Quadrimestrale di Cultura, Finanza, Economia, Identità e ... · bisogna saper perdere… l’avis...

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Anno I - N. 3 - Agosto 2011 - Novembre 2011 - Registrazione n. 336 del 20 Dicembre 2010. Distribuzione gratuita Federcasse, l’intervista a Claudia Benedetti Quadrimestrale di Cultura, Finanza, Economia, Identità e Valori L’Assessore Regionale all’Agricoltura incontra la Banca Anno I - N. 3 - Agosto 2011 - Novembre 2011 - Registrazione n. 336 del 20 Dicembre 2010. Distribuzione gratuita

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    Federcasse, l’intervista a ClaudiaBenedetti

    Quadrimestrale di Cultura, Finanza, Economia, Identità e Valori

    L’AssessoreRegionaleall’Agricolturaincontra la Banca

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  • Periodico QUAdriMeSTrALedi iNForMAZioNe deLLABANcA doN riZZoAnno I, n. 3, Agosto 2011 - Novembre 2011

    DIRETTORE RESPONSABILEAntonio prof. Fundarò

    COMITATO DI DIREZIONEGiuseppe dott. Mistretta Presidente Banca don rizzoCarmelo dott. Guido direttore Generale Banca don rizzoEnzo dott. Nuzzo Vice Presidente Banca don rizzoAntonio prof. Fundarò direttore responsabilePasquale prof. Hamel responsabile comitato ScientificoSalvatore dott. Cartuccio Ufficio marketing Banca don rizzo

    REDAZIONEUfficio marketing e comunicazioneVia Stefano Polizzi, 13, 91011 Alcamo (Tp)

    PROGETTO GRAFICO E REALIZZAZIONE EDITORIALEStampaStampato in Italia presso Arti Grafiche Campo S.r.l, Alcamo.

    Fotografie, testi e illustrazioniLa rivista pubblica solo gli articoli commissionati.Eventuali proposte di contributi vanno inoltrate al Comitato Editoriale alla seguente email: [email protected]

    Grafica ed impaginazioneADA Comunicazione, Antonio Fundarò, Salvatore Cartuccio.

    L’editore si dichiara disponibile a regolare eventuali spettanze per quelle immagini di cui non sia stato possibile reperire la fonte.

    I dati relativi ai destinatari della Rivista vengono utilizzati esclusivamente per l’invio della pubblicazione e non vengono ceduti a terzi per nessun motivo.Resta ferma la possibilità per l’interessato di esercitare i diritti di cui all’articolo 13 della legge 675/96.Pubblicazione quadrimestrale.

  • LETTERA APERTADEL PRESIDENTE

    4 LA RISoRSA TuRISTICAA VALDERICE

    24

    IL BAgLIo, LA SuA SToRIA,LA SuA STRuTTuRA ARChITETToNICA ED IL Suo uSo

    20 LA FAmIgLIA CATALANoE LA CERAmICA ERICINA

    49

    LETTERA APERTADEL DIRETToRE gENERALE

    IL LINguAggIo uNIVERSALEDELLA gASTRoNomIA DELL’AgRoERICINo

    5 26

    INTERVISTA A CLAuDIA BENEDETTI, RESPoNSABILE DEL SERVIzIoComuNICAzIoNE E RESPoNSABILITà SoCIALE DI FEDERCASSE

    SAN VITo Lo CAPo,uN CoNTRIBuTo DAI TuRISTI

    6 29

    PEDoFILIA: TRA ALLARmE SoCIALE E NuoVA CoSCIENzA DEL FENomENoINTERVISTA AL SoSTITuToPRoCuRAToRE ALESSIA SINATRA

    LE ComuNITà DELL’ExAgRo ERICINo NELLA LoRo EVoLuzIoNE SoCIALE

    8 32

    ESISTERE PER RICoRDARE, RICoRDARE PER RESISTERE…INTERVISTA A gIoVANNI ImPASTATo

    LA gRoTTA,IL FENomENo DEL CARSISmo, IL PRESEPE VIVENTE ED I BENI DEmo-ETNoANTRoPoLogICI

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    gREgoRy BoNgIoRNo,LA SuA ESPERIENzA D’ImPRESA, LA BANCA E Lo SVILuPPoDEL TERRIToRIo

    IL PATRImoNIoCARSICo DI CuSToNACI.uNA gRANDE RISoRSA NATuRALE

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    IL SALuTo DEL SINDACo DI CuToNACI

    VALDERICE E CuLTuRAuN BINomIo INDISSoLuBILERINSALDATo DAL VALoRE ESTETICo E SToRICo DEL mARmo

    18 40

    IL SALuTo DEL SINDACoDI VALDERICE

    VILLA zINA, CoNNuBIo DI TRADIzIoNEED INNoVAzIoNE

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    PEDoFILIA: TRA ALLARmE SoCIALEE NuoVA CoSCIENzA DEL FENomENo.INTERVISTA AL SoSTITuTo PRoCuRAToRE ALESSIA SINATRA

    gREgoRy BoNgIoRNo, LA SuA ESPERIENzA D’ImPRESA, LA BANCA E Lo SVILuPPo DEL TERRIToRIo

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  • SOMMARIO

    1903-2011, LA FAmIgLIA mILANA CoN BANCA DoN RIzzo PER SCELTA E PER CoNVINzIoNE

    52 IL CREDITo TREVIgIANo,DA oLTRE 100 ANNI uNA mANoAL TERRIToRIo

    64

    L’AgENzIA DI VALDERICEL’AgENzIA DI CASA SANTA

    63 BANCA DoN RIzzo VINCE IL ToRNEo REgIoNALE DI CALCIo A 5 PER BCC

    73

    RIo NuCCIoLA FAVoLA E LA REALTà DI PIETRA DE BLASI

    53 LA BANCA DoN RIzzo:uNA SToRIA DI oPPoRTuNITà 65

    L’ASSESSoRE REgIoNALEALL’AgRICoLTuRA ELIo D’ANTRASSIINCoNTRA IL CDA ED I VERTICI DELLA BANCA DoN RIzzo

    BANCA DoN RIzzoSTAgE FoRmATIVo

    54 65

    VIII EDIzIoNE DEL BILANCIoSoCIALE E DI mISSIoNEDELLA BANCA DoN RIzzo

    LImITAzIoNI ALL’uSoDEL CoNTANTE E DEI TIToLI AL PoRTAToRE

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    LuoghI ComE DESTINI CoLLETTIVI

    IL CENTRo STuDI DoN RIzzoINTERVISTA AL PRESIDENTE ENzo Nuzzo

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    BISogNA SAPER PERDERE… L’AVIS IN PRoVINCIA DI TRAPANI.uNA SToRIA DI SoLIDARIETàE DI SuCCESSo

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    INTERVISTA AD ANToNIo gALIANo, RESPoNSABILE DEL SERVIzIoE-BANk DI ICCREA BANCA

    L’AIDo uNA REALTàANChE TRAPANESE.ImPEgNo SoCIALE E DI VITA

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    TRASPARENzA E CREDIToAI CoNSumAToRI

    STREPIToSo SuCCESSoDEL CoNCoRSo INTERNAzIoNALE PER CANTANTI LIRICI“CITTà DI ALCAmo” EDIzIoNE 2011

    62 71

    IL LINguAggIo uNIVERSALE DELLA gASTRoNomIA DELL’AgRoERICINo

    IL CENTRo STuDI DoN RIzzo.INTERVISTA AL PRESIDENTE ENzo Nuzzo 26 67

    SOMMARIO

  • Lettera aperta del PresidenteCari soci,

    con questo numero Vi presentiamo il territorio

    dell’agroericino nel quale la banca opera a seguito della

    fusione con la storica BCC Ericina.

    Questo territorio credo possa realmente definirsi tra i

    più belli della Sicilia anche per il fatto che si è riusciti

    a salvaguardarlo da scempi che altrove sono stati

    commessi. È sufficiente citare i comuni che ne fanno

    parte Erice, Valderice, Buseto Palizzolo, Custonaci e San

    Vito Lo Capo, per capire di cosa stiamo parlando. Infatti,

    i comuni appena citati si commentano da soli.

    Ovviamente, stiamo parlando di località note in tutto il

    mondo. Ma ciò che noi sosteniamo è che la visita del

    territorio attraverso la BCC permette al turista di scoprire

    delle meraviglie non sempre visibili ai più.

    Diamo, infatti, l’opportunità di far scoprire luoghi che i normali circuiti turistici non riescono a proporre anche grazie

    alla nostra capacità di nutrire le radici più profonde del nostro territorio.

    Ovviamente, la rivista mantiene alta l’attenzione sulle tematiche che ci siamo proposti di sviluppare, ed abbiamo

    altresì mantenuto altissimo il livello delle personalità coinvolte.

    Personalmente, non affronto il tema della crisi che l’economia mondiale sta attraversando, ma ritengo opportuno

    evidenziare e ricordare come oggi sia particolarmente impegnativo e carico di responsabilità svolgere il ruolo di

    cooperatori del credito. Infatti, svolgere il ruolo di banca locale non significa semplicemente finanziare tutte le

    istanze che arrivano dal territorio, ciò potrebbe essere fatto da qualunque banca.

    Ci distinguiamo, invece, per la capacità di individuare quelle iniziative, anche minori, che possano generare un

    valore aggiunto per il territorio. Ancora, alla BCC è dato il compito di gestire i risparmi dei nostri soci nel modo

    più prudente, certificando che gli stessi vengano investiti solamente in attività reali poste in essere nel territorio in

    oggetto. Significa, inoltre, fornire tutti i servizi bancari utili ai nostri soci ed alla clientela. Penso anche che il socio

    nell’ottica di contribuire alla crescita del territorio tramite la banca potrebbe farsi portavoce dei compiti a cui è

    chiamata ogni BCC.

    4 Banca Don Rizzo

    Giuseppe MistrettaPresidente Banca Don Rizzo

  • Lettera aperta del Direttore GeneraleVolge ormai al termine questa lunga estate 2011.

    Un’estate calda e serena, ma carica di quelle grandi

    preoccupazioni che ci hanno costretto a vedere ciò

    che non volevamo vedere: una realtà nella quale

    abbiamo vissuto al di sopra dei nostri mezzi, in cui

    abbiamo consumato più di quanto producevamo,

    camminando lentamente verso una china sulla quale

    ci stavamo adagiando.

    Abbiamo dimenticato alcune virtù che avevano

    caratterizzato i decenni passati e che erano state alla

    base del miracolo economico italiano.

    Abbiamo acquisito alcuni vizi che, come tutti i vizi,

    procurano piacere, ma al tempo stesso creano danni

    a volte irreparabili.

    Abbiamo dimenticato di pensare agli altri.

    Il fatto più grave è che abbiamo dimenticato di pensare ai nostri figli.

    Siamo andati avanti nel piacere che si consuma giorno per giorno, dimenticando il sacrificio che occorre per

    costruire il domani.

    Per fortuna è risuonato forte il richiamo della massima autorità civile e morale che oggi l’Italia vanta: Giorgio

    Napolitano.

    Il nostro Presidente della Repubblica ci ha richiamati alla necessità di uno sforzo comune di coesione.

    Ci ha aiutati ad aprire gli occhi, facendoci intravedere la realtà nella quale stavamo precipitando ma, nel

    contempo, invitandoci a non avere paura di affrontare le difficoltà.

    Ci ha ricordato con chiarezza che non siamo più negli anni Settanta ed Ottanta, e che dovremmo rivedere

    radicalmente le abitudini e i costumi di vita che abbiamo adottato.

    Raccogliamo con umiltà e spirito di sacrificio questi richiami, confidando nelle forze che insieme sapremo

    raccogliere e guardando con fiducia al futuro.

    Un futuro sempre più incerto e difficile ma che sapremo affrontare con successo, uniti dai valori che professiamo

    e che stanno realmente alla base del nostro vivere quotidiano.

    5Banca Don Rizzo N. 3 2011

    Carmelo GuidoDirettore Generale Banca Don Rizzo

  • Intervista a Claudia Benedetti, responsabile del ServizioComunicazione e Responsabilità Sociale di FedercasseLe nuove sfide per le BCC nell’epoca della globalizzazione

    di Enrico Stellino

    Il progetto legalità

    Inte

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    Qual’è il ruolo e lo spazio delle Banche di Credito Cooperativo nell’epoca della globalizzazione? «L’eliminazione delle barriere e dei confini ha sicuramente accentuato la competizione all’interno del mercato del credito. Ha ridotto le distanze ed accentuato il rischio di omogeneizzazione, ma non ha annullato le differenze. In particolare, non ha eliminato la necessità del pluralismo. Anzi, proprio nel tempo della globalizzazione - e negli ultimi anni della crisi - è risultata evidente la necessità che nel mercato operino banche diverse, per forma giuridica, dimensione, obiettivo d’impresa. Le BCC, in particolare, hanno svolto - come è stato autorevolmente riconosciuto anche dal Governatore della Banca d’Italia - un importante ruolo anticiclico, continuando a sostenere l’economia reale, rimanendo concretamente vicine a famiglie ed imprese. Perché, come dice un filosofo, “essere è esserci”. E le BCC “ci sono state”».

    Qual’è il valore dell’identità cooperativa?«Identità per le BCC è competitività. La “differenza” che le BCC enfatizzano in termini di comunicazione - ovvero il loro essere banche mutualistiche delle

    6

    LA TRADIZIONE E L’INNOVAZIONE

    La galassia del credito cooperativo

    Banca Don RizzoBanca Don Rizzo

  • comunità locali, per eccellenza “banche di relazione” - non solo le distingue rispetto alle altre banche, ma ne caratterizza l’operatività e ne spiega il successo. Infatti la mutualità, non solo crea un legame forte tra la BCC ed i suoi soci, ma ne spiega “la libertà” rispetto al rischio di perseguire logiche di breve termine e di corto respiro. Non dovendo massimizzare il profitto per assicurare un determinato Roe agli azionisti (ma un vantaggio) non vi è incentivo a spingere sulla redditività ad ogni costo o sulla frontiera rischiosa della speculazione. Inoltre, il radicamento locale consente di beneficiare di una serie di informazioni preziose, che detiene soltanto chi condivide ed abita un territorio. Esistono, in sintesi, tutta una serie di benefici che la BCC ottiene proprio perché “è” e “fa” la BCC, la banca del territorio e della comunità, la banca “di casa”, nella quale ti puoi sentire a casa».

    Prossimità, territorialità, responsabilità sociale sono parole sempre più diffuse all’interno del mondo bancario…«Questo è senz’altro positivo. Da un lato, conferma la vitalità ed attualità del nostro modello d’impresa (quello che prima della crisi sembrava démodé rispetto alla “turbofinanza”…), e che è divenuto sempre più spesso un paradigma di riferimento, dall’altro esprime la crescita della cultura orientata alla responsabilità e alla sostenibilità, sia dal lato dell’offerta (da parte, quindi, degli operatori dell’industria bancaria), sia dal lato della domanda (ovvero da parte dei clienti). C’è una quota crescente di cittadini che si interroga e vuole sapere “da chi acquista” e “cosa acquista”. Vale per tutti i prodotti, anche per il denaro. I clienti chiedono alle banche trasparenza, chiarezza, qualità del servizio, convenienza, buone condizioni. Ma vogliono anche sapere come vengono investiti i loro soldi, se ad esempio restano vicini a casa e finanziano le imprese del territorio o vengono immessi in circuiti lontani della finanza».

    A proposito di prossimità, oggi si discute molto dei temi del federalismo e lo sviluppo del Mezzogiorno è una questione di permanente attualità. In questo processo, quale può essere il ruolo delle Banche di Credito Cooperativo?«Le Banche di Credito Cooperativo sono nate circa 130 anni fa da una “scommessa” che sembrava impossibile. La sommessa che avevano i poveri di allora (emarginati dai circuiti di accesso al credito) di unire le forze e le loro pochissime risorse per costruire, insieme, un presente ed un futuro migliori. Quella speranza, quella intuizione, hanno funzionato e hanno dato vita ad una realtà consolidata all’interno dell’industria bancaria nel nostro Paese e nel mondo.

    Claudia Benedetti, nasce a Città di Castello

    (PG) il 3 Dicembre 1961. Consegue il diploma

    di maturità classica presso il Liceo Ginnasio

    Statale “Giulio Cesare” di Roma e il diploma

    di Laurea in Economia e Commercio presso

    l’Università “La Sapienza” di Roma. Dal 2009 ad

    oggi ricopre il ruolo di Dirigente Responsabile

    del Servizio Comunicazione e Responsabilità

    Sociale e di Responsabile del Servizio Affari

    Generali presso la Federazione Italiana delle

    Banche di Credito Cooperativo.

    Le idee vincenti sono state: puntare sul protagonismo delle persone, sull’intraprendere anziché attendere. Non fermarsi e non rassegnarsi al presente avendo la capacità di immaginare un progetto. Promuovere la coesione, la solidarietà e la sussidiarietà.Mi sembrano idee perfettamente attuali per favorire lo sviluppo del nostro Paese, soprattutto del Mezzogiorno. Le BCC, che su questi principi si fondano, possono allora contribuire a rilanciare una “ripartenza” che valorizzi i (tanti) talenti e le risorse (poche o tante) che comunque esistono nei nostri territori. E non è un caso che moltissime BCC, tra le quali la “Don Rizzo”, stiano concentrando sforzi ed energie a favore dei giovani. Proprio loro esigono un investimento supplementare in progettualità, protagonismo, solidarietà. Una scommessa che le BCC vogliono certamente fare».

    77Banca Don Rizzo N. 3 2011Banca Don Rizzo N. 3 2011

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    LA TRADIZIONE E L’INNOVAZIONE

    Il progetto legalità

    Ho letto qualche hanno fa, ed ho anche prefazionato, il volume di Valeria Riggi “Pedofilia. Indagine su un grave fenomeno sociale”, edito per i tipi, di una delle più prestigiose case editrici italiane del mondo della scuola, la Girgenti Editore di Milano.Allora, scrissi che quel volume e la sua autrice, una affermata psicologa del nostro comprensorio, aveva avuto il merito, anzi aveva avuto affidato il compito, di aprire le porte ad un problema sociale di così grande attualità. La definizione di infanzia come esperienza altra rispetto a quella dell’adulto, come categoria concettuale a sé stante, come problema sociale e fase della vita ben definita, nasce in tempi estremamente recenti. L’adozione di un comportamento

    specifico da parte dell’adulto nei confronti del bambino si ritrova solo a partire dall’età moderna, con lo sviluppo della famiglia borghese. Del passato ci rimane la storia, spesso confusa, di un fanciullo che partecipa e vive la realtà della vita sociale quotidiana di tutti: una realtà spesso fatta di assassini, abbandoni, violenze fisiche, punizioni corporali, terrore e violenze sessuali. I bambini vivevano un’esistenza sospesa tra la vita e la morte: uniformarsi al modo di vivere degli adulti significava assumersi grossi oneri in special modo in ambito lavorativo, ma essere considerati alla stregua di merce. Merce tra l’altro a bassissimo costo poiché per ogni bambino sfinito o malato o ferito, ce ne era sempre pronto un altro che poteva essere iniziato al lavoro o al sesso perché magari abbandonato a se stesso dalla propria famiglia di origine.In quest’ultime decennio il problema si è acuito. Nonostante sia più forte la sensibilità sociale al problema. Abbiamo voluto che fosse protagonista di questa rubrica la dottoressa Alessia Sinatra il cui nome è legato, indissolubilmente, alle più importanti inchieste giudiziarie siciliane sul fenomeno “pedofilia”.

    Dottoressa, esiste oggi un reale interesse, della nostra società, ai bambini ed ai giovani? Ed è reale ed allarmante, così come sostengono i media, il fenomeno della “pedofilia” in Italia e nella nostra Sicilia?«Il progressivo incremento formale delle notizie di reato ed al contempo

    Banca Don RizzoBanca Don Rizzo

    Pedofilia: tra allarme sociale e nuova coscienza del fenomenoIntervista al sostitutoprocuratore Alessia Sinatra

    di Antonio Fundarò

  • 99Banca Don Rizzo N. 3 2011Banca Don Rizzo N. 3 2011

    l’incremento sostanziale dei casi e delle tipologie di abuso sui minori è certamente legato ad una coscienza sociale sempre meno disposta a tollerare la vittimizzazione sessuale, a fronte di una maggiore consapevolezza dell’esistenza di un fenomeno, la cui dimensione ci impone di offrire sostegno, ascolto ed accoglienza al disagio e ai traumi dei minori. E l’esigenza è ancor più avvertita in un territorio come il nostro, ove spesso si incontrano bambini vissuti in ambienti di assoluta deprivazione affettiva, materiale e culturale, talvolta incapaci di esprimersi in lingua italiana, compromessi da reiterati episodi di abuso e maltrattamento, spesso intossicati ideologicamente dalla tipica cultura dell’omertà, in omaggio alla quale l’abuso è più infamante per chi lo subisce piuttosto che per coloro che lo pongono in essere. A fronte di realtà così dure e difficili da contrastare, ove sono irrimediabilmente vittime i minori che vi sono inseriti, è sempre più in crescita il preoccupante fenomeno dell’abuso all’interno di nuclei familiari di ceto elevato o di contesti apparentemente tutelanti, dove il minore è vittima di aggressori estremamente astuti, che con accortezza e tempismo straordinari, alternando spesso affettuosità ad iniziative perverse, adescando con promesse o ricompense gradite, li coinvolgono in pratiche sessuali inopportune ed invasive, soggiogandoli fisicamente e psicologicamente, provocando traumi e sofferenze altrettanto profonde».

    Allarme sociale dunque? Che ruolo hanno avuto ed hanno i media nell’amplificazione, se esiste, del fenomeno e quanto sono stati importanti tv, radio e giornali nella presa di coscienza del fenomeno sociale “pedofilia”?«Credo che una corretta e seria informazione, priva di facili mistificazioni ed in grado di rappresentare la reale dimensione del fenomeno, sia di grande ausilio per orientare e supportare ogni intervento a tutela, anche giudiziario. Evitando spettacolarizzazioni, spesso proposte attraverso suggestive quanto inopportune analisi ed interpretazioni di casi eclatanti, occorre invero parlarne, sensibilizzare, spiegare ed offrire strumenti idonei per tutti noi e per quanti ancora sentono distante il fenomeno, finchè non ci coinvolge direttamente. Per intervenire, correggere e scuotere i pensieri e le coscienze di tutti noi; per maturare una nuova e più ampia consapevolezza della dimensione culturale sociale e politica del problema nel nostro paese, per prevenire inciviltà e degrado, per costruire il rispetto delle diversità, per superare lo squilibrio relazionale tra l’adulto e i più piccoli e il pregiudizio che alimenta discriminazione intolleranza e prevaricazione fisica e psicologica nei confronti dei più deboli, per sviluppare invero i valori della solidarietà e del rispetto per la persona umana».

    Perché è così difficile, per moltissime persone, “vedere” la pedofilia, riconoscerla come un problema da affrontare?«Perché questo è il crimine più orrendo, incomunicabile e impensabile per la nostra mente. L’essere umano rappresenta tra le creature viventi, la più complessa e indecifrabile. Può amare, accudire, educare, proteggere i propri piccoli e al tempo stesso odiarli, umiliarli, maltrattarli, abusarne sessualmente fino ad ucciderli barbaramente, generando orrore e sgomento nella collettività. E nel tentativo inevitabile di giustificare dinanzi a noi stessi la brutalità di questi orrori, cerchiamo affannosamente di definire i contorni e i profili di una figura criminale che la nostra mente rifiuta e non accetta, perchè sente la necessità di distanziarsi e non accetta il delitto efferato che lascia increduli e impotenti. Ci sforziamo di individuare patologie, devianze, vissuti pregressi o circuiti della violenza che possano giustificare l’efferatezza del crimine, ma lo facciamo spesso e unicamente perché trasportati dall’onda emotiva di quei fatti di cronaca che lasciano offesi e sgomenti per la brutalità di condotte contro le quali generalmente non vi è più riparo. L’incredulità e l’inquietudine ci porta a voler costruire delle categorie che si differenzino il più possibile da noi stessi, creando il profilo di “un altro”, che non ci somiglia e in cui non possiamo in alcun modo riconoscerci o identificarci. Eppure, un qualsiasi individuo può essere un rispettabile uomo d’affari ed in famiglia sadico perverso e maltrattante con i propri figli; può essere uno stimabile insegnante, professionista o educatore, impegnato in iniziative brillanti e socialmente ineccepibili, per poi sfogare le sue frustrazioni e gli istinti più riprovevoli su alunni, allievi o sui piccoli affidati alle sue cure».

    Quanto la pedofilia è diffusa in ambienti in cui è basso il grado di sviluppo culturale? E quanto è difficile agire e intervenire in queste realtà?«Sono le storie di tanti bambini. Storie di dolore e sofferenza, spesso consumate all’interno della famiglia, ove rabbia, frustrazione e insoddisfazione si trasformano in violenza e prevaricazione, subite per anni dai bambini nell’oscurità e nel terrore. Storie che attraversano ogni classe sociale e differenti livelli di istruzione e orientamento culturale, unite inesorabilmente dall’orrore di un crimine che si consuma e si reitera, condonato nel silenzio e nella passività di un sistema che non sempre, ancora, è in grado di rispondere adeguatamente. E ci si scontra sempre con la disattenzione, il silenzio e l’indifferenza».

    Cosa prova un magistrato che si occupa delle indagini in questa tipologia di reato?«Ho ascoltato tante piccole vittime, avvinte dal trauma e dalla paura di svelare, attraverso un’esperienza che mi

  • 10

    ha consentito di sperimentare quelle emozioni uniche e indescrivibili di chi entra in contatto con la sofferenza dei più piccoli e dei più deboli, che hanno patito l’orrore dell’abuso, agito nel silenzio e nell’indifferenza degli adulti. Ho provato rabbia e sconforto, nella difficoltà di raggiungere quella prova oggettiva e inconfutabile, per porre fine all’abuso inquietante e inaccettabile e restituire speranza e dignità a chi, vittima indifesa e spesso inconsapevole, ha troppo a lungo ingiustamente patito. E ha vergogna e paura di svelare, schiacciata da un conflitto di emozioni che genera silenzio e sovrasta inesorabile, nella drammatica certezza di non avere identità e non meritare rispetto. Ma ho anche trovato il sorriso di tanti bambini e adolescenti, autentico e disarmante, che ripaga più di qualsiasi risultato investigativo e ricompone misteriosamente tutte le nostre più profonde emozioni. Il sorriso di quei bambini e adolescenti che, progressivamente hanno mostrato fiducia nelle istituzioni e in chi, magistrato, operatore di polizia, o psicologo ha offerto accoglienza e rispetto, dando voce alla sofferenza fino ad allora rimasta inespressa - spesso operando con pochi mezzi, lottando contro il pregiudizio di chi non accetta l’esistenza del crimine, contro l’indifferenza di interi quartieri che si schierano coi più forti e contro la disattenzione dei più e di chi non vuole, non ha tempo o semplicemente non sa ascoltare».

    Come fa un bambino a raccontare di aver patito un abuso sessuale?«Credo, al di là di stereotipi, ma in base ad un’esperienza diretta e complessa, che non ci sia violenza senza

    negazione e che la vittima tenda a rimuovere più che a comunicare, perché il trauma dell’abuso è un’esperienza incomunicabile e spesso resta inascoltata se l’orrore resta impensabile per la nostra mente o non siamo disposti e preparati adeguatamente ad ascoltare. Non sempre ci si interroga su cosa può aiutare un bambino a sentirsi libero di esprimere la verità del proprio disagio, non si mette in discussione la fretta, l’indisponibilità e le barriere di comunicazione che spesso si erigono tra l’adulto e i bambini. Raccontare per il minore abusato significa, invero, dare ordine al caos e guardare, sotto una luce diversa gli accadimenti, i loro autori, per definire gli eventi anche attraverso le emozioni e i sentimenti fino a quel momento negati e che finalmente assumono i connotati del trauma. Ed ascoltare genera inevitabilmente un groviglio di emozioni forti e contrastanti, che penetrano dentro, inducendo verso profonde ed inconfessabili riflessioni, mettendo talora in discussione i nostri riferimenti apparentemente tanto solidi e indistruttibili. Credo sia proprio questo che, lungi dall’ostacolare una lucida ed attenta analisi dei fatti, consenta invero di cogliere gli aspetti più profondi della sofferenza e del trauma e di canalizzare le nostre risorse di operatori verso un giusto intervento, rispettoso tanto della vittima, quanto delle esigenze investigative e processuali. E dare voce al minore è indispensabile, non soltanto per ricostruire la scena del crimine, accertare la perpetrazione di un reato ed identificare un responsabile. È doveroso per offrire, anche tramite un processo, una restituzione alla vittima, che, ha diritto di essere ascoltata, attesa, accompagnata e sostenuta dalle istituzioni».

    Banca Don Rizzo

  • Io non ho figli, ma mi auguro, davvero presto di averne. Il mio stile di vita, la mia professione, potranno impormi di affidare i miei bambini a qualcuno, a un asilo nido, a una scuola materna. Come posso capire se ho affidato mio figlio alle persone giuste?«Lo capirà osservando e ascoltando i suoi figli. Mantenendo alta la soglia di attenzione, senza mai esasperare o enfatizzare comportamenti o parole. Cercando di cogliere e decodificare eventuali segnali di disagio, malesseri, variazioni di umore, cali improvvisi nel rendimento. Offrendo sempre uno spazio di ascolto che sia da contenitore di emozioni, pensieri ed aspettative. Rivolgendosi, ove necessario, ad esperti, competenti nell’analisi e nel sostegno del disagio minorile. Ed è importante sapere che sono numerosi i riferimenti istituzionali, impegnati nella prevenzione primaria, per eliminare l’insorgenza di fattori di rischio, ed altresì nell’intervento a sostegno e nella gestione del trauma, attraverso la valorizzazione delle risorse interiori, per favorire l’elaborazione della sofferenza e dei vissuti post-traumatici che ne sono conseguenza inevitabile».

    Come può intervenire e cosa può fare un istituto di credito come il nostro per contribuire ad un percorso di presa di coscienza del problema pedofilia nella nostra terra di Sicilia?«Penso che in qualsiasi settore si possa offrire un contributo serio e significativo per influenzare e correggere il pensiero e la coscienza di tutti noi nella comprensione della reale dimensione di un fenomeno che non può, né deve essere mai trascurato. Ed avervi dedicato uno spazio di riflessione è un forte segnale, sintomo di sensibilità ed attenzione, che mai sono mancate nell’opera e nelle iniziative del vostro istituto di credito. In rappresentanza di un’istituzione, che si impegna quotidianamente per offrire risposte adeguate alle legittime aspettative di chi attende l’accertamento della verità e all’affermazione della giustizia, vi ringrazio per aver destinato questo spazio ai più deboli ed indifesi, così restituendo dignità e valore alla loro sofferenza».

    alessia sinatra, laureata in data 21 aprile 1991 in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Palermo (110/110 e lode), si abilita all’esercizio della professione forense nell’anno 1995. Magistrato (nominata con decreto Ministeriale del 25 febbraio 1997) con funzioni di Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, impegnata prevalentemente e da diversi anni nella trattazione di procedimenti penali per reati di violenza sessuale in pregiudizio di minori ed in generale di soggetti deboli (nell’ambito di un pool specializzato di magistrati istituito all’interno dell’Ufficio di Procura), titolare di numerosi e complessi procedimenti, molti dei quali aventi ad oggetto fatti di pedofilia e/o prostituzione minorile relativi ad interi quartieri della città di Palermo (Albergheria, Borgo Vecchio, Brancaccio, Zen ad es.).

    Ha partecipato in qualità di relatore a numerosi convegni, seminari ed incontri di studio su temi relativi alla violenza sessuale in pregiudizio dei minori e dei soggetti deboli, intervenendo altresì in corsi di formazione per pediatri, ginecologi, per operatori psico-sociali, scolastici, personale specializzato di Polizia Giudiziaria, in numerosi incontri con studenti di scuola media inferiore e superiore.

    Ha inoltre partecipato quale relatore nei corsi di formazione centrale del Consiglio Superiore della Magistratura in Roma, nonché nei corsi di formazione decentrata del Consiglio Superiore della Magistratura nei distretti di Corte d’Appello di Venezia, Salerno, Palermo e Caltanisetta.

    Ha, altresì, partecipato, sempre in qualità di relatore, a numerosi convegni, seminari e giornate di studio in materia di abuso sessuale su minori e violenza sulle donne (prima e successivamente l’entrata in vigore della recente normativa sul c.d. “stalking” - L. 38/2009). È componente della Giunta distrettuale di Palermo dell’ANM.

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    LA TRADIZIONE E L’INNOVAZIONE

    Esistere per ricordare, ricordare per resistere…intervista a Giovanni Impastato

    di Fabrizio Costanzo

    È una bellissima notte d’Agosto fra Cinisi e Villagrazia di Carini, abbastanza calda a dire il vero. È domenica. Raggiungo Giovanni Impastato nei locali all’aperto della sua Pizzeria, è già pieno di gente, di amici, e fra tanto fragore di stoviglie e il continuo via vai dei camerieri, peraltro tutti molto affaccendati, su, da un palchetto in muratura, seduto su una sedia, un uomo intanto racconta una storia. Nonostante luogo e momento possano sembrare insoliti lo ascoltano tutti.È il capitano Francesco Perniciaro di Mazara del Vallo sequestrato nelle acque Libiche con tutto il suo equipaggio

    e il prezioso carico di pescato, frutto di un mese di lavoro, parla di questa esperienza e di come in quel Paese colpito dalla guerra non ci sia, in molte zone, nè controllo nè regole, e di come, i pescatori siciliani, «e in questo caso non è proprio un modo di dire» non navighino affatto in «acque tranquille». Ascoltiamo il comandante fino in fondo, scambiamo qualche considerazione, e infine, scegliamo un piccolo tavolo di plastica sotto un vecchissimo ulivo saraceno proprio ai margini della sala, come una piccola isoletta immersa fra tantà umanità. Iniziamo a chiacchierare ne uscirà fuori questa breve intervista.

    Giovanni quando nasce Casa Memoria? che ruolo ha nel territorio? «Casa Memoria nasce, di fatto, subito dopo la morte di mio fratello Peppino, e nasce unicamente per volontà di mia madre Felicia, che materialmente “apre le porte” di quella che era ancora la sua abitazione, proprio li, nel corso principale di Cinisi a pochi metri dalla casa dell’assassino di suo figlio, il boss Tano Badalamenti. Felicia, apre i battenti della sua piccola dimora a tutti coloro i quali volevano incontrarla, a tutti coloro i quali volevano ridare dignità alla figura ma soprattutto al ruolo fortemente attivo di suo figlio Peppino, un uomo, di fatto ancora un ragazzo, barbaramente trucidato per aver contrastato a viso aperto e nel suo territorio, la mafia del boss di Cinisi, denunciandone con tutti gli strumenti allora immaginabili ogni singolo affare, ogni n’trallazzo, ma soprattutto facendo i nomi e i cognomi di mafiosi e gregari. Sin da subito la sua casa diventa quindi punto di riferimento e simbolo per tutti coloro i quali volevano continuare l’azione coraggiosa di Peppino, fosse anche solo col supporto morale, con la sola presenza fisica, incoraggiando la famiglia Impastato, noi tutti, durante tutto il lungo arco del processo penale che vedeva come imputato principale Badalamenti, il boss che intanto era detenuto in un carcere americano incastrato dalla famosa operazione di polizia “Pizza Connection”, per il reato di traffico internazionale di stupefecenti. Casa Impastato diventava, così, luogo di incontro e di scambio, i cui protagonisti erano sicuramente gli amici e compagni di lotta di Peppino, quelli di Cinisi primi fra tutti, ma anche molta gente comune, certo giornalismo, certa politica schierata seriamente e in prima linea nella lotta al fenomeno mafioso, molti artisti. Un ruolo di prim’ordine, di catalizzatore direi, ebbe da subito il Centro di Documentazione Peppino Impastato col prof. Umberto Santino, praticamente, il testimone di quella lotta era ormai passato nelle mani di quella sana ed eterogenea parte della società che aveva eletto la casa di Felicia importante luogo di “memoria attiva”. Nascerà ufficialmente solo dopo la sua morte, nel 2005, Casa Memoria».

    Il progetto legalità

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    Ad un certo punto l’incontro con il regista Marco Tullio Giordana e il film i “Cento Passi”, cosa successe?«A dire il vero erano state numerose nel tempo le richieste da parte di vari registi di trasporre la storia di Peppino su pellicola, ma Tullio Giordana fu l’unico capace di rendere coscienti tutti noi e convincerci, dell’importanza del linguaggio cinematografico, ebbe molto rispetto verso quella Storia e seppe raccontarla in maniera quasi documentaristica, ma riusci anche e soprattutto a raccontarla con un linguaggio semplice, accattivante, divertente e appassionato, paradossalmente gioioso direi… Il film ebbe l’effetto di una bomba, fece conoscere Peppino Impastato, in tutta la nazione ed all’estero; contribuì, certamente in maniera inequivocabile, a fare uscire fuori quella storia della profonda provincia siciliana, di un militante politico impegnato nel suo piccolo territorio nella difficile lotta alla mafia ed ad una certa politica corrotta e affaristica, consacrandola come la storia di un uomo giusto, impegnato nell’affermazione dei principi di democrazia e giustizia, nell’affermazione della legalità come condizione assolutamente necessaria e universale di libertà. Peppino era diventato un simbolo».

    Giovanni, oggi Casa Memoria raccoglie tutte le istanze di giustizia e legalità che provengono da quella larga parte del tessuto sociale che pretende “un”, anzi, “il cambiamento”, la Mafia intanto ha cambiato volto, come reagiscono i giovani oggi? come pretendono di lottare? e con quali strumenti?«La mafia è vero ha radicalmente cambiato volto, ma non certamente natura. Non esiste, infatti, più la mafia riconoscibile che fisicamente si incontrava prepotente e spavalda per strada, quella del boss al bar del paese per intenderci, quella mafia fatta di uomini di cui paradossalmente tutti conoscevano, anche se a grandi linee, le vite i referenti politici e gli affari, essa oggi vive molto più nascosta e sommersa nel grigio di quella fascia che già molto bene aveva, annunciato, descritto, analizzato Giovanni Falcone. La mafia oggi si serve di strumenti sociali diversi, addirittura trova terreno fertilissimo in quella condizione di assoluta precarietà in cui oggi sono “volutamente” mantenuti i giovani lavoratori del nostro paese, e la precarietà quando diventa sistema, è una condizione analoga a quella della non occupazione, non meno pericolosa del lavoro nero, tanto più perchè legalizzata. I giovani sono oggi, come e forse più di ieri, facilmente ricattabili e ricattati, sia nella vita sociale che nella vita politica, sono stati traditi. La loro lotta oggi può essere meno di un tempo lotta attiva e militante diretta nel territorio a condannare gli uomini e le azioni mafiose, oggi quella lotta è rinvenibile nella loro lotta per il ripristino della legalità, è inevitabilmente la lotta per il lavoro, per il lavoro sano. Io credo che l’unico vero antidoto contro il veleno mafioso sia l’affermarsi della cultura del lavoro, del rispetto della legalità, delle regole, dell’impresa sana, della cultura del lavoro cooperativo, dello sviluppo di esso partendo principalmente dal territorio, dalle piccole

    realtà, dai suoi piccoli bisogni. In questo siamo molto in ritardo nonostante tutti gli “Impastato”, i “Falcone” i “Borsellino”, i “Turiddu Carnevale”, i “Rizzotto” e i tanti uomini e le tante donne che hanno combattuto, ma i giovani questo lo sanno, sapranno fare le scelte giuste (aggrotta le sopracciglia)».

    Tu ad esempio sei un commerciante, come coniughi il tuo lavoro all’impegno sociale?«Prima di tutto facendo una battaglia attiva contro il “pizzo”. Sono stato subito dopo la morte di Libero Grassi tra i primi 25 esercenti siciliani a iscrivermi al cartello di “Addio Pizzo”. Poi la mia pizzeria è spesso teatro di dibattiti su temi di impegno sociale, è il modo più diretto e semplice per coniugare il mio lavoro all’impegno sociale. Da noi è facile mangiare una pizza mentre si ascolta un dibattito su un tema scottante e attuale della vita del nostro paese, proprio come questa sera, oppure è possibile incappare durante la proiezione di un film o la presentazione di un libro, tra cui anche il mio (sorride!) con la partecipazione tra gli altri di Roberto Saviano e il procuratore Grasso. C’è chi dice che l’Italia unita nacque dentro i “caffè” di Genova, Torino, Milano, Napoli, dove i padri del nostro Risorgimento si riunivano per costruire un Paese Grande Unito e Democratico. Nel mio piccolo mi ispiro a loro. Ovviamente la mia è una provocazione. Ma chissà, (ride!)»

    Giovanni, Tano Badalamenti è ormai storia, morì in carcere, nel 2002 venne condannato all’ergastolo per l’uccisione di tuo fratello Peppino Impastato, la sua casa, li a pochi passi da quella di mamma Felicia, è oggi confiscata, e l’uso assegnato alla associazione Casa Memoria, tra le altre che sono impegnate a vario titolo nella lotta alle mafie nel territorio di Cinisi, cosa significa?«È la Giustizia, è la Speranza, è il successo di trent’anni di lotte per affermare la verità, ma è anche un onere una responsabilità. La casa del boss ritorna alla collettività, “contrappasso sociale”. La casa del boss, che non per cultura della vendetta, ma per cultura democratica, per amore della legalità diventa bene comune, ad uso di chi, con il suo impegno, la vorrà fare rinascere attraverso l’Arte l’Impegno lo Studio e la Memoria».

    Banca Don Rizzo N. 3 2011Banca Don Rizzo N. 3 2011

  • Gregory Bongiorno,la sua esperienza d’impresa, la banca e lo sviluppodel territorio

    di Antonio Fundarò

    Inizia con questo numero la rubrica dedicata al Consiglio di Amministrazione della Banca Don Rizzo, uno spazio, ampio a sufficienza, dove gli amministratori della Banca si presentano, si fanno conoscere e si confrontano sui temi dell’economia, della finanza, dell’etica, della solidarietà, dello sviluppo e dell’identità.Un percorso piacevole che vuole avere la forza ed il coraggio di eviscerare quelle che sono le tematiche più attuali, cercarvi di dare soluzioni e proporre interventi. Ma, anche, una bacheca ideale, dove progettare il futuro della nostra Banca. Questo numero abbiamo voluto conoscere ed intervistare Gregory Bongiorno.

    Dottore Bongiorno è vero che l’attività bancaria richiede un modello di gestione diverso da quelli utilizzati dagli altri settori dell’economia?«é vero solo in parte, infatti le imprese sia del settore

    bancario che di tutti gli altri settori, pur svolgendo attività differenti, oggi più che mai, devono comunque avere come denominatore comune modelli di gestione che prestino attenzione ad una incessante ricerca dell’efficienza aziendale oltre che una continua attenzione al mercato e alle sue dinamiche evolutive. Con questo voglio dire che non esistono più porti sicuri per nessuno, non esistono più sacche di rendite vitalizie ma che ogni impresa deve quotidianamente mettersi in gioco contro avversari che in un mondo economico sempre più globalizzato possono arrivare anche da molto lontano e mettere in discussione la propria fetta di mercato e anni di duro lavoro. Oggi il mondo economico e finanziario gira molto più velocemente rispetto a prima e, quindi, diventa sempre più importante il “time to market” ossia la velocità e la tempistica con cui ogni impresa gestisce i propri processi aziendali ed entra in nuovi mercati».

    Quanto la sua esperienza di imprenditore, la lunga militanza nell’associazione industriali, può aiutarla nel difficile compito di amministratore di questo Istituto di Credito?«Innanzitutto voglio testimoniare la mia immensa gioia nel far parte di questo Consiglio di Amministrazione della Banca Don Rizzo, un gruppo splendido, fatto di belle persone che sin da subito mi hanno accolto molto bene e messo a mio agio. Il nuovo Cda è molto eterogeneo, sia per esperienze professionali che di vita vissuta, credo che questo sia un elemento molto importante, infatti, le continue sfide e le innumerevoli variabili competitive a cui è chiamata la nostra Banca, potranno essere affrontate e gestite meglio con una squadra composta da persone che hanno skills e background molto differenti fra loro. Tornando a me, ho assunto il difficile compito di amministratore della banca, con grande senso di responsabilità e mi auguro che la mia esperienza associativa e quindi la propensione a “fare squadra”, unita a quella di imprenditore possano aiutarmi a far bene e a dare il mio contributo. Inoltre, posso sicuramente affermare che nel mio nuovo ruolo metterò tutto il mio impegno e spenderò al meglio le mie energie nell’affrontare questo difficile compito, ritengo che questo, lo debba a tutti coloro che mi hanno dato fiducia e creduto in me e, soprattutto, che mi hanno dato la possibilità di fare questa splendida ed importante esperienza professionale».

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    LA TRADIZIONE E L’INNOVAZIONE

    Rubrica: Conosciamo il CDA della Banca Don Rizzo

    Banca Don RizzoBanca Don Rizzo

  • La BCC Don Rizzo mantiene il suo ruolo di propulsore nell’economia del territorio? Quanto è diverso, questo ruolo, da quello che aveva nei primi anni del ‘900 e quanto mantiene di caratterizzante di quel periodo della sua storia? «Credo che a distanza di molti anni e nonostante i normali cambiamenti che il passare del tempo ci impone, la Banca Don Rizzo se pur “naturalmente cambiata” sia sempre e, comunque, caratterizzata dai quei valori che hanno ispirato la sua nascita e che la hanno contraddistinta durante questi anni in cui la banca è cresciuta e si è sviluppata. In particolare mi riferisco al fatto che, nonostante la sua importante e significativa crescita avvenuta negli ultimi anni, soprattutto dal punto di vista dimensionale, è rimasta, comunque, una Banca del Territorio, a cui si rivolge quotidianamente e a cui presta la giusta ed accurata attenzione. È una banca che pur avendo dei vincoli di bilancio, come tutte le banche del resto, non ha come unico obiettivo il semplice profitto, bensì ha lo scopo di contribuire alla promozione e allo sviluppo del territorio in cui opera. La Banca Don Rizzo, in più di cento anni, ha permesso a migliaia di persone e alle loro famiglie, agricoltori, artigiani, operai, ed imprenditori di ricevere fiducia e di ottenere credito e, quindi, di migliorare la propria situazione economica e sociale. Tale modo di operare ha contribuito a creare ricchezza e sviluppo nel territorio, a creare posti di lavoro e a far crescere le comunità locali in cui la Banca ha operato in questi anni di attività, diventando per molti “la Banca di riferimento”. Credo che nei pensieri e nella mente di Don Rizzo che ha fondato la Banca ci fosse proprio questo, e ritengo che nonostante i dovuti cambiamenti dettati dai tempi moderni, la Banca non debba mai abbandonare questa Mission e questo modo di “Fare Banca”, che mi piace sottolineare, racchiude un forte senso di responsabilità sociale. La Banca Don Rizzo, infatti, ha il merito di svolgere parallelamente sia la funzione creditizia che sociale. Tale funzione assume un significato particolare e distintivo rispetto agli altri istituti di credito».

    È davvero in difficoltà l’economia siciliana e cosa serve all’impresa per superare questo particolare momento di recessione?«Credo che l’enorme stato di crisi in cui oggi si trova la nostra economia siciliana sia sotto gli occhi di tutti e la cosa ancor più grave che emerge dagli osservatori economici è che la nostra non è una crisi congiunturale ossia “del momento” ma, purtroppo, è una crisi strutturale e che non passerà in fretta. In pratica quando nel resto del mondo o comunque d’Italia, passata la crisi, la macchina dell’economia riprenderà a camminare anche se a diverse velocità ed in momenti differenti, da noi in Sicilia probabilmente la macchina rimarrà ferma. Infatti, la nostra non può paragonarsi come una normale crisi di mercato, purtroppo da noi la cosa è molto più seria, la nostra crisi è strutturale e quindi ad essere minate sono state le fondamenta di quel poco di economia che “ai noi” era per buona parte finanziata dalla mano pubblica. Inoltre in una regione come la nostra, già di suo “perennemente” in crisi, dove in più la sanità non funziona, la pubblica amministrazione neanche, gli effetti negativi vengono enfatizzati e percepiti maggiormente. In questi momenti così difficili per poter uscire dal guado è importante e fondamentale il gioco di squadra dove ognuno faccia la propria parte in base alle proprie responsabilità. In particolare credo che un ruolo fondamentale lo debba avere la pubblica amministrazione e la politica che la amministra, infatti si deve prendere coscienza innanzitutto (anche nell’ottica del federalismo fiscale) che non si può più raschiare il fondo del barile e che vanno per forza eliminati gli sprechi e le inefficienze della pubblica amministrazione, va in qualche modo fermata l’emorragia. Inoltre, è fondamentale che la pubblica amministrazione diventi finalmente più efficiente diminuendo drasticamente gli effetti negativi e le lungaggini della burocrazia, che purtroppo da recenti studi sembra essere il reale freno dell’economia siciliana. È inammissibile che in

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  • Sicilia, dove serve la nascita di nuove imprese private per frenare l’esclalation dei livelli di disoccupazione giovanile, si continui a far scappare gli imprenditori ed in alcuni casi multinazionali ormai stanche di aspettare le lungaggini burocratiche per l’avvio di nuovi investimenti. C’è bisogno di un Reinventing Government, ossia bisogna reinventarsi il modo di amministrare la cosa pubblica. Dal lato delle imprese che devono diventare il vero propulsore dell’economia, serve anche in questo caso, che per primo gli stessi imprenditori prendano consapevolezza che sono ormai finiti i tempi dell’assistenzialismo e dei finanziamenti a pioggia, non possiamo e non dobbiamo più essere considerati la palla al piede del Paese Italia. Bisogna anche in questo caso che le imprese private imparino a vivere e a svilupparsi solo secondo logiche di mercato e siano ispirate ad una ricerca quasi “maniacale” dell’efficienza aziendale, ritengo che siano queste dal lato delle imprese le vere chiavi di volta. Serve salvaguardare il nostro straordinario patrimonio culturale e naturalistico in modo da farlo diventare sempre di più una vera attrazione per milioni di visitatori e quindi accrescere le opportunità di un settore come quello del turismo che nei prossimo anni dovrà diventare uno dei fattori trainanti della nostra economia regionale. Infine, credo che per far ripartire realmente la crescita serva attrarre capitali da parte di investitori sia italiani che esteri, ma per fare questo ci vogliono cinque condizioni di base per lo sviluppo economico e in particolare: più sicurezza, più infrastrutture, meno burocrazia, un fisco più favorevole e un mercato del lavoro più flessibile».

    Cosa deve fare la Banca Don Rizzo e quali tempi si deve dare?«Innanzitutto mi sento di dover dire che sono rimasto piacevolmente colpito dalla persone che fanno parte

    della struttura della Banca, ho trovato in particolare molti giovani attenti e preparati, ma soprattutto di qualità, e credo che questo sia una variabile competitiva molto importante e di sicuro successo. Inoltre, credo che, senza tralasciare la sua mission originaria di banca del territorio, al fine di meglio competere in un mercato sempre più difficile come quello del credito, debba differenziarsi e distinguersi per forza dagli altri suoi competitors spesso molto grandi per dimensione ed importanza. Con questo intendo dire che la nostra banca oltre che curare maggiormente il processo del credito, ponendo la giusta attenzione al merito creditizio, dovrà puntare su prodotti e servizi sempre più innovativi per la clientela, su nuovi approcci commerciali con i clienti, nonché su tempi più veloci di risposta per il cliente. Inoltre credo che la nostra banca in una logica di differenziarsi rispetto alle altre, possa giocare un ruolo importante nell’affiancare la crescita dell’impresa e dell’imprenditore in una attività quasi “consulenziale”. Infatti, nel mondo bancario capita spesso che, nonostante una attenta valutazione del merito creditizio, la bontà del business sottostante degeneri, perché l’imprenditore non è stato adeguatamente affiancato nella crescita aziendale, non ha avuto la giusta consulenza finanziaria durante lo sviluppo dell’investimento. In questa ottica una risposta concreta potrebbe arrivare dal sistema delle BCC, continuando il percorso già intrapreso con BCC Gestione Crediti, BCC Factoring etc, valorizzando, ancora una volta, il loro essere “differenti” attraverso la creazione all’interno del movimento di una struttura di supporto e consulenza alle imprese con figure altamente professionali. Infine, credo che anche in una ottica futura, la crescita e lo sviluppo della banca debbano essere comunque e prima di ogni altra cosa, ispirati dal principio di una sana e prudente gestione in una ottica di salvaguardia del patrimonio della banca stessa».

    16 Banca Don Rizzo

    GreGory BonGiorno, 36 anni, laureato in Economia Aziendale, ha una pluriennale esperienza nella gestione della propria impresa, la AGESP SpA; azienda operante nel campo della raccolta e smaltimento dei rifiuti. Consigliere di Amministrazione del GAL “Golfo di Castellammare” oltre che Consigliere di Amministrazione del Confidi Trapani, consorzio di garanzia fidi di Confindustria Trapani. È stato, dal 2003 al 2008, Presidente del Gruppo dei Giovani Imprenditori di Confindustria Trapani. Oggi è Vice Presidente Vicario di Confindustria Trapani e componente della Giunta di Confindustria Sicilia. Nel maggio 2011, è stato eletto componete del Consiglio di Amministrazione della Banca di Credito Cooperativo Don Rizzo.

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  • Il saluto dei Sindaci

    Il Sindaco di CustonaciRaccolgo ben volentieri I’invito rivoltomi ed esprimo profonda riconoscenza ai Vertici dell’Istituto di Credito “Don Rizzo” per I’intendimento di dedicare il prossimo numero della sua rivista quadrimestrale al territorio, alla storia, all’economia e alla gastronomia di Custonaci.Peftanto, ringrazio il Presidente dell’Istituto Dott. Giuseppe Mistretta e il suo Direttore Generale Dott. Carmelo Guido, per I’attenzione che è stata rivolta alla nostra cittadina, decidendo di scrivere delle sue varie culture.La richiesta del saluto del Sindaco costituisce il riconoscimento dell’esistenza di una serie di rapporti che, insieme, danno vita a momenti di forte ed intenso sviluppo sociale, destinato a produrre azioni sempre più concrete nel lavoro, nella collaborazione e, perché no, nell’amicizia.Custonaci dei marmi: a seguire di un’attività quasi pionieristica, l’immediato dopoguerra e fino agli anni ottanta, finalmente impara a far conoscere il suo prodotto,

    affrancandolo dalla considerazione che tutti i marmi italiani provenissero dalla Città di Carrara. Giovani imprenditori, i figli dei pionieri, poftano i propri pezzi pregiati nel mondo, lavorati e in blocchi. Molti di questi sono stati utilizzati per rivestire aeroporti, grattacieli, grandi alberghi, metropolitane, private abitazioni. In ltalia, come produzione e come esportazione, è seconda solo a Carrara ma è marmo, ed oggi universalmente noto, di Custonaci. Il primo per rivestimenti esterni.Custonaci del turismo: all’ombra del massiccio del Cofano, spiagge accoglienti e pulite ospitano turisti semprepiù numerosi provenienti da ogni parte d’Italia; acque limpidissime e smeraldine tonificano i bagnanti che vi si immergono. Le nostre strutture recettive vi accoglieranno con grande professionalità e simpatia;Custonaci dell’arte un centro storico ordinato, impreziosito dalla monumentale Chiesa di Maria SS. di Custonaci, unica Città Mariana in Sicilia; un museo all’interno del grande Santuario; un sagrato artistico bellissimo realizzato con ciottoli di mare; un pregevole basolato di marmo locale lavorato, che desta meraviglia e stupore in quanti hanno la possibilità di calpestarlo; Custonaci degli svincoli una vecchia idea, finalmente realizzata con il contributo di tante imprese locali. Grandi zone a verdi, ben curate, dentro e fuori l’bitato, arricchite di marmi e di opere d’arte, sono diventate presto oggetto d’interesse da parte di tanti Comuni dell’Isola, che ci chiedono notizie sulla loro realizzazione;Custonaci della cultura non solo il Duomo, non solo il Museo ad esso annesso, ma tante iniziative culturali, presentazioni di libri, convegni. Ultima arrivata, ma non ultima per valore, la Rassegna di Teatro Dialettale “Quinte inPiazza”, che sicuramente sarà riproposta negli anni a venire;Custonaci della gastronomia le sfinge, pasta fritta spolverata con zucchero a velo misto a cannella, sono diventate il fiore all’occhiello della nostra gastronomia, ma anche cannoli, cassatelle, e couscous e pasta di casa (le busiate);Custonaci del presepe vivente: all’interno della grotta preistorica di Scurati (Grotta Mangiapane) da più di un ventennio viene rappresentata la Natività. In questo luogo naturale, incastonato alle falde del Cofano, ogni anno viene raffigurata la nascita di Gesù, arricchita da figuranti che impersonano gli antichi mestieri;Custonaci della tradiziane contadina: i nostri contadini (i viddani), che utilizzano oggi le attrezzature più moderne ed aggiornate e i nostri allevatori, che consentono la produzione di carne fresca, di formaggi e ricotta, rappresentano un tipico esempio di cultura agro-pastorale che vive nel progresso una immutata tradizione;Custonaci dell’ospitalità: tipica del mondo meridionale, e siciliano in particolare, a Custonaci tocca una vetta sublime. Qui sarete coccolati e corteggiati come persone di famiglia. Tutti si faranno in quattro per venire incontro ad ogni vostra richiesta ed esigenza. E sarà un ricordo indimenticabile.

    Mario Pellegrino

    Comune di Custonaci

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    LA TRADIZIONE E L’INNOVAZIONE

    Banca Don RizzoBanca Don Rizzo

    Gli enti istituzionali

  • Il progetto legalità

    Il Sindaco di ValdericeValderice ambisce ad essere qualcosa di più dell’ameno luogo di villeggiatura che già è. Per questa ragione quest’anno i programmi rivolti al territorio hanno seguito una traccia precisa: incrementare il ruolo del comune, al centro dell’agro ericino, a poco lontano dal capoluogo, nell’ambito del confronto culturale. “Sulle rotte del Tonno Rosso” partendo dalle questioni legate alla pesca del tonno, che ha segnato culturalmente ed economicamente il nostro territorio, ha preso in esame lo stato di salute del nostro mare e le prospettive di una metodologia di pesca che è profondamente cambiata nel corso degli ultimi decenni dopo essere stata immutata per millenni. Esperti del settore della pesca, economisti, studiosi e ricercatori ne hanno discusso per dieci giorni nell’antico borgo di Bonagia e all’interno della Tonnara, impareggiabili cornici di stimolanti kermesse gastronomiche di spettacolo. “Officine del Mediterraneo” ha invece concentrato la su attenzione sullo pressante domanda di multiculturalità ed insieme di identità che proviene dai 500 milioni di abitanti del bacino. Intellettuali, scrittori, giuristi, economisiti, artisti, come Giampiero Mughini, Moni Ovadia, Nino

    Buttitta, Silvio Mazzarese, Mons. Domenico Mogavero, Maurizio Lisciandra, Michelle Nouri hanno acceso i riflettori sulla domanda che s’è posto, già alcuni anni fa, lo storico francese Fernand Braudel: che cosa è questo Mediterraneo che assomma tanti interessi? «Mille cose alla volta - risponde lo storico in un suo scritto -, non un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare, ma una successione di mari. Non una civiltà, ma delle civiltà messe una sopra l’altra. Viaggiare nel Mediterraneo, è trovare il mondo romano in Libano, la preistoria in Sardegna, le città greche in Sicilia, la presenza araba in Spagna, l’islam turco in Iugoslavia. È tuffarsi nel più profondo dei secoli, fino alle costruzioni megalitiche di Malta, o fino alle piramide d’Egitto. È incontrare delle cose molto antiche ancore viventi accanto all’ultra moderno (…) è tutto alla volta immergersi nell’arcaismo dei mondi insulari e sorprendersi davanti all’estrema giovinezza di città molto vecchie, aperte a tutti i venti della cultura e del profitto». Oggi globalizzazione, migrazioni internazionali e culture politiche costituiscono la nuova trimurti della sociologia politica, in virtù anche delle strette relazioni che fra loro intercorrono e dei molteplici rapporti di ciascun elemento coi più rilevanti aspetti della struttura e della dinamica sociale. Da qui l’idea-necessita di “Officine Mediterranee”.L’Amministrazione Comunale ha intrapreso questo percorso, consapevoli come siamo, che è un progetto ambizioso ma pienamente calato nella contemporaneità e, direi nella perentorietà del momento, in quanto la relazione tra i popoli del Mediterraneo è, oltre a fatto sempre più di attualità, come la cronaca dimostra, principalmente per noi fatto di vita, di costruzione dei canali della pace, dello sviluppo economico, dello scambio delle idee. Valderice, grazie anche al concorso di alcuni importanti sponsor privati, tra i quali la Banca Don Rizzo, intende dare il suo contributo al ruolo di centralità culturale nel Mediterraneo che naturalmente hanno la Provincia di Trapani e la Sicilia. Non abbiamo velleità di prerogative o gelosie nei confronti di altre iniziative, vogliamo essere di supporto al processo culturale che deve presiedere, o meglio ancora anticipare, le dinamiche sociali per poterle meglio inquadrare in una via di corrette relazioni tra i popoli.

    Camillo Iovino

    Comune di Valerice

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    LA TRADIZIONE E L’INNOVAZIONE

    Il baglio, la sua storia,la sua struttura architettonica ed il suo uso

    di Filippo Nobile

    Banca Don RizzoBanca Don Rizzo

    Baglio deriva dall’arabo (Bahah), cortile. Si tratta di un insediamento rurale, all’interno dei grandi feudi, che svolgeva una funzione di controllo dei lavori dei campi e di difesa del territorio con le sue fortificazioni. Era anche la dimora residenziale del feudatario.Anche se, l’etimologia della parola baglio appare incerta, tuttavia è possibile considerare altre ipotesi, come, ad esempio, quella di derivazione dal tardo latino ballium (cortile circondato da alti edifici o muri); o quella, altrettanto Il Sicilia, comunque, ne è testimonianza la particolare ricerca storica compiuta dall’etnoantropologo e storico prof. Roberto Calia, il baglio (bagghiu, in lingua siciliana) è una fattoria fortificata con ampio cortile.Sta di fatto che, nella nostra terra del sole, la nascita del baglio accade contemporaneamente al fenomeno “colonizzatore” di vaste aree interne, abbandonate ed incolte, della Sicilia, da parte dei nobili locali (i “baroni”), tra il Cinquecento e il Settecento. La Spagna, infatti, che all’epoca dominava la Sicilia, avendo bisogno di grandi quantità di cereali, aveva stabilito la concessione di una

    “licenza di ripopolamento” (la Licentia populandi), tramite la quale i nobili siciliani arrivarono a fondare persino dei veri e propri villaggi nei dintorni della costruzione originaria (le cosiddette “città di fondazione”).Il baglio è l’espressione di un’organizzazione geo-economica connessa al feudo o al latifondo, e, quindi, alla grande proprietà terriera che alimentava le rendite delle classi aristocratiche e della borghesia. Il baglio era una grande azienda agricola abitata, oltre che dagli stessi proprietari terrieri, anche dei contadini che vi lavoravano tutto l’anno o stagionalmente. Era quindi dotato di numerosi alloggi, ma anche di stalle e depositi per i raccolti.Ancor oggi nella Sicilia, nelle zone di tradizionale uso agricolo, tra queste, naturalmente, l’agroericino, è possibile incontrare tali costruzioni di notevole volume ed estensione alcune in abbandono ma in parecchi casi restaurate e riutilizzate come aziende agrituristiche o alberghi. L’agroericino è testimonianza di questa particolare attenzione al recupero dell’architettura agro rurale. Il baglio è denominato, in epoca più tarda, masseria.

    Il territorio: la nostra storia, le nostre città, i personaggi

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    La MasseriaLe masserie costituiscono, nell’agroericino, come in ogni altro insediamento rurale, le strutture agrarie più importanti della storia delle campagne moderne.La masseria si pone probabilmente come terminale evolutivo a partire dalle massae, cioè quei complessi fondiari, che caratterizzavano la grande proprietà (pubblica ed ecclesiastica, in particolar modo) tardo-antica ed alto-medievale.Con il termine di masseria si intende un centro di produzione ed organizzazione del lavoro agricolo (R. Licinio) inserita all’interno della grande proprietà fondiaria di Età Moderna (ed in parte medievale), dominata dal latifondo cerealicolo-pastorale. Il loro interesse storico è accresciuto dal fatto che esse costituiscono degli autentici crocevia multidisciplinari fra storia, economia, diritto, demografia, agronomia, antropologia culturale, ecologia, architettura ed urbanistica la comprensione del quale richiede lo sviluppo di un approccio conoscitivo complesso.

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    La masseria come emergenza paesaggisticaLa masseria come emergenza paesaggistica non sorge improvvisamente nel passaggio fra tardo Medioevo ed Età Moderna, ma costituisce il più delle volte l’evento terminale di un lungo processo evolutivo delle strutture agrarie succedutesi nell’arco di millenni. Essa stessa ha affrontato nel corso della sua plurisecolare vita notevoli mutamenti, sia edilizi che organizzativi che gestionali. Il precedente più interessante della masseria è rappresentato certamente dalla villa rustica romana, rispetto alla quale non mancano analogie, ma anche differenze essenziali. Le prime si basano sul fatto che molte masserie sorgono su siti occupati a suo tempo da villae, come testimoniato da riscontri archeologici e toponomastici, in primo luogo i prediali in -ano o le denominazioni contenenti Villa o Casa. Le differenze sono stigmatizzate invece dal diverso indirizzo colturale (la villa privilegiava infatti la coltura specializzata della vite e dell’ olivo) e dal ricorso alla mano d’opera schiavile.Le prime strutture produttive denominate masserie di cui si ha notizia nell’alcamese nel corso del Medio Evo sono le masserie regie, aziende pubbliche deputate specificamente alla cerealicoltura, insistenti su territorio demaniale e gestite da un complesso e pletorico apparato burocratico statale.

    Fu proprio la presenza di tali strutture ad impedire per lungo tempo la creazione di analoghe strutture gestite da imprenditori privati.

    Masserie e galantuominiL’Ottocento consacrò il predominio incontrastato della borghesia agraria nell’agroericino, personificata da una nuova figura di signore terriero, il galantuomo.Agevolati da una legislazione molto più permissiva i nuovi galantuomini intensificarono le tradizionali colture a danno dell’ ancora ampia superficie boschiva presente all’interno delle proprie terre, ma nel contempo prestarono una particolare cura anche alla facies architettonica degli edifici delle masserie, per renderle funzionali alle nuove funzioni di rappresentanza che queste erano chiamate a svolgere.La stagione postunitaria rappresenta il punto massimo di sviluppo della masseria storica, che ha con radicali ristrutturazioni edilizie profondamente trasformato in prestigiose dimore quelle che erano state per secoli semplici e spesso trascurate strutture di servizio.

    Il futuro dei bagliLa moderna agricoltura non ha più bisogno di una struttura fisica di coordinamento territoriale storicamente rappresentata dalla masseria o dal baglio. Questa constatazione offre una buona chiave di lettura per comprendere l’attuale stato di salute delle masserie

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    dell’alcamese. Poche, troppo poche, costituiscono ancora quelle strutture vitali che la tradizione ci ha tramandato; alcune resistono (spesso stravolte) negli edifici, ma la loro funzione è completamente mutata,in senso residenziale o turistico-ricreativa. Molte, certamente troppe, giacciono in situazioni di staticità sempre più precaria sia per l’incuria del tempo sia per la deprecabile attività di assassini della storia che le stanno letteralmente smantellando per rivenderne mattoni, pile e chianche a complici amanti del rustico.

    I bagli a Valderice Valderice vanta una quantità davvero rappresentativa di questa caratteristica architettura agro rurale. Meritano di essere ricordati, ad esempio, baglio Battiata, baglio Licata, baglio Marini in contrada Xiare (splendido il suo poszzo), baglio Papuzzi, baglio Palazzo, baglio Carmine, baglio Santacroce, baglio Carminello, baglio Mazzara, baglio Torre Sciara, baglio Scuderi.

    Le villeParticolare attenzione meritano, a Valderice, le ottocentesche Ville gentilizie, dette “Casine di delizia”, una mutazione degli antichi bagli che è avvenuta solo “in quella parte di territorio della attuale Valderice costituito dalle vecchie borgate di Paparella, di Misericordia, Sant’ Andrea e Bonagia”.Ne vogliamo ricordare qualcuna: Villa Adragna, Villa Elena, Villa Nazareth, Villa Betamia, Villa Bulgarella, Villa Maria Grazia, Villa Coppola.

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    LA TRADIZIONE E L’INNOVAZIONE

    La risorsa turistica a Valdericedi Giuseppe Basiricò

    Con queste parole iniziava la formula dell’atto notorio redatto negli uffici giudiziari delle vecchie Preture circondariali, documento idoneo a rendere testimonianza di una specifica attestazione per fini giudiziari. Magari in qualche Pretura erano sempre presenti un paio di testimoni di professione disposti a rendere nota qualsiasi verità dietro compenso delle cinquanta mila lire.Mi sia perdonato il ricorso alla vecchia formula dell’atto notorio per affermare come sia, a tutti noto, che la prima risorsa economica in Sicilia è quella turistica. Così come è noto, e viene affermato da tutti i pulpiti, che il turismo è cultura e l’isola di Sicilia è ricca di cultura, oltre che di natura, di mare, di monti, di paesaggi esaltanti. L intera provincia di Trapani è una terra di cultura, ed anche di natura e paesaggi e seppure avviata verso la valorizzazione della risorsa, è ancora lontana da un suo ottimale sfruttamento ai fini economici ed occupazionali.Qualcosa è stato fatto dagli enti competenti in termini di ricettività alberghiera e offerta di servizi, tuttavia ancora insufficiente per poter fronteggiare la concorrenza di altre località nazionali ed estere, alcune di esse avviate da tempo verso razionali politiche turistiche.I Comuni hanno spesso attuato iniziative dirette a realizzare offerte locali che esauriscono gli effetti all’interno dei propri campanili, mostrando scarsa sensibilità ad armonizzare e coordinare le risorse del proprio orticello con quelli dei centri limitrofi,Nella nostra provincia, oso affermare, ci può essere turismo per tutti, tanta è la potenzialità. Accanto, infatti, ai parchi archeologici, paesaggistici, monumentali, balneari troviamo centri più modesti capaci di fiancheggiare luoghi più noti, ambiti dal turista, nell’offerta dei servizi di ricettività

    e di soggiorno, magari a condizioni più vantaggiose.Un esempio: Erice è una splendida gemma che spesso viene evitata per un soggiorno confortevole perché ha scarsa ricettività alberghiera, pochi parcheggi e lontani dal centro storico, mancanza di iniziative di svago sia private che pubbliche. Servizi questi che possono meglio essere offerti dai centri a valle, magari a costi contenuti.L’auspicata sinergia però non potrà attuarsi se gli Enti non si associno in una programmazione unitaria che offra al turista un servizio di accoglienza dall’ingresso nel territorio per accompagnarlo e discretamente assisterlo fino all’uscita.Esigenze di sintesi impongono di porre fine alle considerazioni di premessa per affrontare la trattazione del tema specifico che riguarda il turismo a Valderice.

    Qualche notizia storicaAvvertiamo il lettore che nel turismo valdericino, a nostro parere, è presente, da sempre, un turismo da villeggiatura che rimane ancora la risorsa principale nel settore dell’ospitalità turistica.Degli scavi, invero abbastanza fortunosi, effettuati nell’800 per ampliare la chiesetta di S. Andrea hanno fatto rinvenire due lapidi in lingua greca (una di esse è conservata presso il museo A. Cordici di Erice, l’altra è andata perduta), da cui gli studiosi hanno dedotto che in quel punto era insediata una villa romana del terzo secolo dell’era cristiana appartenente ad un proconsole di Roma (Asinnio Nicomaco Giuliano) che testimonia il gradimento di località siciliane per una dimora di piacere da parte di famiglie ricche della Roma imperiale (la più nota è la villa del Casale di Piazza Armerina). Del resto pare che Virgilio, accingendosi a scrivere l’Eneide, abbia visitato personalmente i luoghi dei canti terzo e quinto del poema, ambientati nelle terre e nelle coste ericine, godendo probabilmente dell’ospitalità di qualche dovizioso concittadino.Prendendoci qualche licenza, mi sia perdonato l’azzardo, possiamo anche ricondurre ad una forma di turismo religioso il pellegrinaggio di mercanti e marinai fin sulla vetta ericina per venerare la dea, offrire preziosi doni e godere dell’amplesso sacro delle jerodule, in quello che fu l’antichissimo santuario di una dea mediterranea dell’età del bronzo, dopo ereditato da Afrodite greca, Astarte fenicia e Venere romana.Per mantenere vivo il culto dell’ericina Venus Roma, conquistata la Sicilia con la prima guerra punica, impose a 17 città dell’isola di versare un tributo annuo al santuario della dea, con il quale,fra l’altro, venivano pagati 200 militi per la custodia del tempio e della fortezza che lo conteneva.

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  • 2525Banca Don Rizzo N. 3 2011Banca Don Rizzo N. 3 2011

    La villeggiatura moderna, come oggi la si intende, ha iniziato a svilupparsi nel 700 e, naturalmente, è stata appannaggio di una ristretta classe nobiliare e di qualche ricco borghese. Il pedemonte ericino (oggi territorio di Valderice) già nel 600, come testimonia Antonio Cordici storico, letterato e uomo pubblico di spicco dell’antica e prestigiosa città, territorio frazionato in fondi meno estesi che nel resto del vasto agro, risultava in gran parte avviato a colture intensive, e quindi ricco di verde arboreo. Tale prerogativa, associata ad altre spiccate buone qualità (vicinanza del capoluogo e della città di Trapani, una grande quantità di sorgenti d’acqua idonea tanto ad usi umani che ad irrigazione, un paesaggio collinare ricco di vedute e quadri scenici naturali, un clima mite, sovente ventilato da una fresca brezza marina) ne fecero un luogo ideale per l’impianto di giardini, ville e casine che, con riferimento all’uso cui furono destinate, vennero chiamate “Casine di delizia” mentre il luogo è ricordato come” “l’eldorato ericino”.Va, tuttavia, precisato che le ville gentilizie di Valderice non furono utilizzate solo per fini di “delizia”, specialmente nella prima fase esse costituirono supporti ai proprietari di vaste tenute, per curare meglio i loro interessi in loco. Le prime dimore, infatti, già avviate alla villeggiatura nel ‘700, erano alquanto spartane, poiché derivavano dalla trasformazione dei bagli contadini che, proprio in quel tempo, andavano perdendo la specifica funzione di strutture a servizio dell’attività agraria. Solo dopo, nell’800 acquisirono la piena prerogativa di “casine di delizia”, sia dal punto di vista funzionale che estetico-architettonico.

    La villeggiatura di massa Quello che per tutto l’ottocento e la prima metà del novecento è stato un privilegio di pochi facoltosi, dopo il secondo conflitto mondiale, negli anni del miracolo economico italiano, divenne prerogativa popolare di massa. Chi dalla vicina città di Trapani ebbe la facoltà di acquistare una casetta (alcuni facoltosi professionisti costruirono delle vere e proprie ville) o godeva di un reddito che consentisse loro di pagare un affitto, cercò un soggiorno ameno estivo fuori città, parte lungo la costa dove spuntarono veri e propri paesetti, parte nel moderato pendio del territorio collinare di Ragosia, Misericordia, S. Andrea. La popolazione dimorante nella stagione estiva, oggi raddoppia i cittadini residenti nella restante parte dell’anno e costituisce un fenomeno sociale ormai assorbito dalla comunità locale che ne ricava innegabili vantaggi economici.

    Quale altro turismoC’è chi sostiene che il vero turismo, quello che incide nell’economia di una comunità, si misura con la disponibilità di posti letto e con la capacità di tenere occupata la propria ricettività alberghiera per buona parte dell’anno.L’assunto è condivisibile nel significato che l’obiettivo finale di un centro, a vocazione turistica, deve essere quello, non

    solo di richiamare i flussi ma, soprattutto, di trattenerli il più a lungo possibile, offrendo all’ospite quello che si aspetta dalla dimora in quel sito, con l’augurio magari di ritornare.Così, a colui che cerca la quiete della campagna, si offra dei buoni agriturismo; a chi vuole una dimora familiare, può star bene un B and B, da cui giornalmente raggiungere interessanti luoghi limitrofi; all’appassionato di mare, se questo non è direttamente fruibile, si offra un comodo servizio giornaliero di trasporto verso una spiaggia attrezzata, assicurando anche una piscina all’interno delle struttura ricettiva; le grandi strutture alberghiere offrano attività di svago, vendita di prodotti tipici, edicole, luoghi di culto interni o nelle adiacenze; assicurino i servizi artigianali richiesti (parrucchieri, barbieri).

    Per finireValderice, a parte la villeggiatura che rimane la principale risorsa del territorio, oggi è impegnata a sviluppare l’offerta turistica lungo la costa del mare, dove sono già presenti alcuni attrezzati complessi turistici. Non possedendo strutture monumentali e archeologiche, ma godendo di buone qualità per un confortevole soggiorno, negli ultimi tempi si è dotata di piccole strutture familiari nelle forme di Bed and Breakfast (ne sono in attività più di 15), strutture contadine, stanze in famiglia e simili.L’utilizzazione della risorsa è, dunque, avviata. L’auspicio è che si continui nel rispetto degli equilibri naturali, evitando interventi che deturpino l’ambiente.Un ruolo importante svolgono gli enti pubblici, in particolare i Comuni, a cui è affidato il compito di fornire i principali servizi di civiltà (acqua, pulizia dei luoghi, viabilità ordinata, disponibilità di parcheggi, igiene pubblica, uffici pubblici sgombri da inutile burocrazia, competenti sportelli di assistenza turistica, ed infine iniziative di svago, anche culturali, che possano coinvolgere gli ospiti oltre l’aspetto meramente residenziale.

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    LA TRADIZIONE E L’INNOVAZIONE

    Il territorio: la nostra storia, le nostre città, i personaggi

    Il linguaggio universaledella gastronomia dell’agroericino

    di Antonio Fundarò

    Scrive Jean-Claude Izzo «La gastronomia è un linguaggio universale. Il cibo oltre ad essere uno dei più grandi strumenti di conoscenza che abbiamo a disposizione, è la più grande forma esistente di diplomazia della pace» .E poi, continua Izzo, «La cucina è stata paragonata al linguaggio: come questo, essa possiede vocaboli (i prodotti, gli ingredienti) che si organizzano secondo regole di grammatica (le ricette, che danno senso agli ingredienti trasformandoli in vivande), sintassi (i menu, ossia l’ordine delle vivande) e di retorica (i comportamenti conviviali)». Ed è, così, che la cucina dell’agro ericino riscopre prepotente tutti i sapori del Mediterraneo, li fa suoi, li perfeziona e li modella, riscoprendo tutti i sapori e dando ad ogni ingrediente, il suo giusto valore.Così l’aglio, «che fa parte del gusto della vita e che insieme al vino spinge l’oltraggio fino al limite, là dove il palato non riesce a far fronte a così tante sollecitazioni e senza i quali continuare a vivere può essere davvero dura”.“O la menta, che apre le porte di quell’immaginario orientale dove tutto è lusso, calma e voluttà».Tutto questo diventa, nell’agroericino, sintesi, invito e quasi provocazione nei mercati caratteristici, anche quelli da vedere e da gustare, dove [….] «il più piccolo cetriolo assaporava già il piacere di essere preparato secondo il gusto orientale o alla latina. Frutta e verdura, ma anche erbe o spezie. La varietà dei colori faceva a gara con la molteplicità degli odori. Mescolandosi alle grida, alle risate. Ho conosciuto lì, le meraviglie del mondo, e ce n’erano più di sette. Come le olive. Non ce ne sono una o due, nere o verdi, ma banconi interi di olive, di diversa provenienza, preparate e condite per tutte le rivoluzioni del palato».Quel lì di cui scrive Izzo è però soltanto il Mercato. Mercati in cui il miracolo dell’integrazione, del meticciamento, della contaminazione sembra essersi avverato sui banchi delle spezie e delle verdure, dove insieme ed accanto a “passoline e pinoli”, peperoncino, “chiappe di pomodoro”, “olive cunzate”, sempre più spesso si trova la curcuma, il curry, o ancora lo zenzero. Spezie e verdure che diventano temi dominanti di molti piatti proposti dai ristoranti locali, a Custonaci come a Valderice, a San Vito come ad Erice e a Buseto Palizzolo. In questi luoghi, grazie allo scambio anche veloce, ma benevolo, curioso ed accogliente, tra avventori o tra clienti e venditori, possono nascere nuove ricette per palati, almeno quelli, disposti a provarsi in identità più ricche.

    Stati d’animo di questo tipo spiegano e confermano quello che Ignazio De Francisci scrive nell’introduzione al libro Ricette di osterie e genti di Sicilia a proposito dei piatti tipici siciliani, come ad esempio la caponata [....] «Leggere queste ricette è come ascoltare una sinfonia, di quelle interpretate da una grande orchestra composta da decine e decine di strumenti. Ogni pagina mi rimanda a qualcosa d’altro, ogni ricetta mi ricorda qualcuno o qualcosa».Arricchire ulteriormente la sinfonia, creare nuove armonie con strumenti diversi e versatili, rappresenta una delle speranze e uno dei messaggi fondamentali di Izzo, che affermava: «Come cittadino e come militante, non ho più grandi speranze. Ma conservo un bel po’ di speranza nei confronti dell’Uomo».Eccole qui le prelibatezze ed i simboli di un modo d’essere e di fare che non conosce età, che non conosce luogo fisico o mentale e che fa rivivere palati e sensazioni forse disabituati al buono, al fragrante, al genuino.Consci del fatto, che tramite l’atto del mangiare e dell’assorbire il cibo, noi diventiamo ciò che mangiamo, assumendo il cibo assimiliamo il mondo e, di conseguenza, incorporare gli alimenti significa farli diventare parte della nostra sostanza intima. Perciò l’alimentazione coinvolge il campo del desiderio, dell’appetito, del piacere, ma anche il campo della diffidenza, dell’incertezza e dell’ansietà.Tutti stati d’animo e sensazioni che proviamo quando ci troviamo, davanti, una prelibatezza dell’agroericino, con i suoi odori ed i suoi colori mediterranei, e gustandola veniamo travolti da emozioni irripetibili e forti.Pasticcerie, bar, ristoranti, pizzerie, agriturismi e bagli, per non permettere che il ricordo di questo incantevole spicchio, dell’estremo lembo dell’Italia, possa andare dimenticato.Si potrebbe proprio cominciare cercando di suddividere, questo incantevole territorio, in fazzoletti di sapori coincidenti con le città di questo agro.A Valderice, i sapori di mare e di terra trovano un equilibrato connubio, sposandosi, meravigliosamente e regalando, anche al più esigente dei palati, raffinatezze davvero uniche.Potrete gustare raffinate prelibatezze all’Hotel Baglio Santacroce, in via SS 187 - Km 12, 300, telefono 0923 891111, dove l’accoglienza e la discrezione della famiglia Cusenza renderanno il vostro soggiorno confortevole e

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    busiati al pesto trapanese, pasta con le sarde…). Il locale dispone di una vasta selezione di vini regionali e locali per soddisfare ogni richiesta e soprattutto per poter proporre l’abbinamento migliore con il cibo scelto. Una cucina tipica familiare che propone ogni giorno una vastissima varietà di piatti sia di carne che di pesce, senza dimenticare i dolci (cannoli, cassata siciliana, parfet di mandorla), il modo migliore per concludere un pasto o una cena... in Sicilia. Il Ristorante offre, inoltre, la possibilità di mangiare all’aperto in un pittoresco quanto unico vicolo ericino. Il vero fiore all’occhiello della Città della Scienza. Sublima il palato la pro-duzione dolciaria della Pasticceria Marceca, nata da soli tre mesi, in via Trapani, 48, a Valderice, telefono 0923 892151- [email protected]. La produzione dolciaria del-la pasticceria Marceca si contraddistingue per l’indiscus-sa qualità delle materie prime utilizzate. Ogni ingrediente viene scelto e selezionato personalmente dalla famiglia Mar-ceca che ne garantisce la genuinità e la bontà. Gli alimenti, le farine, i frutti... vengono poi elaborati secondo le tecniche tradizionali della pasticceria siciliana, con le più moderne attrezzature ma, soprattutto, dalle mani esperte ed insosti-tuibili dei pasticceri e lavoranti che, sotto la guida e con le mani della famiglia Marceca, sfornano i dolci più impensa-bili e sopraffini. Deliziosa, unica ed originale la produzione dolciaria della Pasticceria Marceca, nata dalla tradizione di due generazioni, tra innovazione e rimembranza. Va-riegata la tipologia di profumi, di sapori e di odori. Paste di mandorla, biscotti all’arancio (ripieni di confettura d’a-rancia valdericina), cucciddati (ripieni di un impasto a base di fichi secchi arricchiti di cioccolato, caffè, zucca candida, mandorla tostata uva sultanina), brutti e buoni (particolari meringhe con mandorla tostata e di forma irregolare), frol-lini da the, frolli all’uovo, alla nutella; e, poi, gli unici in Sicilia baci d’Alassio (un particolare pasticcino al cacao e nocciola a forma di riccio). Da non trascurare i gelati, molti dai gusti particolari e singolari, come i gelati al basilico verde, ai gelsi rossi. Di pregio le cassate e le torte di ogni fattura, pasta di martorana a forma di frutta e verdura, compresi il panetto-ne natalizio e le colombe pasquali con canditi siciliani rea-lizzati, nella stagione estiva, dalle sapienti anni della fami-glia Marceca. Da quest’anno, anche in Sicilia, sarà possibile gustare le Uova di Pasqua artigianali artisticamente deco-rate e personalizzate. Una tappa che non può mancare nel viaggio del gusto e dei sapori di Sicilia. A San Vito Lo Capo avrete la possibilità di immergervi tra infinità di piatti a base di pesce. Buseto Palizzolo vi darà la possibilità, invece, di definire questo percorso gastronomico tuffandovi tra squisitezze di prodotti di terra. Ottimi i tradizionali piatti tipici siciliani,

    indimenticabile, in un luogo ormai divenuto in-contro tra la s