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PSICOLOGIA E TEOLOGIA Eco dei Barnabiti 4/2017 38 C hi non ricorda la più elemen- tare equazione, che se A è uguale a C e B è uguale a C, tra A e B, pur nella loro alterità e spe- cificità, si determina necesariamente una corrispondenza, una reciprocità. Se ora al posto di A mettiamo “psico-” e al posto di B mettiamo “teo-”, le ben note parole che iniziano con questi termini hanno entrambe in comune la desinenza “-logía”, vale a dire il “lo- gos”, la loro ragion d’essere e la loro piu profonda verità. Dobbiamo quindi concludere che il versante umano (psico) e quello divino (teo, da “theós”: Dio) degli esseri viventi, e quindi psicologia e teologia, il punto di vista dell’uomo e quello di Dio, si re- lazionano, per certi versi si que- stionano, ma in ultima istanza si integrano e si fecondano a vi- cenda, com’è di tutte le polarità rettamente intese. Ne è persuaso l’autore di que- sto libro, che confessa aperta- mente di rinunciare a una logica di contrapposizione (aut-aut), a favore di una logica di composi- zione (et-et), ravvisando in que- sto un fruttuoso incontro di ogni autentica proposta religiosa, oc- cidentale o orientale che sia, con la dottrina e la prassi psi- coanalítica (p. 159). Aprendo una parentesi, non sarà fuori luogo sottolineare l’im- portanza che rivestono le molte- plici polarità che caratterizzano l’esistenza umana non meno che la vita del cosmo, a cominciare dalla scansione del tempo che costituisce il “logos” nella sua duplice versione diurna e nottur- na. Il discorso andrebbe per le lunghe, solo se volessimo pren- dere in considerazione altre due fondamentali polarità oggi non poco in crisi (si pensi al rapporto ali- mentazione/salute e alle problematiche del “genere”), polarità che riguardano appunto rispettivamente il bisogno pri- mario sotto il profilo individuale (il ci- bo tra appagamento e astensione) e il bisogno altrettanto primario sotto il profilo sociale (la sessualitá tra masco- lino e femminino). In ultima istanza il nostro testo ruota attorno alla polarità tra bene e male, colpa e perdono, chiu- sura e apertura della persona umana. scrivere è come descriversi Riprendendo il filo del discorso, dob- biamo riconoscere che ogni autore, quale che sia l’oggetto del suo scritto, scrive di sé, così che è possibile coglie- re in filigrana le diverse esperienze che hanno segnato la vita del Nostro, esperienze – queste pagine lo testimo- niano – che ben lungi dal sovrapporsi o dall’escludersi, trovano una felice sintesi. Il dettato è fluido e avvincente (forse qua e là si poteva evitare la ripe- tizione riavvicinata di una stessa paro- la, ricorrendo a dei sinonimi) e l’analisi delle due prospettive (psico e teo) sug- gestiva e pertinente. È infatti scrupolo dell’autore scavare nel dettato biblico, soprattutto evangelico, ricorrendo alla forza originaria di un lessico che, nella sua trasmissione o nella sua interpreta- zione, ha talvolta registrato un «certo indebolimento» (p. 108), per cui è opportuno ricorrere a un «lavoro di scrostamento» (p. 163). Analogamente il richia- mo alle dottrine psicoanaliti- che si avvale di non pochi ripen- samenti e aggiornamenti, non esclusa la dimensione sociale e cosmica che colloca il vissuto umano nel suo imprescindibile contesto (pp. 61; 123). E tutto ciò, precisa il Nostro, senza ri- correre «ad abiure forzate di nes- sun tipo, né verso la ragione per i laici né verso la fede per i cre- denti» (p. 163). Laici e credenti... non è anche questa una polarità? tra il chiedere e l’offrire Avventuriamoci ora fra le pa- gine del libro. Il capitolo dedica- to alla parabola di Figliol prodi- go o del Padre misericordioso, ma forse e ancor più propria- mente – come vedremo – dei Due fratelli, poiché è in loro due che in ultima istanza ci dob- biamo rispecchiare, la parabola QUANDO PSICOLOGIA E TEOLOGIA SI TENGONO A BRACCETTO E VANNO DI PARI PASSO Rilettura di un testo curioso e intrigante, scritto da “uno psicoanalista [che] riflette sulle parabole della misericordia” (Sergio Premoli, I piedi del figliol prodigo, Ancora, Milano 2017).

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PSICOLOGIA E TEOLOGIA

Eco dei Barnabiti 4/201738

Chi non ricorda la più elemen-tare equazione, che se A èuguale a C e B è uguale a C,

tra A e B, pur nella loro alterità e spe-cificità, si determina necesariamenteuna corrispondenza, una reciprocità.Se ora al posto di A mettiamo “psico-”e al posto di B mettiamo “teo-”, le bennote parole che iniziano con questitermini hanno entrambe in comune ladesinenza “-logía”, vale a dire il “lo-gos”, la loro ragion d’essere e la loropiu profonda verità. Dobbiamo quindiconcludere che il versante umano(psico) e quello divino (teo, da “theós”:Dio) degli esseri viventi, e quindipsicologia e teologia, il punto di vistadell’uomo e quello di Dio, si re-lazionano, per certi versi si que-stionano, ma in ultima istanza siintegrano e si fecondano a vi-cenda, com’è di tutte le polaritàrettamente intese.Ne è persuaso l’autore di que-

sto libro, che confessa aperta-mente di rinunciare a una logicadi contrapposizione (aut-aut), afavore di una logica di composi-zione (et-et), ravvisando in que-sto un fruttuoso incontro di ogniautentica proposta religiosa, oc-cidentale o orientale che sia,con la dottrina e la prassi psi-coanalítica (p. 159).Aprendo una parentesi, non

sarà fuori luogo sottolineare l’im-portanza che rivestono le molte-plici polarità che caratterizzanol’esistenza umana non meno chela vita del cosmo, a cominciaredalla scansione del tempo checostituisce il “logos” nella suaduplice versione diurna e nottur-na. Il discorso andrebbe per lelunghe, solo se volessimo pren-dere in considerazione altre duefondamentali polarità oggi non

poco in crisi (si pensi al rapporto ali-mentazione/salute e alle problematichedel “genere”), polarità che riguardanoappunto rispettivamente il bisogno pri-mario sotto il profilo individuale (il ci-bo tra appagamento e astensione) e ilbisogno altrettanto primario sotto ilprofilo sociale (la sessualitá tra masco-lino e femminino). In ultima istanza ilnostro testo ruota attorno alla polaritàtra bene e male, colpa e perdono, chiu-sura e apertura della persona umana.

scrivere è come descriversi

Riprendendo il filo del discorso, dob-biamo riconoscere che ogni autore,

quale che sia l’oggetto del suo scritto,scrive di sé, così che è possibile coglie-re in filigrana le diverse esperienzeche hanno segnato la vita del Nostro,esperienze – queste pagine lo testimo-niano – che ben lungi dal sovrapporsio dall’escludersi, trovano una felicesintesi. Il dettato è fluido e avvincente(forse qua e là si poteva evitare la ripe-tizione riavvicinata di una stessa paro-la, ricorrendo a dei sinonimi) e l’analisidelle due prospettive (psico e teo) sug-gestiva e pertinente. È infatti scrupolodell’autore scavare nel dettato biblico,soprattutto evangelico, ricorrendo allaforza originaria di un lessico che, nellasua trasmissione o nella sua interpreta-

zione, ha talvolta registrato un«certo indebolimento» (p. 108),per cui è opportuno ricorrerea un «lavoro di scrostamento»(p. 163). Analogamente il richia-mo alle dottrine psicoanaliti-che si avvale di non pochi ripen-samenti e aggiornamenti, nonesclusa la dimensione sociale ecosmica che colloca il vissutoumano nel suo imprescindibilecontesto (pp. 61; 123). E tuttociò, precisa il Nostro, senza ri-correre «ad abiure forzate di nes-sun tipo, né verso la ragione per ilaici né verso la fede per i cre-denti» (p. 163). Laici e credenti...non è anche questa una polarità?

tra il chiedere e l’offrire

Avventuriamoci ora fra le pa-gine del libro. Il capitolo dedica-to alla parabola di Figliol prodi-go o del Padre misericordioso,ma forse e ancor più propria-mente – come vedremo – deiDue fratelli, poiché è in loro dueche in ultima istanza ci dob-biamo rispecchiare, la parabola

QUANDO PSICOLOGIA E TEOLOGIASI TENGONO A BRACCETTOE VANNO DI PARI PASSO

Rilettura di un testo curioso e intrigante, scritto da “uno psicoanalista [che] riflette sulleparabole della misericordia” (Sergio Premoli, I piedi del figliol prodigo, Ancora, Milano 2017).

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gravita su quello che l’autore richiamain calce del suo scritto, «il mistero delmale» (p. 159) o, per meglio dire, ilmistero della libertà umana, che nonsarebbe tale se non godesse di unaduplice opzione. È l’opzione di frontea cui si trova sia il padre misericordio-so sia il figlio prodigo… Il padre im-persona un Dio disposto a pagare finoin fondo (il suo Verbo incarnato ne da-rà la prova!) il prezzo della libertàumana, ma nel contempo un padre in-teso a dimostrare che non vi è travia-mento che non possa essere riscattato,così da confermare che, al compimen-to finale dei disegni divini, «tutto saràbene e ogni cosa sarà bene» (Giulia-na di Norwich). Non diversamentedal padre e si direbbe in modospeculare, anche il figlio cono-sce il proprio riscatto.A questo punto dobbiamo

precisare in che cosa consistequel “male” che viene definitopeccato e che l’autore sottrae auna visione riduttiva di stampoindividualistico e riconsideranella «totalità dell’economiadel creato» (p. 27), economiainfranta da scelte che ne con-traddicono lo statuto originario(«Vide che quanto aveva fattoera cosa molto buona/bella…»,Gen 1,31), in quanto c’è il ma-le là dove si verifica una «priva-zione di bene», come ci ricor-da sant’Agostino. Ne segue cheil perdonare è a un tempo ilmodo di salvaguardare la pro-pria libertà (p. 157) non sol-tanto da parte di Dio ma an-che dell’uomo, non lasciandoal male l’ultima parola! Entrando nel vivo dell’argo-

mento, l’autore afferma che «nei Van-geli non registriamo una sola richiesta– quantomeno esplicita – di perdono»(p. 107), salvo ridimensionare questogiudizio con un «nei Vangeli non com-pare quasi mai» una simile richiesta(p. 111). Ci domandiamo il perché diquesta ripetuta e problematica sottoli-neatura e la risposta sembra risiederenel fatto che, secondo l’autore, la veraposta in gioco non pare consistere tan-to nel chiedere perdono, cosa che ri-sulta per lo più scontata stante il sensodi colpa che di sua natura accompa-gna l’agire “peccaminoso” dell’uomo,quanto nell’offrire il perdono. Ora,questo ci sembra in linea con l’inse-gnamento di Gesù, là dove dice: «Se

tu presenti la tua offerta all’altare e lì tiricordi che tuo fratello ha qualche co-sa contro di te, lascia lì il tuo dono da-vanti all’altare, va’ prima a riconciliarticon il tuo fratello e poi torna a offrire iltuo dono» (Mt 5,23-24). Si deve infattinotare che Cristo non fa leva sul sensodi colpa, per cui è l’offensore che de-ve chiedere perdono all’offeso, ma è ilpresunto innocente verso cui si nutreun atteggiamento negativo e quindipeccaminoso, che deve compiere ilprimo passo, addirittura violando laprassi liturgica che vietava di interrom-pere il rito sacrificale. Ed è per conferi-re legittimità, autenticità ed efficacia alrapporto con Dio, mediato nell’azio-ne cultuale, che dobbiamo risolvere

le pendenze con i fratelli. Come a direche se non c’è un perdonante, non cisarà mai un perdonato... E neppure cisfugga la finezza psicologica, nellasua paradossalità, dell’insegnamentodi Gesù: tra il colpevole e il colpevo-lizzato c’è questa differenza, che ilprimo, in seguito al suo stato d’animonegativo, gode di minore integrità equindi di minori risorse interiori, ri-spetto al secondo che inavvertitamen-te o non del tutto consapevolmente hasuscitato nell’altro una reazione pec-caminosa, per cui ha “qualcosa con-tro”. Questo ci fa intuire perché quelritorno al padre – frutto di un previo«ritorno in sé» da parte del figlio – tro-vi il proprio genitore in uno stato di al-

lerta angosciosa, gli corra incontro esoffochi con il suo abbraccio la con-fessione del prodigo, impedendogli diportarla a termine (confrontare Lc 15,vv. 18-19 con il v. 21). Per rifarci più direttamente al nostro

testo, è interessante rilevare lo studiocon cui l’autore evidenzia, nelle suediverse modalità, il verbo guida checostituisce come l’impalcatura dellaparabola (p. 23), ma anche il rapportotra rimorso e pentimento (p. 30) e trasenso di indegnità e senso di vergogna(p. 39), facendo notare il trapasso tradisposizioni d’animo che ci chiudononella morsa di un io prigioniero (il ca-so di Giuda) e disposizioni d’animoche ci aprono a un dono (il caso di

Pietro), anzi a un per-dono, undono per eccellenza (p. 30).

da un rapporto verticalea un rapporto orizzontale

Sollecitati anche da quantol’autore verrà dicendo a propo-sito della parabola del Buon sa-maritano, e cioè che «nessunosi è mai chiesto» che cosa nesia stato dell’uomo piamentesoccorso dopo le cure ricevute(p. 138), vogliamo porci lo stes-so interrogativo in merito aidue figli del padre misericor-dioso. Infatti a questa parabolamanca il finale, per cui ci sidomanda ragionevolmente sela riconciliazione tra il padre eil prodigo si sia o meno estesatra i due fratelli. Senza un simi-le esito, la parabola, e con laparabola la vita tra gli uominiresta incompiuta, rimane a unostadio di conflitto. Se ci sembra

quindi fuori discussione che un figliobennato, diremo oggi con il senno dipoi, debba chiedere perdono o co-munque esprimere le condizioni perriceverlo, è doveroso domandarci co-me si stavano mettendo le cose tra idue fratelli della parabola. A dir vero ilmaggiore non poteva meglio esprime-re il suo profondo rancore con queldistaccato e provocatorio «tuo figlio»che rinfaccia al padre e con l’accusaimpietosa nei confronti del fratello:scialacquatore e lussurioso… Al che ilpadre, nel tentativo di rappacificare ifigli, corregge il tiro con quel “tuo fra-tello” e l’invito a far festa. L’incom-prensione tra i due, o meglio tra ilmaggiore e il minore – ma anche que-

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Sergio Premoli

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st’ultimo, con la richiesta della doteche avrebbe sperperato e l’abbandonodella casa paterna, aveva recato offesae danno al fratello – l’incomprensione,dicevamo, tra i due ha origini lontanee può essere rintracciata, come notal’autore, nell’autocoscienza del prodi-go che chiede di essere accolto dalpadre in qualità di “servo” e del mag-giore che si considera invece addirittu-ra suo “schiavo”! Chi dunque dei duedovrà fare il primo passo della riconci-liazione vicendevole? Se entrambi i fi-gli sono segnati da un rapporto conflit-tuale con la casa paterna (chi l’abban-dona e chi vi rimane con animo dischiavo), la riconciliazione con il pa-dre da parte del prodigo, dispone que-st’ultimo a fare il primo passo verso ilfratello. Al nostro interrogativo non è

quindi azzardato rispondere: tocca alminore, secondo la logica evangelicache abbiamo esposto sopra, porgere almaggiore lo stesso abbraccio ricevutodal padre. Come vedremo in seguito,sa perdonare soltanto chi ha fattoesperienza del perdono! La parabola, da cui ora ci conge-

diamo, potrebbe confermare un’altracostante biblica, che cioè Dio dà lapreferenza all’ultimo rispetto al primo.

da “mentale” a “viscerale”

La parabola del Buon samaritano of-fre all’autore l’opportunità di eviden-ziare l’importanza che riveste lo spo-stamento d’accento dal pensare alsentire, dal capire al «fare spazio»(p. 13), ossia lo spostamento da un ap-

proccio puramente mentale, in defini-tiva illusorio e inefficace, a un approc-cio che cali nel vissuto e che diventiesperienza. È indubbio che tutto ruotaattorno a quelle “viscere” che, per legrandi tradizioni spirituali, costitui-scono il punto nevralgico dell’essereumano nel suo sentire e nel suo agire.La rivelazione biblica ne enfatizza ilruolo, ravvisando nel respirio (nesha-mah), inteso nella valenza più sacra,la «fiaccola donataci da Dio per scru-tare le stanze del ventre» (Prv 20,27) equindi per risvegliare e attivare quelle“viscere” della cui importanza Cristooffre ripetuta testimonianza nel suo re-lazionarsi con l’uomo (p. 75). Per nonparlare del rilievo che ha nella tradi-zione giapponese lo “hara” e la suaespressione più sconcertante nello“harakiri” o karakiri” che sia. Un simi-le realismo nella pratica religiosa nonha mancato di lasciare una traccia vi-stosa nella stessa liturgia eucaristicadel rito romano, dove l’antico messa-le, il cui uso non è andato in prescri-zione (l’ultima edizione risale al1963), riportava questa stupenda pre-ghiera, scomparsa nel nuovo messalea motivo della sbrigativa semplifica-zione dei testi, preghiera che il sacer-dote recitava al momento della comu-nione: «Corpus tuum, Domine, quodsumpsi et Sanguis quem potavi adhae-reant visceribus meis… Il tuo Corpo, oSignore, che ho ricevuto e il Sanguecui ho attinto aderiscano alle mie vi-scere con la loro azione purificatrice diogni macchia di peccato». In un’altrapreghiera, rimasta nel messale (orazio-ne dopo la comunione, propria dellamessa della XXIV domenica durantel’anno), si parla di una «presa di pos-sesso dell’anima e del corpo da partedel sacramento»; di «lasciarsene im-pregnare» come suona la traduzionein spagnolo. Si chiede dunque chel’eucaristia raggiunga quella zona do-ve corpo e anima, fisicità e psiche siincontrano e operano! Ciò detto, l’au-tore, anche in merito alla paraboladel Buon samaritano, si sofferma suun’analisi dettagliata delle parole chia-ve (pp. 51 e 82), nell’intento di dimo-strare, con osservazioni di indole psi-cologica, come gli attori dell’episodio,attraverso il loro comportamento, aiu-tino a comprendere cosa comportafarsi o non farsi prossimo. Se da un lato la parabola va consi-

derata come rappresentazione plasti-ca della «globalizzazione dell’indiffe-

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Van Gogh, il Buon Samaritano

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renza» (p. 73), da un altro lato essa in-dica in quale modo vi si possa contrap-porre quell’«amore di carità» (p. 95)che non trova altra giustificazioneche in se stesso, nella sua gratuità: un«amore all’insaputa», come viene det-to con espressione icastica (p. 96). Lariflessione sotto il profilo psicologicodella vicenda immortalata nel Vange-lo, consente inoltre all’autore, comegià nel caso del Figliol prodigo, di fa-re emergere la differenza tra compas-sione e commozione (pp. 34-35), ri-scontrando nella seconda l’autenticoinsegnamento e il messaggio di Gesù.Alla stessa stregua si evidenzia il diva-rio tra vedere e guardare (p. 56) e travicinanza e prossimità (p. 57), con lasottolineatura che la prima va trasfor-mata nella seconda (p. 59), dal mo-mento che «non si è prossimo, se nonci si fa prossimo» (p. 58). A dir vero iltesto evangelico dà all’autore lo spun-to per allargare il discorso a tutta unaserie di richiami di indole psicologica,finalizzati a renderci conto di quantosia complesso relazionarsi con l’altroe come in simili frangenti emerganoluci e ombre del nostro vissuto. L’altroquindi mi fa da specchio, mi rimandacostantemente a me stesso.

da colpa a debito

Il terzo capitolo richiama l’atten-zione su quanto la preghiera del Pa-dre nostro afferma circa la remissio-ne dei peccati e il superamento dellaprova/tentazione con la relativa vitto-ria sul male/Maligno. Prima però dientrare in merito a ciò che viene illu-strato a commento delle suddette in-vocazioni, nell’intento di inquadrarel’arduo tema del perdono occorre af-fermare perentoriamente che, se perpeccato intendiamo una grave eumanamente irreparabile ferita all’or-dine individuale, sociale e cosmicoimpresso da Dio nel creato (cf p. 61),soltanto al medesimo Dio si addiceperdonare. È significativo il fatto che,in linea con la tradizione giudaica,Cristo non operi di persona, ma invo-chi dal Padre il perdono per i suoicrocifissori, peraltro attenuandone lacolpa, dal momento che «non sannoquello che fanno» (Lc 23,34); quelCristo che pure attribuì a sé «il pote-re sulla terra di perdonare i peccati»(Mt 9,6)! Ne segue che sarà possibilea nostra volta perdonare, dal mo-mento che siamo stati perdonati in

virtù dell’iniziativa divina che prece-de ogni iniziativa umana, come ci ri-corda san Paolo (Rm 5,8). A questopunto le posizioni si capovolgono ela certezza del perdono divino si mi-sura concretamente con la capacitàdi perdonare da parte nostra, o me-glio con la controprova che abbia-mo già perdonato in forza di unagrazia che ci è stata accordata. È que-sta la portata del verbo coniugato alpassato, come ben ricorda l’autore(p. 114). Il quale, anche in questocontesto, chiarisce il senso genuinodei termini impiegati nei Vangeli. Ilprimo indica propriamente la colpa eha un evidente riferimento all’ordinedivino infranto, mentre il secondoparla di debito, e quindi ravvisa nellastessa azione peccaminosa una pen-denza contratta verso l’altro, la so-cietà, la natura, per cui va prelimi-narmente risolta, pena non godere delperdono del Signore (Mt 6,14-15),come viene rimarcato (pp. 113-114).Una simile evidenziatura è di im-portanza capitale, dal momento cheva oltre l’esperienza del perdonocome disposizione d’animo e impli-ca la concretezza di un gesto ripa-ratore: ciò che si rompe, va riparato!Si tratta pertanto di uno «spostamen-to dal concetto di colpa a quello didanno» (p. 41), la cui importanzanon può sfuggire nella formazione diuna retta coscienza e di un retto ope-rare. È secondo quest’ottica che vie-ne approfondito il termine “meta -noia”, vero criterio interpretativo del-l’annuncio evangelico, e questo inbase alla duplice accezione della pa-rola resa sia con pentimento e siacon cambiamento. Dove il penti-mento attiene alla dimensione indivi-duale e il cambiamento a quella so-ciale (pp. 117-118). La metanoia devecertamente approdare alla remissio-ne dei peccati, ma quest’ultima risul-terà efficace se innesca un processodi revisione, processo che implicanon unicamente disposizioni interio-ri, bensì consequenziali azioni este-riori, all’insegna di un mutamento divita e di rapporti (p. 121). Sono aquesto proposito illuminanti le osser-vazioni su «peccati e debiti» intesicome “vincoli” che intrappolano lavita propria e altrui. Ciò detto, l’auto-re chiama in causa un insieme diesperienze che con termine somma-rio possiamo definire di “peccato”nel senso etimologico di inciampo

(“peccus”, in latino) che segna fatal-mente il percorso della vita. E questonell’intento di ravvisarne tutti i rifles-si su un piano propriamente psicolo-gico e comportamentale.

le “figure” del male

Lo scopo che ci siamo prefissi inqueste note ci porta infine al dettatodel Padre nostro e più specificamen-te, come si è accennato poco sopra,alle ultime espressioni della preghieradel Signore e ai relativi termini: pro-va/tentazione e male/Maligno, non-ché soccombere/liberare. Appuntoperché libero, l’uomo si trova con ciòstesso in una condizione di scelta econseguentemente di prova che ri-guarda il suo pensare, il suo sentire eil suo agire, in corrispondenza con letre fondamentali aree della sua natu-ra. La prova si risolve in tentazione(secondo il duplice senso del termineusato dall’evangelista), qualora na-sconda l’insidia di un agire peccami-noso, ossia non conforme all’autenti-co dettame della coscienza, dato chel’uomo è stato creato «buono a be-ne», come ci ricorda Dante (Purg.XXVIII,91). Ne segue l’appello al Pa-dre perché non si abbia a entrare inuna situazione di prova che può in-clinarci al male, ossia al peccato.Peccato che viene descritto, sullascorta della vicenda di Caino (Gen4,6-7), come una realtà da tenerefuori della porta, realtà alla quale vie-tare l’accesso (p. 141). Il che fa com-prendere che il suo ingresso nel cuo-re dell’uomo non ha nulla di determi-nistico, ma coinvolge la sua libertà,sia pure umanamente condizionata,di scelta. Il rischio che incombe sugliumani è reso plasticamente nella Let-tera di Giuda (v. 19), dove si parla di«quanti vivono andando oltre, infran-gendo il proprio limite» creaturale equindi si rivelano certamente “psichi-ci” ossia forniti di tutto il bagaglio dipotenzialità umane, ma “privi di quel-lo Spirito santo” che invera la nostraesistenza restituendola ai lineamentidivini che vi furono impressi all’attodella creazione (Gen 1,27).Passiamo all’ultima frase della pre-

ghiera: «liberaci dal male». Opportu-namente l’autore fa osservare che si-mile espressione non va intesa nelsenso generico di essere liberati dalmale, «perché questo vorrebbe diretogliere all’uomo la libertà», che è la

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condizione che rende possibile «fare ilmale ma anche fare il bene» (p. 153).Si tratta piuttosto di prendere attoche l’uomo incontra nella sua vita,accanto a realtà buone, «forme per-sonificate di male», le quali hannonel Maligno (e in tutti i suoi satelli-ti...) della tradizione biblica la loropiù immediata e funesta espressione(p. 155). In altri termini, a mettere al-la prova la libertà umana non si dan-no unicamente “figure” di bene, maanche di male, figure che suscitano ildesiderio prima di tradursi in azione(p. 143). Ed è nei confronti di simile

propensione verso il male (o il minorbene!) che chiediamo la liberazione,l’affrancamento, la vittoria. In casocontrario ci riveliamo “cattivi”, ossiaprigionieri nel senso originario deltermine latino “captivi” e quindi irre-titi nei nostri limiti. E poiché il malesi esprime alle volte nella figura delmalvagio, sono chiarificatrici le indi-cazioni che vengono offerte in appli-cazione dell’invito di Cristo a nonopporsi a chi è portatore di male neinostri confronti (il “malvaglio”), masemmai a porgere l’altra guancia, aoffrire una guancia, un volto “altro”

da quello dell’offensore, uno sguardoalternativo che all’odio contrapponebenevolenza, alla violenza mitezza,così da “trasformare un sopruso inuna scelta” d’amore (p. 158), rispon-dendo al male con il bene. Il checonferma come il perdono sia unagrande forza liberatrice di sé primaancora che dell’altro. È su questo dato – noteremo con-

cludendo – che si muove tutta unacrescente letteratura sul perdono, let-teratura sia religiosa sia laica. Que-st’ultima ha di mira promuovere lasalvaguardia del benessere personalea partire dalla sua dimensione psichi-ca e fisica, prima ancora che segnarele nostre anime, costituendone peròla condizione. Vengono pertanto pro-posti itinerari di ordine introspettivoche consentano di entrare nella dina-mica del perdono. Basti citare, perinformazione dei nostri lettori, i Cin-que linguaggi del perdono (di Jenni-fer Gary-Thomas Chapman, LDC,Leumann 2016) e I 7 passi del perdo-no. Un metodo rivoluzionario perguarire e realizzarsi (di Daniel Lume-ra, Bis Edizioni, Cesena 2013), pernon parlare del rilievo che riveste ilperdono come manifestazione di be-nevolenza e di compassione secondol’insegnamento buddhista (cf EileenBorris-Dunchunstang, Perdonare. Lavera libertà degli esseri umani. Prefa-zione del Dalai Lama, Elliot, Roma2010). Mi permetto di rimandare allaPrefazione che ebbi modo di scrivereal testo di Pascal Ide, È possibile per-donare?, Ancora, Milano 1997 e allaNota critica, pp. 183-208.Ricordando infine il titolo di un sag-

gio di Jean Daniélou sulla «preghieracome problema politico», anche alperdono si potrebbe applicare la stes-sa qualifica. Una recente pubblicazio-ne di Martha Nussbaum, studiosa difilosofia politica, attenta alle proble-matiche femministe e animaliste, por-ta il titolo significativo: Rabbia e per-dono. La generosità come giustizia (IlMulino, Bologna 2017). Il perdono in-fatti si rivela sempre più, oltre cheun’esigenza individuale, come un’esi-genza della “polis”, della convivenzaumana, se vogliamo che tutte le crea-ture che popolano la terra si lascinoalle spalle lo spirito di ritorsione e divendetta e imbocchino risolutamentevie di riconciliazione e di pace.

Antonio Gentili

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il crocifisso icona del perdono