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16 ottobre 2012 Crisi e trasformazione dei distretti industriali veneti Economia e Imprese

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  • 16 ottobre 2012

    Crisi e trasformazione deidistretti industriali veneti

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    e

  • “Quaderni di ricerca” di Unioncamere Veneto

    Collana Economia e Imprese

    0/2003 Investimenti, ricerca e innovazione nel settore manifatturiero in Veneto. Risultati dell’indagine 2002 sul campione delle imprese della “Giuria della congiuntura”, giugno 2003.

    1/2003 I sostegni all’imprenditoria femminile. Analisi d’impatto della Legge n. 215/1992 e della Legge Regionale n. 1/2000, ottobre 2003.

    2/2004 Le PMI di subfornitura tecnica del Veneto. Risultati dell’indagine 2003 dell’Osservatorio Subfornitura – Settori Tecnici, aprile 2004.

    3/2004 Investimenti e ciclo economico in Veneto. Costruzione di indicatori di previsione e veri!ca della loro validità, maggio 2004.

    4/2004 L’artigianato veneto verso un mercato del lavoro più "essibile. Evolu-zione della struttura occupazionale nelle imprese artigiane 1999-2004, novembre 2004.

    5/2005 Il nuovo accordo di Basilea sul capitale delle banche. Inquadramento metodologico e potenziali impatti sulle PMI in termini di assorbimento patrimoniale, settembre 2005.

    12/2009 Il Veneto letto attraverso i bilanci delle imprese. Struttura, performan-ce economico-!nanziarie e tassazione delle società di capitali, ottobre 2009.

    14/2011 I bilanci delle società di capitali del Veneto. Un’analisi delle perfor-mance economico-!nanziarie e della tassazione nel periodo 2006-2009, settembre 2011.

    16/2012 Crisi e trasformazione dei distretti industriali veneti. Gioielli, occhiali e calzature a confronto, ottobre 2012.

    Collana Lavoro e Professioni

    6/2006 Occupazione e professioni nel comparto turistico veneto. Figure pro-fessionali e prospettive occupazionali nelle attività economiche e nei ser-vizi per il turismo, settembre 2006.

    7/2006 I manager di distretto nel Veneto. Attività e professionalità dei respon-sabili e degli attuatori dei patti di sviluppo distrettuale, settembre 2006.

    Collana Istituzioni e Federalismo

    8/2007 I costi del “non federalismo”. Un confronto tra Veneto, regioni italiane ed esperienze di decentramento in Europa, maggio 2007.

    9/2008 Spesa pubblica e federalismo. Allocazione delle risorse umane e !nan-ziarie ed e#cienza delle Amministrazioni pubbliche, marzo 2008.

    10/2008 Federalismo e competitività. Verso una riforma per lo sviluppo econo-mico e sociale del Paese, settembre 2008.

    11/2009 Responsabilità e federalismo. Numeri, spunti e ri$essioni per accelerare l’attuazione del federalismo !scale in Italia, settembre 2009.

    13/2011 Federalismo, Sussidiarietà ed Evasione Fiscale. Il ruolo dei governi re-gionali nel processo decisionale europeo tra partecipazione e responsabi-lità, giugno 2011.

    15/2012 Imprese e burocrazia in Veneto. Come le piccole e micro imprese giudi-cano la Pubblica Amministrazione, dicembre 2011.

  • Prefazione Il quadro economico dei sistemi produttivi locali appare oggi sempre più in

    bilico tra nuove spinte recessive e balzi in avanti, frutto di piccoli aggiustamenti nei mercati, capacità di innovazione e lo spiccato orientamento alle esportazioni. In uno scenario caratterizzato da diffuse incertezze per il sistema produttivo e da gravi incognite sullo scenario macroeconomico, si sono individuate tuttavia diverse traiettorie di riposizionamento dei distretti industriali veneti.

    I dati analizzati in questa ricerca – incentrati sul distretto dell’occhiale di Belluno, della calzatura della Riviera del Brenta e orafo argentiero di Vicenza – indicano la progressiva trasformazione delle imprese distrettuali, in termini di dimensione e di performance. Inoltre emerge il ruolo delle imprese leader all’interno dei distretti come attori che ripensano costantemente il rapporto con il territorio, sviluppando reti oltre il sistema locale, ma allo stesso tempo conservando in loco quelle produzioni necessarie al mantenimento della qualità, e investendo su competenze manageriali evolute.

    In particolare, le risposte strategiche delle imprese alla crisi riguardano l’investimento in marchi e nuovi materiali, un riposizionamento verso segmenti medio-alti, la gestione dei canali distributivi e una maggiore attenzione alle esigenze del consumatore e al tema dell’ecosostenibilità. In tale prospettiva la delocalizzazione basata sul basso costo del lavoro perde di significato, mentre lo acquistano le fasi di progettazione, la ricerca e lo sviluppo del prodotto, e tutte le attività di interazione con il consumatore finale.

    La manifattura veneta continua, dunque, a mostrare alte peculiarità nell’ambito del variegato sistema produttivo italiano, anche se il suo vantaggio competitivo sembra attraversare un’ulteriore fase di ridimensionamento. Il primato sui mercati esteri (oltre un quarto delle esportazioni manifatturiere italiane è effettuato da imprese distrettuali) ha contraddistinto a lungo l’economia del territorio regionale, ma in una fase di persistente debolezza del mercato interno, l’inserimento in network più ampi che guardino al mercato globale si dovrà configurare come un percorso obbligato. I distretti hanno, quindi, di fronte un periodo ancora impegnativo di elaborazione di nuovi vantaggi competitivi e di nuove strategie di posizionamento, necessario a rafforzare la loro particolarità all’interno dello scenario produttivo globale.

    Una politica per lo sviluppo dei sistemi industriali di piccola e media impresa richiede continuamente l’azione congiunta delle imprese, delle istituzioni – tra cui le Camere di Commercio – e di tutti i soggetti coinvolti nel territorio. È infatti importante riordinare e ridefinire il sistema complessivo degli interessi e riorganizzare la policy accompagnando il processo di ristrutturazione aziendale. Tra gli aspetti essenziali: un sistema del credito più vicino alle imprese, nuovi investimenti in ricerca e sviluppo e il rafforzamento delle competenze professionali.

    Alessandro Bianchi Presidente Unioncamere Veneto

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    Il presente lavoro, promosso da Unioncamere Veneto, riguarda tre importanti distretti industriali del Veneto – il calzaturiero della Riviera del Brenta, l’occhialeria bellunese e il distretto orafo di Vicenza – e raccoglie gli elaborati migliori prodotti dagli studenti all’interno di un corso di insegnamento della laurea magistrale in Scienze Statistiche presso l’Università di Padova.

    Le ricerche svolte durante il corso si sono avvalse del supporto del Centro

    Studi di Unioncamere Veneto.

    La progettazione della ricerca, la raccolta e l’analisi dei dati sono state curate da un gruppo di lavoro, coordinato dal prof. Roberto Grandinetti, ordinario di Economia e Gestione delle Imprese presso il Dipartimento di Scienze Economiche e Aziendali “Marco Fanno” in collaborazione con Valentina De Marchi, assegnista di ricerca senior presso lo stesso Dipartimento e composto dai seguenti studenti:

    - Gaetana Eugenia Dalmasson, Silvia Masiero, Stefania Sorato, Lucia Zanotto (Distretto dell’occhiale di Belluno).

    - Gianluca Barbierato, Ilaria Calisti, Giovanna De Cristofaro, Massimiliano Scognamiglio, Giulia Trovò (Distretto calzaturiero della Riviera del Brenta).

    - Elisabetta Ferraris, Massimo Schiavo, Riccardo Voltani, Maria Teresa Zanon (Distretto orafo argentiero di Vicenza).

    La redazione del presente rapporto è stata curata dal prof. Roberto

    Grandinetti e dalla dott.ssa De Marchi, con contributi di Gaetana Eugenia Dalmasson, Massimiliano Scognamiglio e Riccardo Voltani.

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    Sommario

    1. Interpretare la trasformazione dei distretti industriali...........................7 1.1 Dai distretti industriali “marshalliani” a ….......................................................... 7 1.2 L’analisi comparata di tre distretti industriali del Veneto................................. 14 1.3 Tre possibili scenari: declino, gerarchizzazione ed evoluzione ....................... 16 1.4 In conclusione ........................................................................................................ 18

    2. Il distretto dell’occhiale di Belluno ...................................................... 19 2.1 Breve storia del distretto dell’occhiale ................................................................ 19 2.2 Principali trasformazioni recenti.......................................................................... 21 2.3 La dinamica demografica ...................................................................................... 23 2.4 I KIBS distrettuali .................................................................................................. 29 2.5 Le performance economico-finanziarie delle imprese...................................... 32 2.6 Le imprese leader e le imprese distrettuali più dinamiche................................ 35

    3. Il distretto calzaturiero della Riviera del Brenta .................................. 41 3.1 Breve storia del distretto calzaturiero.................................................................. 41 3.2 Principali trasformazioni recenti.......................................................................... 43 3.3 La dinamica demografica ...................................................................................... 45 3.4 I KIBS distrettuali .................................................................................................. 50 3.5 Le performance economico-finanziarie delle imprese...................................... 53 3.6 Le imprese leader e le imprese distrettuali più dinamiche................................ 57

    4. Il distretto orafo argentiero di Vicenza ................................................ 61 4.1 Breve storia del distretto orafo ............................................................................ 61 4.2 Principali trasformazioni recenti.......................................................................... 63 4.3 La dinamica demografica ...................................................................................... 66 4.4 I KIBS distrettuali .................................................................................................. 70 4.5 Le performance economico-finanziarie delle imprese...................................... 72 4.6 Le imprese leader e le imprese distrettuali più dinamiche................................ 76

    Riferimenti bibliografici............................................................................... 79

    Appendice metodologica ............................................................................. 83

  • Interpretare la trasformazione dei distretti industriali

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    1. Interpretare la trasformazione dei distretti

    industriali∗

    1.1 Dai distretti industriali “marshalliani” a …

    I distretti industriali rappresentano un insieme alquanto eterogeneo in relazione sia alla loro base sociale che alla struttura produttiva. Questo fatto risulta particolarmente evidente in un paese come l’Italia, dove la presenza di questa particolare forma di organizzazione spaziale della produzione è superiore ad altri paesi (Paniccia, 1998; Iannuzzi e Berardi, 2012). Nondimeno, i distretti industriali presentano dei caratteri comuni e chiaramente identificabili: si tratta di territori circoscritti, ciascuno dei quali ospita una popolazione di imprese manifatturiere e di servizi che condividono un’area di business e risultano variamente specializzate e quindi interconnesse da relazioni (Camuffo e Grandinetti, 2011). Nei distretti industriali operano di norma anche dei soggetti istituzionali che supportano lo sviluppo del distretto (Provasi, 2002).

    Secondo la definizione di cui sopra, i distretti industriali non sembrano differire in alcun modo dai clusters come definiti da Michael Porter (1998a) in un articolo che ha avuto un’enorme diffusione, non solo in ambito accademico: concentrazioni geografiche di imprese e istituzioni tra loro interconnesse che condividono un particolare campo di attività. In realtà, una differenza esiste, e non è di poco conto: Porter non fa alcun riferimento all’estensione spaziale dei clusters e infatti tra i tanti esempi che passa in rassegna ve ne sono molti che si estendono sul territorio di un intero stato, come i clusters viti-vinicoli della California e del Portogallo, il cluster del mobile della North Carolina o quello dei prodotti forestali della Svezia (Porter, 1998b). Con ogni evidenza, questi sistemi produttivi non sono confrontabili con il distretto del prosecco di Conegliano-Valdobbiadene, quello del mobile classico della bassa pianura veronese e i tanti altri distretti industriali italiani, la cui estensione si limita a pochi e in genere piccoli territori comunali. In breve, i distretti industriali costituiscono un sotto-insieme del più ampio insieme dei clusters di definizione porteriana.

    Quando il padre del concetto di industrial district, Alfred Marshall (1919 e 1920), osservava nella seconda metà dell’ottocento le aree industriali dello Sheffield e del Lancashire riconosceva esattamente gli stessi elementi che compongono la definizione “moderna” di distretto industriale, ossia un territorio specifico, una determinata specializzazione produttiva, una popolazione di imprese e un tessuto di relazioni tra imprese. A questi elementi distintivi aggiungeva però una forte compenetrazione tra dimensione produttiva e dimensione sociale, tra una popolazione di imprese e una comunità di persone con le parole di Giacomo Becattini (1990), l’economista che riscopre negli anni settanta del secolo scorso i distretti industriali e Marshall (le cui considerazioni sul tema erano state nel frattempo quasi dimenticate) osservando l’area tessile di Prato in Toscana. Il fattore comunitario ha una grande importanza nella teoria dei distretti industriali impostata da Marshall e perfezionata da Becattini e dalla sua scuola, in quanto ad

    ∗ La redazione di questo capitolo è stata curata da Roberto Grandinetti e Valentina De Marchi.

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    essa viene assegnata la capacità di ridurre l’attrito (i costi di transazione) nelle relazioni tra attori localizzati nel medesimo distretto (Dei Ottati, 2003). Lo stesso fattore favorisce la diffusione delle conoscenze nel contesto locale (Camuffo e Grandinetti, 2011) e quindi – ricorrendo alla felice metafora coniata da Marshall (1920) – il formarsi della “atmosfera industriale”. Possiamo quindi identificare, insieme ad Ann Markusen (1996), una variante “marshalliana” di distretto industriale, nella quale è agevole far rientrare gran parte dei distretti industriali italiani (Sforzi, 2003)1.

    Per lungo tempo, dagli anni sessanta fino alla prima metà degli anni novanta, i distretti industriali con la vastissima popolazione di piccole e medie imprese che li ha animati hanno rappresentato una componente dinamica dell’economia italiana, responsabile in ampia misura del successo dei prodotti manifatturieri Made in Italy nei mercati internazionali (Becattini, 1998). Negli ultimi quindici anni, tuttavia, i distretti industriali del nostro paese hanno subito profonde trasformazioni, sotto l’incalzare della globalizzazione, e non solo. Su questo processo di cambiamento strutturale – che alcuni autori hanno definito di riposizionamento competitivo dei distretti industriali italiani (Foresti et al., 2010) – si è abbattuta la crisi recessiva mondiale che ha preso avvio alla fine del 2008. Questa ha determinato un formidabile inasprimento della pressione competitiva, accelerando la transizione e rendendola più selettiva a livello di imprese (Di Berardino e Mauro, 2011). Un gran numero di studi empirici ha documentato le trasformazioni avvenute e tuttora in corso in specifici sistemi distrettuali. Una lettura di questi lavori porta a riconoscere – al di là di aspetti specifici a ciascun distretto esaminato – alcuni fenomeni ricorrenti:

    1. l’incremento della concentrazione all’interno della popolazione distrettuale, 2. il depauperamento del tessuto distrettuale di relazioni produttive, 3. l’allungamento delle relazioni inter-aziendali oltre i confini del distretto, 4. l’impatto dell’immigrazione sulla compenetrazione tra sfera sociale e sfera

    produttiva, 5. la ridotta riproducibilità del fattore imprenditoriale, 6. la diversificazione produttiva dei territori distrettuali.

    Si tratta di fenomeni anche molto diversi l’uno dall’altro, che tuttavia convergono nel determinare la dissoluzione della configurazione marshalliana di distretto.

    Meno imprese, più concentrazione

    Innanzitutto, tutti i distretti del “vecchio” mondo e quindi anche quelli italiani

    hanno dovuto fronteggiare la formidabile intensificazione della concorrenza su scala globale nei loro settori di specializzazione. Questo fenomeno ha determinato, da un lato, una netta contrazione strutturale delle popolazioni distrettuali per effetto congiunto dell’incremento della mortalità aziendale e del calo della natalità. D’altro canto, in un contesto competitivo sempre più difficile, le imprese distrettuali più avvedute e attrezzate hanno saputo reagire e sono riuscite a crescere. Spesso, la crescita è avvenuta per linee esterne, in particolare

    1 La Markusen identifica addirittura una sub-variante che risulterebbe caratteristica del nostro paese (Italianate variant), ma si tratta di un’assunzione non sostenuta da adeguati riscontri empirici.

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    attraverso l’acquisizione di imprese locali. Tutto ciò ha determinato un incremento della concentrazione (Iuzzolino e Menon, 2011), qualunque indicatore venga misurato, ad esempio sulla base del fatturato delle imprese, del loro valore aggiunto o degli occupati. L’incremento della concentrazione è un fenomeno che confligge con la riproduzione della configurazione marshalliana di distretto, indissolubilmente legata a un’ampia popolazione di piccolissime e piccole imprese.

    La concentrazione può essere misurata in un settore o in un distretto in quanto settore localizzato. Tuttavia, un distretto non è semplicemente un settore localizzato, bensì una filiera definita territorialmente, in relazione alla specializzazione-divisione del lavoro tra le imprese locali. Pertanto, la concentrazione distrettuale aumenta anche se alcune imprese finali acquisiscono imprese intermedie (integrazione verticale ascendente) o viceversa (integrazione verticale discendente). Nel caso specifico dei distretti italiani, una parte delle acquisizioni di cui si è detto ha seguito il primo tipo di logica (Cainelli et al., 2006). Eventi di questo tipo non contribuiscono solo ad aumentare la concentrazione, ma comportano anche la riduzione del grado di divisione del lavoro tra le imprese all’interno del distretto, incidendo quindi su un tratto distintivo fondamentale dei distretti industriali (e più in generale dei clusters).

    Un’implicazione del progressivo indebolimento della connotazione popolazionale dei distretti è che risulta fuorviante valutare lo “stato di salute” di un distretto attraverso variabili aggregate come il flusso di export. Facciamo a tal proposito un esempio estremo: in un distretto, formato da 100 imprese finali o intermedie, 99 imprese cessano l’attività o vengono acquisite dalla sola impresa che sopravvive, e anzi accresce il proprio fatturato e le esportazioni al netto dell’effetto delle acquisizioni; l’indicatore aggregato registrerà per il distretto una brillante performance; in realtà è scomparso, e a godere di buona salute è una sola impresa. L’esempio è volutamente non realistico, ma nei distretti – come l’occhialeria bellunese – in cui l’incremento della concentrazione è stato particolarmente intenso si cade inevitabilmente nell’illusione di vedere il distretto laddove ci sono solo pochi leader.

    I distretti industriali italiani nella nuova divisione internazionale del lavoro

    La globalizzazione della produzione ha significato l’ingresso nell’arena

    competitiva di un buon numero di nuovi paesi capaci di offrire una vasta gamma di beni finali e intermedi con costi di produzione competitivi (Sideri, 1997). Un aspetto molto interessante di questo processo è che il coinvolgimento dei paesi di recente industrializzazione è avvenuta spesso nella forma dei clusters produttivi, con numerosi casi osservati e studiati nei paesi dell’Europa dell’Est, dell’Asia e del Sud-America. Si è pensato anche alla replicazione del modello marshalliano su vasta scala, ma questa assimilazione non ha retto alla prova di analisi approfondite (Giuliani et al., 2005; De Propris et al., 2008).

    Nel processo che ha portato a una nuova divisione internazionale del lavoro i distretti italiani hanno giocato un ruolo per un verso attivo e per l’altro passivo. Infatti, la possibilità di sfruttare differenziali favorevoli nei costi di produzione ha spinto molte imprese distrettuali finali, a cominciare dalle lead firms di ciascun distretto, a internazionalizzare le attività produttive interne o di filiera in varie forme, in particolare attraverso accordi di subfornitura, la creazione di joint-ventures di produzione, investimenti proprietari in stabilimenti produttivi o in imprese controllate. Diverse ricerche empiriche, basate su analisi quantitative o su case studies hanno documentato l’internazionalizzazione produttiva delle imprese distrettuali italiane (Gisolo e Iodice, 2004; Tattara et al., 2006; De Propris et al.,

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    2008; Chiarvesio e Di Maria, 2009; Grandinetti et al., 2009; Chiarvesio et al., 2010; Grandinetti et al., 2010; Cutrini, 2011). Non tutte le scelte di internazionalizzazione produttiva hanno un effetto sostitutivo di capacità produttiva locale: il caso tipico è quando l’impresa effettua un greefield investment per la produzione di beni finiti al fine di servire in modo efficace un nuovo e importante mercato geografico. Tuttavia a prevalere nettamente sono stati gli investimenti produttivi e le relazioni di sourcing guidate dall’opportunità di presidiare aree geografiche di approvvigionamento caratterizzate da bassi costi di produzione. Nel loro insieme queste scelte hanno determinato una sensibile riduzione, in numero e in valore, delle relazioni di subfornitura nei distretti industriali italiani (Rabellotti et al., 2009). Anche questo fenomeno, dunque, ha colpito “al cuore” il modello distrettuale marshalliano.

    Ragionando in termini di global value chain, concetto proposto da Gereffi et al. (2005) per rappresentare la configurazione internazionale di una filiera produttiva nell’articolazione completa delle sue fasi, la globalizzazione della produzione ha corrisposto a un incremento sensibile dei territori coinvolti nelle fasi intermedie della filiera e a una ridistribuzione della capacità produttiva da territori del “vecchio” mondo, a cominciare dai distretti marshalliani del nostro paese, a territori del “nuovo” mondo. Inoltre, collegando il concetto aggregato di global value chain alle sue proiezioni aziendali, la parte upstream della catena del valore di molte imprese distrettuali italiane attraversa oggi una pluralità di territori che rientrano nella corrispondente global value chain.

    La ricerca di economie esterne all’impresa e anche al distretto

    Allargando ora la visuale dalle sole attività di produzione all’intero spettro delle

    attività che compongono la rete del valore di un’impresa, la globalizzazione ha significato per le imprese distrettuali più dinamiche un allargamento dell’orizzonte spaziale in cui definire le proprie strategie e le conseguenti scelte localizzative in termini di investimenti proprietari o di relazioni con soggetti esterni. Le seconde sono fondamentali perché, quanto più un progetto imprenditoriale è ambizioso e innovativo, tanto più deve fare leva su risorse e competenze esterne all’impresa (Stevenson e Jarrillo, 1990). L’apertura extra-distrettuale ed in particolare internazionale ha coinvolto in primo luogo le imprese leader dei distretti, che si distinguono dal resto della popolazione per le loro maggiori dimensioni, spesso distribuite in articolati gruppi aziendali. Anche la proiezione internazionale (non solo produttiva) delle imprese leader è stata oggetto di un buon numero di studi empirici (Albino et al., 1999; Corò e Grandinetti, 1999; Lorenzoni e Lipparini, 1999; Camuffo, 2003; Nassimbeni, 2003; Chiarvesio et al., 2006; Alberti et al., 2008; Belussi et al., 2009; Gottardi, 2009). Queste imprese hanno individuato all’estero luoghi più convenienti dove produrre o approvvigionarsi, come si è detto, e hanno profuso un impegno non inferiore dal lato dei mercati di sbocco dei loro prodotti. In particolare, hanno ampliato il portafoglio-paesi, sviluppato una forza di vendita esclusiva (personale dell’impresa e agenti monomandatari) e investito direttamente nei mercati geografici più importanti con joint-ventures di vendita, filiali e consociate commerciali, flagship stores e uffici di rappresentanza. Non mancano la creazione o l’acquisizione di catene di vendita al dettaglio in proprietà o, più frequentemente, la creazione o l’acquisizione di reti in franchising. Inoltre, sempre su scala internazionale o comunque al di fuori dei confini del distretto, le imprese leader hanno sviluppato relazioni con fornitori di servizi strategici e stretto alleanze con partner del proprio settore o di settori affini. Sotto il profilo cognitivo, hanno ampliato e allungato i canali di accesso alle conoscenze

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    utili per il vantaggio competitivo. La tipologia degli attori dinamici presenti nei distretti non si esaurisce tuttavia

    nelle imprese di maggiori dimensioni – le imprese leader su cui si è concentrata l’attenzione degli studi sulle trasformazioni dei distretti (Camuffo e Grandinetti, 2011) – ma include anche altri soggetti: piccole imprese che sono riuscite a sviluppare strategie di nicchia sostenibili in un mercato globale (Camuffo e Grandinetti, 2005), subfornitori che hanno risposto alla minaccia della globalizzazione internazionalizzandosi a loro volta (Bocconcelli e Tunisini, 2001; Bortoluzzi et al., 2006), fornitori di servizi knowledge-intensive (KIBS) che non sono rimasti “prigionieri” della domanda locale (Bettiol et al., 2012), e infine i produttori di macchine utensili, la cui apertura internazionale si è sviluppata in modo anticipato rispetto alle altre categorie di attori, come hanno dimostrato gli studi sul settore della meccanica strumentale italiana (Rolfo e Calabrese, 2006).

    In sintesi, la rete del valore delle imprese leader e degli altri attori di cui si è detto – sia per la parte proprietaria che per quella relazionale – è cresciuta e nella sua configurazione la frazione distrettuale si è fortemente ridimensionata a vantaggio di quella extra-distrettuale. Alcuni studiosi, facendo in particolare riferimento alle imprese leader e ai KIBS, hanno ipotizzato che queste organizzazioni possono operare come integratori versatili o knowledge gatekeepers tra il contesto distrettuale e l’ambiente globale, o meglio le reti globali dove si producono, circolano e si utilizzano molte delle conoscenze rilevanti nei settori produttivi di riferimento (Becattini e Rullani, 1996; Albino et al., 1999; Morrison, 2008; Camuffo e Grandinetti, 2011). Nello specifico, essi assorbirebbero conoscenze in ambito globale e le trasferirebbero, volontariamente o meno, al contesto distrettuale. In realtà, questa ipotesi non dispone ancora di adeguate verifiche empiriche. A suo sfavore gioca il fatto che la prossimità spaziale tra le imprese da sola non garantisce il trasferimento della conoscenza; ad essa si deve aggiungere la prossimità cognitiva, dovuta a una base di conoscenza e di esperienza comune (Boschma, 2005), e la capacità di interagire, che nel tipico distretto marshalliano è favorita dal fattore comunitario (Camuffo e Grandinetti, 2011). Ma nella fase recente della storia dei distretti è invece aumentata la distanza cognitiva tra la componente dinamica di ciascun sistema locale, sempre più innervata nei circuiti della globalità piuttosto che radicata nel distretto, e la parte rimanente delle imprese distrettuali, mentre in parallelo si è venuto dissolvendo il fattore comunitario, a causa dei fattori discussi di seguito.

    Immigrazione operaia e imprenditoriale

    La compenetrazione tra struttura sociale (popolazione di persone) e struttura

    produttiva (popolazione di imprese) è il “sale”, come sappiamo, della variante marshalliana di cluster. In realtà, è un miscuglio di diversi ingredienti – un linguaggio condiviso e valori, significati, regole implicite di comportamento (consuetudini) comuni (Dei Ottati, 2003) – che però si rafforzano a vicenda nel garantire un vantaggio differenziale alle relazioni immerse nel contesto distrettuale. Tale miscuglio si riproduce se le persone che operano nelle imprese e nelle istituzioni locali sentono di appartenere alla stessa comunità (il distretto, appunto), il che a sua volta implica una forte omogeneità socio-culturale tra le persone.

    Questo importante fattore di riproducibilità in senso marshalliano dei distretti si è dovuto confrontare con il fenomeno dell’immigrazione di lavoro, che ha assunto dimensioni vistose nel periodo a cavallo dei due secoli. Quando già i distretti italiani avevano sostanzialmente esaurito la loro forza espansiva in termini

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    occupazionali, la domanda di lavoro nella fascia delle mansioni generiche veniva soddisfatta grazie agli immigrati. Il fenomeno ha coinvolto in misura più o meno intensa tutti i distretti, raggiungendo punte estremamente elevate in alcuni come il distretto conciario di Arzignano in Veneto (Belussi e Sedita, 2008). Con le parole di Murat e Paba (2006), in uno dei pochi studi che hanno affrontato l’argomento in modo approfondito:

    “Molti degli immigrati che arrivano in Italia trovano impiego nelle attività manifatturiere dei distretti industriali, in particolare nelle piccole e piccolissime imprese legate ai settori del Made in Italy e della metal-meccanica. Gli stranieri occupano i posti che non interessano più i lavoratori italiani, svolgendo mansioni generalmente low-skill intensive, con le qualifiche e le retribuzioni più basse” (p. 178).

    Pertanto, la base operaia dei distretti industriali italiani è diventata sempre più multietnica, e al contempo eterogenea tra distretto e distretto, sia in termini di incidenza della componente straniera sul totale della forza lavoro che per nazionalità prevalente degli immigrati (Bettella e Grandinetti, 2010). Quest’ultimo fenomeno è dovuto al formarsi di un embrione di comunità etnica in un determinato territorio distrettuale, che cresce nel tempo favorendo attivamente l’ingresso di altri membri dello stesso gruppo (Ambrosini, 2006).

    Si è anche registrata la presenza, a volte cospicua, di imprenditori immigrati in diversi distretti italiani. Ironia della sorte, il fenomeno sembra avere raggiunto le proporzioni più vistose nell’area tessile pratese (Santini et al., 2011), il primo caso ad essere studiato in Italia come esempio “perfetto” di distretto marshalliano (Becattini, 2000).

    Le imprese distrettuali alla prova del cambio generazionale

    La “stagione d’oro” dei distretti industriali ha occupato lo spazio di due

    generazioni, fortemente omogenee sul piano culturale e valoriale. Questa omogeneità si è progressivamente indebolita nella fase recente, con un’erosione delle fondamenta stesse dell’edificio marshalliano. Agli effetti del fattore immigrazione richiamati al punto precedente si aggiungono quelli dovuti al cambio generazionale. Consideriamo in particolare il problema della successione nelle micro-imprese a base familiare e quello della nascita di nuove imprese.

    I figli giovani di imprenditori anziani si sono avvicinati a questo evento con le aspettative di persone cresciute nel benessere, un livello di istruzione mediamente superiore, un sistema di valori che non si è separato, ma neppure si chiude nell’etica del lavoro. In definitiva, investire il proprio futuro nell’azienda familiare è diventata una scelta sempre meno scontata e il problema della successione ha assunto una criticità inedita (Grandinetti, 2003; Nazzaro e Ugolini, 2003).

    I distretti industriali sono sempre stati caratterizzati da una elevata natalità aziendale, capace di contrastare un’altrettanto elevata mortalità e, nelle fasi espansive della domanda, di sopravanzarla. La tipica fertilità dei sistemi distrettuali è stata alimentata in particolare dagli spin-offs, cioè da ex-dipendenti che hanno creato la propria azienda, magari in condizioni almeno all’inizio di marginalità economica, ma comunque sostenuti dai valori ampiamente condivisi nelle comunità distrettuali (Garofoli, 1992; Camuffo e Grandinetti, 2011). Anche questo dato, tuttavia, cambia nell’ultimo quindicennio, caratterizzato da una vera e propria “crisi delle nascite”. I motivi sono molteplici. Ad esempio, in precedenza si è fatto cenno al fatto che la globalizzazione ha ridotto drasticamente gli spazi per la nascita di nuove imprese nei distretti manifatturieri del “vecchio” mondo. Qui aggiungiamo che, sotto il profilo socio-culturale, il cambiamento

  • Interpretare la trasformazione dei distretti industriali

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    generazionale ha fatto sì che diventare imprenditore “a tutti i costi” non sia più un valore diffuso e condiviso nelle comunità locali.

    Da distretti industriali a sistemi locali pluri-settoriali

    La storia dei distretti industriali mostra che, al pari delle imprese, essi cambiano

    nel tempo (Brusco e Paba, 1997; Grandinetti e Tabacco, 2003). In particolare, cambia la combinazione di prodotti realizzati dall’insieme delle imprese distrettuali. Sotto questo profilo, la logica evolutiva di più frequente riscontro è stata quella della diversificazione orizzontale e verticale, all’intorno e a ridosso della specializzazione produttiva originaria. Da un lato, vi è l’ampliamento della gamma di prodotti finiti realizzati nel distretto, in virtù dell’azione pionieristica di alcune imprese distrettuali che iniziano a realizzare i tipici prodotti distrettuali utilizzando materiali diversi oppure introducono nuovi tipi di prodotti, siano essi nuovi solo per il distretto o anche per il mercato. Spesso, la crescita della varietà dei prodotti finiti porta a sviluppare nel distretto nuove specializzazioni di fase. Sempre in un’ottica evolutiva, si deve poi considerare il progressivo ampliamento del range di specializzazioni verticali che non rientrano nell’aggregato delle specializzazioni di fase, con la nascita di imprese specializzate nella fornitura di tecnologie, materiali e servizi: dalle macchine utensili per le lavorazioni distrettuali (Rolfo, 1998) ai servizi alle imprese di tipo knowledge-intensive (Bettiol et al., 2011).

    La tendenza (di lungo periodo) descritta cambia il distretto, ma non ne altera i tratti distintivi richiamati in precedenza. Del tutto diverso l’impatto della diversificazione produttiva che coinvolge il territorio di un distretto senza però avere legami con il distretto stesso, inteso quest’ultimo come sistema di imprese e istituzioni che condividono la specializzazione distrettuale. Concentrando l’attenzione sulla fase recente, nel territorio di molti distretti italiani la riduzione delle imprese e degli addetti nelle attività che – in senso verticale od orizzontale – compongono il business distrettuale è stata accompagnata e probabilmente anche stimolata dallo sviluppo di altri settori, legati ad esempio al turismo. Ragionando in termini di cluster, la presenza di un tessuto economico più eterogeneo può non avere conseguenze dirette sulla riproducibilità di sistemi di questo tipo: basti pensare che molti dei clusters studiati in letteratura risultano inglobati in grandi aree metropolitane (Porter, 1998b), dove il calcolo di un indice di specializzazione nelle attività del cluster non potrebbe mai raggiungere un valore significativo. Ma se il focus si restringe al distretto marshalliano, le cose cambiano radicalmente. Infatti, affinché si realizzi l’interpenetrazione tra il distretto produttivo e la vita sociale del territorio che lo “contiene”, la specializzazione distrettuale deve risultare dominante nella struttura produttiva di quel territorio (Becattini, 1990; Becattini et al., 2011). Volendo ricorrere ancora alla nota metafora di Marshall, si potrebbe dire che in un territorio-distretto dove la specializzazione produttiva viene progressivamente erosa l’atmosfera industriale diventa troppo rarefatta per riuscire a sortire degli effetti benefici.

    Dove stanno andando i distretti industriali italiani?

    Nel lontano 1989, con grande lucidità e lungimiranza, Giacomo Becattini

    invitava a concepire il distretto industriale marshalliano “come una fase evolutiva lungo uno fra i diversi, possibili, sentieri di industrializzazione” (Becattini, 1989, p. 409). Oggi possiamo affermare che quella fase si è definitivamente conclusa. In breve, le imprese distrettuali non godono più di un vantaggio per il fatto di avere la propria sede in un territorio “speciale” (le cosiddette economie esterne) o, se

  • Capitolo 1

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    vogliamo, non respirano più l’atmosfera industriale che in passato costituiva una sorta di risorsa di uso collettivo per gli attori distrettuali (Grandinetti, 2010). A contare sono le strategie competitive che esse sono capaci di sviluppare e che – sotto il profilo spaziale – continuano a poggiare su risorse esterne all’impresa, ma sempre meno interne al distretto.

    Fuoriuscita dal modello marshalliano, dunque, ma verso dove? Non è possibile rispondere a questa domanda applicando al distretto industriale la teoria del ciclo di vita dell’impresa, come ipotizzato da Carminucci e Casucci (1997). I modelli basati sull’idea di life cycle si sono, infatti, dimostrati fallaci sia nella loro applicazione a livello di impresa (Merz et al., 1994; Furlan e Grandinetti, 2011) che in quella riferita al nostro oggetto di studio. Infatti, con riferimento a quest’ultimo alcuni studi hanno già evidenziato l’impossibilità di individuare un unico pattern evolutivo (Corò e Grandinetti, 2001a; Belussi e Sedita, 2009; Rabellotti et al., 2009). In quest’ambito di ricerca si collocano anche i tre studi di caso (distrettuale) presentati nel presente rapporto.

    1.2 L’analisi comparata di tre distretti industriali del Veneto

    In questo rapporto, si è cercato di leggere le trasformazioni in atto nei distretti industriali focalizzandosi su tre dei maggiori distretti veneti: il calzaturiero della Riviera del Brenta, l’occhialeria di Belluno e l’orafo di Vicenza2. Nei capitoli successivi si analizzerà nello specifico ognuno di essi, mentre in questa sede si propone un’analisi comparata – sulla base delle banche-dati disponibili – delle principali trasformazioni avvenute nell’ultimo decennio.

    Calzaturiero

    Riviera del Brenta

    Occhialeria Belluno

    Orafo argentiero

    Vicenza

    Imprese manifatturiere (var.% 2002-2011) -5,2 -47,3 -42,2

    Società di capitali (var. quota % 2002-2011) +5,6 +10,2 +11,6

    KIBS (var. % 2002-2011) +35,8 +22,2 +34,2

    Fatturato soc. capitali (var. % 2006-2010) +9,6 +18,3 -18,4

    Fatturato prime 5 imprese (quota % 2010) 41,5 98,0 34,6

    Fonte: ns. elaborazioni su dati AIDA e Movimprese Una prima variabile utile per comprendere la transizione in atto nei distretti

    industriali è il numero delle imprese attive nei settori manifatturieri di riferimento di ciascun distretto. Dalla tabella 1.1 si può notare come la dinamica demografica, per quanto negativa in tutti e tre i casi esaminati (e in generale nei distretti italiani), non porti ad esprimere un giudizio omogeneo. Il distretto della Riviera del Brenta è l’unico, tra quelli considerati, che ha subito solo una leggera contrazione tra il 2002 e il 2011 (-5,2%). Il distretto dell’occhialeria e quello orafo, invece, hanno subito un forte ridimensionamento nello stesso periodo, perdendo quasi la metà

    2 Si rimanda all’appendice per una più completa descrizione della metodologia impiegata per identificare i suddetti distretti, sia a livello geografico che di specializzazione distrettuale.

    Tabella 1.1 – Un confronto tra i tre distretti analizzati

  • Interpretare la trasformazione dei distretti industriali

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    delle imprese in attività (-47,3% e -42,4% rispettivamente). Nel caso del distretto orafo, questa contrazione ha subito un’accelerazione nel 2005, ricalcando una tendenza che ha caratterizzato anche le altre imprese regionali del settore oreficeria-gioielleria. Tuttavia, se nel resto del territorio veneto questa tendenza si è poi arrestata, mantenendosi pressoché costante il numero di aziende presenti, nel distretto vicentino si è assistito ad una continua e inesorabile riduzione del numero di aziende presenti. Analogamente, la contrazione dello stock di imprese subita dal distretto bellunese nel periodo considerato è stata molto più accentuata che nel resto del territorio veneto. Si deve però notare che, mentre nel distretto orafo si è ridotto di molto anche il numero di addetti, nel distretto dell’occhiale la loro riduzione è stata molto meno accentuata, suggerendo che le grandi aziende presenti sul territorio abbiano assorbito, almeno in parte, il capitale umano fuoriuscito dalle aziende distrettuali non più in grado di stare sul mercato.

    Il dato relativo all’incidenza delle società di capitali sul totale delle aziende distrettuali arricchisce il quadro che emerge dall’analisi della dinamica demografica. In tutti i distretti considerati, le società di capitali hanno incrementato in misura significativa la loro incidenza, raggiungendo la quota massima del 42,6% nel distretto orafo. Questa incidenza è cresciuta soprattutto nei distretti che hanno subito una significativa erosione dello stock di aziende attive – i distretti orafo e dell’occhiale – suggerendo quindi che le aziende più strutturate siano quelle che hanno mediamente retto meglio alle sfide competitive dell’ultimo decennio, a scapito della componente di aziende di più piccole dimensioni. Il termine “mediamente” è d’obbligo se si pensa che in entrambi i distretti anche le società di capitali subiscono un calo non trascurabile, superiore al 20% (mentre il loro numero rimane stabile nel distretto calzaturiero).

    A fronte di una riduzione del numero di aziende manifatturiere intermedie o finali, si è registrato invece nel territorio di ciascun distretto un forte aumento di aziende specializzate in servizi ad alto valore aggiunto (KIBS), cioè aziende specializzate in design e comunicazione, servizi professionali, ICT e altri servizi a supporto dell’attività di altre aziende. Sebbene i KIBS non generino un fatturato complessivo e un numero di occupati comparabili con quelli relativi alle specializzazioni manifatturiere, è interessante rilevare come in tutti i territori analizzati il loro numero superi ormai quello delle aziende specializzate nelle produzioni distrettuali. È facile ipotizzare che questa ampia offerta di servizi abbia trovato, soprattutto nei distretti orafo e dell’occhialeria, una domanda abbastanza capiente da parte di settori diversi da quelli corrispondenti all’aggregato distrettuale. I KIBS più dinamici, inoltre, hanno cercato attivamente e trovato clienti oltre i confini del territorio distrettuale ed anche fuori regione, come dimostra una recente ricerca sui KIBS del Veneto (Bettiol et al., 2011; Bettiol et al., 2012).

    A complemento dei dati di demografia aziendale, sono state analizzate le performance economico-finanziarie delle aziende distrettuali durante il periodo 2006-2010, limitatamente alle società di capitali3. Come riportato in tabella 1.2, il fatturato generato dal distretto della calzatura del Brenta tra il 2006, anno pre-crisi e il 2010 non solo non è diminuito, ma è addirittura aumentato del 9,6%, a conferma della dinamicità del distretto e della capacità delle aziende ivi locate a

    3 L’analisi si è basata su dati AIDA, banca-dati contenente i bilanci delle prime 200.000 società di capitali italiane per fatturato, e si riferisce quindi ad una sotto-popolazione di imprese di ciascun distretto, che rappresenta tuttavia la parte decisamente più consistente quanto ad occupati, fatturato e valore aggiunto. Come si è detto prima le società di capitali hanno anche aumentato la loro incidenza sul totale delle imprese nella fase recente.

  • Capitolo 1

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    rispondere con successo alle sfide poste dal contesto competitivo globale. In particolare, diverse imprese distrettuali sono riuscite ad occupare una posizione difendibile nella global value chain, diventando il riferimento di griffes internazionali per la prototipazione e la produzione di calzature di lusso. Un aumento ancora maggiore ha caratterizzato il distretto dell’occhialeria che pure, come si è visto in precedenza, è quello che ha subito la più grave perdita in termini di imprese attive. Nel distretto bellunese, infatti, il fatturato è cresciuto del 18,6%. Il distretto orafo, invece, che si è caratterizzato per una contrazione simile della base produttiva, ha subito un crollo anche del fatturato, minore del 18,4% rispetto al valore del 2006.

    L’ultimo indice riportato in tabella 1.1 riguarda la concentrazione del fatturato nel distretto, misurata come rapporto di concentrazione in capo alle prime 5 imprese in ordine di fatturato. Si tratta di un dato di grande importanza per comprendere la struttura attuale dei distretti sapendo che la loro configurazione tradizionale è caratterizzata da una concentrazione molto bassa. Con ogni evidenza, la forte riduzione delle aziende nel distretto dell’occhialeria si associa a una concentrazione elevatissima delle risorse produttive in pochissimi soggetti: cinque aziende – a partire da Luxottica, leader mondiale del settore – assorbono da sole il 98% dell’intero fatturato distrettuale (all’esterno del distretto le prime cinque si fermano al 33%). Specularmente opposta la situazione del distretto orafo, che pure ha subito un crollo demografico simile a quello del distretto bellunese: la concentrazione non risulta elevata (il fatturato delle prime 5 aziende si colloca al di sotto della soglia del 40% del totale) se confrontata con il resto del Veneto, dove lo stesso rapporto assume un valore più che doppio grazie all’incidenza del Gruppo Morellato, una delle realtà aziendali tra le più innovative e dinamiche del Made in Italy della gioielleria. Superiore, ma non di molto, la concentrazione nel distretto brentano della calzatura, dove si è visto che la popolazione delle imprese non ha subito una pesante contrazione: le prime 5 aziende generano il 41% del fatturato totale. È interessante notare che questo valore si colloca invece decisamente al di sopra del dato settoriale nel resto del territorio veneto (19%), a segnalare una capacità differenziale dei calzaturifici di questo distretto ad intraprendere percorsi di crescita aziendale di un certo rilievo.

    1.3 Tre possibili scenari: declino, gerarchizzazione ed evoluzione

    I risultati degli studi di caso sintetizzati nella precedente sezione e illustrati nel dettaglio negli altri capitoli del presente rapporto confermano i tre modelli delineati in un precedente lavoro (De Marchi e Grandinetti, 2012) come possibili scenari di evoluzione o involuzione dei distretti industriali, almeno con riferimento a quanto è dato osservare nelle regioni nord-orientali del paese: il declino complessivo del distretto, la sua gerarchizzazione, la sua riproduzione evolutiva (tabella 1.2). Le variabili utilizzate per identificare i tre modelli sono:

    a. l’intensità del ridimensionamento numerico subito dalla popolazione delle imprese distrettuali,

    b. la presenza o meno di imprese leader e di altre organizzazioni distrettuali dinamiche sotto il profilo competitivo,

    c. il grado di tenuta del tessuto di relazioni inter-organizzative tipiche dei distretti industriali.

  • Interpretare la trasformazione dei distretti industriali

    17

    Stock

    imprese Imprese

    leader Altri attori

    dinamici Relazioni inter-

    organizzative

    Riproduzione evolutiva Contrazione Presenti Presenti Selezione

    Gerarchizzazione Crollo Presenti Assenti Esaurimento

    Declino Crollo Assenti Assenti Esaurimento

    Distretti in declino

    I distretti che sono entrati in una fase di declino stanno esaurendo il loro ciclo di vita, non perché era inevitabile che ciò accadesse (come dimostrano gli altri modelli), ma perché non dispongono della quantità, qualità e varietà di risorse in grado di invertire questa deriva. L’indicatore più evidente di una situazione di questo tipo è il vistoso calo demografico delle imprese. In parallelo con questo processo, si “sfibra” il tessuto relazionale. Inoltre, il contesto distrettuale non ospita attori dinamici, siano esse imprese leader, piccole imprese di nicchia o altri soggetti.

    Il distretto orafo vicentino è, tra i tre analizzati nel rapporto, quello che più si avvicina al modello del declino. È emblematico, al riguardo, il fatto che l’impresa italiana forse più innovativa del settore nell’ultimo decennio non è cresciuta nel distretto ma a poche decine di chilometri da esso (Cappellari e Grandinetti, 2009).

    Dal distretto alla gerarchia

    Il secondo modello condivide con il precedente il forte ridimensionamento dello stock di imprese e il venire meno della rete di relazioni inter-organizzative. Si distingue invece per la presenza di attori dinamici sul piano competitivo, ma il loro numero si limita ad alcune imprese leader, la cui rete del valore ha una forte proiezione internazionale. Il termine “gerarchizzazione” del distretto, già introdotto da Carminucci e Casucci (1997), sembra il più appropriato per identificare questo modello. Con esso si vuole cogliere la transizione da un sistema di risorse e competenze distribuite tra una pluralità di attori interdipendenti (il distretto) a un sistema di risorse e competenze concentrate in pochi attori tra loro non collegati (le imprese leader). Il modello, in definitiva, è involutivo per il distretto, ed evolutivo per le imprese leader.

    Il distretto bellunese dell’occhialeria risponde chiaramente a questo quadro descrittivo, come del resto incominciava ad emergere in alcuni studi precedenti sul distretto (Brunetti e Camuffo, 2000; Corò e Grandinetti, 2001b; Camuffo, 2003; Nassimbeni, 2003).

    Distretti in evoluzione

    I distretti si riproducono evolutivamente – ossia cambiano, ma riproducendo la forma generale del cluster – quando gli attori dinamici sono relativamente numerosi e formano un’articolata varietà; inoltre, tali attori mantengono relazioni, seppure in modo selettivo, all’interno del distretto e a volte ne allacciano di nuove. Anche i distretti in evoluzione sono necessariamente sottoposti a una forte pressione competitiva, e quindi subiscono una contrazione della popolazione di imprese, ma non nella misura vistosa dei due casi precedenti. I distretti di cui stiamo parlando li possiamo rappresentare come addensamenti locali di

    Tabella 1.2 – Modelli evolutivi (involutivi) dei distretti industriali

  • Capitolo 1

    18

    organizzazioni e relazioni inter-organizzative (local network), interconnessi estesamente attraverso relazioni inter-organizzative ad attori esterni (global network). Gli addensamenti locali sono meno “densi” che in passato, mentre è diventata più densa e variegata la rete di relazioni esterne intrattenute dagli attori distrettuali (Camuffo e Grandinetti, 2011). Nella fase attuale i distretti industriali possono dunque riprodursi come organizzazioni reticolari, ma il tessuto relazionale intra-distrettuale diventa più selettivo e rarefatto.

    Il distretto calzaturiero della Riviera del Brenta esemplifica bene il modello di riproduzione evolutiva. Ciò che colpisce in particolare è la varietà dei modelli di business seguiti dalle imprese leader e da altre imprese che si sono dimostrate particolarmente dinamiche nella fase recente, un tratto condiviso da altri distretti del Nord-Est che sembrano associare la riproduzione con il cambiamento, come lo sport system di Montebelluna (Gottardi, 2009) e il distretto delle produzioni meccaniche di Pordenone (Bortoluzzi et al., 2006).

    1.4 In conclusione

    I modelli descritti vanno letti come traiettorie verso una configurazione finale, lungo le quali i distretti (reali) si stanno muovendo. Nei casi analizzati in questo rapporto di ricerca i processi di declino, di gerarchizzazione oppure di transizione verso una nuova forma distrettuale risultano più avanzati. Ma l’importanza del tema di ricerca – il futuro dei distretti industriali veneti – induce ad allargare il campo di osservazione ad altri sistemi distrettuali, ad aumentare il numero di variabili indagate e a tenere monitorato il tutto.

    È importante ricordare che il futuro di un distretto, come di un’impresa, è innanzitutto nelle mani degli imprenditori e delle altre risorse umane che operano nelle imprese e nelle istituzioni locali. Ciò significa che il percorso che condurrebbe al declino di un distretto, con la perdita di un patrimonio importante e unico di conoscenze e competenze specifiche, può sempre essere interrotto per imboccare una strada diversa. La politica industriale può rendersi utile per favorire l’evoluzione competitiva dei distretti, assumendo un ruolo che nella loro “stagione d’oro” non era chiamata a svolgere. In quest’ottica, non si può però affermare che sia risultata di grande aiuto la logica dispersiva che ha presidiato l’applicazione della L.R. 8/2003 (come modificata dalla L.R. 6/2005) varata dalla Regione del Veneto per favorire lo sviluppo dei distretti industriali. La nuova normativa di politica industriale, in attesa di essere approvata dal Consiglio Regionale, nasce dall’insoddisfazione per i risultati raggiunti nella prima esperienza e adotta coerentemente una logica selettiva, pensando a progetti di un certo respiro capaci di aumentare le chances evolutive dei distretti industriali “veri” presenti nel territorio regionale (il cui numero è ben inferiore a quello che è stato codificato ai sensi della normativa precedente).

  • Il distretto dell’occhiale di Belluno

    19

    2. Il distretto dell’occhiale di Belluno∗

    2.1 Breve storia del distretto dell’occhiale

    L’occhialeria italiana riveste un ruolo di leadership a livello di esportazioni mondiali di occhiali da sole e montature con una quota di mercato che nel 2011 supera il 27% (ANFAO, 2012). Va evidenziato, fin da subito, che parlare di industria dell’occhialeria in Italia significa parlare del distretto dell’occhiale di Belluno, dove tale industria è nata e che rappresenta l’85% della produzione nazionale del settore, con una percentuale di export che si attesta attorno all’80% (UniCredit e Fondazione dei Distretti Italiani, 2010).

    Le origini del distretto risalgono al 1878, quando Angelo Frescura fonda a Calalzo di Cadore la prima fabbrica di occhiali. Abbastanza rapidamente si è sviluppato (tra la provincia di Belluno e l’Alto Trevigiano) un sistema produttivo capillare, specializzato in tutte le produzioni che riguardano il mondo dell’occhiale: montature da vista, occhiali da sole, minuterie per occhiali, macchinari ed attrezzature di produzione, trattamenti galvanici, astucci e lenti (Confindustria Belluno Dolomiti, 2010).

    Agli inizi degli anni ‘70 si consolidano tutte le caratteristiche tipiche dell’economia distrettuale: la crescita del numero delle imprese supera quella degli occupati e viene a crearsi quel tessuto di relazioni, cooperazioni, scambi tipici del distretto che sfrutta, come risorsa, la stretta vicinanza delle aziende e la loro specializzazione (Bramanti e Gambarotto, 2008).

    Nel corso degli anni, si sono affermati quattro gruppi industriali leader (Luxottica, Safilo, De Rigo e Marcolin) che, grazie ai propri marchi ed alla capacità di affrontare il mercato globale, sono riusciti a far crescere il distretto sfruttando al meglio il dinamismo imprenditoriale locale. Tra l’azienda grande e quella piccola c’è stata sempre cooperazione: alla piccola serviva la grande per acquisire quel know-how che ha fatto circolare la crescita, le grandi si sono sviluppate su politiche distributive autonome e orientate all’estero, che non hanno intaccato le logiche di distretto. Qui la subfornitura si è evoluta perché le aziende leader hanno tendenzialmente appaltato tutta la realizzazione del prodotto, favorendo la nascita di potenziali spin-off per la parte produttiva, ma non sicuramente per la parte commerciale. È ciò che ha segnato, e segna ancora la differenza tra il diventare grandi e il rimanere piccoli (Sopracolle Renato, 2010).

    Il distretto bellunese raggiunge l’apice del successo agli inizi degli anni ‘90. Le ragioni sono molteplici: alcune riconducibili alle caratteristiche stesse del distretto (flessibilità e cooperazione), altre dovute alla specifica situazione italiana (buon rapporto tra qualità-prezzo dovuto alla svalutazione della lira) ed altre ancora dovute alle strategie messe in campo dalle aziende (varietà dei prodotti offerti, accordi con le grandi firme della moda ed efficaci campagne pubblicitarie). In questi anni viene fondata Certottica (1992), con il ruolo di certificazione della qualità, di formazione tecnica e implementazione di nuovi processi e materiali che favoriscono la crescita tecnologica delle aziende dell’occhialeria.

    Nella seconda metà degli anni ‘90 i mercati si stabilizzano e non si ha più una

    ∗ La redazione di questo capitolo è stata curata da Gaetana Eugenia Dalmasson.

  • Capitolo 2

    20

    domanda sempre crescente. Il processo di spin-off si arresta e il modello distrettuale tradizionale entra in crisi. Le numerose aziende di subfornitura, che negli anni del boom economico erano nate per assorbire eccessi di domanda, sono le prime a registrare situazioni di sofferenza (Bramanti e Gambarotto, 2008).

    Nel 1999 si registrano cali dei fatturati particolarmente importanti: la causa non è solo la riduzione della domanda internazionale, ma anche dall’emergere di nuovi concorrenti nei paesi del sud-est asiatico, quali Cina e Taiwan. I grandi gruppi non risentono particolarmente della crisi, anzi ne trovano vantaggio. L’apertura dei mercati, infatti, permette loro di delocalizzare ricavando così profitti maggiori. Inoltre, acquistano in tutto il mondo canali di distribuzione diretta che permette loro di presidiare i mercati di sbocco. Per le PMI (Piccole e Medie Imprese) la situazione è più critica e molte si trovano costrette a chiudere. Quindi la produzione si concentra in poche imprese.

    Nonostante il ridimensionamento del numero di imprese, nel distretto sono ancora realizzate le cinque macro-fasi della produzione di occhiali: l’idealizzazione, la progettazione e lo sviluppo del prodotto finale; la fabbricazione di parti staccate dell’occhiale, di minuterie e di altri componenti, la realizzazione della fase relativa alla saldatura; la realizzazione dei trattamenti galvanici, dei rivestimenti e della verniciatura; la conclusione del processo di produzione e il montaggio finale (Patto di sviluppo del distretto, 2009-2012).

    L’intersezione con il mondo della moda ha reso i produttori di occhiali dei leader mondiali e ne ha modificato il modello di business: infatti si punta prevalentemente all’immagine e alla comunicazione. Generalmente i produttori di montature realizzano un’idea che nasce nel settore moda o dagli stilisti. Per la realizzazione dell’idea commissionata, spesso vengono coinvolti gli specialisti di fase (ad esempio per la progettazione e lo sviluppo delle componenti e minuterie). Ovviamente l’operatore di fase viene scelto sulla base di parametri legati alla qualità del prodotto e delle prestazioni tecniche e tecnologiche: ricerca sulle materie prime, trattamenti preferibilmente in collaborazione con enti di ricerca, sistemi di prototipazione rapidi e flessibilità. Quindi l’innovazione dell’azienda manifatturiera non va ricercata nel campo creativo, ma nello sviluppo tecnologico del prodotto (Confindustria Belluno Dolomiti, 2010).

    Anche il rapporto tra produzione e distribuzione si è molto modificato negli ultimi anni. La filiera distributiva può prevedere fino a tre stadi di intermediazione: il grossista che acquista dal produttore, l’agente del grossista e l’ottico. I vari passaggi comportano dei ricarichi consistenti. Oggi il ruolo del grossista si è notevolmente ridimensionato e non è più strategico. L’evoluzione della distribuzione è verso un canale a uno stadio: produttore e ottico (Esposito, 2006). Infatti, le grandi imprese hanno acquisito catene distributive estere all’ingrosso ed operano prevalentemente al dettaglio.

    Il distretto è fortemente specializzato nelle produzioni di fascia alta e medio-alta del mercato, sono compresi tutti quei prodotti legati ad una griffe o ad uno stilista e con una fascia di prezzo superiore ai 130 euro. Tale gamma di prodotto è offerta essenzialmente dalle grandi aziende leader. Sono poche le PMI che riescono ad avere nel loro portafoglio prodotti nomi rilevanti della moda, generalmente producono occhiali a marchio proprio o generici.

    Il successo dell’industria dell’occhialeria bellunese è dovuto principalmente all’export: circa l’80% della produzione è destinata ad essere esportata. Nel 2009 si è registrata una significativa riduzione delle esportazioni rispetto al 2008, dovuta alla crisi economica internazionale (Intesa Sanpaolo, 2010). In ogni caso le esportazioni risultano ancora un fattore essenziale. Il mercato di sbocco principale è l’Europa, poi seguono America, Asia e, in misura minore, Oceania e Africa.

  • Il distretto dell’occhiale di Belluno

    21

    2.2 Principali trasformazioni recenti

    All’inizio del 2000 la spaccatura tra grandi imprese ed imprese artigiane e

    terziste è diventata molto evidente. La crescente concorrenza dei paesi emergenti, in particolare la Cina, ha portato le grandi aziende leader a rivedere le loro politiche di internazionalizzazione e approvvigionamento, a discapito delle piccole e medie imprese. Per contenere i costi di produzione molti impianti industriali sono stati delocalizzati nell’Est Europa e in Asia (in particolar modo in Estremo Oriente e Cina) ed è aumentata la quota di import di materiali, componenti, occhiali semilavorati e anche occhiali finiti. Proprio per questo si assiste all’incremento del fatturato e al calo degli impiegati: le grandi aziende producono e/o acquistano componenti a minor valore aggiunto e a maggiore contenuto di manodopera fuori dal territorio distrettuale. Quindi le aziende del distretto che producevano il prodotto conto terzi, hanno dovuto velocemente rivedere le loro politiche commerciali e purtroppo molte non sono riuscite a trovare uno spazio nel nuovo mercato globale. Le piccole aziende sopravvissute sono quelle che hanno puntato alle aggregazioni e che hanno condiviso strategie d’innovazione di prodotto e di processi di commercializzazione. La delocalizzazione ha comportato anche una differenziazione tra gli imprenditori del distretto: coloro che fabbricano nel FarEst e coloro che fabbricano completamente in Italia. Tuttavia non sempre le scelte iniziali si sono rivelate vincenti, tanto che si è assistito ad una sorta di delocalizzazione di ritorno. In particolare alcune aziende (come Luxottica) hanno preferito ritornare a produrre in Italia, deluse della bassa qualità dei prodotti fabbricati all’estero (Confindustria Belluno Dolomiti, 2010). Di conseguenza, la produzione di qualità è tornata o è rimasta nel territorio, affiancata dai terzisti che offrono progettazione e servizi.

    Il distretto risulta notevolmente ridimensionato rispetto ai decenni precedenti, sia a livello di crescita produttiva che per numero di imprese: un processo di selezione e contrazione, già avviato in precedenza, che ha toccato soprattutto la fascia meno forte del mercato (PMI e imprese artigiane) e che ha determinato anche un riassorbimento di manodopera all’interno delle grandi imprese. Testimoni privilegiati sostengono che molte piccole aziende, in buona parte terziste delle grandi, hanno chiuso non solo a causa della concorrenza cinese, ma anche per problematiche legate al ricambio generazionale, visto che pochi figli hanno seguito le orme dei padri. Inizia anche ad essere segnalata scarsità di manodopera che riguarda non solo le qualifiche specializzate, ma anche quella generica. La crescita dimensionale delle leader cessa di rappresentare la crescita del distretto: si afferma infatti l’internalizzazione produttiva che vuol dire incorporazione di funzioni (o esternalizzazioni fuori dal distretto) e autosufficienza rispetto al contesto distrettuale. L’acquisizione di catene di distribuzione, avviata dalle grandi aziende alla fine degli anni ‘90, rappresenta un altro e decisivo elemento di successo perché permette di collegare il produttore al consumatore. La competitività delle diverse aziende si gioca in modo particolare su questo aspetto.

    Un’altra trasformazione recente rilevante riguarda il passaggio da un distretto prevalentemente produttivo ad un distretto più dinamico, dove il design, la prototipazione e la progettazione hanno assunto un valore dominante (UniCredit e Fondazione dei Distretti Italiani, 2010). La concezione dell’occhiale come accessorio moda ha portato da un lato il ridimensionamento del ciclo produttivo, complicando la gestione, la pianificazione e il controllo; dall’altro si passa dalla

  • Capitolo 2

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    standardizzazione alla differenziazione del prodotto. Il ruolo della griffe aumenta così tanto da oscurare, in parte o completamente, il luogo di fabbricazione e il marchio dell’azienda produttrice. Non è un caso che nel distretto si siano sviluppati un numero crescente di aziende specializzate nei settori KIBS, fornendo servizi di tipo informatico, legale e contabile, pubblicitario e di design. A queste vanno aggiunti due KIBS istituzionali quali Certottica – che fornisce principalmente servizi di certificazione della qualità del prodotto, ma è attiva anche nella formazione del personale – e Reviviscar – che offre servizi di consulenza aziendale in materia di globalizzazione e internazionalizzazione.

    L’introduzione delle politiche di griffe e le spinte economico commerciali, hanno rappresentato delle vere e proprie barriere che hanno impedito a molte PMI di penetrare i mercati. Nel complesso, il sistema distrettuale ha fatto molta fatica a reagire a questo nuovo scenario. Se in passato il sapere locale era sufficiente e il distretto poteva operare come un sistema chiuso, ora non lo è più. Vengono richieste nuove capacità: cambiare rapidamente, introdurre innovazione, imparare continuamente. La soluzione è ricorrere ad altri veicoli di apprendimento, relazionarsi con l’esterno e uscire dai confini distrettuali.

    In ogni caso le grandi imprese si affermano in tutto il mondo come leader per la produzione e l’esportazione di prodotti dell’alta moda. Riescono a sfruttare sia il territorio distrettuale, ricorrendo alle PMI che forniscono servizi di alta qualità, difficilmente reperibili altrove, che a rivolgersi all’estero per abbassare i costi e per innovare i loro prodotti sfruttando le conoscenze delle occhialerie di tutto il mondo. Le PMI, invece, non riescono a penetrare i contesti mondiali e spesso si trovarono a chiudere per mancanza di lavoro.

    Nel 2008 gli Stati Uniti sono entrati in una grave crisi creditizia che ha coinvolto sia l’Italia che il resto dell’Europa. Il distretto Bellunese dell’occhiale, già provato dalle trasformazioni degli ultimi anni, ha registrato un netto calo degli ordinativi, della produzione, delle esportazioni, dell’occupazione e del numero di imprese. La crisi ha investito indistintamente piccole, medie e grandi aziende, ma coloro che ne hanno risentito di più e che non sono ancora riuscite a risollevarsi, sono le PMI. Le grandi imprese hanno registrato una flessione del fatturato nel 2009 ma si sono riprese nel 2010 ottenendo risultati da record non solo nei fatturati, ma anche nelle quote di export.

    Oggi le aziende presenti nel distretto sembrano dividersi in quattro distinti gruppi:

    − le imprese leader che sfruttano le competenze del distretto e cooperano con una pluralità di attori. Esse usufruiscono dei servizi forniti dalle Istituzioni per introdurre innovazione di processo e di prodotto. In questi anni hanno acquisito competenze organizzative e tecnologiche verticalizzando la produzione e rinunciando, del tutto o in parte, al ricorso ai subfornitori.

    − le imprese a marchio proprio e per conto terzi che hanno, invece, utilizzato canali informali per acquisire nuove conoscenze tecniche ed organizzative. Soprattutto grazie ai rapporti con le imprese più grandi, hanno investito nel miglioramento della produzione e le loro strategie si sono concentrate sul contenimento dei costi.

    − le micro imprese e i subfornitori che sono una realtà con bassissima capacità d’innovazione, fortemente dipendenti dalle grandi e medie imprese. Queste caratteristiche si sono tradotte in incapacità di acquisire nuove competenze sia direttamente sia attraverso le Istituzioni.

    − l’ultimo gruppo è quello delle aziende di componenti specializzate ad esempio negli astucci, nella minuteria metallica di pregio, nella verniciatura

  • Il distretto dell’occhiale di Belluno

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    e nei processi galvanici. Questo insieme ha mantenuto un rapporto molto stretto con le altre imprese del distretto acquisendo informazioni e mettendosi in condizione di rispondere alle esigenze delle aziende produttrici.

    Le trasformazioni che hanno investito il distretto non sono necessariamente in antitesi con il sistema distrettuale locale. Le aziende del distretto, infatti, rappresentano ancora fulcri generatori di idee e conoscenze, ma devono essere connesse con il più ampio panorama che la globalizzazione ha ormai imposto, arricchendo informazioni e conoscenze locali con quelle presenti fuori dal distretto, anche se questo esito non è scontato. Infatti, la verticalizzazione ha decretato l’autosufficienza delle grandi imprese a discapito di quelle terziste e non tutte le PMI sembrano in grado di ritagliarsi un proprio spazio nei canali distributivi, soffocate dalle imprese leader che ormai hanno conquistato tutti i mercati, compresi quelli emergenti. Il sapere tacito, che una volta era il punto di forza del sistema distrettuale, viene oggi codificato (certificazioni e brevetti) facendo sì che la conoscenza diventi esplicita e quindi facilmente delocalizzabile. Infine molte PMI sembrano non accorgersi della necessità di cooperare tra di loro in modo da contrastare, almeno in parte, lo strapotere delle leader e per riuscire ad essere competitive anche sui mercati internazionali. Un traguardo al quale dovrebbero ambire per potersi posizionare con successo in un mercato sempre più selettivo.

    2.3 La dinamica demografica

    In questo paragrafo vengono illustrati i risultati dell’analisi sulla dinamica demografica del distretto dal 2002 al 2011. Per realizzare il seguente studio è stata utilizzata la banca dati Movimprese, che è l’analisi statistica trimestrale della nati-mortalità delle imprese condotta da InfoCamere sugli archivi di tutte le Camere di Commercio italiane4.

    Si analizzeranno in particolare gli andamenti delle aziende dell’occhialeria nei territori distrettuali e nel resto del Veneto. Inoltre quando si mette in relazione il settore dell’occhialeria nel territorio distrettuale e nel resto della regione, si considerano esclusivamente le attività core: la produzione di lenti e armature per occhiali, il trattamento e rivestimento dei metalli e la fabbricazione di componenti in plastica. Mentre quando si considera solo il distretto, oltre alle attività core, si considerano anche la fabbricazione di astucci per occhiali e di minuteria metallica. Questa distinzione perché le ultime due attività citate fuori dal territorio bellunese non sono strettamente legate alla realizzazione degli occhiali e quindi avrebbero distorto i risultati.

    2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 ∆02-11

    Distretto 684 642 544 495 464 433 434 364 356 339 -50,4%

    RdV 1.177 1.172 1.140 1.183 1.162 1.147 1.180 1.075 1.061 1.072 -8,9% Fonte: ns. elaborazione su dati Movimprese

    4 La selezione dei comuni e dei codici ATECO caratteristici del distretto è specificata in appendice.

    Tabella 2.1 – Aziende attive nel distretto dell’occhiale e nel resto del Veneto (RdV)

  • Capitolo 2

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    Fonte: ns. elaborazione su dati Movimprese

    Come si può vedere in tabella 2.1 e nel grafico 2.1, nel resto del Veneto si è avuta una diminuzione delle aziende del settore dell’occhialeria (da 1.177 nel 2002 a 1.072 nel 2011), ma in misura decisamente minore del distretto (-9% contro -50%). Il picco più consistente si è avuto nel 2009, con una perdita di circa 100 imprese. Nel distretto di Belluno le imprese attive in tutte le attività dedite alla realizzazione degli occhiali sono in costante e drastica riduzione: se nel 2002 quelle attive risultavano essere 684, nel 2011 se ne contano 339. Si è quindi registrata una perdita netta di 345 aziende corrispondente ad una diminuzione complessiva del 50,4%. Se però consideriamo anche le attività riguardanti la produzione di minuteria metallica e di astucci, la variazione percentuale è leggermente minore (-47,3%). Questo dato, pur non fornendo una visione dettagliata delle dinamiche demografiche del distretto, mette in evidenza una situazione di forte crisi che non ha mai conosciuto periodi di ripresa (solo nel 2008 il numero delle aziende attive è rimasto invariato). Il trend decrescente del numero di aziende presenta due picchi più evidenti: il primo nel 2004 (-15,3%), e il secondo nel 2009, anno in cui si verifica la riduzione maggiore (-16,1%). Proprio il 2009 è l’anno in cui il distretto risente maggiormente della crisi economica nazionale.

    La forte riduzione del numero di imprese è conseguenza diretta di una serie di fattori e di dinamiche che hanno caratterizzato il distretto dell’occhiale nell’ultimo decennio: la crescente concorrenza dei paesi emergenti, la delocalizzazione produttiva nell’Est Europa e in Asia e il processo di integrazione verticale avviato dalle aziende leader. Così la maggior parte delle aziende terziste di piccole dimensioni ha registrato una netta diminuzione del numero di ordinativi, tale da rendere assolutamente sconveniente la permanenza nel mercato. Sono riuscite a sopravvivere alla crisi solo le piccole aziende che sono state in grado di differenziare il proprio prodotto, puntando sulla creatività e sull’innovazione, e che si sono rivolte a mercati di nicchia, la cui domanda non viene totalmente soddisfatta dalle grandi leader (Sopracolle, 2010).

    Nel distretto se da un lato il numero delle imprese attive è costantemente ed irreversibilmente in diminuzione, dall’altro l’andamento del numero di occupati5 è stato caratterizzato sia da fasi decrescenti che da periodi di ripresa. Abbiamo una fase di riduzione nel 2002-2005, con una perdita di 2.460 addetti (-17,6%) che ha interessato soprattutto le piccole aziende artigiane (-54,7%). Nei due anni

    5 I dati sul numero di occupati è stato ricavato da uno studio sul distretto dell’occhialeria condotto da Intesa Sanpaolo e da fonti Confindustria Dolomiti Belluno – SIPAO.

    Grafico 2.1 – Stock imprese attive nel distretto dell’occhiale e

    nel resto del Veneto (RdV)

  • Il distretto dell’occhiale di Belluno

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    successivi, 2006 e 2007, si ha un’inversione di tendenza. L’aumento degli occupati è dovuto essenzialmente alle imprese di grandi dimensioni, mentre il numero di imprese continua a diminuire. L’incremento totale del numero di addetti in questo biennio potrebbe essere dovuto sia ad un parziale assorbimento, da parte delle aziende leader, della manodopera delle piccole imprese artigiane costrette a chiudere, sia alla maggiore domanda di addetti da parte delle grandi aziende in continua crescita. Nel periodo 2008-2010 nuovamente si hanno variazioni negative del numero di occupati che interessa tutte le tipologie di imprese, ma in misura maggiore quelle artigiane. Se si osserva l’intero periodo (2002-2010) la variazione complessiva del numero di addetti è di -20,8%, che corrisponde ad un drastico calo dei dipendenti delle aziende artigiane (da 1.700 del 2002 a 500 del 2010), a un dimezzamento di quelli delle medio-piccole e un aumento di quelli delle leader (da 8.000 del 2002 a 8.190 del 2010).

    Nel territorio bellunese la gran parte delle imprese del settore dell’occhialeria, circa l’81%, si occupa della fabbricazione di lenti e armature per occhiali. Le altre si ripartiscono in percentuali quasi uguali tra produzione di minuterie metalliche (8%), di astucci per occhiali (6%) e trattamento e rivestimento dei metalli (5%). Un numero esiguo di imprese si cura della fabbricazione di componentistica in plastica. Per tutto il periodo di riferimento queste attività hanno registrato andamenti decrescenti, fatta eccezione per i produttori di astucci che invece sono aumentati.

    Il numero di imprese che fabbricano lenti e armature per occhiali è 647 nel 2002 e si riduce a 309 nel 2011, pari a una variazione di -52,2% leggermente superiore al dato distrettuale (-47,3%). Sicuramente questa attività, essendo prevalente per il distretto, ha influenzato l’andamento della totalità delle imprese dell’occhialeria. In questi anni, infatti, sono entrate in crisi tutte quelle imprese con marchio proprio che negli anni passati erano riuscite ad ottenere buone performance grazie all’imitazione delle scelte strategiche delle grandi. I cambiamenti dell’economia globale e l’introduzione delle politiche di griffe non hanno però più permesso di sostenere i ritmi delle leader. Così si è verificata una riduzione della forza propulsiva del distretto (Confindustria Belluno Dolomiti, 2010).

    Anche le imprese specializzate nella produzione di minuteria metallica hanno presentato un forte trend decrescente per tutto il periodo, con una fase particolarmente negativa nel periodo 2003-2005. Nel complesso la diminuzione è stata vicina al livello registrato in tutto il distretto (-51,7%). Il dimezzamento del numero di imprese produttrici di minuteria metallica può essere spiegato tenendo conto del fatto che le imprese leader si appoggiano sempre meno alle piccole aziende locali per il rifornimento di componenti, preferendo rivolgersi ad aziende extra distrettuali. Inoltre bisogna considerare che queste aziende sono talmente tanto specializzate da non essere in grado di affrontare la crisi attraverso una riconversione ed un’innovazione della loro attività.

    Le aziende specializzate nella produzione di custodie e astucci per occhiali presentano un andamento del tutto particolare e diverso rispetto al trend distrettuale: esso è caratterizzato dall’alternanza tra periodi di crescita e periodi di contrazione, con una tendenza complessivamente crescente. Se all’inizio del periodo si registravano 19 aziende, nel 2011 il loro numero è salito fino a 34, con un aumento percentuale del 78,9%. Le maggiori fasi espansive si sono registrate nel 2003, nel 2005 e nel 2009, mentre si hanno delle diminuzioni nel 2004 e nel 2007. L’andamento complessivamente positivo del numero delle imprese attive nella produzione di astucci da un lato dimostra come questa attività sia solida e ben radicata nei territori distrettuali, dall’altro è indice del fatto che queste sono

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    state in grado di differenziare ed innovare il loro prodotto senza perdere così il legame con le grandi leader.

    Infine abbiamo le imprese che si occupano del trattamento e rivestimento dei metalli, sono quelle che subiscono le variazioni minori anche se complessivamente il trend risulta sempre decrescente (-28,4%). Il maggiore picco negativo si ha nell’anno più critico per il distretto, il 2009, mentre nel 2010 e 2011 si è registrata una ripresa. Una motivazione per cui la riduzione di queste imprese non è stata così drastica, può essere la criticità e l’importanza delle attività svolte per la realizzazione dell’occhiale: un esempio sono i trattamenti galvanici e la coloritura. Inoltre queste fasi produttive sono ancora delegate all’esterno dalle piccole imprese, mentre le grandi le hanno già al loro interno (Sopracolle, 2010). Quindi le piccole imprese artigiane che si occupano di singole fasi di lavorazione sono state le più colpite.

    24% 25% 27% 28% 28% 28%32% 33% 34% 34%

    36% 35%36% 35% 35% 35%

    32% 30% 30% 30%

    40% 40% 37% 37% 37%36% 35% 36% 35% 36%

    0%

    10%

    20%

    30%

    40%

    50%

    60%

    70%

    80%

    90%

    100%

    2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011Anno

    Imprese Individuali

    Società di Persone

    Società di Capitali

    Fonte: ns. elaborazione su dati Movimprese

    Andando ad analizzare la distribuzione delle aziende attive per forma giuridica si nota subito come le ditte individuali hanno registrato una perdita netta di 166 aziende, con una variazione percentuale del -53,7%. Anche le società di persone hanno subito una perdita di 152 unità, con una diminuzione percentuale maggiore (-56%). In questa categoria sono comprese tutte le imprese di medie dimensioni, che hanno dovuto affrontare le medesime difficoltà delle piccole. Le società di capitali, invece, hanno manifestato una perdita netta di 45 aziende, con il trend decrescente minore (-24,6%). Queste aziende, pur risentendo della crisi, sono comunque riuscite a mantenere un buon posizionamento nel mercato, magari attraverso quelle stesse scelte strategiche che hanno reso più difficile la ripresa delle piccole realtà distrettuali. In particolare il legame con il mondo della moda, che da una parte ha permesso loro di aumentare le esportazioni e quindi i profitti, ma dall’altra ha spostato l’attenzione sulla creazione di relazioni con i grandi stilisti nazionali ed internazionali piuttosto che con le altre aziende distrettuali.

    Nel complesso, quindi, è evidente come piccole-medie imprese e grandi imprese siano state caratterizzate negli ultimi dieci anni da percorsi nettamente diversi: un percorso di crescita e internazionalizzazione ha caratterizzato le grandi imprese, mentre un drastico e irreversibile processo di selezione ha interessato le PMI. Questo ha portato ad un cambiamento nella struttura del distretto. Come si evince dal grafico 2.2, nel 2002 le imprese individuali rappresentavano il 40% del

    Grafico 2.2 – Incidenza delle diverse forme giuridiche sul totale

    delle imprese attive nel distretto dell’occhiale

  • Il distretto dell’occhiale di Belluno

    27

    totale, le società di persone il 36% e le società di capitale il 24%. La prevalenza di imprese individuali era legata al fatto che la produzione distrettuale era ed è costituita anche da molte lavorazioni manuali e poco meccanizzate, per le quali è necessaria l’abilità e l’esperienza dei piccoli artigiani locali. Nonostante la crescente meccanizzazione ed informatizzazione del processo produttivo, la montatura per occhiali rimane un prodotto manifatturiero che richiede ancora, per una quota attorno al 60% del complessivo di lavorazione, l’intervento di accurate lavorazioni manuali (UniCredit e Federazione dei distretti italiani, 2010). Questa composizione ha subito forti variazioni nell’ultimo decennio: permane la prevalenza di imprese individuali anche se con un’incidenza minore sul totale (36%), diminuisce la quota di società di persone (30%) e aumenta il peso delle società di capitale (34%).

    Fonte: ns. elaborazione su dati Movimprese

    Passiamo ora all’analisi dei flussi del numero di iscrizioni e di cessazioni6 dal

    2002 al 2011, mostrati nel grafico 2.3. Per tutto il periodo considerato il numero di cancellazioni è nettamente superiore a quello delle nuove iscrizioni sia nel distretto che nel resto del Veneto. Se nel distretto questo gap è molto evidente, nel resto della regione è sicuramente più contenuto (nel 2008 e nel 2011 il divario è minimo). Il numero di cessate raggiunge il picco massimo nel 2009. Il numero di iscrizioni nel distretto è nettamente inferiore a quello del resto del Veneto, segno che nel resto della regione c’è molta più dinamicità. In ogni caso, nel distretto si ha mediamente nel periodo 17 imprese che nascono contro 58 aziende che chiudono. Questo dato, pur rappresentando un’ulteriore prova del momento di forte crisi dimensionale vissuto dal distretto, lascia un piccolo spiraglio di speranza. Infatti guardando l’andamento delle iscrizioni non si può affermare che esso abbia un trend decrescente, ma è piuttosto caratterizzato dall’alternanza tra aumenti e

    6 Il numero di imprese iscritte e cessate, così come emerge dalla banca dati Movimprese, non sempre fotografano in modo corretto i flussi reali di imprese nate e cessate: spesso accade che l’iscrizione di impresa sia invece solo una trasformazione giuridica di un’azienda già esistente (Mauriello, Pitingaro e Scaccabarozzi, 2012). Tuttavia questa trasformazione è, in molti casi, indice di un cambiamento sostanziale dell’impresa, il che farebbe optare per considerare questo passaggio alla stessa stregua della nascita di una nuova impresa (Furlan e Grandinetti, 2007).

    Grafico 2.3 – Numero di imprese iscritte e cessate nel distretto dell’occhiale e nel resto del Veneto (RdV)

  • Capitolo 2

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    diminuzioni. Per esempio, dal 2007 al 2009 il numero delle iscrizioni è passato da 20 a 9 (-55%), valore che si è stabilizzato negli anni successivi. Nel distretto nascono quindi nuove aziende, ma il loro numero è decisamente inferiore al resto della regione e rispetto a quello delle cessate. L’andamento del numero delle aziende cessate è leggermente decrescente (-32,5% dal 2002 al 2011), ma presenta forti oscillazioni positive e negative dal 2005 in poi. Si nota comunque che il gap presente nel 2002 tra numero di iscrizioni e numero di cessazioni si è ridotto a fine periodo.

    Fonte: ns. elaborazione su dati Movimprese

    Il grafico 2.4 mostra la serie relativa al tasso di natalità e mortalità, calcolati

    come rapporto tra le iscrizioni (cessazioni) e la popolazione di imprese attive nel corso di un anno. Il tasso di mortalità distrettuale è nettamente superiore a quello del resto del Veneto, mentre i tassi di natalità sono molto simili, anche se risulta leggermente superiore quello nel resto della regione. Anche in questo caso, la differenza tra i tassi di natalità e mortalità è molto marcata nel distretto, mentre nel resto del Veneto lo è meno.

    In particolare nel distretto il tasso di mortalità, raggiunge il picco più elevato (17,6%) nell’anno di maggiore crisi, il 2009, mentre nel 2006 registra il picco p