Rachide Cervicale trattamento - AIFI Liguria · La massoterapia e la punto pressione – pag.11 Il...
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Il trattamento fisiokinesiterapico nella patologia cervicale
Corso di aggiornamento obbligatorio - Azienda USL di Ferrara Argenta – Portomaggiore 01-04 dicembre 2000
Relatori : Dott. Giancarlo Padovan – responsabile SRRF Argenta Portomaggiore TdR Giancarlo Caleffi – fisioterapista SRRF Portomaggiore
Dispensa a cura di Giancarlo Caleffi - Terapista della Riabilitazione
Indice dei capitoli
Organizzazione anatomo fisiologica del rachide cervicale – pag.3
La raccolta di notizie – pag.4
Il trattamento valutativo e la verifica delle condizioni patologiche – pag.5
La mobilizzazione del rachide cervicale:
La palpazione delle vertebre cervicali – pag.5
Le trazioni cervicali manuali – pag.7
Gli "allentamenti" muscolari del tratto cervicale – pag.9
La manovra di allungamento del trapezio – pag.8
La manovra di allungamento del gruppo degli scaleni – pag.9
La manovra di allungamento dello SCOM – pag.10
Influenza della respirazione sulla postura cervicale e sull'allungamento dei muscoli del
rachide cervicale – pag.10
Influenza della mobilizzazione cervicale sui movimenti della colonna e sul controllo
posturale – pag.11
La massoterapia e la punto pressione – pag.11
Il dolore Miofasciale – pag.12
Le patologie reumatologiche - pag.14
Le patologie ortopediche – pag.15
La terapia fisica strumentale – pag.17
I tempi e la verifica dei risultati – pag.18
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Il trattamento fisiokinesiterapico
nella patologia cervicale
di Giancarlo Caleffi - Terapista della Riabilitazione
Introduzione
Nell'era della pubblicità , del "look", dell'aspetto esteriore o dell'aspetto falsamente interiore, l' "Uomo" viene
fatto oggetto di bombardamenti più o meno palesi, che tentano di convincerlo ad acquistare qualcosa che lo possa
rendere migliore, nell'aspetto, nel benessere, nella salute, nel rapporto con gli altri e con se stesso.
Inevitabilmente diventa sempre più difficile capire ciò che serve e ciò che non serve.
Uno dei più grossi affari commerciali del secolo è senza dubbio quello che ruota attorno al mondo sanitario. La
salute, lo stato di benessere che si ritrova al di fuori dello stato di malattia.
Quale potrebbe essere per l' "uomo della pubblicità” il momento di maggior benessere? "il momento in cui,
oltre ad avere il nuovo modello di automobile, il mobile più ricercato, il vestito più alla moda, e la pasta con la cottura
migliore,...avesse anche un perfetto stato di benessere fisico ed un inattaccabile equilibrio psichico. ah!."
Purtroppo non sempre è possibile acquistare l'auto nuova od il vestito elegantemente firmato da qualche
famoso stilista, ma è radicata la convinzione che è comunque possibile avere il farmaco giusto (!?), od il giusto esame
clinico.
Anche l’area rieducativa, fisioterapica, così prossima alla medicina, ma non del tutto facentene parte, non è
stata esentata dalla famelicità dell' "affare commerciale", dal Business sanitario.
La gente comune si rivolge a noi convinti che ogni problema possa essere risolto, che comunque c’è sempre
qualche metodo, qualche tecnica che possa far loro raggiungere il benessere. Così in questo business difficilmente
scientificamente verificabile, sono arrivate a mescolarsi tecniche e metodiche delle più disparate, alcune geniali, altre
che ricalcano la più classica delle rieducazioni fisioterapiche, ma usando nomi più eterei, altre che rasentano la
stregoneria.
Ecco, perché mi è sembrato quanto mai attuale ridefinire, rivalorizzare l'intervento del Terapista della
Riabilitazione, dopo che, negli ultimi vent’anni si sono affinate le metodiche e sfumate le incompatibilità tecniche;
l'esperienza terapeutica sul campo ha ribadito, se mai ce ne fosse stato il bisogno, l'interdisciplinarietà delle tecniche,
che assumono come filo conduttore non lo spirito teorico della metodica, ma l'attenta valutazione del riscontro che il
Terapista ha dal paziente durante l'atto rieducativo. Solo da questo presupposto di "ascolto" di ciò che il Terapista sente
e vede, si può partire per dotare l'intervento Terapeutico dei mezzi (metodiche e tecnologie) necessari alla soluzione del
problema, nel rispetto delle esperienze e della dignità professionale di ognuno.
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Organizzazione anatomo fisiologica del rachide cervicale
Il lettore, d'acchito,penserà essere superfluo questo capitolo; leggendone solo il titolo
penserà trattarsi della ennesima elencazione delle possibilità di movimento e della struttura ossea
del rachide cervicale: no, rimando il lettore, per quanto concerne l'approfondimento in questo senso,
alla bibliografia a fondo pagina. Quello di cui intendo parlare dovrà servire, fondamentalmente, ad
avere un linguaggio comune.
Il rachide cervicale è una struttura molto complessa, ed a volte si ha la sensazione che abbia
una vita sua; le reazioni antalgiche della struttura nascondono azioni strategiche atte a conservare
comunque tutti i compiti a cui questa è deputata.
Il tratto cervicale è uno dei maggiori informatori sullo stato di equilibrio del nostro corpo; ed
i riflessi primitivi del bambino, che vedevano il collo come chiave di volta dei primi pattern di
movimento sono ancora nella memoria del SSN periferico e centrale, sopiti, inibiti, ma pronti ad
uscire nel momento in cui non sia più possibile il controllo.
Classicamente, il gruppo delle sette vertebre cervicali, viene suddiviso in due sottogruppi
che avendo scopi diversi possono creare diversi problemi. C1 e C2, Atlante ed Epistrofeo sono due
vertebre anomale rispetto al resto della colonna; sono il cardine di congiunzione del sistema
vertebrale, struttura estremamente instabile, con il cranio, struttura che non può permettersi
l'instabilità. Vedremo, attraverso le figure di seguito riportate, che il solo sistema osseo non può
stabilizzare la struttura, che ha bisogno, da un lato di libertà, e dall'altro di stabilità. La natura è
riuscita nell'intento di integrare queste due richieste, a scapito della solidità.
Il sistema cervico-craniale è molto mobile, ed abbastanza stabile, ma molto fragile.
L'Atlante è una vertebra senza corpo vertebrale. Due massicci laterali di forma ovale,
portanti una faccetta articolare superiore che si articola con i condili occipitali (articolazione
occipito- atlantoidea); la faccetta articolare inferiore si articola con la faccetta superiore
dell'Epistrofeo. L'arco anteriore si articola con l'apofisi odontoide dell'epistrofeo per mezzo di una
piccola faccetta cartilaginea ovalare. Le apofisi trasverse (impalpabili durante la valutazione
manuale) presentano un foro per il passaggio della arteria vertebrale.
L'Epistrofeo ha il corpo vertebrale, e
dal centro della sua faccia superiore prende origine il dente dell'epistrofeo: l'apofisi odontoide,
perno delle articolazioni atlo- assoidee (che mettono in rapporto la faccia inferiore dei massicci
laterali dell'atlante con le superfici articolari superiori dell'Epistrofeo). L'arco posteriore presenta
l'apofisi spinosa con i due tubercoli in fondo, come in tutte le vertebre cervicali. Sono presenti le
apofisi trasverse con il foro per l'attraversamento dell'arteria vertebrale.
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Dalla terza vertebra in giù si ha una morfologia simile per tutte le vertebre cervicali;
brevemente: corpo vertebrale, l'arco posteriore comprendente le apofisi articolari sulle quali vi è
una faccetta articolare superiore, che si articola con la faccetta articolare inferiore della vertebra
sovrastante, ed una faccetta articolare inferiore. Le apofisi articolari sono collegate al corpo
vertebrale mediante il peduncolo dal quale originano le apofisi trasverse presentanti un foro, in
prossimità del corpo vertebrale, che lascia passare l'arteria vertebrale. Posteriormente l'apofisi
spinosa con i suoi due tubercoli.
Grossi ponti legamentosi collegano e stabilizzano questo sistema articolare, ma dilungarci
sulla descrizione di questi risulta inutile, in questo lavoro, dato che molteplici sono le fonti
autorevoli che fanno queste descrizioni. Cito senza dubbio "Fisiologia Articolare di Kapandji".
Ciò che, invece deve attirare l'attenzione del Terapista, è il delicato equilibrio esistente fra le
vertebre. Vedremo in seguito, che le strutture vascolari, nervose e muscolo-tendinee sono in stretta
connessione fra loro e sono poche le possibilità di compenso, di libertà di movimento che vengono
supportate. Quando trattiamo questa zona dobbiamo essere consapevoli di ciò che abbiamo in
mano, prima di compiere qualsivoglia manovra.
La raccolta di notizie
L'anamnesi patologica remota e recente.
Identificare eventuali incidenti che possano aver coinvolto, anche non direttamente, il tratto
cervicale. Le attività lavorative del Paziente, Patologie che in qualche modo possano aver
influenzato le posture statiche o dinamiche.
Gli esami effettuati
L’indagine radiografica, standard ma anche dinamica, in stazione eretta, la TAC e la RNM sono le
indagini che occorre effettuare al minimo dubbio sulla stabilità del sistema, prima di effettuare
qualsivoglia manovra fisioterapica.
L'atteggiamento del Paziente
La rassegnazione, la diffidenza, l’indifferenza, la depressione, l’ansia, sono alcuni modi di essere
dei Pazienti nei confronti della propria malattia e di chi deve affrontarne la cura. Molto
probabilmente in questi casi, pu avendo oggettivamente la possibilità di raggiungere un completo
benessere, non riusciremo a far star bene il nostro Paziente.
Le aspettative del Paziente
Dopo aver esaminato il nostro soggetto, e magari dopo aver effettuato il primo trattamento, potremo
indicargli ciò che pensiamo si possa ottenere dal trattamento rieducativo. Il Paziente ci dovrà dire
quali sono le sue aspettative e realisticamente dovremo dirgli quanto di quello che si aspetta potrà
ottenere. Questo fa si che non alimentino speranze miracolistiche ( per i miracoli possono affidarsi
ai maghi del vicentino N.d.R.) e che non si crei dipendenza psicologica alla terapia e/o al Terapista.
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Il trattamento valutativo e la verifica delle condizioni patologiche
Il primo trattamento. Il Paziente, durante la prima seduta, e sopratutto nelle fasi iniziali di
questa, sarà in continua sorveglianza del tipo e della qualità delle manovre cui viene da noi
sottoposto.
Quello che sarà l'esito finale del trattamento dipende molto dalla nostra abilità, durante la
prima seduta, di fare in modo che il Paziente si affidi a Noi completamente. Una mancanza di
fiducia nelle manovre che dovrà subire e nell'assolvere ai compiti che gli saranno richiesti, si
tramuterà, probabilmente, in una maggiore rigidità della struttura che stiamo trattando con
conseguente difficoltà al rilassamento delle contratture che, anzi, tenderanno ad aumentare di
intensità. Non forziamo mai un malposizionamento antalgico, non combattiamo mai con la forza
una contrattura antalgica.
Se lo stato emotivo del Paziente è di sfiducia, o peggio, di paura, delle nostre manovre, sarà
molto meglio ricorrere a farmaci, o ad applicazioni di Terapia Fisica Strumentale.
Verifica del dolore
Le sedute dovrebbero iniziare sempre valutando e riverificando lo stadio del dolore cervicale. Il
Paziente va esaminato in piedi, braccia abbassate ed alzate cercando il dolore nei tre movimenti
fondamentali (flesso-estensione, rotazione ed inclinazione laterale), da seduto stessa sequenza, e da
supino. Se le indicazioni del dolore, nei movimenti sopra descritti, anche lontano dalla sede
cervicale, indicheranno una prevalenza sugli altri di un certo movimento, sarà soprattutto su quello
che accentreremo il nostro lavoro, anche se converrà sempre trattare anche brevemente gli altri
movimenti. Alla fine della seduta verificheremo se vi è stato un miglioramento, e se il lavoro che
abbiamo condotto è stato efficace per quel paziente.
La mobilizzazione del rachide cervicale
La palpazione delle vertebre cervicali.
Argomento quanto mai ostico, ma molto importante. Questo argomento trova la sua
difficoltà, non tanto nella spiegazione teorica, ma nell'applicazione pratica. Il Terapista dovrà fare
molte prove su svariate persone, prima di poter avere la sensibilità clinica necessaria per poter
azzardare ipotesi sulla posizione delle vertebre cervicali.
Saltiamo la parte dell'osservazione della dinamica e della statica posturale naturale del
paziente mentre parla e mentre si sveste, per concentrare la nostra attenzione sulla palpazione.
Il Paziente deve essere disteso sul lettino, in posizione supina per rilassare più facilmente la
muscolatura superficiale e profonda. Il Terapista deve trovarsi dietro la testa del Paziente, all'inizio
del lettino e deve essere seduto in una posizione comoda, che gli permetta di poter rimanere per un
certo tempo in quella posizione.
La faccia del Paziente deve essere continuamente osservata per avere notizie, (tramite la
mimica facciale del Pz.) di ciò che quest'ultimo avverte.
Prima di iniziare l'esame, le mani del Terapista ispezioneranno, gentilmente la tonicità e la
"plasticità posturale" della zona. Durante l'ispezione il Paziente non dovrà MAI avvertire la
sensazione di abbandono della presa che dovrà essere sicura, tranquilla e decisa.
Quando il Pz. è sufficientemente rilassato con le due mani, effettuiamo una leggera trazione
del tratto cervicale in modo da mettere più in evidenza (soprattutto in presenza di lordosi
accentuate) le apofisi spinose. Con le dita percorriamo la strada formata dalle Apofisi Spinose,
dall'occipite verso il basso e, nel momento che le nostre dita avvertiranno la presenza di una
sporgenza superiore alle altre, sapremo di essere in corrispondenza del processo spinoso di C7.
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Da quel punto, risalendo il rachide cervicale e mantenendo il contatto con le "spinose",
riceveremo una prima serie di notizie:
- avremo notizie su eventuali spostamenti laterali (scoliosi)
- sentiremo se la distanza fra le apofisi è regolare
- si dovrà fare attenzione a capire se esistono infossamenti (lordosi) o affioramenti (cifosi)
delle vertebre.
- se il rachide nel suo complesso è in iperlordosi o rettilinizzato
- se le apofisi sono dolenti alla pressione.
Ricordiamo che si potranno
apprezzare solamente le spinose da C3 a
C7, dato che C2 è situata in un piano
abbastanza profondo, e C1 è priva di
processo spinoso.
La palpazione delle "strutture
laterali" delle vertebre è più difficile.
Vediamo infatti che i tubercoli delle
apofisi trasverse delle vertebre cervicali
sono sede di inserzione di numerosi
muscoli profondi: scaleni, grande e
piccolo retto anteriore del capo, retto
laterale, il lungo del collo; Vi sono poi
tutti i fasci muscolari dei muscoli più
superficiali che nascondono alla
palpazione le trasverse, oltre alle strutture aponeurotiche che ricoprono il tutto.
Per poter apprezzare la posizione delle
strutture trasverse, che ci daranno indirettamente
notizie sulla posizione delle vertebre, dobbiamo:
Posizionare le mani a dita aperte attorno
alla nuca, discendere con l'indice ed il medio ai
lati del collo, partendo all'altezza del processo
mastoideo, mentre scendiamo lasciando sotto i
fasci muscolari del trapezio e sopra i fasci dello
Sterno cleido osteo mastoideo, avvertiremo subito
dopo la partenza un leggero ispessimento sotto le
dita questo corrisponderà alle apofisi trasverse
della seconda vertebra cervicale, (è impossibile palpare la prima), poi , separate da un piccolissimo
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gradino, avvertiremo, man mano tutte le altre sino
a C7. Ascoltando attentamente si potrà sentire la
diversità di posizione rispetto all'asse
longitudinale, di una trasversa rispetto alla
controlaterale; potremo così valutare eventuali
minime rotazioni, minimi spostamenti laterali.
Spingendo con le dita di un lato verso l'interno e
lasciando andare quelle controlaterali, si potrà
anche chiedere al Paziente qual'è la sensazione
meno gradevole delle due, qual'è quella che fa' più
dolore, verificando così le nostre ipotesi
percettive dello spostamento o della tensione
lateralizzata di una o più vertebre.
Le trazioni cervicali manuali Numerose sono le tecniche che i fisioterapisti hanno adottato e adottano per la trazione
cervicale manuale. Difficile dare un indirizzo certo da seguire, ma possiamo vedere quali sono le
principali.
Una tecnica molto usata è quella di porre il Pz. Supino su di un letto alto, ginocchia ed anche
flesse per rettilinizzare la colonna lombare e mettere il capo al di fuori del bordo esterno del lettino.
Il Terapista è in piedi, dietro la testa del pz, gambe divaricate, schiena dritta, leggermente in avanti,
con le mani a sostenere trazionando il capo del Paziente con presa sul collo. Risulta molto faticoso
lavorare in questa posizione per lungo tempo, ma la forza di trazione, se c’è ne fosse bisogno
raggiunge svariati chili molto facilmente.
Altro approccio è quello di mantenere la
testa del pz sul lettino eseguendo le manovre
come per l’atro modo. Ovviamente la fatica è
minore potendo lasciare la testa sul lettino ogni
tanto, ma non è possibile mobilizzare in
estensione il tratto cervico- dorsale.
Un terzo approccio, più attivo, vede il
pz seduto, schiena appoggiata allo schienale,
braccia lungo il corpo, palmo delle mani in
avanti, estensione attiva del tronco. Si può
aiutare, o meno, il pz a mobilizzarsi il capo
anche con l’ausilio dello specchio. La trazione
assiale eseguita dal fisioterapista diviene però molto faticosa.
I colleghi hanno spesso giustamente mescolato questi approcci, nel tentativo di essere
efficaci il più possibile con quel soggetto, con quella patologia, con il minor dispendio di energie
possibile.
Gli "allentamenti" muscolari del tratto cervicale
Negli ultimi anni sono cresciute a dismisura il numero di tecniche che hanno il fine di
ridurre la tensione muscolare, di allentare contratture, o di “diminuire le contratture?!!”. Tecniche di
manipolazione chiropratica, osteopatica, si sono mescolate a tecniche di massaggio orientale, fino
ad arrivare quasi alla stregoneria (!!!!!)
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Vale la pena ricordare ciò che è l’obiettivo della manovra che andiamo ad eseguire.
Dobbiamo ridurre le tensioni muscolari che si evidenziano sotto le nostre mani, e che in numerosi
casi instaurano il famigerato ciclo dolore, aumento del tono, aumento del dolore e così via.
Potremmo anche avere delle eclatanti situazioni di inclinazioni e /o rotazioni del capo sul collo e del
collo sul resto del corpo che sono il risultato di un tentativo automatico di sfuggire al dolore.
In questi casi ci viene molto in aiuto il buon senso, oltre la scienza. Sarà imperativo allentare la
tensione muscolare e, aggiungerei aumentare la “plasticità” connettivale. Partendo dal punto
insindacabile che la percussione violenta o lo strectching violento sul muscolo ne provoca la sua
contrazione, un aumento del tono, o come minimo fa dolore e quindi ricadiamo sul ciclo dolore –
aumento della tensione etc., dovremo approcciare il collo del soggetto in modo molto tranquillo,
avendo cura di evitare prese puntiformi, assecondando inizialmente anche le posizioni antalgiche
assunte dal paziente. Si lascerà il pz bene appoggiato sul lettino, in posizione supina, e da dietro il
suo capo inizieremo a prendere reciproca confidenza delle manovre che dovrà subire. Inizieremo a
trazionare in modo molto tranquillo, con un carico massimo di un chilo circa (a seconda della massa
muscolare), si dovrà tentare di porre il capo in posizione assiale, e si inizierà a tirare in modo
progressivo, senza bruschi cambiamenti di tempo, con le mani simmetricamente dietro il collo
lasciando quindi completamente liberi il volto ed il mento del paziente. Si manterrà questa
posizione di tensione in allungamento per una quindicina di secondi e si rilascerà ancora più
lentamente di quanto ci si è messo per raggiungere la sufficiente tensione. Si ripeterà la manovra
una decina di volte rimanendo sempre al di fuori del punto d’insorgenza del dolore.
La manovra di allungamento del trapezio. Il trapezio è classicamente il muscolo di cui ci si occupa di più. La sua grande estensione ed i suoi
collegamenti con tutte le parti che compongono il movimento dell’arto superiore e del collo (e
anche del tronco), lo rendono soggetto a sollecitazione frequenti prolungate e dolorose.
Poniamo il nostro paziente in posizione
supina, braccia lungo i fianchi, palmo delle
mani rivolto verso l’alto. Con una mano
esercitiamo una leggera trazione del capo
verso l’alto, e con la stessa mano cerchiamo di
salvaguardare la normale lordosi cervicale.
Con l’altra mano fissiamo la spalla
omolaterale al trapezio da trazionare e
cercheremo di spostare il capo verso la parte
opposta. Occorrerà fare attenzione a
mantenere sempre la faccia rivolta in avanti ,
senza rotazioni. Una volta giunti nella
situazione di massimo allungamento,
esercitiamo una trazione verso l’alto con la
mano che guida il capo ed una spinta in
depressione della spalla con l’altra mano. La
tensione verrà protratta per circa 15 secondi
per una decina di volte.
Un’altra manovra che spesso può servire per il lavoro di allungamento del trapezio è
quella di allungamento dei rotatori, che agiscono indirettamente anche sulla inserzione alla spalla
del trapezio. Poniamo il braccio del paziente a circa 90 gradi (se possibile) e, fissando la scapola
con una mano, trazioneremo l’arto verso di noi. Anche questa manovra va fatta al di fuori del dolore
e protratta una decina di volte.
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La manovra di allungamento del gruppo degli scaleni.
Una sofferenza degli scaleni viene spesso
diagnosticata come una periartrite di spalla, o come
una sofferenza della cuffia, o altre patologie similari.
A volte sono sufficienti poche sedute di manovre di
allentamento degli scaleni per dare sollievo ad una
situazione dolorosa o parestesica che non veniva
risolta in nessuna delle classiche maniere.
Si pone il paziente nella stessa posizione
dell’allentamento muscolare sopra descritto. Si
mettono le mani in sul lato del collo identificato come
responsabile, il pollice della mano distale si appoggia
sulla traverse della settima cervicale mentre la mano prossimale si appoggia sull’occipite. Le due
mani vanno in senso opposto; la mano
distale spinge verso il basso, la mano
prossimale traziona in alto. La manovra
è frequentemente dolorosa. Occorre
assolutamente identificare l’appoggio
del pollice solo sulla vertebra in
questione stando bene attenti a non
schiacciare l’arteria che passa
vicinissima ed eventuali linfoghiandole
presenti. La tensione deve durare
almeno una decina di secondi, e verrà
ripetuta 6- 7 volte. Riprodurrà se il
problema erano gli scaleni, il dolore e le
parestesie al braccio amplificandole. Mano a mano che la manovra verrà ripetuta il dolore ed il
formicolio diminuiranno.
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La manovra di allungamento dello SCOM Molto importante è la detensione di questa complessa struttura muscolare. Il suo accorciamento
provoca malposizionamenti del capo, con il passare del
tempo le strutture muscolari posteriori faticheranno
sempre più a mantenere il capo in posizione eretta dovendo contrastare l’anomalo accorciamento
dello SCOM. Si procederà all’allentamento di questa struttura sempre con il paziente supino,
braccia estese sui fianchi con il palmo delle mani rivolto verso l’alto. Trazioneremo leggermente il
capo del soggetto, facendogli comunque mantenere la naturale lordosi cervicale, ruoteremo il capo
dal lato controlaterale a quello del muscolo che vogliamo trattare. Quando la rotazione avrà
raggiunto la massima escursione possibile, fuori dal dolore, allora mantenendo la tensione verso
l’alto con una mano, procederemo allo stiramento sull’inserzione sternale con l’altra. Ripeteremo la
manovra almeno una decina di volte mantenendo la tensione per circa 15 secondi. Riposizioneremo
il capo al centro eseguendo la controrotazione lentamente ed in allungamento leggero.
Influenza della respirazione sulla postura cervicale e sull'allungamento dei muscoli del rachide cervicale
Per avere più efficacia nell’allungamento è auspicabile condurre le manovre sopra descritte durante
la fase di espirazione. Meglio ancora se la fase di espirazione viene condotta secondo i seguenti
punti:
- la fase inspiratoria non deve essere forzata
- non vi deve essere apnea in inspirazione
- l’espirazione deve essere controllata ma
rilassata, deve somigliare più ad un sospiro
che ad altro
- l’atto espiratorio inizierà facendo abbassare
attivamente al soggetto la parte alta dello
sterno
- facendo uscire l’aria a labbra aperte
- si rilascerà, infine, la muscolatura addominale
e si tenterà di gonfiare la pancia mentre la
parte alta del torace si abbassa.
- Il muscolo diaframma dovrà così compiere un lavoro eccentrico
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Durante l’espirazione se lasciamo andare la presa sul collo del nostro soggetto, verificheremo
una rotazione in estensione del capo ed un aumento della lordosi cervicale. Sarà allora nostro
compito compiere le manovre di allungamento durante l’espirazione rilasciando solo durante un
atto inspiratorio.
Compiremo così un allungamento sui muscoli spinali e comunque sui muscoli della statica che
produrrà tensione verso le inserzioni superiori e contemporaneamente verso le inserzione più basse.
Inizialmente dovremo, per qualche atto inspiratorio guidare la respirazione, accompagnando
l’abbassamento dello sterno.
Influenza della mobilizzazione cervicale sui movimenti della colonna e sul controllo posturale
Molto importante è il lavoro sul tratto cervicale anche
durante le fasi di correzione di atteggiamenti antalgici
della schiena o di difetti abituali di postura, o scoliosi
(nella rieducazione delle scoliosi nei ragazzi o nelle
scoliosi dolorose dell’adulto).
Attraverso movimenti del collo è possibile favorire
situazioni posturali del tronco utili alla rieducazione.
Cerchiamo di soffermarci sulle variazioni posturali
che il collo obbliga.
Il paziente deve essere in posizione supina, le braccia
lungo i fianchi
o a 90 gradi,
con il palmo
delle mani in
alto. Si
chiederà al
soggetto una
delordosi
lombare se questo è nelle sue possibilità. Noi ci metteremo
alla testa del paziente e esercitando una leggera trazione sul
collo, sposteremo lateralmente la testa, come per
l’allungamento del muscolo trapezio, e forzando
leggermente la posizione noteremo che a livello dell’angolo
della taglia controlaterale allo spostamento del capo si
evidenzierà una convessità (dalla parte opposta ovviamente
si accentuerà la concavità). Potremo ottenere lo stesso
risultato partendo dalla posizione neutra sopra descritta ed
esercitando sempre una leggera trazione del collo, forzeremo (delicatamente) una rotazione del capo
dal lato omolaterale in cui desideriamo ottenere la convessità.
La massoterapia e la punto pressione
Le manovre di massaggio sul collo, vano eseguite, normalmente, con molta delicatezza, facendo
attenzione particolare in caso di contratture muscolari, fratture anche stabili del rachide, ernie
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discali, ecc… Il Massaggio è spesso visto come sempre benefico dai pazienti, anche se non sempre
è veramente utile.
Frequentemente ha una forte valenza psicologica, e d’altra parte, alcune patologie non possono
seguire un’iter rieducativo di correzzione o di mobilizzazione del rachide.
Nelle malattie croniche od in quelle ove vi sia rigidità articolare da molto tempo (gravi artrosi
cervicali p.e.) è sicuramente una delle poche cose che si possono fare per alleviare lo stato di dolore
cronico, sordo, e continuo che i muscoli della zona del collo provocano anche a causa della forzata
immobilità.
Vale la pena, a volte perdere un poco di tempo per ricercare su corpo muscolare interessato,
il punto più doloroso, quello che scatena il dolore più forte, che si irradia. In quel punto iniziamo ad
esercitare una pressione con il pollice (perché è il più resistente), inizialmente non pesante, ma in
crescita rapida. Il paziente avvertirà un dolore acuto per circa 30 – 40 secondi e poi inizierà a dirci
che il dolore cala. Se riusciremo a mantenere una buona pressione per un tempo abbastanza lungo,
otterremo sicuramente un calo del dolore generale su quel muscolo.
Il dolore miofasciale
A. De Nicola
Una patologia che colpisce praticamente tutti, almeno una volta nella vita, è rappresentato dalle
sindromi miofasciali, sia come evento primario che associato o secondario ad altre patologie.
La letteratura in tema di sindromi dolorose di origine muscolare è alquanto numerosa e per anni la
varietà delle definizioni e la diversità di terminologia per indicare il dolore miofasciale ha generato
confusione e difficoltà nella sistematizzazione della materia. (1)
La sindrome dolorosa miofasciale infatti è stata chiamata anche miosite, fibrosite, mialgia,
miogelosi, miofascite, miofibrosite interstiziale, reumatismo muscolare, stiramento muscolare (2).
Attualmente la definizione di Travell "sindromi di dolore miofasciale" o analogamente "sindrome
dolorosa miofasciale", comunemente e più brevemente chiamato "dolore miofasciale" è quella più
accreditata ed universalmente riconosciuta.
La sindrome dolorosa miofasciale comprende un vasto ed eterogeneo gruppo di patologie muscolari
che si presentano con dolore muscolare continuo, associato a contrattura, limitazione funzionale ed
occasionalmente a sintomatologia di tipo nevralgico quali parestesie e formicolio e disfunzione
vegetativa. Esse sono estremamente comuni e rappresentano, considerate in toto, una delle cause
più frequenti di dolore.
I diritti di proprietà letteraria appartengono ad A. De Nicola
Nel 1954 Janett Travell, alla quale si deve una mole enorme e preziosa di studi sull'argomento, definisce e canonizza
l'elemento caratteristico della sindrome dolorosa miofasciale, cioè il cosiddetto "trigger point" (punto grilletto) in
base a tre peculiarità:
1. dolorabilità profonda circoscritta 2. contrazione muscolare localizzata (twitch) evocata dalla compressione della porzione di muscolo
contenuta nella zona trigger, 3. comparsa di dolore riferito in risposta alla digitopressione del trigger point.
L'elemento peculiare di questa sindrome è rappresentato appunto da un'area di ipersensibilità chiamate "trigger point"
(TP), ossia zona grilletto o punto scatenante, localizzato nel contesto di uno o più muscoli, spesso esteso al tessuto
connettivo. Il TP consiste in una porzione circoscritta, di muscolo o fascia (banderella palpabile), indurita e dolente alla
palpazione. La digitopressione del TP evoca dolore a distanza nella cosiddetta "target area" (area bersaglio o zona di
riferimento), che rappresenta anch'essa un'elemento caratteristico.
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Nessuna alterazione o particolarità istologica significativa è stata evidenziata sulle biopsie effettuate nelle sedi
muscolari dei TPs.
L'area di irradiazione del dolore non segue, tipicamente, la regola dermatomerica o il decorso di un nervo (4). Molti casi
di dolore miofasciale sarebbero l'estrinsecazione del meccanismo del dolore riferito in risposta a stimoli nocicettivi
originati da strutture profonde con scarsa o senza rappresentazione nella corteccia somato-sensoriale. L'origine di questo
dolore anche potendo essere in rapporto con organi quali colecisti, polmone, cuore, stomaco, ecc., sarebbe più
frequentemente in rapporto con strutture scheletriche, legamentose e muscolari della colonna vertebrale, del torace e dei
cingoli scapolo-omerale e pelvico.
A questo proposito Melzack ha individuato una corrispondenza tra trigger points ed i punti delle mappe di agopuntura
in una percentuale del 71% (7): elemento che potrebbe essere di aiuto diagnostico (5,6). La Travell tuttavia ritiene che i
TPs sono caratteristici di ogni muscolo ma con localizzazioni non immutabili ed estrinsecazioni personali (4). Le due
tesi contrastano solo nell'enunciato. Infatti è estremamente probabile che i punti di agopuntura non siano altro che la
manifestazione cutanea di un dolore viscerale e quindi variabili da paziente a paziente: anche se la localizzazione di tali
dolori riferiti è con una certa approssimazione sovrapponibile alle mappe tradizionali standardizzate (8,9).
Origine della sindrome miofasciale. ����� L'individuo, soggetto a stress fisici ed emotivi, può reagire con meccanismi fisiologici di difesa: aumento di tono e contrattura di difesa dei muscoli, modificazioni vasomotorie, iperattività simpatica, alterazioni ormonali, altre modificazioni umorali plasmatiche e dei liquidi extracellulari.
2 -Uno specifico punto (più sensibile del tessuto limitrofo) di un muscolo o di una fascia ipertonici e stressati si affatica e segnala la sua condizione sfavorevole al sistema nervoso centrale.
� � La risposta più facilmente prevedibile coinvolge i riflessi motori: diversi muscoli associati al punto trigger diventano contratti e cominciano ad stancarsi. Le risposte simpatiche inducono modificazioni vasomotorie nel contesto dell'area grilletto e attorno ad essa. Si produce allora ischemia locale, che provoca alterazioni nell'ambiente extracellulare delle cellule affette, con liberazione di mediatori algogeni (istamina, chinine, prostaglandine), modificazioni osmotiche e del pH, che insieme incrementano la sensibilità dei nocicettori di quella zona. L'attività simpatica può anche provocare la contrazione della muscolatura liscia prossima ai nocicettori stessi, eccitandone in tal modo l'attività.
� � L'aumento del flusso di impulsi in partenza dai nocicettori concorre al perpetuarsi del circolo vizioso, poichè accresce I'attività motoria e simpatica, che a sua volta incrementa il dolore.
� � Quando la contrazione incomincia ad affaticare i muscoli, in una situazione di stimolazione simpatica e di alterazioni biochimiche locali, anche i punti trigger di tali muscoli cominciano ad attivarsi, sommandosi al circuito di feedback positivo ed allargando il dolore ai muscoli contigui. Alla fine lo stress dovuto al dolore e alla fatica, sommato all'aumento della tensione muscolare e del tono simpatico in tutto l'organismo, si traduce nell'attivazione di zone grilletto in muscoli situati a distanza dall'iniziale area del dolore.
Diagnosi Spesso la preoccupazione di ricorrere a mezzi diagnostici strumentali per dimostrare la causa di un dolore muscolare e
la disabitudine alla diagnosi clinica, fanno trascurare l'ipotesi che si possa trattare di una sindrome miofasciale (4,5,6).
Infatti la diagnosi di sindrome dolorosa miofasciale è essenzialmente clinica e si fonda sulla presenza dei TPs (punti
grilletto). Ognuno di questi punti in pratica può manifestarsi in ogni muscolo ed ha una dimensione piccola, intorno ad
un centimetro di diametro.
I tipi di dolore riferito sono talmente rilevanti, da paziente a paziente, che il medico può diagnosticare la struttura malata
in base alla topografia ed al tipo di dolore. Entro ciascuna area di dolore riferito c'è spesso uno o più TPs con
localizzazione spesso sovrapponibile nella maggior parte dei casi. La digitopressione su tali zone determina dolore
nell'area di riferimento (target area) ed a volte anche nella struttura viscerale malata.
Interessante è sottolineare come l'iniezione di anestetico locale in quelle zone particolarmente sensibili è capace di
eliminare il dolore riferito e spesso anche quello della struttura viscerale alterata e porre termine al circolo vizioso.
Il problema diagnostico del dolore miofasciale può essere chiarito quando la compressione di un determinato punto
algogeno evoca dolore riferito: cosa non sempre facile, in quanto esso non è necessariamente situato dove il paziente
indica di avere dolore.
L'anamnesi dettagliata deve essere eseguita per conoscere eventuali eventi patologici, traumatici, movimenti bruschi,
sforzi improvvisi, posture anomale, lavori ripetitivi che possano aver scatenato o avviato un dolore miofasciale. Molte
volte però l'anamnesi risulta negativa.
Il dolore viene riferito come sordo, acuto, persistente, profondo quasi mai di tipo bruciante o pungente. A volte il dolore
viene definito come lanciante, folgorante ed a tipo pugnalata.
Non sempre il dolore è presentato dal paziente come il sintomo principale ma è la limitazione funzionale e la contrattura
muscolare che focalizzano l'attenzione.
Nell'esame obiettivo si deve porre attenzione alle anomalie del passo, alle deviazioni della postura, alle asimmetrie del
corpo, a movimenti ed atteggiamenti protettivi o antalgici mentre il paziente si muove, parla e si sveste.
Invitato il paziente a rilassarsi e sistematolo in una posizione comoda si procede all'esame obiettivo. La palpazione delle
aree sospette o indicate dal paziente deve essere sistematica. L'ammalato deve essere istruito affinché indichi quando,
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trovato il punto localmente doloroso (TP), la sua palpazione evochi dolorabilità a distanza, in qualche area di
riferimento.
Appena trovato il TP deve essere segnato con una matita dermografica e riportato in cartella.
La palpazione va fatta con l'indice con movimenti avanti ed indietro sull'area sospetta come se vi volesse "scavare" la
banderella tesa nella quale giace il TP. Questo viene percepito dal polpastrello come una nodosità. Si può procedere
altrimenti con il pollice e l'indice, con una palpazione "a pinza", della banderella muscolare contratta. Questa
operazione può essere compiuta su quei muscoli che possono essere facilmente afferrati come lo sternocleidomastoideo,
il grande pettorale ed il grande dorsale. Per eseguire una diagnosi più precisa ed agevole si può seguire il seguente
schema diagnostico:
• Stirare il muscolo interessato per verificare l'aumento del dolore. • Ricercare la limitazione funzionale. • Verificare l'aumento del dolore quando il muscolo si contrae contro una resistenza. • Accertare l'eventuale debolezza muscolare (non deve essere associata ad atrofia). • Rilevare disfunzioni non dolorose quali disturbi vegetativi come lacrimazione, rinite, ecc. • Il TP si presenta come una zona di dolorabilità circoscritta e che si attenua nelle aree adiacenti. • Un segno di sussulto ("jump sign") può essere evocato dalla digitopressione diretta del TP, con conseguente
allontanamento del paziente e comportamenti innescati dal dolore vivo (smorfie, lamenti, inarcamento della
schiena, ecc.). • Una palpazione brusca, a scatto, del TP provoca il più delle volte un immediato spasmo muscolare locale.
Una moderata e prolungata pressione su di un TP, sufficientemente irritabile, produce o aumenta il dolore nella
Decorso clinico
La fase acuta del dolore miofasciale, una volta che è insorto, dura da due settimane a due mesi. Quando non viene
diagnosticato, o non adeguatamente curato o non curato affatto si va verso la fase cronica o la cronicizzazione vera e
propria la cui durata non è prevedibile.
Quando si eseguono trattamenti idonei i TPs vengono inattivati a lungo ed i pazienti possono reagire ad eventuali
riacutizzazioni dei sintomi senza necessità di ulteriori interventi terapeutici.
Nel caso di cronicizzazione della sindrome dolorosa miofasciale per abuso dei muscoli colpiti, per cattivo uso dei
farmaci o per inadeguata terapia locale è possibile che i TPs divengano, una volta sviluppati, ipersensibili e possano
diventare maggiormente vulnerabili ad una successiva riattivazione. Gli eventi che possono riattivare i TPs sono le
attività fisiche eccessive, l'inattività prolungata o posture anomale del muscolo, stress particolarmente intensi, brusche
modificazioni climatiche, artriti, malattie generalizzate come un'infezione virale (ad esempio l'influenza).
Un esempio tipico è "l'atleta della domenica" che per l'intera settimana è stato seduto di fronte ad una scrivania e che nel
fine settimana mette in iperattività i suoi muscoli. Il lunedì si presenta nell'Unità di Terapia del Dolore con una severa
lombalgia. L'esame clinico non rileva segni clinici di interesse neurologico od ortopedico ma la presenza di TPs nel
contesto del lunghissimo del dorso.
Trattamento Passa dalla la terapia fisica (massaggi, esercizi di allungamento), lo "stretch and spray" (stiramento del muscolo e spray
refrigerante) e lo "stretch and inject" (stiramento ed iniezione del TPs).
Il blocco anestetico dei TPs resta, comunque, il trattamento di scelta. Infatti nella nostra esperienza abbiamo verificato
che l'applicazione dello spray refrigerante e del contemporaneo allungamento del muscolo affetto (stretch and spray)
non sempre è praticabile in quanto non è accetta dal paziente specie nei mesi invernali e nei soggetti di cultura
mediterranea.
Le patologie dell’area reumatologica
Le Fibromialgie.
Con questo nome si identificano parecchi stati dolorosi dell'apparato scheletrico vertebrale.
Il Paziente sovente non da' una descrizione precisa del suo dolore che è difficilmente "acuto" e
comunque dalle verifiche che faremo non sarà neppure ben localizzato. Frequentemente il dolore
viene segnalato più fastidioso al mattino appena alzato con un calo durante l'arco della giornata. Il
trattamento fisiokinesiterapico, in questi particolari Pazienti, sarà difficilmente risolutivo. D'altra
parte anche il trattamento farmaceutico sarà solo di carattere sintomatico.
Occorre tenere ben presente questa poca possibilità curativa, per evitare che il Pz. si crei
delle aspettative di guarigione completa.
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Essendo una patologia da irrigidimento del tessuto connettivale intrinseco ed estrinseco le
strutture muscolari, è ovvio che il movimento condotto in maniera graduale sarà senz'altro la
soluzione migliore. Quindi la RPG solo nelle sue espressioni più dinamiche, automobilizzazioni
condotte nella maniera classica di flesso estensione rotazione ed inclinazione laterali lente continue
senza forzare, autoposture giornaliere. La terapia calorica endogena favorisce il ritorno all'elasticità
(sempre per un tempo molto limitato). Il massaggio ha un effetto positivo per l'aumento di calore
che si ha nella zona trattata.
Le patologie ortopediche
Spondilolisi e spondilolistesi.
La Spondilolisi è una situazione patologica consistente nell'interruzione dell'arco posteriore;
più precisamente a livello dell'istmo. Situazione raramente presente a livello delle vertebre
cervicali, si trova, spesso anche in maniera asintomatica, a livello delle ultime due vertebre lombari.
Frequentemente l'evoluzione porta il crearsi di una spondilolistesi: "scivolamento in avanti della
vertebra (corpo vertebrale, peduncoli, apofisi trasverse e apofisi articolari superiori) rispetto alla sua
parte postero-inferiore ( apofisi articolari inferiori, lamine e apofisi spinosa) che resta solidale con il
metamero direttamente sottostante".
Un controllo radiografico ci può dire esattamente la situazione vertebrale.
A volte dopo un incidente con "colpo di frusta", il controllo radiografico a distanza di tempo
ci rivela la presenza di spondilolistesi da danno del disco. Generalmente questa patologia si
stabilizza senza più aggravarsi dopo il trentesimo anno di età.
I Pazienti giovani, vanno quindi seguiti nel tempo fino alla verifica dell'effettiva
stabilizzazione del quadro.
E' possibile avere Pazienti che non hanno dolore o limitazioni articolari evidenti e quindi,
dopo aver riallenato le possibilità di movimento, si può lasciare il Paziente abbastanza
tranquillamente.
Si dovrà fare attenzione a non trazionare eccessivamente e a non forzare le rotazioni
laterali. Occorrerà intervenire sul dolore nelle diverse
situazioni posturali, ricercando i trigger point, attraverso la
punto-pressione e la terapia con corrente elettrica modulata
tipo "diadinamica". La mobilizzazione va fatta cercando di
omogeneizzare la tensione muscolare dell'arco posteriore, e
quindi va fatta una leggera trazione-massaggio rilassante
mantenendo la lordosi fisiologica; occorre evitare la
delordosi forzata perchè questa non farebbe altro che
aumentare la tensione di muscoli e legamenti che
creerebbero una spinta delle vertebre verso l'interno e
favorirebbero la spinta anteriore della vertebra
spondilolistesica.
Scoliosi.
La scoliosi del tratto cervicale è una patologia
abbastanza frequente, spesso come controcurvatura di una
scoliosi dorso-lombare. Se si tratta di una vera scoliosi, troveremo anche un certo grado di rotazione
delle vertebre, in caso contrario è possibile che ci si trovi di fronte ad un "banale" atteggiamento
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antalgico, a seguito di un incidente traumatico per esempio, o ad una viziatura posturale. Quindi è
molto importante correlare l'anamnesi con la valutazione funzionale.
Se si tratta di una "rotoscoliosi", il trattamento dovrà essere essenzialmente basato sul
tentativo di recupero della possibilità di rotazione ed inclinazione verso il lato della convessità; a
volte è sufficiente anche un solo grado di aumento delle possibilità di movimento per ridare la
possibilità di muoversi senza dolore. Decoattare ed eseguire una rotazione prima nel senso della
rotazione vertebrale, girare quindi il capo verso il lato della concavità e poi deruotare più
lentamente nel senso opposto , continuando a mantenere la decoattazione e favorendo la
derotazione vertebrale agganciando dolcemente le trasverse nel loro complesso, come a riportarle
in asse. Questo movimento deve essere fatto lentamente, senza dolore e senza forzare.
Esiti di fratture
Occorre prestare molta attenzione nel trattamento di questa situazione. Assolutamente da
evitare le manipolazioni Kiropratiche e le brusche mobilizzazioni; non effettuare manovre di
controresistenza massimale (Kabath). Iniziare il trattamento solo ed esclusivamente nel caso che si
abbiano raccolte notizie certe (anamnestiche, radiografiche e diagnosi medico ortopedica)
sull’effettiva solidità della frattura. Si dovranno individuare due obbiettivi principali: il recupero di
un range di movimento funzionale, e/o l’attenuazione del dolore.
Nel primo caso, ancora, si può impostare un trattamento di tipo globale, chiedendo la ricerca
di qualche grado in più di rotazione o flessione laterale attiva al Paziente, sempre decoattando
dolcemente (2 - 3 etti di forza di trazione), senza aiutarlo nel movimento, ma accompagnandolo con
garbo. Un controllo più attivo va invece effettuato sui compensi a carico delle strutture più
direttamente collegate al tratto cervicale: SCOM, Trapezi, dorsali, Pettorali fra i muscoli e sterno,
coste alte, spalle e gomiti, prime vertebre dorsali e basculamento delle scapole fra i sistemi
articolari. (Per i colleghi RPGisti, sarà bene effettuare il trattamento sulle quattro famiglie di
posture, rana in arie e a terra, braccia aperte e chiuse).
In questa maniera anche se il Paziente durante la postura non riuscisse a spostare per più di
qualche grado le sue possibilità di rotazione o inclinazione laterale attiva, correggendo i compensi,
gli avremmo comunque dato ulteriori possibilità di muoversi al di fuori della postura, anche
compensando, ma senza alcun rischio per la zona di frattura.
Quando ci troviamo in presenza di dolore post traumatico e ed esito di frattura, occorrerà
accertarsi della effettiva situazione neurologica. Attraverso un esame elettromiografico, la
radiografia, la TAC o la RMN.
Esclusa una situazione anomala di compressione, che non può essere trattata in questo caso con la
trazione (callo osseo esuberante?, inglobamento del nervo all’interno della calcificazione della
frattura? ), possiamo abbastanza ragionevolmente indirizzare la nostra attenzione ad una sofferenza
di tipo muscolare da non movimento, da errato uso dei muscoli, da stanchezza muscolare. Occorrerà
recuperare una postura dinamica automatica corretta. Possiamo così dare sfogo alla nostra fantasia
per cercare di inglobare movimenti e situazioni posturali favorevoli all’interno della modo di vivere
del Paziente. Utili sono i massaggi manuali eseguiti con poca pressione ricercando e sciogliendo
eventuali contratture, trazioni assiali senza raddrizzamento della fisiologica lordosi leggere e tenute
per poco tempo, correnti diadinamiche e leggera termoterapia esogena se siamo sicuri di non
trovarci di fronte ad uno stato infiammatorio.
Ernie.
La trazione ed il riposo sono da sempre considerati i trattamenti elettivi della FKT.
Kapandji ci conferma che "Quando si sottopone il disco ad una sollecitazione di
elongazione assiale, i piatti vertebrali tendono ad allontanarsi e lo spessore del disco aumenta;
contemporaneamente diminuisce la larghezza, mentre AUMENTA LA TENSIONE DELLE
FIBRE DELL'ANELLO FIBROSO. il NUCLEO, CHE IN CONDIZIONI DI RIPOSO è
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APPIATTITO LEGGERMENTE, ASSUME UNA FORMA Più REGOLARMENTE SFERICA. La
elongazione diminuisce la pressione all'interno del nucleo, tanto che è questa la base del
trattamento delle ernie del disco con la trazione vertebrale; infatti esercitando una trazione
secondo l'asse della colonna la sostanza gelatinosa dell'ernia discale TENDE a ritornare nella
sede normale.
Kapandji ribadisce, se ce ne fosse ancora bisogno, un concetto conosciuto da tempo.
Certo che per ottenere quel risultato, si dovrà mantenere l'allungamento per un tempo
considerevolmente lungo. Ideale sarebbe la possibilità di compiere le manovre di allungamento
muscolare, in una postura che elimini completamente (riduca per quanto possibile), i compensi che
vengono messi in atto dai muscoli della nostra colonna. Il metodo del "Campo Chiuso" e il più
attuale ed attuabile.
Durante la seduta di Rieducazione Posturale Globale, abbiamo la possibilità di mantenere un
certo stato di allungamento, di correggere eventuali posizioni antalgiche, di valutare attraverso la
comparsa e/o la scomparsa di dolore e parestesie, l'efficacia del trattamento.
Occorre prestare molta attenzione, alla direzione assolutamente assiale della trazione, che
non deve essere pesante; si devono evitare rotazioni e soprattutto inclinazioni laterali in presenza di
sicura ernia discale, perchè queste manovre favoriscono una distribuzione asimmetrica della
tensione che può facilitare la spinta verso l'esterno del nucleo.
La trazione deve essere lenta, dolce, ed eseguita senza detensioni improvvise. Mantenuta per
un tempo sufficientemente lungo, tentando nel contempo di ridurre le eventuali contratture
antalgiche attraverso micromassaggi localizzati nei punti "trigger". Occorre fare attenzione che non
vi sia aumento di dolore durante la seduta, nel qual caso occorre sospenderla e valutare il da farsi.
Se viene eseguita la manovra di trazione con l'ausilio di posture tipo "campo Chiuso", queste
dovranno per forza essere eseguite in posizione di scarico "a terra con angolo Coxo femorale aperto
e chiuso", sfruttando al meglio la respirazione in allungamento durante l'espirazione. Se, invece, la
seduta si farà senza nessun ausilio metodologico supplementare, dovremo posizionare un cuscino
sotto le ginocchia del Pz. in modo da favorire la flessione di anche e ginocchia, che aiuta la
distensione del rachide nella sua lunghezza, e detende ileo-psoas e spinali, favorendo un aumento di
tensione sulle strutture tendinee e connettivali ed un maggior spostamento (in termini di micron
evidentemente) delle vertebre verso l'alto.
La seduta deve protrarsi almeno 20 - 25 minuti e dopo un periodo di riposo breve si deve
valutare l'eventuale miglioramento dei sintomi. ATTENZIONE: è importante valutare in termini di
sintomi negativi, non solo il dolore, ma anche formicolii e parestesie varie alle braccia e alle mani.
Non insistere con le manovre se i sintomi aumentano o perdurano più di 5 minuti senza modificarsi
in meglio.
Può risultare utile, in caso di sofferenza del nervo da parecchio tempo (settimane o mesi),
associare alla fine della seduta l'applicazione di correnti antalgiche (diadinamiche) lungo il decorso
della parestesia.
La terapia fisica strumentale Anche la Terapia fisica strumentale ha avuto ed ha uno spazio rilevante nel trattamento del rachide
cervicale. Attraverso le correnti diadinamiche lungo il decorso del dolore, alternando 1 minuto di
corto periodo ed un minuto di lungo periodo, con elettrodi piccoli e facilmente spostabili. La TENS
per periodi di tempo lunghi, senza mai raggiungere la soglia di eccitazione motoria del muscolo,
perché questo porterebbe inevitabilmente ad un aumento delle contratture. Gli ultrasuoni, efficaci
soprattutto nei dolori dei punti di inserzione muscolare, Laser solo in zone molto circoscritte o su
eventuali trigger points identificati.
Molta attenzione occorrerà fare nell’uso del calore.
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I tempi e la verifica dei risultati La molteplicità delle possibilità degli interventi rieducativi e fisioterapici, può portarci a “strafare”
per curare il nostro malato, proprio per questa ragione, per non fare cose che porterebbero solo via
tempo e non darebbero sollievo al paziente, è fondamentale verificare prima e dopo il trattamento lo
stato di dolore o comunque di malessere del soggetto. La valutazione iniziale ci servirà per
orientarci sulla strategia da usare, la valutazione all’interno del trattamento (il trattamento
valutativo) ci darà ulteriori nuovi indizi, probabilmente, sulla situazione del rachide del nostro
paziente, ed infine la verifica finale ci dirà se il nostro approccio riabilitativo è quello giusto, quanto
e se, andrà modificato.
Principali testi di riferimento:
Ginnastica Posturale e tecnica Mézières P.E. Souchard
Posture Mézières P.E.Souchard
La rieducazione propriopcettiva e funzionale in
orropedia e traumatologia
F. mariotto
La respirazione P.E. Souchard
Il trattamento delle fasce M.Bienfait
L’esame obbiettivo dell’apparato locomotore S. Hoppenfeld
Clinica ortopedica Mancini – Morlacchi
Fisiologia articolare I.A. Kapandji
Atlante di anatomia Sobotta