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Natural.Tex Le fibre naturali nella filiera tessile toscana Docup Ob. 2 Anni 2000-2006 - Azione 1.7.1

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Natural.Tex Le fibre naturali nella filiera tessile toscana

Docup Ob. 2 Anni 2000-2006 - Azione 1.7.1

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Natural.Tex – Le fibre vegetali nella filiera tessile toscana

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La pubblicazione fa parte dei risultati di un progetto finanziato dall’Amministrazione regionale sui Fondi Docup ob.2, anni 2000-2006.

La Regione Toscana non è responsabile dei testi e di quant’altro inserito dagli autori e curatori nella presente pubblicazione. Pubblicazione collegata alla Collana: RICERCA TRASFERIMENTO INNOVAZIONE Settore delle politiche regionali dell’innovazione e della ricerca Dirigente responsabile: Simone Sorbi Regione Toscana Giunta regionale Tiratura copie 1000 Distribuzione gratuita Mese e anno di pubblicazione settembre 2006

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INDICE

1 PREFAZIONE Pag. 5 2 INTRODUZIONE Pag. 7 2.1 Il progetto Natural.Tex Pag. 7 2.2 Gli obiettivi del progetto Pag. 7 2.3 La rete e il gruppo di lavoro Pag. 7 3 L'ABBIGLIAMENTO NATURALE: IL CONSUMATORE E GLI OPERATORI DEL SETTORE Pag. 9 3.1 Definizione di abbigliamento naturale Pag. 9 3.2 La metodologia d’indagine Pag. 9

3.2.1 L’indagine sul consumatore Pag. 9 3.2.2 L’indagine sugli operatori di settore Pag. 10

3.3 I risultati Pag. 10 3.3.1 I consumatori: una domanda matura e consapevole Pag. 10 3.3.2 Gli operatori: una nicchia appetibile a condizione che.. Pag. 17

3.3.2.1 Gli imprenditori tessili (Focus Group 1) Pag. 17 3.3.2.2 Gli imprenditori dell’abbigliamento (Focus Group 2) Pag. 18

3.4 In conclusione: un’offerta ad elevata differenziazione Pag. 20 4 LA FILIERA DELLE FIBRE TESSILI DI ORIGINE VEGETALE Pag. 21 4.1 Le fibre tessili oggi Pag. 22 4.2 La coltivazione di piante da fibra nella UE e in Italia Pag. 23 4.3 Aspetti tecnico-economici della coltivazione delle principali piante da

fibra Pag. 24 4.3.1 Lino (Linum usitatissimum) Pag. 25 4.3.2 L’ortica da fibra (Urtica Dioica) Pag. 29 4.3.3 La ginestra da fibra (Spartium Junceum) Pag. 33 4.3.4 La canapa da fibra (Cannabis Sativa) Pag. 36

4.4 Confronti economici-colturali fra le colture da fibra considerate Pag. 43 4.5 Aspetti ambientali delle piante da fibra Pag. 45 5 ASPETTI TECNICO-ECONOMICI DELLA LAVORAZIONE DELLE FIBRE NATURALI VEGETALI Pag. 47 5.1 Dalla paglia alla fibra Pag. 47 5.2 La macerazione Pag. 47 5.3 La stigliatura e pettinatura Pag. 49 5.4 La filatura Pag. 53

5.4.1 La filatura cotoniera Pag. 53 5.4.2 La filatura liniera Pag. 54

5.4.2.1 Filatura del lino lungo tiglio Pag. 54 5.4.2.2 La filatura della stoppa Pag. 56

5.4.3 La filatura della canapa Pag. 57 5.4.3.1 La cotonizzazione Pag. 57

5.4.4 Ortica e fibre liberiane in genere Pag. 58

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5.5 Elementi di criticita’ Pag. 58 5.5.1 Dal campo al filato Pag. 58 5.5.2 Costi: rapporto qualità prezzo Pag. 59 5.5.3 La qualità del prodotto e controllo della difettosità Pag. 59 5.5.4 La risposta del mercato Pag. 60

6 ANALISI “SWOT” DELLE PIANTE DA FIBRA Pag. 61 7 ANALISI DELLA VOCAZIONALITÀ DEL TERRITORIO TOSCANO ALLA COLTIVAZIONE DI PIANTE DA FIBRA Pag. 63 7.1 Definizione delle unità di paesaggio Pag. 63 7.2 Indici calcolati per la suitability Pag. 63 7.3 Analisi statistiche per coltura Pag. 65 7.4 Analisi statistiche per provincia e per coltura Pag. 65 7.5 Analisi del comparto agricolo pratese Pag. 66 8 LE IMPRESE DELLA FILIERA E LE FIBRE NATURALI Pag. 71 8.1 Gli imprenditori agricoli Pag. 71 8.2 Gli imprenditori artigiani tessili Pag. 72 9 LA PROPOSTA DEI COLORANTI NATURALI Pag. 79 9.1 I coloranti naturali Pag. 79 9.2 Prospettive attuali dell'uso nell'industria tessile dei coloranti naturali Pag. 82 10 CONCLUSIONI Pag. 85 11 APPENDICE E BIBLIOGRAFIA Pag. 89 11.1 Estratto dei focus group Pag. 89

11.1.1 Focus group 1 – Imprenditori tessili Pag. 89 11.1.2 Focus group 2 – Imprenditori dell’abbigliamento Pag. 92

11.2 Riferimenti bibliografici e siti internet consultati Pag. 95

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1 PREFAZIONE A cura di Simone Sorbi Responsabile del Settore politiche regionali dell’innovazione e della ricerca Direzione generale dello sviluppo economico - Regione Toscana Incremento di conoscenza, innovazione, ricerca e trasferimento al sistema produttivo sono alla base del modello di sviluppo perseguito dalla nostra Regione, che richiede l’espansione di un articolato quadro di collaborazioni e relazioni tra diversi soggetti, attori dei processi innovativi toscani. E’ infatti necessario rendere il sistema produttivo sempre più cosciente della necessità di creare reti che siano in grado di realizzare sinergie tra competenze diverse, in modo da rispondere adeguatamente alle necessità del periodo presente. Le reti devono, inoltre, e possono, essere il luogo immateriale per la messa a fuoco dei punti di forza e di debolezza del sistema produttivo, dei suoi bisogni e aspettative; “luogo” d’elaborazione di possibili strategie e metodologie operative che sappiano riflettersi su una creatività d’impresa, o innovazione, che in modo sempre più evidente appare fondamentale in questo periodo storico. Attraverso il bando dal DoCUP. Ob.2 anni 2000 – 2006, Azione 1.7.1. “Reti per il trasferimento tecnologico” prevista dalla Misura 1.7 “Trasferimento dell’innovazione alle P.M.I.", la Regione Toscana ha inteso appunto promuovere la creazione e il consolidamento di reti di imprese, organismi di ricerca, centri di servizio e istituzioni pubbliche per lo sviluppo di attività di trasferimento tecnologico e di diffusione dell'innovazione, negli ambiti nei quali la regione dispone di un significativo potenziale di ricerca e di sviluppo industriale; in modo che sia anche possibile sfruttare le opportunità offerte da progetti/programmi europei e nazionali, allo scopo di accrescere la competitività e la capacità operativa degli attori regionali. Alla luce delle eccellenze scientifiche e delle competenze produttive che il nostro territorio regionale esprime, sono stati dunque individuati otto settori nei quali si evidenzia l’importanza dell’innovazione tecnologica e della comunicazione per le imprese, unitamente alla sicurezza di processo e di prodotto per il consumatore finale, in ogni sua possibile articolazione: ICT per la modellistica, il design ed il manufactural processing; applicazioni micrometriche e nanometriche; nuovi materiali; sistemi optoelettronici; meccanica avanzata e robotica; sistemi di navigazione ed infomobilità; reti telematiche fisse/mobili, trasmissioni dati, servizi ed applicazioni informatiche; ICT per le scienze della vita. I vari progetti approvati possono dare un loro contributo per rispondere all'esigenza, presentata nella Misura, di incrementare l'efficienza e la qualità dei processi produttivi e di commercializzazione, cercando di elevare gli standard di qualità dei prodotti e il loro contenuto innovativo, cercando così di sviluppare aree di competenze e di eccellenze tecnologiche con le quali rilanciare i settori tradizionali e dare ulteriore impulso ai settori innovativi del sistema Toscana.

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2 INTRODUZIONE 2.1 Il progetto Natural.Tex Negli ultimi anni è stata riscontrata una crescita della domanda di prodotti “naturali” o a “basso impatto ambientale” (biodegradabili, riciclabili, non depauperanti) che ha riportato l’attenzione anche sul settore delle fibre naturali di origine vegetale differenti dal cotone, la cui coltivazione è considerata depauperante e per la quale si usano enormi quantitativi di fitofarmaci. Nel settore tessile, a parte il lino che da sempre è considerato il tessuto estivo per eccellenza, sono comparsi o ricomparsi filati e tessuti a base di canapa, bambù, soia, juta, ortica, ecc. Visitando l’ultima edizione estiva di Pitti Uomo, la fiera mondiale al vertice per l’abbigliamento maschile, era impossibile non notare i capi in lino, praticamente onnipresenti. Fra i numerosi espositori due in particolare però evidenziavano l’uso di altre fibre vegetali: Hemp Hoodlamb, un’azienda olandese che produce solo capi a base di canapa, e Bishu Bou, un’azienda giapponese molto esclusiva che utilizza solo bambù e washi. Due altre aziende, Simple e la American Apparel, entrambe americane, cercavano di richiamare l’attenzione presentando nuove linee di abbigliamento con materiali “naturali” (cotone organico, juta, bambù) o riciclati (sughero, gomma), mentre la britannica DAKS proponeva una giacca con tessuto 50% lino – 50% canapa, quest’ultimo “Made in Italy” dalla Crespi. 2.2 Gli obiettivi del progetto Il principale obiettivo del progetto “Natural.tex” era di costruire le basi per sostenere progetti di ricerca e innovazione al fine di fronteggiare le sfide della globalizzazione, sperimentando nuove metodologie per avvantaggiarsi delle opportunità tecnologiche e di mercato finalizzate a trasferimenti tecnologici (TT) in due settori tipici dell’economia toscana come quello agricolo e tessile. Infatti la costituzione di una rete di soggetti che comprendeva imprese della filiera agricola e tessile e le loro associazioni di rappresentanza, un organismo pubblico di ricerca, province e comuni dei territori interessati aveva l’ambizione di incrementare il valore competitivo delle eccellenze di ciascuna filiera, facendo del legame con il territorio l’elemento distintivo per le produzioni tessili con forti elementi di naturalità. Grazie all’apporto di know-how diversi, è stato dunque possibile creare una forte sinergia tra il tessile e altri settori come quello ambientale. Pensiamo al contributo da parte di CNR Ibimet che studia le piante da fibra, alla CIA che opera nel settore agricolo, alla CNA con la sua conoscenza sulle problematiche connesse alla lavorazione della fibra ed ovviamente all’apporto di know-how da parte di imprese operanti nella filiera. Più in particolare il progetto, partendo dall’analisi del mercato di prodotti tessili ottenuti con fibre naturali, mirava ad una valutazione della fattibilità economica, tecnologica, ambientale e socio-territoriale dello sviluppo di una filiera toscana per la realizzazione di prodotti tessili destinati all’abbigliamento mediante la reintroduzione di piante tessili tradizionali (canapa e lino) e l’introduzione di nuove piante da fibra (ginestra e ortica) nonché piante coloranti. Il progetto prevedeva anche la definizione di un protocollo di produzione e di realizzazione dei prodotti e uno studio di fattibilità di un apposito marchio che identifichi una filiera di produzione “Made in Tuscany naturale”. 2.3 La rete e il gruppo di lavoro La rete, costituitasi in Associazione Temporanea di Scopo con atto notarile del 10 febbraio 2006, ha previsto la partecipazione dei seguenti soggetti:

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• il capo fila: CNA Artigianato Pratese • un centro di ricerca: Istituto di Biometeorologia - Ibimet/CNR • altre 8 associazioni di categoria espressione della filiera produttiva dalla pianta al prodotto finito:

Confederazione Italiana Agricoltori di Prato, CNA Associazione Provinciale Siena, Associazione CIPA-AT Sviluppo Rurale Siena, Confederazione Italiana Agricoltori Firenze, Confederazione Italiana Agricoltori Associazione Provinciale di Pistoia, Confartigianato Imprese di Prato, CNA Toscana, Confederazione Italiana Agricoltori Toscana

• 8 imprese rappresentative della filiera: La Torre di Caldani Luana e C. s.n.c. (Montalcino – Siena), L'Angolo della Maglia di Sampieri Alessandra (Siena), Nincheri Sergio sas (Prato), Manifattura Filati A.R. di Reali e Di Fante s.n.c. (Montemurlo – Prato), Cipriani e Falsone s.n.c. di Cipriani Auro e c. (Prato), Tessitura Bresci Alessandro (Prato), Tessitura Melani Massimo (Prato), Tessitura Nannini Roberto (Vaiano – Prato)

• 10 enti locali territoriali provenienti da territori ad alta vocazione agricola e/o tessile: Provincia di Prato, Comune di Cantagallo, Comune di Montemurlo, Comune di Poggio a Caiano, Comune di Prato, Comune di Vaiano, Comune di Vernio, Comunità Montana Val di Bisenzio, Provincia di Pistoia, Comune di Montalcino.

Il gruppo di lavoro è stato costituito dalle seguenti persone: - CNA Artigianato Pratese: Simone Marchi, Giacomo Morelli, Fabio Mazzanti, Cinzia Grassi, Doriano Risaliti, Annunziata Antenore - Istituto di Biometeorologia - Ibimet/CNR: Stefano Panconesi, Francesca Incerti, Cristiano Castaldi, Sara Marie Mezzalira, Michele Chiarini, Alfonso Crisci, Laura Bacci - Confederazione Italiana Agricoltori di Prato: Francesco Troiano, Maria Baicchi, Andrea Terreni - CNA Associazione Provinciale Siena: Mariangela Galgani - Associazione CIPA-AT Sviluppo Rurale Siena: Silvia Cennini, Anna Maria Stopponi - Confederazione Italiana Agricoltori Firenze: Sandro Piccini, Salvatore Enrichetti - Confederazione Italiana Agricoltori Associazione Provinciale di Pistoia: Masi Marco, Alessandro Morosi In qualità di subcontraente ha partecipato il PIN di Prato (Prof. Gaetano Aiello, Dott.ssa Silvia Ranfagni, Dott. Enrico Banchelli) Per quanto riguarda gli imprenditori, promotori del progetto (ai quali va un ringraziamento particolare per il contributo fondamentale che hanno dato grazie alla loro esperienza e conoscenza della filiera), il gruppo di lavoro era costituito da: Stefania Papi (La Torre di Caldani Luana e C. s.n.c.), Alessandra Sampieri (L'Angolo della Maglia), Sergio Nincheri (Nincheri Sergio sas), Angelo di Fante (Manifattura Filati A.R. di Reali e Di Fante s.n.c.), Auro Cipriani (Cipriani e Falsone s.n.c. di Cipriani Auro e c.), Alessandro Bresci (Tessitura Bresci Alessandro), Massimo Melani (Tessitura Melani Massimo), Roberto Nannini (Tessitura Nannini Roberto). Si ringrazia per la preziosa collaborazione: Elvira Giannozzi (Istituto di Biometeorologia - Ibimet/CNR), Marco Fabozzi (Confartigianato Imprese di Prato), Gianluca Volpi (CNA Toscana), Andrea Del Carlo (Confederazione Italiana Agricoltori Toscana), Pietro Morganti (Filati G.M.) Infine si ringraziano gli enti locali che hanno aderito e sostenuto al progetto: Provincia di Prato, Provincia di Pistoia, Comune di Prato, Comune di Cantagallo, Comune di Montemurlo, Comune di Poggio a Caiano, Comune di Vaiano, Comune di Vernio, Comunità Montana Val di Bisenzio, Comune di Montalcino.

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3 L'ABBIGLIAMENTO NATURALE: IL CONSUMATORE E GLI OPERATORI DEL

SETTORE Prima di effettuare qualsiasi analisi di fattibilità per l'introduzione delle fibre naturali è sembrato strategico alla proposta indagare l'immagine che l'abbigliamento naturale e i temi del progetto potevano avere presso il consumatore italiano e presso gli operatori di settore. A tal fine è stata impostata una doppia indagine, il cui svolgimento è stato commissionato al PIN di Prato sotto il coordinamento del prof. Gaetano Aiello. L'analisi è stata strutturata in due fasi: la prima mirata alla conoscenza dell'orientamento del consumatore finale (è stato utilizzato il metodo di indagine telefonica CATI avvalendosi della collaborazione di DOXA Italia), l'altra è stata indirizzata agli operatori di settore attraverso il metodo del focus group (in particolare sono stati presi in considerazione i possibili mercati di sbocco della filiera tessile - lanifici per quanto riguarda il semilavorato e confezionisti per il prodotto finito). L’impostazione delle due fasi è stata condivisa sia dai ricercatori del CNR sia dai rappresentanti delle categorie coinvolte (agricoltori e artigiani). 3.1 Definizione di abbigliamento naturale Quando parliamo di abbigliamento naturale all’interno del presente progetto si intendono capi d’abbigliamento realizzati con fibre vegetali naturali, ottenute da procedure eco-sostenibili ed a basso impatto ambientale (agricoltura non intensiva, uso integrato di fertilizzanti e principi attivi per il diserbo e i trattamenti fitosanitari). E' implicito, ma senza i caratteri della esclusività, che la produzione delle fibre sia in qualche modo legata al territorio e alla agricoltura toscana. La definizione di abbigliamento naturale da impiegare nelle indagini del progetto ha impegnato la rete in un serio dibattito, che partiva da visioni e esperienze diverse dei vari partners per i vari prodotti della filiera agro-tessile. Le fibre ipotizzate nella confezione dei capi sono quelle per le quali la produzione in Toscana è tecnicamente e, entro certi limiti, economicamente possibile come la canapa, l'ortica, la ginestra e per ultimo il lino. La definizione di abbigliamento 'biologico' è stata ritenuta non immediatamente percorribile all'interno del progetto per evidenti suoi limiti temporali e di risorse. L'obiettivo finale resta comunque quello della verifica concreta della fattibilità e soprattutto della sostenibilità economica dei protocolli basati sul Reg. CEE 2092/91 e alle sue successive integrazioni e modifiche, soprattutto in relazione alla fase di coltivazione e di traformazione, nonchè alle successive fasi di finissaggio e di tintura dei prodotti qualificati come 'biologici'. L'accezione di naturalità dell'abbigliamento nel progetto fa riferimento principalmente ad un’ipotesi di abbattimento nei prodotti tessili del rischio di tossicità e allergicità, legati alla presenza di residui chimici estranei alla fibra e al filato con i quali questi possono essere venuti a contatto, e che dovrebbe vedere impegnati tutti gli attori della filiera estesa, a partire dalla coltivazione fino al confezionamento del capo finito. 3.2 La metodologia d’indagine 3.2.1 L’indagine sul consumatore L’indagine, volta a misurare il livello di conoscenza e gli orientamenti degli Italiani sui capi d’abbigliamento naturale, sulle loro caratteristiche distintive e sulle fibre con cui sono realizzati, è stata realizzata, come precedentemente detto, dalla Doxa mediante interviste telefoniche. Più specificatamente, sono state rilevate informazioni riguardanti :

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l’importanza di alcuni fattori al momento dell’acquisto di un capo d’abbigliamento naturale (es.: prezzo, marca, naturalità del tessuto, presenza di un’etichetta per la tracciabilità, contenuto moda, origine/made in, ecc. );

le caratteristiche attribuite (su sollecito) all’abbigliamento naturale; il luogo principale dove ci si aspetta di trovare capi di abbigliamento naturale; il valore aggiunto percepito dei capi d’abbigliamento naturale (con etichetta per la

tracciabilità), inteso sia come maggiore qualità delle caratteristiche di prodotto (rispetto ai capi con fibre artificiali o sintetiche) che come incremento di prezzo atteso.

Sono state condotte 1.003 interviste telefoniche ad un campione nazionale rappresentativo della popolazione italiana adulta di 15 anni e più. Le famiglie da intervistare sono state estratte casualmente dall’archivio delle famiglie abbonate al telefono. All’interno delle famiglie, la persona da intervistare è stata scelta con il metodo delle quote. In particolare, sono state utilizzate quote:

per sesso, per età, per aree geografiche e per tipo di comune di residenza (quote correlate); livello di istruzione; condizione professionale (occupato o non occupato);

La rilevazione é stata effettuata col sistema CATI (Computer Assisted Telephone Interview) da un gruppo di intervistatori opportunamente istruiti e costantemente controllati. Le interviste sono state realizzate nel periodo 28 - 30 giugno 2006. 3.2.2 L’indagine sugli operatori di settore L’indagine sugli operatori del settore è stata effettuta mediante due focus group. I focus group hanno visto la partecipazione di due gruppi di persone che sono stati invitati, separatamente ed in giorni diversi, a partecipare ad una libera discussione per una durata di circa un’ora e trenta minuti, avente come oggetto le potenzialità di implementazione del progetto di realizzazione di prodotti di abbigliamento naturale. Questi focus group sono stati condotti da un apposito moderatore che ha svolto il ruolo di animazione e di guida alla produzione della maggiore ricchezza informativa possibile, al fine di fare emergere i diversi punti di vista in relazione all’oggetto di indagine e gli eventuali processi di convergenza o di divergenza tra le percezioni individuali. Le aree di discussione sono state le seguenti:

condivisione del concetto di abbigliamento naturale esperienze (dirette e/o indirette) di abbigliamento naturale vincoli ed opportunità nella produzione di abbigliamento naturale percezione del prodotto di abbigliamento naturale ed identificazione del profilo del cliente il progetto di prodotto di abbigliamento naturale made in Tuscany

3.3 I risultati 3.3.1 I consumatori: una domanda matura e consapevole Oltre il 30% del campione rappresentativo dell’universo dei consumatori italiani ha acquistato o provato capi di abbigliamento naturale (Fig. 1): fra questi prevalgono i segmenti di acquisto delle età centrali (25-44 anni) con istruzione media e superiore (Fig. 2 e 3).

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11

23,5

7,0

5,4

61,3

2,7

sì, sicuramente

forse sì

forse no

sicuramente no

non sa

Fig. 1 Ha avuto modo di acquistare e/o provare capi d’abbigliamento naturale di recente? Valori % - Base = totale campione (1.003 casi)

Fig. 2 Analisi secondo sesso ed età Valori % - Base totale campione

18,1

25,2

28,6

28,2

17,5

27,9

24,8

18,7

23,5

0 5 10 15 20 25 30 35

65 anni e oltre

55-64 anni

45-54 anni

35-44 anni

25-34 anni

15-24 anni

Femmine

Maschi

TOTALE

SSeessssoo

EEttàà

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Fig. 3 Analisi secondo istruzione e area geografica - Valori % - Base totale campione

Le preferenze si rivolgono, anzitutto, a benefici ricercati nel prodotto come la salute della pelle ed il comfort; segue a poca distanza un pacchetto di preferenze legate a caratteristiche del prodotto, come il prezzo, la naturalità del tessuto, la tracciabilità e l’eticità del prodotto. Nelle posizioni di fondo troviamo preferenze legate agli intangibles tradizionali nell’abbigliamento, come il contenuto moda, il made in e la marca (Fig. 4, 5 e 6).

Fig. 4 Importanza di alcuni fattori al momento dell’acquisto di un capo d’abbigliamento naturale

Valori medi (10 = estremamente importante - 1 = per niente importante) - Base = tot. campione

22,8

22,8

25,1

18,7

29,0

31,5

23,1

23,5

0 5 10 15 20 25 30 35

sud+isole

centro

nord est

nord ovest

inferiore

media

superiore

TOTALE

IIssttrruuzziioonnee

AArreeaa ggeeooggrraaffiiccaa

5,5

5,6

6,1

7,8

7,9

8,0

8,1

8,1

8,6

8,7

9,0

0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

marca

made in Tuscany

contenuto moda

made in Italy

etichetta di tracciabilità

eticità del prodotto

naturalità del tessuto

prezzo

qualità

comfort

salute per la pelle

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Fig. 5 Confronto totale popolazione - acquirenti recenti di capi naturali

Fig. 6 Confronto capi di abbigliamento prodotti con fibre naturali con quelli in fibre artificiali o sintetiche - Valori % - Base = totale campione (1.003 casi)

Gli orientamenti relativi al comportamento di acquisto privilegiano i punti vendita specializzati con acquisto assistito sia nelle via cittadine che nei centri commerciali (si veda la fig. 7).

8,1 8,0 7,9 7,8

6,1

5,6 5,5

9,3

9,0 9,0

8,7

8,28,4 8,4

8,2

6,7

6,1

5,4

8,1

8,68,7

9,0

5,0

6,0

7,0

8,0

9,0

10,0

salute per lapelle

comfort qualità naturalitàdel tessuto

prezzo eticità delprodotto

etichetta ditracciabilità

made inItaly

contenutomoda

made inTuscany

marca

totale popolazione recenti acquirenti di capi naturali

70,5

58,2

58,6

33,7

14,9

21,4

20,9

24,7

28,7

43,9

7,9

3,6

8,1

0,9

4,3

4,5

4,6

7,7

8,1

71,3

78,12,5

2,5

3,6

0,5

0,4

0,2

1,2

1,5

13,1

0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90% 100%

benefici per la salute

comfort

morbidezza

resistenza/durata

vestibilità

contenuto moda

Molto migliori Un po' migliori Un po' peggiori Molto peggiori (Non sa\non indica)

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Fig. 7 Dove si aspetterebbe di trovare dei capi d’abbigliamento naturale, principalmente?

Valori % - Base = totale campione (1.003 casi)

La domanda esprime una disponibilità ampia al premio di prezzo verso i prodotti dell’abbigliamento naturale (addirittura dal 26% al 50% per un consumatore su quattro); il dato esprime una buona consapevolezza della natura specialistica del bene ma è da prendere con cautela, visto anche che la disponibilità al premio di prezzo è riconducibile alle classi di età più giovani, tradizionalmente meno affidabili da questo punto di vista (Fig. 8,9 e 10)

Fig. 8 Disponibilità a spendere di più per avere la garanzia che il prodotto sia fatto con fibre

vegetali e abbia un’etichetta che ne garantisca la provenienza? Valori % - Base = totale campione (1.003 casi)

36,8

23,57,0

25,8

6,5

negozio specializzato in

abb. nat.

negozio multi-marca, con

abb. trad.

negozio mono-marca in

via cittadina

negozio mono-marca in

centro comm.

non sa

1,5

1,7

6,9

24,0

21,0

19,7

25,0

0 10 20 30 40 50

più del doppio

100% in più

51-99% in più

26-50% in più

11-25% in più

1-10 % in più

non sono disposti aspendere di più

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Fig. 9 Analisi secondo sesso ed età (Valori % - Base: totale campione)

Fig. 10 Analisi secondo istruzione e area geografica Valori % - Base: totale campione

La domanda vede con favore la promozione di un marchio di tutela per l’abbigliamento naturale con un richiamo alla memoria dell’esperienza italiana di maggior successo in materia, quella del marchio pura lana vergine (Fig. 11 e 12).

52,9

67,4

80,1

82,9

86,1

72,0

75,0

78,3

80,3

0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65 70 75 80 85 90 95

65 anni e oltre

55-64 anni

45-54 anni

35-44 anni

25-34 anni

15-24 anni

Femmine

Maschi

TOTALE

SSeessssoo

EEttàà

76,7

70,9

71,8

68,4

81,6

85,0

80,2

75,0

0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65 70 75 80 85 90

sud+isole

centro

nord est

nord ovest

inferiore

media

superiore

TOTALE

Base: totale campione

IIssttrruuzziioonnee

AArreeaa ggeeooggrraaffiiccaa

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Fig. 11 “Le leggo ora alcune frasi che altri intervistati hanno detto sull’abbigliamento naturale. Lei dovrebbe dirmi quanto è d’accordo con queste frasi “

Valori medi (10 = completamente d’accordo … 1 = per niente d’accordo) - Base = totale campione

Fig. 12 Confronto totale popolazione con acquirenti recenti di capi naturali

Valori medi (10 = completamente d’accordo … 1 = per niente d’accordo)

La percentuale di coloro che hanno acquistato/provato il prodotto testimonia un’attenzione diffusa, oltre che una conoscenza diretta del bene. La domanda di abbigliamento naturale si dimostra, per quanto emerge dall’indagine, piuttosto matura e consapevole rispetto alle caratteristiche percepite ed alle preferenze rivolte ad un prodotto specialistico come l’abbigliamento naturale.

4,9

6,1

7,2

8,2

0 1 2 3 4 5 6 7 8 9

non devono esserealla moda

possono diffondersisolo con la spinta di

grandi marche

procedure diproduzione eco-

sostenibili neaccrescono il valore

avrebbero bisogno unmarchio di tutela (es.

lana vergine)

4,5

5,8

7,3

8,1

4,9

6,1

7,2

8,2

0 1 2 3 4 5 6 7 8 9

non devono essere alla moda

possono diffondersi solo con la spinta di

grandi marche

procedure di produzione eco-

sostenibili ne accrescono il valore

avrebbero bisogno un marchio di tutela

(es. lana vergine)

tot. popolazione

acquirenti recentidi capi naturali

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L’abbigliamento naturale appare come un prodotto altamente differenziato, i cui benefici sono concretamente legati alla salute della pelle e al comfort, e che è opportuno acquistare in un punto vendita dedicato con l’assistenza di una persona competente. Coerentemente, un prodotto come quello descritto si colloca tra quelli a premio di prezzo, purchè vi sia una qualche forma di garanzia che al sacrificio monetario corrispondano le prestazioni promesse. 3.3.2 Gli operatori: una nicchia appetibile a condizione che.. 3.3.2.1 Gli imprenditori tessili (Focus Group 1 - numero partecipanti: 10) Gli imprenditori tessili condividono con i consumatori l’idea che l’abbigliamento naturale è un prodotto di nicchia. La percezione è quella di un prodotto in cui devono prevalere gli aspetti legati alla salute della pelle (prodotto salubre, antiallergico), correlati alla naturalezza tutelata da particolari processi produttivi di una sottofiliera specializzata di natura agro-industriale. Allo stesso tempo, gli imprenditori esprimono alcune perplessità legate a tre condizioni importanti per il successo del prodotto: • la definizione di protocolli sul requisito di naturalità del prodotto che tengano conto delle

difficoltà che si manifestano in caso di completa eliminazione delle fibre sintetiche; • la necessità di rilevanti investimenti in comunicazione per creare/sviluppare il mercato che pure

mantiene i requisiti della nicchia; • la conquista dell’accesso al mercato dominato da una distribuzione concentrata su prodotti meno

innovativi e particolari ma più facilmente vendibili Gli imprenditori tessili segnalano alcune applicazioni possibili nelle aree dell’abbigliamento per bambini, dell’abbigliamento sportivo e di quello professionale/da lavoro. Esperienze (dirette/indirette) Gli imprenditori associano l’abbigliamento naturale a:

esperienze di valorizzazione del riciclato avvenute a Prato; la realizzazione di prodotti su piccola scala ed in modo abbastanza artigianale

(produzione di cotone a Sovana, l’antico setificio fiorentino). Vincoli/opportunità La realizzazione di esperienze simili, ma riconducili ad abbigliamento naturale, implicano, secondo gli imprenditori coinvolti nel focus group, alti costi di produzione e lo sviluppo di un’offerta altamente specializzata che può essere rivolta ad un mercato di dimensioni molto ridotte. Per contribuire allo sviluppo di prodotti di abbigliamento naturale sarebbe opportuna una politica a livello istituzionale, in grado di incentivare l’impiego di materie prime e di semilavorati “ecologici”/“naturali” (le commesse pubbliche di abbigliamento - decreto Matteoli di due anni fa- prevedono nel caso di abiti per la marina, l’aeronautica ed i vigili del fuoco l’impiego di materiale riciclato per una percentuale compresa tra il 15%- 20%). La produzione di abbigliamento naturale può generare una riconversione dell’agricoltura del nostro paese per favorire la produzione di determinate tipologie di fibre. Ci si interroga se tale riconversione potrebbe avere un senso di fronte alla presenza di nazioni in grado di essere molto competitive nella produzione di fibre naturali. Percezione del prodotto di abbigliamento naturale Il prodotto di abbigliamento naturale è immaginato come un prodotto classico, ma non si esclude possa essere contraddistinto da un alto contenuto fashion destinato ad un pubblico che ricerca nel prodotto una storia, una cultura ed una tipicità.

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Una condizione imprescindibile che caratterizza tale prodotto è che non deve produrre danni alla persona e quindi deve presentare i connotati di naturalezza e di salubrità; queste due costituiscono secondo gli imprenditori partecipanti al focus, le condizioni attraverso le quali si dovrebbe veicolare al pubblico un prodotto di abbigliamento naturale. La possibilità di realizzare un prodotto di abbigliamento naturale con contenuto moda implica, secondo l’opinione degli imprenditori coinvolti, l’utilizzo anche di fibre sintetiche; questo li porta ad interrogarsi su quali sono i vincoli/modalità produttive da rispettare per poter definire un prodotto di abbigliamento come naturale. Il prodotto di abbigliamento naturale può avere successo se associato all’immagine di un prodotto salubre (antiallergico) e se sostenuto in una fase iniziale da alti investimenti in comunicazione, che dovrebbero contribuire a creare il mercato di riferimento. Il mercato di riferimento è difficile da definire a priori e la sua composizione sarà funzionale al concetto di abbigliamento naturale che si riesce a far percepire all’acquirente finale. Il prodotto di abbigliamento naturale è adatto per: abbigliamento sportivo (antiallergico, antibatterico); abbigliamento specialistico (camici dei medici); abbigliamento per bambini (antiallergico, antibatterico).

L’acquirente del prodotto di abbigliamento naturale può essere una persona con una cultura ecologica ed abbastanza giovane, che fa del rispetto dell’ambiente e dell’”igiene ambientale” una condizione di qualità della vita. Il progetto di prodotto di abbigliamento naturale Made in Tuscany Il prodotto di abbigliamento naturale realizzato in Toscana può essere veicolato attraverso il binomio Toscana-ambiente naturale (paesaggio toscano) e il suo successo non è necessariamente legato ad un’impresa di marca ad alta notorietà. La filiera che realizza questo tipo di prodotto di abbigliamento dovrebbe costituire una sottofiliera formata da imprese fortemente specializzate. Le imprese tessili che la compongono dovrebbero avere contatti con le istituzioni e centri di ricerca per fare attività di sperimentazione. L’impresa confezionista non deve essere necessariamente di marca, ma deve disporre dell’accesso (diretto e/o indiretto) a punti vendita in grado di trasmettere l’idea del naturale e di evocare la toscanità (in legno, a vetri con uno stile essenziale). I punti vendita dovrebbero essere monomarca collocati anche in centri commerciali localizzati in prossimità di aree verdi (Outlet Barberino del Mugello). Il prodotto di abbigliamento naturale si deve identificare con un brand appositamente creato (colline senesi) e con il quale si accomunano le imprese che appartengono alla sottofiliera naturale che si viene a formare. 3.3.2.2 Gli imprenditori dell’abbigliamento (Focus Group 2 - numero partecipanti: 8) Presso gli imprenditori dell’abbigliamento si conferma la percezione dell’abbigliamento naturale come prodotto specialistico destinato ad uno specifico segmento di mercato, la cui domanda è sostanzialmente da creare. La domanda può essere creata basandosi su requisiti forti che devono caratterizzare il prodotto; tali requisiti, come negli altri casi, si concentrano sulla salubrità del prodotto e sul comfort/benessere. Per gli imprenditori dell’abbigliamento, il prodotto naturale dovrà trovare un proprio specifico spazio in un mercato dominato da fashion retailer che preferiscono vendere prodotti con contenuto moda trend e buona vestibilità; si tratta di un mercato dove si rischia raramente con offerte realmente innovative che trovano sostanziali barriere all’accesso ai punti vendita. Anche in questo caso emergono alcune delle condizioni indispensabili allo sviluppo di un mercato per l’abbigliamento naturale:

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• il superamento del trade-off tra naturalità e fattibilità produttiva; • il ruolo importante di punti vendita dedicati con l’assistenza di personale specializzato; • la realizzazione di marchi dedicati e specifici con richiami all’ambiente ed al Made in Tuscany da

comunicare al consumatore. Esperienze (dirette/indirette) L’esperienza degli imprenditori coinvolti evidenzia le difficoltà a creare una domanda di prodotti di abbigliamento naturali. L’acquirente infatti non è tanto interessato alla composizione del prodotto di abbigliamento, ma ricerca i connotati di vestibilità, di comodità e di modernità (fashion). Oltre a questo comportamento della domanda occorre anche considerare la sperimentazione di una nuova fibra prodotta dal mais che presenta le stesse prestazioni lavorative delle fibre sintetiche garantendo alcune qualità della fibra naturale (antibatterico, antiallergico). Vincoli/opportunita L’abbigliamento naturale potrebbe essere adatto soprattutto per l’intimo che trasferisce naturalezza, benessere (antibatterico, antiallergico) pur essendo chiamato a mantenere un contenuto moda. Percezione del prodotto di abbigliamento naturale Il vestire naturale implica comunque l’impiego di sostanze e tecnologie di produzione che limitano il contenuto naturale sia del prodotto sia del processo di realizzazione. Diventa rilevante definire bene il concetto di prodotto di abbigliamento naturale e trasferirlo al mercato in modo coerente. Nonostante questa necessità di definizione, permane la percezione di un trade-off tra contenuto naturale del capo/del processo e contenuto fashion. Il progetto può essere presentato come una sottofiliera costituita da imprese specializzate nella produzione di abbigliamento naturale; il successo del progetto è strettamente correlato alle dinamiche della domanda, gran parte della quale, secondo l’esperienza degli imprenditori è al momento orientata verso prodotti contraddistinti da un buon rapporto qualità/prezzo con contenuto moda. In un mercato in cui occorre creare una domanda di prodotti di abbigliamento naturale, diventa importante chiedersi se questo contenuto moda può essere mantenuto, per poi veicolare al mercato dei messaggi precisi legati a questo nuovo prodotto, che si potrebbero basare sul carattere di naturalezza e di salubrità del prodotto stesso. In una filiera specializzata nella produzione di abbigliamento naturale, diventa importante il ruolo del punto vendita che dovrebbe essere monomarca con al suo interno addetti alla vendita con il compito di “educare” l’acquirente finale. Il progetto di prodotto di abbigliamento naturale Made in Tuscany Il progetto appare di difficile realizzazione con riferimento alla fibra del cotone di cui ci sono paesi (Stati Uniti, Egitto) in cui la produzione avviene in condizioni competitive. Nel caso in cui si intenda realizzare una produzione naturale made in Tuscany occorre tracciare il prodotto ed identificare tutte le sue fasi di realizzazione con riferimento alla filiera Toscana; diventa importante fare un’analisi della capacità produttiva e, soprattutto, occorre disporre di competenze di mercato per il lancio del nuovo prodotto e la creazione della domanda (forte integrazione tra competenze di prodotto e di mercato). Sviluppo di un brand associabile alla Toscana (il paesaggio del Chianti, la Maremma, il Casentino). Alcuni imprenditori percepiscono come inesistente al momento una domanda latente di prodotti di abbigliamento naturale. Qualora si manifestasse e fosse creata, diventerebbe importante superare le barriere dei retailer di abbigliamento i quali decidono autonomamente le tipologie di prodotti che compongono il loro assortimento.

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Per capire in modo definitivo la percezione dell’acquirente di prodotti di abbigliamento naturale e la sua motivazione all’acquisto, diventa importante sottoporlo ad un confronto visivo tra prodotto naturale e non naturale. 3.4 In conclusione: un’offerta ad elevata differenziazione Dalle percezioni della domanda dei consumatori e degli imprenditori del settore, emerge un quadro che colloca l’abbigliamento naturale tra i prodotti specialistici (di nicchia) il cui mercato, ad oggi molto ridotto, può svilupparsi. Una domanda che appare consapevole e matura va affrontata con una combinazione d’offerta basata principalmente sui seguenti elementi di differenziazione: • Caratteristiche di prodotto concentrate sulla salute e benessere non disgiunte da

comodità/comfort; • Distribuzione specializzata ed assistita; • Comunicazione istituzionale di categoria di prodotto e di marchio di tutela; • Prezzo premium, che avvalori la differenziazione percepita attraverso gli altri elementi. Alcune riflessioni finali possono essere riassunte nel modo seguente: o Alti costi di produzione o Sviluppo di un’offerta altamente specializzata o La domanda ricerca prodotti con connotati di vestibilità, di comodità e di modernità

(fashion) o Prodotto di abbigliamento naturale come prodotto legato ad una storia ed ad una cultura

locali o Sviluppo di un concetto forte di abbigliamento naturale o Trade-off per l’abbigliamento naturale tra contenuto moda e contenuto naturale del

prodotto/processo o Prodotto di abbigliamento naturale e immagine di salubrità/naturalezza – antibatterico ed

antiallergico - (abbigliamento sportivo, intimo, abbigliamento per bambini) o Ingenti investimenti in comunicazione (integrazione tra competenze di prodotto e di

mercato) o Punti vendita monomarca con stile naturale ed essenziale o Ruolo educatore dell’addetto alle vendite o Sottofiliera specializzata con imprese identificate da brand che evoca la Toscana

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4 LA FILIERA DELLE FIBRE TESSILI DI ORIGINE VEGETALE Le fibre naturali, come il cotone, il lino, la canapa, la lana e la seta hanno costituito per millenni, insieme alla lana ed ai pellami animali, la materia prima con cui gli uomini hanno prodotto tessuti destinati agli usi più svariati come la vestizione, tessuti per la casa (coperte, tende, etc.) ma anche per la produzione di vele come nel caso della fibra di canapa, che a partire dal V secolo a..C. fino all'invenzione dei battelli a vapore, è stato il materiale con cui venivano tessute la maggior parte delle vele. Le stesse piante poi fornivano materia prima destinata alla farmacologia, come la stessa canapa in Cina, o alla produzione di cordami oppure oli vegetali. Il lento declino delle fibre tessili tradizionali (canapa, lino, ortica, etc.) ebbe inizio nel XVII secolo quando anglosassoni e francesi cominciarono ad esportare il cotone conferendogli una posizione dominante nel settore delle fibre naturali vegetali. Prima di allora avevano una maggiore importanza le fibre di origine animale, quali la lana e la seta, mentre tra le fibre vegetali spiccavano la canapa ed il lino che erano coltivate in Europa, Russia ed America del nord. Anche l’ortica era coltivata, soprattutto in Nord Europa, ed utilizzata anche per la sua fibra, tanto che in Germania il termine “asciugamano d’ortica” viene utilizzato ancora oggi, anche se fatto di cotone. Agli inizi del ‘900, e per tutto il periodo prebellico, tuttavia, in Italia, c’era ancora una produzione molto importante di piante da fibra. Infatti la diffusione della canapa superava i 100.000 ettari concentrati per un 58% in Emilia, con una produzione assestata su valori oltre le 135.000 tonnellate di tiglio; il lino era coltivato su una superficie di 37.000 ettari con rendimenti unitari di 6 quintali per ettaro, il cotone si estendeva su una superficie di circa 79.000 ettari, coltivato per oltre l’84% in Sicilia. Complessivamente nell’Italia prebellica le colture da fibra occupavano una superficie di 220.000 ettari, di modo che all’interno del Paese si produceva la quasi totalità dei beni destinati a soddisfare i fabbisogni nazionali, in coerenza con il concetto di politica autarchica proprio di quegli anni (Venturi e Amaducci, 1999). Anche la Toscana ha avuto la sua tradizione nella coltivazione e la trasformazione delle piante da fibra. Meno di un secolo fa la canapa era coltivata da molti contadini di pianura, mentre nel periodo della seconda guerra mondiale 9 dei 61 ginestrifici presenti in Italia erano in Toscana, distribuiti tra le province di Firenze, Arezzo e Siena. La successiva scomparsa di queste attività, molto laboriose e artigianali, fu dovuta a molteplici fattori, soprattutto economici, tecnologici ma anche ambientali A partire dagli anni ’30, infatti, iniziò una svolta fondamentale, prima col diffondersi delle fibre artificiali, e poi, soprattutto dagli anni ’50, quando comparvero le prime fibre sintetiche che hanno conquistato in pochi anni la “leadership” di mercato. Il diffondersi di queste e la trasformazione definitiva dell’agricoltura in un mercato aperto comportarono l’abbandono di coltivazioni che, oltre a non risultare più sostenibili a livello di costi, non riflettevano le propensioni del consumatore. Ben consapevoli che non sono più proponibili le lunghe e pesanti lavorazioni manuali collegate con l'estrazione della fibra tessile, che hanno portato la canapa e le altre produzioni fuori mercato qualche anno fa, ma coscienti delle possibilità offerte da nuovi metodi e tecnologie già operativi o disponibili in forma prototipale, si è voluto verificare la possibilità e la fattibilità di introdurre, o reintrodurre in Toscana, la coltivazione e la trasformazione di quattro piante da fibra: il lino, la canapa, l’ortica e la ginestra. Tale iniziativa rientra nel contesto della filiera tessile toscana che da sempre ha caratterizzato il tessuto industriale regionale: il distretto tessile-abbigliamento di Prato, le molte griffe della moda (Ferragamo, Gucci, Prada, Cavalli, ecc.), importanti aziende d’abbigliamento (Cantarelli, Mabro, Ingram, d’Avenza, ecc.), il distretto della biancheria del Pistoiese, le lane del Casentino. Da non dimenticare il supporto degli istituti tecnici e dell’Istituto Polimoda, una “fashion school” molto rinomata anche a livello internazionale. Con l’introduzione della coltivazione delle piante da fibra e la loro trasformazione si completerebbe il “ciclo”

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produttivo, dalla materia prima al prodotto finito, creando un valore aggiunto legato all’origine italiana e alla tracciabilità durante tutte le fasi di lavorazione. 4.1 Le fibre tessili oggi. Il mondo delle fibre tessili è suddiviso principalmente in fibre naturali e fibre chimiche a seconda della loro origine:

a) fibre naturali a. vegetali (cotone, juta, lino, canapa, etc.) b. animali (lana, seta, etc.) c. minerali (amianto)

b) fibre chimiche a. artificiali, ottenute dalla manipolazione chimica di fibre naturali (acetato, cupro o

bemberg, viscosa o rayon, etc.) b. sintetiche, ottenute dalla sintesi di molecole organiche semplici (nylon, lycra,

poliestere o pile, acrilico, poliammide, gore-tex, etc.) Le fibre artificiali, come il rayon, sono derivate da sostanze organiche (es. cellulosa) e riproducono artificialmente il procedimento chimico sviluppato dalla natura, ad esempio dal baco da seta. Queste fibre artificiali hanno trovato vasto impiego nell’abbigliamento femminile sostituendo fibre naturali quali la seta ed il cotone. Le fibre sintetiche (acriliche, poliammidiche e poliestere) sono prodotte con procedimenti chimici partendo da materie d’origine organica ed inorganica come i prodotti petrolchimici. Le fibre sintetiche sono usate in mescola con quelle naturali, ottenendo tessuti esteticamente belli e stravaganti, molto resistenti, economici, di facile utilizzo anche se meno pregiati. Le fibre sintetiche costituiscono oggi la maggior parte delle fibre prodotte a livello mondiale (grafico 1).

Grafico 1. Produzione mondiale di fibre 1900-2002

0

10

20

30

40

50

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80

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1900

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1950

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1970

1980

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1995

1996

1997

1998

1999

2000

2001

2002

%

Cotone Lana F. Artificiali F. Sintetiche

[Fonte: FAO, 2003]

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Considerando che la produzione mondiale di fibre è notevolmente aumentata dagli anni ‘50 ad oggi, ne consegue che la crescita della produzione di fibre sintetiche è stata veramente fenomenale. Il cotone, la fibra naturale più diffusa, ha perso sempre più quota di mercato, nonostante la produzione sia comunque aumentata nello stesso periodo. Il cotone continua ad avere un ruolo dominante all’interno del mercato delle fibre naturali vegetali; infatti la quota di produzione è aumentata anche negli ultimi decenni, passando dal 68% nel 1965 all’81% nel 2005 (grafico 2). Seguono la iuta (calata nello stesso periodo dal 12,8% al 9,8%), il lino (in ribasso dal 4,3% al 2,7%), il sisal (sempre più marginale passando dal 4,5% al 1,1%).

Cotone

Lino

Iuta

Sisal

altre fibre

1965 2005

Grafico 2. Produzione mondiale di fibre naturali vegetali (1965 vs. 2005) [Fonte: FAO, 2005] Le stime di mercato previste nei prossimi anni prevedono una crescita globale del mercato delle fibre, una crescita che vedrà protagoniste soprattutto le fibre sintetiche che diventeranno sempre più dominanti. La produzione di cotone dovrebbe rimanere sostenuta, ma la sua quota mondiale è vista in ulteriore calo. Per quanto riguarda le “altre fibre” ci sarà una crescita notevole dei volumi soprattutto per le fibre naturali vegetali viste le caratteristiche naturali, antiallergiche, ambientali, riciclabili, ecc., anche se comunque, a livello globale, si tratta ancora di piccoli volumi. 4.2 La coltivazione di piante da fibra nella UE e in Italia L’Europa ha un ruolo importante sia per la coltivazione del lino che della canapa, mentre il suo ruolo è molto marginale per quanto riguarda il cotone, nonostante la superficie coltivata a cotone (455,000 ha), concentrata in Grecia e Spagna, superi di gran lunga quella del lino (120,000 ha) e della canapa (15,000 ha) messe insieme. Della superficie mondiale di 500,000 ha coltivata a lino oltre il 20% è in Europa, per la maggior parte in Francia (65%). Dei 52,000 ha coltivati a canapa nel mondo, la quota Europea è del 29% circa, con la Francia (54%) di nuovo capofila dei paesi produttori europei. Per questo non sorprende che la Confederation Européenne Lin et Chanvre (CELC) abbia sede in Francia. Da notare che negli anni ’80 la superficie a canapa in Ungheria era superiore ai 66,000 ha, mentre oggi è quasi scomparsa. La canapa ha avuto un ruolo molto importante in Italia fino agli anni ’20, quando tappeti, tende, coperte, asciugamani, ecc., erano per la maggior parte in fibra di canapa. L'Italia, insieme alla Russia, era la maggiore produttrice di filati per tessuti di canapa di ottima qualità. Senza tornare ai primi del ‘900, quando in Italia gli ettari coltivati a canapa erano circa 90.000, è interessante comunque ripercorrere cosa è successo negli ultimi 40 anni nel settore delle piante da fibra in Italia. Nel 1961 la fotografia del settore vedeva il cotone coprire una superficie di circa 14.000 ha, seguito dalla canapa con 12.600 ha ed il lino con 7.200 ha. Il settore però era già in declino e a distanza di 10 anni, nel 1971, si registravano appena 3.100 ha coltivati a cotone, 454 ha a canapa e 823 ha a lino. Nei primi anni ’80 la coltivazione del cotone e della canapa erano

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praticamente scomparse, mentre il lino si manteneva intorno ai 1.400 ha. Nel 1991 solo il lino appare nelle statistiche FAO con 800 ha, ma in breve tempo anche questa coltura scomparve. Verso la fine degli anni ‘90 si è avuta però un’inversione di tendenza, soprattutto per la canapa, che ha raggiunto 151 ha nel 2001 e 900 ha nel 2005. Per il lino non sembrano esserci veri segni di risveglio, se non la coltivazione di parcelle sperimentali.

0

2000

4000

6000

8000

10000

12000

14000

16000

1961 1971 1981 1991 2001 2005 Anno

HaCotone

Lino

Canapa

Grafico 3 (Fonte: FAO, Eurostat, IFN)

Se il lino e la canapa sono coltivate in alcune regioni d’Europa su vasta scala, lo stesso non si può dire per l’ortica e la ginestra. Il lino è principalmente coltivato per la sua fibra, che viene destinata all’industria tessile, e solo in minor parte per l’estrazione di olio. La canapa ha invece come destinazione principale delle fibre l’industria della carta, mentre dai resti della lavorazione si produce un’ottima lettiera per cavalli. La canapa ha molteplici usi, dai materiali isolanti ai compositi, dall’olio per uso tecnico, alimentare e cosmetico, alle fibre sia per uso tessile che per la produzione di cordami. Per quanto riguarda l’ortica ad oggi esiste solo un piccolo gruppo di produttori in Germania con circa 200 ha, sotto il controllo della Stoffkontor Kranz, azienda di trasformazione che ha investito sia nella selezione di cloni ad alta resa di fibra (15%), rispetto alle piante selvatiche (<5%), sia in un processo bioenzimatico per estrarre la fibra di cui ha il brevetto. Per la ginestra siamo invece ancora ben lontani dal diffondersi della coltivazione a pieno campo, essendo ancora nella fase di ricerca e sperimentazione sia per quanto riguarda la coltivazione che l’estrazione ed uso della fibra. In Umbria un vivaio coltiva 40 ha a ginestra, ma le piante sono destinate principalmente al consolidamento di dune, pendii e soprattutto scarpate autostradali e ferroviarie, dato l'apparato radicale molto sviluppato. 4.3 Aspetti tecnico-economici della coltivazione delle principali piante da fibra. La maggiore difficoltà incontrata nella definizione degli aspetti tecnici di coltivazione e prima lavorazione delle piante da fibra oggetto di studio, ma soprattutto nelle valutazioni economiche, è stata la mancanza di informazioni e dati poiché tali colture, oggi, non sono più prodotte in Italia o lo sono in misura marginale. Per quanto riguarda le valutazioni economiche relative alla fase della coltivazione, i costi ed i ricavi qui riportati sono stati, quindi, per lo più stimati. Per la canapa esiste solo l’esperienza degli agricoltori ferraresi che comunque la coltivano nella forma “baby canapa”. Per il lino e l’ortica

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esistono dei dati sulle spese colturali di altri paesi produttori, mentre nessun dato è stato trovato per la ginestra. Per questo studio si farà riferimento ad un’azienda con produzione prevalentemente a seminativo. Questo perché la coltivazione industriale delle piante da fibra è adatta proprio a questa tipologia di aziende per le simili caratteristiche del terreno richieste, per il loro idoneo inserimento nella rotazione colturale e, soprattutto, perché le aziende non dovrebbero sostenere investimenti specifici, in quanto già in possesso dei macchinari necessari alla coltivazione di tali piante. Sono state considerate nei costi diretti alcune operazioni “contoterziste” specifiche alla raccolta per le quali gli investimenti nei macchinari da parte degli agricoltori non sono pensabili, come anche il trasporto delle rotoballe al centro di prima trasformazione. 4.3.1 Lino (Linum usitatissimum)

Parcella sperimentale investita a Lino in località IOLO (Prato) nell’anno 2006

Storia Il lino contende al cotone il "primato" di antichità; resti di corde e tessuti, capsule, semi, fibre di lino son stati trovati in occasione di numerose ricerche archeologiche, anche nelle tombe dei Faraoni.Secondo le ipotesi più accreditate, la coltivazione del lino ebbe origine nell'Asia superiore; da qui passò in altre zone dell'Oriente asiatico, in Cina, in India, poi in Egitto. Fenici e Romani, con le loro guerre ed i loro traffici, dettero un decisivo apporto alla diffusione del lino, la cui coltivazione si sviluppò in varie zone dell'Europa settentrionale. Da allora il lino fu sempre presente - ed importante - nell'attività tessile, pur variando notevolmente, nel corso dei secoli, le quantità prodotte. Per esempio, all'inizio del XIX secolo la produzione mondiale ammontava, secondo le statistiche di allora, a circa 285.000 tonnellate; ma verso la fine del secolo, nel decennio 1880-1890, salì a 640.000 tonnellate. Alla vigilia della prima guerra mondiale superava le 954.000 tonnellate, per scendere, alla vigilia della seconda guerra mondiale a 810.000 tonnellate. La coltivazione Il lino è una pianta erbacea annuale, il cui ciclo di vita, dalla semina alla raccolta, dura circa 100 giorni. Varie sono le sottospecie o le varietà, almeno un centinaio, coltivate per trarne, a seconda dei casi, o la fibra tessile o l'olio dai semi (impiegato in diversi usi industriali, farmaceutici, ecc.). La fibra del lino appartiene al gruppo cosiddetto delle fibre "liberiane", da "libro", cioè la parte sottostante la corteccia, sulla quale in antico venivano scritti (come sui papiri) i "libri" dell'epoca.

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Come si è accennato, il lino viene coltivato in molti paesi, dall'Asia alle Americhe. Si stima che la superficie totale seminata annualmente a lino sia di 8 milioni di ettari, di cui un quarto destinati ad uso tessile (il resto è per ricavare l'olio): la Francia è il maggiore produttore dell'Occidente, l'URSS del resto del mondo. Tecnica colturale del Lino Il Lino richiede un clima fresco ed umido ma risulta sensibile alle gelate primaverili e alla siccità estiva. I terreni meno indicati sono quelli argillosi suscettibili di compattamento; per tale ragione, la scelta del terreno e le lavorazioni di preparazione del terreno (aratura a 30 cm ed erpicatura) devono consentire una buona penetrazione delle radici per accedere alle risorse idriche. La densità di semina ideale è intorno a 1700-2000 piante/m2 (profondità di semina di circa 2 cm); una densità di semina inferiore può portare ad una copertura insufficiente del terreno, favorendo così le infestanti e/o causando un eccessivo accestimento della pianta che conduce ad una maturazione agronomica insoddisfacente. Una fertilizzazione in condizioni normali prevede l’impiego di: N:…….60 Unità/ha (di cui almeno il 50% in presemina) P2O5… 90 Unità/ha (di cui almeno il 70% in presemina) K2O…..90 Unità/ha (in presemina)

E’ sconsigliabile eccedere con gli apporti di azoto in quanto porterebbe ad un eccessivo rigoglio vegetativo a scapito della qualità della fibra. Risulta vantaggioso, soprattutto in terreno pesanti, al fine di ottenere una buona strutturazione del suolo, prevedere una concimazione organica di fondo autunnale. Per il controllo delle infestanti, soprattutto quelle perenni a foglia larga, si possono utilizzare in post-emergenza prodotti a base di fluazifop-p-butile. Occasionalmente ci possono essere attacchi da parte di crittogame (problema accentuato negli impianti ad alta densità di semina), che si controllano tramite trattamenti a base di rame e rotazioni colturali appropriate. Generalmente la pianta si sviluppa e giunge a maturazione in poco più di tre mesi, raggiungendo un'altezza media di un metro La raccolta, tramite estirpatura, viene normalmente effettuata quando le foglie basali sono cadute (indicaticativamente nel mese di luglio); La raccolta può comunque venire effettuata in tre diversi momenti di maturazione; il lino "verde", non ancora maturo, fornisce fibre molto fini ma di minore resistenza. Il lino "giallo", a metà maturazione, è considerato il migliore, le fibre sono lunghe, morbide e resistenti. Se il lino diventa "bruno" (o verde scuro) le fibre sono troppo sode e legnose. Gli steli vengono poi fatti essiccare in campo e successivamente sottoposti a macerazione tramite bagnatura (processo più lungo) o sommersione. Le rese variano molto a seconda delle varietà utilizzate; comunque si aggirano intorno ai 40-50 q/ha di massa verde con un contenuto in s.s. pari al 12%. La lavorazione Anche se qui ci occupiamo solo del lino coltivato per usi tessili, la pianta ha comunque le capsule contenenti i semi, che vengono recuperati mediante una prima operazione, chiamata "sgranatura". Poi il lino, simile ad una "paglia", riunito in mannelli o covoni, passa alla macerazione, che può essere fatta a terra o in acqua: si tratta di far fermentare naturalmente, grazie all'azione di microrganismi, la parte legante e gommosa (costituita da pectina), lasciando intatti i fasci fibrosi che si possono filare e tessere. Dopo la macerazione, che dura da tre a sei settimane, si passa alla stigliatura (o scotolatura), con una serie di azioni meccaniche per rompere la parte legnosa della corteccia, e ricavarne la parte fibrosa. Con la stigliatura si eliminano le fibre corte (stoppe), di circa 10-15 cm, che rappresentano

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circa un terzo della fibra, separando le fibre a tiglio lungo (60-90 cm.), che costituiscono i due terzi dei fasci fibrosi. L'ammasso fibroso subisce ancora cicli di lavorazioni secondarie, per depurarlo e migliorarne le caratteristiche, e viene finalmente avviato alla pettinatura e filatura, iniziando il ciclo tessile propriamente detto. Anche le "stoppe" possono essere riutilizzate con operazioni di cardatura e pettinatura, per dare un prodotto che ovviamente è meno "nobile" del lino a tiglio lungo. Le caratteristiche Le caratteristiche fondamentali del lino sono: resistenza e robustezza del filato, durata, freschezza, igienicità, igroscopicità e lucentezza serica. Queste caratteristiche sono legate alla struttura ed alle proprietà delle fibra. Lo stelo, lungo come si è detto mediamente un metro, ha un diametro di circa 1,5-3 mm.; sezionandolo si distingue una parte centrale, comprendente il midollo, il legno ed il "cambio". Nella parte esterna, comprendente la corteccia, sono incluse le fibre disposte in fasci che si sviluppano per tutta la lunghezza (ecco perchè la pianta viene strappata e non tagliata). I fasci fibrosi composti di cellulosa sono cementati da altri materiali gommosi (pectina), legnosi (lignina) e dal legno vero e proprio. Grosso modo, due terzi in peso sono le parti legnose, il resto è corteccia: la fibra vera e propria rappresenta solo il 12% dello stelo. Un fascio fibroso di lino è composto da circa 30 fibre "elementari", ed è lungo mediamente 50 cm. Anche per il lino, così come per tutte le altre fibre naturali, dire genericamente "lino" non basta per delinearne il livello qualitativo. Questo dipende da molti fattori, dal tipo e qualità, dalla sua origine, dalla lunghezza del tiglio, dalla lavorazione. Con diversi procedimenti (a secco, o a umido) si ottengono fili più grossolani e più resistenti, rispettivamente più sottili e fini, ma più sensibili all'uso. Aspetti economici Dal lino si possono estrarre sia fibre lunghe che corte, anche se le prime sono quelle di maggior pregio. Il lino europeo è considerato il migliore e oltre il 70% delle fibre lunghe ottenute vengono esportate, soprattutto verso la Cina. Ci sono paesi che comunque preferiscono optare per il lino a fibra corta, come il Regno Unito, la cui coltivazione è più facilmente adattabile ai macchinari già presenti in azienda. In Francia la resa media ad ettaro è di 6,8 tonnellate di paglia di lino, ma questa può variare considerevolmente in base alle condizioni climatiche al momento della macerazione in campo. In Belgio la resa media è di 6,6 t/ha, mentre nel Regno Unito 4,5 t/ha. Le condizioni climatiche nella nostra regione non sono le più idonee per il lino e senza costosi interventi di concimazione, irrigazione, controllo delle infestanti e di eventuali malattie o parassiti, difficilmente si otterranno rese superiori alle 4 t/ha. La paglia viene ritirata dai trasformatori che provvedono alla lavorazione per estrarre la fibra. Il prezzo in Europa della paglia di lino è in calo da vari anni, sia per le forti rese ad ettaro, sia per le pressioni di mercato, e al momento si aggira intorno ai €210,00/t per la paglia migliore. In Italia, al momento, esistono solo parcelle sperimentali pertanto l’utile netto ottenuto dalla stima del conto colturale (Tab.1) per questo progetto è puramente indicativo e da verificare. Prevedendo un raccolto in Toscana pari a 3,5 t/ha di paglia secca macerata, vendibile ad un prezzo di €210,00/t, l’utile netto ad ettaro risulta negativo per €161. Per ottenere un utile netto positivo il prezzo della paglia di lino dovrebbe essere di €260/t.

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Tab. 1 - Conto colturale del Lino RICAVI (A) unità €/unità

paglia (t/ha) 3,50 210,00 735,00 contributo UE 250,00 985,00

COSTI DIRETTI (B) unità €/unità Lavorazione del terreno

aratura 1 100,00 100,00 erpicatura 1 30,00 30,00 130,00

Semina seme (kg) 100 2,10 210,00

semina a file 1 35,00 35,00 245,00 Diserbo

post-emergenza 5 3,00 15,00 distribuzione 1 15,00 15,00 30,00

Concimazione concime (20-10-10) 100 0,35 35,00

distribuzione 1 10,00 10,00 45,00 Raccolta

Estirpazione 1 60,00 60,00 Irrigazione 2 60,00 120,00 Rivoltatura 2 40,00 80,00

Rotoimballatura 10 8,75 87,50 Carico camion 10 2,00 20,00

Trasporto 10 12,20 122,00 489,50 TOTALE COSTI DIRETTI (B) 939,50

COSTI INDIRETTI (C) Quota di manutenzione 1,5% 14,09 Quota di ammortamento 3,0% 28,19 Spese generali 13,0% 122,14 Oneri finanziari e fiscali 3,0% 28,19 Altri costi indiretti 1,5% 14,09

TOTALE COSTI INDIRETTI (C) 206,69 UTILE NETTO (A-B-C) -161,19

Ipotizzando una coltivazione più intensiva, pertanto con una seconda applicazione di diserbante, una maggiore concimazione e l’uso dell’irrigazione, anche ipotizzando una resa pari a quella francese di 6,8 t/ha, si ottiene ugualmente un utile netto negativo di €95/ha. Bisogna sottolineare che sia in Francia che in Belgio, nelle regioni che hanno una lunga tradizione nella coltivazione del lino da fibra, i coltivatori beneficiano di un aiuto pari a €120,00/ha nelle regioni del nord e €50,00/ha nelle regioni del sud. Considerando inoltre che per la macerazione non c’è bisogno di alcun intervento, si potrebbe già ipotizzare un risparmio di oltre €240, che porterebbe l’utile in attivo. Ciò suggerisce che difficilmente i produttori toscani potrebbero competere con i colleghi transalpini.

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4.3.2 L’ortica da fibra (Urtica Dioica)

Parcella sperimentale di ortica da fibra in località IOLO (PRATO)

L'ortica è una pianta perenne dioica presente in Europa e nelle zone temperate dell'Asia e dell'America; predilige normalmente suoli fertili ed umidi e nei luoghi dove sia presente materiale organico in decomposizione (spesso in radure forestali, vicino a corsi d’acqua). In natura sono presenti molte varietà con caratteristiche morfologiche differenti, ma l’ortica da fibra coltivata è frutto di una selezione che ha esaltato il contenuto in fibra, che può arrivare fino al 17% sul peso secco in confronto con le varietà spontanee che ne contengono circa il 5%. E' una pianta erbacea perenne, alta fino ad un metro e mezzo, dal fusto eretto a sezione quadrata. Le foglie sono opposte, picciolate, a forma di cuore, con stipole e margine seghettato a grandi denti triangolari. Sia il fusto che le foglie sono ricoperti di peli urticanti, il cui apice a capocchia si spezza al tocco più lieve emettendo un liquido irritante. I fiori verdi, piccolissimi, sono riuniti in spighe e fioriscono da giugno ad ottobre. I semi sono acheni ovali. La pianta dell'ortica contiene fibra di alta qualità, con proprietà qualitative simili al lino ed alla canapa: alta resistenza alla trazione, finezza, peso specifico basso; ciò permette la produzione dei tessuti fini. La fibra ha un contenuto in cellulosa di circa 86.5%. La produzione sembra essere limitata nel primo anno della crescita ma, dal secondo anno di produzione, le rese previste si aggirano intorno a 3-4 t/ha di sostanza secca.

Fibra grezza di ortica

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Preparazione del terreno e rotazione colturale Come già detto l’Ortica da fibra è una pianta esigente dal punto di vista nutrizionale; predilige terreni ricchi di sostanza organica e di azoto e pertanto sarà necessario prevedere abbondanti concimazioni organiche al terreno ed una successione colturale che preveda l’impiego di leguminose per le loro capacità azotofissatrice. Nella letteratura esaminata si legge che l’Ortica, una volta impiantata, può rimanere in produzione anche per 10 anni; tale durata si ritiene tuttavia eccessiva sia perché non ci sarebbe la possibilità di effettuare concimazioni organiche al terreno, sia perché si presenterebbero fenomeni di “stanchezza” del terreno ed infine perchè aumenterebbe la competizione di specie infestanti e forse anche l’incidenza di fitopatie (come avviene normalmente con altre colture erbacee). Sembrerebbe più indicato un ciclo colturale che preveda la presenza dell’Ortica per 4 anni preceduta da leguminose da granella (come il Lupino o il Favino) mentre in successione si possono proporre colture da tubero o radice (patata, barbabietola, etc.) o anche da Canapa per le loro capacità di tenere sotto controllo le infestanti. Cultivars Le varietà attuali sono selezionate in base al contenuto in fibra pari al 15% in peso di steli secchi. Si utilizzano normalmente individui femminili sterili da destinare alla riproduzione vegetativa in quanto hanno un contenuto in fibra maggiore degli individui maschili. L’uso di individui sterili serve ad impedire l’incrocio con polline di ortica selvatica, che causerebbe la semina naturale e la successiva nascita di individui non idonei. Propagazione e trapianto Le ortiche possono essere seminate direttamente nel terreno in autunno per affermarsi in primavera oppure propagate in vivaio e poi trapiantate in primavera. Benché la semina diretta offra indubbi vantaggi economici ed operativi, la spiccata eterogeneità della generazione F1 porta difformità nella maturazione degli individui anche di 4 settimane, con il rischio di raccogliere piante non ancora mature in fase di raccolta. La semina porta inoltre ad una riduzione del contenuto di fibra: il contenuto in fibra delle ortiche da fibra ottenute da seme è stato fino al 2% inferiore rispetto al contenuto in fibra delle piante madri, che erano state coltivate nelle medesime condizioni colturali e raccolte nel medesimo momento. La propagazione vegetativa, ottenuta con talee radicate in vivaio (per un periodo di circa 6 settimane) e poi trapiantate in campo nei mesi di Marzo/Aprile, consente di evitare i suddetti problemi ed inoltre garantisce la stabilità genetica della coltura. Il trapianto in campo può prevedere sesti di impianto più o meno larghi (cm 50 x 50; cm 50 x 75 ; cm 50 x 100) a seconda che si vogliano prevedere delle lavorazioni nell’interfila o no; per l’operazione di trapianto è possibile utilizzare una normale trapiantatrice da ortaggi di pieno campo. Fertilizzazione e Irrigazione Un terreno investito ad ortica produce una considerevole quantità di biomassa ed inoltre l’ortica è una pianta particolarmente nitrofila, pertanto l’effetto dell’incremento di azoto sulla quantità e qualità del raccolto di fibre, è stato sperimentalmente dimostrato con differenti livelli di azoto. Diversi sperimentatori (Wurl e Vetter, 1994) hanno proposto livelli molto elevati di unità azotate/ha (200-300) congiuntamente a sesti di impianto molto stretti (cm 50x50); tuttavia un apporto eccessivamente alto di azoto rischia di causare l’inquinamento delle falde acquifere nonché una completa mineralizzazione della sostanza organica; volendo dare qualche indicazione operativa, il consiglio è quello di effettuare una preventiva analisi del terreno in modo da avere un quadro della struttura e della dotazione minerale ed organica dello stesso e poi effettuare una fertilizzazione organica di fondo autunnale, integrata con apporti minerali in primavera fornendo al terreno i seguenti quantitativi di elementi (complessivi di concime organico e chimico):

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AZOTO ► 200 U/ha/anno FOSFORO ► 200 U/ha/anno POTASSIO ► 200 U/ha/anno

L’ortica richiede frequenti apporti idrici nel periodo di crescita; inoltre risulta molto sensibile ai venti secchi. In caso di eventi meteorici insufficienti occorrerà provvedere con irrigazioni periodiche particolarmente il primo anno quando ancora l’apparato radicale non è sufficientemente sviluppato. Ancora non ci sono dati disponibili in merito ai volumi d’acqua necessari, tuttavia si possono ragionevolmente prevedere 3-4 interventi di soccorso con un volume di acqua pari a circa 400 mc per intervento. Lotta alle infestanti ed ai parassiti In letteratura l’ortica è spesso descritta come fortemente competitiva nei confronti delle infestanti, tuttavia il problema delle infestanti è sentito nel primo anno di coltivazione. Il controllo delle infestanti comincia con la scelta opportuna delle colture precedenti che garantiscano una buona nettatura del suolo. Anche la scelta del sesto di impianto ha la sua importanza; infatti un sesto stretto (cm 50x50) garantisce una migliore copertura e soffocamento delle infestanti da parte dell’ortica ma al contempo impedisce operazioni di erpicatura. Una ulteriore possibilità è rappresentata dalla pratica del diserbo chimico (atigerminello o in preemergenza). Per quanto riguarda i possibili parassiti si annoverano delle larve di “Aglais urticale” ed “Inachis io” che possono causare la completa defogliazione delle piante. Altre insetti (come Vanessa atalanta L., Cynthia cardui L., Doralis urticaria) o funghi (Pseudoperonospora Urticae) sembrano causare solo danni molto marginali. Raccolta e rese La raccolta dell’ortica avviene a partire dal secondo anno di coltivazione in quanto il primo anno gli steli sono troppo bassi, sottili, accestiti e con troppe foglie. I risultati delle sperimentazione in merito ai tempi di raccolta, suggeriscono che il momento migliore per la raccolta è quando gran parte delle foglie sono cadute ma prima che si formino nuovi germogli; un altro criterio di scelta è di raccogliere quanto i semi sono maturi nella parte bassa delle infiorescenze (Bredemann,1959) oppure quando gli steli rappresentano circa l’80% della biomassa epigea (Vetter et al. 1996). Le rese sono molto variabili e dipendenti principalmente dalle condizioni del suolo e dallo stato vegetativo delle piante. L’altezza degli steli può raggiungere i 180 cm di altezza. La resa in sostanza secca varia dai 30-40 q/ha sui terreni poveri fino a 100 q/ha nei migliori appezzamenti. La sostanza secca (steli) rappresenta circa il 20% della biomassa verde. Utilizzazione finale Le forme coltivate di Urtica dioica hanno caratteristiche simili al lino ed alla canapa. I possibili utilizzi comprendono le fibre per uso tessile, la carta, l’uso gastronomico e medicinale nonchè la semplice produzione di biomasse. Attualmente non ci sono produzioni in commercio. Aspetti economici Dalle piante di ortica si possono estrarre sia fibre lunghe che corte. In Germania, per sfruttare al massimo le operazioni meccaniche, si sono concentrati sulla fibra corta. I coltivatori tedeschi falciano le piante una volta mature e poi, come per la canapa in Francia, fanno seccare gli steli velocemente senza macerazione in campo, rigirandoli con un normale ranghinatore da paglia, senza curarsi della direzione delle fibre. Una volta secca la paglia viene rotoimballata e portata al centro di trasformazione, dove tramite un processo bioenzimatico viene macerata per l’estrazione della fibra corta. La Stoffkontor Kranz provvede poi a trasformare la fibra in filato con una proporzione del

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5-10% di ortica ed il restante cotone organico, per poi produrre principalmente biancheria da casa come lenzuola, asciugamani, tovaglie, ecc. Per questo progetto si ipotizza una coltura dove si procede alla raccolta parallela degli steli, anche se come per la canapa dovrà essere verificata l’esistenza di macchinari adeguati. Si prevede inoltre di macerare in campo con l’ausilio dell’irrigazione a goccia. Dal punto di vista economico, in Germania, la Stoffkontor Kranz fornisce ai coltivatori interessati un prospetto economico per la coltivazione dell’ortica sicuramente molto attraente, in quanto l’utile medio annuo nei sette anni si attesta a € 1.150/ha, senza includere il contributo UE, grazie al prezzo della paglia pari a €900/t. Ai coltivatori viene richiesto però di diventare “soci” della struttura organizzativa acquistando azioni (rivendibili) pari a €3.000,00 per ogni ettaro coltivato ad ortica. Grazie a questi fondi la Stoffkontor Kranz riesce ad investire nella propagazione ed a fornire gratuitamente le piante ai coltivatori. Rispetto al prospetto della Stoffkontor Kranz, questo studio ha considerato una durata di soli 6 anni ma rese leggermente più elevate grazie anche alla preparazione del terreno per l’impianto, la concimazione e l’irrigazione (Tab.2). I costi diretti di produzione ad ettaro sono ben superiori a quelli tedeschi (media di €1,100/ha contro €370/ha), per la differente tecnica colturale e per il differente trattamento alla raccolta, compresa la macerazione in campo.Per quanto riguarda i ricavi, per ottenere un utile medio annuo positivo il prezzo della paglia dovrebbe essere di €550/t, ma un prezzo di €600/t porterebbe l’utile medio a quasi €160/ha, già più interessante per i coltivatori. Questo valore si avvicina molto al prezzo minimo di €500/t offerto dalla Stoffkontor Kranz per la paglia di bassa qualità, ma lontano dal loro massimo di €900/t, con il quale si otterrebbe invece un utile medio annuo di €885. Con il prezzo medio tedesco di €700/t l’utile sarebbe di €400/ha. Tab. 2 - Sintesi coltura dell'Ortica anno 1 anno 2 anno 3 anno 4 anno 5 anno 6 RICAVI (A) paglia 0,00 1.320,00 1.848,00 2.376,00 1.848,00 1.320,00 contributo UE 250,00 250,00 250,00 250,00 250,00 250,00 250,00 1570,00 2098,00 2626,00 2098,00 1570,00 COSTI DIRETTI (B) Lavorazione del terreno (inclusa letamatura) 600,00 Trapianto 437,40 Diserbo meccanico 25,00 25,00 25,00 25,00 25,00 25,00 Concimazione 135,00 135,00 135,00 135,00 135,00 Trattamento antiparassitario 123,50 123,50 123,50 123,50 123,50 123,50 Irrigazione 370,00 370,00 370,00 370,00 370,00 370,00 Raccolta 510,43 562,60 614,77 562,60 510,43 TOTALE COSTI DIRETTI (B) 1.555,90 1.163,93 1.216,10 1.268,27 1.216,10 1.163,93 COSTI INDIRETTI (C) Quota di manutenzione 23,34 17,46 18,24 19,02 18,24 17,46 Quota di ammortamento 46,68 34,92 36,48 38,05 36,48 34,92 Spese generali 202,27 151,31 158,09 164,88 158,09 151,31 Oneri finanziari e fiscali 46,68 34,92 36,48 38,05 36,48 34,92 Altri costi indiretti 23,34 17,46 18,24 19,02 18,24 17,46 TOTALE COSTI INDIRETTI (C) 342,30 256,06 267,54 279,02 267,54 256,06 UTILE NETTO (A-B-C) -1.648,20 150,01 614,36 1.078,71 614,36 150,01 UTILE NETTO TOTALE 959,24 UTILE NETTO MEDIO ANNUO 159,87 Va precisato che anche la Stoffkontor Kranz non nega che questi prezzi siano molto elevati, ma potendo eseguire internamente tutta la lavorazione fino al prodotto finito, riescono a contenere il valore aggiunto di ogni fase senza ricaricarlo sul prezzo finale. Inoltre, pur vendono i loro prodotti

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a base di fibra d’ortica con il marchio “Nettle World” da loro creato, di ortica i prodotti ne hanno solo una piccola percentuale fra il 5 ed il 10%. Probabilmente il costo di un lenzuolo o di un asciugamano interamente d’ortica, attualmente, sarebbe fuori mercato. Fra le peculiarità della fibra d’ortica è attualmente allo studio quella sulla combustione, in quanto parrebbe più lenta ad infiammarsi. Se ciò fosse vero ci sarebbe sicuramente un forte interesse per un tessuto del genere, vista anche la sua tenacia e resistenza, nel settore delle “poltrone” per spazi e mezzi pubblici, dai teatri alle navi da crociera, in quanto pochi secondi in più farebbero la differenza in caso d’incendio. Anche se attualmente fosse possibile ottenere un “premio” molto elevato che giustificherebbe un prezzo della paglia così elevato, difficilmente si potrebbe sostenere nel medio-lungo periodo. La ricerca di varietà selezionate adatte alle condizioni locali, macchinari e tecniche colturali mirate, abbattimento dei costi della fase di macerazione, miglioramento delle rese, potrebbero adeguatamente compensare la riduzione del prezzo della paglia.

4.3.3 La ginestra da fibra (Spartium Junceum)

Le informazioni relative alla coltivazione della ginestra sono state reperite essenzialmente comparando i dati colturali ottenuti da altre colture assimilabili (Canapa, Lino, Ortica, ecc.), nonché adattando le esperienze di coltivazione non tessile della ginestra. Inquadramento botanico Spartium junceum L. Classe: Dicotiledone, Famiglia: Leguminose. Nomi comuni: Ginestra comune, Ginestra odorosa. Caratteristiche sistematiche La ginestra è un arbusto alto da 1 – 2 metri sino a 3 - 4 metri; fusto molto ramoso e cavo, compressibile e fibroso, che alla fioritura è privo (o quasi) di foglie. Le foglie glauche da subito, sono semplici, glabre, consistenti, verde scuro, da obovato oblunghe a lineari; margine intero, sessili o con peduncolo breve, delle dimensioni variabili da 3 – 5 mm di larghezza a 20 – 25 mm di lunghezza. Fiori ermafroditi, papilionacei, inseriti da soli o in gruppi lassi nell’ultimo terzo dei rami, mediante un breve peduncolo; di colore giallo, profumati, corolla di 2 – 2,5 cm. Presenta 5 petali con il vessillo grande, i due laterali liberi e i due basali a formare la carena, anch’essi liberi ma aderenti; presenta 10 stami, di cui 9 saldati tra loro ed 1 libero (stami diadelfi). Ovario supero con un solo stigma. Il frutto è un legume compresso e lineare, con 10 – 15 semi schiacciati e giallastri, pubescente ed eretto, delle dimensioni variabili da 6 – 7 mm x 40 – 80 mm; le due valve, una volta aperte e seccate, si presentano contorte.

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Comportamento ed habitat Pianta pioniera, perennante, con sviluppato apparato radicale, capace di colonizzare terreni estremi (ad esempio lave vulcaniche o terreni salini); predilige clima caldo-secchi, localizzandosi dal Lauretum sino agli orizzonti inferiori del Castanetum, con eccellenze presenti sia sulle pendici etniche (2.000 mt. slm) che Appenniniche (1.300 – 1.400 mt. slm). Appartiene alla flora mediterranea, e pertanto viene ritrovata in vaste macchie dell’intero territorio nazionale, principalmente come specie miglioratrice dei terreni nudi o degradati. Fiorisce da maggio a luglio e l’impollinazione è entomofila. Predilige l’esposizione diretta ai raggi solari, pur adattandosi bene anche alle zone parzialmente ombreggiate; resiste bene sia alle basse che alle alte temperature. Preparazione del terreno e rotazione colturale Per la messa a dimora necessita di terreno molto profondo e ben drenato al fine di evitare i dannosi ristagni idrici, anche povero in elementi nutritivi o sassoso. La concimazione dovrà essere ridotta al minimo, con formula di concimazione 1:1,2:1,5 N:P:K soprattutto usando fertilizzanti idro-solubili; occorre ricordare che essendo una leguminose, contribuisce ad arricchire il terreno di azoto. Essendo una coltura “pioniera”, è possibile coltivarla in habitat privi di coltivazione agricola; pertanto non risulta entrare in nessuna rotazione. Propagazione e trapianto La propagazione vegetativa della ginestra avviene durante i mesi di luglio-agosto-settembre per talea, mentre la semina di tale pianta viene effettuata tipicamente in primavera; tra i due metodi, quello che offre senz’altro maggiori potenzialità risulta essere il primo, in quanto la semina, oltre ad una naturale difformità tra gli individui, ha anche lo svantaggio di portare ad una difformità nella maturazione degli individui anche di alcune settimane, con il rischio di raccogliere piante non ancora mature in fase di raccolta. La talea, dopo una prima sosta in vivaio di moltiplicazione, all’interno di contenitori contenenti un substrato di radicazione favorente lo sgrondo delle acque, viene trapiantata nella primavera successiva in pieno campo, con sesti di impianto non troppo fitti (vista la forte capacità di accestimento della coltura), variabili da cm. 70 – 100 sulla fila e 100 – 120 tra le medesime. Irrigazione e difesa fitosanitaria L’irrigazione può essere limitata ad una semplice di soccorso, potendo, infatti, ben sopportare lunghi periodi siccitosi. Relativamente alle avversità, la ginestra risulta essere pianta resistente ai principali parassiti animali o fungini, con l’unica eccezione (seppur poco accentuata) degli afidi. Raccolta e resa La resa della ginestra aumenta dopo i primi anni, arrivando anche a 40 t/ha di vermene fresche. Da fresche a secche le vermene perdono oltre il 50% di peso. Va comunque rilevato che adottando un sistema meccanizzato della raccolta, pertanto tagliando vicino terra tutti i rami della pianta, l’anno seguente il nuovo butto arriverà a massimo 10 cm. Ciò vuol dire che la raccolta, se meccanizzata, si otterrà solo ogni due anni. Non è pensabile eseguire una raccolta annuale solo delle vermene “vecchie”, corrispondente alla potatura di ogni singola pianta. Una volta falciate le vermene dovranno essere raccolte; anche questa un’operazione non è facile in quanto non esistono macchine appositamente studiate per tale operazione. La rigidità delle vermene e la loro relativa lunghezza di 50-70cm non si addice alla raccolta con rotoimballatrici o mietilegatrici. Forse la soluzione potrebbe essere una macchina trinciaforaggi, come per il silo-mais, appositamente adattata.

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Caratteristiche della fibra di ginestra Il diametro delle fibre varia tra 50-80 mm. La lunghezza della fibra è in media 8 mm (i valori oscillano tra 5-16 mm). La superficie delle fibre è liscia e solo talvolta presenta delle striature longitudinali. Nel complesso la fibra assomiglia a quella del lino pur essendo assai più ruvida in relazione al notevole ispessimento delle pareti. La fibra è molto resistente all’acqua e non si altera anche dopo un lungo periodo di immersione. Resiste benissimo all’acqua marina perciò era impiegata per reti, cordami, etc. Molto resistente alla luce, com’è risultato da prove di irraggiamento con raggi ultravioletti. La fibra è facilmente colorabile, ha un forte potere di imbibizione e un basso peso specifico (si calcola che il peso specifico sia 7/10 di quello del lino). Per un uso tessile della fibra è importante sottolineare una ripresa di umidità variabile da 7,5 a 12,6%, buone caratteristiche di assorbenza e buone doti di resistenza agli alcali. Può essere utilizzata nel settore della lana, juta, lino e fibre di cocco. Il grado di filabilità, inoltre, è buono. La fibra è elastica e parecchio resistente alla trazione.

Fibra grezza di ginestra

Altri utilizzi Lo Spartium junceum, a differenza del Cytisus scoparius, contiene un’alcaloide velenoso, la citisina, che non deve essere confuso con la sparteina presente nella Ginestra dei carbonai, il cui uso è noto pur se strettamente riservato ai medici od ai farmacisti, al fine di ottenere cardiotonici. Diverse esperienze sono state condotte sull’idoneità della ginestra per la produzione di pasta cellulosa, con risultati tutto sommato lusinghieri, visto che le fibre ricavate dai rametti verdi si presentano estremamente flessibili e resistenti in impasti di cellulosa. Dalla lavorazione della pianta si ottengono, inoltre, sottoprodotti che possono essere utilizzati nell’industria pannellistica, nella produzione di essenze odorose per profumi, nella produzione di coloranti naturali per tinture.Un promettente impiego risulta essere quello in campo automobilistico, tramite la realizzazione di laminati misti tra plastica e ginestra, quale sostituto della fibra di vetro. Aspetti economici Il ciclo economico di un ginestreto viene indicato in circa 20-25 anni, anche se la durata potrebbe essere più lunga ma ad oggi ancora da dimostrare. Per ottenere un utile medio netto positivo nel ciclo dei 24 anni (Tab.3), le vermene dovrebbero essere vendute a €115/t. Se il prezzo delle vermene fosse simile a quello della canapa di €150, l’utile salirebbe a €291/ha, ma considerando che le vermene non sono macerate e che la fibra è più adatta ad usi industriali che per il settore tessile, difficilmente otterrebbe tale prezzo.

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Tab. 3 - Sintesi coltura della ginestra anno 1 anno 2 anno 3 anno 4 anni pari 6-20 anni 22 e 24RICAVI (A) vermene 0,00 690,00 0,00 1.380,00 2.070,00 1.380,00contributo UE 250,00 250,00 250,00 250,00 250,00 250,00

250,00 940,00 - 1630,00 2320,00 1630,00COSTI DIRETTI (B) Lavorazione del terreno 210,00 Trapianto 12430,00 Diserbo meccanico 25,00 25,00 25,00 25,00 Raccolta 452,75 805,50 1167,14 805,50TOTALE COSTI DIRETTI (B) 12.665,00 477,75 25,00 830,50 1.167,14 805,50COSTI INDIRETTI (C) Quota di manutenzione 189,98 7,17 0,38 12,46 17,51 12,08Quota di ammortamento 379,95 14,33 0,75 24,92 35,01 24,17Spese generali 1646,45 62,11 3,25 107,97 151,73 104,72Oneri finanziari e fiscali 379,95 14,33 0,75 24,92 35,01 24,17Altri costi indiretti 189,98 7,17 0,38 12,46 17,51 12,08TOTALE COSTI INDIRETTI (C) 2.786,30 105,11 5,50 182,71 256,77 177,21UTILE NETTO (A-B-C) -15.201,30 357,15 -30,50 616,79 896,09 647,29UTILE NETTO TOTALE 485,04 UTILE NETTO MEDIO ANNUO 20,21 4.3.4 La canapa da fibra (Cannabis Sativa L.)

Impianto sperimentale di canapa da fibra a Cadriano (Bologna)

Introduzione La cannabis sativa è una pianta che appartiene alla famiglia delle Cannabinacee appartenente all’ordine delle Urticali, a ciclo annuale, a fusto eretto. La canapa può essere monoica o dioica a seconda che presenti individui aventi solo fiori maschi o solo fiori femminili o siano presenti fiori di entrambi i sessi. L’infiorescenza maschile a sviluppo completo è una pannocchia composta da numerosi racemi ascellari. L’infiorescenza femminile si presenta invece come una spiga. Le foglie sono prevalentemente opposte, picciolate, palmosette, con tre-nove segmenti lanceolati, acuminati, seghettati e pubescenti. La radice è a fittone con esili ramificazioni laterali. Il fusto presenta nodi ed internodi spesso più grossi nel mezzo dello stelo che non alle estremità. In situazioni ottimali può raggiungere i 5 metri di altezza in 4/6 mesi. Il frutto è una nocula (achenio) chiamato “ seme“, ovoidale di colore bruno che a volte si presenta ancora racchiuso negli involvi fiorali. L’insieme

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delle fibre tessili, denominato comunemente tiglio, rappresenta il libro de fusto. Si trova nella corteccia e costituisce il principale prodotto commerciale. Non esisterebbero differenze tassonomiche fra piante da droga e piante da fibra per cui la specie Cannabis sativa L. sarebbe unica. Le differenze sono invece a livello varietale: esistono varietà ad alto contenuto di fibra tessile e basso contenuto di sostanze psicotropiche ed altre varietà a basso contenuto di fibra tessile ma ad alto contenuto di allucinogeni. Esigenze climatiche Grazie al suo breve ciclo vegetativo ed alla molteplicità delle varietà esistenti, la canapa può adattarsi ai climi più diversi. Ad esempio, veniva coltivata in passato dagli oltre mille metri in Piemonte all’ambiente Mediterraneo del sud Italia. I climi più favorevoli sono comunque quelli caldo-umidi delle regioni temperate che consentono lo sviluppo di gran masse di sostanza organica. La germinazione del seme avviene a 8-10°C e le giovani piantine resistono meglio delle altre colture primaverili alle gelate tardive. Fiorisce intorno ai 19° C ed i semi maturano alla somma di 230°C, richiedendo quindi temperature gradualmente crescenti. Nel periodo che va dalla semina alla fioritura, i caldi precoci, specie se accompagnati da intensa aridità, sono nocivi poichè dispongono le piante a prefiorire e rimanere quindi basse di statura. Un’abbondante umidità giova molto quando è coltivata su terreni permeabili, mentre è dannosa ove si presentano prolungati ristagni idrici che soffocano le radici. Durante la maturazione dei semi, non solo resiste bene all’umidità dalla fioritura in poi, ma è più produttiva in presenza di piogge. Teme però i freddi autunnali precoci. La ricerca è basata sulle esperienze di coltivazione della canapa da fibra in Italia e in Toscana, frutto di sperimentazioni per la sua reintroduzione, permessa dal Reg. Ce 1251/99 dopo un periodo di assoluto divieto di coltivazione a causa della legislazione sulle sostanze stupefacenti. Crescita della pianta e qualità dei suoli La qualità e quantità della fibra prodotta risulta proporzionale alle condizioni di ospitalità del suolo in termini di fertilità fisica e nutrizionale. I migliori terreni sono quindi quelli di medio impasto, profondi, freschi, permeabili e con alto tenore in sostanza organica. Buone rese (80-100 q/ha) possono essere ottenute anche su terreni meno dotati, a meno che i suoli si rivelino eccessivamente argillosi, caratterizzati da prolungati ristagni idrici o da scheletro prevalente. Particolare attenzione bisogna prestare alla giacitura dei terreni, perché bisogna garantire una buona esposizione ed è necessario evitare eccessive pendenze per la conseguente difficoltà ad utilizzare i macchinari necessari alla raccolta. Le varietà di canapa Le varietà di Cannabis sativa ammesse per la coltivazione sono elencate nell’all. XII del Reg. Ce 1251/99

Origine Nome Italia Carmagnola- CS Carmagnola Selezionata- Fibranova- Red Petiole Francia Fedora 17 – Fedora 19 – Fedrina 74 – Felina 32 – Felina 34- Ferimon – Fibrimon 24 –

Fibrimon 56 – Futura – Futura 75 – Ipsilon 68 – Santhica 23 - Santhica 27 – Dioica 88 Germania Fasamo Spagna Delta Llosa - Delta 405 Polonia Benino – Bialobrzeskie Ucraina Juso 14 – Juso 31 Olanda Chamaleon Ungheria Kompolti

Queste sono le varietà che hanno un contenuto di THC ( tetraidrocannabinolo) nelle infiorescenze inferiore allo 0.2 %. Il seme deve essere certificato da Ente autorizzato. Tuttavia delle varietà

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ammesse solo poche sono effettivamente reperibili sul mercato. Purtroppo le varietà italiane, in passato considerate le migliori del mondo, hanno subito un gravissimo danno al patrimonio genetico a causa del lungo periodo di abbandono della coltivazione. Piccole quantità di semi di Carmagnola, CS e Fibranova sono conservate per la moltiplicazione presso l’Istituto Sperimentale Coltivazioni industriali di Bologna e non sono ancora disponibili per il mercato. In base alla destinazione d’uso vengono scelte le varietà più appropriate (produzione per seme, per cellulosa, per fibra) e di conseguenza vengono adottate le scelte agronomiche. Inserimento nelle rotazioni agrarie La canapa è la tipica coltura primaverile da rinnovo, che da un lato richiede un’accurata preparazione del terreno, dall’altro lascia una cospicua fertilità residua. Infatti, le piante che la seguono si avvantaggiano sensibilmente dell’azione rinettante e dell’importante massa di residui organici lasciati sul terreno (15-20 t/ha di peso fresco). Sebbene la canapa si inserisca bene in tutti gli ordinamenti colturali, il reddito che mediamente risulta ottenibile in base agli attuali prezzi di mercato pone la coltivazione di fibra meno pregiata inseribile solo negli ordinamenti estensivi. Quando raccolta prima di andare a seme, la canapa potrebbe essere avvicendata a se stessa, dato che soffre poco i problemi di stanchezza del terreno, aumenta però la necessità di difesa dagli organismi dannosi e dalle malerbe con conseguente pericolo di abbassamento qualitativo del prodotto. In questo caso, i trattamenti si rivelano problematici, data l’attuale mancanza di prodotti chimici e biologici già sperimentati e la difficoltà di applicazione negli stadi avanzati di crescita del fusto. Le lavorazioni e la concimazione Le lavorazioni del terreno iniziano in autunno con la rottura delle stoppie della coltura precedente e l’aratura. In questa occasione, si esegue anche la concimazione di fondo, in cui si somministrano gli elementi nutritivi poco mobili, fosforo e potassio ed eventualmente sostanza organica. La canapa assorbe anche elevate quantità di calcio, ma raramente è necessario aggiungerlo nei suoli italiani, che in genere sono sufficientemente ricchi di questo elemento. I quantitativi di nutrienti da somministrare sono in relazione alle esigenze trofiche della pianta, che, in base ai dati di diversi autori, risultano essere abbastanza variabili:

Elemento Kg di Unità fertilizzanti /ha Azoto 90-120 Anidride Fosforica P205 40-60 Potassio K20 130-170 Calcio 100-150

A fine inverno cominciano i lavori di preparazione del letto di semina effettuati con frangizolle ed erpice, avendo cura di sminuzzare ben bene il terreno. Nel caso di sola concimazione minerale, segue la somministrazione di azoto che è importante sia disponibile alle piantine sin dai primi momenti di crescita. L’epoca ed il procedimento di semina In Italia, l’epoca adatta per la semina inizia nel mese di marzo nel centro-sud e si prolunga sino alla metà di aprile nel centro-nord. Bisogna fare attenzione a non ritardare troppo perché in tal caso aumentano i rischi di ‘stretta’ (mancanza di approvvigionamento idrico), cui le piante sono particolarmente sensibili durante la prima fase di accrescimento. E’ da tener conto anche della necessità di effettuare il raccolto, sia di seme che di steli, prima delle piogge autunnali, per poter eseguire correttamente l’essiccazione in campo o la trebbiatura. Si utilizza la normale seminatrice da grano ponendo il seme ad una profondità di due/tre centimetri ed il quantitativo da utilizzare varia a seconda che si tratti di produzione da fibra, da seme o mista. Nel primo caso la densità dovrà essere elevata (100-150 piante/mq con interfila di 12 cm) per forzare lo sviluppo delle piante

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in altezza e prevenire la ramificazione del fusto. E’ a tal fine necessaria una quantità di seme intorno ai 50-60 kg/ha, in ragione della varietà di seme scelta. Nel secondo caso, al fine di ottenere la maggiore quantità di seme possibile, bisogna permettere un’ottima ramificazione della pianta adottando una distanza dell’interfila di 50-70 cm, in funzione del tipo di mietitrebbia utilizzata alla raccolta. La densità di semina sarà quindi molto più bassa (30-50 piante/mq) e sono necessarie 10-15 kg/ha di seme. Nel terzo caso si può procedere ad una coltivazione mista che dia cioè un raccolto soddisfacente oltre che di seme, anche degli steli rimasti in piedi dopo la trebbiatura. In tal caso si considera un investimento medio di 40-60 piante/mq per un quantitativo di seme intorno ai 25-30 kg/ha di seme. Infestanti e parassiti La coltivazione della canapa si può decisamente definire a basso impatto ambientale anche per la forte capacità competitiva nei confronti delle infestanti dovuta alla elevata densità e alla forte velocità di crescita delle piante. In base al protocollo di coltivazione del PSR della Regione Toscana PSR 2000/2006 non sono ammesse applicazioni con diserbanti né con antiparassitari. Residui di pesticidi a base di triazina potrebbero ritrovarsi nei tessuti di canapa. Occorre sottolineare che infestazioni economicamente dannose si presentano prevalentemente in presenza di coltivazioni estese e ripetute. La canapa può soffrire per la presenza di orobanca ramosa (Phelipea ramosa), della Cuscuta europea e del convolvolo (Convolvulus poligonium). Per quanto riguarda gli insetti, qualche danno può essere provocato dalla pulce della canapa (Psyllioides attenuata Koch) quando il clima è particolarmente secco e la temperatura elevata: in tal caso occorre trattare chimicamente (methilparathion). La piralide della canapa (Grapholita delineana) può insediarsi nello stelo causando la morte della pianta. In tal caso occorre intervenire con prodotti specifici (Bacillus Thuringiensis Berliner). Le crittogame parassite possono essere controllate con appropriata concimazione organica e con le rotazioni . La raccolta Attualmente la normativa comunitaria impone il taglio quando almeno il 5 % del seme è formato, fase che nelle nostre zone coincide con l’ultima decade di agosto. Le date imposte non coincidono però con il periodo di maturazione tecnica. Infatti il ciclo vegetativo della canapa si esaurisce in circa 100/120 giorni. Giungono a maturazione prima le piante maschili e poi le femminili. Il fusto, a partire dal basso, passa da un colore verde al giallo pallido e quindi perde le foglie. L’epoca della raccolta nelle nostre zone (maturazione tecnica) cade nella seconda metà di luglio fino alla prima metà di agosto. Oltre questo periodo diventa molto problematica la raccolta a cominciare dalle operazioni di taglio, data la consistenza tenace dello stelo. Si raccoglie con la metodologia della fienagione: si taglia con barra falciante meglio ancora con falcia condizionatrice e si imballa. Le piante vengono lasciate in campo per ridurre l’umidità (che non deve essere superiore al 18 % del peso) procedendo periodicamente a ranghinature per accelerare il processo ed evitare l’insorgenza di muffe. Ultimata l’essiccazione, si procede alla raccolta in balle o rotoballe, trinciate o meno secondo la richiesta del trasformatore. E’ possibile procedere alla raccolta in fasci: ciò dipende dalla destinazione del prodotto. Le operazioni di taglio sono collegate direttamente con le metodologie di trasformazione proprie degli impianti. La raccolta a fasci è utile per la produzione di fibra tessile pregiata. La macerazione in campo ha bisogno di 14-21 giorni per essere completa Resa La resa dipende da diversi fattori: la varietà, le condizioni del suolo, il clima e dai possibili elementi di disturbo (grandine, parassiti, etc). In linea di massima per la fibra si va dalle 8-10 tonnellate di fusti per ettaro delle varietà monoiche alle 10-12 tonnellate di fusti per ettaro delle varietà dioiche, che equivalgono ad una resa in fibra tra 2 e 3,2 t/ha. La percentuale di fibra totale varia dal 30% al 40 % e solamente il 9% di questa a fine lavorazione sarà riconosciuto economicamente pregiato.

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La “Baby canapa” Attualmente in Italia la canapa è coltivata industrialmente solo nella zona di Ferrara. I coltivatori hanno optato per la “Baby canapa”, cioè un metodo di coltivazione che permette di sfruttare i macchinari già esistenti per la coltivazione del lino. Le varietà coltivate sono di origine francese, monoiche, che si caratterizzano per la taglia ridotta, resistenza all’allettamento e per una totale uniformità nello sviluppo e nel diametro del fusto. La densità utilizzata è di 400-500 piante/mq in modo da ottenere delle piante alte e sottili con un alto contenuto di fibre più fini.Una volta che le piante hanno raggiunto i 110-115 cm, vengono irrorate con un prodotto disseccante (glifosate) che agisce nel giro di due settimane. Se ciò comporta dei vantaggi per la meccanizzazione, è altresì vero che diminuisce considerevolmente la quantità del raccolto, si aggiungono costi economici ed ambientali, e si ottiene fibra di qualità peggiore dato che lo sviluppo delle piante non è completato. Una volta disseccate, le piante vengono lasciate a macerare “in piedi” per circa 20-30 giorni, per poi venire tagliate e lasciate in campo ancora una decina di giorni per completare la macerazione e seccare. Gli steli paralleli vengono poi pressati in rotoballe.

Tab. 4 - Conto colturale della Canapa da Fibra Tradizionale RICAVI (A) unità €/unità

paglia (t/ha) 8,00 180,00 1440,00 contributo UE 250,00 1690,00

COSTI DIRETTI (B) unità €/unità Preparazione del terreno

aratura 1 100,00 100,00 erpicatura 1 30,00 30,00 130,00

Concimazione fertilizzante 100 0,29 29,00

distribuzione 1 10,00 10,00 39,00 Semina

seme (kg) 60 3,80 228,00 semina a file 1 35,00 35,00 263,00

Raccolta taglio 1 100,00 100,00

irrigazione x macerazione 2 60,00 120,00 rivoltatura 4 40,00 160,00

rotoimballatura 23 8,75 200,00 carico camion 23 1,50 34,29

trasporto 23 10,50 240,00 854,29 TOTALE COSTI DIRETTI (B) 1286,29

COSTI INDIRETTI (C) Quota di manutenzione 1,5% 19,29 Quota di ammortamento 3,0% 38,59 Spese generali 13,0% 167,22 Oneri finanziari e fiscali 3,0% 38,59 Altri costi indiretti 1,5% 19,29

TOTALE COSTI INDIRETTI (C) 282,98 UTILE NETTO (A-B-C) 120,73

Aspetti economici I coltivatori toscani possono optare sia per il metodo tradizionale di coltivazione della canapa sia per l’opzione “Baby canapa”. Il metodo tradizione rispetto all’opzione “Baby canapa” differisce principalmente per:

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1. la semina è meno densa, con un obbiettivo di 250-300 piante/mq 2. le piante possono crescere fino alla piena maturità e pertanto raggiungere un’altezza ben

superiore ai 2 metri, che permette di ottenere delle rese elevate ed una migliore qualità della fibra

3. non vengono eseguiti trattamenti disseccanti, bensì dopo lo sfalcio delle piante si procede alla macerazione in campo

4. viste le condizioni climatiche locali potrebbe essere necessario prevede l’utilizzo dell’irrigazione a pioggia per avviare la fase di macerazione e la rivoltatura degli steli paralleli per uniformare la macerazione ed in seguito farli seccare

5. vista l’altezza delle piante deve essere previsto l’uso di un macchinario particolare che permette di tranciare le piante in due o tre porzioni, al fine di renderne possibile la lavorazione successiva (stigliatura e pettinatura) con le macchine utilizzate per il lino.

Tenendo in considerazione quanto sopra otteniamo il conto colturale mostrato in tab.4. Elaborando le informazioni disponibili per la coltivazione della Baby canapa in Toscana si è proceduto a stimare il conto colturale mostrato in tab.5.

Tab. 5 - Conto colturale della Canapa con metodo "Baby canapa" RICAVI (A) unità €/unità

paglia (t/ha) 4,00 240,00 960,00 contributo UE 250,00 1210,00

COSTI DIRETTI (B) unità €/unità Lavorazione del terreno

aratura 1 100,00 100,00 erpicatura 1 30,00 30,00 130,00

Semina seme (kg) 100 3,86 386,00

semina a file 1 35,00 35,00 421,00Diserbo

diserbante (l) 5 2,90 14,50 distribuzione 1 15,00 15,00 29,50

Concimazione fertilizzante 100 0,29 29,00

distribuzione 1 10,00 10,00 39,00Raccolto

essiccante (l) 10 3,80 38,00 distribuzione essiccante 1 29,00 29,00

estirpazione 1 60,00 60,00 rotoimballatura (balle di 350kg) 11 8,75 100,00

carico camion 11 1,50 17,14 trasporto 11 10,50 120,00 364,14

TOTALE COSTI DIRETTI (B) 983,64COSTI INDIRETTI (C) Quota di manutenzione 1,5% 14,75Quota di ammortamento 3,0% 29,51Spese generali 13,0% 127,87Oneri finanziari e fiscali 3,0% 29,51Altri costi indiretti 1,5% 14,75

TOTALE COSTI INDIRETTI (C) 216,40UTILE NETTO (A-B-C) 9,96

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Va rilevato (Tab.4) che: 1. il rendimento ad ettaro della coltura tradizionale, anche se doppio di quello della Baby

canapa (8 t/ha contro 4 t/ha), è comunque da considerarsi conservativo 2. come già accennato, si prevede un prezzo potenziale per la paglia macerata di €180/t 3. l’apposito macchinario che dovrebbe tagliare gli steli delle piante già a misura di

rotoimballatrice è ancora in fase di studio 4. la fase di taglio, macerazione in campo, raccolta e trasporto è la più critica e costosa,

rappresentando ben il 66% dei costi diretti L’analisi della tabella 6 permette di valutare gli effetti sull’utile netto della resa e dei prezzi nel caso di coltura tradizionale:

Tab. 6 €/t 6,0 7,0 8,0 9,0 10,0 11,0 12,0 t/ha

140,00 -360,70 -279,98 -199,27 -118,55 -37,84 42,87 123,59 150,00 -300,70 -209,98 -119,27 -28,55 62,16 152,87 243,59 160,00 -240,70 -139,98 -39,27 61,45 162,16 262,87 363,59 170,00 -180,70 -69,98 40,73 151,45 262,16 372,87 483,59 180,00 -120,70 0,02 120,73 241,45 362,16 482,87 603,59 190,00 -60,70 70,02 200,73 331,45 462,16 592,87 723,59 200,00 -0,70 140,02 280,73 421,45 562,16 702,87 843,59

Considerando che si potrebbero ottenere delle rese più alte di 8 t/ha, l’utile netto potrebbe diventare allettante, salendo a €240/ha con una resa di 9 t/ha e €362/ha con una resa di 10 t/ha. Rese più alte compenserebbero anche un calo del prezzo della paglia verso i €150/t, ma già a tale soglia anche con rese di 9 o 10 t/ha la coltivazione della canapa non sarebbe più così interessante. Analizzando la tabella 5 della Baby Canapa invece si possono fare le seguenti considerazioni: il prezzo della paglia di €240/t è il minimo per consentire ai coltivatori di ottenere un utile

netto positivo; tale prezzo potrebbe rispecchiare la minor resa ad ettaro senza il contributo UE il prezzo della paglia dovrebbe salire a €300/t per ottenere un utile

positivo immettendo il prezzo europeo attuale di €150/t si otterrebbe un utile negativo di €350/ha;

considerando però che la Baby canapa è macerata e considerando la differente destinazione finale della fibra, si prevede un prezzo superiore per la paglia di almeno €180/t, livello che comunque non permette di ottenere un utile positivo

il trasporto ha una notevole incidenza, rappresentando il 14% dei costi diretti; tale costo si riferisce a distanze entro i 100 km dall’impianto di trasformazione, pertanto distanze più elevate comporterebbero una incidenza ancora maggiore;

è probabile che gli agricoltori nel raggio di 10 km dall’impianto di trasformazione provvedano al trasporto con i propri mezzi, con un certo risparmio

Considerando quanto sopra, possiamo analizzare gli effetti sull’utile netto della resa e dei prezzi:

Tab. 7 €/t 3,0 4,0 5,0 6,0 7,0 8,0 9,0 t/ha

120,00 -530,76 -470,04 -409,33 -348,62 -287,90 -227,19 -166,47 150,00 -440,76 -350,04 -259,33 -168,62 -77,90 12,81 103,53 180,00 -350,76 -230,04 -109,33 11,38 132,10 252,81 373,53 210,00 -260,76 -110,04 40,67 191,38 342,10 492,81 643,53 240,00 -170,76 9,96 190,67 371,38 552,10 732,81 913,53 270,00 -80,76 129,96 340,67 551,38 762,10 972,81 1183,53

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Al potenziale prezzo di mercato di €180/t di paglia, l’utile diventerebbe positivo con una resa di 6t/ha, un target probabilmente possibile con il miglioramento genetico e della tecnica di coltivazione. Attualmente però solo un prezzo elevato della paglia renderebbe la Baby canapa un’opzione interessante per i produttori. 4.4 Confronti economici-colturali fra le colture da fibra considerate Dobbiamo innanzitutto sottolineare che un importante fonte di ricavo per i coltivatori sono i contributi della UE. In questo paragrafo verrà illustrato l’effetto distorcente che i contributi specifici hanno avuto in passato, sostituiti ora dal pagamento unico disaccoppiato, del quale gli agricoltori possono beneficiare coltivando anche le piante da fibra. L’ultima riforma dell’Organizzazione Comune del Mercato (OCM) per il lino e la canapa destinati alla produzione di fibre è avvenuta nel 2000 con il Regolamento (CE) n. 1672/2000 del Consiglio, del 27 luglio 2000, recante modifica del regolamento (CE) n. 1251/1999 e precedenti.Con la riforma dell’OCM viene eliminato il contributo specifico alla produzione di lino e canapa, facendo rientrare tali colture nel regime generale di sostegno per i seminativi, mentre si prevede un aiuto alla trasformazione delle paglie di lino e di canapa destinate alla produzione di fibre. Lo scopo principale della riforma dell’OCM è stato quello di evitare coltivazioni speculative, che erano aumentate con il regime precedente, e di promuovere soprattutto la produzione di fibre lunghe di lino incrementando l’importo degli aiuti concessi per tale coltura. Con l’entrata in vigore del regolamento, i coltivatori di lino e canapa hanno smesso di ricevere il contributo di €723,00/ha (1.400.000/ha delle vecchie lire), sostituito dal contributo generale per le colture cerealicole calcolato moltiplicando la media cerealicola della zona per €63/t. I risultati ottenuti sono stati estremamente positivi: dal 2001, anno in cui è entrato in vigore il nuovo regolamento, nell’UE-25 la superficie a lino si è stabilizzata a circa 120.000 ha, un livello analogo al periodo precedente all’inizio delle pratiche speculative, che nel 1999 avevano portato il totale delle superfici seminate a lino fino ad un picco di 233.000 ha. Nonostante il calo delle superfici totali coltivate a lino a seguito della riforma, la produzione di paglia ha registrato una tendenza positiva di oltre 192.000 tonnellate tra il 1999 e il 2004, a conferma della scomparsa della coltivazione speculativa. Nel giugno del 2003 è stata approvata la Riforma di Medio Termine della PAC con l’entrata in vigore dei Regolamenti (CE) dal n. 1782/2003 al 1788/2003, che introducono i concetti di “disaccoppiamento” e “pagamento unico”, cioè il passaggio da un sostegno vincolato al prodotto ad un sostegno erogato al produttore nell’obiettivo di realizzare una maggiore efficienza nella produzione agricola. Il nuovo sistema è entrato in vigore nel 2005 ed in Italia, per i seminativi, è stato applicato da subito senza un periodo transitorio. Il pagamento al coltivatore si basa sulla media dei contributi ricevuti nei tre anni 2000-2001-2002, pertanto i coltivatori in Toscana possono contare su un contributo, che per il 2005 è stato in media di €250,00/ha, a prescindere da ciò che coltivano. Grazie a questa riforma sono state eliminate le distorsioni dovute ai contributi specifici alle singole colture, semplificando il raffronto economico fra esse e permettendo agli agricoltori di decidere per quali colture optare anche in base ai fattori agronomici. Tornando sulle cause generali della differente affermazione delle quattro colture in oggetto questa è dovuta a diversi fattori come risulta dalla tabella 8.

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Tab. 8 Sviluppo Limitazioni Ortica - caratteristiche peculiari della fibra

- facilità di coltivazione - alto prezzo

- perdita delle “conoscenze” riguardo la coltivazione e la trasformazione

- limitato sviluppo nella disponibilità di varietà selezionate

- mancanza di macchinari specifici Lino - aiuti PAC alla produzione e alla

trasformazione - disponibilità sementi selezionate - selezione varietà localizzate - ricerca e sviluppo di macchinari specifici - brand “Masters of Linen” - alta qualità della fibra

- oscillazione dei prezzi delle fibre - redditività

Canapa - aiuti PAC alla produzione e alla trasformazione

- coltura “ecologica” rispetto al cotone - disponibilità sementi selezionate - “baby hemp” per sfruttare i macchinari

del lino - facilità di coltivazione - versatilità d’uso - industria cartiera principale sbocco

- ritardo nello sviluppo di macchinari specifici per la raccolta delle piante

- ricerca limitata nei metodi e macchine necessarie all’estrazione industriale delle fibre

- restrizioni dovute al contenuto di sostanze stupefacenti

Ginestra - domanda dal settore automobilistico (con l’entrata in vigore di leggi in merito alla percentuale di materiali riciclabili delle auto, c’è un forte interesse per le fibre naturali idonee a tale uso)

- ricerca ancora nelle fase iniziali - coltivazione attuale solo per

propagazione - raccolta meccanizzata solo ogni due

anni - mancanza di macchinari specifici - mancanza dei requisiti di “confort”

e “piacevolezza” In ambito toscano è possibile riassumere quanto riportato nei paragrafi precedenti e confrontare le diverse colture (Tab.9):

Tab. 9 Baby canapa €240/t

Canapa €180/t

Lino €210/t

Ortica* €550/t

Ginestra* €115/t

Ricavi 1.210 1.690 985 1581 1141

Costi diretti 984 1.286 940 1264 919

Costi indir. 216 283 207 278 202

Utile netto 10 121 -161 39 20

* = media sul ciclo produttivo poliennale In considerazione del prezzo della paglia, la coltura che darebbe maggior sicurezza di un utile positivo è la canapa coltivata con il metodo tradizionale. L’ortica sicuramente rappresenta un’opportunità, ma solo se effettivamente il mercato è disposto a pagare un prezzo molto elevato. Lo stesso discorso vale per la Baby canapa e la ginestra: difficilmente i prezzi di mercato possono essere quelli necessari ad ottenere un utile positivo. L’ARSIA, l’agenzia regionale Toscana per lo sviluppo agricolo, indica per il 2004 i seguenti redditi netti ad ettaro:

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Grano Tenero

Grano Duro Orzo Mais ibrido Colza Girasole Favetta

62 188 25 262 66 -20 16

Prendendo questi valori come indicativi, si nota comunque un certo divario dagli utili stimati per le colture da fibra. La coltivazione che potrebbe essere economicamente competitiva è la canapa, ma anche l’ortica potrebbe risultare interessante, sempre che si riesca ad ottenere il prezzo della paglia stimato.Se poi consideriamo che la canapa o l’ortica, essendo considerate colture migliorative, andrebbero a sostituire nel ciclo colturale piante come la favetta, il raffronto economico diventa meno importante visto il basso reddito netto di quest’ultima. Dal punto di vista della redditività economica risulta che l’utile netto di ogni coltura è molto modesto, quand’anche non sia negativo; tuttavia occorre considerare che tra i costi è stata inserita la manodopera. Questo vuol dire che l’agricoltore può avere interesse a coltivare tali piante in quanto vede comunque remunerato il proprio lavoro. Due ulteriori considerazioni che si possono fare sui conti colturali riguardano: i contributi comunitari (a cui è stato attribuito un valore medio di € 250,00) che aumentano

il valore dei ricavi ma che probabilmente dal 2013 non ci saranno più o saranno notevolmente ridotti i costi di raccolta che al momento incidono molto in quanto non si è ancora sviluppata una

meccanizzazione specifica per queste colture; è ipotizzabile che, in caso di affermazione delle colture tessili, si andrebbe incontro ad un adeguamento tecnologico delle macchine di raccolta (per le altre operazioni colturali le comuni macchine operatrici vanno benissimo) che ridurrebbero tali voci di costo.

Possiamo presumere che i 2 elementi suddetti si compensino a vicenda e che pertanto l’analisi economica mantenga la sua validità.

4.5 Aspetti ambientali delle piante da fibra Da quanto già descritto nella sezione dei conti culturali, il lino, la canapa, l’ortica e la ginestra sono specie da considerarsi a basso impatto ambientale. Non solo sono piante che si prestano alla coltivazione organica, ma la robustezza della loro fibra allunga il ciclo di vita dei prodotti ottenuti e anche alla fine del ciclo, essendo 100% naturali, sono totalmente biodegradabili. Le piante da fibra sono considerate migliorative del terreno, perché hanno un basso bisogno di input, quali fertilizzanti, antiparassitari e diserbanti, e soprattutto per il loro apparato radicale che si sviluppa in profondità, apportando un miglioramento della struttura e della fertilità del terreno, del quale usufruiscono le colture che seguono. Le tabelle 10 e 11, riportate dall’INRA - l’Istituto Francese per la Ricerca in Agricoltura, forniscono un raffronto fra il lino, la canapa e le classiche colture “depauperanti”, quali grano, patate, barbabietola da zucchero, e colza.

Tab. 10

(kg/ha) Lino Canapa Grano Patate Barb. Zucc.

Azoto (N) 100 100 130 170 220

Fosforo (P) 70 0 64 80 100

Potassio (K) 70 0 90 290 180 Se il lino e la canapa necessitano un minor apporto e spesa per i fertilizzanti, ancora più rilevante è la differenza del costo dei trattamenti.

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Tab. 11

(€/ha) Lino Canapa Grano Barb. Zucc. Colza

Concimi 66 45 139 154 135

Sementi 209 280 33 242 32

Trattamenti 101 0 202 289 191 Le piante da fibra hanno anche un minor impatto ambientale come dimostrano i calcoli dell’INRA nella tabella 12: Tab. 12 Canapa Grano Patate

Eutrofizzazione (kg PO2) 20.5 21.9 23.8

Cambiamento climatico (kg CO2) 2,330 3,370 4,120

Acidificazione (kg SO2) 9.8 16.3 22.4

Eco-tossicità terrestre (kg) 2.3 4.0 4.9

Consumo energetico (MJ) 11,400 18,100 25,600 Dal punto di vista paesaggistico queste colture contribuirebbero alla diversità del territorio agricolo. La ginestra è l’unica pianta “autoctona” tuttora presente sul territorio, anche se non coltivata, raccogliendo grande consenso per il suo aspetto ed i fiori gialli, integrandosi benissimo nel paesaggio toscano. Il lino è una pianta che facilmente si potrebbe integrare nel paesaggio con i suoi fiori azzurri molto apprezzati. La canapa e l’ortica invece potrebbero presentare delle difficoltà. La canapa, facilmente riconoscibile dalla forma particolare delle sue foglie, è conosciuta per la sua associazione alle sostanze stupefacenti, in quanto contenente sostanze allucinogeni. Oltre a sensibilizzare le persone dell’utilizzo finale per il quale viene coltivata, particolare attenzione dovrà essere messa nell’informare del suo basso contenuto di THC, anche per evitare furti. L’ortica invece non beneficia di due particolari attributi che le vengono comunemente conferiti: considerata infestante e percepita come un “nemico” in quanto urticante. Vedere dei campi coltivati ad ortica potrebbe indurre a pensare che siano stati “abbandonati”, mentre la sua proprietà urticante è sicuramente un elemento non da sottovalutare quando si propone ai consumatori un prodotto confezionato: non ci sarà da stupirsi della domanda “ma punge?”. Anche dal punto di vista ecologico queste coltivazioni sono particolarmente positive, in quanto contribuiscono a preservare la biodiversità e grazie al loro basso impatto ambientale anche a favorire un habitat adatto ad animali ed insetti. Alcuni agricoltori potrebbero beneficiarne indirettamente per creare nuovi prodotti, come il miele ai fiori di ginestra.

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5 ASPETTI TECNICO-ECONOMICI DELLA LAVORAZIONE DELLE FIBRE NATURALI

VEGETALI 5.1 Dalla paglia alla fibra L’estrazione delle fibre dalla massa vegetativa è un processo non facile e che è tuttora fonte di ricerca e discussione. Il metodo “tradizionale” prevede le seguenti fasi di lavorazione:

a) la macerazione, un processo aerobico e anaerobico che serve a sciogliere le pectine che trattengono le fibre

b) la stigliatura, per separare meccanicamente le fibre dal resto della pianta c) la pettinatura, per ripulire le fibre lunghe

Queste ultime, ma anche le stoppe di lavorazione, passano poi ai secondi trasformatori che provvedono a filare le fibre e produrre i filati, che a loro volta verranno utilizzati dai tessitori per produrre i tessuti. In Italia si conta attualmente solo un impianto industriale di prima trasformazione per le piante da fibra, realizzato a Comacchio, l’unico anche in Europa per la produzione di fibra lunga di canapa. 5.2 La macerazione La macerazione è un processo che porta alla liberazione delle fibre corticali dagli altri tessuti a seguito della degradazione delle sostanze pectiche, costituenti principali della lamella mediana della parete cellulare. Le pectine sono polisaccaridi complessi composti principalmente da catene di galatturonato, parzialmente metilate. Dove le condizioni climatiche lo permettono, perciò in luoghi dove le piogge sono frequenti, oppure dove lo sbalzo termico notturno porta alla formazione di rugiada, si procede alla macerazione “in campo”, cioè le piante estirpate o tagliate vengono lasciate a terra affinché si attivi il processo di macerazione. In Toscana, il clima caldo e asciutto non favorisce la macerazione in campo, pertanto un tempo i contadini mettevano la canapa a macerare nei canali di scolo dei campi, nei fiumiciattoli o comunque dove c’era acqua corrente, che permetteva di macerare velocemente e portar via allo stesso tempo l’odore. La ginestra invece veniva comunemente messa a macerare in vasche o conche, con acqua fredda o calda. Anche l’ortica veniva macerata in vasche, ma più per ottenerne un “repellente” contro gli afidi con cui irrorare le piante che per l’estrazione delle fibre. La macerazione in acqua però comporta un problema d’inquinamento non indifferente, per questo tali metodi sono stati vietati laddove non è possibile procedere al trattamento delle acque reflue. Si può influire sul processo di macerazione con vari metodi:

a) acqua calda: riduce notevolmente il tempo di macerazione, ma ovviamente ha un costo notevole a meno che non si abbia accesso ad acque termali

b) aggiunta di soda caustica: macerazione “chimica”, migliora il processo e riduce i tempi di macerazione, ma è causa di problemi ambientali, per la tossicità e per l‘odore nauseante

c) aggiunta di batteri degradatori: macerazione “microbiologica”, ha effetti positivi sull’andamento del processo e sulla qualità del prodotto finale

d) aggiunta di enzimi: macerazione “bioenzimatica”, sistema adottato in Germania per la macerazione dell’ortica.

Sono allo studio oggi vari metodi di macerazione industriale in ambiente controllato, sopratutto enzimatici e microbiologici, che possono anche essere preceduti da una stigliatura “verde”, cioè sugli steli ancora freschi. Questo metodo non è nuovo, infatti quando in Italia la produzione di canapa iniziò a calare, si cercò di trovare un metodo per rilanciarla e per questo venne studiata e

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valutata anche la macerostigliatura. Nonostante questo procedimento diminuisse l'impiego di manodopera a livello aziendale e permettesse un maggior controllo del delicato processo di macerazione, i progetti che lo descrivevano non sono mai stati realizzati per il concomitante collasso del mercato della canapa. All’epoca il Prof. Sacchetti, che aveva concepito il metodo, riportava i seguenti vantaggi:

Per 1 q di fibra macerata Costo macerazionemetodo tradizionale

Costo macerazione metodo Sacchetti

Acqua corrente m3 288 m3 8

Tempo di macerazione ore 200 ore 48/70

Tempo mano d’opera impiegato ore 64 ore 8

Costo Lit. 17.000 Lit. 11.000

Con la stigliatura verde si riduce notevolmente il volume ed il peso della materia da macerare, con conseguente riduzione dei costi di trasporto, ma è anche vero che andrebbe persa una parte di prodotto che invece è molto importante come fonte di reddito. Nella tabella 13 è riportato il confronto tra macerazione in campo e macerazione industriale.

Tab. 13 vantaggi Svantaggi

Macerazione in campo

- basso costo - processo naturale - non inquinante

- macerazione non uniforme

- qualità variabile - potenziale perdita del

raccolto - processo poco

controllabile - odore - processo lento

Macerazione industriale

- uniformità della macerazione

- macerazione controllabile - resa qualitativa - velocità

- costo investimento - smaltimento acque reflue - controllo emissione odori - costo di lavorazione

Nel caso di macerazione industriale, oltre al costo dell’impianto, dovrà essere valutato il costo della lavorazione, il costo dello smaltimento delle acque di macerazione e il costo del controllo delle esalazioni. Il problema delle esalazioni esiste anche nel caso della macerazione in acqua stagnante impedendo la messa in atto di tale pratica in zone abitate. In Toscana si potrebbe, prendendo spunto dalle vecchie pratiche, verificare la possibilità di utilizzare le acque termali o quelle del distretto di Larderello, come anche vedere di sfruttare gli impianti di depurazione dei distretti di Prato e S.Croce. In Piemonte, ad esempio, sono state condotte delle prove per vedere di sfruttare le risaie. Queste permettono di ottenere una macerazione in campo veloce e controllata con ottimi

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risultati, ma fino ad ora i ricavi non riescono a coprire i costi. Come già menzionato, per questo studio abbiamo ipotizzato l’uso dell’irrigazione a pioggia per innescare il processo di macerazione. Tale possibilità andrà comunque verificata e studiata in campo per determinare tempistiche, costi, qualità del risultato, eventuali effetti indesiderati. Da studiare anche la possibilità di aggiungere all’acqua composti enzimatici o colture batteriche che possano facilitare e velocizzare il processo. Un'altra possibilità potrebbe essere la rotoimballatura del materiale fresco e fasciatura delle rotoballe con film plastico nero. Il calore del sole e l’umidità della paglia dovrebbero dare inizio alla macerazione. Uno svantaggio immediato però deriva dalla necessità, terminata la macerazione, di aprire e srotolare le balle per far seccare la massa ed evitare muffe e marciumi deleteri. Non esistendo in Italia o in Europa un sito di macerazione industriale, non è facile determinare il costo di macerazione, viste anche le diverse metodologie possibili. Possiamo comunque considerare il risparmio che il produttore avrebbe nel caso non dovesse intervenire per facilitare la macerazione in campo. Per esempio, dai conti colturali della canapa possiamo estrarre il costo dell’irrigazione a pioggia e di due rivoltature per un totale di €200/ha, che divisi per la resa secca non macerata di 10t/ha, ci fornisce un dato indicativo pari a €20/t. Se in questo valore rientrassero i costi diretti della macerazione industriale varrebbe la pena valutare l’investimento nell’impianto, in quanto la macerazione industriale offre una sicurezza e uniformità di risultato ben superiore a quella in campo. E’ in corso di valutazione anche la possibilità di effettuare la separazione fisica del tiglio dalle piante a secco (stigliatura a secco), prima di effettuare la macerazione. La stigliatura a secco permetterebbe infatti di ridurre molto il volume di materiale da destinare alla macerazione con conseguente riduzione della dimensione dell’impianto di macerazione stesso. La sola stigliatura a secco non è ipotizzabile poiché la qualità della fibra sarebbe scadente (le fibre sono ancora cementate dalle sostanze pectiche). 5.3 La stigliatura e pettinatura La stigliatura e la pettinatura sono operazioni meccaniche che consentono di separare le fibre ad uso tessile dal resto degli steli macerati. La stigliatura è la prima lavorazione e serve a separare grossolanamente le fibre dalla parte legnosa della pianta. La pettinatura è invece la seconda lavorazione che si applica al solo stigliato e dalla quale si ottengono le fibre lunghe o lungo tiglio. Le macchine strigliatrici e pettinatrici presenti oggi in Europa sono state costruite appositamente per il lino. Per stigliare la canapa e l’ortica, utilizzando le stesse macchine, bisognerebbe procedere ad una taratura dei macchinari e vista la diversa taglia delle piante rispetto al lino, è necessario intervenire per ridurre la lunghezza degli steli se non eseguita in campo, che dovranno essere lunghi un minimo di 90 cm e un massimo di 110 cm. La stigliatura della ginestra non è possibile con queste macchine poiché gli steli sono troppo corti e non riescono a mantenersi paralleli ai rulli. Una volta arrivata all’impianto di prima trasformazione, la paglia macerata viene immessa nel processo di lavorazione. Nello schema seguente è riportato il processo, le rese e gli utili della lavorazione della canapa (solo per questa fibra sono disponibili tali informazioni. Per le altre fibre è necessario effettuarne una stima per confronto):

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a) stigliatura:

b) pettinatura stigliato:

Dallo schema qui riportato si evince che la resa finale di fibra lunga, detta lungo tiglio, è di 70 kg per ogni tonnellata di paglia, pari al 7%. Se i detriti non hanno nessun valore, la polvere (se raccolta), i canapuli, la stoppa di stigliatura e la stoppa di pettinatura contribuiscono alle entrate (Tab.14).

Tab. 14 - Utile di trasformazione canapa

RICAVI (A) kg €/kg

Lungo tiglio 70 3,60 € 252,00 Stoppe pettinatura 57 0,85 € 48,45 Stoppe stigliatura 390 0,35 € 136,50 Canapulo 400 0,05 € 20,00 Sussidio UE (€/t fibra) 90,00 € 46,53 € 503,48

COSTI DIRETTI (B)

Paglia 1 180,00 € 180,00 Stigliatura 1000 0,15 € 150,00 Pettinatura 130 0,90 € 117,00 € 447,00

UTILE AL NETTO DEI COSTI DIRETTI (A-B) € 56,48

Canapa

1000 kg di paglia Canapuli 400 kg

Polvere e detriti 80 kg

Stoppa stigliata 390 kg

Stigliato 130 kg

Stigliato 130 kg

Stoppa pettinata 57 kg

Lungo tiglio 70 kg

Perdite 3 kg

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Considerando che un impianto probabilmente trasformerebbe dalle 5.000 alle 8.000 tonnellate di paglia l’anno, l’utile consolidato al netto dei costi diretti sarebbe fra €282.400 e €451.840. Vanno comunque fatte alcune precisazioni che possono alterare sensibilmente il prospetto qui riportato: il prezzo della fibra pettinata di €3,60/kg è una media ottenuta in proporzione ai livelli di

qualità; se fosse possibile ottenere una resa qualitativa superiore, il prezzo potrebbe salire anche oltre i €4,00/kg;

pur essendo €150/t il prezzo medio della paglia di canapa in Europa, si tratta comunque di paglia non macerata, per questo motivo possiamo supporre che un prezzo di €180/t sia più realista

fra i ricavi non vengono considerate le polveri, che invece potrebbero essere utilizzate per il compostaggio, come in altri paesi, generando ulteriore reddito

il reddito dal canapulo è estremamente basso, in quanto venduto in massa; considerato che in altri paesi viene utilizzato per produrre lettiera per cavalli e venduto a circa €360/t, sicuramente una sua ulteriore lavorazione apporterebbe un maggior reddito

i ricavi includono il contributo UE di €90,00/t di fibra che però potrebbe variare o essere eliminato in futuro

non sono stati inclusi nel prospetto i costi fissi, in quanto una voce troppo variabile Considerando i punti qui sopra, si riportano i diversi risultati (€ utile netto/t paglia) a seconda dei parametri utilizzati e dei due differenti prezzi della paglia:

Tab. 15 Prezzo paglia € 150,00/t € 180,00/t Situazione attuale € 86,48 € 56,48 (a) Prezzo medio lungo tiglio €4,00/kg € 114,48 € 84,48 (b) Senza sussidio UE € 39,95 € 9,95 Sussidio UE parificato a quello del lino (fibra lunga + corta) € 94,18 € 64,18 (c) Costi fissi pari al 10% ricavi € 41,78 € 11,78 Costi fissi pari al 15% ricavi € 19,43 -€ 10,57 (a) + (b) € 67,95 € 37,95 (a) + (b) + (c) € 23,25 -€ 6,75

Analizzando la tabella 15 si può determinare quanto segue: la riduzione del prezzo della paglia comporta una identica crescita dell’utile netto; ciò

significa che in proporzione una piccola variazione di prezzo della paglia comporta una forte variazione dell’utile (ad es. se il prezzo della paglia scende o sale del 5%, l’utile crescerà o scenderà del 16%)

l’eventuale riduzione o rimozione del sussidio UE di €90/t di fibra prodotta sarebbe penalizzante; se il sussidio UE per la canapa venisse parificato a quello del lino, cioè introducendo il premio per la fibra lunga, si otterrebbe un utile superiore del 14%

un miglioramento della resa qualitativa, pertanto un prezzo medio di €4,00/kg di fibra, comporterebbe una crescita dell’utile del 50%

se i costi fissi superano il 13% dei ricavi si avrà una perdita la migliore resa qualitativa, e pertanto un prezzo medio di €4,00/kg di fibra, in parte

bilancerebbe l’eventuale rimozione del sussidio UE [(a)+(b) nella tabella 15], ma l’utile diventerebbe negativo con dei costi fissi del 10% [(a)+(b)+(c)]

Prendendo come base gli stessi costi di stigliatura e pettinatura usati per la canapa e applicandoli alle altre tre colture otteniamo i seguenti risultati:

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Tab. 16 - Utile di trasformazione (€/t di paglia) Lino Canapa Ortica* Ginestra*

RICAVI (A)

prezzo fibra (€/kg) € 2,50 € 3,60 € 7,50 € 3,50 Fibra € 500,00 € 252,00 € 750,00 € 315,00 Stoppe € 32,00 € 184,95 € 112,50 € 70,00 Semi € 10,00 Resti € 39,20 € 20,00 € 42,00 € 42,00 Sussidio UE (fibra lunga) € 40,00 - - - Sussidio UE (fibra corta) € 9,00 € 45,53 - - € 630,20 € 503,48 € 904,50 € 427,00

COSTI DIRETTI (B)

Paglia (€/t) € 210,00 € 180,00 € 600,00 € 130,00 Stigliatura € 150,00 € 150,00 € 150,00 € 150,00 Pettinatura € 225,00 € 117,00 € 135,00 € 135,00 € 585,00 € 447,00 € 885,00 € 415,00

UTILE NETTO (A-B) € 45,20 € 56,48 € 19,50 € 12,00 * = stime La prima puntualizzazione in merito alla tabella 16 riguarda i dati per l’ortica e la ginestra. Non essendoci dei dati economici reali a disposizione, si è continuata la stima in base al valore della paglia derivante dai conti colturali. Per rendere quanto più omogenei i dati, si è preso il valore della paglia che ritornava un utile ad ettaro simile a quello della canapa, pertanto di €600/t per l’ortica e €130/t per la ginestra. Supponendo quindi le rese ed un costo di trasformazione uguale per tutte, si è calcolato il valore del filato (€/kg) che permetteva di ottenere un utile positivo. Analizzando la tabella 16 si può desumere che: la canapa ha l’utile netto maggiore delle varie fibre; bisogna comunque considerare che il

prezzo della fibra di canapa è superiore del 44% rispetto alla fibra di lino, una differenza troppo marcata visto che tra le due fibre la differenza dovrebbe essere del 20-30%

se venisse tolto il sussidio UE, il lino riporterebbero un utile negativo; per avere un utile positivo, il prezzo della fibra di lino dovrebbe aumentare del 2% a €2,55/kg

nonostante un prezzo stimato al kg della fibra molto più elevato, sia l’ortica che la ginestra hanno l’utile minore

supponendo la possibilità per l’ortica e la ginestra di ricevere il sussidio UE, restando positivo l’utile, il prezzo della fibra di ortica potrebbe scendere a €7,10/kg (-5%) e quello della fibra di ginestra a €3,10/kg (-11%)

l’alto costo della paglia d’ortica, ben 3 – 4 volte quello delle altre piante da fibra, si ripercuote sul prezzo finale della fibra, che ha un prezzo pari a 2 – 3 volte quello delle altre fibre; un valore della paglia uguale a quello della paglia di lino permetterebbe di abbassare il prezzo finale della fibra d’ortica a €3,80/kg ottenendo un utile pari a €39,50/kg

In una ottica di mercato, possiamo confrontare i prezzi con quelli evidenziati in questo studio. Per esempio, possiamo confrontare il prezzo della canapa italiana con quella cinese: €3,60 – 4,00 /kg rispetto a €2,50/kg, una differenza del 44%. Bisogna però considerare che la canapa cinese è un prodotto “semi-lavorato” in quanto già candeggiato e pronto per essere lavorato, mentre la canapa

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italiana è totalmente grezza. Allo stesso tempo il prodotto cinese è di sole fibre corte e adatto solo ad una lavorazione in “melange”, cioè l’unione di più fibre per creare un filato. La canapa italiana invece è a fibra lunga, adatta ad una filatura in purezza. 5.4 La filatura Con il termine filatura si intende definire sia la complessa sequenza di operazioni necessarie alla trasformazione delle fibre tessili in filato oppure in filo, sia lo stabilimento industriale in cui avviene tale lavorazione. Sintetizzando possiamo affermare che scopo della filatura consiste nell’ottenere un prodotto finale (sia che si tratti di filo o di filato) il più possibile omogeneo, dotato di uniformi caratteristiche di resistenza, titolo, colore, pulizia, elasticità, resistenza alla trazione. 5.4.1 La filatura cotoniera Fin dall’ antichità, l’ uomo ha imparato che dopo la raccolta del frutto del cotone (ossia l’omonima fibra) occorre separare il seme dalla fibra tessile vera e propria e, successivamente, con l’ utilizzo di apposite attrezzature, è possibile trasformare il fiocco di cotone in filato. Pur trattandosi di un difficile processo, i reperti più antichi costituiti da tessuti di cotone dimostrano che già le maestranze tessili dell’ antica Grecia possedevano una spiccata capacità operativa ed erano in grado di raggiungere un ottimo livello qualitativo nella produzione di filati e tessuti di cotone. Filatura cardata del cotone Essendo il cotone, notoriamente, una fibra a taglio corto (15 – 50 mm) la filatura cardata risulta particolarmente adatta per trasformare il fiocco di cotone in filato. Nonostante le innovazioni tecnologiche e l’introduzione di nuove tecniche di filatura (filatura a rotore o Open End), la filatura cardata risulta essere ancora notevolmente diffusa a livello mondiale. Cotone: ciclo cardato • Apertura delle balle e battitura del fiocco • Cardatura • Preparazione alla filatura • Filatura con filatoio ad anelli • Lavorazioni complementari quali: roccatura, stribbiatura, binatura, gasatura, aspatura, torcitura. Filatura pettinata del cotone Con la rivoluzione industriale, in Inghilterra nacque l’esigenza di diversificare il filato di cotone cardato tradizionale, introducendo un tipo di filato più sottile ma altrettanto resistente. Questo fu possibile grazie all’ innovazione introdotta dal tedesco Heilmann, che nel corso del XIX secolo ha studiato, realizzato e commercializzato la pettinatrice, una macchina in grado di selezionare il nastro semilavorato scartando le fibre corte, consentendo l’ottenimento di filati pregiati in quanto più sottili e composti prevalentemente da fibre lunghe. Cotone: ciclo pettinato • Apertura delle balle e battitura del fiocco • Cardatura • Pettinatura • Preparazione alla filatura • Filatura con filatoio ad anelli • Lavorazioni complementari quali: roccatura, stribbiatura, binatura, gasatura, aspatura, torcitura.

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Filatura open end del cotone Nel corso degli anni ’60 dello scorso secolo, tecnici cecoslovacchi studiarono un innovativo sistema di filatura per fiocchi composti da fibre a taglio corto come il cotone. Il nuovo sistema prevedeva un solo passaggio direttamente da stiratoio a filato Cotone: ciclo open end • Apertura delle balle e battitura del fiocco • Cardatura • Stiro • Filatura con filatoio a rotore (open end) • Lavorazioni complementari quali: roccatura, stribbiatura, binatura, gasatura, aspatura, torcitura. 5.4.2 La filatura liniera Le tecniche attuate per pettinare, ordinare, regolarizzare, stirare, filare le fibre per ottenere il filato tessile variano in base alla materia prima utilizzata ed al tipo di filo da produrre. Si distinguono in questo senso due schemi di trasformazione per la filatura tradizionale del filato di puro lino: - la filatura del lino lungo tiglio, che utilizza le fibre lunghe estratte dalla pianta al momento

della stigliatura; - la filatura della stoppa, che utilizza le fibre più corte residui della pettinatura o della stigliatura. 5.4.2.1 Filatura del lino lungo tiglio Il lino viene fornito alla filatura sotto forma di fibra lunga. In base al tipo di macchina installata presso il filatore, giunge direttamente dalla stigliatura sotto forma di filaccia oppure di nastro di lino pettinato. Sono tre le tappe di trasformazione successive che consentono di ottenerne un filato da utilizzare per la tessitura o per la maglieria: la pettinatura, lo stiro e la preparazione, la filatura. Con la pettinatura, i fasci di fibra lunga vengono ripuliti, districati e parallelizzati ed uniformati per formare un nastro continuo da sottoporre alle operazioni successive di accoppiamento e di stiro. Per la pettinatura della fibra lunga si utilizzano macchine specifiche di grandi dimensioni che sono diverse da quelle in uso per la lana oppure per il cotone. La raccolta delle stoppe Nel corso della pettinatura una certa quantità di fibre corte (stoppe) si stacca dal tappeto di filaccia. Le stoppe della pettinatura sono separate da cilindri muniti di punte (doffers) e raccolte in cassoni collocati sotto le macchine oppure raccolte con sistemi di aspirazione, per essere poi classificate in due categorie: stoppe dal piede e stoppe dalla testa della pianta. Entrambe verranno utilizzate nel processo di filatura. La formazione del nastro Una volta pettinate, le mannelle di filaccia affinate vengono collocate su di un tavolo inclinato composto da una serie di pettini mobili (gills). Sovrapponendosi, le mannelle formano un nastro che viene ripreso da due rulli di calandra e quindi raccolto in vasi per essere pressato, imballato e immagazzinato. Il peso dei nastri varia da 20 a 40 grammi al metro a seconda del titolo del filato che si vuole ottenere. Lo stiro e la preparazione I nastri di lino vengono successivamente sottoposti ad una serie congiunta di operazioni di accoppiamento e di stiro destinate a regolarizzare il peso dei nastri, a parallelizzare e ad affinare le fibre per ottenere degli stoppini. Le installazioni e le tecnologie Le macchine utilizzate per questi passaggi sono del tipo a pettini mobili. Dalla loro combinazione in termini di tipologia e di quantità ed in base alla omogeneità della produzione che offrono, esse formano linee diverse come per esempio:

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• un riunitore, su cui vengono miscelati i nastri pettinati in numero variabile da 4 a 6 per compensare le irregolarità della materia prima e consentire la qualità omogenea del filato;

• da quattro a cinque stiratoi che permettono di miscelare ed affinare progressivamente il nastro. I coefficienti di stiratura variano in genere da 8 a 12 a seconda del titolo che si desidera ottenere;

• un banco a fusi, per trasformare il nastro in stoppino. Anche questa macchina è munita di pettini. I supporti delle spole sulle quali viene arrotolato lo stoppino sono perforati in maniera tale da consentire il successivo trattamento chimico e la circolazione del bagno dall’interno all’esterno della bobina. I coefficienti di stiro in genere sono classificati da 10 a 14.

La filatura La filatura è l’operazione finale del processo che trasforma lo stoppino in filato. Sono svariate le tecnologie esistenti per filare la fibra di lino: • la filatura ad umido che può essere realizzata con stoppini greggi, bolliti o candeggiati; • la filatura a secco; • la filatura a semi-bagno. Queste tecnologie applicano lo stesso principio di stiro, di affinamento e di torsione delle fibre per ottenere la coesione del filato. Le loro caratteristiche tecniche e le scelte operate dal filatore sono in funzione della natura e del tipo di filato ricercato. La filatura ad umido La filatura ad umido è la tecnologia più qualificata e consente di ottenere filati di qualità e finezza incredibili. Si tratta di una tecnologia basata sul funzionamento della filatura continua identico a quello applicato per altre fibre, con tuttavia quattro particolarità: • la macchina è dotata di una vaschetta d’acqua attraverso la quale passa lo stoppino svolto dalle

spole prima di giungere alla fase di stiro; • il campo di stiro è disponibile in due versioni. Il modello a due cilindri comprende una coppia di

cilindri di alimentazione e un paio di cilindri di stiro con scartamento regolabile. L’altro modello, quello a stiro controllato, è da tre cilindri di stiro, una gabbia a corona, un guida-stoppino ed un braccio oscillante con pressione e avanzamento regolabili;

• il cursore (o anellino) è in poliammide anziché in acciaio; • la piastra porta-anelli può essere fissa o mobile. La tecnica della filatura a base di stoppini bolliti o candeggiati è ampiamente usata e consente di ottenere un filato bollito o candeggiato, regolare con una finezza fino a 16 tex. In questo caso lo stoppino, proveniente dal banco a fusi disposto in vasche di candeggio aperte o in autoclavi, viene sottoposto ai seguenti trattamenti: a. La bollitura alcalina Questo primo trattamento, eliminando la gran parte delle sostanze non

cellulosiche (come le emicellulosiche) e le sostanze pectiche contenute nel lino, agevola lo scorrimento delle fibre elementari durante la filatura e facilita l’ottenimento di filati fini. La bollitura si può fare a partire dal carbonato di sodio o dalla soda caustica.

b. Il candeggio Successivamente lo stoppino può essere sottoposto a trattamento a base di agenti ossidanti grazie ai quali si ottiene il grado di bianco desiderato, l’eliminazione delle materie non cellulosiche e una lieve degradazione della cellulosa.

Lo stoppino bollito e candeggiato viene collocato direttamente sul filatoio per le operazioni che porteranno alla realizzazione del filato. Al termine della filatura, le bobine vengono collocate negli asciugatoi la cui temperatura non deve eccedere 90°C. La filatura a secco Grazie a questo procedimento, la filatura può essere eseguita direttamente sul filatoio continuo iniziando dall’ultimo nastro di preparazione. In questo caso non occorre più l’operazione eseguita sul banco a fusi. La filatura a secco della fibra di lino è simile alla filatura del semipettinato di lana ed, infatti, viene eseguita con macchine simili applicando dei coefficienti di stiro elevati, l’alimentazione tramite grandi recipienti. I filatoi continui a secco per il lino

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dispongono inoltre di pettini molto fitti in grado di controllare le fibre più lunghe. I filati ottenuti possono raggiungere anche titoli di 60 tex. La filatura a semi-bagno Il filatoio continuo a secco può essere dotato di un dispositivo a rulli che gira in una vasca d’acqua collocata all’uscita del sistema di stiro per inumidire il filato. La tecnica della filatura a semi-bagno consente di ottenere dei filati con pelosità ridotta. 5.4.2.2 La filatura della stoppa Nel settore tessile si fa uso anche della stoppa di lino. Si tratta di fibre più corte raccolte in fase di stigliatura oppure nella pettinatura della fibra lunga di lino che è la più apprezzata considerato che in genere offre delle stoppe con migliore pulizia e finezza. La filatura della stoppa di lino comporta quattro stadi di trasformazione: la cardatura, la pettinatura, lo stiro e la miscelazione, la filatura. La cardatura La cardatura è un’operazione meccanica che separa, elementarizza e riunisce le fibre per formarne un nastro. La pettinatura Il nastro di stoppa cardata passa sugli stiratoi dotati di due serie di fenditure dentate (intersectings). E' possibile usare anche pettini a catena. In genere due passaggi sono sufficienti per preparare la stoppa per la pettinatura. Lo stiro La filaccia di stoppa una volta pettinata viene convogliata verso una serie di stiratoi attraverso casse a lamelle intersecanti dove, con tre passaggi, si regolarizza il peso per raggiungere un titolo compatibile con la filatura. La filatura Per filare la stoppa di lino si ritorna alle tre tipologie applicate per la filatura della fibra lunga. Procedimenti e materiali sono gli stessi e le differenze dipendono dalla finezza del titolo del filato. La filatura ad umido Questo è il procedimento più utilizzato per il lungo tiglio piuttosto che per la stoppa. Tuttavia si realizza seguendo le medesime condizioni tenendo presente un passaggio preliminare a cui sottoporre la stoppa sul banco a fusi. I titoli del filo arrivano fino a 60 tex. La filatura a secco In tutto identica alla filatura a secco delle fibre lunghe, questa tecnica è simile a quella del semipettinato di lana e si applica alla filaccia all’ultimo passaggio. Se le stoppe sono di buona qualità, si ottengono fili da 80 a 100 tex. La filatura a semi-bagno Questo procedimento di filatura a semi-bagno può essere applicato a partire dalle stoppe e consente di ridurre la pelosità del filo. Il tema della filatura della stoppa è stato quindi approfondito nel corso di una visita presso l’azienda Filati GM, con lo scopo di appurare se localmente fosse possibile filare le stoppe delle fibre vegetali. L’incontro ha sortito risposte in parte positive ed in parte ha riproposto alcuni elementi di criticità del sistema pratese nel campo della filatura di fibre vegetali. Positività: La Filati GM, come pure altre filature dell’area, sono in grado di filare stoppe vegetali disponendo di un sistema open end particolarmente adatto a fibre corte. Già questo avviene regolarmente lavorando queste stoppe sia al 100% sia in mischia con altre fibre.

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Criticità: Le filature hanno bisogno di fibre “cotonizzate” ossia ben ripulite da ogni residuo legnoso e sostanze pectiche. Al momento non esisteno nel distretto impianti in grado di eseguire questa “cotonizzazione”. Per una descrizione del processo di cotonizzazione vedi par. 5.4.3.1. 5.4.3 La filatura della canapa La lavorazione tradizionale della canapa è sostanzialmente simile a quella del lino e può essere lavorata sulle stesse macchine; semplificando si può dividerla in tre settori: 1. La lavorazione della fibra lunga è principalmente usata nella produzione di filati di canapa a

filatura bagnata. Dopo la raccolta e dopo aver completato il processo di macerazione (macerazione con rugiada, macerazione con acqua), i fusti di canapa "defogliati" vengono poi seccati, liberati dal nocciolo di legno in una sequenza di procedimenti di stigliatura come visto precedentemente…

2. La lavorazione della stoppa, similmente al lino, per stoppa si intende l’ insieme di fibre corte che costituiscono lo scarto delle lavorazioni di stigliatura e pettinatura. Alcuni tipi di stoppa assieme alle fibre non filabili sono lavorati per realizzare prodotti tecnici come materiali per l’isolamento e modanature. Queste fibre di "bassa qualità" possiedono ancora un grande potenziale per migliorare il loro valore aggiunto.

3. Cotonizzazione Nel corso dell ’800 erano già state effettuate delle ricerche concernenti la cotonizzazione della canapa, a causa di una più vasta produttività nell’industria cotoniera rispetto all’industria della fibra. Le fibre di canapa venivano ordinate in base alla lunghezza ed alle caratteristiche tecniche di filatura in accordo con quelle del cotone (cotonizzazione), così che la loro lavorazione potesse essere realizzata con le macchine per il cotone.

5.4.3.1 La cotonizzazione Si riporta un estratto da “New processing strategies for hemp” di K. M. Nebel (1995):

“ Le sostanze appiccicose come la pectina o la lignina, responsabili della tenacia nei filati in acqua di canapa, devono essere rimosse per quanto possibile nel processo di cotonizzazione per ottenere un isolamento più o meno completo delle singole fibre. Tutto ciò può essere fatto sia attraverso l'utilizzo di vari metodi di elementarizzazione che con metodi di cotonizzazione puramente meccanica oppure meccanico-chimica.

Il principio dell’esplosione a vapore Nel metodo dell’ esplosione a vapore, il vapore, e gli additivi, quando necessari, penetra, sotto pressione e con la temperatura gradualmente aumentata, lo spazio tra le fibre nel fascio. In questo modo la lamella centrale e le sostanze aderenti la fibra vengono elementarizzate "morbidamente" e rese solubili nell’acqua, per essere poi rimosse dalla successiva lavatura e risciacquatura. A seconda della qualità desiderata delle fibre elementarizzate, la pressione del vapore può essere improvvisamente ridotta ad atmosferica, e sfiatata con i substrati in una camera di stabilizzazione. La combinazione del trattamento chimico e meccanico provoca un efficace slegamento della struttura rigida della fibra e, per questo, una separazione in fibre singole. La tecnica dell’esplosione a vapore Le fibre, una volta decorticate e, quando possibile, ben pulite, sono utilizzate come materia grezza. Non ci sono conseguenze se si usano fibre gramolate, stoppa oppure fibre provenienti da altri stadi di lavorazione. Le caratteristiche di qualità oggettive delle fibre, (grado di maturità e macerazione, caratteristiche chimico/morfologiche e tecniche), nell’ambito di una gestione ottimizzata dei parametri di lavorazione, vengono raggiunte adottando metodi moderni (Kessler et al. 1994).

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Il materiale grezzo o d’entrata è pre-trattato con una soluzione impregnante e trattato in un reattore simile ad una camera presurizzata, con vapore saturato. Sia la pressione (0-12 bar) ed il tempo (1-30 minuti), che la concentrazione alcalina variano in base alla qualità ed allo scopo designato delle fibre. Dopo il tempo di reazione necessario, il reattore si decompressa ad un livello di pressione normale per mezzo di una valvola (esplosione a vapore).”

5.4.4 Ortica e fibre liberiane in genere Il ciclo industriale per l’ottenimento di filati sopradescritto per lino e canapa è sostanzialmente valido anche per le altre fibre liberiane. Pertanto per la descrizione del ciclo di lavorazione per l’ottenimento del filato si può riferirsi a quanto descritto in precedenza. 5.5 Elementi di criticità

5.5.1 Dal campo al filato Analizzando i processi di trasformazione industriale delle fibre vegetali delle specie oggetto di studio, il primo elemento di criticità che si può individuare è rappresentato dalla mancanza, nel distretto di Prato e nella regione Toscana, di impianti per la produzione di filati con fibre lungo tiglio. In particolare sono mancanti gli impianti di stigliatura e filatura lungo tiglio, mentre per la filatura delle stoppe si potrebbero sperimentare soluzioni locali. Oltre a coinvolgere filature che possano filare le stoppe cotonizzate, sarebbe di estremo interesse sperimentare l’utilizzo, magari con semplici modifiche, di impianti già esistenti nel distretto, come:

1. Impianti di battitura per la pulizia da residui lignei 2. Impianti a pressione per la tintura del fiocco in sostituzione dell’esplosione a vapore 3. Impianti per il lavaggio del fiocco.

Ciò consentirebbe di risolvere il problema primario, il completamento del ciclo di filatura in ambito distrettuale; ma anche il reimpiego di impianti che stanno sempre più diminuendo in considerazione dei cambiamenti produttivi nel distretto. Questa constatazione ci pone davanti ad un bivio: • Appena disponibile una produzione locale di piante delle fibre oggetto di sperimentazione si

potrebbe rivolgersi a industrie fuori regione, che possano eseguire queste lavorazioni in conto terzi

• Progettare e realizzare un impianto pilota di dimensioni ridotte che possa essere la base per la sperimentazione futura.

In una prima fase si potrebbe pensare alla soluzione 1 e successivamente far convivere le due soluzioni (lasciando la soluzione 1 solo per gli esuberi di produzione non gestibili con l’ impianto pilota) fino ad arrivare all’autonomia. Per quanto riguarda invece la filatura delle stoppe lo scenario per la produzione di filato risulta diverso ed aperto a sperimentazioni da attuarsi nel distretto. Rimane la criticità relativa alla stigliatura e la pettinatura, essendo le stoppe un sottoprodotto di tali lavorazioni, mentre per la filatura potremmo ricercare collaborazioni con impianti di filatura, che utilizzano la tecnologia cotoniera, presenti nel distretto come pure potrebbe essere utile una sperimentazione in collaborazione con realtà quali Tecnotessile ed in particolare riferendosi al nuovo impianto di cardatura derivato dalla tecnologia open end. Non è da sottovalutare la possibilità di sperimentare la filatura delle stoppe anche su impianti normalmente destinati al ciclo laniero.

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La sperimentazione di filati derivati da stoppe non dovrebbe limitarsi alla produzione di filati 100% ma dovrebbe ricercare nuove miste che esaltino le caratteristiche delle fibre componenti. In questa sperimentazione dovrebbero essere prese in considerazione anche miste con fibre naturali non vegetali quali lana e seta. La sperimentazione dovrebbe essere mirata a soddisfare le esigenze ed i gusti del consumatore finale tenendo conto delle varie “regole” che disciplinano i mercati sia a livello locale ma anche a livello europeo e mondiale. A questo scopo sarebbe importante una ricerca di mercato che possa indirizzare la sperimentazione relativa alla fase di trasformazione industriale individuando, anche, prodotti per mercati specifici che utilizzano tessuti in fibre vegetali in maniera diversa dallo standard degli altri mercati. Ad esempio al mercato austriaco dove i tessuti in fibre vegetali sono impiegati anche per abbigliamento invernale. Per le fasi successive alla filatura non sembrano esserci punti di criticità particolari; intendendo per fasi successive: • Tintura (in rocche o matasse) • Orditura • Tessitura • Nobilitazione (compreso eventuale tintura in pezza) Ormai da anni il distretto pratese usa per i tessuti della stagione primavera-estate fibre vegetali, sia da stoppe che da fibra lungo tiglio, acquistando i filati da produttori sia del nord Italia sia dall’Europa e paesi extra UE. Pertanto la tecnica di lavorazione di queste fibre è ben conosciuta e non rappresenta un particolare problema. 5.5.2 Costi: rapporto qualità prezzo Attenzione particolare dovrà essere posta al problema dei costi che dovranno essere attentamente rilevati e monitorati. Non dobbiamo perdere di vista che la produzione della filiera oggetto del presente progetto dovrà confrontarsi con i prezzi di mercato in particolare per il lino e la canapa, in misura inferiore per la ginestra e l’ortica, fibre relativamente nuove per il mercato attuale. Per meglio assolvere a questo compito, il monitoraggio e la rilevazione dovranno essere effettuati a diversi stadi della filiera. Naturalmente per una corretta determinazione del costo unitario dovranno essere rilevate le rese di lavorazione da tenere costantemente sotto controllo. Oltre agli stadi di produzione e prima lavorazione, dovrà essere monitorato lo stadio di filatura: partendo dal costo del nastro pettinato o delle stoppe si dovrà stabilire il costo di filatura e quindi il costo del filato. A questo punto sarà possibile stabilire il prezzo per la cessione agli utenti successivi.

5.5.3 La qualità del prodotto e controllo della difettosità Per i motivi di concorrenza del mercato a cui si accennava precedentemente è importante che il prodotto, derivante dalla filiera oggetto del presente studio, sia esente da difetti e che le proprie caratteristiche siano costanti.

o Nastro pettinato: controllo del titolo (peso a m) che deve essere costante in tutta la partita, per consentire una resa in filato costante nel tempo.

o Filato: titolo costante e rispondente a quello nominale, uniformità del filo senza presenza di ingrossamenti (escluso la normale fiammatura dei filati ricavati da fibre vegetali) o punti con sezioni troppo sottili che in seguito produrranno rotture e difettosità. Costanza di elasticità e tenacità.

o Tessuto greggio: assenza di difetti provocati da rotture di ordito o trama, fili e trame mancanti, valutazione della natura dei difetti e loro causa.

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Un corretto controllo dei difetti ed una loro valutazione comporterà la possibilità di intervenire per la loro eliminazione e conseguente miglioramento dello standard qualitativo. Nel settore tessile non esistono, attualmente, norme condivise per valutare la difettosità e quindi la qualità di un prodotto. Per studiare un prontuario delle caratteristiche tecniche del prodotto derivante dalla filiera oggetto del presente studio si potrà riferci a quanto codificato da: “Raccolta provinciale degli usi” della Camera di Commercio, “Raccomandazioni concernenti le caratteristiche e i difetti nei tessuti destinati all’abbigliamento” dell’Associazione Italiana Industriali Abbigliamento e Maglieria, “Progetto standard di qualità” dell’Associazione Nobilitazione Tessile. Inoltre sia per i filati che per i tessuti dovrà essere garantito che tutta la lavorazione, fino a quello stadio, è stata effettuata nel rispetto dell’ ambiente. 5.5.4 La risposta del mercato Il prodotto derivante dalla filiera oggetto del presente studio, nel confrontarsi con il mercato, si troverà a misurarsi con due tipologie di possibili acquirenti:

a. Acquirenti trasformatori (anche soggetti appartenenti alla filiera), possono definirsi acquirenti trasformatori:

o Filatori che acquistano dalla filiera Natural.Tex il nastro pettinato o le stoppe o Tessitori che acquistano dalla filiera Natural.Tex il filato per produrre grezzi o

tessuti finiti

Nei confronti di questi “clienti” la filiera Natural.Tex dovrà porsi nella condizione di offrire un prodotto a prezzo competitivo con gli altri produttori, con un elevato rapporto qualità prezzo. Dovrà riuscire ad offrire prodotti innovativi (vedi quanto precedentemente detto in merito alla filatura delle stoppe e sperimentazione di nuove miste).

b. Acquirenti utilizzatori o consumatore finale Nei confronti di questo “cliente”, la filiera Natural.Tex dovrà essere in grado di comprendere le preferenze e le esigenze, il grado di propensione all’innovazione (in riferimento a nuove fibre come l’ortica o in riferimento a nuove miste). Dovrà offrire un prodotto con un buon contenuto moda ed un rapporto qualità prezzo accettabile dall’acquirente.

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6 ANALISI “SWOT” DELLE PIANTE DA FIBRA Le analisi fino a questo momento esposte sono state quindi riassunte secondo la metodologia SWOT, che si prefigge l'individuazione dei punti di forza (Strenghts) e dei punti di debolezza (Weaknesses) intrinseci all'adozione dell'innovazione all'interno delle singole realtà produttive, delle opportunità (Opportunities) e dei rischi (Threats) connessi a tale innovazione, provenienti dal contesto esterno cui sono esposte tali realtà. Punti di forza la domanda di fibre naturali è in aumento per ragioni sia reali che di pensiero le caratteristiche fisiche e chimiche delle fibre naturali sono considerate buone dando

l’opportunità di modificarle per essere adattate a molteplici e differenti applicazioni -> grande flessibilità di trasformazione

gli investimenti industriali necessari sono relativamente piccoli rispetto ad un impianto per la produzione di fibre sintetiche

le piante da fibra sono facili da coltivare e rientrano bene nella rotazione delle colture, essendo ben diverse dagli altri seminativi

essendo piante annuali o comunque con un breve ciclo di vita (a parte la ginestra), è più facile procedere alla selezione di nuove varietà e alla moltiplicazione; inoltre permettono un adeguamento più rapido alle necessità di mercato rispetto a fonti alternative di fibra come gli alberi

maggiore facilità a soddisfare verifiche ambientali

Punti di debolezza nel breve periodo si fa molto conto sul supporto economico dato dalla UE; gli industriali

sono poco propensi ad investire su materiali che non hanno stabilità economica mancanza di incentivi per gli agricoltori a migliorare la qualità e i rendimenti ed in generale

mancanza di conoscenze e apprendistato sulle fibre mancanza di integrazione nell’industria che è generalmente frammentata fra coltivatori,

trasformatori e venditori che non comunicano e interagiscono fra loro in modo pro-attivo il trasporto e lo stoccaggio in azienda della paglia va ben coordinato il mercato delle fibre può essere soggetto a “dumping” da fibre provenienti da altri paesi

per ragioni politiche o necessità economiche le fibre europee non sono economicamente competitive rispetto alla juta che arriva

dall’India e Bangladesh, alla canapa ed al lino a fibra corta che arrivano dalla Cina le fibre di origine agricola hanno problematiche riguardo la loro eterogeneità, come la

variabilità della lunghezza e finezza, contenuto di impurità, bassa elasticità Opportunità movimento ecologico-ambientalista: i consumatori stanno diventando sempre più consci,

informati sugli effetti ambientali dei prodotti nel loro ciclo di vita; ciò crea un vantaggio per i prodotti biodegradabili e potrebbe favorire un prodotto europeo, più che del terzo mondo, fatto con materiali europei (tracciabilità)

l’applicazione di sistemi “appena in tempo” (just in time) nel settore manifatturiero potrebbe favorire la fibra europea

regolamenti sul riciclaggio e smaltimento, come il regolamento UE sul packaging, e varie legislature a livello nazionale che obbligano i produttori ad utilizzare alte quantità di materiali riciclabili; esempio è la legislatura tedesca che obbliga i produttori di auto a raggiungere un target dell’85% di materiali riciclabili sul peso totale delle auto

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fluttuazioni di prezzo delle fibre di origine estera: la stabilità nell’offerta e nei prezzi delle fibre nella moneta locale sono importanti per la preparazione dei budget da parte degli acquirenti

nonostante i consumi nell’occidente siano stabili, altrove la domanda di beni quali i vestiti sono in crescita

Rischi lo sviluppo e la crescita delle fibre sintetiche è sempre più veloce, caldeggiato da forti

investimenti da parte delle multinazionali: nuove “microfibre” come il Tencel, Lyocell e Deposa sono minacce alla nicchia ambientale del lino

il cotone “biologico”, se coltivato con successo, sfaterebbe molti dei punti che vengono tuttora addossati al cotone, che anche se naturale, dal punto di vista ambientale, è estremamente dannoso, in quanto richiede grandi dosi di erbicidi, pesticidi, fertilizzanti, nonché molta acqua per l’irrigazione, facendone una coltura depauperante, di degrado ambientale e nociva anche alla salute umana

La riforma della PAC ha ridotto i sussidi a disposizione sia degli agricoltori che, in parte, dei primi trasformatori; gli effetti di ulteriori cambiamenti sono difficili da prevedere, ma di sicuro queste incertezze non aiutano a prendere delle decisioni di lungo periodo soprattutto per quanto riguarda gli investimenti in nuovi impianti di trasformazione.

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7 ANALISI DELLA VOCAZIONALITÀ DEL TERRITORIO TOSCANO ALLA

COLTIVAZIONE DI PIANTE DA FIBRA Al fine di stimare le potenzialità produttive di fibra del territorio toscano, è stata effettuata un’analisi della vocazionalità (suitability) del territorio stesso analizzando i principali fattori climatici, pedologici e morfologici che influiscono maggiormente sulla crescita e sviluppo delle specie da fibra oggetto del presente studio. Nel fare ciò si è proceduto ad una accurata ricerca delle informazioni disponibili nella letteratura scientifica ed agronomica, relative alle esigenze fisiologiche ed ambientali delle specie interessate. La definizione degli indici di seguito riportati e la loro suddivisione in classi di idoneità, sono il risultato della sintesi dei dati. Per ogni specie sono state, quindi, realizzate mappe tematiche distinte per ciascun parametro e indice. La sovrapposizione di tali piani informativi e la loro combinazione ha portato alla creazione, per ciascuna specie, di un’unica mappa di zone territoriali omogenee, con diverso livello di idoneità colturale (crop suitability). I diversi piani informativi sono stati elaborati mediante ArcGis ESRI. Per tutti i temi geografici è stata adottata la proiezione geografica Gauss Boaga (fuso ovest – riferimento Monte Mario) e sono state uniformate tutte le immagini raster alla stessa risoluzione. La carta relativa alla “suitability” meteorologica è stata sovrapposta a quella morfopedologica, realizzando in questo modo la carta di “suitability” finale morfopedoclimatica di ogni specie da fibra.

7.1 Definizione delle unità di paesaggio L’analisi di idoneità alla coltivazione (suitability) per le diverse specie da fibre è stata effettuata a livello raster: ad ogni pixel di superficie di 2,5 ha è stato assegnato un valore di suitability. A partire dal modello digitale del suolo è stato creato lo strato di suitability morfologica (pendenze ed esposizioni). A questo è stato sovrapposto lo strato informativo pedologico, attraverso un overlay geografico, creando lo strato di suitability morfopedologica. Infine, è stato sovrapposto lo strato dei dati meteorologi opportunamente elaborati, creando la carta di suitability finale per ogni coltura. Il valore assegnato ad ogni pixel rappresenta la media dei valori scaturiti dalla sovrapposizione, considerando ogni fattore con valore 0 limitante rispetto a tutti gli altri. 7.2 Indici calcolati per la suitability Per ogni indice e parametro considerato, qui di seguito descritto, sono state definite 4 classi di idoneità: S1 =ottimale; S2 = subottimale; S3 = accettabile; NS = non idonea. Per la redazione delle carte di “crop suitability” delle colture da fibra, alle 4 classi sono stati attribuiti i seguenti punteggi:

CLASSE PUNTEGGIO S1 10 S2 5 S3 1 NS 0

Qui di seguito sono riportate le 4 carte finali relative alle colture prese in considerazione.

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7.3 Analisi statistiche per coltura A partire dalle carte di idoneità alla coltivazione, sono state eseguite delle analisi statistiche per calcolare gli ettari potenzialmente coltivabili per ogni coltura suddivisi per classe di idoneità.

Canapa

0

5000

10000

15000

20000

25000

S3 S2 S1

Classe

Etta

ri

Superficecalcolata

Ginestra

0

5000

10000

15000

20000

25000

30000

35000

1 2 3

Classe

Etta

ri Superficecalcolata

Ortica

0 5000

10000

15000

20000

25000

30000

35000

S3 S2 S1

Classe

Ettari Superfic

calcolat

Lino

0

5000

10000

15000

20000

25000

1 2 3

Classe

Ett

ari Superfice

calcolata

Sono stati, quindi, calcolati gli ettari potenzialmente coltivabili (corrispondenti alle classi di idoneità S1, S2 e S3) suddivisi per provincia. In realtà le superfici che potrebbero essere destinate alla coltivazione di piante da fibra sono quelle che attualmente corrispondono a seminativi irrigui e non irrigui. Pertanto le carte di idoneità realizzate sono state sovrapposte alla carta di uso del suolo, ottenuta da elaborazioni di immagini da satellite, e sono state calcolate le superfici che risultavano idonee alla coltivazione e che ricadevano all’interno di aree classificate a seminativo. I risultati, divisi per provincia e specie, sono mostrati nelle tab. 17, 18 e 19.

7.4 Analisi statistiche per provincia e per coltura

Tab. 17

Province Seminativi irrigui e non irrigui

(classificazione da satellite Corine – ha) Arezzo 5.782,5 Firenze 5.290

Grosseto 14.707,5 Livorno 3.452,5 Lucca 762,5

Massa-Carrara 132,5 Pisa 9.087,5

Pistoia 1.180 Prato 485 Siena 12.445 Totale 53.325

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Tab. 18 - Superficie Potenziale (ha)

Province Canapa Ginestra Lino Ortica Arezzo 5.475 6.965 4.712,5 7.390 Firenze 4.252,5 5.957,5 3.397,5 5.557,5

Grosseto 7.310 8.252,5 6.142,5 7.040 Livorno 3.412,5 3.325 3.162,5 4.232,5 Lucca 2.565 2.505 2.420 2.602,5

Massa-Carrara 682,5 612,5 620 500 Pisa 7.127,5 8.002,5 5.855 8.912,5

Pistoia 1.657,5 1.720 1.610 2.105 Prato 512,5 547,5 497,5 660 Siena 10.820 12.700 7.957,5 11.827,5 Totale 43.815 50.587,5 36.375 50.827,5

Tab. 19 - Superficie Reale (Sovrapposizione su Corine) (ha)

Province Canapa Ginestra Lino Ortica Arezzo 3.265 3.437,5 2.967,5 4.277,5 Firenze 1.537,5 2.307,5 1.340 2.275

Grosseto 4.630 4.217,5 3.967,5 4.500 Livorno 2.177,5 2.110 2.060 2.707,5 Lucca 515 477,5 505 630

Massa-Carrara 75 70 67,5 72,5 Pisa 4.235 4.357,5 3.592,5 5.290

Pistoia 892,5 885 882,5 1.130 Prato 355 365 350 430 Siena 5.972,5 6.750 4.627,5 6.797,5 Totale 23.655 24.977,5 20.360 28.110

7.5 Analisi del comparto agricolo pratese La disponibilità di un quadro completo della realtà agricola provinciale rappresenta uno strumento indispensabile per tutti i soggetti che devono assumere decisioni ed attività programmatiche per il settore. I dati della dimensione economica del settore a livello provinciale non lasciano spazio a dubbi riguardo la marginalità dell’agricoltura in termini di fatturato prodotto e di impiego di forza lavoro. La situazione attuale è il frutto di scelte economiche e produttive che hanno creato, con successo, un distretto provinciale ad alta specializzazione industriale. In questo contesto l’agricoltura è stata notevolmente trascurata come filiera. Tuttavia trascurare le aree agricole, forestali e gli ambienti seminaturali vuol dire trascurare circa l’80% del territorio provinciale (Fig.13), che invece ha grandi potenzialità di sviluppo nella produzione di eccellenze alimentari, di servizi ambientali, di manutenzione del territorio, di ospitalità agrituristica ed in un prossimo futuro anche nella produzione di materia prima destinata ad un utilizzo “no-food” come la fibra tessile ed energia rinnovabile. L’universo aziendale pratese risulta caratterizzato da aziende piccole; ne consegue che la tipologia di agricoltura presente è di tipo part-time e a forte carattere residenziale. Questo, che certamente è un fattore di debolezza economica, può consentire comunque il recupero, il mantenimento e l’orientamento verso lo sviluppo sostenibile di fasce nevralgiche di territorio come l’alta Val di Bisenzio e la collina del Montalbano. Non mancano realtà produttive interessanti localizzate soprattutto nelle zone della collina arborata di Carmignano, Montemurlo e Vaiano, luoghi e siti delle vecchie fattorie mezzadrili. Qui, infatti,

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alcune aziende di eccellenza hanno attivato un processo di qualificazione del prodotto; questo fenomeno svolge un grosso compito di traino e di valorizzazione delle produzioni locali sia per le piccole aziende sia per le medie aziende in crescita che si stanno affacciando sul mercato Da una analisi molto aggregata dell’utilizzo del suolo, risulta che il territorio maggiormente vocato alle colture tessili (fatta eccezione per la Ginestra che si adatta bene in zone montane) è la piana pratese (Tab. 21); qui, infatti, si riscontra una forte vocazione verso i seminativi (2270 ha in media negli ultimi 6 anni). Se si esamina l’ordinamento colturale delle aziende della piana pratese si conferma una economia agricola strettamente legata al sistema dei seminativi: questi rappresentano circa il 57% della superficie totale. Infatti i cereali quali: mais da granella, girasole, barbabietola, sorgo ed il set- aside a questi collegati e i prati pascolo ricoprono circa il 70% della superficie totale analizzata. Da quanto detto sembrerebbero esserci buone opportunità di sviluppo delle colture tessili a livello territoriale. Infatti, le superfici attualmente investite a seminativi tradizionali, potenzialmente potrebbero essere riconvertite a colture tessili. Tale ipotesi risulta, attualmente, plausibile considerando che i prezzi dei prodotti tradizionali (cereali, leguminose, oleaginose, etc.) registrano continui ribassi nei valori di mercato; d’altro canto il nuovo regime dei premi comunitari (che ad oggi incidono in modo sostanziale nel reddito dell’impresa agricola) prevede gli stessi contributi per qualsiasi tipo di coltura erbacea, sia essa a destinazione alimentare sia industriale.

Fig.13 - Uso del suolo della Provincia di Prato (Fonte: SIT Provincia di Prato)

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Un possibile fattore di limitazione per alcune delle colture da fibra (come Ortica e Lino) potrebbe essere la disponibilità di acqua mentre per altre (Canapa) il problema non si pone. In provincia di Prato oggi risultano irrigui 300-400 ha di cui circa la metà interessa seminativi tradizionali (Mais, Frumento); la rimanente parte di terreno irriguo interessa colture ortive e frutteti che per ragioni di redditività non sarebbero sostituibili con le colture tessili. Sulla base di tali considerazioni sono state calcolate le superfici di terreno che ad oggi risultano avere maggiore vocazionalità per le colture tessili (200 – 300 ettari in tutta la provincia) e congiuntamente anche le possibili rese (vedi Tab. 22); oltre a questi terreni sono ipoteticamente utilizzabili altri 1700-1900 ha di terreno (oggi a seminativo), in tutta la provincia di Prato, sui quali tuttavia ci si aspetterebbero delle rese unitarie inferiori. Di seguito si riportano alcune tabelle che sintetizzano e quantificano numericamente la portata del settore agricolo pratese. In particolare la tabella 20 riporta, a livello provinciale e regionale, la distribuzione delle aziende e la suddivisione per settore produttivo delle unità locali attive (intendendo con tale termine i luoghi presso i quali l'imprenditore svolge la propria attività come filiali, succursali, ecc.). La tabella 21 riporta la composizione del territorio agricolo pratese suddiviso per comuni e per colture investite. La tabella 22 approfondisce l’analisi del territorio rurale pratese riguardo la sua suscettibilità alla coltivazione di piante tessili. Tab. 20 - Imprese registrate e attive, unità locali attive per aggregato territoriale e per sezione di attività economica al 31.12.2004

Cantagallo 298 268 41 159 114 45 115 13 2 317 Carmignano 1.360 1.259 121 823 575 248 585 119 7 1.536 Montemurlo 2.922 2.561 47 2.080 1.599 481 1.108 262 55 3.290 P. a Caiano 1.048 942 22 543 351 191 564 126 12 1.141 Prato 24.027 20.686 357 10.232 6.859 3.350 14.213 4.128 342 25.144 Vaiano 903 819 43 533 397 135 428 75 15 1.019 Vernio 430 398 49 210 125 84 216 24 2 477

Massa-Carr. 21.224 17.652 1.358 6.309 2.951 3.086 13.214 1.819 689 21.570 Lucca 44.714 37.323 3.682 14.412 6.726 7.512 25.443 4.011 827 44.364 Pistoia 33.502 28.999 4.077 12.131 6.640 5.460 18.405 3.758 336 34.949 Firenze 108.308 89.642 7.671 36.135 20.574 15.421 67.341 15.024 2.608 113.755 Livorno 32.814 28.087 3.316 7.740 3.479 4.182 23.564 3.671 585 35.205 Pisa 40.860 34.955 4.629 12.697 6.801 5.829 24.121 4.485 790 42.237 Arezzo 37.762 33.954 7.921 12.434 6.917 5.428 18.785 3.225 480 39.620 Siena 29.581 26.257 6.334 8.476 3.924 4.445 17.886 3.016 388 33.084 Grosseto 30.047 27.211 10.951 5.817 2.374 3.355 15.005 2.228 1.338 33.111 Prato 30.988 26.933 680 14.580 10.020 4.534 17.229 4.747 435 32.924 Totale regionale 409.800 351.013 50.619 130.731 70.406 59.252 240.993 45.984 8.476 430.819 Fonte: Elaborazioni Settore Sistema Statistico Regionale della Regione Toscana su dati Unioncamere

PROVINCE TOSCANE

Commercio

Comuni della Provincia di Prato

TotaleAttività

manifattur. Costruz. TotaleAGGREGATI

IMPRESE UNITA' LOCALI ATTIVEA LT R E A T T IV IT A '

Non classif ic.

TotaleRegistrate Attive A GR IC OLTU R A

IN D U STR IA

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Tab. 21 – Suddivisione a livello comunale delle superfici, per tipologia di coltivazione

Aziende Superficie Aziende Superficie Aziende Superficie Aziende Superficie Aziende Superficie Aziende SuperficieCantagallo 13 12,9 5 0,9 50 13,7 - - - - 17 4,5Carmignano 33 183,8 1 1,4 - - - - 10 65,4 26 4,2Montemurlo

16 138,0 - - 1 0,1 - - 3 45,0 8 1,9Poggio a Caiano 12 23,6 - - - - - - 5 18,5 4 1,9Prato 252 1.663,6 5 1,7 5 0,3 6 46,9 72 744,0 63 18,7Vaiano 11 22,8 - - 1 0,4 - - 1 1,0 9 3,1Vernio 17 9,2 9 0,5 84 20,7 - - - - 12 4,1Totale Provincia di Prato 354 2.053,9 20 4,5 141 35,1 6 46,9 91 873,8 139 38,4Regione Toscana 34.221 259.571,7 3.367 11.568,5 7.395 1.095,8 970 7.757,3 9.499 66.901,1 13.084 9.873,1

Aziende Superficie Aziende Superficie Aziende Superficie Aziende Superficie Aziende Superficie Aziende SuperficieCantagallo - - 138 8,0 - - 7 8,4 6 5,2 149 53,5Carmignano 1 0,1 102 8,8 - - 21 23,5 4 5,2 135 292,3Montemurlo

2 0,1 169 7,4 1 4,6 22 22,0 42 83,0 195 302,0Poggio a Caiano - - 6 1,0 - - 8 21,4 4 4,1 25 70,4Prato 5 7,6 600 31,0 6 19,1 173 215,1 60 203,3 744 2.951,2Vaiano - - 103 4,2 - - 28 45,0 - - 109 76,5Vernio 1 0,2 196 5,7 2 0,0 38 59,8 1 0,1 208 100,3Totale Provincia di Prato 9 7,9 1.314 66,0 9 23,7 297 395,1 117 300,8 1.565 3.846,1Regione Toscana 1.102 521,8 56.689 3.303,0 1.993 1.807,9 21.448 103.349,2 22.913 74.725,2 94.956 540.474,5

BARBABIETOLA PIANTE INDUSTRIALI ORTIVE IN PIENA AREA

COMUNIORTIVE IN SERRA ORTI FAMILIARI FIORI FORAGGERE AVVICENDATE (a) ALTRI TOTALE

COMUNICEREALI LEGUMI PATATA

Fonte 5° Censimento generale dell’agricoltura

Tab. 22 - Superfici in Provincia di Prato destinabili a colture tessili

COLTURA TERRENI

OTTIMI PER LA COLTIVAZIONE

(ha)

BIOMASSA OTTENIBILE

(t)

TERRENI BUONI PER LA COLTIVAZIONE

(ha)

BIOMASSA OTTENIBILE

(t)

CANAPA 267,5 2140 157,5 1260

LINO 287,5 1006 80 280

ORTICA 212,5 1487 357,5 2502

GINESTRA 275 3025 125 1375 (Fonte: elaborazioni Ibimet CNR)

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8 LE IMPRESE DELLA FILIERA E LE FIBRE NATURALI 8.1 Gli imprenditori agricoli Volendo conoscere qual’è la potenzialità produttiva di fibra vegetale nel territorio agricolo pratese, è necessario rilevare la predisposizione degli agricoltori locali ad inserire nei propri ordinamenti colturali le piante da fibra. Infatti dopo aver quantificato le superfici agricole utilizzabili a livello provinciale, è ovvio che l’affermazione delle colture da fibra passa attraverso la disponibilità degli imprenditori agricoli a coltivarle. A tal scopo è stato sottoposto ad un campione di imprenditori agricoli pratesi un questionario per verificare il loro interesse per le piante tessili. Il campione di aziende è stato selezionato in base al proprio ordinamento colturale. Per cui si sono escluse quelle dedite alla coltivazione di piante arboree o di colture ad alto reddito (ortive, vivaismo) in quanto si è ritenuto che per queste la riconversione alle colture tessili sarebbe risultato non conveniente. Il campione intervistato (34 aziende in totale) è composto da aziende dedite prevalentemente alle coltivazioni erbacee. La dimensione aziendale del campione è molto variabile, mentre l’età media è abbastanza alta (58 anni), indice questo di un mancato rinnovo generazionale che purtroppo è molto diffuso in agricoltura e che comporta una scarsa propensione all’innovazione delle aziende. Riportiamo in tabella 23 i risultati ottenuti in forma aggregata:

Mai Si Ho visto produrla, ma non ho avuto esperienza diretta

64,70 14,70 20,60

No Si, anche solo a livello di conoscenza

Si per avere valide colture alternative a quelle attuali

23,52 50 26,48

NoSi, solo se mi vengono riconosciute le spese di

coltivazione

Lo farei anche senza la certezza del reddito

55,88 38,23 5,89

Un'idea inutile Un'idea irrealizzabileUn buon strumento di

promozione dell'agricoltura pratese

29,41 20,59 50,00

Tramite contratto di coltivazione con i

trasformatori

Tramite consorzio di ritiro dei prodotti

Tramite vendita diretta sul mercato

47,06 50 2,94

Non richieda grossi investimenti in macchine

ed attrezzi

Abbia reddito superiore alle attuali colture erbacee

Prezzo di ritiro = a colture erbacee

17,65 61,76 20,59

Si, senza bisogno di formazione

Si a patto di avere adeguata assistenza

tecnica

No, non sarei in grado di farlo

17,65 44,11 38,24

Tab. 23 - RISPOSTE AI QUESITI (VALORI IN % SUL TOTALE)

Ha mai coltivato piante da fibra?

E' interessato a saperne di più sulle colture da fibra?

E' in grado di coltivare piante tessili?

E' disposto a produrre piante da fibra a scopo sperimentale?

Che ne pensa della produzione di fibre tessili con

certificazione territoriale?

Come si può attivare questo tipo di coltura?

Perché queste colture siano convenienti occorre che:

Senza entrare nel merito specifico di ogni singolo quesito, risulta abbastanza evidente una certa “prudenza” verso l’introduzione delle colture tessili. Eppure, nel dopoguerra, il territorio pratese era investito da questo tipo di colture secondo quanto risulta nella memoria degli agricoltori più anziani (circa il 20% del campione che risulta avere un’età media di 70 anni) i quali dichiarano di averla vista coltivare. E’ significativo che proprio costoro che hanno avuto un’esperienza indiretta della colture tessili si dichiarino (5 intervistati su 7) indisponibili a reintrodurre tali colture; la ragione è che gli agricoltori più anziani si ricordano il duro lavoro manuale che occorreva per la raccolta e la macerazione in campo.

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Per chi invece ha dato disponibilità a sperimentare tali colture, solo il 5.88% del campione (2 aziende su 34) è disposto a “rischiare” di coltivare piante tessili senza la certezza di avere almeno la copertura delle spese di coltivazione, mentre il 38,23 % vuole che gli siano pagate almeno le spese di coltivazione. Tale prudenza risulta ancora più evidente quando gli si chiede come si possano attivare tali coltivazioni; il 97,06% del campione ritiene che ciò possa avvenire solo sulla base di contratti di coltivazione o con la garanzia di una struttura consortile che ritiri il prodotto. La nostra interpretazione dei risultati rileva in generale una disponibilità, da parte delle aziende agricole pratesi, alla reintroduzione delle colture tessili; la loro cautela in merito alla certezza della successiva vendita ad un prezzo congruo del prodotto è più che giustificata; si consideri infatti che l’attuale congiuntura economica è caratterizzata da un continuo incremento dei costi di produzione (dall’energia alle materie prime) a fronte di un continuo ribasso dei prezzi dei prodotti causato dalla crescente competizione sui mercati. Questa situazione penalizza tutti i settori produttivi ma quello più debole di tutti, l’agricoltura, è quello che soffre maggiormente. Da ciò consegue una minore propensione al rischio degli imprenditori agricoli che temono molto di investire in nuove produzioni se poi non hanno la certezza di riprendere almeno i costi. 8.2 Gli imprenditori artigiani tessili Volendo conoscere il potenziale interesse delle imprese operanti nella filiera tessile del distretto di Prato verso i temi del progetto Natural.Tex, con l’obiettivo anche di individuare imprese potenzialmente coinvolgibili nella realizzazione della filiera obiettivo del progetto, nei mesi di maggio-giugno è stata effettuata un’indagine telefonica su un campione di 62 imprese, attraverso la somministrazione di un questionario. L’indagine intendeva anche svolgere un’attività di comunicazione e di sensibilizzazione sulle medesime tematiche Il questionario, oltre ad una serie di domande sui dati generali dell’impresa intervistata (ragione sociale, attività svolta, se tale attività è svolta in conto proprio o come terzista, numero di addetti, numero e tipologia di macchine utilizzate), era strutturato in 9 domande relative ai temi del progetto Natural.Tex. In dettaglio le domande rivolte erano le seguenti: 1) Quale tipologie di fibre lavora normalmente? Si richiedeva anche di specificare per ogni tipologia indicata anche la provenienza (se conosciuta). 2) Ha mai lavorato le seguenti tipologie di fibra e quando? Si richiedeva inoltre di specificare per ogni tipologia indicata anche quanto tempo prima fosse stata effettuata la lavorazione. 3) In base alla sua esperienza e conoscenza, i macchinari a sua disposizione possono lavorare le seguenti fibre? Si richiedeva anche di specificare, in caso positivo, se fossero necessarie modifiche o meno. 4) Ritiene di essere in grado di lavorare tali fibre naturali? Si chiedeva all’imprenditore di indicare, in caso affermativo, la necessità di assistenza tecnica. 5) E' interessato a saperne di più sulle fibre naturali? La domanda era mirata a verificare la necessità di approfondire le tematiche relative alla lavorazione delle 4 fibre, specificando, in caso affermativo, se solo per informazione e conoscenza o come opportunità concreta. 6) Nel caso ci fossero concrete opportunità di mercato sarebbe interessato a lavorare queste tipologie di fibra? Si chiedeva di indicare quali fibre (erano ammesse anche più risposte). 7) Secondo lei la creazione di un marchio territoriale che unisca la filiera dalla produzione in campo fino al prodotto finito è…..? Si richiedeva all’imprenditore di scegliere tra “utile”, “valido ma difficile da realizzare”, “inutile”, “non so”. 8) Nel settore agricolo toscano molti produttori stanno prendendo in considerazione la coltivazione di piante da fibra tessile (canapa, ortica, ginestra, lino, ecc.). Secondo lei la disponibilità sul territorio di tali materie prime è ….? Si chiedeva all’imprenditore un giudizio optando tra “molto positivo”, “positivo”, “indifferente”, “negativo”, “non so”.

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9) Ritiene l’aggregazione tra imprese della filiera …. ? L’ultima domanda richiedeva all’imprenditore di dare un giudizio scegliendo tra “utile”, “abbastanza utile”, “inutile” e “non so”. I risultati I dati raccolti mettono in luce una serie di considerazioni utili ai fini della ricerca. Le domande poste sono state raggruppate in 4 macrotemi:

o esperienza: la potenziale “vicinanza” alle fibre naturali in funzione dell’esperienza dell’impresa sia in relazione a tutte le fibre sia con un’attenzione alle fibre vegetali

o competenze: intesa in senso ampio, sia dal punto di vista dei macchinari sia dal punto di vista delle conoscenze e delle competenze vere e proprie all’interno delle imprese.

o interesse: il potenziale interesse dell’imprese verso le fibre vegetali. o aspetti di sistema: giudizio delle imprese verso aspetti legati al progetto Natural.Tex ma che

esulano dalle problematiche della singola impresa anche se di potenziale ricaduta sulla medesima.

Esperienza Partendo dalle fibre lavorate normalmente dalle imprese, informazione necessaria per capire le potenzialità di adeguamento o,comunque, le “affinità” tra le fibre lavorate dalle imprese della filiera e le 4 fibre indagate, si evidenzia la situazione riportata nel Grafico 4

Grafico 4 – Fibre lavorate normalmente

80,6

62,9

75,8

45,2

51,6

69,4

6,5

0,0

10,0

20,0

30,0

40,0

50,0

60,0

70,0

80,0

90,0

Lana cardata Lanapettinata

Cotone Lino Artificiali Sintetiche Altro

Si conferma la vocazione del distretto verso la lana cardata, ma anche la forte flessibilità e varietà tanto che tutte le tipologie di fibre sono lavorate almeno dalla maggioranza delle imprese (eccezion fatta per il lino). Passando alle esperienze nei confronti delle 4 fibre del progetto (lino, canapa, ginestra, ortica), le informazioni risultano interessanti. Mentre si conferma, come già indicato anche dalla domanda precedente e a sua ulteriore integrazione, la presenza di esperienza nella lavorazione liniera, le sorprese emergono in relazione alle altre fibre (grafico 5). Più di un terzo delle imprese del campione ha lavorato almeno una volta la canapa (e questo sorprende solo in parte, anche in relazione alla diffusione che la fibra sta avendo nel settore), mentre (e questo ha sorpreso favorevolmente il gruppo di lavoro) un piccolo ma importante gruppo di imprese ha lavorato, pur in piccole quantità, ortica (6,5%) e ginestra (4,8%).

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Grafico 5 – Fibre vegetali lavorate

79,0

37,1

4,8 6,5

0,0

10,0

20,0

30,0

40,0

50,0

60,0

70,0

80,0

90,0

Lino Canapa Ginestra Ortica

Competenze Verificata la “vocazione” delle imprese e la loro eventuale esperienza diretta con le fibre vegetali, l’analisi si è spostata sui macchinari e sulle competenze tecniche degli addetti. Dal lato dei macchinari e alla loro adeguatezza a lavorare le 4 fibre analizzate (grafico 6), emerge il dato relativo al lino che nel 64,5% dei casi può essere lavorato senza dover apportare modifiche agli impianti, dato che scende al 35,5% nel caso della canapa. Ancora con più forza emerge però l’incapacità a rispondere di gran parte degli imprenditori, sia per quanto riguarda la canapa, ma soprattutto per quanto riguarda ginestra e ortica (per entrambe 3 intervistati su 4 hanno dichiarato di non essere in grado di rispondere).Qui è senza dubbio forte il ruolo che la mancanza di esperienza diretta gioca in relazione alla conoscenza delle potenzialità dei macchinari utilizzati dalle imprese.

Grafico 6 – Adeguatezza macchinari

64,5

16,1

4,8

14,5

35,5

12,9

4,8

46,8

11,38,1

4,8

75,8

11,38,1

4,8

75,8

0,0

10,0

20,0

30,0

40,0

50,0

60,0

70,0

80,0

Sì senza modifiche Sì con modifiche No Non so

Lino Canapa Ginestra Ortica

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Sul lato delle competenze tecniche degli addetti (grafico 7), risulta maggiore la consapevolezza degli imprenditori, e forse anche l’ottimismo, visto e considerato che alla domanda hanno risposto positivamente quasi 7 imprenditori su 10 (anche se il 9,7% ritiene necessaria l’assistenza tecnica) mentre chi non è in grado di rispondere si ferma al 27,4% (e solo il 3,2% risponde negativamente).

Grafico 7 – Capacità di lavorare le fibre vegetali

Sì59,7

Sì con assistenza9,7

No3,2

Non so27,4

Interesse Altro aspetto indagato è stato l’interesse da parte delle imprese nei confronti delle fibre vegetali, sia dal punto di vista di informazioni e conoscenza, sia dal punto di vista di concrete opportunità di lavoro. I dati (grafico 8) appaiono a prima vista contraddittori visto che la maggioranza degli imprenditori non è interessato a saperne di più (62,9%) ma al tempo stesso (grafico 9) è interessato a lavorare le fibre (87% per il lino, 82% per canapa, ginestra e ortica). Ciò può essere spiegato anche alla luce dei commenti registrati durante le interviste: da un lato molti ritengono (come in parte anche indicato dai giudizi sulle competenze) di essere in grado di lavorare queste fibre e l’unico problema potrebbe essere dato dai limiti dei macchinari, dall’altro lato molti temono che la fase di “informazione” sia totalmente slegata a concrete opportunità (detto in altre parole se le opportunità di mercato ci sono, le competenze possono adeguarsi, al contrario “saperne di più” senza opportunità concrete rischia di essere fine a se stesso).

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Grafico 8 – Interesse a saperne di più

Per conoscenza25,8

Come opportunità3,2

No62,9

Non so8,1

Grafico 9 – Interesse a lavorare le fibre vegetali

87,1

82,3 82,3 82,3

79,0

80,0

81,0

82,0

83,0

84,0

85,0

86,0

87,0

88,0

Lino Canapa Ginestra Ortica

Aspetti di sistema Le ultime tre domande riguardavano aspetti che potremmo considerare di “sistema”, ovvero l’esistenza e l’importanza di un marchio territoriale di filiera agro-industriale, la disponibilità sul territorio di materie prime e l’importanza delle aggregazioni tra imprese. Le risposte sono risultate nel complesso incoraggianti e meritevoli di approfondimenti futuri. Il tema del marchio, che all’interno del progetto riveste un’importanza fondamentale, si rivela particolarmente sentito. Il giudizio positivo è dominante (grafico 10): il 72% ritiene positiva la presenza di un marchio. Tuttavia alla validità dell’idea per più della metà di loro si lega anche la consapevolezza della

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difficoltà della realizzazione della medesima. Da sottolineare il basso dato dei convinti dell’inutilità del marchio (4,8%).

Grafico 10 – Il marchio territoriale

Utile37,1

Valido ma difficile45,2

Inutile4,8

Non so12,9

Per quanto riguarda il tema della disponibilità di materie prime (grafico 11): la netta maggioranza delle imprese (59,7%) ritiene positivo il fatto che la filiera agricola, data la possibilità dei produttori agricoli toscani di dedicarsi alla coltivazioni di colture per utilizzo tessile, renda disponibili fibre vegetali prodotte direttamente sul territorio. Addirittura un ulteriore 14,5% ritiene tale fatto molto positivo. Limitatissimo la percentuale degli indifferenti e di coloro che giudicano negativamente tale situazione, a fronte di un 21% di imprenditori senza opinione al riguardo.

Grafico 11 – Disponibilità materie prime sul territorio

Molto positivo14,5

Positivo59,7

Indifferente1,6

Negativo3,2

Non so21,0

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Infine, tema di grande rilevanza tanto ai fini del progetto Natural.Tex, ma di indubbia attualità anche nel dibattito politico ed economico regionale e nazionale, è quello della capacità di unirsi ed aggregarsi tra imprese per affrontare le sfide competitive in atto da alcuni anni. Emerge un dato da tenere sotto osservazione e da approfondire, che mostra tutti i limiti presenti nel tessuto produttivo locale: consapevolezza dei vantaggi unita a consapevolezza delle difficoltà (grafico 12). Meno di 5 imprenditori su 100 ritiene inutile aggregarsi e solo il 13% non ha idee al riguardo, a fronte di ben più dell’82% che ritiene utile, o addirittura molto utile (ed è la netta maggioranza), unire le forze. Come anticipato, però, a fronte della consapevolezza della necessità e, soprattutto, dell’utilità ad aggregarsi, emerge (dai commenti alle risposte rilevati in sede di intervista) una sorta di consapevolezza delle difficoltà insite nel fenomeno, soprattutto legate alla mentalità fortemente individualista dell’imprenditore locale.

Grafico 12 – Le aggregazioni

Molto utile50,0

Abbast. utile32,3

Inutile 4,8

Non so12,9

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9 LA PROPOSTA DEI COLORANTI NATURALI 9.1 I coloranti naturali In questi ultimi 10 anni, una maggior coscienza ecologica in Europa e in altri paesi del mondo, ha influenzato anche l’industria tessile e la moda. Questo ha portato, oltre ad una ricerca nel campo dell'abbigliamento ecologico, anche a nuove ricerche di trattamenti più compatibili per l'uomo e l'ambiente, come l'impiego di coloranti naturali. Fino alla metà dell‘800, i colori usati nell’industria tessile erano di origine vegetale, minerale e animale. Nell’antichità erano utilizzati prevalentemente coloranti reperibili nel territorio in cui l’attività industriale o artigianale, era situata. Solo con le grandi scoperte e i viaggi oltreoceano, aumentarono le varietà di coloranti impiegate. Il gusto del colore, caratteristico per ogni zona, si è affermato sempre di più con il passare del tempo e, nella lavorazione dei manufatti tessili, la tintura è diventata una fase molto importante della intera lavorazione. I coloranti naturali erano i soli utilizzabili fino al 1856, anno in cui Perkins scoprì il primo colorante di sintesi. La chimica del colore stravolse tutto il settore e nel giro di pochi anni i coloranti vegetali furono completamente soppiantati da quelli di sintesi; l’ultimo dei coloranti naturali utilizzati in tintoria fu il Campeggio, che mordenzato insieme al Cromo dava un “nero di Campeggio” molto coprente e solido; infatti veniva utilizzato per ritingere le pezze ammuffite, deteriorate durante i bombardamenti. Acquisendo maggiori conoscenze sulla chimica del colorante naturale, vari studiosi poterono “copiare “ tale struttura; ad esempio dalla radice di Robbia si ottiene il pigmento colorante “alizarina” e da questo nacque la prima terna di coloranti di sintesi: Giallo Alizarina, Rosso Alizarina, Verde Alizarina, ecc. L’Indaco è stato il colorante che la sintesi ha saputo copiare perfettamente dalla natura, ed ha fatto la fortuna di una grossa casa di coloranti. Proprio grazie alla spinta del mercato, come accennato in precedenza, anche le case di coloranti chimici hanno incrementato gli studi verso coloranti meno inquinanti e tossici per l’uomo e l’ambiente, colori che sono identificati come ecocompatibili. Questi non sono colori "naturali" di origine vegetale, ma sono molto meno inquinanti rispetto a quelli che venivano impiegati in precedenza, che sono risultati spesso cancerogeni sia per chi lavorava nel settore che per gli utilizzatori finali. I Coloranti Naturali, oggi, provengono un po’ da tutte le parti del mondo, in particolare dalle aree geografiche, dove fin dai tempi antichi queste piante, a fini tintori, erano coltivate, e dove hanno rappresentato una risorsa importante per l’economia locale. Una volta raccolte, queste piante o parti di esse, vengono vendute a grossi commercianti europei, americani, indiani, ecc. che le stoccano; quindi sono rivendute ad aziende che estraggono il pigmento colorante oppure commercializzano il materiale in forma di taglio tisana o intero, o in polvere. Oggi, per semplificarne l'uso, i coloranti naturali vengono impiegati non più nella forma della pianta (materiale vegetale in pezzi o in polvere), ma in forma di estratto, cioè dalle piante tintorie, attraverso una fase di estrazione a base acquosa, glicolica, ecc. viene estratto il pigmento colorante. In alcuni casi l’estrazione avviene dalle radici, in altri dal fusto, oppure dalle foglie o dai frutti, a seconda della parte della pianta che contiene il pigmento colorante. In Italia, Germania, Francia, America e Giappone, ma in particolare in India, esistono aziende che da sempre vendono Coloranti Naturali per l’industria tessile e l’artigianato; questo grazie al fatto che nella tradizione indiana, la tintura Naturale non è mai stata abbandonata nel campo tessile, e culturale, e dove esistono anche scuole che insegnano la tintura con i Coloranti Naturali In un confronto tra coloranti naturali e coloranti di sintesi (tab.24), possiamo individuare alcuni dei principali vantaggi e svantaggi per le due tipologie di coloranti:

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Tab. 24

NATURALI SINTETICI Vantaggi Svantaggi Vantaggi Svantaggi

Ecologicità della produzione

Riproducibilità non perfetta

Tecniche di uso abbastanza semplici

Maggior possibilità di inquinamento ambientale

Minori rischi per gli operatori

Solidità più bassa Maggior solidità Rischi per gli operatori a causa delle sostanze contenute

Minori rischi per la salute dei fruitori

Non molto standardizzabili

Più tonalità ottenibili e maggiori toni brillanti

Aumento delle allergie cutanee per i fruitori del manufatto

Lavorazione vicina a quella artigianale

Tonalità di colori limitate a causa del limitato numero di mordenti oggi permesso

Nella tabella 25 sono riportate le fasi di produzione e i rischi sanitari delle due tipologie di coloranti.

Tab. 25 Processo NATURALI SINTETICI

Produzione Coltivazione della pianta Scelta della parte più tintoria (gli scarti di lavorazione possono essere riutilizzati come concimi) Estrazione del colorante con un processo acquoso; idro-alcolico; con solvente a circuito chiuso

Si ottengono dal petrolio attraverso una fase di sintesi I prodotti intermedi, scarti di lavorazione, sono inquinanti

Rischi sanitari Gli operatori che eseguono queste operazioni non hanno bisogno di particolari prevenzioni

Gli operatori che eseguono queste lavorazioni devono essere tutelati

Quindi è facile constatare come, da un punto di vista produttivo, il colorante naturale ha un impatto ambientale molto più ridotto. Nel settore delle fibre tessili, le più affini ai Coloranti Naturali sono certamente quelle naturali. Le fibre naturali si dividono in animali e vegetali. Le fibre animali, come la lana, con la struttura a scaglie, e la seta, assorbono meglio il colorante, mentre le vegetali come cotone, lino, canapa, ecc. data la loro struttura liscia, lo assorbono meno, e anche le tonalità che si possono ottenere, saranno diverse, più scure per le fibre animali, più chiare per quelle vegetali. Le fibre artificiali, ad esempio la viscosa, non risultano particolarmente adatte per questo tipo di tinture. Le fibre sintetiche tipo poliammide, poliestere ecc, non è possibile tingerle con il colorante naturale. Il processo di tintura con coloranti naturali si compone di due parti principali: la mordenzatura e la tintura vera e propria. Con la mordenzatura si identifica quella fase in cui si prepara il materiale a ricevere il colorante, cioè, per mezzo di un sale, la struttura chimica della fibra crea un legame che poi servirà per agganciare la struttura chimica del colorante.Questi sali possono essere di vario tipo, a base di Cromo, Ferro, Rame, Allume. Oggi, per rispettare parametri ecologici e tossici, l‘unico mordente utilizzabile è quello a base di Allume. Nonostante ciò le acque di scarico del bagno di mordenzatura dovranno passare dal depuratore interno all’azienda o consortile. Con i coloranti naturali, come detto in precedenza, è possibile tingere tutte le fibre naturali, alcune fibre chimiche ma non le sintetiche; inoltre regolando la temperatura e il pH del bagno si possono ottenere più coloriture. Partendo da una percentuale di materia colorante, riferita al peso del materiale asciutto che vogliamo tingere, possiamo ottenere intensità di colore anche molto diverse. Ad esempio

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ipotizzando una tintura al 3%, se il risultato ottenuto è chiaro rispetto le aspettative, occorrerà rifare una tintura con una percentuale maggiore, se scura, viceversa. Anche la tintura con coloranti chimici ha bisogno di tenere sotto controllo la temperatura, il pH, ecc. ma ha bisogno anche di tutta una serie di prodotti chimici detti ausiliari di tintura come: imbibenti, ugualizzanti, antischiuma , ecc. da dover poi depurare. Inoltre, mentre con lo stesso colorante naturale si possono tingere tutte le fibre, ottenendo lo stesso colore, seppur con una diversa intensità dovuta all’affinità della fibra, l’uomo ha inventato serie di coloranti sintetici specifici per ogni fibra, da quelle naturali (ad es. per la lana si usano i coloranti acidi, per il cotone i diretti, ecc.) e ancor più per quelle sintetiche. Per quanto riguarda le acque da depurare dopo la tintura con Coloranti Naturali, queste seguono le stesse procedure di quelli di sintesi, in quanto trattandosi comunque di coloranti, non si possono scaricare direttamente nei fiumi, ma devono passare attraverso un impianto di depurazione, sia esso comunale o consortile. Questo permette un ulteriore salvaguarda dell'ambiente. Dovendo fare un raffronto tra una tintura con coloranti sintetici e una con coloranti naturali, l’incidenza del costo del colorante sulla tintura è, attualmente, più alto utilizzando i naturali. Questo fattore è dovuto a due cause, in particolare:

La produzione di coloranti naturali che ancora non è industrializzata Il costo del colorante di sintesi, che in questi ultimi anni è molto diminuito a causa della

maggior offerta sul mercato globale Il costo di ricetta di una tintura con coloranti naturali varia a seconda del tipo di colorante utilizzato e il tipo di fibra da tingere; confrontato con il costo di ricetta di una tintura di sintesi, quella naturale risulta oggi maggiore di un 20-40% circa. La tintura di sintesi, in alcune lavorazioni, per seguire nuove tendenze fashion, è anch’essa variabile nei costi, che arrivano ad essere quasi al pari di quelle naturali. Nell’ottica di lavorazioni sempre più artigianali, e valorizzazione del prodotto, la differenza di costi potrà essere assorbita dal valore aggiunto che il capo acquisirà. Infatti, il capo tinto con coloranti naturali avrà caratteristiche di ecologicità, tracciabilità., unicità, e il consumatore potrà decidere di pagarlo anche qualche Euro in più.

Tab. 26 - PIANTE TINTORIE STORICAMENTE PIU' UTILIZZATE

NOME VOLGARE NOME LATINO PARTI USATE COLORE Curcuma Curcuma longa L. radice giallo Reseda Reseda luteola L. pianta intera fiorita giallo Annatto Bixa orellana L. frutti arancio/rosso

Legno Campeggio Haematoxylon campechianum L. corteccia rosso Legno Rosso del Brasile Caesalpina brasiliensis L. corteccia rosso

Robbia Rubia tinctoria L. radice rosso Indaco Indigofera tinctoria L. foglie blu

Nel passato i macchinari impiegati dall’uomo nelle tintorie, erano molto semplici. All’inizio si trattava di vasche e di caldaie con condutture in piombo, come ad esempio quelle ritrovate a Pompei e in altri scavi archeologici. In alcuni manuali del ‘500, come il Trattato dell’Arte della Seta in Firenze, si ritrovano i disegni delle vasche in cui erano immerse le matasse e dei bastoni su cui veniva movimentato il materiale nel bagno; vi erano poi macchine per strizzare e asciugare il materiale.Un cambiamento consistente nel campo dei macchinari, iniziò a verificarsi con l'avvento dell’industrializzazione, in particolare nel campo della meccanica tessile nel XVIII sec. L’evoluzione della tecnologia della tintura nel XVIII sec. vide un graduale passaggio da un artigianato tradizionale a procedure sempre più scientifiche e tecnologiche, grazie agli studi di uomini colti.

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Oggi, per eseguire tinture con coloranti naturali (estratti), si possono benissimo utilizzare le macchine da tintura già presenti nelle tintorie, magari con alcune modifiche per economizzare la tintura stessa; importante è che la tintura avvenga a caldo e in immersione acquosa. E' possibile anche tingere direttamente utilizzando le piante, apportando alcune modifiche al layout dei macchinari, inserendo cioè degli “estrattori” in tintoria, macchine costruite appositamente per estrarre direttamente il pigmento colorante dalle cortecce, radici, bacche, ecc. Tali macchine dovranno essere dimensionate in funzione di quanto colorante vogliamo ottenere e, pur non esistendo sul mercato, non sono particolarmente costose. 9.2 Prospettive attuali dell'uso nell'industria tessile dei coloranti naturali I trends dell’industria tessile attuale riguardano due grosse linee: l’high-tech e supertecnologico e il naturale. Il naturale, che è quello che più ci interessa, riguarda sia le fibre che la trasformazione e produzione dei capi. Nelle fibre, oltre all’uso di quelle tradizionali come il cotone, il lino, la lana, sono state riscoperte fibre naturali abbandonate, o innovative come la ginestra, l’ortica, la canapa. Per quanto riguarda la trasformazione di queste fibre per la realizzazione di capi moda, inizialmente si sono avute molte proposte di “grezzi”e di lavorazioni di non tinti, sfruttando il colore naturale delle fibre stesse. Successivamente, anche sotto la spinta del mercato, sono stati richiesti capi più colorati, e questo ha portato alla necessità di introdurre colori naturali, di origine vegetale o ecocompatibili. Negli anni vi sono state già alcune aziende, come Superga, Malerba, Somma Coperte, Ratti, Moschino, Gabello, Armani, ecc., che hanno creato collezioni usando colori naturali. Tali prodotti, purtroppo, sono durati solo alcune stagioni in quanto si sono scontrati con alcuni problemi posti dal mercato, che possiamo sintetizzare in: scarsa informazione commerciale, specie nei punti vendita, per far apprezzare al cliente la

naturalità e l’originalità del prodotto acquistato, alti costi iniziali, produzione fatta sotto la spinta “moda”.

In generale i problemi inerenti l'industria tessile per quanto riguarda il colorante sono: la solidità la riproducibilità.

Per la prima è impensabile oggi arrivare ad ottenere valori pari a quelli di sintesi; questo non significa però che non si possano produrre e vendere questi capi, anzi il capo vive e si “deteriora” nella persona che lo porta, valorizzandosi nel vissuto. Va comunque detto che anche la sintesi, in questi ultimi anni spinta alla ricerca di nuove coloriture ed effetti moda, ha utilizzato terne di coloranti anche per fibre non chimicamente affini, in modo da ottenere questi effetti “vissuto”, ma ottenendo però anche basse solidità. Per quanto riguarda la riproducibilità, già difficile nella sintesi, è ancora più complessa nel campo del naturale, dove sono tanti i parametri che influenzano la tintura; la cosa importante diventa quindi il poter partire da un pigmento colorante standard, che dia così risultati più standardizzabili. Oggi, quando parliamo di industria tessile dobbiamo far riferimento a una parola di 4 lettere, cioè “MODA”, che influenza l’intera produzione. In questi anni la richiesta e l’interesse dei coloranti naturali ha seguito l’andamento della moda, passando da periodi di crescita e di richiesta, quasi inconsulta, a momenti di calo e di vero disinteresse, anche se in questo ultimo periodo, l’interesse è rimasto sempre abbastanza alto. Questo grazie ad alcuni fattori come: una maggior coscienza ecologica delle persone e della società la crisi che, purtroppo, sta attraversando il mercato tessile, italiano ed europeo, che porta

alla ricerca di produzioni alternative che attirino il consumatore finale.

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Fra tutti i coloranti naturali proposti, quello che oggi incontra un sempre maggior interesse da parte dell’industria è l’Indaco (guado, indigofera, poligonium, ecc.), perché il jeans, tessuto che si ottiene con questa tintura, è stato in questi ultimi anni molto richiesto e l’interesse nella moda, specialmente della moda giovane, ne ha aumentato l’uso in tutte le sue versioni. Non dobbiamo comunque dimenticarci degli altri coloranti naturali e in particolare la Robbia per i rossi, e la Reseda per i gialli. Con giallo, rosso e blu abbiamo così i tre colori primari, che se mescolati fra loro, ci possono far ottenere tutti gli altri colori dell’iride. Settori dell’industria tessile che, oggi, in particolare sono interessati a reintrodurre i colori naturali, vanno dall’abbigliamento intimo a quello per bambini fino all’arredamento. Questi settori richiedono alla tintura delle performance diverse l’uno dall’altra, che solo attraverso un attento studio e un buon marketing è possibile portare avanti. Per quanto riguarda l’intimo e i bambini, a parte studiare le solidità, ad esempio alla saliva, diventa importante il problema allergie. Attraverso studi fatti da eminenti allergologi è stato dimostrato che, per le persone che soffrono di dermatiti cutanee, indossare, a contatto con la pelle, capi tinti con colori naturali evita l’aggravarsi della dermatite stessa. Le nazioni che si sono dimostrate più sensibili al tessile ecologico e quindi ai coloranti naturali, sono i paesi Scandinavi, paesi dove la coscienza ecologica è maggiore così come la cultura dell’ambiente e del lavoro, che mette, da sempre, al centro l’uomo. Un argomento importante da affrontare riguarda la fase di marketing del prodotto. Quest’ultimo molto spesso non è sufficientemente valorizzato; il colorante naturale, al contrario, per essere apprezzato deve essere arricchito con informazioni e devono essere fatte conoscere al consumatore finale le sue importanti caratteristiche quali l’atossicità, l’anallergicità e la sostenibilità ambientale, che porta ad uno stretto legame con il territorio in cui si opera. E’ molto importante che un’azienda indirizzi il marketing a sostegno di prodotti ecologici e dei coloranti naturali verso:

• una definizione precisa del mercato a cui è destinato il prodotto; • deve rintracciare le esigenze del cliente; • deve offrire un prodotto mirato che comprenda e illustri la filosofia del prodotto stesso;

Altre proposte da approfondire sono date dallo sviluppo di possibili nicchie di mercato, che possono andare dal tessile abbigliamento, all’arredamento e alla bio-architettura, al restauro di arazzi e tappeti, alla vendita di prodotti per tingere in casa con le piante. La scarsità della domanda da parte dell’industria verso il colorante naturale deve essere affrontata con una giusta e chiara informazione sui lati positivi e negativi dei coloranti stessi. Dovranno essere perseguite anche politiche di sostegno da parte delle istituzioni verso le aziende. Verso gli utilizzatori finali sarà, invece, importante poter avere la tracciabilità del prodotto finito, con cartellini che riportino informazioni dalla coltivazione delle piante alla produzione della fibra fino alla confezione finale. Infine la tintura con coloranti naturali non vuole e non deve essere sostitutiva della tintura chimica, ma esistere come alternativa, fiore all’occhiello dell’azienda che la propone, nel recupero delle tradizioni storiche e artigianali. In conclusione, i messaggi da inviare con chiarezza verso gli attori della filiera nei riguardi della tintura naturale sono:

Tab. 27 PER L’ INDUSTRIA TESSILE PER Il CONSUMATORE FINALE

Non inquina Cartellino per la tracciabilità e le proprietà “positive” Colore disponibile sul mercato Valorizzazione mediante adeguata esposizione in negozio Solidità in senso positivo Unicità del capo che rispecchi la filosofia di vita di chi lo

indossa Costo in rapporto alla produzione

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10 CONCLUSIONI La definizione di abbigliamento naturale nel progetto Natural.Tex va vista come una estensione della visione proposta dal "Disciplinare per i tessuti biologici" fornita da AIAB (Associazione Italiana Agricoltura Biologica) del maggio del 2000, e che attualmente rappresenta uno dei punti di riferimento normativo per questa classe di prodotti. Questo ci ha permesso di esplorare in maniera più efficace la sostenibilità di una fileria estesa per la produzione di prodotti tessili, capaci di veicolare valori “immateriali” come il legame forte con il territorio in relazione alla produzione della materia prima, il rispetto dell'eticità di produzione a tutti i livelli, la totale tracciabilità, l'attenzione alla salute dei consumatori, e soprattutto essere contenitori dell'immagine di qualità della tradizione manifatturiera della Toscana. Approccio intersettoriale Il progetto Natural.Tex ha raggiunto uno scopo ambizioso, che si presentava facile in linea teorica, ma in realtà era molto difficile nella realizzazione pratica: quello di unire il mondo agricolo con il mondo manifatturiero e in accordo con quello della ricerca applicata. Non è stato semplice trovare obiettivi comuni sia per la diversità di esperienze e di problematiche affrontate sia, soprattutto, di diversità dei "linguaggi" parlati dai rappresentati di questi settori. La diversità strutturale degli attori in una filera estesa che dovrebbe abbracciare la gestione del territorio e il mercato dell'abito confezionato, presenta sicuramente una serie di vincoli ma offre anche spunti e possibilità di notevole ricchezza. Il territorio pratese, incastonato nella realtà produttiva del 'Distretto Toscano', potrebbe giocare un ruolo di catalizzatore e, per ragioni congiunturali legati al sistema agricolo e manifatturiero, si rivela luogo ideale per un’esperienza dove il motto "fare sistema" sia più che un semplice gioco di parole. Approccio regionale Lo specifico toscano ha in questa proposta un ruolo decisivo. Concetti come la 'buona pratica agricola' e la 'tracciabilità' sono decisamente adatti ad uno stile di produzione che può arrichire ulteriormente l'immagine, già forte, del 'Made in Italy' e che vede nella Toscana una delle sue culle. La possibilità di sfruttare i contenuti fashion di un settore moda è un'altra delle possibilità che rendono una proposta di filiera territoriale estesa maggiormente sostenibile, in una dinamica di mercato dove la concorrenza globale poggia, attualmente, la sua forza sui prezzi delle materie prime e sulla lavorazione dei semilavorati. Approccio di mercato Alla luce di quanto detto è sembrato ovvio alla rete di Natural.Tex indagare gli orientamenti e le preferenze del mercato italiano nei confronti dell'abbigliamento naturale, prima di valutare la fattibilità economica della proposta di produzione. I risultati dell'indagine di mercato sono chiari: oltre il 30% del campione dei consumatori italiani ha acquistato o provato capi di abbigliamento naturale, con un segmento significativo delle età centrali (25-44 anni) con istruzione media e superiore. Le preferenze dei consumatori si rivolgono, anzitutto, a benefici ricercati nel prodotto come la salute della pelle ed il comfort, seguiti a poca distanza da quelli legati alle caratteristiche del prodotto, come il prezzo, la naturalità del tessuto, la tracciabilità e l’eticità. Nelle posizioni di fondo troviamo le preferenze legate agli intangibles tradizionali dell’abbigliamento, come il contenuto moda, il made in e la marca, privilegiando i punti vendita specializzati con acquisto assistito sia nelle via cittadine che nei centri commerciali. La domanda esprime quindi una disponibilità ampia al premio di prezzo verso i prodotti dell’abbigliamento naturale (addirittura dal 26% al 50% per un consumatore su quattro). Questo ci fa ritenere che esiste una buona consapevolezza della natura specialistica del bene “abbigliamento naturale". La domanda oggi vede con favore la promozione di un marchio di tutela per l’abbigliamento naturale

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con un richiamo alla memoria dell’esperienza italiana di maggior successo in materia, quella del marchio pura lana vergine. A questo proposito è utile ricordare come la ricerca degli ultimi anni si sia quindi orientata verso tutto il restante ed enorme universo delle fibre naturali vegetali esistenti con lo scopo di trovare un prodotto che possedesse quanto di positivo hanno fibre come il cotone o quelle sintetiche senza però averne i punti deboli. La ricerca di nuove fibre vegetali o, in alcuni casi, anche la riscoperta di vecchie/antiche fibre cellulosiche è stata aiutata anche dall’avvento di nuovi fenomeni sociali e tecnologici. La spinta sociale è direttamente correlata al crescente interesse da parte di tutti i paesi del mondo ad impiegare fibre a minor impatto ambientale. Questo ha portato molte aziende produttrici di fibre naturali o che impiegano fibre naturali per i più disparati usi a ricercare e sperimentare fibre vegetali che fino a quel momento avevano un mercato molto ristretto. Possiamo concludere che il mercato sembra esistere e sembra essere pronto. Esiste anche un profilo di un consumatore italiano, anche se l'indagine è suscettibile di un ulteriore approfondimento. Semmai quello che appare un’esigenza condivisa da molti è proprio la definizione di una strategia di marketing che coinvolga la distribuzione, il prezzo e soprattutto una promozione volta a comunicare i vantaggi legati all'impatto positivo sulla salute umana. La rete La rete ha manifestato proprio nell'arco del progetto il suo consolidamento con una buona assegnazione dei ruoli. E' innegabile che per molti partner l'adesione a Natural.Tex ha rappresentato una novità per quanto riguarda la relazione con terzi sugli argomenti correlati all'abbigliamento naturale. Proprio quest'atmosfera di novità ha fornito le motivazioni giuste ai partners per un impegno forte su come confrontarsi con realtà diverse provenienti da altri settori. Le problematiche tipiche del mondo agricolo e/o di quello manifatturiero presentano affinità ma anche forti divergenze, così come gli obiettivi della ricerca applicata non sempre risultano coerenti a chi deve confrontarsi quotidianamente con le situazioni delle aziende che rappresenta. La rete, tuttavia, ha funzionato bene poiché è riuscita ad armonizzare una rosa di obiettivi comuni che consistono sia nella definizione di una serie di prodotti, dove il valore aggiunto è fornito da figure come il coltivatore e l'artigiano, sia la condivisione dei temi da usare nella promozione di questi. La limitatezza temporale di progetto non ha consentito la sperimentazione per una completa analisi di fattibilità tecnica ed economica della filiera, ma ha permesso di fare delle simulazione di costo attendibili per le principali colture da fibre. Su quali fibre puntare? Le analisi di suitability o di vocazionalità delle principali piante da fibra considerate nel progetto individuano numerose aree a livello toscano nelle quali è possibile effettuare la coltivazione. Quindi il territorio è capace di accogliere questo tipo di piante, come d'altro canto era documentato storicamente. Esse non possono assicurare un rifornimento adeguato per la dimensione della filiera tessile, ma sono per lo meno sufficienti a sostenere delle produzioni di qualità nel panorama manifatturiero toscano. Dalle considerazioni tecnico-economiche presentate in Natural.Tex, solo la canapa e l'ortica, attualmente, superano significativamente una soglia di economicità in termine di utile netto. La ginestra si pone sul limite della convenienza. Nel raggiungere un utile netto maggiore, l'ortica, rispetto alla canapa, è frenata dalle sue caratteristiche di novità che rallentano il raggiungimento di un percorso valido per la coltivazione ma soprattutto per la lavorazione della fibra. Per il lino dal punto di vista agricolo paiono precluse le possibilità di una sua validità economica.Quindi la possibilità di avere fibra a lungo tiglio sembra legata alla disponibilità di canapa, mentre la candidata ad essere un formidabile concorrente per il cotone nella fibra corta appare la fibra di ortica. La filiera integrata dal campo al capo finito? Rispondere ad una domanda del genere non è facile. L'agricoltura toscana attraversa storicamente una delle sue fasi cruciali. La scomparsa prossima futura delle sovvenzioni comunitarie per le

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colture tradizionali e l'elevata età media dei coltivatori, chiede agli agricoltori uno slancio forte verso le produzioni di qualità e quelle 'no food' in generale. Il recupero delle conoscenze nelle coltivazioni di piante da fibra è ancora possibile, ma necessita di uno sforzo di formazione e di adeguamento tecnologico forte in alcune operazioni come la raccolta e la trasformazione, nonché nella responsabilizzazione degli attori del settore della ricerca.. Esperienze di coltivazione sono già una realtà in Toscana per le fibre tessili come la canapa e buone prospettive sono date da specie come l'Ortica dioica, nelle sue varietà tessili. Rimane oggetto di sperimentazione l'ottimizzazione delle tecniche di macerazione ed estrazione delle fibre. Le ipotesi di indagine seguite da Natural.Tex si basano su tecniche diffusse a livello europeo. Nel breve periodo una collaborazione intensa con altri centri di lavorazione a livello italiano è non solo auspicabile ma necessaria. Attualmente, a nostro avviso, i valori della territorialità non sono alterati da possibili delocalizzazioni in Italia di alcune parti della filiera.Questo in un' ottica di creazione di uno start-up di produzione che, solo in una visione di lungo periodo, può portare ad una realizzazione piena della filiera in ambito regionale. Natural.Tex prevede quindi una futura possibile strategia basata su due fasi: la prima di lancio con produzione nazionale, la seconda di più lungo periodo con produzione interamente locale. Attualmente, in ambito toscano, anche la filiera propriamente tessile vede una lacuna nella fase della filatura, che necessita di investimenti industriali sul breve termine troppo elevati per rendere rapidamente praticabile la produzione di abbigliamento naturale con una dizione forte di toscanità. Il ruolo della ricerca diventa essenziale per individuare, anche qui, soluzioni ottimali. E' passibile di esplorazione, soprattutto nel medio-lungo periodo, un'alternativa alla concentrazione delle attività di trasformazione della fibra e della filatura ovvero la possibilità di creare una rete diffusa di piccoli impianti per produzioni limitate legati alla coltivazione diretta e produzione artigianale. Fibre naturali tinte con colori naturali? L’uso dei coloranti naturali risulta fondamentale se si vuole promuovere la naturalità dell’abbigliamento e la sua sostenibilità ambientale, nonché le sue caratteristiche salutari. L’analisi che è stata fatta all’interno di Natural.Tex vede la possibilità di affermazione principalmente dell’indaco, destinato al settore di produzione del jeans, della robbia (rosso) e della reseda (giallo). I colori naturali hanno ben poche problematiche tecniche ma devono essere valorizzati divulgando le loro caratteristiche di atossicità, anallergicità e sostenibilità ambientale che permettono di fare apprezzare il prodotto al consumatore anche a discapito di un costo maggiore. Sarà quindi importante inserire anche la tintura con colori naturali nella tracciabilità del prodotto finito, con cartellini che riportino informazioni dalla coltivazione delle piante alla produzione della fibra fino alla tintura e alla confezione finale. Per quanto riguarda l’impresa, la tintura con coloranti naturali non vuole e non deve essere sostitutiva della tintura chimica, ma esistere come alternativa, fiore all’occhiello dell’azienda che la propone, nel recupero delle tradizioni storiche e artigianali. Made in Tuscany o Made in Italy? Non sfugge che il legame con il territorio e quindi con l'elemento "terra" che caratterizza la filiera agricola, al quale si aggiunge la tradizione manifatturiera di una città ad esempio come Prato, rappresenta uno dei valori assoluti del progetto Natural.Tex. Dall' indagine di mercato non emerge questo in maniera significativa, ma i focus groups ci indicano delle strade che è possibile seguire. Innanzitutto per gli intervistati il prodotto di abbigliamento naturale è immaginato come un prodotto classico, ma non si esclude possa essere contraddistinto da un alto contenuto fashion destinato ad un pubblico che ricerca nel prodotto una storia, una cultura ed una tipicità. Quindi, il prodotto di abbigliamento naturale realizzato in Toscana potrebbe essere veicolato attraverso il binomio Toscana-ambiente naturale come "paesaggio toscano" e il suo successo non dovrebbe essere necessariamente legato ad un’impresa di marca ad alta notorietà.

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La filiera che realizza questo tipo di prodotto di abbigliamento dovrebbe costituire una sottofiliera formata da imprese fortemente specializzate. Quest'ultime dovrebbero avere contatti con le istituzioni e centri di ricerca per fare attività di sperimentazione lungo tutta la filiera. L’impresa confezionista dovrebbe disporre dell’accesso (diretto e/o indiretto) a punti vendita in grado di trasmettere l’idea del naturale e di evocare la toscanità., come punti vendita anche monomarca, collocati in centri commerciali localizzati in prossimità di aree verdi come ad esempio il nuovo Outlet Barberino del Mugello. Il prodotto di abbigliamento naturale si deve identificare con un brand appositamente creato e con il quale si accomunerebbero le imprese che appartengono alla sottofiliera naturale che si dovrebbe venire a formare.Una forte identificazione dei prodotti con l'immaginario toscano non dovrebbe porsi comunque come concorrente con il "Made in Italy", pena una sua dequalificazione. Gli aspetti di eticità ambientale e sociale e di salute ed igienicità della filiera tessile rimangono di valore assoluto per questo tipo di proposta e dovrebbero essere un punto di forza di qualsiasi comunicazione promozionale. Sviluppi futuri condivisi Il progetto Natural.Tex, coerentemente alla linee guida dei bandi DOCUP 1.7.1, ha raggiunto il suo obiettivo di formare una rete territoriale toscana, con baricentro pratese, sia di attori istituzionali, sia di associazioni di categorie, che rappresentano il mondo delle imprese artigiane, sia imprese agricole oltre che un istituto di ricerca CNR. Questa rete ha come obbiettivo quello di creare un gruppo capace di lavorare sulla proposta di porre l'abbigliamento naturale, in tutti i suoi aspetti produttivi, dal territorio all'abito, come una delle possibili soluzioni per l'economia di un futuro "Distretto Toscano" a cui fanno riferimento il settore tessile-abbigliamento. Nonostante il buon equilibrio attuale della rete, si sente l'esigenza dell'ingresso di partners di ricerca specifici nelle tecnologie tessili o di aziende capaci di essere protagonisti di filiera. Uno degli obbiettivi condivisi è quello di operare nuove indagini di mercati europei (ad esempio Russia) che potrebbero fornire sbocchi per le esportazioni. Indubbia è la necessità di una sperimentazione pratica della fattibilità tecnica ed economica della filiera, per capire anche la sostenibilità dei protocolli sul tessile biologico, oppure per sostenere l'ingresso di piante da fibra nuove per l'agricoltura italiana, quali l'ortica. Il terzo punto su cui converge la disponibilità di una futura azione di rete è quello della definizione della strategia di marketing per l'abbigliamento naturale, capace di veicolare i valori che un legame con il territorio e la cosidetta toscanità assicurano.

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11 APPENDICE E BIBLIOGRAFIA 11.1 Estratto dei focus group 11.1.1 Focus group 1 – Imprenditori tessili Gli imprenditori associano l’abbigliamento naturale ad esperienze di valorizzazione del riciclato avvenute a Prato. La realizzazione di esperienze simili, ma riconducili ad abbigliamento naturale, implicano, secondo gli imprenditori coinvolti nel focus group, alti costi di produzione e lo sviluppo di un’offerta altamente specializzata che può essere rivolta ad un mercato di dimensioni molto ridotte. Gli elevati costi di produzione e l’alta specializzazione costituiscono i principali elementi che tendono a disincentivare la realizzazione di prodotti di abbigliamento naturale. “…….Un tentativo simile è stato effettuato circa ormai 15-20 anni fa a Prato quando si è cercato di rilanciare il cardato considerandolo una fibra naturale…...Tentativo di lanciare il marchio del riciclato e dell’ecologico che costituì un’esperienza importante, abbandonata in poco tempo a causa degli elevati costi della materia prima. La fibra naturale porta a dei costi di produzione molto elevati…..l’anno scorso ho visto una piccola industria in Normandia che produce magliette francesi con cotone prodotto in modo naturale e realizzato autonomamente. I commercianti sostenevano che questa maglietta era il loro orgoglio in quanto tipica maglietta normanna. Si tratta di un prodotto destinato ad un mercato di piccole dimensioni costituito prevalentemente da turisti disposti a pagare un prezzo abbastanza alto……” Per contribuire allo sviluppo di prodotti di abbigliamento naturale sarebbe opportuna una politica a livello istituzionale, in grado di incentivare l’impiego di materie prime e di semilavorati “ecologici”/“naturali”. “……Nella società moderna il riciclaggio o l’impiego di fibra naturale implica dei costi elevati….sarebbe opportuna una politica a livello istituzionale come è avvenuto in qualche appalto pubblico dove viene prevista una parte di produzione riciclata. Le commesse pubbliche di abbigliamento (decreto Matteoli di due anni fa) nel caso di abiti per la marina, l’aeronautica ed i vigili del fuoco prevedono l’impiego di materiale riciclato per una percentuale compresa tra il 15%- 20%. Questo è stato un tentativo in cui le leve della governabilità hanno dato degli indirizzi precisi a vantaggio di specifiche modalità di produzione……anche se occorre sostenere dei costi più elevati, sussistono delle motivazioni per realizzare determinate produzioni…….”. Gli imprenditori non nascondono la preoccupazione che una produzione di abbigliamento naturale possa implicare la necessità di riconversione dell’agricoltura del nostro paese per favorire la produzione di determinate tipologie di fibre. Inoltre si interrogano se tale riconversione potrebbe avere un senso di fronte alla presenza di nazioni in grado di essere molto competitive nella produzione di fibre naturali. “……..Con il tracollo dell’agricoltura, l’Italia non è produttrice di fibre naturali e di fibre vegetali, il problema diventa enorme in quanto nel caso di grandi produzioni, sarebbe necessario riconvertire parte dell’agricoltura….occorre coinvolgere il settore dell’agricoltura per operare una sorta di riconversione produttiva orientata ad incrementare la produzione di alcune tipologie di fibre. Solo dopo aver riconvertito il comparto dell’agricoltura è possibile attivare una produzione dell’abbigliamento naturale…..L’Egitto , l’India e la Cina hanno notevoli produzioni di cotone che all’Italia al momento non conviene impiantare. La realizzazione di abbigliamento naturale potrebbe essere possibile ed interessante per piccole realtà, aree produttive….a Prato sarebbe difficile diffondere questa produzione….. Comunque non mancano casi sporadici anche di successo….Ho presente l’esperienza di una veterinaria americana che sta realizzando sciarpe, golf nel Chianti con lana prodotta nella stessa area. Nel pavese è stata riavviata la coltura di canapa ad opera di un lanificio che in questo modo si adopera per rimpiantare la produzione di canapa….”. Il prodotto di abbigliamento naturale è immaginato prevalentemente come un prodotto classico, ma non si esclude possa essere contraddistinto da un alto contenuto fashion destinato ad un

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pubblico che ricerca nel prodotto una storia, una cultura ed una tipicità. Il prodotto di abbigliamento naturale non deve recare danni alla persona e quindi deve presentare i connotati di naturalezza e salubrità; questi due aspetti costituiscono le condizioni attraverso le quali si dovrebbe veicolare al pubblico un prodotto di abbigliamento naturale. Tuttavia la possibilità di realizzare un prodotto di abbigliamento naturale con contenuto moda implica secondo l’opinione degli imprenditori l’utilizzo anche di fibre sintetiche; questo li porta ad interrogarsi su quali sono i vincoli/modalità produttive da rispettare per poter definire un prodotto di abbigliamento come naturale. “…...Il prodotto di abbigliamento naturale è un prodotto di cultura ed è molto correlato ad il come, dove è stato realizzato;…..è un prodotto che dovrebbe essere tracciato in tutte le sue componenti….E’ un prodotto casual, ma non si esclude possa avere un contenuto moda…..Chi compra questo prodotto, ricerca nel prodotto stesso una storia, una culturale ed una tipicità…..E’ un prodotto che non deve recare danno alla persona a prescindere dal fatto che sia un prodotto classico o un prodotto con contenuto moda. Per imporlo al mercato occorrono ingenti investimenti in comunicazione veicolando l’immagine di un prodotto sano (ad esempio antiallergico). Bisogna comunque rendersi conto che un vestito del tutto naturale non esiste; occorre capire fino in fondo cosa si intende per naturale se il filo è aiutato con degli ausiliari –impiego del sintetico- forse non è naturale/ecologico….questa commistione di naturale e sintetico è quasi sempre necessaria per dare un contenuto moda al prodotto……la moda del prodotto è fatta prevalentemente dalla confezione…....Sull’acquisto degli alimentari il connubio con l’ecologico-naturale è più facile in quanto l’acquirente finale considera l’impatto di tali prodotti sulla salute..…..”. Il prodotto di abbigliamento naturale può avere successo se associato all’immagine di un prodotto salubre (antiallergico) e se sostenuto in una fase iniziale da alti investimenti in comunicazione che dovrebbero contribuire a creare il mercato di riferimento; quest’ultimo è difficile da definire a priori e la sua composizione sarà funzionale al concetto di abbigliamento naturale che si riesce a far percepire all’acquirente finale. Diventa importare riuscire a far penetrare un concetto chiaro ed identificativo di prodotto di abbigliamento naturale in mercati in cui ormai sono molti i prodotti, a prescindere dalla loro tipologia merceologica, contraddistinti con la dizione “ecologica”; ne consegue che l’eccessiva offerta di prodotti naturali può disorientare l’acquirente nelle sue scelte di acquisto e non costituire più una valida motivazione di acquisto. “……..Se non vi è una cultura di mercato, una preparazione ad accogliere questo prodotto, l’offerta non sarà percepita ed apprezzata dall’acquirente finale…...Sarebbe importante creare un binomio tra prodotti antiallergici e prodotto di abbigliamento naturale…Si deve tener presente che il poliestere non è una fibra naturale ma non è allergico e costa molto meno…mi viene in mente le medicine….le medicine non di marca, non blasonate, costano meno e non vengono vendute anche se hanno la stessa efficacia…così potrebbe essere con i tessuti antiallergici; se non si va incontro al mercato anche se la cultura aumenta il prodotto non decolla……In questo modo si riesce ad attribuire valore al prodotto. Se si realizzasse un prodotto che ha una giustificazione forte come quello dell’abbigliamento naturale e se fosse possibile anche diffonderlo, occorre chiedersi se di fronte a realtà competitive come quella della Cina, il prodotto potrà avere successo.....forse la risposta si trova nella capacità di fare cultura di abbigliamento naturale tra i potenziali acquirenti finali…..Credo che si possa riuscire a vendere molto se ci sono delle strutture capaci di poterlo fare. Per strutture si intende dei manager veri….. ho assistito negli ultimi cinque anni allo sviluppo del Red Bull, bibita che in cinque anni ha quadruplicato la sua produzione. E’ una bevanda non di qualità….creata da due persone che lavoravano in Coca Cola le quali hanno deciso di produrre in Thailandia con erbe tailandesi questo nuovo prodotto. L’abilità dei manager ha consentito di vendere un prodotto dai contenuti di scarsa qualità e mal definiti…..”. L’acquirente del prodotto naturale non è facilmente identificabile a priori; può essere una persona con una cultura ecologica ed abbastanza giovane che fa del rispetto dell’ambiente e dell’”igiene ambientale” una condizione di qualità della vita. “…..L’acquirente di un prodotto ecologico è una persona che quando va in autobus si mette i guanti per rispetto di una sua cultura igienica….Può essere una persona giovane con cultura del verde….media-alta disponibilità

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economica delle persone. Un prodotto come questo dovrebbe essere indossato da qualche esponente del mondo dello sport durante grandi manifestazioni sportive e poi le probabilità di creare mercato potrebbero essere molte ….”. Il prodotto di abbigliamento naturale realizzato in Toscana può essere veicolato attraverso il binomio Toscana-ambiente naturale e il suo successo non è necessariamente legato ad un’impresa di marca ad alta notorietà. Su questo aspetto una parte degli imprenditori è convinta che la realizzazione di abbigliamento naturale da parte delle grandi marche può favorire la creazione di domanda; dall’altra parte altri imprenditori sostengono che mancano i presupposti e le condizioni di produzione per incentivare le griffe a realizzare prodotti di abbigliamento naturale. “…Questo progetto sarebbe molto interessante e potrebbe partire dalla professionalità di Prato inteso come prodotto tessile o potrebbe partire dalla Toscana come regione ad alta qualità ambientale…..a questo punto si tratta di creare un prodotto, un marchio ed avere a disposizione manager in grado di saper veicolare l’immagine del marchio stesso. Però abbiamo tutto questo?. Riuscendo a vendere il niente, il vendere qualcosa è possibile.….Se si indirizza verso una determina direzione, il mercato senza le istituzioni non ha senso.….basterebbe coinvolgere le tre, quattro griffe importanti (Gap, Energy, ecc…) che potrebbero svolgere un ruolo di traino…….le grandi marche non si muovono facilmente verso questa produzione, spetta ad imprese di piccole-medie dimensioni con notevoli competenze di prodotto, procedere a lanciare questo tipo di abbigliamento per poi ricorrere alle marche al fine di poter ampliare la presenza di tali prodotti sul mercato……” La filiera che realizza questo tipo di prodotto di abbigliamento dovrebbe costituire una sottofiliera formata da imprese fortemente specializzate in grado di fare sistema e di realizzare prodotti ad alto valore aggiunto in grado di poter giustificare prezzi più alti. “…..La produzione normale e la produzione effettivamente ecologica non possono coesistere. Se si pensa alla produzione agricola occorre fare una distinzione fra l’impiego di concime chimico e di concime naturale……Tutto il progetto deve essere fatto insieme in quanto si possono generare degli squilibri tra chi produce, chi lo lavora…si dovrebbe creare una sottofiliera di attori che effettuano determinate fasi di produzione nel rispetto delle regole in modo integrato e secondo una logica di sistema. Occorre non solo un’integrazione tra fornitore e produttore, ma è necessario un rapporto diretto anche con la distribuzione. Il prodotto di abbigliamento naturale deve apparire come un prodotto di qualità e di alta comodità…..e può essere venduto ad un prezzo maggiore in una misura che è difficile da definire a priori ……chi compra la Ferrari non chiede mai quanto costa….. Credo che negli ultimi anni tutto è diventato ecologico, naturale…..e che il mercato sia già saturo di prodotti naturali……non si riesce più a percepire cosa è ecologico e cosa non è ecologico …è in qualche modo già esaurito il ciclone del biologico…..nell’abbigliamento ancora non si è mai affrontato il tema e quindi ci potrebbe essere un interesse…occorre pensare in definitiva ad una sorta di sottofiliera naturale, veicolare bene il marchio di riferimento tenendo presente che la saturazione di prodotti ecologici sul mercato, implica l’individuazione di un concetto forte e distintivo di prodotto naturale da far arrivare all’acquirente finale…” Le imprese tessili che compongono la “filiera naturale” dovrebbero avere contatti con le istituzioni e centri di ricerca per poter sperimentare il prodotto che può trovare applicazione nell’ambito dell’abbigliamento sportivo e professionale (abiti per medici). “….Premesso che si riesca a realizzare questa produzione potrebbe essere importante lavorare in modo concordato con qualche centro culturale quali l’Università o centri specializzati per capire le difficoltà di lavorazione del filo, di produzione di semilavorati naturali…..la produzione che ne deriva potrebbe essere costituita da capi di abbigliamento destinati a professioni particolari (camici per i medici), a chi svolge attività sportive (tessuti naturali antibatterici) e a chi soffre di allergie. Si potrebbero realizzare anche abiti per bambini...Poi occorre verificare l’economicità in quanto se si effettua un prodotto una volta sola allora conviene farlo di carta secondo la logica dell’”usa e getta…..”. L’impresa confezionista non deve essere necessariamente di marca, ma deve disporre dell’accesso (diretto e/o indiretto) a punti vendita in grado di trasmettere l’idea del naturale e di evocare la toscanità. Il prodotto di abbigliamento naturale si deve identificare con un brand appositamente

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creato e identificativo dell’insieme di imprese che appartengono alla sottofiliera naturale (paesaggio toscano). “……..L’impresa confezionista può essere di marca, ma non è detto….Benetton non è un’impresa indicata per vendere questo prodotto…… si deve pensare a creare un brand che accomuna tutte le imprese coinvolte nel progetto e che identifica il prodotto di abbigliamento naturale….I punti vendita si immaginano realizzati in legno chiaro, a vetri, niente macchine….monomarca….se in centri commerciali dovrebbero essere centri commerciali insediati in aree verdi (come outlet di Barberino del Mugello)..in quanto colpisce di più….non in centri abitati…..Il brand potrebbe richiamare i tratti della Toscana come un paesaggio del Chianti oppure un paesaggio senese e dovrebbe valorizzare i valori/la storia di un territorio..” Gli imprenditori non nascondo però alcune preoccupazioni a creare abbigliamento naturale evocando altre esperienze non sempre positive. Da tali esperienze emerge come la produzione di abbigliamento naturale sia associata alla realizzazione di prodotti su piccola scala ed in modo abbastanza artigianale; in altri termini non è pensabile una produzione di tali prodotti su scala semi-industriale. “…..Ho visto una realtà di questo tipo aziende con telai a mano che realizzavano cotoneria per la casa….a Sovana; si tratta di una piccola impresa che produce cotone toscano e che dispone di un negozio artigianale….L’antico setificio fiorentino (che ha realizzato arredi per il Quirinale), sembra destinato a chiudere di fronte alla concorrenza…..Il problema è vendere un prodotto naturale realizzato in Toscana…..dovrebbe decollare prima all’estero…conosco a Firenze un’azienda che realizza tovaglie, l’ho visitata e vende molto al turista ….aveva 10-12 telai a mano e li tiene come uno storico strumento di lavoro…al momento acquista il prodotto nel nord del paese per ricamarlo a Firenze…… Gli imprenditori non negano l’importanza delle istituzioni, di attività formative per le imprese coinvolte quali condizioni preliminari su cui impiantare l’intero progetto. “…..Le istituzioni, il mercato, formazione per gli attori e distribuzione costituiscono pedine importanti per il successo del prodotto. Il problema è la distribuzione di abbigliamento che dovrebbe essere sensibile ad inserire questi prodotti nel punto vendita. Un’iniziativa di questo genere avrà successo se si investe in marketing, nella creazione di un marchio, se si tengono presenti le altre esperienze di abbigliamento ecologico da cui contraddistinguersi e si valorizza la toscanità come elemento che può essere riconosciuto in tutto il mondo …….. La concorrenza è un rischio reale che c’è ma occorre tener presente la cultura produttiva che ci siamo fatti e valorizzarla…….. Tante piccole imprese che si aggregano per realizzare un prodotto ecologico….questo potrebbe funzionare se si crea un brand e si veicola un messaggio forte e chiaro all’acquirente finale attraverso investimenti in comunicazione (anche di massa quali i grandi eventi o coinvolgendo testimonial)….” 11.1.2 Focus group 2 – Imprenditori dell’abbigliamento L’esperienza degli imprenditori coinvolti evidenzia le difficoltà a creare una domanda di prodotti di abbigliamento naturali. L’acquirente infatti non è tanto interessato alla composizione del prodotto di abbigliamento, ma ricerca i connotati di vestibilità, di comodità e di modernità (fashion). Oltre a questo comportamento della domanda occorre anche considerare la sperimentazione di nuove fibre come quella prodotta dal mais che presenta le stesse prestazioni lavorative delle fibre sintetiche garantendo qualità proprie della fibra naturale (antibatterico, antiallergico). L’abbigliamento naturale potrebbe essere adatto soprattutto per l’intimo in quanto trasferisce naturalezza, benessere pur essendo chiamato a mantenere un contenuto moda. “…Se l’utilizzatore finale ha una certa sensibilità verso questa tipologia di prodotti allora tali prodotti avrebbero mercato. La sensibilità ci può essere…secondo me gli acquirenti guardano un capo non tanto la composizione…oggi l’acquirente considera soprattutto se un capo è comodo, è easy to wear, non si sgualcisce, non prende facilmente le pieghe….l’immagine deve essere moderna…la qualità dei prodotti è legata all’emozione che ti fa provare ed al fatto che lo puoi usare in qualsiasi contesto. Attraverso l’uso di determinati materiali, otteniamo questi risultati. Il fatto che sia di cashmere, di puro lino, di puro cotone è secondario. Se è puro cashmere come nel mio caso non è

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importante, ma è più importante che abbia la mano cashmere ossia abbia un tatto particolare. …. …..Si stanno realizzando ricerche per la creazione di fibre in grado di riprodurre esattamente le caratteristiche delle fibre sintetiche partendo dal mais…su questo progetto stanno lavorando due grandi produttori….in questo modo siamo in grado di realizzare poliestere partendo dal mais e non dal petrolio. ….Per l’abbigliamento intimo potrebbe essere molto interessante anche se deve avere un aspetto moderno e non deve essere una specie di carta impecorita …deve sembrare una seta per stare comodi e dare la sensazione di benessere. Potrebbero essere un prodotto antiallergico e quindi da impiegare per fare l’intimo…ma deve avere un contenuto moda…..C’è un negozio a Firenze (area Piazza d’Azeglio) dove si vendeno prodotti alimentari e capi in canapa…..”. I partecipanti non menzionano altre esperienze. Il vestire naturale implica comunque l’impiego di sostanze e tecnologie di produzione che limitano il contenuto naturale sia del prodotto sia del processo di realizzazione. Diventa rilevante definire bene il concetto di prodotto di abbigliamento naturale e trasferirlo al mercato in modo coerente. Nonostante questa necessità di definizione, permane la percezione di un trade-off tra contenuto naturale del capo/processo e contenuto fashion. “..…..Un vestito naturale implica l’esclusione di certe tecnologie dalla produzione del capo di abbigliamento; pertanto a mio avviso l’aggettivo “naturale” dovrebbe indicare un prodotto che non reca danno alla salute. Infatti è difficile ridurre oltre una certa soglia l’impatto ambientale in quanto ci sono sempre dei passaggi che ecologici non possono essere definiti….In Mugello ci sono aziende che stavano studiando come realizzare il tessuto dall’olio….sarei interessato, ma al momento non è stato prodotto. Dal momento che alla fine ci dobbiamo confrontare con il mercato, occorre tener presente i costi di produzione…prima si capisce il prezzo a cui si può vendere il prodotto e poi si cerca di capire come produrlo…..tutto quello che non è ostativo al poter immettere sul mercato un prodotto può avere successo... Ci sono delle esigenze fondamentali che provengono dal mercato e su cui ricercare un valore aggiunto. Per quanto concerne l’impatto ambientale dei processi produttivi occorre chiarire meglio le regole da seguire per realizzare un prodotto di abbigliamento naturale…..Del resto si opera in Europa e determinate normative devono essere necessariamente rispettate; tutti i giocattoli cinesi, i vari pupazzetti, realizzati in poliestere sono realizzati con dei coloranti che hanno delle specifiche diverse da quelle europee. Quelli europei prevedono che se il bambino mette in bocca il giocattolo non deve recare danno alla salute e quindi non deve contenere sostanze tossiche. I cinesi non rispettano tali normative. Altro caso……per produzioni antiradiative si ricorre prevalentemente all’acrilico….lo stiamo soppiantandolo con il poliestere perché gli impianti di produzione dell’acrilico hanno un alto impatto ambientale. Se valutiamo le caratteristiche del tessuto realizzato con poliestere si possono ottenere basse performance, ma si può certificare che il tessuto è atossico, anche se non si può considerare completamente atossico il procedimento produttivo che presenta soltanto un più basso impatto ambientale…..Bisogna capire fino a che punto si vuole arrivare in termini di impatto ambientale per definire meglio cosa si intenda per produzione di abbigliamento naturale….se si fanno le mele ecologiche ed accanto si fa coltivazione con pesticidi come si devono considerare le mele ? Se si vuole realizzare un capo con una mano moda, l’impiego di sole fibre vegetali lo consentono?.....”. Il progetto può essere presentato come una sottofiliera costituita da imprese specializzate nella produzione di abbigliamento naturale; il successo del progetto è strettamente correlato alle dinamiche della domanda, gran parte della quale, secondo l’esperienza degli imprenditori è al momento orientata verso prodotti contraddistinti da un buon rapporto qualità/prezzo con contenuto moda. In un mercato in cui occorre creare una domanda di prodotti di abbigliamento naturale diventa importante chiedersi se questo contenuto moda può essere mantenuto per poi veicolare al mercato dei messaggi precisi legati a questo nuovo prodotto che si potrebbero basare sul carattere di naturalezza e di salubrità del prodotto stesso. “……Il progetto può avere successo se l’aspetto naturalezza/salute e l’aspetto moda sono coniugabili. Le imprese che partecipano a questo progetto possono certificare che il capo è realizzato in Toscana nel rispetto di norme ambientali……Può avere un senso dire che dietro ad un’etichetta Made in Tuscany vi è una filiera che rispetta delle normative precise di tipo ambientale e di etica sociale…..Il fatto che il capo sia naturale e che il procedimento sia anch’esso naturale lascia forti dubbi…. Noi compriamo le pelli di orelag che è un incrocio tra un cincillà ed un

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coniglio poi selezionato…..; un’azienda francese è riuscita a realizzare questo tipo di pelli…La produzione era molto bassa; occorreva prenotarla un anno prima per poterne disporre. Ora i cinesi riescono a fare questa stessa produzione, con caratteristiche identiche e molti imprenditori si sono liberati dalla necessità di prenotare questo tipo di pelle un anno prima….se i francesi fossero stati in grado di soddisfare il mercato, avrebbero potuto avere un percorso diverso dall’attuale. Si consideri che questa azienda francese produce con il marchio Orelag che il mercato però non riconosce……questo significa che il consumatore finale ha una percezione della qualità che non è la stessa di quella che ci piacerebbe veicolare. Non è adeguatamente informato…allora viene da chiedersi perché si sta attenti al biologico? Perché siamo stati bombardati da messaggi sul biologico…è come il vino al metanolo. Dalla storia del metanolo si è ripartiti con il vino. Perché si dovrebbe porre attenzione all’abbigliamento naturale? Ci sono dei fenomeni esterni che hanno coinvolto gli acquirenti finali i quali giustificano un’attenzione all’abbigliamento naturale?...”. In una filiera specializzata nella produzione di abbigliamento naturale, diventa importante il ruolo del punto vendita che dovrebbe essere monomarca con al suo interno addetti alla vendita con il compito di “educare” l’acquirente finale. “……Occorre tener presente il contenuto salutistico del messaggio……mi sono sempre chiesta il motivo per cui le commesse non vengono educate…….le commesse dovrebbero dare informazioni al fine non tanto di vendere, quanto di mettere in evidenza il valore aggiunto del prodotto…..Se all’acquirente finale diciamo che un piumino è realizzato a mano, gli si crea un mondo. Il punto di vendita dovrebbe essere un veicolo importante….. La cultura deve essere effettuata sull’acquirente finale e sul punto vendita dove l’acquirente va per ottemperare una mancanza. La vendita di un prodotto intimo naturale potrebbe avvenire anche in farmacia…..”. Il progetto appare di difficile realizzazione con riferimento alla fibra del cotone di cui ci sono paesi (Stati Uniti, Egitto) in cui la produzione avviene in condizioni competitive. Nel caso in cui si intenda realizzare una produzione naturale made in Tuscany occorre tracciare il prodotto ed identificare tutte le sue fasi di realizzazioni con riferimento alla filiera Toscana; diventa importante fare un’analisi della capacità produttiva e soprattutto occorre disporre di competenze di mercato per il lancio del nuovo prodotto e la creazione della domanda (forte integrazione tra competenze di prodotto e di mercato). Questo favorisce lo sviluppo di un brand associabile alla Toscana (il paesaggio del Chianti, la Maremma, il Casentino con le pecore). “…..Sul cotone un progetto così non ha molto senso; se consideriamo che i primi produttori di cotone sono gli Stati Uniti e l’Egitto…Che appezzamento terriero abbiamo a disposizione per fare cotone, canapa o lino…….bisogna saper fare un prodotto riconosciuto dal mercato al di là dell’etichetta come un prodotto che abbia un concetto qualitativo e dietro a questo collocare la filiera a la sua organizzazione con riferimento anche al territorio….L’impresa che produce questo tipo di prodotto che tipologia di impresa è? è un’impresa che dovrebbe essere specializzata nella produzione di abbigliamento naturale ….possiamo pensare ad una sottofiliera che produce abbigliamento ecologico riconosciuto come made in Tuscany….in quanto tessuto e prodotto in Toscana con un conseguente valore aggiunto per l’intera filiera…..La toscanità può essere rappresentata dal Chianti, dalla Maremma o dall’immagine della campagne del Casentino con pecore al pascolo…” Alcuni imprenditori fanno riferimento ad esperienze prodotti di abbigliamento di temporaneo successo (fenomeno moda) a prescindere dalla presenza di un’espressa domanda di mercato; allo stesso tempo percepiscono come inesistente al momento una domanda latente di prodotti di abbigliamento naturale. Qualora si manifestasse e fosse creata, diventerebbe importante superare le barriere dei retailer di abbigliamento i quali decidono autonomamente le tipologie di prodotti che compongono il loro assortimento. “……..Questo secondo me significa creare una filiera di abbigliamento naturale, ma sarà una filiera su un prodotto……e questo potrebbe essere un vincolo….Se il mercato vuole l’ecologico allora conviene creare abbigliamento naturale. Ci sono aziende che si sono messe a fare tessuti stropicciati, tessuti con il metallo; soprattutto questi ultimi non costituiscono dei tessuti di qualità in quanto il metallo tende a fuoriuscire dal metallo; anche se alla fine quello che conta è la percezione da parte del cliente di disporre di un prodotto innovativo.….Purtroppo il nostro

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settore è molto consumistico e volubile; i fattori che determinano la richiesta sono innumerevoli Alla fine è il mercato che comanda…..non abbiamo mai avuto un cliente che ci abbia richiesto un capo con caratteristiche tipiche dell’abbigliamento naturale; mi chiedono dei prodotti accattivanti e di qualità. Si tratta di quei prodotti che poi vengono venduti attraverso i retailer i quali decidono cosa vendere. Pertanto una sensibilità da parte di questi nei confronti dell’abbigliamento naturale è una condizione rilevante per poter pensare ad una penetrazione di prodotti di abbigliamento naturale sul mercato…..”. Gli imprenditori evidenziano come, mentre l’impresa tessile che produce tessuti naturali è necessariamente orientata a specializzarsi in questo tipo di produzione, i confezionisti possono inserire il prodotto di abbigliamento naturale insieme ad altri prodotti all’interno delle loro collezioni. “…….Il prodotto di abbigliamento naturale dovrebbe essere non la principale area di business, ma un completamento di linea ossia come un accessorio in più. Il tema dell’ecologico in una collezione lo metteresti all’inizio o alla fine? Lo metterei nella misura in cui lo stilista lo sente; abbiamo uno stilista molto in gamba che fa ricerca di mercato in modo istintivo. Il mercato estero (nord Europa) è molto sensibile nei confronti dei prodotti naturali…..”. Per capire in modo definitivo la percezione dell’acquirente di prodotti di abbigliamento naturale e la sua motivazione a vendere diventa importante sottoporlo ad un confronto tra prodotto naturale e non naturale e informarlo sulle modalità di manutenzione del capo di abbigliamento; gli imprenditori partecipanti al focus group sono convinti che un prodotto ecologico richiede maggiori attenzioni da parte degli acquirenti. “…Attenzione per capire se il mercato è attraente …… la fase successiva è quello di far vedere e realizzare un confronto visivo tra capo ecologico e non ecologico. E’ come la pasta integrale e la pasta normale: se mi chiedono se mi potrebbe piacere la pasta integrale rispondo affermativamente. Quando l’assaggio posso riconvertirmi alla pasta normale…..Prima le tovaglie erano di canapa, ora quanti acquistano prodotti in canapa? L’equilibrio tra qualità del prodotto, prezzo, facilità di utilizzo ha premiato la produzione sintetica….. Nel caso dell’intimo si tende ad impiegare fili di scozia, cotone e seta. L’intimo ha delle esigenze di comfort superiori rispetto a quelle di immagine e quindi potrebbe essere utile partire nell’intimo con un abbigliamento naturale….Tale abbigliamento richiede più accortezze nella manutenzione da parte dell’acquirente….” 11.2 Riferimenti bibliografici e siti internet consultati ADAS (2005). UK Flax and Hemp production: the impact of changes in support measures on the

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