti di giunzione delle assi, etc.

Si è quindi affrontato il problema della pulitura, che in unprimo tempo ha comportato saggi effettuati dalle sole restau-ratrici Costanza Mora e Beatrice Provinciali e alcune analisi,principalmente volte al riconoscimento di pigmenti e allaindividuazione di eventuali ridipinture. Anche per quantoconcerne i prelievi, si è cercato di limitarli al massimo sia nelnumero che nella dimensione dei campioni, allo scopo di sal-vaguardare il più possibile l’integrità dell’originale, già cosìcompromessa dalle estesissime lacune.

La pulitura si è svolta principalmente in due fasi: rimozio-ne degli strati di vernici alterate mediante una miscela solven-te e successivo perfezionamento della pulitura a tampone dovenecessario, in particolare in quelle zone nelle quali permaneva-no residui del “beverone” di cui si è detto, segnatamente il cie-lo e il pavimento bianco.

Una volta messo a punto il giusto sistema di pulitura, sonointervenuti al lavoro anche alcuni allievi del corso di restauro,sempre controllati dalle due restauratrici, che hanno ovviamen-te continuato a partecipare personalmente a tutte le operazioni.

Rispetto al restauro del 1948 è stato possibile ottenere unapulitura più completa ed omogenea che, tranne in qualchecaso (nei colori più delicati come il verde, nelle applicazionidella doratura o anche nelle parti più abrase del cielo e delmanto azzurro della Madonna), non ha presentato grandi pro-blemi. Per quanto concerne la doratura, applicata diffusamen-te in vaste porzioni del dipinto sia a corpo che in forma di pic-coli punti in rilievo che cospargono la veste della Madonna, ilpiviale del vescovo e la dalmatica di san Lorenzo, è interessan-te l’osservazione fatta al videomicroscopio di alcuni punti del-la doratura in rilievo, dove l’oro si presentava abraso: è statopossibile osservare che la missione sulla quale è applicato l’oroè caricata di grani di pigmento.

L’esame del dipinto al videomicroscopio si è rivelato moltoutile per osservare il sovrapporsi degli strati pittorici, la consi-stenza delle stesure pittoriche, le fenditure in esse presenti, etc.e, ad ingrandimenti spinti, anche i granuli di pigmento costi-tuenti il colore.

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Nel corso della pulitura si è presentato un problema criti-co: la figura dell’angelo in alto a destra era raccordata da unareintegrazione che nello scorso restauro era stata mantenuta,non essendo possibile ricostruire l’originale mancante. Larimozione di parte della stuccatura nella porzione di cieloadiacente ha mostrato che si trattava di un inserto recente,effettuato su una tavola di legno nuovo e di scadente qualità;

Fig. 128Pala di Sant’Onofrio,

part. con il paesaggioin basso a sinistra

e con la lacunalasciata dalla cornice

dopo il restaurodel 1984-1994.

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pertanto si è deciso di asportare la ridipintura e di sostituire laporzione di legno aggiunta con un tessuto di piccoli tasselli dilegno, poi opportunamente stuccati e trattati un modo da imi-tate il legno abraso dei bordi.

Tutte le lacune nel precedente intervento erano state stuc-cate e reintegrate a tratteggio verticale all’acquerello. Nel pre-sente restauro ci si è attenuti allo stesso criterio per quantoconcerne le lacune all’interno delle figure, sostituendo unanuova reintegrazione alla precedente, per non creare fastidiosesoluzioni di continuità all’interno di un tessuto pittorico mol-to ricco e curato minuziosamente in ogni dettaglio.

Lo stesso criterio non è stato adottato invece per i bordi, neiquali sono state asportate le vecchie stuccature rimettendo inluce il legno della tavola, che è stato opportunamente trattatoin modo da ridurne le disomogeneità (fig. 128). In tal modola pittura originale, liberata dalle vernici che attenuavano for-temente il timbro del colore, che ha ora ritrovato il giustoequilibrio, risalta con maggiore naturalezza, senza indebiteinterpretazioni delle zone marginali.

Le indagini chimiche tradizionali e le analisi non distrutti-ve, volte ad evidenziare la tecnica esecutiva e gli eventuali pen-timenti, sono state affiancate in via sperimentale da una nuo-va tecnica resasi all’epoca disponibile per l’individuazione deimateriali adottati, la fluorescenza X, mediante la quale è statopossibile estendere le campionature per il riconoscimento deipigmenti impiegati ad un numero di punti molto più vasto diquello ottenibile mediante prelievi.

L’elaborazione di tali esami ha confermato pienamente leosservazioni e le interpretazioni fatte dai restauratori nel corsodel lavoro, prima fra tutte che il dipinto è stato eseguito adolio, presumibilmente su un’imprimitura a biacca e olio sullatradizionale preparazione della tavola a gesso e colla. Con que-sta tecnica è possibile ottenere la solida modellazione dei volu-mi e la profondità del colore che si possono apprezzare nelleparti meglio conservate degli incarnati, come nella bellissimatesta di san Lorenzo o nella figura del sant’Onofrio, miracolo-samente scampata all’accanimento terapeutico che ha abraso lealtre figure, ed è stato possibile anche realizzare in punta dipennello tutti quei particolari minuziosamente eseguiti cherimandano all’arte fiamminga e vanno riferiti all’influenzaesercitata dal Trittico Portinari di Hugo van der Goes, giuntoa Firenze nel 1483.

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La minuzia esecutiva è evidenziata anche dall’uso dellospolvero, ben visibile in trasparenza nelle decorazioni del gra-dino del trono (figg. 129-130).

Il disegno preparatorio è stato sostanzialmente rispettatotranne che per alcuni pentimenti, in parte visibili ad occhionudo, come quello presente nella mitria del vescovo o quello inprossimità della caviglia sinistra del Battista o quello sotto lacoscia sinistra del sant’Onofrio (figg. 129-130), in parte eviden-ziati con la riflettografia i.r., come quello presente nella testa disant’Onofrio, che nel disegno preparatorio era stata concepitameno inclinata.

Anche la radiografia, effettuata su alcune figure, ha mostra-to una sostanziale coerenza tra gli strati soggiacenti e la pittu-ra finita, con limitati pentimenti.

Un valido ausilio nel corso dell’intervento è stato fornito daaltre indagini di controllo non distruttivo12, che permettonodi evidenziare le differenti campiture in base alla loro compo-sizione e pertanto consentono di estendere a più vaste zone deldipinto le risultanze delle analisi puntuali effettuate con meto-di microdistruttivi; inoltre, differenziando con grande chiarez-

Fig. 129Pala di Sant’Onofrio,

part. con il piedesinistro del Battista

dopo il restaurodel 1984-1994.

Fig. 130Pala di Sant’Onofrio,

part. con le ginocchiadi sant'Onofrio

dopo il restaurodel 1984-1994.

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za la pittura originale dalle lacune e dalle sovrapposizioni, han-no fornito una guida nella difficile opera di trattamento dellelacune. La reintegrazione infatti ha costituito un lavoro digrande impegno, soprattutto a causa della presenza di estesis-sime lacune proprio nei volti delle figure principali, quelli del-la Madonna, del Bambino e del vescovo.

Nel corso del lavoro sono state redatte tavole tematiche illu-stranti le tecniche esecutive, lo stato di conservazione e gliinterventi effettuati che, riprodotte su pannello, sono state con-segnate insieme al dipinto ed esposte nella collocazione provvi-soria all’interno della chiesa. Tale documentazione, associataall’esame visivo del dipinto e alla documentazione fotograficaeseguita dopo il restauro, costituisce un utile strumento per ilcontrollo del suo stato di conservazione e per la verifica delmantenimento dei risultati raggiunti con il restauro.

A distanza di quasi dieci anni dalla riconsegna sembra con-fermata la convinzione che ha guidato l’intervento, che è sullastabilità dei valori climatici che si basa la possibilità di preser-vare da ulteriori danni questa tavola già tanto compromessa.

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NOTE

1 Il presente testo rappresenta una rielaborazione della relazione da mepresentata a Perugia (palazzo dei Priori, sala della Vaccara) il 6 dicembre 1994in occasione della riconsegna della pala restaurata, nel corso della X Settimanadei Beni Culturali.

2 Il lavoro è stato eseguito completamente con personale dell’IstitutoCentrale del Restauro, sia per l’intervento sul dipinto, al quale hanno parteci-pato negli anni scolastici 1989-90, 1990-91 e 1991-92 alcuni allievi deirispettivi corsi di restauro (XLIII, XLIV, XLV), che per le indagini chimiche,fisiche, di controllo non distruttivo e radiografiche e per la documentazionegrafica degli interventi.

Direzione dei lavori: Daila Radeglia.Restauratori: Costanza Mora, Beatrice Provinciali (consolidamento della

pellicola pittorica, pulitura, integrazione delle lacune), Domenico De Palo(integrazione delle lacune), Carlo Festa (revisione del sistema di sostegno,consolidamento del legno e della pellicola pittorica), Angelo Pizzi (risanamen-to della tavola).

Indagini chimiche: Giuseppina Vigliano, Pierluigi Bianchetti.Indagini per il controllo ambientale: Carlo Cacace (laboratorio di Fisica).Indagini di controllo non distruttivo: Giuseppe Fabretti (laboratorio di

Fisica).Radiografie: Roberto Ciabattoni, Onorato Francesco Orfanò (laboratorio

di Fisica).Fotografi: Pietro Introno, Marcello Leotta, Gianfranco Santonico, Paolo

Piccioni, Ferdinando Provera.Documentazione grafica: Maria Antonietta Gorini, Marina Marchese.3 Come si evince da un documento della Soprintendenza del 19/9/1917

(ASSU, busta 55, fascicolo 5), che fornisce ragguagli circa un malaccortorestauro di quelle pitture.

4 Il documento (ASSU, corrente, busta 11, fascicolo 5: “Relazione riassun-tiva sui lavori di restauro ai monumenti e agli oggetti d’arte diretti da questaRegia Soprintendenza all’arte medievale e moderna a partire dal gennaio1923”) si esprime in questi termini: “Perugia, Duomo - Consolidamento erestauro della tavola di Luca Signorelli”.

5 Il dipinto fu ritirato l’8 febbraio 1948 con verbale di consegna firmatodal restauratore Giovanni Urbani e riconsegnato alla Soprintendenzadell’Umbria con verbale di consegna dell’11 giugno 1951 firmato da LuigiSalerno (cf. Archivio I.C.R.).

6 La foto del supporto precedente all’intervento mostra che sul verso del-la tavola era applicato un telaio inchiodato, con una traversa e due rompitrat-ta. Sono visibili inoltre tracce di stucco a gesso e colla, applicato probabilmen-te per impermeabilizzare il retro.

7 “Descrizione dello stato di conservazione: tavola marcita, tarlata e imbar-cata negli elementi che la compongono. Sollevazioni di molte zone di coloree soprattutto nelle giunture trasversali. Ritocchi e stucchi nelle connessure ein altre vaste zone in alto alla sinistra della tavola. Abrasioni del colore e varieossidazioni delle vernici. Provvedimenti di restauro: restauro del supportoligneo, con raddrizzatura, connessione e risanamento delle varie assi.Parquetage ad elementi affini e scorrevoli. Asportazione del denso strato divernici ingiallite e ossidate. Espunzione dei ritocchi e conseguente completa-

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mento delle lacune. Come è possibile rilevare da un accurato esame delle foto-grafie precedenti l’attuale restauro, è risultata una antica drastica pulitura i cuieffetti in seguito si tentò di rimediare con imbeviture di olio e vernici” (Schedadi consegna per restauro, marzo 1948).

8 Richiedendo contestualmente che venissero effettuate opportune misu-razioni delle condizioni ambientali, con i conseguenti provvedimenti di ade-guamento del microclima (lettera del 18/6/1983). In realtà i dati richiesti nonfurono raccolti, perché frattanto fu intrapreso il restauro architettonico delmuseo, gli spazi prima utilizzati a fini espositivi vennero trasformati e la pro-gettazione dell’allestimento museale posticipata: di conseguenza fu necessarioaffrontare il lavoro sulla tavola senza poterlo correlare, come era stato previ-sto, con quello sull’ambiente.

9 Preventivamente al rientro fu valutata la situazione climatica della cap-pella. Dal 13 maggio 1994 vi fu posizionata la centralina “Climart 90”, conquattro sonde che registravano i dati ambientali all’esterno (1), sulla cancella-ta che separa la cappella dalla navata (2) e all’interno a due diverse altezze (3-4). Risultando i valori misurati piuttosto stabili e compatibili con la conserva-zione dell’opera, questa vi fu trasferita alla fine di novembre, venendo affida-ta alle cure della Dott.sa Francesca Abbozzo della Soprintendenzadell’Umbria. Nei primi tempi dopo la collocazione in Duomo, il controllo deldipinto e la registrazione dei valori erano curati dal restauratore PieroNottiani, prematuramente scomparso.

10 Attualmente, ormai da qualche anno, la disinfestazione con bromuro dimetile in camera a gas non è più in uso all’I.C.R. e la disinfestazione dagliinsetti xilofagi viene ottenuta mediante trattamenti in atmosfera modificatacon gas inerti (generalmente azoto), in sostituzione del bromuro di metile, dicui è riconosciuta la tossicità.

11 Data la presenza di numerosi tasselli inseriti nel precedente restauro,non è possibile verificare sul verso l’ipotesi di una suddivisione ulteriore cheporterebbe il numero delle assi da 5 a 6.

12 Foto in falso colore all’i.r. e u.v.

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Appendice C

La Pala di San Martino

di Petrignano del Lago

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Numerosi stemmi lapidei (o in terracotta) dei Vagnuccicompaiono tutt’ora nelle due ville che la famiglia possedeva anord di Petrignano del Lago, in località Palazzi (comune diMontepulciano; fig. 131)1, e a sud di Cortona, nei pressi diOssaia (San Marco in Villa). I Vagnucci, i quali, come sappia-mo, tennero la signoria di Petrignano sino alla fine del ’400,continuando a risiedervi nei secoli successivi, possedevanoanche un palazzotto (oggi distrutto) all’interno dell’abitato,localizzato grosso modo all’altezza dell’attuale oleificio.

Alcuni stemmi della villa fuori Petrignano recano la sigla“FV” e la data 1609, che dovrebbero riferirsi al ramo dellafamiglia discendente dal capitano Francesco di PietroVagnucci, castellano di Forlì (1563) e cavaliere di SantoStefano (1567); invece la residenza di Ossaia (attuale villaLaura) apparteneva al nipote di costui, Onofrio di Candido diFrancesco, anch’egli, come lo zio Onofrio di Francesco(1587), cavaliere di Santo Stefano (1627)2.

Fig. 131Part. di una carta IGMcon i dintornidi Petrignano del Lago.

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È da ritenersi che Onofrio di Candido sia il committentedel pregevole quadro “caravaggesco” rappresentante SanMartino che dona metà del suo mantello al povero (olio su tela,245 x 180 cm; fig. 132), appeso alla parete d’altare della chie-setta omonima al centro di Petrignano. Infatti l’opera, recen-temente restaurata dallo studio di Bruno Masci a Passignanosul Trasimeno, presenta in basso a sinistra lo stemma Vagnuccisovrapposto alla croce di Santo Stefano (fig. 133), identica allacroce a otto punte dell’ordine di Malta, ma con l’inversionedei colori (croce rossa su campo bianco)3.

Fig. 132Anonimo, Pala di SanMartino, 1627-1634.Petrignano del Lago,

chiesa di San Martino.

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Nel 1634 Onofrio di Candido sposò Francesca DellaCorgna, figlia di Fulvio Alessandro, duca di Castiglione delLago e signore del Chiugi4, accogliendone l’arme di famiglianel proprio stemma, che divenne pertanto bipartito: a quantomi dice uno studioso locale, una volta questo doppio stemmacompariva su un lato della villa di Ossaia, prima che vi venis-se sottratto5. Ne consegue che, sulla base degli elementi dispo-nibili, la Pala di San Martino può essere datata con buona pre-cisione, poiché la sua realizzazione deve collocarsi tra il 1627,quando Onofrio venne nominato cavaliere di Santo Stefano, eil 1634, anno in cui si legò ai Della Corgna con un matrimo-nio tutto politico6.

Considerando la parabola umana ed artistica diMichelangelo Merisi detto il Caravaggio (1571-1610)7, ladatazione proposta risulta perfettamente compatibile con lostile dell’opera, improntato ad un fresco “caravaggismo” diprobabile matrice umbro-toscana, che stempera nel classici-smo e nel naturalismo le irrequietezze del modello8.

La tela venne collocata in un oratorio del SS. Sacramento(che alla fine del ’700 avrebbe preso il titolo di San Martinoproprio dall’opera), la cappella di famiglia che i Vagnucci pos-sedevano a due passi dal loro palazzotto all’interno diPetrignano e che era ubicata nello stesso punto in cui s’innal-

Fig. 133Pala di San Martino,part. con lo stemmaVagnucci sovrappostoalla croce dell’ordinedi Santo Stefano.

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za oggi la moderna chiesetta di San Martino. Una situazionemolto simile a quella della villa a nord dell’abitato, in prossi-mità della quale si trovava, come già accennato, un oratorio diSant’Onofrio, attestato dal ’600 in località Palazzi e forse coin-cidente con la graziosa cappella oggi davanti alla facciata dellavilla (fig. 134)9.

Fig. 134Petrignano del Lago

(dintorni),probabile oratorio

di Sant’Onofriopresso la villagià Vagnucci

in località Palazzi.

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NOTE

1 Il nucleo primitivo della villa appartiene al XV secolo e comprende unantico sacello sotterraneo a forma di ipogeo dove, secondo una tradizione fat-ta nascere e circolare dai Vagnucci, Margherita da Laviano (meglio nota comesanta Margherita di Cortona) avrebbe pregato per la morte dell’amato, ilnobile di Montepulciano Arsenio (da identificarsi probabilmente con Ranierodel Pecora), ucciso in circostanze misteriose. Oggi il sacello non è accessibile,poiché l’ingresso alla scala che vi conduce è stato murato dagli attuali proprie-tari della villa.

2 BAEC, Cartapecore Vagnucci, dal 24 aprile 1563 al 2 maggio 1587;ANGELLIERI ALTICOZZI 1763, pp. 140-141. Francesco di Pietro è il bis-nipotedi Pietro di Francesco, fratello e “biografo” di Iacopo Vagnucci.

3 Il particolare dei colori è importante, perché alcuni membri di questoramo della famiglia Vagnucci (tra cui Girolamo, fratello di Onofrio) vestiro-no l’abito dei Cavalieri di Malta.

4 I Della Corgna divennero marchesi di Castiglione del Lago nel 1550,dopo l’ascesa al soglio pontificio di Gian Maria Ciocchi Del Monte (GiulioIII, 1550-1555), la cui sorella, Giacoma, aveva sposato Francesco DellaCorgna detto il Francia: dal matrimonio nacquero Ascanio il Grande, primomarchese di Castiglione, e Fulvio, il vescovo perugino più volte menzionato.Fulvio Alessandro, nipote del figlio adottivo di Ascanio I, fu l’ultimo (e certa-mente il meno meritevole) dei marchesi, riuscendo nel 1617 ad elevare il pro-prio titolo a quello di duca, ma morendo nel 1647 senza eredi (infatti dalledue mogli aveva avuto solo figlie, tra cui Francesca).

5 BOSCHERINI, in stampa.6 Come sappiamo, i Vagnucci, sin dai tempi del vescovo Iacopo, erano

molto legati all’ambiente mediceo, ed è possibile che, in occasione della guer-ra di Castro (1642-1643), essi venissero coinvolti nel fallito tentativo deiDella Corgna di sottrarre il Chiugi alla giurisdizione della Chiesa, con l’obiet-tivo di diventare vassalli del granduca di Toscana (ivi).

7 A Roma, nel 1595-1596, Caravaggio venne accolto in casa del propriomecenate e protettore, il cardinale Francesco Maria Bourbon Del Monte,ambasciatore nella capitale pontificia del granduca di Toscana Ferdinando I:proprio i Medici, nella persona di Cosimo I, avevano istituito l’ordine deiCavalieri di Santo Stefano (Pisa, 1562).

8 Potrebbe trattarsi del pittore perugino Giovan Battista Bassotti (comu-nicazione orale del prof. Francesco Federico Mancini).

9 La rottura della serratura della cappella, per il momento inaccessibile,non ha permesso di compiere una verifica in tal senso. Comunque si conside-ri che, poco sopra la villa fatta costruire dai Vagnucci, sorge un altro edificiogià di proprietà della famiglia (i Palazzi, sec. XI), una casa-torre al cui internosi trova un sacello che fu, anch’esso, luogo di preghiera per santa Margherita(infatti alla metà del ’200 la residenza apparteneva a Raniero del Pecora, pro-babile marito di Margherita).

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Appendice D

Il duomo di San Lorenzo

nella seconda metà del ’500

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Fig. 135Planimetriadella cattedraledi San Lorenzo(la pianta è riprodottaanche all’internodella bandella sinistradella copertina).

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Secondo ’500 Oggi

1 Tribuna absidale

Coro ligneo (Giuliano da Maiano e Domenico Del Tasso, 1491)

Tribuna absidale

Coro ligneo (Giuliano da Maiano e Domenico Del Tasso, 1491)

Allegorie delle Virtù (affreschi di Domenico Sergardi, 1766)

Storie di san Lorenzo (due tele di Baldassarre Orsini, 1767)

Storie di san Lorenzo (due tele di Carlo Spiridione Mariotti, 1768)

2 Altare maggiore

Tabernacolo (Bino Sozi, 1579)

Altare maggiore (Carlo Murena e Francesco Caselli, 1762)

3 Altare di San Francesco

Gonfalone (tela di Berto di Giovanni, 1526)

Altare dell’Assunta (1620)

Assunzione della Vergine (tela di Ippolito Borghesi, 1620)

Monumento a Pierantonio Ghiberti (1627)

Tabernacolo (Bino Sozi, 1579)

4 Altare del Crocifisso

Crocifisso ligneo (primo quarto del ’500)

Dolenti (affresco di Pietro Perugino, perduto)

Organo (1967)

5 Altare di Santa Barbara Altare del Crocifisso (Pietro Carattoli, 1735)

Crocifisso ligneo (primo quarto del ’500)

6 Sacra Famiglia (tela di Ludovico Caselli Moretti, 1896)

Monumento a Francesco Morlacchi (1953)

7 Altare dei Santi Caterina, Maddalena e Nicola

Pala di San Nicola (tavola di Pompeo Cocchi, 1529, Museo)

Madonna in gloria (tela di Francesco Appiani, 1740)

8 Altare di San Giovanni (1578)

Fonte battesimale (Giulio Danti, 1571, perduto)

Altare del Gonfalone (Giovanni Santini, 1849)

Cristo risorto (tela di Giannicola di Paolo, 1513)

Gonfalone (tela di Berto di Giovanni, 1526)

9 Altare di San Girolamo

Monumento a G. Andrea Baglioni (Urbano da Cortona, 1451)

10 Porta Sud (o principale) Porta Sud (o principale)

11 Altare della Pietà (Agostino di Duccio, 1474, in deposito)

12 Accesso al pulpito esterno Accesso al pulpito esterno

13 Altare di San Matteo Eterno che benedice Perugia (tela di Simeone Ciburri, 1602)

14 Altare del Santo Anello (Benedetto Buglioni, 1488)

Sposalizio della Vergine (tavola di Pietro Perugino, 1504, Caen)

Reliquiario (Federico e Cesarino del Roscetto, 1511)

Bancone dei Magistrati (G. Battista Bastone, 1529)

Balconata (Ercole di Tommaso del Riccio, 1565)

Annunciazione e Natività (vetrata, fine ’500)

Altare del Santo Anello (Francesco Caselli, 1761)

Sposalizio della Vergine (tela di Jean-Baptiste Wicar, 1825)

Reliquiario (Federico e Cesarino del Roscetto, 1511)

Bancone dei Magistrati (G. Battista Bastone, 1529)

Balconata (Ercole di Tommaso del Riccio, 1565)

Adorazione dei pastori (vetrata di Francesco Moretti, 1873)

15 San Bernardino (affresco di Benedetto Bonfigli?, 1450 ca) San Bernardino (affresco di Benedetto Bonfigli?, 1450 ca)

16 Altare di San Sebastiano

Martirio di san Sebastiano (tela di Orazio Alfani, 1576)

Monumento a Marcantonio Oddi (Domenico Guidi, 1668)

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308

Secondo ’500 Oggi

17 Porta Est (o maggiore)

Martirio di san Lorenzo (vetrata di Guglielmo de Marcillat, 1525 ca)

Porta Est (o maggiore)

Martirio di san Lorenzo (vetrata di Ludovico Caselli, 1919)

Apparizione della Vergine (tela di G. Antonio Scaramuccia, 1617)

18 Altare dei Santi Ivo e Marta

Pala di Giannicola di Paolo e G. Battista Caporali (perduta)

Monumento a G. Andrea Baglioni (Urbano da Cortona, 1451)

19 Altare di San Bernardino (Ludovico Scalza, 1559)

Predica di san Bernardino (vetrata di Hendrick van den Broeck, 1565)

Bancone (Iacopo di Antonio e Ercole di Tommaso del Riccio, 1567)

Deposizione dalla croce (tela di Federico Barocci, 1569)

Tredici statue di Vincenzo Danti (1567, perdute)

Altare di San Bernardino (Giovanni Cerrini e Innocenzo Elisi, 1797)

Predica di san Bernardino (vetrata di Hendrick van den Broeck, 1565)

Bancone (Iacopo di Antonio e Ercole di Tommaso del Riccio, 1567)

Deposizione dalla croce (tela di Federico Barocci, 1569)

20 Altare della Santa Croce Natività della Vergine (tela di Vincenzo Pellegrini, 1610 ca)

21 Porta Nord

22 Altare della Madonna del Verde (Pietro Paolo di Andrea, 1479)

Madonna del Verde (affresco staccato, inizio ’300, Museo)

23 Sacrestia della cappella dello Spirito Santo Cappella del Battistero (Giovanni Santini, 1855)

Altare della Madonna del Verde (Pietro Paolo di Andrea, 1479)

Battesimo di Cristo (affresco di Domenico Bruschi, 1876)

Fonte battesimale (Giuseppe Luchetti, 1876)

24 Monumento a Troilo Baglioni (perduto)

25 Altare della Madonna delle Grazie

Madonna delle Grazie (affresco di Giannicola di Paolo?, 1515 ca)

Altare della Madonna delle Grazie (Giovanni Santini, 1855)

Madonna delle Grazie (affresco di Giannicola di Paolo?, 1515 ca)

26 Monumento a Giulio Oradini (Ippolito Scalza, 1573) Monumento a Giulio Oradini (Ippolito Scalza, 1573)

27 Cappella dello Spirito Santo (Galeazzo Alessi, 1576)

Pentecoste (tela di Cesare Nebbia, 1573)

Stucchi di Ludovico Scalza e affreschi di G. Maria Bisconti (perduti)

Cappella del Santissimo Sacramento (Giovanni Santini, 1849)

Pentecoste (tela di Cesare Nebbia, 1573)

Storie dei santi Pietro e Paolo (affreschi di Marcello Leopardi, 1795)

Pietà (vetrata di Tito Moretti, 1874)

28 Organo (1510 ca)

Cristo risorto (tela) e tre tavole del Museo

(Giannicola di Paolo, 1513)

Martirio di san Sebastiano (tela di Orazio Alfani, 1576)

29 Monumento ad Ippolito Della Corgna

(Ludovico Scalza, 1568 ca, perduto)

Tomba dei papi Innocenzo III, Urbano IV e Martino IV (1615)

Prospetto lapideo della tomba (Renzo Pardi, 1960)

30 Altare di Sant’Onofrio (1484)

Pala di Sant’Onofrio (tavola di Luca Signorelli, 1484, Museo)

Vetrata di Bartolomeo Caporali e Nerio di Monte (1484 ca, Assisi)

Altare di Santo Stefano (1608)

Lapidazione di Santo Stefano (tela di Giovanni Baglione, 1608)

31 Statua di Leone XIII (Giuseppe Luchetti, 1892)

32 Cappella dei Canonici Oratorio di Sant’Onofrio (1703)

Storie di sant’Onofrio (affreschi di Domenico Bruschi, 1877)

Coretto a finte tarsie dipinte (Domenico Bruschi, 1878)

Trasfigurazione (copia in tela da Raffaello Sanzio)

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309

Secondo ’500 Oggi

33 Altare di Sant’Emidio (1784)

Sant’Emidio battezza Polisia (tela di Francesco Appiani, 1784)

34 Sacrestia (1572)

Armadio (Mariotto di Paolo Sensi detto il Terzuolo, 1497)

Storie di san Lorenzo (affreschi di G. Antonio Pandolfi, 1576)

Sacrestia (1572)

Armadio (Mariotto di Paolo Sensi detto il Terzuolo, 1497)

Storie di san Lorenzo (affreschi di G. Antonio Pandolfi, 1576)

35 Tomba dei papi Innocenzo III, Urbano IV e Martino IV (1572)

Episodi relativi ai tre papi (affreschi di anonimo, 1572)

Episodi relativi ai tre papi (affreschi di anonimo, 1572)

36 Cappella dell’Arciprete Cappella dell’Arciprete

Martirio di san Lorenzo (tela di Ferraù Fenzoni, fine ’500)

Assunzione di san Lorenzo (tempere di Mariano Piervittori, ’800)

37 Sacrestia dei Canonici

Storie del Vecchio Testamento (affreschi di Salvio Savini, ’500)

Sacrestia dei Canonici

Storie del Vecchio Testamento (affreschi di Salvio Savini, ’500)

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Bibliografia

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313

ABBREVIAZIONI

ACDF = Archivio Capitolare del Duomo di FirenzeADC = Archivio Diocesano di CortonaADP = Archivio Diocesano di PerugiaASCC = Archivio Storico del Comune di CortonaASCP = Archivio Storico del Comune di PerugiaASF = Archivio di Stato di FirenzeASP = Archivio di Stato di PerugiaASSP = Archivio Storico del Monastero di San Pietro

di PerugiaASSU = Archivio Storico della Soprintendenza BAPPSAE

dell’UmbriaBAEC = Biblioteca Comunale e dell’Accademia Etrusca

di CortonaBAP = Biblioteca Comunale Augusta di Perugia

MANOSCRITTI

Archivio Capitolare del Duomo di Firenze (ACDF)

S. Salvini, Vite e memorie de’ nostri canonici della Metropolitana fio-rentina (1751), tomo II (dal 1400 al 1500).

Archivio Diocesano di Cortona (ADC)

Visitatio civitatis et diecesis totius Cortone facta per illustrem ac reve-rendissimum dominum dominum Angelum Perutium episcopum sar-sinatensem et comitem visitatorem apostolicum generalem (1583).

Archivio Diocesano di Perugia (ADP)

S. Silvestrini, Serie de’ vescovi di Perugia redatta da Serafino Silvestrinia proprio uso, copia non autografa (ante 1822) del Belforti-Mariotti(BAP), tomo I.

Visitationes (1564-1781), mss. 1-32 bis.

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314

Archivio Storico del Comune di Cortona (ASCC)

Opere riunite del duomo e di Santa Maria Nuova, ms. G59 (Capitoliconcernenti le sacre reliquie regalate da monsignor Iacopo Vagnucci allacomunità ed entrata ed uscita di dette reliquie).

Archivio di Stato di Firenze (ASF)

Catasto (1427-1491), Catasto di Cortona del 1427, II.

Notarile Antecosimiano, C (1400-1561), reg. 682 (1471-1485).

Diplomatico, Pergamene del convento dei Serviti di Cortona(1260-1751).

Archivio di Stato di Perugia (ASP)

ASCP, Copiari di privilegi, bolle, brevi e lettere, reg. 2 (1439-1473).

ASCP, Fabbrica di San Lorenzo, 7 regg. (1451-1491).

ASCP, Miscellanea, reg. 65 (Costituzioni e atti diversi riguardanti ilMonte di Pietà).

ASCP, Riformanze, nn. 28-121 (1380-1492).

Collegio della Sapienza Vecchia, Miscellanea, misc. 1.

Notarile, Bastardelli.

Sezione di Foligno, Notarile, Serie I; Miscellanea. Anonimi e fram-menti.

Sezione di Spoleto, Archivio Storico del Comune di Spoleto,Riformanze, Serie I (1352-1541).

Archivio Storico del Monastero di San Pietro di Perugia (ASSP)

G. Belforti-A. Mariotti, Memorie istoriche de’ castelli e ville del terri-torio di Perugia, Porta Sant’Angelo (sec. XVIII), ms. CM295.

G. Belforti-A. Mariotti, Serie de’ vescovi di Perugia dall’anno di Cristo171 a tutto l’anno 1785, copia (post 1785) del Belforti-Mariotti(BAP), ms. CM300.

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315

Biblioteca Comunale e dell’Accademia Etrusca di Cortona(BAEC)

T. Braccioli, Stemmi e brevi notizie di LXIX famiglie cortonesi (1565),ms. 389.

F. Coppoli, Consilium saluberrimum pro Monte Pietatis... (1470 ca),ms. 249, pp. 77-90.

Cartapecore Vagnucci, dall’8 febbraio 1446 al 29 giugno 1490.

Contratto di donazione della reliquia dell’anno 1458, in NottiCoritane, vol. IV (1747), ms. 436, pp. 188-190.

Dignità e uffizi che ha avuto messer Iacopo di Francesco de’ Vagnuccida Cortona, ms. 685, pp. 146-147.

Memoria del reliquiario del 1483, ms. 739, c. 18v.

Originale dell’atto di fondazione del Monte Pio di Cortona, ms. noninventariato.

Vita del vescovo della Casa di Vagnucci di Cortona, in Notti Coritane,vol. VIII (1751), ms. 440, pp. 66-71.

Mss. 423, 473, 529, 545, 616, 708.

Biblioteca Comunale Augusta di Perugia (BAP)

C. Baglioni, Perugia sagra o vero annali della Chiesa perugina... (sec.XVII), ms. 31 (A31).

G. Belforti-A. Mariotti, Serie de’ vescovi di Perugia dall’anno di Cristo171 a tutto l’anno 1785, autografo di G. Belforti con note di A.Mariotti (ante 1785), ms. 1349.

G. Bigazzini, Vescovi dell’illustrissima città di Perugia cominciandol’anno del Signore 56..., copia di P. Balzi (1642), ms. 1336.

T. Bottonio, Annali del convento di San Domenico dal 1200 al 1591(ante 1591), con l’aggiunta di altri padri fino al 1600, tomo II (dal1401 al 1591), ms. 1151.

C. Crispolti senior, Perugia Augusta (1603 ca), ms. 162 (C45).

C. Crispolti senior, Raccolta delle cose segnalate di pittura, scoltura edarchitettura che si ritrovano in Perugia e suo territorio... (1597), ms. 1256.

G. Fabretti, Memorie dell’antico castello di Corciano, in Memorie diCorciano e dei paesi soggetti a questo comune, e cioè: Pieve del Vescovo,

Page 317: RAFFAELE CARACCIOLO IACOPO VAGNUCCI

316

Capocavallo, Castel Vieto, Castel del Piano, Chiugiana, Canneto,Solomeo, Monte Frondoso, Mantignana, Pantano, Fontana, Olmo,San Mariano e Mugnano (ante 1868), ms. 1948, pp. 1-125.

O. Lancellotti, Scorta sagra perugina (ante 1671), 2 tomi, mss. 60-61 (B4-B5).

A. Mariotti, Spoglio delle matricole de’ collegi delle arti di Perugia...(1786), ms. 1230.

Costituzioni della casa degli scolari di San Gregorio, ms. 1239.

DATTILOSCRITTI

Biblioteca Comunale Augusta di Perugia, Catalogo dei manoscritti inprosecuzione di quello redatto da Alessandro Bellucci e pubblicato nelvolume V degli Inventari dei manoscritti delle biblioteche di Italia diG. Mazzatinti (mss. 1566-3285).

Biblioteca del Sacro Convento di Assisi, Elenco dei pannelli vetrariconservati nei magazzini del Sacro Convento di Assisi redatto a novem-bre del 1991.

Facoltà di Lettere e Filosofia di Perugia, R. Caracciolo, Iacopo eDionisio Vagnucci vescovi e committenti d’arte nella Perugia del secon-do Quattrocento, tesi di laurea, a.a. 2002-2003.

Istituto Centrale per il Restauro di Roma, D. Radeglia, LucaSignorelli. Madonna in trono, angeli e santi: alcune notizie sul restauro,relazione tenuta a Perugia (sala della Vaccara) il 6 dicembre 1994.

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317

TESTI A STAMPA

AA. VV. 2000Enciclopedia dei papi, vol. II, Roma 2000.

ACIDINI LUCHINAT 1984C. Acidini Luchinat, Gli ornati delle tarsie perugine dal repertorioantiquario alla grottesca, in Annali della Fondazione Longhi, vol. I,Pisa 1984, pp. 55-69.

ALBERTI 1550L. Alberti, Descrittione di tutta Italia..., Bologna 1550.

ANGELETTI-BERTINI 1993G. Angeletti-A. Bertini, La Sapienza Vecchia, Perugia 1993.

ANGELLIERI ALTICOZZI 1763F. Angellieri Alticozzi, Risposta apologetica al libro dell’antico domi-nio del vescovo d’Arezzo sopra Cortona, parte I, Livorno 1763.

ANGELUCCI MEZZETTI 2000P. Angelucci Mezzetti, Il bosco conteso. Una convenzione tra il vesco-vo perugino e la comunità di Corciano nel secolo XIII (da un processoquattrocentesco), in Studi sull’Umbria medievale e umanistica. Inricordo di Olga Marinelli, Pier Lorenzo Meloni, Ugolino Nicolini, acura di M. Donnini-E. Menestò, Spoleto 2000, pp. 3-28.

BAGLIONI 1964A. Baglioni, I Baglioni, Firenze 1964.

BALLARINI 1747P. Ballarini, De iure divino ac naturali circa usuram, tomus II,Bononiae 1747.

BANDINI 1778A. M. Bandini, Catalogus codicum latinorum Bibliothecae MediceaeLaurentianae..., tomus III, Florentiae 1778.

BASCAPÈ-DEL PIAZZO 1983G. C. Bascapè-M. Del Piazzo, Insegne e simboli: araldica pubblica eprivata medievale e moderna, Roma 1983.

BATTISTI 1976E. Battisti, alla voce Ritratto, in Enciclopedia universale dell’arte, vol.XI, Roma 1976, coll. 583-598.

BECHERUCCI-BRUNETTI 1969L. Becherucci-G. Brunetti (a cura di), Il Museo dell’Opera delDuomo a Firenze, vol. II, Milano 1969.

Page 319: RAFFAELE CARACCIOLO IACOPO VAGNUCCI

318

BELLUCCI 1892A. Bellucci, Perugia. Biblioteca Dominicini, in Inventari dei mano-scritti delle biblioteche d’Italia, vol. II, a cura di G. Mazzatinti, Forlì1892, pp. 171-179.

BELLUCCI 1895A. Bellucci, Perugia. Biblioteca Comunale, in Inventari dei manoscrit-ti delle biblioteche d’Italia, vol. V, a cura di G. Mazzatinti, Forlì1895, pp. 56-297.

BENAZZI 1994G. Benazzi, Le vetrate quattrocentesche di San Feliciano, in Bollettinostorico della città di Foligno, vol. XVIII, Foligno 1994, pp. 435-439.

BENAZZI 1996G. Benazzi, Pittori di vetri a Perugia nel secondo Quattrocento eScheda 33, in GARIBALDI 1996, pp. 185-187 e 196-197.

BENAZZI 1998G. Benazzi, L’arte vetraria a Perugia e in Umbria, in I lunedì dellaGalleria, vol. IV, a cura di R. Mencarelli Jorio, Perugia 1998, pp.57-68.

BENAZZI 2004G. Benazzi, Scheda 53, in Nicolaus pictor. Nicolò di Liberatore dettol’Alunno. Artisti e botteghe a Foligno nel Quattrocento, a cura di G.Benazzi-E. Lunghi, Foligno 2004, pp. 406-407.

BERNARDINI 1991M. G. Bernardini, Il Museo della Cattedrale di Perugia, Roma 1991.

BERNARDINI 1992M. G. Bernardini, Il Museo Capitolare: arte e storia del duomo diPerugia, in CIANINI PIEROTTI 1992, pp. 539-556.

BIGANTI 2005T. Biganti (a cura di), Omaggio a Signorelli. Lo stendardo di Breraalla Galleria Nazionale dell’Umbria, Perugia 2005.

BIONDO 1503F. Biondo, Blondi Flavii forliviensis de Roma instaurata libri tres... deItalia illustrata... de gestis Venetorum..., Venetiis 1503.

BOCO-KIRK-MURATORE 1995F. Boco-T. Kirk-G. Muratore (a cura di), Guglielmo Calderini daidisegni dell’Accademia di Belle Arti di Perugia: un architetto nell’Italiain costruzione, Perugia 1995.

Page 320: RAFFAELE CARACCIOLO IACOPO VAGNUCCI

319

BOSCHERINI in stampaL. Boscherini, Laviano-Pozzuolo-Petrignano. Signori e popolo sullavia dell’ascesi di santa Margherita, in stampa.

BRACCIOLINI \ HARTH 1987P. Bracciolini, Lettere, a cura di H. Harth, vol. III, Epistolarum fami-liarium libri. Secundum volumen, Firenze 1987.

BREVI NOTIZIE 1827Brevi notizie istoriche riguardanti l’antichissima città di Cortona,Foligno 1827.

BRIGANTI 1911A. Briganti, Niccolò del Priore, in Rassegna d’arte umbra, anno II,Perugia 1911, pp. 62-67.

CALDERONI 1980A. Calderoni, Il duomo, il vescovato e ’l palazzo abrugiato, Perugia 1980.

CALECA 1969A. Caleca, Miniatura in Umbria, vol. I, La Biblioteca Capitolare diPerugia, Firenze 1969.

CARACCIOLO 2005aR. Caracciolo, Signorelli a Perugia: la pala della cattedrale di SanLorenzo, in BIGANTI 2005, pp. 33-48.

CARACCIOLO 2005bR. Caracciolo, I primi capolavori e Le opere in Toscana, in I luoghi delSignorelli, Perugia 2005, pp. 9-27.

CARACCIOLO 2005cR. Caracciolo (a cura di), Il Santo Anello: leggenda, storia, arte, devo-zione, Perugia 2005 (all’interno: Il Santo Anello nell’arte: tra propa-ganda religiosa e culto della Sacra Famiglia, pp. 65-82).

CARAVALE-CARACCIOLO 1978M. Caravale-A. Caracciolo, Le terre della Chiesa nel Quattrocento (daMartino V a Innocenzo VIII), in Storia d’Italia, vol. XIV, Lo StatoPontificio da Martino V a Pio IX, Torino 1978, pp. 3-138.

CARLETTI-CELLETTI 1967S. Carletti-M. C. Celletti, alla voce Lorenzo, in Bibliotheca sancto-rum, vol. VIII, Roma 1967, coll. 108-129.

CARLONI 1887G. Carloni, Poche ore a Cortona: guida pel forestiere. Impressioni,Cortona 1887.

Page 321: RAFFAELE CARACCIOLO IACOPO VAGNUCCI

320

CASAGRANDE 1987G. Casagrande, Devozione e municipalità. La compagnia delSant’Anello \ San Giuseppe di Perugia (1487-1542), in Le mouvementconfraternel au moyen âge. France, Italie, Suisse, atti della tavolarotonda (Losanna, 1985), Roma 1987, pp. 155-183.

CASAGRANDE 1995G. Casagrande (a cura di), Una Chiesa attraverso i secoli: conversazio-ni sulla storia della diocesi di Perugia, vol. I, Le origini e l’età medie-vale, Perugia 1995.

CASAGRANDE 2005G. Casagrande, La compagnia di San Giuseppe come specchio dellacittà (1487-1627), in CARACCIOLO 2005c, pp. 85-99.

CASAGRANDE-MENESTÒ 1990G. Casagrande-E. Menestò (a cura di), Una santa, una città, atti delconvegno storico nel V centenario della venuta a Perugia di Colombada Rieti (Perugia, 1989), Firenze 1990.

CATALOGO 1907Catalogo della Mostra d’antica arte umbra, Perugia 1907.

CATALOGO 1923Catalogo del Museo dell’Opera del Duomo di Perugia, Perugia 1923.

CERNICCHI 1911G. Cernicchi, L’acropoli sacra di Perugia e i suoi archivi al principiodel secolo XX, Perugia 1911.

CESSI 1965F. Cessi, alla voce Bellano (Vellano) Bartolomeo, in Dizionario biogra-fico degli italiani, vol. VII, Roma 1965, pp. 589-591.

CHERUBINI 1988P. Cherubini (a cura di), Mandati della Reverenda Camera Apostolica(1418-1802), Roma 1988.

CHIACCHELLA-NICO OTTAVIANI 1990R. Chiacchella-M. G. Nico Ottaviani, Perugia tra Quattrocento eCinquecento: un difficile equilibrio, in CASAGRANDE-MENESTÒ 1990,pp. 13-33.

CIANINI PIEROTTI 1992M. L. Cianini Pierotti (a cura di), Una città e la sua cattedrale: ilduomo di Perugia, atti del convegno di studio (Perugia, 1988),Perugia 1992.

Page 322: RAFFAELE CARACCIOLO IACOPO VAGNUCCI

321

CIANINI PIEROTTI 1995M. L. Cianini Pierotti, I vescovi di Perugia nel Trecento, inCASAGRANDE 1995, pp. 35-54.

CIANINI PIEROTTI 1996M. L. Cianini Pierotti, I vescovi perugini del secolo XIV: saggio di proso-pografia ecclesiastica, in Epigrafi, documenti e ricerche. Studi in onore diGiovanni Forni, Napoli 1996, pp. 173-242.

CIATTI 1638F. Ciatti, Delle memorie annali et istoriche delle cose di Perugia...,vol. I, Perugia 1638.

CICINELLI 1982A. Cicinelli, Scheda 10, in Arte sacra in Umbria. Mostra di dipintirestaurati 1976-1981, catalogo della mostra (Perugia, 1981-1982),a cura di M. G. Bernardini, Perugia 1982, pp. 74-78.

CILIBERTI 1998G. Ciliberti, La musica a Perugia al tempo di Benedetto Bonfigli, inBenedetto Bonfigli e il suo tempo, atti del convegno di studio(Perugia, 1997), a cura di M. L. Cianini Pierotti, Perugia 1998, pp.115-126.

COLLARETA 1987aM. Collareta, Il Reliquiario Vagnucci di Cortona, in Bollettino d’arte,supplemento al n. 43, Roma 1987, pp. 87-96.

COLLARETA 1987bM. Collareta, Reliquiario Vagnucci, in Tesori dalle chiese di Cortona,Firenze 1987, pp. 27-29.

COMMODI 1996B. Commodi OFMCONV, L’oratorio di San Bernardino presso la chie-sa di San Francesco al Prato in Perugia, Perugia 1996.

CORDELLA 1995R. Cordella, Norcia e territorio: guida storico-artistica, Norcia 1995.

CORTI 1998L. Corti, Reliquiario Vagnucci, in Margherita da Cortona: una storiaemblematica di devozione narrata per testi e immagini, a cura di L.Corti-R. Spinelli, Milano 1998, pp. 147-148.

CRISPOLTI iunior 1648C. Crispolti iunior, Perugia Augusta, Perugia 1648.

Page 323: RAFFAELE CARACCIOLO IACOPO VAGNUCCI

322

CRONACHE \ RIS 1924Cronache bolognesi (Corpus chronicorum bononiensium), in Rerumitalicarum scriptores, tomo XVIII, parte I, vol. IV, Bologna 1924.

CRONACHE 1896Cronache cortonesi di Boncitolo e d’altri cronisti, Cortona 1896.

CUCCINI 1990G. Cuccini, Agostino di Duccio: itinerari di un esilio, Perugia 1990.

CUTINI-GROHMANN 2000C. Cutini (a cura di), “Per soventione de le povere persone”. Aspetti delcredito a Perugia dal Monte di Pietà alla Cassa di Risparmio, saggiintroduttivi di A. Grohmann, Perugia 2000.

DA BISTICCI \ GRECO 1970-1976V. da Bisticci, Le vite, a cura di A. Greco, 2 voll., Firenze 1970-1976.

D’ADDARIO 1960A. D’Addario, alla voce Acciaiuoli Donato di Neri, in Dizionario bio-grafico degli italiani, vol. I, Roma 1960, pp. 80-82.

DE BUSTIS 1497B. De Bustis, Defensorium Montis Pietatis contra figmenta omnia emu-le falsitatis, Mediolani 1497 (BAP, incunabolo 737).

DE REGUARDATI 1989F. M. De Reguardati, L’Umbria, Ducato di Spoleto e Norcia nel sec.XV. Pagine inedite di storia umbra, Perugia 1989.

DE TOTH 1934P. De Toth, Il beato cardinale Nicolò Albergati e i suoi tempi, 2 voll.,Acquapendente 1934.

DEI VEGHI \ FABRETTI 1850A. dei Veghi, Cronaca della città di Perugia dal 1425 al 1491, notacol nome di Diario di Antonio dei Veghi, in Supplemento VI alGRAZIANI \ FABRETTI 1850, pp. 628-656; cf. anche Cronache dellacittà di Perugia, a cura di A. Fabretti, vol. II, Torino 1888, pp. 1-69.

DELLA CELLA 1900A. Della Cella, Cortona antica, Cortona 1900.

DI CROLLALANZA 1887-1890G. Di Crollalanza, Dizionario storico-blasonico delle famiglie nobili enotabili italiane estinte e fiorenti, 3 voll., Pisa 1887-1890.

Page 324: RAFFAELE CARACCIOLO IACOPO VAGNUCCI

323

DI GIOVANNI \ SCALVANTI 1903P. A. di Giovanni, Cronaca perugina inedita, a cura di O. Scalvanti,Perugia 1903.

DIRINGER 1958D. Diringer, The illuminated book, New York 1958.

DURANTI 1992M. Duranti, Il “Santo Anello” della cattedrale di Perugia tra leggenda edevozione, in CIANINI PIEROTTI 1992, pp. 363-372.

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REFERENZE FOTOGRAFICHE

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Biblioteca del Sacro Convento di Assisi: 43, 45, 50, 54-56.Galleria Nazionale dell'Umbria: 14, 27, 33.Istituto Centrale per il Restauro di Roma: 119-130.Museo Diocesano di Cortona: 89-90.Soprintendenza BAPPSAE di Arezzo: 29.Scuola Edile di Perugia: 10.

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9 788886 255172

ISBN 978-88-86255-17-2