R E A N I E · nelle sestine, disseminate nell’adagio della pri-ma, lanciate poi nel galop della...
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INDICE
INTRODUZIONE DI BRUNO NACCI
POETICHE
[ AVREI TANTE COSE DA DIRTI, MA ]
UNA SCOPERTA DEL PENSIERO
IL VERDE CHE PERDURA
ALTRO ANNIVERSARIO
[ DAL PROFONDO PASSATO TANTO TEMPO ]
[E PROPRIO COME QUANDO PIEGA AL CULMINE]
D’ALTRA PARTE
ERMA DI GIANO
APPUNTI PER UN ALTRO ANNO
NOTA BIOGRAFICA
© Ronzani Editore Vicenza marchio editoriale di Elabora S.r.l.Viale del Progresso, 10 36010 Monticello Conte Otto (Vi)[email protected]: 978 - 88 - 94911 - 01 - 5
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Edward Hopper, con cui Mauro Sambi ha in comune una misurata eleganza, a proposito dei suoi presunti maestri diceva: «Io sono l’u-nico di cui ho subito l’influenza ». La stessa cosa, come tutti i poeti autentici, potrebbe forse dire Sambi, con la prudenza di ricono-scere non i debiti, quanto il fascino che le at-mosfere, i paesaggi, le architetture nordiche, una liricità densa di pensiero, esercitano su di lui. Come le precedenti, anche questa sillo-ge si nutre di contaminazioni, citazioni più o meno occulte, varianti, rifacimenti, traduzio-ni, per lo più da testi classici o inglesi. Seguen-do il più antico degli ammonimenti, Sambi si fa strada nel solco della tradizione con quel-lo che potremmo chiamare uno sperimenta-lismo conservatore, di cui è spia la presenza esplicita, fin dall’inizio, di poeti come Giudi-ci, Saba e Stevens, che rivela in lui l’assiduo lettore, lo scriba assorto a scomporre i testi letti, a farli suoi secondo umore e talento, per ricomporli in sintesi nuove, con accortezza di artigiano e passione d’uomo. Esemplare in questo senso il primo pastiche di una lirica di Giudici, dove il poeta che rammemora un al-tro poeta trasmuta nei versi del terzo e con spostamenti minimi di senso, lessicali, gram-maticali, recupera il magistero degli altri due con devozione e una punta di irriverenza.
Mauro Sambi
INTRODUZIONE
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Sperimentalismo mai fine a se stesso, lonta-no da ogni gioco fatuo, dagli estrosi puzzle di chi usa le parole senza sospettare che al con-trario sono le parole a usare il poeta ( «quel tanto nella voce/che non controlli » ). Esem-plare sotto questo punto di vista Dal profondo passato tanto tempo… che può sembrare l’esibi-zione di una collaudata bravura, uno spartito giocato sulla combinazione di sette note-pa-role: profondo, vita, speranza, betulla, domani, dis-seccato, tempo, che ritornano ossessivamente nelle sestine, disseminate nell’adagio della pri-ma, lanciate poi nel galop della terzina finale che scioglie l’enigmatica e quasi orfica signifi-cazione dell’incipit.
Poeta metafisico, Sambi, che non rinuncia a concepire la poesia come strumento di cono-scenza, vicino alla vocazione rilkiana ma sen-za mai lasciarsi inebriare dall’assoluto o dai suoi recessi misteriosi, consapevole di quanto deve a una storia, la sua, epigona e aralda di sventure più vaste ed epocali: «A lungo, for-se troppo a lungo sono/stato chiuso in una lingua tra due/mondi »; «Nella ridda di dop-pi che colluttano/mortalmente in me ». Una scissione drammatica che lo salva dalla tenta-zione ben presente nel verso d’apertura: «Non rischiare l’astratto per eccesso/di virtù ».
E sempre, quasi con la disinvoltura di chi non vuole farsi riconoscere, non per timidez-za, ma per decoro, l’uso dell’endecasillabo, amuleto e scrigno di echi, fedeltà di adepto, emblema mai abiurato di una gloria e di un mestiere. Un endecasillabo mimetizzato che
non si lascia indovinare per facilità di caden-za, ma è sempre perfetto nel costrutto metri-co, così come le rime, le assonanze, distribu-ite in attenta adesione all’esito musicale non meno che a quello semantico. Perché nei ri-svolti di una lingua sorvegliata tutto governa il silenzio, che non è, e come potrebbe? una caverna buia e insondabile, ma l’intima per-suasione che il rischio di ogni parola è di su-bire l’usura, di diventare una moneta falsa, e dunque richiede l’assorta sospensione di chi la pronuncia come di chi l’ascolta, creando una ‘zona di sicurezza’ dove neppure chi la tiene a fior di labbra possa penetrare impune-mente. Un silenzio che è rispetto della voce profonda che trasmigra da uno all’altro, da sé a sé, rinunciando al rumore, che poi è il con-trario del suono, la retorica del vuoto.
Poesia raffinata, colta, che si depone sulla pagina come il prodotto di una decantazione, frutto di una segreta alchimia, eppure capace di abbandonarsi al piacere di un cromatismo impressionista grazie all’uso, parco, della me-tafora, con accensioni generose, con nostalgie e uno stupefatto senso del passato, come in Altro anniversario, dove il cielo biffato tra chia-rore e tempesta pende sulla sposa che, trat-tenendo con un gesto semplice e sovrano il sipario che sta per richiudersi, sembra dargli fissità di dipinto, sfidando per un attimo l’e-ternità.
Bruno Nacci
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1. Omnes de saba
leggendo Giudici
Non rischiare l’astratto per eccessodi virtù, bel sublime – piuttosto un troppo amore un troppo di dolore ti protegga«O» larghe del vecchio in maschera sioux.
2. Quel tanto nella voce
La lezione dei maestri studiarlaa fondo, non temere quel di meno di finta libertà – così, paterno –
ma fatti per benino tutti i compiti solo dopo stai certo che ti porta alla meta quel tanto nella voce
che non controlli, che ti fa riconoscere.
POETICHE
per M.
Avrei tante cose da dirti, mauna in particolare mi sta a cuore grande e sfuggente, difficile da uncinare a parole nel rumoreroco del presente – eppure non tanto inudibile, se solo facciamomolto silenzio; del resto, di quantoabbiamo di più alto e caro diamo una testimonianza non venale riservandone il meglio all’inespresso, impenetrabile ai morsi del male e zona di sicurezza – da noi stessi innanzitutto. Ascolta dunque attento ora, finché sia perfetto il silenzio.
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da Wallace Stevens, per E.
Agli antipodi della poesia, inverno oscuro, Quando gli alberi scintillano di ciò che li depriva,La luce diurna evapora, come un suono sentito in malattia.
Si è di nuovo bambini. Le barbe d’oro delle cascateCome dissolte in un’infanzia blu neve.Un pergolato contro il vento, una fossa nella foschia,
Un rivolo nella stirpe del nord,Il grillo dell’estate che si genera dal ghiaccio. E sempre a questi antipodi, di pani plumbei
Stretti tra le mani di uomini blu, plumbei dentro, Si pensa che forse la prima parola detta,Il desiderio di discorso e senso audacemente esaudito –
La guerra dell’imbecille alle sue inezieE gli storti antipodi scaraventando via – si pensa,Quando le case del New England prendono il primo sole,
UNA SCOPERTA DEL PENSIERO
Che la prima parola direbbe il sensibile raggiunto, L’immacolato svelamento di un segreto non più occulto. Di colpo il viluppo dell’inverno potrebbe stare eretto,
Pronunciando vita nuova sua e nostra, non lo scialo dell’autunno che ritorna,
Ma una strana creatura antipodale, degna di nascere,L’autentico metallo dell’inverno in ciò che dice:
L’accento di deviazione nel viventeChe è vita preservata, lo sforzo della nascitaSopravvissuto al nascere, l’evento della vita.
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per L.
La stagione inclinerebbe piuttosto ai gialli, ai rossi sfolgoranti che una punta ultima di luce, seresiste il bello, incide nella chiostra
eretta a schiera delle chiome, inchiostro translucido che a fine ottobre le trasfigura in un supremo «Perché? » abbarbicato al tutto che non sosta
arde e declina; ma allora la sfida ultimativa è volgere l’occhio alle giade del verde che perdura e farne
un pegno di speranza per la carnerestia all’inverno, oltre l’inverno guidaincontro alle iris, ai crochi, alle calle.
IL VERDE CHE PERDURA
per M. L.
Si temeva un acquazzone, col cielo nettamente suddiviso in due campicontrari, il nero rigato di lampia nord, e su di noi invece un velo
di chiarore miracolosamente intenso e tenace che avrebbe retto fino al crepuscolo, fino a quel niente di luce riflessa sul mare stretto
tra il verde e i moli nelle ultime fotoall’aperto. Poi sarebbe venutala pioggia, ma non quel giorno, nel vuoto del dopofesta, non più trattenuta
dalla forza misteriosa che aveva diviso il cielo per noi. Misteriosa… Tanti anni insinuano che fu la sposa di allora: ancora trattiene e solleva
il cielo annuvolato quando è giusto.
ALTRO ANNIVERSARIO
1918
ne absorbeat eas Tartarus ne cadant in obscurum
per M.M.
Dal profondo passato tanto tempo dal pieno della vita la speranza un ramo scortecciato di betullala gioia sempre d’altri a lampi brevi e da lontano l’attesa del domani sfibrata nel presente disseccato
nel profondo – nel pozzo disseccato dove latita il battito del tempodove infinitamente domanireplica ieri e chiude alla speranzase non per poche luci fioche e brevi tremanti come foglie di betulla
sul profondo – di fragile betulla flessa sul dirupo sul disseccato imbuto aperto al Tartaro per brevi varchi via per l’oscuro dove temponon sarà mai bel tempo di speranzae strazia a morsi la mente il domani –
dal profondo ti scrivo da un domani disfatto in terra e torba di betulladov’è estinta ogni polla di speranza nell’alveo della pena disseccatobotro di vita non più non di tempo nutrito in giorni sempre uguali e brevi –
dal profondo ti dico quando a brevi istanti alti non segue alcun domanie il tempo è sempre tempo uguale al tempoe immobili le foglie di betullanell’aria senza vento e disseccatoogni filo sottile di speranza –
da questo fondo grido la speranza di giorni luminosi e di ombre brevi quando il torbido pozzo è disseccato e l’infinito aprirsi del domanilucente come è luce la betullarisplende nel presente senza tempo
Nel profondo del tempo la speranza protende rami brevi di betulla vivifica il domani disseccato
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per I.
A lungo, forse troppo a lungo sono stato chiuso in una lingua tra duemondi, costringendone un’altra a un suonosoffocato, sconoscendo le sue
sante ragioni, forse perché un cuore solo è uno spazio troppo esiguo per perimetrare l’enorme interiore duplicità che ne viene – e saper
restare in equilibrio, nonostante tutto… Ora, sul tardi, rassegnato ormai al naufragio di quella variante gemina di me, la morte ha trovato
la chiave della mia metà assopita nel nulla risvegliandone la vita.
D’ALTRA PARTE
per E. e M.
E proprio come quando piega al culminela luce ed apre a un chiaro pomeriggioindefinitamente duraturo,sembra, se non per indizi (se vediallungarsi ombre, virare il blu all’indaco,
maturare il filo dell’orizzontea grado a grado dall’oro all’ambrato,ultimo messaggero del tramonto) eritrovi proprio in quel carnato quantoornava di primi chiarori l’alba,
sospetti allora che l’intransigenzaprepotente del tempo sia fallace, eoffra varchi e scorciatoie e passaggisegreti, dove non sono impossibiliinaspettati, minimi miracoli.
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Nella ridda di doppi che colluttano mortalmente in me, nella collisione dolente di codici che è la brutta stella delle mie veglie di passione c’è, alla radice, la vita già tutta lasciata alle spalle, ogni decisione sciupata, ogni via d’uscita distruttae, aggirandomi spettralmente in zoneattigue al disastro, l’irresistibile richiamo del futuro, la dolce esca sull’amo della speranza, la luce ambigua e setosa, suddivisibile all’infinito, dell’amore, frescaferita e balsamo, Creazione in nuce…
ERMA DI GIANO APPUNTI PER UN ALTRO ANNO
per T.
I prismi a pelo d’acqua delle ondemobilissimi tra l’azzurro e l’indacosulla baia di un mio Eden minoreripetono infinitamente il soleconducono al verdenero dei pini– ai coni d’ombra ai cumuli di luce –nel mero presente senza perché
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Tutto ciò che sono e non sapraitutto ciò che sei e non saprò maitutto l’indicibile perdutoper un attimo eterno alla menteche ti pensa in questa luce sembra meno del poco che è nostro ed è detto per sempre sulla soglia dell’assenza
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Mauro Sambi (1968) è nato e cresciuto a Pola, in Croazia. Vive a Padova dal 1987, dove è Pro-fessore ordinario di chimica generale e inor-ganica. Ha esordito nel 1998 con la silloge Di molte quinte vuote (Premio Città di San Vito al Tagliamento), confluita nel 2010 ne L’alloro di Pound. Poesie 1994-2009 (Edit, Fiume). Nel 2015 ha pubblicato Diario d’inverno (Lietocolle, Faloppio).Ha collaborato con il blog Cartesensibili dove ha curato la rubrica «Voci Oltrenordest», una serie di profili di poeti della Comunità Nazio-nale Italiana dell’Istria e del Quarnero. Ha fir-mato la prefazione a Graspi (Edit, Fiume, 2013) e la postfazione a sfisse (Cofine, Roma, 2016), l’opera in versi in dialetto istroromanzo di Loredana Bogliun.Alla sua attività letteraria è dedicato un capi-tolo de Le parole rimaste, Storia della letteratura italiana dell’Istria e del Quarnero nel secondo No-vecento, a cura di Nelida Milani e Roberto Do-bran (Edit, Fiume, 2010).
NOTA BIOGRAFICA
Una scoperta del pensiero e altre fedeltàdi Mauro Sambi
Direttore di collana: Matteo VercesiProgetto grafico e impaginazione : Elsa ZaupaCaratteri: Gill Sans (1928 - 1930) di Eric Gill per Monotype; Joanna Nova (2015) di Eric Gill e Ben Jones per Monotype.
La Ronzani Editore oggi : Giuseppe Cantele, Paolo Carta, Alessandro Corubolo, Verusca Costenaro, Alberto Cotrona, Giuseppe La Scala, Francesco Maino, Luisa Maistrello, Romina Manzardo, Giovanni Stefano Messuri, Claudio Pozza, Claudio Giulio Rizzato, Giovanni Turria, Matteo Vercesi, Franco Zabagli, Elsa Zaupa.
COLOPHON Qui e altrovemanifesti di poesia
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