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PubliusPer un’Alternativa Europea
Il 25 maggio i cittadini euro-‐pei sono chiamati, per l’ottava volta, ad eleggere i propri rappresentanti al Parlamento europeo. Dalla prima elezione diretta del 1979, salutata da Willy Brandt come la nascita dell'Assemblea costituente permanente dell'Europa, e dal premio Nobel Andrej Sacha-‐rov come il trampolino di lan-‐cio della democrazia sovrana-‐zionale, il Parlamento euro-‐peo ha fatto molta strada e acquisito molti poteri. Come cerchiamo di spiegare in questo numero speciale -‐ interamente dedicato ad illu-‐strare il signiMicato e il valore del voto europeo, insieme alla storia e alle prerogative di questa assemblea sovrana-‐zionale, nonché alle sMide che la prossima legislatura dovrà affrontare -‐ l’appuntamento delle elezioni europee non deve essere scambiato per un test di politica nazionale, né
per un’occasione di protesta casuale, ma deve accompa-‐gnarsi alla presa di coscienza del bivio di fronte cui ci tro-‐viamo, in quanto cittadini europei. O riusciremo, già a partire da questo cruciale 2014, a creare gli strumenti istituzionali e politici per tra-‐sformare l’unione monetaria in una vera unione economica e politica, e quindi per co-‐struire gli Stati Uniti d’Europa coni paesi dell’eurozona; op-‐pure l’Europa intera, a partire dagli Stati più deboli come il nostro, non riuscirà ad uscire dalla crisi, verrà sempre più emarginata e non potrà più proporsi come punto di rife-‐rimento per un sistema di governo democratico sovra-‐nazionale della globalizzazio-‐ne. La battaglia all’interno dell’Unione europea sulla tra-‐sformazione dell’eurozona in una vera comunità politica è
Indice
pag.1 Editoriale Publius
pag.2 Verso l’unione politica dell’Eurozona
Nelson Belloni
pag.4-5 Le ragioni del voto europeo
Giovanni Salpietro
pag.6 Una legge elettorale uniforme per l’Europa
Francesco Pericu
pag.8 Perché Sì alla Federazione europea -‐
Perché NO all’euroscetticismo
Paolo Filippi
pag.10 E se l’Europa diventasse una federazione?
pag.12 Integrazione europea: meglio retrocedere o andare avanti?
Romina Savioni
pag.13 Qualche dato sull’ipotesi del ritorno alla Lira -‐ L’Italia può farcela da sola?
pag.14 Candidati alla Presidenza della Commissione europea
pag.15 Il Re è nudo! L’Europa ha bisogno di una vera politica estera e di difesa comuni
Davide Negri
>> fondo pag.2
SPECIALE ELEZIONI EUROPEE
Confederazione dei giornali universitari pavesi Numero 18 - Aprile/Giugno 2014
distribuzione gratuita
Giornale degli studentidell’Università di Pavia.
Informazione, riflessioni e commenti sull’Europa di oggi
e di domani
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La crisi Minanziaria ed economica che ha investito l’eurozona ha messo in luce la contraddizione di aver creato una mone-‐ta senza Stato. I governi europei più re-‐sponsabili e le stesse istituzioni europee hanno dovuto prendere coscienza del fatto che l’unione monetaria, costruita mantenendo la politica economica a li-‐vello esclusivamente nazionale, senza un budget ad hoc indispensabile per istitu-‐zionalizzare la solidarietà tra i partner e per avere risorse disponibili per politi-‐che di investimenti e di sviluppo, senza un meccanismo unico di sorveglianza delle banche e senza un fondo di salva-‐taggio europeo per il sistema bancario, senza un sistema di governo legittimato democraticamente a livello europeo, non può funzionare.E’ da questa consapevolezza che nasce il Blueprint della Commissione europea ( “Un piano per un’Unione economica e monetaria autentica e approfondita), reso pubblico il 28 novembre del 2012. Questo documento della Commissione era stato preceduto pochissime settima-‐ne prima dal cosiddetto Documento dei Quattro presidenti (Mario Draghi per la BCE, José Manuel Barroso per la Com-‐missione europea, Hermann Van Rom-‐puy per il Consiglio europeo e Jean-‐Clau-‐de Juncker per l’Eurogruppo) che aveva anticipato la stessa analisi e iniziato a porre alcuni dei problemi fondamentali per il completamento dell’unione mone-‐taria. In questo quadro, il Blueprint segna un momento di forte accelerazione nel processo di integrazione politica indi-‐cando una vera e propria road map per traghettare l’Unione monetaria attraver-‐so le cosiddette Quattro unioni (banca-‐ria, Miscale, economica e politica), neces-‐sarie per completare il progetto della moneta unica. Nel documento sono indi-‐
cate anche delle ipotesi temporali e le procedure consigliate: alcuni cambia-‐menti nel sistema europeo necessari per la realizzazione delle diverse unioni po-‐tranno infatti essere introdotti senza modiMiche dei trattai, ma le riforme più incisive avranno invece bisogno di un vero e proprio processo costituente. La prima delle quattro unioni, quella bancaria, ha iniziato subito ad essere discussa nel corso del 2013, e la prima fase, quella del meccanismo unico di sor-‐veglianza europeo, in capo alla BCE, sta già per diventare opera-‐tiva; in questo modo è stato stabilito il princi-‐pio del controllo comu-‐ne del sistema bancario che, con la creazione della moneta europea, non può più permetter-‐si di essere ancora na-‐zionale. Nel Consiglio del dicembre 2013 è stata poi discussa un’al-‐tra tappa importante, e si è trovato un accordo sulla questione (molto controversa) della mutualizza-‐zione dei rischi (in base al quale il pro-‐blema rappresentato da una banca in difMicoltà non ricade più sul paese in cui tale banca ha sede, ma viene condiviso da tutti i partner dell’eurozona); accordo sancito con la nascita del nuovo mecca-‐nismo per il salvataggio delle banche. Anche questa è una decisione cruciale, perché rappresenta la condizione neces-‐saria per trasformare l’attuale realtà frammentata del sistema bancario euro-‐peo in un insieme unitario, e perché spezza il legame tra banche e debiti so-‐vrani, che tanto ha pesato nell’approfon-‐dimento della crisi. E’ vero, al tempo stesso, che l’unione bancaria, di per sé,
da sola non basta a risolvere i problemi dell’unione monetaria, né è pensabile che possa funzionare in modo completo senza ulteriori avanzamenti immediati anche nelle altre unioni (in particolare, in assenza di un bilancio di tipo federale e un di Tesoro europeo a livello dell’eu-‐rozona); ma questo non toglie che i passi compiuti siano molto importanti e, so-‐prattutto, siano indirizzati nella giusta direzione, perché costituiscano un tra-‐sferimento di potere decisionale e di so-‐vranità, dai governi nazionali al livello
europeo, cui pochi credevano prima che fosse trovato l’accor-‐do.Il Consiglio di dicem-‐bre, inoltre, ha anche discusso dell’avvio di un sistema di accordi contrattuali recipro-‐camente concertati e dei meccanismi di solidarietà correlati nell’ambito dell’euro-‐
zona. In pratica signiMica che i paesi del-‐l’euro dovranno iniziare a concordare con i partner e con la Commissione eu-‐ropea le linee fondamentali della loro politica economica (sinora solo le politi-‐che di bilancio, ossia i “conti” dello Stato, erano sottoposti a vincoli e controlli). Questo implica che le politiche economi-‐che non saranno più prerogativa assolu-‐ta degli Stati, come è stato Minora, ma che la qualità dello sforzo per le riforme e la crescita del paese nei settori strategici sarà monitorata in comune a livello eu-‐ropeo, con possibilità di intervento e sanzioni da parte della Commissione europea nella misura in cui un paese si sottrarrà agli obiettivi comuni. In cam-‐bio, e questo è il punto maggiormente in
Verso l’unione politica dell’Eurozona
già iniziata e ha già fatto progressi im-‐portanti e decisivi. Il fatto che le elezioni europee di maggio saranno caratterizza-‐te dalla proposta, da parte delle principa-‐li famiglie dei partiti europei, di “capili-‐sta” ideali a livello europeo, che le forze politiche propongono come candidati alla Presidenza della prossima Commis-‐sione europea, con un programma politi-‐co, è un segno della forza di questo pro-‐cesso che può portare alla nascita di un vero e proprio potere politico europeo.
Il prossimo Parlamento europeo potrà, e dovrà, giocare un ruolo decisivo nel di-‐segnare la nuova architettura istituzio-‐nale e politica dell’Unione europea, al cui interno si dovranno trovare gli equilibri per convivere con l’eurozona trasforma-‐ta in una comunità politica federale.La battaglia non è facile, perché le forze della reazione che, nascoste dietro la maschera dell’euroscetticismo, mirano al mantenimento dei piccoli poteri e dei monopoli nazionali sono fortemente av-‐vantaggiate dalla difMicoltà insita nella costruzione di un nuovo sistema sovra-‐
nazionale democratico (il primo nella storia), dalla loro mancanza di senso di responsabilità, dalla facilità con cui me-‐ntono. La loro vittoria equivale alla con-‐danna della civiltà europea. I loro tam-‐buri sono tamburi di guerra. Tutti coloro che vogliono un futuro di progresso, che credono nei valori universali e nei diritti civili devono essere consapevoli della posta in gioco e della necessità di dare il proprio contributo alla battaglia per la nascita della Federazione europea.
Publius
da pag. 1
Il Blueprint indica una ve-ra e propria road map per traghettare l’Unione mo-netaria attraverso le co-siddette Quattro unioni
(bancaria, fiscale, econo-mica e politica), necessa-rie per completare il pro-getto della moneta unica.
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discussione, i paesi che dovranno affron-‐tare le riforme più complesse (come il nostro) avranno a disposizione degli in-‐centivi e dei Minanziamenti garantiti dai partner.La questione dovrebbe essere tranciata al Consiglio europeo nella ri-‐unione dell'ottobre del 2014 “nella pro-‐spettiva di giungere a un accordo com-‐plessivo su entrambi gli elementi”. Il ne-‐goziato si annuncia difMicile, perché si tratta di un passaggio in cui vengono al pettine tutte le questioni controverse che bloccano gli Stati: la paura di perdere la propria sovranità da parte dei paesi più fragili, il rischio, viceversa, che paventa-‐no i paesi del Nord di creare le condizio-‐ni per il (già più volte sperimentato) mo-‐ral hazard (gli Stati più deboli che appro-‐Mittano dell’aiuto dei paesi più solidi per evitare di fare le riforme e le buone poli-‐tiche); e poi il timore di avventurarsi in una modiMica dei trattati che in alcuni paesi deve essere sottoposta a referen-‐dum e che si teme possa sfuggire di ma-‐no (specie in Francia), le difMicoltà legate alla necessità di armonizzare il quadro dell’Unione con quello più ristretto del-‐l’eurozona nel momento in cui questa si trasformasse in un’unione economica e politica. Tuttavia, alla Mine un accordo dovrà essere trovato, perché si tratta di un passaggio che costituisce, ancora una volta, una condizione indispensabile per la sopravvivenza dell’euro. Da un lato è necessario che si creino, come chiede la Germania, dei vincoli di politica econo-‐mica capaci di far convergere gli stan-‐dard di competitività di tutti i paesi euro, anche dei più deboli. Al tempo stesso, la richie-‐sta, in particolare del precedente governo italiano (si veda a que-‐sto proposito “Impegno Italia”, il programma presentato da Letta alla vigilia del cambio di governo) e di quello francese, di creare una capacità Minanziaria autonoma dell’eurozo-‐na con la quale incenti-‐vare le economie dei paesi membri (creando quindi meccanismi di solidarietà correlati agli accordi contrattua-‐li) è altrettanto giusta, perché solo costruendo una capacità di redistribuzione a livello europeo, collegata ad un potere di inter-‐vento politico, si può spezzare il circolo vizioso dell’austerità senza crescita. Il nodo di fondo da sciogliere è quindi quello della creazione di una capacità Miscale autonoma dell’eurozona, con cui giungere ad alimentare un bilancio ag-‐
giuntivo che non sia il frutto di semplici trasferimenti da parte degli Stati (e che quindi non si traduca, come accade ora, in un meccanismo di solidarietà in ultima istanza “orizzontale”, tra Stati sovrani); ma che coinvolga direttamente i cittadini grazie all’introduzione di un’imposta europea. Il passaggio ulteriore necessa-‐rio è che i parlamentari europei dell’eu-‐rozona (nei modi che lo stesso Parlamen-‐to europeo potrà stabilire, se vorrà im-‐pegnarsi a farlo: tramite una commissio-‐ne ad hoc composta da parlamentari del-‐
l ’eurozona, oppure operando in composi-‐zione ristretta, o in base a qualche altra ipotesi analoga che potrà essere indicata), si esprimano sulle en-‐trate Miscali e sul con-‐tenuto degli “accordi”. Il problema ormai sul tappeto della creazio-‐ne di un bilancio auto-‐nomo dell’eurozona è quindi lo snodo attra-‐verso cui entrano in campo le altre “unioni” indicate dal Blueprint della Commissione, i cui tempi di prepara-‐zione ed entrata in vigore si annunciano
però necessariamente più rapidi e ravvi-‐cinati di quanto la Commissione stessa non avesse previsto. Non è un caso che in questi ultimissimi mesi si siano sussegui-‐te dichiarazioni importanti in questo senso sia della cancelliera Merkel, sia del presidente francese Hollande, sia da par-‐te di Letta quando guidava il governo (e
anche l’attuale governo sta iniziando a cogliere il tipo di sMide che attendono l’Italia per la costruzione di un sistema europeo più efMicace e più solidale); e poi da parte di importanti esponenti della Commissione europea (in particolare della vice-‐presidente Viviane Reding), da gruppi politici trasversali e think thank inMluenti, in particolare in Francia, Ger-‐mania e Belgio. Insomma, una molteplici-‐tà di prese di posizione sintomatiche del clima che si respira in Europa.Tutto questo in Italia non è invece oggeto di dibattito, non solo a livello dei mezzi di informazione ma neppure tra gli anali-‐sti politici e i centri studi. Eppure, il no-‐stro paese, che appartiene al gruppo dei fondatori e che è la terza economia del-‐l'eurozona, storicamente ha sempre avu-‐to un ruolo importante in ogni fase del processo di integrazione. Se anche oggi fosse in grado di svolgere un ruolo simile potrebbe fare molto per spostare l’ago della bilancia a favore dell'unione politi-‐ca, proprio attraverso la questione dei meccanismi di solidarietà e il problema di una Miscalità autonoma a livello della zona euro. Anche sotto questo aspetto, il segnale che i cittadini lanceranno alle elezioni europee sarà importante: mandare al prossimo Parlamento europeo individui responsabili e pronti a prendere in seria considerazione le sMide che attendono l’eurozona, sarà decisivo. Il prossimo Parlamento europeo sarà infatti deter-‐minante per la conclusione positiva di quel processo di completamento del-‐l’unione monetaria da cui dipende il fu-‐turo di tutti gli europei.
Nelson Belloni
L’unione monetaria, senza un budget ad hoc indi-
spensabile per istituziona-lizzare la solidarietà tra i partner e per avere risor-se disponibili per politiche di investimenti e di svi-
luppo, senza un meccani-smo unico di sorveglianza delle banche e senza un fondo di salvataggio eu-ropeo per il sistema ban-cario, senza un sistema di governo legittimato de-mocraticamente a livello europeo, non può funzio-
nare.
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Il Parlamento Europeo è un’istituzione composta da 766 deputati eletti nei paesi membri dell’Unione europea. Ogni Stato elegge un numero di parlamentari tenden-‐zialmente proporzionale alla propria popolazione (anche se c’è una sovra-‐rappresentanza dei paesi più piccoli).Dalla sua istituzione nel 1951 (quando era l’Assemblea parlamentare della prima Comunità europea, la CECA) all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona nel 2009, il Parlamento europeo ha visto progressivamente aumen-‐tare i propri poteri (inizialmente limitati all’approvazio-‐ne del bilancio comunitario), Qino ad acquisire il potere di codecisione in tutte le materie di competenza del-‐l’Unione, nel frattempo molto aumentate, in particolare
con la nascita del Mercato unico e dell’Unione monetaria. Oggi esso esercita in primo luogo un potere di controllo politico sulla Commissione, attraverso le interroga-‐zioni e lo strumento della mozione di censura che può portare alle dimissioni dell’intera Commissione euro-‐pea. Anche il bilancio dell’Unione deve ricevere l’approvazione da parte del Parlamento, che può eventualmen-‐te decidere di modiQicarne il contenuto, dando luogo spesso ad alcuni contrasti con il Consiglio (che è l’organo composto in modo paritetico dai rappresentanti dei governi dei paesi membri). E’ proprio il rapporto con il Consiglio a segnare la differenza tra il Parlamento Europeo e un comune parla-‐mento nazionale. Infatti il PE non gode dell’esclusività del potere legislativo; regolamenti e direttive europee, che sono i principali atti legislativi dell’Unione, sono soggetti ad un meccanismo di codecisione tra Parlamento e Consiglio. Ciò comporta una limitazione non indifferente del potere decisionale del Parlamento, che spesso deve scontarsi o è costretto alla ricerca di una mediazione col Consiglio che agisce attraverso una logica inter-‐governativa in cui spesso prevale l’interesse nazionale.Nonostante ciò il PE gioca un importante ruolo in diversi settori che toccano direttamente la vita dei cittadini europei. Temi come le politiche agricole, la tutela della concorrenza, la tutela dell’ambiente, la tutela dei diritti fondamentali o la conclusione di accordi internazionali, vedono negli organismi europei, e quindi anche nel PE, la loro principale fonte giuridica.La crisi economica che ha colpito l’Europa a partire dal 2009, ha fatto emergere un ulteriore limite del Parla-‐mento. Se la crisi infatti ha messo a forte rischio la tenuta e la stabilità dell’Eurozona, è evidente che è emersa la necessità per l’area euro di dotarsi di un corpo legislativo proprio che intervenga sulle questioni che riguar-‐dano direttamente le problematiche della moneta unica. Attualmente invece il PE non prevede distinzioni tra i parlamentari dei paesi dell’Eurozona e quelli provenienti dagli altri paesi. Ciò signiQica che rappresentanti di paesi fuori dall’euro non interessati o tendenzialmente contrari ad una maggiore integrazione politica ed eco-‐nomica dell’Eurozona godono comunque della facoltà di intervenire ed inQluenzare le decisioni sulle politiche della moneta unica. Affrontare e offrire soluzioni a questo problema sarà uno dei compiti decisivi su cui il nuovo Parlamento che uscirà dalle prossime elezioni è chiamato a pronunciarsi. E’ su questo terreno infatti che si giocherà la batta-‐glia più difQicile e più importante relativa all’avvio di un governo controllato dai cittadini e non più agli Stati, e quindi più efQicace e più democratico, della moneta unica e della politica economica. Su questa tematica il nuo-‐vo Parlamento erediterà i primi iniziali passi compiuti da quello in scadenza: recentemente, infatti, si è espres-‐sa la Commissione per gli Affari Economici e Monetari del Parlamento Europeo che ha redatto un insieme di proposte volte a far sì che dalla prossima legislatura venga data la possibilità di costituire una commissione ad hoc per l’Eurozona che quindi potrà riunirsi e decidere sulle questioni riguardanti non solo l’Euro ma anche l’Unione bancaria, il MES e il Fiscal Compact. Mandare nel prossimo Parlamento europeo forze responsabili e deputati seri, in grado di capire le sQide in gio-‐co e di dare un contributo costruttivo alla costruzione politica dell’eurozona, è una delle ragioni fondamentali per cui è importante votare in modo consapevole all’appuntamento elettorale del 25 maggio.
LE RAGIONI DEL VOTO EUROPEO -‐ 1
I POTERI DEL PARLAMENTO EUROPEO
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A gennaio l’ECOFIN, cioè il Con-‐siglio dei ministri dell’economia e della Qinanza degli Stati mem-‐bri dell’Unione europea, ha rag-‐giunto un primo accordo di base sull’Unione bancaria, meccani-‐smo che ha come scopo quello di monitorare lo stato dei bilan-‐ci delle principali banche euro-‐pee ed intervenire qualora una di queste fosse in difQicoltà o a rischio fallimento facendo si che il salvataggio non avvenga più tramite fondi degli Stati (e quindi dei cittadini) ma tramite un fondo privato Qinanziato dal-‐le stesse banche.Il metodo scelto per il raggiungimento di questo accordo, ancora non deQinitivo comunque, è stato quello del-‐la negoziazione intergovernativa tra i 28 esecutivi dell’UE, che ha visto tra l’altro diversi rallentamenti e rinvii proprio a causa delle divergenze tra governi.Sebbene un accordo di base sia stato raggiunto, il cammino per il completamento dell’Unione bancaria vede ancora un ultimo delicato passaggio, cioè il voto da parte del Parlamento europeo.Critiche trasversali all’interno del PE sono state rivolte su alcuni punti cruciali dell’accordo raggiunto dal-‐l’ECOFIN. In particolare sono due gli aspetti che maggiormente preoccupano i parlamentari europei. Da un lato non si accetta il metodo intergovernativo (che rende meno diretto il controllo delle istituzioni europee sul funzionamento dei meccanismi stabiliti dall’accordo), come osservato dalla relatrice del PPE Corien Wortmann-‐Kool e da Guy Verhofstadt, prossimo candidato alla Presidenza della Commissione Europea per i liberal-‐democratici (ALDE). Dall’altro, lasciano perplessi i tempi di creazione del fondo. Mentre la regolamen-‐tazione comune e l’attività di monitoraggio sulle banche entreranno in vigore a partire dal 2016, l’istituzione e quindi l’operatività del fondo avverrà invece solo tra dieci anni, secondo quanto prevede l’accordo del-‐l’ECOFIN. Sebbene sia stato previsto, su pressione anche italiana, un meccanismo cosiddetto “paracadute” per le banche in crisi, valido per il periodo di transizione, diversi gruppi parlamentari europei hanno chiesto che il fondo sia attivo da subito e che questo possa essere Qinanziato anche grazie a garanzie statali o al fondo salva-‐ Stati. Ri-‐guardo queste due richieste è forte l’opposizione tedesca che non intende fare in modo che soldi pubblici ser-‐vano per salvare banche private, mentre si potrebbe trovare un’intesa sulla possibilità di anticipare l’istitu-‐zione del fondo.L’ulteriore complicazione per il varo dell’Unione bancaria viene dalle elezioni europee del 25 Maggio. E’ in-‐tenzione delle diverse parti chiudere l’accordo sull’Unione bancaria prima del rinnovo dei parlamentari, quindi intorno la metà di aprile, poiché ritardare ulteriormente il negoziato signiQicherebbe ritardare tutto di un anno, con il rischio che i mercati prendano il rinvio come un segnale di debolezza e di divisione e che una nuova compagine parlamentare possa andare ad ostacolare e ritrattare quanto ottenuto Qino ad ora.Spetterà dunque al Presidente del Parlamento europeo Martin Schulz e alla Presidenza del Consiglio europeo, attualmente in mano al greco Samaras, ricercare la mediazione necessaria per concludere l’accordo entro aprile. Probabilmente è questa l’ultima grande sQida di questa legislatura del Parlamento europeo prima delle ele-‐zioni di maggio che potrebbero vedere una temuta crescita delle forze euroscettiche che rischiano di bloccare il lavoro portato avanti Qino ad ora -‐ e non solo sull’Unione bancaria.
LE RAGIONI DEL VOTO EUROPEO -‐ 2
IL PARLAMENTO EUROPEO E L’UNIONE BANCARIA
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I COMPITI DEL PROSSIMO PARLAMENTO EUROPEOUna legge elettorale uniforme per l’Europa
Lungo e travagliato è stato il percorso che ha portato allo stato attuale del Par-‐lamento europeo, sia dal punto di vista della dimensione, sia da quello delle fun-‐zioni e delle prerogative. Difatti, in prin-‐cipio, l’assemblea parlamentare europea era composta da rappresentanti dei par-‐lamenti nazionali, designati in base al peso demograMico di ogni Stato. Dunque, si trattava di un Assemblea non eletta, ma nominata. La scelta del meccanismo di delegazione era resa accettabile dal fatto che l’Assemblea parlamentare non aveva prerogative importanti. Tuttavia, con l’approfondirsi del processo di uniMi-‐cazione europea, è cresciuta anche l’esi-‐genza di una sua più forte legittimazione democratica. E’ in questa prospettiva che è maturata la decisione dell’elezione di-‐retta dei membri del Parlamento euro-‐peo: dal 1979, i parlamentari sono eletti a suffragio universale diretto. È la prima volta che a un organismo sovrannaziona-‐le viene conferita legittimazione popola-‐re attraverso la competizione democrati-‐ca. Quella del ’79 fu un’elezione storica: un’organizzazione internazionale (sep-‐pur sui generis come la Comunità euro-‐pea) acquisiva una forte legittimazione, attraverso il voto popolare. Senz’altro, è possibile affermare che questa sia stata la prima tappa di un processo costituen-‐
te, che infatti le prime due legislature hanno cercato di rappresentare. In parti-‐colare, nel corso della prima legislatura, Altiero Spinelli, attraverso il Club del Coccodrillo, ha dato una forte spinta ver-‐so un maggior grado di integrazione. Nel 1984, il Parlamento europeo ha approva-‐to una proposta di nuovo Trattato, il co-‐siddetto Progetto Spinelli, che, se non fosse stato fermato dall’opposizione dei governi (soprattutto quello inglese), avrebbe fatto compiere un salto importante al processo di integrazione euro-‐pea; e infatti è stato motore e ispirazione dei successivi avanza-‐menti verso una mag-‐giore unità.Dopo l’entrata in vigore dell’Atto unico europeo (1987) e la conseguente crescita delle funzioni e delle competen-‐ze europee, il processo di attribuire maggiori prerogative al PE, proprio in quanto unico organo legittimato demo-‐craticamente, è diventato ineludibile. Ma l’aumento dei poteri dell’Assemblea di Strasburgo ha posto al tempo stesso il problema (delicato e ineludibile in un regime democratico) di armonizzare le modalità di elezione dei suoi membri,
ancora selezionati in base a leggi eletto-‐rali stabilite dai diversi paesi. A questo proposito, nel 1992, il Trattato di Maa-‐stricht ha disposto che le elezioni doves-‐sero svolgersi con una procedura uni-‐forme adottata all’unanimità dal Consi-‐glio, su proposta del Parlamento. Va da sé che l’unanimità, in qualsiasi processo decisionale, costituisce una zavorra inso-‐stenibile, che porta alla paralisi delibera-‐
tiva. Per questa ragione, dopo il nulla di fatto dei primi anni Novanta, il successivo Trattato di Amsterdam ha intro-‐dotto alcuni principi comuni da adottare: quello della rappresen-‐tanza proporzionale e dell’incompatibilità tra il mandato nazionale e quello europeo. Si è così arrivati al Trattato di
Lisbona (attualmente in vigore) in cui vengono enunciati i principi cardine del-‐le regole per le elezioni europee e, so-‐prattutto, viene stabilita la base giuridica per inquadrare l’intervento del legislato-‐re europeo, che continua peraltro ad avere grandi difMicoltà nel partorire una procedura elettorale europea uniforme. A 35 anni dalla prima elezione da parte dei cittadini, il Parlamento europeo con-‐tinua dunque ad essere caratterizzato da questo deMicit democratico. E la prossima legislatura non potrà evitare di occupar-‐sene, anche perché si tratta di una que-‐stione che si interseca con un altro punto controverso, sollevato sin dalla prima elezione diretta del Parlamento europeo, che riguarda il deMicit di rappresentanza. Nel Parlamento europeo non vige il prin-‐cipio one man one vote, perché il numero dei membri eletti per ciascuno Stato membro è stabilito in modo da sovra-‐rappresentare i paesi più piccoli. Si trat-‐ta, anche in questo caso, di un problema non ancora risolto e che pesa in misura crescente a causa dell’approfondimento del processo di uniMicazione e della con-‐seguente attribuzione di sempre maggio-‐ri competenze a quello che è l’unico or-‐gano rappresentativo europeo; è dunque un problema che non può non essere affrontato per colmare quel gap che vi è tra demos europeo e le sue istituzioni. Inoltre, oggi, dopo che la crisi dei debiti sovrani ha portato alla nascita di stru-‐
L’aumento dei poteri del-l’Assemblea di Strasbur-
go ha posto al tempo stesso il problema di ar-monizzare le modalità di elezione dei suoi mem-bri, ancora selezionati in
base a leggi elettorali stabilite dai diversi paesi
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menti di sorveglianza multilaterale e di solidarietà (che richiedono, evidente-‐mente, un maggior controllo dei processi decisionali europei), il problema è diven-‐tato veramente ineludibile. Siamo in una situazione in cui vi è una forte asimme-‐tria nei processi decisionali: i governi nazionali hanno un mandato elettorale nazionale e sono i veri detentori del po-‐tere, ma sono di fatto im-‐mobilizzati da vincoli formali e di mercato; mentre la governance europea, che quei vincoli formali e di mercato ha creato, pur nell’interesse generale, non ha alcuna legittimazione democrati-‐ca. Dunque, diventa im-‐procrastinabile – pena la perdita di con-‐senso del progetto europeo e la sua inso-‐stenibilità nel medio-‐lungo periodo – la creazione di più solide istituzioni euro-‐pee, dotate di un maggior grado di de-‐mocraticità e di consenso popolare. Una buona cartina di tornasole è costi-‐tuita dalla Corte costituzionale tedesca, da sempre molto sensibile al tema della democrazia europea e della rappresenta-‐tività del Parlamento europeo. Non è un caso, che un aspetto importante che so-‐vente viene evidenziato riguardi proprio la mancanza di un sistema elettorale
europeo uniforme e le conseguenze che ne derivano anche sul piano della rap-‐presentatività democratica. L’approvazione di un sistema elettorale uniforme è dunque un passaggio che agevolerebbe molto il processo di uniMi-‐cazione europea. In particolare, l’istitu-‐zione di un collegio unico europeo in-‐durrebbe le formazioni politiche nazio-‐
nali a consolidare i loro legami europei. Ad oggi, questi sono di natura prettamente confederale e i partiti europei, ancora, non sono legati dalla logi-‐ca della conquista del potere a livello europeo. Inoltre, una maggiore competizione politica
europea svilupperebbe un maggior di-‐battito sui temi europei, creando un primo embrione di opinione pubblica europea. Un altro effetto sarebbe inoltre, come già si ricordava, quello di ristabili-‐re una relazione di maggiore proporzio-‐nalità tra il numero di membri eletti in ogni paesi e il numero dei relativi eletto-‐ri, ossia il ribaltamento del principio del-‐la proporzionalità regressiva che avvan-‐taggia gli Stati meno popolosi.Sebbene previsto dai trattati, i quali co-‐stituiscono la base giuridica che permet-‐te al legislatore europeo di elaborare
una normativa uniforme, l’introduzione di una legge elettorale europea è ostaco-‐lata dalla procedura speciale prevista per la sua formulazione ed entrata in vigore. L’organo deputato ad elaborare il progetto per armonizzare l’elezione dei propri membri è il Parlamento europeo stesso, ma la delibera è poi, come sem-‐pre, oggetto di ulteriore discussione in seno al Consiglio, che deve esprimersi all’unanimità. In più, la procedura è raf-‐forzata dalla necessità di ratiMica dei par-‐lamenti nazionali, il che ne rende l’ap-‐provazione molto difMicile. Nell’ultima legislatura, vi è stato un tentativo di ela-‐borare una normativa uniforme, tuttavia l’iniziativa si è subito arenata.In ultima istanza, è evidente che il pro-‐blema della rappresentanza e del raffor-‐zamento delle istituzioni europee può essere risolto pienamente solo rifor-‐mando in senso federale le istituzioni europee, trasformando il Consiglio in una seconda Camera basata sulla parità assoluta o sostanziale degli Stati e il Par-‐lamento in un’assemblea pienamente rappresentativa dei cittadini. Per quanto riguarda le funzioni delle due Camere, alla prima, ovvero a quella dei rappre-‐sentanti dei cittadini europei, è fonda-‐mentale che sia attribuita l’iniziativa legislativa e la funzione di controllo sul governo; mentre al “Senato federale” spettano compiti di controllo sui temi che riguardano gli Stati membri e le au-‐tonomie locali.Questa serie di modiMiche istituzionali fondamentali per la trasformazione in senso federale dell’Europa, sono ostaco-‐late, come si è visto, dalla procedura de-‐cisionale deMinita dai trattati. Tanto più è maggiore l’eterogeneità delle preferenze tra i vari Stati dell’Unione europea quan-‐to più risulta essere impercorribile la strada che porta alla Federazione euro-‐pea a ventotto. Per superare questo blocco l’iniziativa deve partire dall’euro-‐zona e dagli Stati che hanno intrapreso il cammino verso un’unione reciproca sempre più integrata. Ma non ci sono alternative: se l’Europa vuole superare le proprie criticità e garantire pace e pro-‐sperità deve seguire il percorso dell’uni-‐tà politica con la realizzazione di un go-‐verno democratico. L’Europa ha bisogno della democrazia: la legittimazione de-‐mocratica garantirebbe forza, capacità e strumenti per rispondere alle sMide che il presente implora. Non ci sono alternati-‐ve al compimento del processo di crea-‐zione dello Stato europeo e questo deve essere federale, perché solo con istitu-‐zioni federali, l’Europa sarà veramente democratica.
Francesco Pericu
Il deficit democratico è un problema che
deve essere affronta-to per colmare il gap tra demos europeo e
le sue istituzioni
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La crisi economica ha minato la Miducia dei cittadini nelle istitu-‐zioni e nella politica, incluse quelle europee. Quando è ini-‐ziato il processo di integrazio-‐ne, l'opinione pubblica era for-‐temente favorevole all’Europa nel nome della pace che l’uniMi-‐cazione del continente garanti-‐va, e considerava il progetto europeo come un obiettivo eminentemente politico. Gli euroscettici, ovvero coloro che non credono che l'integrazione europea sia una scelta giusta e preferiscono salvaguardare la sovranità nazionale, erano in-‐vece poco numerosi. Oggi, pur rimanendo minoritari, soprat-‐tutto quando si arriva a porre le questioni di fondo “dentro/fuori l’Europa” o “sì/no alla moneta unica”, gli euroscettici sono tuttavia in aumento, com-‐plice anche le difMicoltà che le forze eu-‐ropeiste incontrano nel difendere l’Eu-‐ropa, trasformata da tutti in capro espia-‐torio. Eppure, basta pensare ai valori che il processo europeo incarna e che contri-‐buisce in modo decisivo a preservare per il bene di tutti gli europei (dalla pace, ai diritti civili, a molti aspetti sostanziali della democrazia), e ai vantaggi econo-‐mici che derivano da un quadro conti-‐nentale intergrato sul piano economico e dall’appartenenza ad un mercato unico di oltre 500 milioni di cittadini, per capi-‐re l’importanza dell’Europa e per smontare le tesi degli euroscettici; pur nella con-‐sapevolezza che l’Unione europea è una costruzione ancora in Mieri, che il perdu-‐rare delle divisioni tra gli Stati la rende una risposta ancora insufMiciente rispetto alle sMide della globalizza-‐zione e che è indispensabile procedere rapidamente verso il completamento politico dell’unione monetaria. Il Milo conduttore delle tesi degli euroscettici è il nazionalismo, contrapposto al federali-‐smo. Una delle obbiezioni più usate per contrastare l'idea dell’unione politica europea è la differenza che esiste tra i diversi popoli nazionali. Gli euroscettici usano l’argomento, ancora molto diffuso nella cultura politica, che un popolo esi-‐ste solo in quanto si identiMica con una
nazione, mentre sarebbe impossibile creare in modo artiMiciale una nazione a livello europeo. Questa, infatti, non po-‐trebbe corrispondere ad un singolo po-‐polo europeo ma solo ad un insieme di popoli che per cultura, storia e tradizioni sono diversi tra loro. Non vedono come sia possibile far convivere e far prendere delle decisioni comuni a popoli che du-‐rante la loro storia si sono combattuti difendendo la propria identità nazionale e la propria sovranità. Né ritengono pos-‐sibile la solidarietà, intesa anche in senso
spontaneo, al di fuori dei conMini nazionali.In realtà, mitizzare la so-‐vranità nazionale, l'identità del popolo e la sua coinci-‐denza con “la nazione” è uno dei difetti del modello dello Stato nazionale. Il bisogno di creare un’identi-‐tà chiusa, da un lato serve a
cercare di proteggersi dall’esterno e ad auto-‐conservarsi, dall'altro alimenta l’odio e la paura verso ciò che non si co-‐nosce, e quindi verso lo straniero. Questo atteggiamento ha provocato numerose guerre tra cui due guerre mondiali (ri-‐cordiamoci a quali orrori abbia portato il nazismo), ed è ormai incompatibile con la democrazia: in un mondo globalizzato e sempre più interdipendente, la comu-‐nità politica, le istituzioni democratiche, la solidarietà tra cittadini, la partecipa-‐
zione e il confronto che permettono di maturare decisioni di governo devono espandersi al di sopra dei conMini nazio-‐nali. Deve essere quindi superato il con-‐cetto di nazione a favore di una convi-‐venza paciMica e civile tra i popoli, anche solo per controllare in modo legittimo i processi Minanziari, economici e produt-‐tivi che hanno dimensione mondiale. Il modello federale permette proprio di unire nella diversità ovvero di aggregare popoli di origine diversa senza compro-‐mettere la loro identità e di estendere l’orbita del governo democratico a livello sovranazionale. Un altro valido motivo per preferire l'in-‐tegrazione tra gli Stati è l'incapacità di una singola nazione di competere a livel-‐lo mondiale sia con le potenze emergenti come Cina e India e quelle sia con quelle da tempo affermate, come gli USA o la stessa Russia. Le differenze di potenziale rispetto ai paesi di dimensioni continen-‐tali sono troppo elevate, non solo per le dimensioni territoriali, che comunque spesso signiMica anche presenza di mate-‐rie prime e fonti energetiche, ma soprat-‐tutto per il numero di abitanti, e quindi di capitale umano (anche riferito al mer-‐cato). Uno dei bersagli preferito dagli euroscet-‐tici è l'unione monetaria e quindi l'euro. Spesso viene addirittura accusato di es-‐sere la causa della crisi economica attua-‐le e per questo gli euroscettici vedono
Perché Sì alla Federazione europeaPerché NO all’euroscetticismo
Deve essere supe-rato il concetto di
nazione a favore di una convivenza
pacifica e civile tra i popoli
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come soluzione della crisi il ritorno alle monete nazionali. Una delle cause di questo accostamento sarebbe il cambio (nello speciMico lira-‐euro) che è stato adottato al momento del passaggio dalla moneta nazionale a quella europea: se-‐condo gli euroscettici questo cambio era troppo alto e ha permesso un aumento dei prezzi senza però essere seguito da un aumento degli stipendi. Inoltre, l'aver unito sotto un'unica moneta differenti economie ha provocato uno squilibrio all'interno dell'eurozona per cui adesso ci troviamo ad avere due gruppi di Stati che viaggiano a velocità diverse: gli Stati del nord più ricchi e stabili e gli Stati del sud più poveri e più esposti alla crisi. Esponente di punta degli Stati del nord sarebbe la Germania, che viene demo-‐nizzata dagli euroscettici come l'arteMice dell’attuale sistema europeo, regolato in modo che i tedeschi possano sfruttarne i vantaggi e arricchirsi a scapito degli Stati del sud; la Germania viene anche accusa-‐ta di essere un paese restio ad aiutare, attraverso meccanismi di solidarietà, gli altri Stati più bisognosi. Analizzando oggettivamente cosa è ac-‐caduto in Europa e nel mondo dall'intro-‐duzione dell'euro ai giorni nostri, ci si accorge che molti degli argomenti citati sopra sono frutto di cattiva informazione e depistaggi mediatici, che fanno ricade-‐re sulla moneta unica colpe da attribuire invece alla cattiva gestione di alcuni no-‐stri politici ed a situazioni che dipendo-‐no dal quadro internazionale. La crisi economica che viviamo oggi non è la conseguenza dell'adozione della moneta unica ma ha le sue radici nello scoppio della bolla immobiliare americana avve-‐nuto nel 2008, che ha poi contagiato
l'Europa attraverso i titoli spazzatura che erano stati comprati da Stati e ban-‐che del vecchio continente. Gli Stati Uniti d'America hanno iniziato a superare la crisi con ingenti investimenti federali e stampando moneta, mentre in Europa non si è potuta attuare nessuna delle due manovre, perché non esiste un bilancio federale europeo che permette di fare politiche espansive (ossia piani di inve-‐stimenti) e perché non esiste un debito federale, ma solo debiti nazionali (ossia considerati poco afMidabili), tra cui alcuni molto ingenti, come il nostro. Sono que-‐ste le ragioni obiettive per cui la BCE non può fare le stesse manovre della Federal Reserve, anche se il suo intervento è sta-‐to comunque decisivo per calmare gli attacchi ai debiti sovrani europei. E’ eviden-‐te, in tutto questo, che la soluzione non è ritornare alle monete nazionali e ai vecchi cambi che ci penaliz-‐zerebbero ancora di più (basti pensare all'eventuale aumento del prezzo delle materie prime che importiamo o al diffe-‐rente tasso di interesse sul debito), bensì creare un governo dell'eurozona eletto democraticamente, e dotato di un pro-‐prio bilancio, in grado di poter attuare le manovre necessarie a superare la crisi. Fino a che l'euro sarà una moneta di più Stati non si potranno mai sfruttare in pieno le potenzialità di questa moneta, soprattutto, Minché le decisioni prese per migliorare l'euro e la situazione econo-‐mica dell'eurozona saranno prese al-‐l'unanimità da tutti gli Stati aderenti al-‐l'Unione europea, quindi anche da quegli stati come la Gran Bretagna che non
hanno la moneta unica.Per quanto riguarda il cambio va preci-‐sato che tutti gli Stati europei che hanno deciso di adottare l'euro hanno dovuto fare i conti con il cambio: come mai al-‐cuni paesi si sono rafforzati e altri invece no? In realtà tutti i paesi dell'eurozona hanno tratto beneMici dall'euro e in parti-‐colare quegli Stati che avevano un debito molto alto e che quindi pagavano tassi d'interesse maggiori. La differenza sta nel modo in cui i politici nazionali hanno deciso di utilizzare la fase di stabilità dei prezzi e il risparmio sugli interessi. E’ proprio da queste scelte che si è creato il divario tra Stati del nord e alcuni Stati del sud: quelli del nord hanno usato quei
soldi per avviare nuove ri-‐forme (dell’amministrazione pubblica, della legislazione sul lavoro, dell’organizza-‐zione dello Stato sociale) e nuove politiche economiche (per le infrastrutture e per creare condizioni migliori per il settore manifatturie-‐ro), che hanno accresciuto la
produttività e li hanno resi più competi-‐tivi, mentre alcuni Stati del sud, come il nostro, hanno continuato ad aumentare il debito in modo improduttivo e addirit-‐tura peggiorato i propri ritardi nel setto-‐re pubblico, in quello delle infrastruttu-‐re, ecc.. Il risultato è stato che una volta arrivata la crisi i paesi del nord erano più preparati ad affrontarla rispetto a quelli del sud.Come già detto sopra, la linea di demar-‐cazione tra europeisti ed euroscettici sta nella contrapposizione tra federalismo e nazionalismo. Nel federalismo, tutte le logiche legate all'identità e alla sovranità nazionale lasciano il posto alla possibili-‐tà di organizzare la convivenza tra popo-‐li differenti ma al tempo stesso uniti dal-‐la condivisione di un modello di società che non ha eguali nel mondo: pace, de-‐mocrazia, diritti sono solo alcuni dei va-‐lori che verrebbero garantiti dalla Fede-‐razione europea e che gli Sati nazionali non sono in grado di darci. Se oggi l'Eu-‐ropa può apparirci come una matrigna che detta le condizioni senza avere a legittimazione democratica per farlo è perché il processo di integrazione non è ancora terminato: invece di ripudiare quello che con tanta fatica è stato co-‐struito dobbiamo continuare a batterci per un’Europa unita che sia in grado di fare gli interessi di tutti, e chiedere con forza delle istituzioni europee che ci rappresentino veramente.
Paolo Filippi
Creare un gover-no dell'eurozona in grado di poter attuare le mano-
vre per uscire dalla crisi
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Con la Federazione europea gli europei potrebbero avere ancora voce in capitolo nelle questioni di portata mondiali?
Sì. Le regole del gioco delle relazioni internazionali sono cambiate, oggi il mondo non è più a misura di Stati nazionali, ma di Stati-‐continente e gli Stati europei sono impotenti se restano divisi! Gli Stati Uniti d’Europa potranno invece parlare con una voce sola e affrontare le sMide della globalizzazione: approvvigionamento energetico e idrico, conMlitti etnici e religiosi, migrazione, disuguaglianza, sostenibilità del nostro modello di sviluppo, rapporti con gli attori transnazionali. Bisogna unire l’Europa anche per unire il mondo!
La moneta unica può fare a meno di un governo economico e di uno Stato europeo alle sue spalle?
NO. Nella storia, non sono mai esistite delle monete senza uno Stato alle spalle. Questa crisi ce lo ha ricordato. Abbiamo fatto la moneta europea senza fare la federazione. Per uscire dalla crisi e scongiu-‐rare le prossime difMicoltà l'euro ha bisogno di un governo responsabile di fronte ai cittadini, un par-‐lamento veramente sovrano, un’unione bancaria in grado di supervisionare gli istituti di credito e tu-‐telare i risparmiatori: insomma bisogna fare lo Stato federale europeo. Se avessimo potuto contare su questi strumenti nel 2008, la crisi sarebbe stata meno grave. È il momento di far tesoro degli errori del passato e scegliere l’uniMicazione politica!
Posso fare qualcosa per aiutare chi propone l’idea di un’ Europa unita e politica?
Sì. Realizzare gli Stati Uniti d’Europa è un obiettivo che coinvolge tutti i cittadini europei. Il sogno di un’Europa unita, nel segno della pace e del progresso è patrimonio di tutti noi. Fare vera politica vuol dire agire e pensare, battersi ogni giorno per migliorare la realtà, dalla comunità locale alle istituzioni sovranazionali: se anche tu vuoi aiutare chi crede nell’Europa unita, impegnati a chiedere “più Europa” e a promuovere il completamento del processo di integrazione politica del continente.
All'Europa il rigore, agli Stati lo sviluppo?
NO. Viceversa, gli Stati hanno il problema di non potersi più permettere di fare debito, proprio perché non sono più credibili se non riescono a mantenere un rapporto sano tra entrate e spese; all’Europa, invece, vanno dati gli strumenti per promuovere lo sviluppo! Un piano di sviluppo efMi-‐cace può solo essere europeo – sovranazionale, dunque – e promosso con risorse comuni.Per questo un passo urgente è la creazione di un bilancio aggiuntivo dell’eurozona, Minanziato con risorse proprie a livello europeo, per avere la possibilità di Minanziare investimenti su larga scala, infrastrutture europee, beni pubblici, lavoro, welfare. Insomma, è vero il contrario: agli Stati “il rigore”, all’Europa lo sviluppo!
….e se l’Europa diventasse una federazione?Europa federale sì o no? Scopriamolo insieme!
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Si possono rendere le istituzioni europee più democratiche?
Sì. Le istituzioni elette direttamente dai cittadini devono avere poteri per tutelare gli interessi di chi li ha votati. Il Parlamento europeo oggi non svolge ancora vere funzioni di camera legislativa. Le decisioni più importanti vengono infatti prese dal Consiglio, al cui interno le relazioni tra i go-‐verni si fondano sulla difesa degli interessi nazionali. Per dare voce e risposte ai cittadini europei e tutelare i loro interessi il Parlamento europeo dovrà essere dotato di un reale potere legislativo e guidare una riforma istituzionale che renda più democratici gli organi europei e crei un vero si-‐stema di governo per l’eurozona. Per fare questo è innanzitutto necessario scegliere un Parlamen-‐to europeo composto da candidati pronti a rafforzare l’Europa e non a distruggerla: pronti a ri-‐vendicare un ruolo costituente nell’interesse dei propri concittadini!
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I politici nazionali sono sinceri quando dicono che “ce lo impone l'Europa”?
NO. Le decisioni più importanti in Europa vengono prese all’unanimità dai nostri governi. Utiliz-‐zare l’Europa come capro espiatorio permette ai politici nazionali di nascondere le loro responsa-‐bilità di fronte ai cittadini, e soprattutto sposta l’attenzione da ciò che è veramente importante: la creazione di una vera democrazia europea, con un governo eletto dai cittadini europei e in grado di fornire risposte efMicaci ai loro problemi. La politica nazionale non riesce più a fare l’interesse dei propri cittadini? La colpa non è dell’Eu-‐ropa che c’è, ma degli Stati che non vogliono completare l’unione e che così fanno pagare ai citta-‐dini il costo dell’Europa che manca ancora!
Può un bilancio per l'Eurozona creare occupazione e benessere?
Sì. Oggi l’Europa ha un bilancio troppo ridotto e non può contare su vere risorse proprie da inve-‐stire su scala europea e su una propria capacità Miscale. La creazione di un bilancio aggiuntivo spe-‐ciMico dell’Eurozona – democraticamente controllato – sarebbe un primo passo efMicace da com-‐piere. I proventi dell’imposizione di una carbon tax o di una tassa sulle transazioni Minanziarie ga-‐rantirebbero le risorse per realizzare vari obiettivi: l'assistenza agli Stati in crisi con il Minanzia-‐mento di politiche di investimento e di sostegno al reddito dei disoccupati, la realizzazione di un piano di sviluppo sostenibile per il rilancio dell'occupazione e il Minanziamento di beni pubblici
Gli europei divisi possono contare qualcosa in un mondo di potenze continentali?
NO. Nell'attuale situazione internazionale – in cui gli USA stanno lentamente perdendo il loro ruolo di leadership mondiale e in cui si stanno affacciando nuove potenze come Cina e India – solo l'Europa unita potrebbe aiutare la costruzione di un nuovo ordine internazionale multipola-‐re. Servono maggiore stabilità e più cooperazione internazionale per affrontare sMide globali co-‐me la sicurezza, l’immigrazione e l'ambiente. L'Europa potrebbe favorire il progresso economico e politico dei paesi in via di sviluppo e agire come mediatore nelle situazioni di crisi internazio-‐nale. Al momento invece gli Stati europei agiscono ancora divisi, senza avere alcun ruolo rilevan-‐te nella politica globale e subendo la concorrenza tecnologica ed economica delle grandi potenze continentali. Solo agendo uniti gli europei potranno avere un ruolo nel mondo multipolare!
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Con un unico esercito europeo si potrebbero risparmiare miliardi di euro da investire in educa-‐zione, ricerca, sviluppo e infrastrutture?
Sì. Ogni anno, tutti i paesi europei destinano parte dei propri bilanci pubblici alla difesa, spendendo miliardi di euro per conservare ventotto diversi eserciti con una limitata capacità di intervento, inca-‐paci di sostenere un’azione di leadership politica e di mobilitare rapidamente forze sufMicienti a ga-‐rantire la stabilità nelle area di tensione e conMlitto. La Federazione europea potrebbe avere a dispo-‐sizione un unico esercito europeo, garantendo sostanziali risparmi di spesa pubblica – da investire in Mini sociali a beneMicio di tutti i cittadini – ma soprattutto creando un corpo di pace veramente efMica-‐
Si può uscire dalla crisi abbandonando l'euro?
NO. Il declino italiano nasce da fattori interni ed esterni: la cattiva politica e il populismo, un'ammi-‐nistrazione pubblica inefMiciente, la troppa burocrazia, l’alta evasione Miscale e la corruzione, l’inca-‐pacità di competere con le economie emergenti e le grandi potenze continentali del mondo. L'uscita dall'euro, non solo minerebbe il progetto di un’Europa unita nel segno della pace, ma farebbe anche piombare l’Italia in un grave disastro economico. La nuova lira trasformerebbe in carta straccia i risparmi dei cittadini e gli investimenti delle imprese. Il costo delle importazioni di energia e mate-‐rie prime diventerebbe proibitivo, creando enormi problemi per la produzione industriale e i citta-‐dini. Uscire dall’euro è una follia sul piano sia economico che politico.
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Integrazione europea:Meglio retrocedere o andare avanti?
Viste le numerose voci euroscettiche che si levano in questo momento, chi sostie-‐ne di voler meno integrazione ha valuta-‐to i costi della non Europa? Conosce i beneMici e i vantaggi di azioni comuni intraprese a livello europeo in riferimen-‐to ad aree o settori speciMici? E cosa vor-‐rebbe dire rinunciarvi?Alcuni esempi: l’11 ottobre 2012 la commissione giuridica ha commissiona-‐to una relazione in prospettiva a istituire un codice europeo del diritto internazio-‐nale privato, in ambito economico, socia-‐le e di tutela dei diritti privati. Un’azione in questo senso era già stata fatta nel 1997 nel Trattato di Amsterdam negli articoli 61 e 65 e ancor prima nel 1992 per il mercato unico interno nel paragra-‐fo 2 dell’articolo 81. Visto che questi arti-‐coli non sono ancora sufMicienti, secondo il rapporto sono ancora tredici le aree non disciplinate; e questa mancanza di disciplina comune europea comporta un costo elevatissimo ogni anno per le varie attività legali (perdite economiche per contratti non onorati, non riconoscimen-‐to dello stato civile -‐ si pensi ad esempio ai matrimoni omosessuali -‐, difMicoltà a ottenere adozioni, riconoscimento di documenti di Stato, lasciti ed eredità, consulenze legali). Si trat-‐ta di ambiti importanti, soprattutto per la vita quotidiana di milioni di persone, considerando che il 3,2% della popola-‐zione europea non risiede nello Stato di nascita e che il 4% della popolazione è coinvolta in attività tran-‐sfontaliere. Queste ultime potrebbero essere di più se non ci fossero dei fatto-‐ri deterrenti, quali barrie-‐re amministrative, difMi-‐coltà di accesso ai servizi e l’incertezza in ambito legale, lingua e cultura. Se le attività economiche fossero più armonizzate si potrebbe sfruttare meglio la potenzialità di circa 5
milioni di cittadini europei e si risolve-‐rebbe molto più facilmente anche il pro-‐blema della disoccupazione, garantendo maggiore mobilità ed effettuando politi-‐che economico-‐sociali a livello europeo.Un’altra voce consistente di “spreco” legata all’assenza dell’Europa è la difesa. Il problema della sicurezza è molto senti-‐to, eppure la sicurezza internazionale è considerata competenza della NATO e non dell’Europa. Basti pensare al caso della Libia: gli Stati europei si sono divisi riguardo l’intervento, e hanno di fatto trascinato gli Stati Uniti nel conMlitto. In Europa, ogni anno le spese militari pesa-‐no attorno al 3% del PIL, mediamente, mentre negli USA sono intorno al 4%. Eppure, la differenza dei risultati tra l’Europa e gli Stati Uniti è imparagonabi-‐le. Gli europei, di fatto, non sono in grado di sostenere neanche una missione. Tut-‐to questo perché le spese e le politiche per la difesa vengono gestite a livello nazionale, senza sfruttare le economie di scala, l’incentivo degli obiettivi comuni, mantenendo la produzione di equipag-‐giamenti limitata da misure para-‐prote-‐zionistiche, con le relative ricadute anche sulla ricerca tecnico-‐scientiMico. Altro “spreco” si ha a livello energetico.
Secondo il World Economic Forum i pae-‐si europei, per quanto riguarda la com-‐petitività nel settore della Green Eco-‐nomy (rispetto alla quale si valuta anche l’intensità energetica, calcolata come il rapporto tra i consumi energetici e il PIL), sono indietro rispetto ai grandi paesi come Cina, India e Stati Uniti per-‐ché, privi di risorse proprie, gli europei dovrebbero puntare molto di più in in-‐novazione ed efMicienza. Forse è anche un fatto culturale, ma sicuramente non sarà un caso che il 70% degli investimenti nell’eolico e che il 40% per il fotovoltaico siano stati effettuati fuori dall’Europa.Un altro esempio del fatto che gli Stati nazionali investono male lo si ha nel set-‐tore della ricerca. A parità (praticamen-‐te) di spesa in percentuale rispetto al PIL l’effetto della parcellizzazione in Europa degli investimenti e dei programmi di ricerca è che l’incremento della richiesta di brevetti all’UfMicio Brevetti Europeo (EPO) nel 2011 è da attribuire soprattut-‐to al Giappone, alla Cina, alla Corea (+9,6%), agli Stati Uniti ( + 5,6%). Ger-‐mania, Francia, Svizzera, Gran Bretagna e Olanda (i migliori in Europa) complessi-‐vamente registrano un incremento delle richieste di 2,3%.
Come in campo militare, ciò è dovuto dal fatto che ogni Stato ha i propri cen-‐tri di ricerca che non sono coordinati tra loro. Capita quindi che lo stesso tipo di studio venga portato avanti da più centri, con la conseguenza che si ha uno spreco di risorse.Sembra quindi chiaro il b inomio “ coord inare uguale risparmiare”; cosa che è possibile solo grazie ad un unico potere centra-‐le in Europa. Quindi, integrazione eu-‐ropea: retrocedere o an-‐dare avanti? Non ci sono dubbi!
Romina SavioniI costi della non-‐Europa della difesa: rappresentazione gra7ica
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La decisione di uscire dall'euro è inscindibile da quella di abbandonare l'Unione europea. Una simile mossa da parte dell'Italia provocherebbe un danno così forte da metterne a rischio la sopravvivenza e quindi cree-‐rebbe il caos:
1. Il ritorno alla lira produrrebbe un effetto svalutativo immediato dei soldi nelle nostre tasche e di quel-‐lo investito in banca. Secondo un calcolo di UBS, basato sull’ipotesi che l’uscita dall’euro avvenga nelle migliori delle condizioni possibili,i cittadini di un paese a economia debole come la nostra dovrebbero sopportare un costo a persona dai 9500 agli 11500 il primo anno e tra i 3000 e i 4500 gli anni succes-‐sivi.
2. i nostri debiti continuerebbero ad essere denominati in euro e, con una lira già svalutata in partenza, i costi aumenterebbero, solo per effetto del cambio lira/euro del 40%
3. siamo un paese fortemente importatore di materie prime e di prodotti che, notoriamente, vengono contrattate in dollari o in euro. Per effetto del cambio, i nostri costi d’acquisto delle materie prime e quindi di riQlesso i prezzi di vendita dei prodotti aumenterebbero in modo esponenziale.
4. il contesto politico europeo sarebbe nostro avversario e la concorrenzialità con gli altri paesi europei e il resto del mondo aumenterebbe a nostro discapito. Per esportare dovremmo pagare tariffe o altre forme di barriera all’ingresso dei nostri prodotti nell’area euro .
5. ci sarebbe un livellamento verso il basso delle condizioni di vita e aumenterebbe la conQlittualità so-‐ciale
6. PROBABILE BANCAROTTA : lo Stato non è più in grado di pagare stipendi e pensioni e deve taglaire drasticamente tutte le spese pubbliche: sanità, trasporti, servizi....
7. Costo della bancarotta: a un default corrisponde la perdita di accesso ai mercati internazionali. Non potremmo più Qinanziarci all’estero, e così le banche, perchè veniamo considerati totalmente inafQida-‐bili
8. Vantaggi (?): secondo alcuni potremmo attuare una svalutazione competitiva che favorirebbe le no-‐stre esportazioni: ma quali prodotti esporteremmo e verso chi? Molte delle nostre imprese hanno ab-‐bandonato il nostro paese, perché è poco conveniente investire, e non tornerebbero certo a produrre da noi se non in cambio di vantaggi insostenibili per uno stato prefallimentare. Non agiremmo in una campana di vetro, facendo le nostre scelte, dovremmo fare i conti con una zona euro ostile e con gli altri paesi fortemente concorrenziali soprattutto sul costo del lavoro. Riusciremmo forse a fare con-‐correnza alla Cina, abbassando i nostri costi di produzione?
QUALCHE DATO SULL’IPOTESI DEL RITORNO ALLA LIRA
DEBITO: 132,9 %, 2076 miliardi di Euro (2° POSTO EUROZONA, Eurostat 22-‐01-‐14)DEBITO AGGREGATO di Stato, famiglie, imprese e banche: 400% del PIL
DISOCCUPAZIONE GIOVANILE sotto I 25 anni: 40%
DISOCCUPAZIONE: oltre il 12%
FABBISOGNO DELLO STATO nel 2013: più di 60 MILIARDI (Il doppio rispetto al 2012)
COMPETITIVITA’: 49° POSTO NEL MONDO
CRESCITA nel decennio 2000-‐2010: penultimo posto (prima di Haiti)EXPORT ITALIANO 2013: positivo +3,1 m.di di Euro
L’ITALIA PUO’ FARCELA DA SOLA?
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Il club del coccodrilloIl Parlamento europeo eletto a suffragio universale ha dovuto affrontare numerose sMide, spesso non riuscendo a legittimare il mandato che i cittadini europei gli hanno afMidato.Altiero Spinelli ha dimostrato che è possibile utilizzare l’As-‐semblea parlamentare europea come luogo dove si possa fare Politica. Dalla nascita del “Club del Coccodrillo” all’approva-‐zione parlamentare del Progetto Spinelli, emerge chiaramente la statura politica del padre spirituale dell’Europa. Emerge la sua grande capacità di trasformare le proprie idee in azione politica. All’indomani dell’approvazione del bilancio del 1981, Altiero Spinelli ha dato vita al “Club del Coccodrillo”, un grup-‐po informale di parlamentari europei con cui ragionare insie-‐me sul futuro dell’Europa, nella prospettiva di riformare or-‐ganicamente la struttura istituzionale della Comunità euro-‐pea.Per Spinelli era fondamentale individuare un nuovo luogo in cui poter riMlettere su come utilizzare l’Assemblea costituente permanente per creare la Federazione europea. Già negli anni passati, aveva intuito lo straordinario potenziale del PE per la costruzione della democrazia sovrannazionale e nel momento in cui questa avesse conquistato una legittimazione popolare, non poteva perdere l’occasione di renderla protagonista.L’elezione diretta era del tutto coerente con la sua personale strategia e il Club del Coccodrillo è stato un fantastico assist servito ai gruppi parlamentari. Finalmente, si consegnava alle mani del Parlamento europeo quel mandato costituente, fon-‐
damentale nell’idea di Spinelli. Attraverso una commissione ad hoc, si sarebbe ridisegnata l’architettura istituzionale del-‐l’Europa politica.
Il 9 luglio 1980, nel ristorante “Le Crocodrile”, alla prima riunione del gruppo erano presenti in otto, più Spinelli. Vi erano due laburisti, quattro cristiano-‐democratici, un libe-‐rale, un comunista e il federalista che coordinava. Nel settem-‐bre ’80, erano diventati già diciannove i sostenitori del gruppo federalista. Il 7 luglio 1981, giorno in cui Spinelli presentò la risoluzione del Club, i Mirmatari erano 180. Una coalizione tra-‐sversale che reclamava al Parlamento il mandato di redigere un nuovo progetto istituzionale per l’Europa, che venne poi assegnato alla Commissione ad hoc con un voto favorevole, come dai federalisti sostenuto. Furono necessari tre anni per vedere approvato il “Progetto Spinelli”, ma alla Mine il Parlamento approvò. Una piccola vit-‐toria per il leader federalista e i suoi seguaci, ma breve. Per la riforma dei Trattati, i governi convocarono una Conferenza intergovernativa, con cui si piegarono alla logica nazionalisti-‐ca rosicchiando Mino all’osso il progetto di Altiero, ma facendo comunque fare all’Europa un’ulteriore passo verso la comple-‐ta unità politica (fu da lì che nacque infatti la spinta per con-‐cretizzare il progetto del mercato unico, attraverso l’approva-‐zione del cosiddetto Atto unico).Ora, più che mai, all’Europa serve un nuovo Altiero Spinelli.
Ska Keller -‐ Josè Bovè Jean-‐Claude Juncker Martin Schulz Alexis Tsipras Guy VerhofstadtVerdi PPE PSE Sinistra Radicale ADLE (liberali)
Eurodepu ta ta da l 2009, Jose Bovè, in-‐tende prendere il po-‐sto di Daniel Cohn-‐Bendit, che terminerà il suo quarto mandato al PE. Josè Bovè, 60 anni si è contraddi-‐stinto per la sua lot-‐ta contro le lobbies (in part icolare quel le agroalimentari e del tabacco). Franziska (“Ska”) Keller, 32 anni, rappresenta l'inten-‐zione del partito di rinnovarsi. Nata nella RDA, specializzata nelle questioni migra-‐torie, è un astro na-‐scente di Die Grunen, i verdi tedeschi.
La destra ha scelto come capolista un ve-‐terano, sebbene non ancora sessanten-‐ne, della "battaglia europea". Il suo nome Migura tra i Mirmatari dei trattati di Maa-‐stricht ed è stato in quasi tutti i Consigli europei di questi ul-‐timi anni. Cristiano-‐socialista, sulla que-‐stione greca si è con-‐trapposto alle propo-‐ste più intransigenti avanzate dalla Ger-‐mania e conta di rap-‐presentare il nuovo mode l lo de l PPE : l'economia sociale di mercato.
Si deve in gran parte a Schulz se tutte le ag-‐gregazioni dei partiti europei hanno pre-‐sentato un loro candi-‐dato per la Presidenza della Commissione. Eletto (per l'SPD) al PE dal 1994, di cui è l'attuale Presidente, è stato il primo ad apri-‐re la campagna eletto-‐rale per le elezioni europee, facendo co-‐noscere le posizioni del PSE nei Paesi eu-‐ropei attraverso even-‐ti pubblici. Il suo prin-‐cipale problema, in caso di vittoria, sarà non farsi sbarrare la strada dalla Merkel.
Tsipras è diventato il principale esponen-‐te della lotta alla Troi-‐ka (Commissione di Bruxelles, banca cen-‐trale europea, fondo monetario internazio-‐nale). I severi piani di ristrutturazione im-‐posti alla Grecia han-‐no fatto di Syriza la seconda forza politica del paese. Il suo diri-‐gente di 39 anni si è trasformato nel porta-‐voce di sinistra degli oppositori alle politi-‐che di austerità e viaggia per le capitali europee per affermare che un'altra Europa è possibile.
Guy Verhofstad sogna di realizzare gli Stati Uniti d'Europa, difen-‐dendo con vigore i meriti del federalismo e non risparmiando critiche sulla gestione della crisi della zona euro da pa r t e d i Bruxelles. Un'importante questione per l'Al-‐leanza dei democratici e dei liberali per l'Eu-‐ropa (ADLE) è rivol-‐gersi agli euroscettici, soprattutto quelli bri-‐tannici. Per quanto riguarda la Presidenza della Commissione europea spera di in-‐trecciare alleanze coi Socialiste e i Verdi.
Uno sguardo ai candidati alla Presidenza della Commissione Europea
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Chi avrebbe mai immaginato che lo stral-‐cio degli accordi di libero commercio con l’Unione europea da parte del governo di Yanukovich, ci avrebbe condotto ad una crisi politica internazionale tra Russia da una parte e USA ed Europa dall’altra, rievocando scenari da Guerra fredda? L’incertezza sul futuro dell’Ucraina è totale e molto dipende dalle future mos-‐se della Russia di Putin e dagli USA di Obama. In questi giorni l’apice della crisi appare essere l’annessione della Crimea (territorio strategico per le basi navali militari russe) attraverso un referendum. Le conseguenze di questo gesto politico possono innescare un fenomeno di bal-‐canizzazione con esiti molto drammatici. Sarajevo docet. Nella crisi di Kiev l’Unione europea sta giocando una partita in cui “si considera” un giocatore alla pari con la Russia, come se entrambi fossero due attori politici mondiali dello stesso peso politico. In realtà è emerso con chiarezza (un’altra volta!) che il “re è nudo”: in questa parti-‐ta l’Unione europea c’è solo di nome ma non di fatto, perché dietro alla voce (e alla poltrona) dell’Alto rappresentante per la politica estera europea non esiste una compagine politica per far valere la posizione e il ruolo dell’Unione europea; soprattutto a fronte di un avversario co-‐me la Russia che, nonostante i numeri sfavorevoli in termini di forza economica e demograMica, dispone di mezzi di pres-‐sione in politica estera (dalle materie prime alla forza militare) inMinitamente
superiori a quelli europei. Basti pensare al ricatto energetico durante l’inverno, o alla possibilità di concedere prestiti in quantità e qualità imparagonabili per sostenere la crisi economica ucraina; oppure, inMine, alla possibilità di inter-‐vento armato, ufMiciale e non, nel caso che la situazione a Kiev precipitasse.L’Ucraina è l’ennesimo banco di prova – dopo le crisi in Egitto, Libia e Siria – del-‐l’inconsistenza della Politica estera e di sicurezza comune (PESC) così come de-‐Minita dal Trattato di Lisbona. La ragione vera è dovuta al fatto che l’Unione euro-‐pea non è uno Stato fe-‐derale come gli USA, bensì una confederazio-‐ne (benché dotata di embrionali poteri fede-‐rali quali la moneta e la banca centrale). La poli-‐tica estera è la deMinizio-‐ne delle priorità e degli interessi di ciascun pae-‐se nell'ambito delle relazioni che i go-‐verni dei vari Stati della comunità inter-‐nazionale intrattengono tra di loro. Ogni Stato deMinisce la propria politica estera con l’obiettivo dichiarato di garantire al proprio popolo le condizioni di sicurezza necessarie al perseguimento del proprio progresso economico e sociale. Nel caso della crisi in Ucraina, l’interesse europeo consisterebbe nel poter contare su un vicino stabile, democratico e liberale, rispettoso dei diritti umani, aperto al-‐l’Europa e in grado di non subire l’in-‐
Mluenza quasi imperialista della vicina Russia, che la ricatta per la sua dipen-‐denza energetica e la seduce con genero-‐si prestiti. Un paese, al tempo stesso, ca-‐pace di fare da ponte tra l’Europa e Mo-‐sca. Oggi, l’Unione europea, con gli stru-‐menti di cui dispone, non è in grado di promuovere un passaggio dell’Ucraina verso questa direzione, e, al contrario, si ritrova impotente e confusa tra le due fazioni in lotta.Eppure, in Europa, da decenni vari Stati membri hanno creato una comunità di destino, integrandosi e avviando forme
di solidarietà concreta; hanno, di fatto, uniMicato le proprie economie alla ricerca di un nuovo spa-‐zio sociale ed economico in grado di dare benesse-‐re e opportunità maggiori ai popoli europei. Ciò ha portato di fatto ad un graduale spostamento
degli interessi da proteggere: non più i singoli interessi nazionali ma i comuni interessi europei. Però questi interessi ricevono poca o nessuna difesa dalle isti-‐tuzioni europee all’estero perché le isti-‐tuzioni non possiedono né il potere di assumere impegni di responsabilità in nome e per conto dei cittadini europei né il potere amministrativo di realizzarla (arrivando a costituire delle inutili dupli-‐cazioni tra diplomatici Ue e diplomatici nazionali). Non basta creare un Alto rap-‐presentante e un corpo diplomatico per
Il Re è nudo! L’Europa ha bisogno di una vera politica estera e di difesa comuni
L’Ucraina è l’ennesimo banco di prova – dopo le crisi in Egitto, Libia e Siria – dell’inconsisten-za della Politica estera e di sicurezza comune
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Publius - Per un’alternativa europeaNumero 18 - Speciale Elezioni europee - Aprile/Giugno 2014
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Direttore responsabile: Giacomo GanzuRedazione: Nelson Belloni, Federico Butti, Laura Filippi, Paolo Filippi, Giacomo Ganzu, Luca Lionello, Maria Vittoria Lochi, Ga-briele Mascherpa, Laura Massocchi, Davide Negri, Carlo Maria Palermo, Francesco Pericu, Elena Passerella, Giovanni Salpietro, Giulio Saputo, Romina Savioni, Giulia Spiaggi, Bianca Viscardi, Francesco Violi, Gabriele Volpi.Stampato presso: Tipografia P.I.M.E Editrice S.r.l
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Periodico trimestrale degli studenti dell’Università di Pavia. Informazioni, riflessioni e commenti sull’Europa di oggi e di domani.Registrazione n. 705 del Registro della Stampa Periodica - Autorizzazione del tribu-nale di Pavia del 19 Maggio 2009
Iniziativa realizzata con il contributo concesso dalla Commissione Permanente Studenti dell’Università di Pavia nell'ambito del programma per la promozione delle attività culturali e ricreative degli studentiDistribuito con licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic.
avere una politica estera degna di questo nome, dato che questo è solo la facciata della politica estera: quello che serve è trasferire il potere democratico (e quindi responsabile e controllato da un Parla-‐mento) di deMinizione della politica este-‐ra. È qui il nodo gordiano che non hanno ancora sciolto i governi europei con un atto di coraggio: trasferire il potere so-‐vrano degli Stati nazionali in politica estera all’Unione europea (anche se al momento questa ipotesi è realizzabile solo nel quadro degli Stati membri del-‐l’eurozona dove gli interessi economici e sociali sono maggiormente integrati) per difendere così i suoi cittadini e i suoi valori di libertà, uguaglianza e solidarie-‐tà nei confronti di tutte le minacce esterne, presenti e future. Senza questo trasferimento di poteri, reso certo e irre-‐trattabile dalla redazione e approvazio-‐ne di una Carta costituzionale, è impos-‐sibile per l’Unione europea agire nel con-‐testo ucraino perché la politica estera europea è in realtà la sommatoria delle 28 politiche estere degli Stati membri. Infatti per agire l’Alto rappresentante deve prima convocare un Consiglio dei 28 ministri degli este-‐ri europei, per trovare una posizione comune e unanime, e ciò per-‐ché il vero potere in politica estera è anco-‐ra in mano agli Stati membri , anche se condizionato dalla cooperazione e dai vincoli del Trattato di Lisbona. Un simile discorso va realizzato anche per il setto-‐re della difesa e della sicurezza. Politica estera e politica di difesa sono facce del-‐la stessa medaglia: con la prima, lo Stato
sceglie e deMinisce le sue priorità in rela-‐zione con gli altri Stati, mentre la secon-‐da è lo strumento di ultima istanza per far valere le proprie ragioni e priorità fuori dei propri conMini. Anche in questo settore i progressi compiuti dall’Unione europea sono stati scarsi, nonostante i tanti proclami per realizzare una difesa europea: la difesa deve esserlo in senso
militare e non solamen-‐te civile e deve assolvere anche al compito di con-‐trollo del territorio e non essere solo motivo di razionalizzazione de-‐gli armamenti per esi-‐genze di bilancio; e deve essere europea, ossia indipendente e non su-‐
bordinata, attraverso la NATO, agli USA per le decisioni strategiche e sugli ar-‐mamenti da acquistare (il caso più noto è l’acquisto italiano di F 35, aereo di produzione americana in luogo dell’Eu-‐
roMighter). Potrebbe valer la pena di cita-‐re Robert Cooper, ex-‐consigliere del Primo ministro Tony Blair, che ricorda come la difesa europea non può essere garantita per sempre dagli americani: “è estremamente grave che 500 milioni di europei si afMidano a 315 milioni di ame-‐ricani per essere difesi. La difesa gratuita non esiste. Nessuno sa esattamente co-‐me e quando, ma ad un certo momento gli europei si troveranno a dover pagare per questa soluzione”. Il riMiuto dell’indipendenza porta alla dipendenza, il riMiuto del potere porta ad essere impotenti. La nostra prima occa-‐sione sono le elezioni europee: possiamo scegliere di smettere di essere miopi, ed iniziare a prenderci cura della nostra parte di mondo votando il partito che meglio rispecchia l’esigenza e l’urgenza di cambiamento delle istituzioni europee in senso federale.
Davide Negri
Quello che serve è tra-sferire il potere democra-tico (e quindi responsabi-
le e controllato da un Parlamento) di definizio-ne della politica estera