Provincia Latina n.1
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PROVINCIA LATINAPeriodico della Provincia di Latina | Anno I n° 1 - I Trimestre 2007
Registro Stampa n°848 del 18/02/2006 Trib. Ord. LatinaTiratura 200.000 copie
Direttore Armando CusaniDirettore Responsabile Everardo Longarini
Direzione e Redazione Via Costa,1 04100 LatinaTel 0773.401.231 Fax 0773.401.251Sito Internet www.provincia.latina.it
Stampa Global Stampa SRL Via Angelo della Pergola 00100 RomaCopertina Cerimonia di conferimento della Medaglia d’Oro al
Merito Civile al Gonfalone della Provincia di LatinaFoto: Quirinale, Imperial War Museum - Londra,
Archivio fotografico Pier Giacomo Sottoriva, Archivio fotografico Mauro Lottici
E’ consentita la riproduzione dei testi purchè ne sia citata la fonte3
Anno I n° 1
SOMMARIO
4 IL SIMBOLO DELL’UNITA’
56TRIBUTO A MARIAE ALLE ALTRE6 LE TAPPE DELLA MEDAGLIA
59VITE DISPERSE9 UN RICONOSCIMENTOSIGNIFICATIVO PER TUTTI
65IL RITORNO DELLA MALARIA13 L’AQUILA NELLA LEGGENDA
72IL VIAGGIO IN PROVINCIA DILATINA DI DE NICOLA NEL ‘4720 UN FISCHIO, UNA BOMBA,
UN EROE
79SESSANT’ANNI DI LIBERTA’23 IL “SANTO” DAL CAPPELLOPIUMATO
27 LA BANCARELLA DEI LIBRIDELLA MEMORIA
29 L’URLO E IL SILENZIO DELLA «PICCOLA CASSINO»
51BOTTINO DI GUERRA
35 IL FRONTE DEL NORD
47 LA GUERRANEI CENTRI LEPINI
Progetto e Coordinamento EditorialeDOMENICO TIBALDI
EditingCLAUDIA PAOLETTI
Progetto GraficoFABRIZIO CARDINALE
4
Medaglia d’Oro Anno I n° 1
di ARMANDO CUSANI*
ochi mesi fa, al Quirinale, il Presidente della
Repubblica ha decorato il Gonfalone della Provincia
di Latina della Medaglia d’Oro al Merito Civile. E’ un
risultato molto importante e di grande portata per simboli e
valori che esso porta con sé. Ne sono orgoglioso non tanto
per la mia persona o per il ruolo che umilmente ricopro, ma
per le generazioni passate e presenti di una provincia nata
da una volontà imperiosa e totalizzante e, per il tragico
inganno di una vittoria rivelatasi presto impossibile, costretta
a subire, ad appena nove anni dalla sua istituzione, le
tragiche conseguenze (migliaia di morti, abitazioni distrutte,
miseria, fame, malattie e stupri) della guerra. Dopo Littoria, i
cittadini dei 33 Comuni della provincia di Latina hanno
ricostruito paesi e vite, laboriosi e con lo sguardo proteso al
futuro hanno prestato braccia e intelligenze perché questo
territorio potesse rinascere in democrazia ed essere
destinatario di sviluppo sociale, economico e culturale.
Idealmente, un frammento di questa nostra medaglia
appartiene a ciascuno di loro. E viene tramandata nei suoi
significati ai giovani di oggi che, mi si perdoni la franchezza,
poco consapevoli appaiono di ciò che è costato, nella carne
e nell’anima, quanto attualmente essi hanno, ma, per quel
che accade nel mondo, potrebbero perdere se la ragione e il
rispetto delle altrui identità si perdessero nuovamente in una
nuova tragedia planetaria.
Sono grato alla Giunta e al Consiglio per aver condiviso
questo impegno. Sono, tuttavia, convinto, che il
conseguimento di un obiettivo così rilevante sia solo una
tappa di un percorso più ampio che nei miei pensieri aspira
ad entrare nelle case dei cittadini e nelle scuole perché padri
e madri, insegnanti e studenti siano dal basso i protagonisti
dell’affermazione di due grandi valori – culturali ed etici ad
un tempo – che colgo nella Medaglia d’Oro al Gonfalone
della Provincia e propongo a tutti: l’Unità della popolazione
dinanzi ai nefasti eventi di più di sessant’anni fa come base
dalla quale partire per affermare e consolidare l’Unità
presente e futura del territorio e della comunità che su di
esso vive e lavora; la riscoperta della Memoria come la più
fedele alleata della Pace e dell’uguaglianza tra gli uomini.
Viene così naturale affidare l’esordio di “Provincia Latina” ad
un numero monografico, sicuramente particolare e
comunque non esaustivo della materia che fa da sfondo
all’alta onorificenza, per portare la Medaglia d’Oro nelle
case dei cittadini con i significati che sento di attribuire ad
essa con il programma di iniziative che l’ente sta portando
avanti nei luoghi-simbolo di quei terribili mesi (ottobre-
novembre 1943 - maggio-giugno 1944) di storia
contemporanea; con articoli di approfondimento sui
personaggi che, protagonisti di gesta d’impronta
deamicisiana, possono essere motivo di riflessione per i
giovani in un momento in cui la società della comunicazione
veloce, tempesta loro di messaggi non sempre sani o modelli
comportamentali talvolta distorti; con “pezzi” attraverso i
IL SIMBOLO DELL’UNITA’
P
IL SIMBOLO DELL’UNITA’
Medaglia d’OroAnno I n° 1
quali si tenta di offrire un quadro di ciò che avvenne in quei
giorni fino al viaggio del primo Capo dello Stato, Enrico De
Nicola, tra le macerie di paesi e cittadini desiderosi di
ricominciare. C’è molto di inedito nelle pagine che seguono
ed apprezzo lo sforzo di ricerca di ciascun autore. E, ancora,
spero che questo numero speciale del periodico possa
entrare nelle case e nelle classi insieme ai libri della collana
“Per non dimenticare” che la Provincia sta promuovendo
insieme alla “Herald Editore” di Roma, suscitare riflessione,
discussione e approfondimenti ulteriori, contribuire a
maturare e radicare l’orgoglio di essere cittadini della
Provincia di Latina con questa sua Medaglia d’Oro, calando
esso in un impegno – rinnovato, costante, profondo - per
migliorare, nella vita d’ogni giorno, lo spaccato di società
italiana della quale facciamo parte e per aiutare a
progredire il territorio sul quale viviamo da 70 anni,
accorciando il divario tra le diverse velocità delle aree (costa,
collina, pianura) e le distanze che ancor oggi si vivono tra
nord e sud ma che non possono essere motivo per
avventurarsi in progetti per l’istituzione di nuove province, tra
l’altro di frontiera.
Da questo sforzo complessivo trarrà alimento, inoltre, la
Memoria, segnando, in modo mi auguro non rituale o
retorico, l’impegno di una Istituzione sovracomunale che nel
ricordo di fatti ed eventi di 60 anni fa, desidera rinvigorire lo
sforzo pacificatorio di cui si avverte impellente il bisogno nel
nostro Paese. George Santayana ha scritto che chi non ha
memoria del passato è destinato a riviverlo. Niente di più
attuale e di vero. Le pagine di questo numero vogliono essere
come un piccolo soffio per alimentare la fiaccola della Pace,
perché tedofori convinti e partecipi ne conducano la fiamma
benefica e piena di speranza nei lidi più lontani dove ancora
l’uomo uccide i suoi simili nel contesto di guerre
sbrigativamente catalogate come “conflitti regionali”.
Infine, su altro piano, questo numero di “Provincia Latina”
anticipa il “taglio” che il periodico seguirà nei numeri futuri.
In un contesto in cui cinque quotidiani e varie emittenti
radiotelevisive danno egregiamente conto dei fatti d’ogni
giorno, questo periodico può coprire uno spazio diverso e
dar conto compiutamente dei problemi che un ente
complesso come il nostro affronta nel medio e lungo
periodo e delle soluzioni che esso ricerca nell’interesse dei
cittadini. “Provincia Latina”, tenterà attraverso
l’approfondimento tematico ed una impronta
rigorosamente istituzionale, con semplicità e senza enfasi,
lo sforzo di un Ente verso un nuovo progresso sociale,
economico e culturale che la gente ed il territorio, da
Aprilia al Garigliano, aspettano da tempo. Giustamente!
*Presidente della Provincia
5
n 29 anni di servizio ho avuto tante
soddisfazioni, ma mai ne avrei immaginato
una cosi grande. E’ stato emozionante trovarmi
dinanzi al Presidente della Repubblica …….. Quel brivido
lungo la schiena, quando, fatto un passo indietro, abbassai
lo stendardo per il gesto solenne del Capo dello Stato non
lo dimenticherò mai. Ma ero teso, temevo di sbagliare, di
dimenticare i movimenti che il giorno prima, il personale
addetto aveva meticolosamente spiegato a tutti noi. Per
fortuna, tutto è andato bene”.
Seduto dinanzi ad un caffè, Armando Mazzucco, 56 anni,
maresciallo della Polizia Provinciale, si lascia andare ai
ricordi. Sono passati diversi mesi da quel 25 aprile quando,
nel cortile d’onore del Quirinale, è stato l’alfiere del
Gonfalone della Provincia fregiato di Medaglia d’Oro al
Merito Civile dal Presidente della Repubblica. “Ma
l’emozione dura ancora – riprende Mazzucco - ed è stato
un grande onore per me svolgere un compito così delicato
in rappresentanza, dopo il Presidente Armando Cusani,
della popolazione della Provincia di Latina per un evento
di grande valore simbolico e forte spessore morale”.
In effetti è sì. Cerimonie cosi solenni come quella della
Medaglia d’Oro al Merito Civile segnano chi ne è
protagonista o anche semplicemente spettatore, come il
Prefetto Alfonso Pironti, i Sindaci delle cittadine pontine, già
destinatarie di medaglie al valore e al merito (d’oro,
argento e bronzo), gli Assessori e Consiglieri provinciali, i
rappresentanti delle Associazioni Combattentistiche che
componevano la delegazione ammessa alla Presidenza
della Repubblica nell’occasione descritta.
Non sono molte le Province italiane che hanno ricevuto
un’onorificenza prestigiosa. E Latina, con quelle di Torino e
Bologna, rientra sicuramente tra le più importanti per il
triste primato di unica Provincia d’Italia a trovarsi – tra il
l’autunno del 1943 e la primavera inoltrata del ’44 –al
centro di due grandi fronti: la Linea Gustav al sud, il fronte
Anzio-Littoria-Cisterna-Aprilia al nord. Cosa sia costato in
termini di vite e distruzioni è noto: circa 7 mila morti, oltre
10 mila feriti, senza contare il sacrificio della vita degli
uomini in armi nei diversi teatri di combattimento; interi
paesi rasi al suolo, altri gravemente danneggiati, miseria,
fame, deportazione, stupri.
La storia della Medaglia d’Oro era iniziata con due lettere
del dottor Pier Giacomo Sottoriva. La sensibilità del
Presidente della Provincia Armando Cusani nel convocare
un pool di storici ed esperti assistiti dal personale dell’Ente
è stata immediata. Intorno ad un tavolo, lo stesso Pier
Giacomo Sottoriva, Direttore dell’Apt di Latina, il Dott. Aldo
Lisetti, Sindaco di Campodimele, il prof. Luigi Zaccheo ed il
Dott. Agostino Attanasio, Direttore dell’Archivio di Stato di
Latina. Sono loro i firmatari della relazione di base
approvata all’unanimità dal Consiglio provinciale a
conclusione di un dibattito appassionato e denso di
contenuti.
Era il 9 maggio 2005. Pochi giorni più tardi, ecco la visita
ufficiale a Latina del Presidente della Repubblica Carlo
Azeglio Ciampi: un evento straordinario per la città-
capoluogo e per le altre cittadine del territorio, per la gente
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Medaglia d’Oro - La Storia Anno I n° 1
LE TAPPE DELLA MEDAGLIALE TAPPE DELLA MEDAGLIA
“I
7
e i giovani. E’ l’occasione buona. Al Palazzo della Cultura,
dopo l’esordio emotivamente partecipe del Sindaco della
città, On. Vincenzo Zaccheo, il Presidente della Provincia
Armando Cusani pronuncia un discorso appassionato e
coinvolgente, dove valori ed argomentazioni si alternano in
un crescendo di dati e storie a sostegno dell’attesa della
Medaglia d’Oro che colpiscono sia il Presidente della
Repubblica, che la gentile consorte, Donna Franca. Alla
fine, il pubblico che riempie il Palazzo della Cultura è in
piedi e segna con un caloroso, scrosciante, interminabile
applauso la condivisione per la richiesta formulata dal
Presidente Cusani all’indirizzo del Capo dello Stato.
I giorni ed i mesi successivi alla visita di Ciampi saranno di
costante ed intenso lavoro per gli uffici del Cerimoniale
della Provincia. E, oltre l’inoltro della Delibera n. 21 del
09.05.2005 contenente la richiesta della più alta
onorificenza, rappresentando peraltro la Provincia l’insieme
dei Comuni (decorati e non) colpiti dalla guerra, esso
comporterà la lettura di 28 libri, l’allestimento di cinque
faldoni di atti e documenti inviati in altrettante occasioni alla
speciale Commissione presso il Ministero dell’Interno per
costituire la mole di prove indispensabili per l’istruttoria e il
parere positivo dell’organismo.
Quando arriva la comunicazione formale dell’esito
favorevole della richiesta è già dicembre, ma per
correttezza verso il Capo dello Stato, si preferisce attendere
il comunicato ufficiale del Quirinale. Quattro mesi più tardi,
nell’imminenza della Festa della Liberazione, ecco
l’annuncio ufficiale: la Provincia di Latina è Medaglia d’Oro
al Merito Civile. La cerimonia presso il cortile d’onore della
Presidenza della Repubblica è storia di ieri. E’ il 25 aprile
2006.
Ma come la Provincia sta celebrando la così alta
onorificenza conferita dal Capo dello Stato?
Il Presidente Cusani lo ha spiegato in occasione
dell’annuncio ufficiale. E’ un programma che segue due
filoni distinti, ma il loro punto di congiunzione è
rappresentato dal desiderio di lasciare sul territorio
Medaglia d’Oro - La StoriaAnno I n° 1
testimonianze tangibili ed ammonitrici perché i giovani
facciano tesoro della Memoria e comprendano che essa è
la più fedele compagna della Pace e della Democrazia che
è necessario consolidare nel nostro Paese e portare nei
Paesi lontani dove l’uomo uccide ancora suo fratello.
Cinque steli in bronzo realizzate dall’Antica Fonderia
Pontificia Marinelli di Agnone ricorderanno per sempre due
ufficiali decorati di Medaglia d’Oro al Valor Militare alla
memoria: il Tenente pilota dell’Aeronautica Alfredo Fusco
(Castelforte) e il Tenente dei Bersaglieri Mario Musco
(Ponza); un carabiniere, decorato di Medaglia d’Argento al
Valor Militare alla memoria: Angelo Di Tano (SS.Cosma e
Damiano); l’esodo e la deportazione della popolazione
pontina (Cisterna); le Donne che subirono violenza da parte
delle truppe del Corpo di Spedizione Francese
(Campodimele): proprio la stele a “Maria e alle Altre” è
stata la prima ad essere inaugurata nel corso di una
solenne cerimonia che ha avuto luogo nel caratteristico
borgo aurunco lo scorso 27 luglio alla presenza del Vice
Presidente della Camera, On. Giorgia Meloni, seguita da
quella a ricordo di Alfredo Fusco (Castelforte, 6 ottobre
2006, alla presenza del sottosegretario On. Marco
Verzaschi) e di Angelo Di Tano (SS. Cosma e Damiano, 18
novembre 2006).
In altra parte di “Provincia Latina”, al pari dei personaggi,
si illustra la collana editoriale che la Provincia ha promosso
in collaborazione con la Herald Editore di Roma: testi e
memorie di chi, nei luoghi più significativi della Gustav, del
Fronte Anzio-Littoria-Cisterna-Aprilia e del resto del
territorio che visse la tragedia della guerra.
Tra i monumenti di Marinelli ed i testi della Herald, un filo
sottile ma resistente lega storie, uomini, donne e luoghi in
un valore che la Medaglia d’Oro al Merito Civile ha
appena contribuito a far scoprire: l’unità della popolazione
e del territorio. E forse, proprio da questo valore è possibile
ripartire per costruire il futuro di una provincia nata sì da
una volontà imperiosa, ma che in democrazia la gente
seppe ricostruire e rendere prospera nonostante tutto.
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Medaglia d’Oro: La Storia Anno I n° 1
9
MICHELE FORTE
Presidente del Consiglio (UDC)
Tenere viva la memoria storica è un dovere.
Soprattutto verso le nuove generazioni.
Si registra nei giovani un interesse sempre
più limitato per gli avvenimenti del passato. Eventi come quelli
relativi al secondo conflitto mondiale fanno fatica a sfuggire al
processo insieme di oblio e di omologazione dominante.
La Provincia di Latina, allora ancora Littoria, in quei mesi terribili
a cavallo tra il 1943 ed il 1944 è stata, suo malgrado, una
protagonista assoluta. Il Garigliano ed Anzio ne hanno segnato
emblematicamente, limiti geograficamente esterni, il dramma.
Lutti, miserie, distruzioni. Due grandi eserciti a fronteggiarsi. Ed in
mezzo il nostro territorio e la nostra popolazione. Alla fine un
bilancio dolorosissimo. Città distrutte, agricoltura devastata,
economia regredita, condizioni igieniche precarie. E morti e feriti.
Malattie e povertà. Umiliazione e disperazione. Giorni atroci ed
oscuri affrontati con coraggio e dignità, forza e speranza
nell’avvenire. Dopo la nottata, che inevitabilmente passa, Eduardo
docet, finalmente l’alba. E con essa la pace, la libertà, le
democrazia e quindi il progresso. Economico e sociale.
Con la stessa dignità e lo stesso indomito coraggio della nottata si
è dispiegata all’alba del riscatto la capacità di lavoro, il senso
civico, l’umana solidarietà, l’adesione ai valori della riconquistata
democrazia, l’ingegnoso operare degli abitanti della Provincia di
Latina. Questo è il significato della Medaglia d’Oro.
Alle nuove generazioni che “vivono” questo progresso è nostro
dovere trasmettere col ricordo la “memoria storica” di quei tempi.
PAOLO GRAZIANO
Capogruppo Forza Italia
Ero Sindaco di Minturno il 3 agosto 1998,
quando il Presidente della Repubblica Oscar
Luigi Scalfaro ed il Ministro dell’Interno
Giorgio Napolitano firmarono il decreto per il conferimento della
Medaglia d’Oro al Merito Civile alla mia Città. Si trattava del
primo Municipio pontino ad essere insignito di questo massimo
riconoscimento che premiava gli sforzi profusi dal Comitato
minturnese. L’Amministrazione Comunale, da me guidata, si
impegnò a rendere solenne la Cerimonia di consegna della
prestigiosa ricompensa che si svolse in Piazza Porta Nova, davanti
a circa tremila persone, il 10 gennaio 2000. Una grande
emozione, un evento memorabile vissuto insieme al Presidente del
Senato, Nicola Mancino, ed alle massime Autorità della Regione.
Nel mio breve intervento accennai alle tante storie di dolore, patite
dalla nostra laboriosa gente e a quel patrimonio ideale da
consegnare alle nuove generazioni, unitamente all’impegno per la
costruzione di una società sempre più ispirata ai valori della
solidarietà e della fratellanza. Il mio pensiero andò al sacrificio
degli oltre 700 concittadini, tra civili e militari, periti nell’ultimo
conflitto mondiale e alla testimonianza dei sopravvissuti, alcuni dei
quali segnati anche fisicamente dalle barbarie della guerra. In
seguito altri municipi pontini, come Santi Cosma e Damiano e
Castelforte, ottennero il massimo riconoscimento in ricordo
dell’olocausto subito dalle popolazioni in una zona tormentata sia
dalla linea “Gustav” (lungo la valle del Garigliano), sia dal fronte
di Anzio.
Il 25 aprile scorso il Capo dello Stato Carlo Azeglio Ciampi ha
conferito la Medaglia d’Oro al Merito Civile al Gonfalone della
Provincia di Latina. Un attestato che ha reso omaggio al sangue
versato allora da tante persone di questa meravigliosa terra,
arricchita dalla bonifica delle paludi. Un nobile metallo per
ricordare le drammatiche vicende vissute dalla gente di Littoria –
Latina e dagli altri centri della provincia. Questa significativa
ricompensa ha contribuito a sintetizzare e a rappresentare
univocamente la tragedia umana di quel triste periodo, senza
distinzioni geografiche e temporali, senza differenze tra il nord e
il sud dell’area pontina. Una medaglia che unisce la varie “facce”
della provincia, già teatro di dure battaglie e di violenti
bombardamenti, poi protagonista della rinascita economica ed
oggi proiettata verso un prospero futuro.
MAURIZIO LUCCI
Capogruppo Alleanza Nazionale
Il giorno del conferimento della Medaglia
d’Oro al Merito Civile al Gonfalone della
Provincia di Latina può considerarsi
sicuramente un evento storico. Questo importante riconoscimento
premia il sacrificio ed il dolore patito da numerosi cittadini che
trovarono la morte durante il secondo conflitto mondiale. Il
significato di questo avvenimento è nella sublimazione dei valori
dell’unità nazionale fondati sul principio universale che ogni forma
9
UN RICONOSCIMENTO SIGNIFICATIVO PER TUTTI
Medaglia d’Oro - CommentiAnno I n° 1
1010
di sopraffazione dell’uomo sull’uomo va condannata
incondizionatamente.
Il valore simbolico di questa Medaglia d’Oro è quello di
allontanare lo spettro delle guerre che non potrà mai essere il
mezzo per risolvere o dirimere le controversie fra i popoli. Il
prezzo di sangue di questa provincia è un prezzo pagato alla
guerra che deve essere allontanata, estirpata affinché i
riconoscimenti che verranno saranno per eventi di grande gioia, il
viatico per conseguire risultati di eccellenza, nella pace. Questi
messaggi, uniti agli atti eroici ed al sacrificio della popolazione
pontina sono alla base del conferimento della Medaglia da parte
del capo dello stato Carlo Azeglio Ciampi.
Una data memorabile quella del 25 aprile che rappresenta il
superamento di qualsiasi barriera razziale ed ideologica a favore
della libertà di ogni individuo. Ed è proprio la libertà individuale
che racchiude il patrimonio di ideali, valori e dignità umana. Per
questi motivi, il Gruppo di Alleanza Nazionale ringrazia il
Presidente Armando Cusani per essersi impegnata nel dare risalto
a questi principi.
MAURO CARTURAN
Capogruppo UDC
Ho provato grande commozione nel seguire
le immagini televisive (in quanto ero
impegnato all’estero per motivi personali)
della consegna della Medaglia d’Oro al Merito Civile al
Gonfalone della nostra Provincia. E’ un evento di grande
significato simbolico per chiunque abbia a cuore i temi della
democrazia e dell’unità nazionale. Un giusto tributo nel quale si
riconoscono tutti i cittadini della nostra Provincia di Latina, uniti
dall’immane sofferenza subita nel II conflitto bellico, in particolar
modo nell’area del nord pontino dove l’asse Anzio – Cisterna -
Aprilia ha fatto del nostro territorio un terreno di scontri
violentissimi che hanno mietuto migliaia di vittime innocenti.
Come non ricordare i drammi e le sofferenze che la popolazione
civile di Cisterna ha patito durante quei quattro tragici mesi dello
sfollamento del 1944 e l’orgoglio e l’operosità, al rientro, nell’aver
fatto rinascere una città completamente distrutta. Cisterna, con
sacrifico, dolore, operosità ed orgoglio ha sofferto la guerra ed è
saputa rinascere dalle sue ceneri a dimostrazione che il coraggio
della vita prevale oltre ogni dolore. Questo il valore della
medaglia, questo il sacrificio di tanta gente da non dimenticare.
Ogni anno Cisterna ricorda degnamente i bombardamenti bellici
subiti dalla popolazione civile dal 22 gennaio 1944 sino all’inizio
della Primavera dello stesso anno, quando gli alleati sbarcano a
Anzio. Ma soprattutto l’esperienza drammatica di migliaia di
uomini, donne e bambini che si sono rifugiati nelle grotte di
Cisterna, vivendo per quasi due mesi nel sottosuolo.
D’ora in poi ogni comune della nostra Provincia parteciperà al
ricordo di quei tragici eventi perché questa Medaglia è il
riconoscimento delle nostre identità comuni, delle medesime radici,
del senso di appartenenza al territorio.
CLAUDIO CARDOGNA
Capogruppo Lista Cusani
Il conferimento della Medaglia d’Oro al
Gonfalone della Provincia di Latina, in
occasione del sessantunesimo anniversario
del giorno della Liberazione, è l’adeguato riconoscimento ai
sacrifici e al sangue versato dall’intera cittadinanza nel secondo
conflitto bellico per rendere questo territorio libero dai soprusi e
dagli invasori. La solenne cerimonia di consegna al Quirinale alla
presenza del Capo dello Stato Carlo Azeglio Ciampi ha riportato
alla mente quei tragici eventi bellici affinché nessuno possa
dimenticare. Un particolare riconoscimento agli storici e a tutti
coloro che hanno contribuito a reperire ogni documento e
testimonianza del passato e che sono stati alla base delle
motivazioni che hanno portato al giusto conferimento della
medaglia ed al riconoscimento del sacrificio della popolazione
civile e militare.
La totalità del territorio pontino, tormentato dal conflitto nell’ultimo
periodo, forse non ha uguali nel resto del territorio nazionale, in
quanto la Provincia è stata stretta in una morsa di piombo: al nord
dal fronte della Linea Anzio – Nettuno – Cisterna – Aprilia ed al
sud dalla Linea Gustav. Ma la terra pontina è anche la terra che
racchiude quell’isola, Ventotene, nel quale confino personaggi
come Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni
concepirono e scrissero quel “Manifesto per l’Europa libera ed
unita”, dimostratosi non un sogno ma una realtà.
Un particolare merito alla perseveranza dell’Amministrazione
provinciale che ha fortemente voluto questo riconoscimento perché
crede nell’importanza che questi valori storici sanno trasmettere
alle future generazioni: l’unità, la tolleranza, la non belligeranza,
il riconoscimento delle diversità nel rispetto di un quadro
democratico e di pacifica convivenza.
Medaglia d’Oro - Commenti Anno I n° 1
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MARIO CAPPONI
Capogruppo Provincia Condivisa
Il conferimento della Medaglia d’Oro al
Merito Civile al Gonfalone della Provincia di
Latina è stato il coronamento dell’enorme
sacrificio fatto da tutta la popolazione dell’agro pontino. Più che
un sacrificio è stata una vera e propria sofferenza vissuta anche
da me tesso in prima persona. Durante il Consiglio provinciale nel
quale abbiamo espresso l’attesa che il Gonfalone fosse insignito
della Medaglia d’oro al Merito Civile, accogliendo all’unanimità la
proposta del Presidente Armando Cusani, sono intervenuto
personalmente su un avvenimento accaduto a me personalmente
di quando venni colpito durante il secondo conflitto mondiale. E’
ancora vivo in me il ricordo della fucilata di un cecchino tedesco
sulle pendici del Monte Circeo, dove ero sfollato coni miei genitori.
Parlo di sofferenza vera perchè oltre al dolore fisico, abbiamo
vissuto sulla pelle le atrocità della guerra, abbiamo sofferto la
fame, la farina era talmente scarsa che non bastava a sfamare
nessuno, mangiavamo cicoria cruda, si beveva negli abbeveratoi
degli animali. L’agro pontino era isolato, i tedeschi avevano fatto
saltare i ponti, la gente veniva depredata. Per questo il
riconoscimento della Medaglia D’Oro mi ha davvero toccato il
cuore. La provincia di Latina lo meritava fino in fondo, non tanto
come Provincia di Latina ma quanto come Provincia di Littoria ed
è giusto che la storia venga ricordata.
FEDERICO D’ARCANGELI
Capogruppo DS
E’ stato forse il momento più alto nella storia
della nostra giovane Provincia quello vissuto
lo scorso 25 Aprile nel cortile del Quirinale.
La consegna da parte del Presidente Ciampi della massima
onoreficienza al Merito Civile, al di là di ogni facile retorica, ha
rappresentato per la nostra comunità provinciale un momento
esaltante di orgoglio e di unità; orgoglio per il riconoscimento del
dolore e del sacrificio vissuti da parte delle nostre comunità nel
corso del secondo conflitto mondiale e insieme profondo senso di
unità da parte di una popolazione che tutta intera, da nord a sud
della Provincia ha saputo affrontare con coraggio e dignità quelle
prove drammatiche. Coraggio e dignità del resto già ampiamente
attestati dalle numerose onoreficienze che singoli Comuni avevano
ricevuto negli anni passati. Resta il monito, nella sofferenza degli
uomini e nelle ferite del paesaggio, a non accettare mai più nella
nostra storia l’orrore della guerra , a essere ancora e sempre
comunità orgogliosa e generosa, ospitale terra di pace e di civile
convivenza.
FRANCESCO AVERSA
Capogruppo La Margherita
Il Gruppo della Margherita è fortemente
motivato a plaudire il conferimento della
Medaglia d’Oro al Merito civile al Gonfalone
della Provincia di Latina. Il nostro territorio, e in particolare quello
dei lepini di cui sono rappresentante, è stato teatro di violenti
scontri nell’ultimo conflitto mondiale. I nostri cittadini hanno
conosciuto i dolori, gli stenti e la dignità di ricominciare.
Questa guerra infatti non ha risparmiato nessuno, donne e uomini
dell’intera provincia hanno saputo difendere i valori della libertà e
della Patria con il proprio sacrificio ed è per questo che la
Medaglia d’Oro assume un valore ancora più grande del simbolo
stesso. In questa Medaglia infatti si riconoscono tutti i cittadini del
territorio, accomunati da un unico principio: la difesa della libertà.
E’ senza dubbio quindi un riconoscimento meritato quello che il
Presidente della Repubblica ha voluto conferire a questa nostra
Provincia. Iniziative del genere vanno quindi sostenute perché non
hanno nessun colore politico, se non quello della pace e della
libertà.
LUCIO PAVONE
Capogruppo PRC
Sicuramente è un avvenimento di grande
rilievo che dà il giusto riconoscimento alla
nostra provincia di quanto subito durante la
seconda guerra mondiale. Viene dopo quello ottenuto da molti
comuni della provincia e mantiene viva la memoria sulle atrocità
della guerra e del regime nazifascista.
Il grande merito di questo straordinario evento è quello di dare un
tributo indiretto alla resistenza fatta dalle popolazione civili. La
nostra provincia era attraversata nella sua parte meridionale dalla
cosiddetta linea Gustav, che univa Gaeta con Termoli
sull’Adriatico, zona di atroci scontri dove si sono registrati gli
avvenimenti più tragiche dopo l’avanzata delle truppe
angloamericane con stupri e saccheggi in larga massa nei comuni
di Castelforte, Lenola, Minturno e SS. Cosma e Damiano. Stessa
sorte anche sull’asse del nord pontino Anzio – Aprilia – Cisterna
interessato dallo sbarco delle truppe alleate: la popolazione si
ritrovò al centro di uno spaventoso conflitto e le conseguenze
11
Medaglia d’Oro - CommentiAnno I n° 1
12
furono devastanti.
L’augurio è che il ricordo serva in futuro ad evitare l’insorgere
delle ostilità tra le nazioni e a privilegiare il dialogo e il confronto
per le risoluzioni delle controversie tra i popoli conformemente a
quanto previsto dall’art. 11 della nostra Costituzione. In tal senso
è visto di buon auspicio il ritiro delle truppe italiane dall’Iraq come
vuole il provvedimento adottato dal nuovo governo italiano.
FABRIZIO VITALI
Capogruppo Verdi per la pace
Il Gruppo provinciale dei Verdi per la Pace
plaude l’iniziativa del Presidente Armando
Cusani che ha portato alla consegna della
Medaglia d’Oro al Merito Civile alla Provincia di Latina ma anche
a persone del nostro territorio che hanno pagato un prezzo
altissimo per la lotta di liberazione dalle crudeltà mosse dalle
dittature: il Tenente Pilota Alfredo Fusco, il Carabiniere Angelo Di
Tano ed il Tenente dei Bersaglieri Mario Musco. Ritengo che
inducano a riflessione le motivazioni che stanno alla base
dell’onorificenza: “l’eroico coraggio e la profonda fede nella
libertà ed altissima dignità morale”.
La libertà e la dignità dell’uomo sono diritti inviolabili: eventi come
il conferimento della Medaglia sono qui a ricordarcelo e noi
abbiamo il dovere di ricordarlo alle generazioni future. La libertà
non si conquista con le guerre ma con la pace, l’uguaglianza, il
rispetto delle diversità tra i popoli. La “fiera popolazione pontina”
ha pagato un prezzo altissimo per la difesa di questi valori. Spero
che il sangue versato allora e che continua a scorrere oggi serva
a tingere le coscienze di ognuno, a ricordare, a farci capire
quanto sia sbagliato guerreggiare. In ugual misura dovrà essere
uno stimolo in più a professare tra la gente il significato e il valore
della pace, unico vero balsamo che allontana il male. Non è
pensato sbagliare che in altri tempi fossero altri gli stimoli che
muovevano le genti.
Oggi gli atti di coraggio vanno e andranno costruiti in ambiti di
pace e cooperazione tra i popoli, trasformando atti militari in
grandiose opere di solidarietà.
ALESSANDRA MUSSOLINI
Capogruppo Alternativa Sociale
Il conferimento della Medaglia d’Oro al
Merito Civile conferita alla cittadinanza della
Provincia di Latina il 25 aprile scorso dal
Presidente Ciampi riveste un significato rivelante. E ciò non tanto
per le specifiche motivazioni che hanno accompagnato
l’onorificenza, quanto per il significato che ho inteso leggere in
questo atto. Ritengo un alto riconoscimento a tutta la popolazione
vedere riconosciuto dallo Stato il peso, sopportato con coraggio,
di un conflitto che ha punito il territorio pontino con sofferenza,
morte e distruzione.
Tutti i cittadini hanno sofferto, tutti i cittadini meritano onore.
Troppo spesso l’aver appartenuto ad una parte ha determinato un
privilegio anche nel vedere riconosciute sofferenza e dolore. In
questa circostanza, invece, il merito che lo Stato ha riconosciuto è
andato ad una intera comunità, espressione di tanti ideali, di tanto
modi di essere, di tanti modi di interpretare la propria scelta.
I cittadini della Provincia di Latina, tutti e di ogni parte, vissero
eventi sconvolgenti conseguenza di una guerra combattuta senza
limiti da tutti gli attori. Dopo l’8 settembre, infatti, l’evoluzione del
conflitto comportò perdite di vite umane e atti di violenza cieca e
barbara portati da ogni parte e verso ogni parte.
A quale punto gli italiani, quindi, decisero di ricominciare, di
riprendere la via della rinascita e dell’uscita da una guerra, le cui
motivazioni non erano a quel punto più in discussione.
La pace, la libertà, la voglia di riprendere a vivere erano la loro
ragione d’essere.
Prevalsero, allora, sentimenti di conciliazione e di solidarietà, che
costituirono lo stato d'animo propulsivo della nuovo Italia che
stava nascendo.
Ecco, la Medaglia d’Oro conferita ai cittadini della Provincia di
Latina accompagna l’impulso ideale che personalmente interpreto
quando parlo di “pacificazione”, una pacificazione che molti
ancora oggi, dimentichi dei sacrifici e delle sofferenze da tutti da
ogni parte patiti, si rifiutano di voler accettare e condividere. Ciò
che allora costruì morte e sofferenza deve costituire un costante
monito per noi, per i nostri figli e per le generazioni a venire per
non ripetere la erezione di odio e di conflitti politici e sociali.
Pur nella diversità di opinioni è la comunione di intenti che deve
portare tutti gli italiani a riconoscersi nei cittadini della Provincia
di Latina, oggi come allora, luminoso esempio di coraggio, di
spirito e di orgoglio nazionale, sopra a tutte le violenze, sopra a
tutte le divisioni.
Medaglia d’Oro - Commenti Anno I n° 1
13
Anno I n° 1 Medaglia d’Oro - Le Steli della Memoria: Alfredo Fusco
di DOMENICO TIBALDI
a, dottore?”, disse Mario, uno dei
commessi, poco prima di lasciare il Sacrario
dei Caduti d’Oltremare dove riposano i
caduti italiani sul fronte greco-albanese nel corso
dell’ultima guerra. Era la primavera di due anni fa.
“Expovacanze”, la Borsa del Turismo Mediterraneo che
ha luogo annualmente a Bari, avrebbe aperto i battenti
solo nel pomeriggio. Nella mattinata di libertà, la
proposta di visitare quel luogo solenne per rendere
omaggio ad Alfredo Fusco, pilota da caccia della Regia
Aeronautica, Medaglia d’Oro al Valor Militare alla
Memoria, aveva messo tutti d’accordo. Appena dentro, il
silenzio e la sacralità del luogo venivano interrotti da tre
squilli di tromba e da una voce perentoria che annunciava
gli onori al giovane tenente del 154° Gruppo Caccia
Terrestri (361^ Squadriglia), abbattuto il 20 febbraio
1941 in un duello impari contro sei Hurricanes. “Succede
– spiegò Mario – solo quando si tratta di decorati di
Medaglia d’Oro”. Nel frattempo, le note del “Va’
Pensiero”, accompagnavano il passo dell’anziano
commesso verso il luogo in cui Alfredo Fusco riposa dalla
fine della guerra. “Ecco – aggiunse sommesso – e lì, in
alto, tra gli «accertati, ma non identificati»”. E, dinanzi
all’incredulità del gruppo, una spiegazione ulteriore: “ in
Albania, Fusco venne sepolto nella stessa fossa dei militari
dei quali state leggendo i nomi, ma al momento della
esumazione nessuno riuscì ad identificarne i miseri resti”.
Poi, il tragitto verso l’uscita quasi in punta di piedi e il
commiato mentre, eccezionalmente, la campana del
Sacrario anticipava i nove rintocchi d’ogni sera in
suffragio delle migliaia di soldati che vi riposano per
L’AQUILA NELLA LEGGENDAL’AQUILA NELLA LEGGENDA
“S
14
Medaglia d’Oro - Le Steli della Memoria: Alfredo Fusco Anno I n° 1
sempre. “Sa, dottore – riprese Mario. Ma dal suo paese,
dalla sua provincia non viene mai nessuno a far visita alla
tomba di questo ragazzo… aveva solo venticinque anni e
ha dato la vita per proteggere i suoi compagni”.
La “frustata” di quell’uomo dai baffi appena accennati e
dal portamento dimesso “brucia” ancora oggi, ma è stata
essenziale, perché nel contesto delle celebrazioni per il
conferimento della Medaglia d’Oro al Merito Civile al
Gonfalone della Provincia, la volontà prima, la spinta poi
del Presidente della Provincia,
Armando Cusani rendessero
possibili la realizzazione di un
monumento, di una mostra e di un
libro dedicati ad Alfredo Fusco nel
quadro di una positiva
collaborazione con il Comune di
Castelforte, l’Aeronautica
Militare, l’Archivio di Stato di
Latina, i nipoti ed i parenti
dell’ufficiale scomparso.
La storia
La ricerca della Provincia è stata
difficile, ma entusiasmante, ricca
di spunti ed è custodita in un
consistente faldone di atti,
documenti, immagini di
settant’anni fa, raccolti tra Bari (il
Sacrario), Castelforte (Laura Dalla
Croce Capolino), Roma (Col.p.
Euro Rossi, Direttore dell’Archivio Storico dell’Aeronautica
Militare), Rimini (il Maresciallo A.A. Nicola Malizia ora in
pensione), Liverpool (Nunzia Bertali, Console d’Italia),
Cambridge (Maresciallo dell’Aria Sir Edward Gordon
Jones, Comandante dell’80° R.A.F. Squadron), Pozzuoli
(Gen. B.A. Luigi Domini, Comandante dell’Accademia
Aeronautica), ancora Roma (Archivio Centrale dello
Stato) per concludersi nello studio di Anna Fusco di
Ravello, scrittrice e giornalista, nipote di primo grado
dell’ufficiale scomparso, nata e cresciuta in una casa
dove il ricordo di “zio Alfredo” scandiva la vita di ogni
giorno, fino ad accompagnarne, oggi, i ricordi più teneri
ed affettuosi anche verso il luogo natiò dei genitori che lo
stesso pilota raggiungeva nei periodi di vacanza:
Castelforte.
Figlio di Sebastiano (Colonnello dell’Esercito) e di
Marianna Fusco, due fratelli maggiori (Ulderico, ufficiale
dell’Esercito e Matteo, valente avvocato), nato a Tripoli
(Libia) il 5 luglio 1915 dove la famiglia aveva seguito il
padre di stanza nella colonia, Alfredo Fusco aveva
appena conseguito il diploma
magistrale presso l’Istituto
“Regina Margherita” di Torino,
quando decise di entrare in
Accademia Aeronautica. Agli
esami di maturità, se l’era cavata
con la sufficienza in tutte le
materie, brillando solo in Scienze
(otto), frutto probabilmente delle
appassionate lezioni del nonno.
Nei sogni del ragazzo, c’era ben
altro: il volo, quel mito
affascinante rappresentato da
Francesco Baracca, la carriera
militare. “Il papà era morto e la
famiglia non era d’accordo –
rammenta Anna Fusco di Ravello
– ma zio Alfredo era un
irriducibile ed andò avanti
ugualmente per la sua strada”.
Correva l’anno 1936. Alfredo
Fusco entrò nella Regia Accademia Aeronautica allora
dislocata nella Reggia di Caserta, per frequentare il Corso
“Rex” insieme ad altri giovani che ancor oggi vengono
ricordati con rispetto per l’altruismo, il senso dell’onore
personale e dell’Italia che essi dimostrarono in battaglia,
armati più di coraggio, che di aerei in grado di
competere per velocità e volume di fuoco contro quelli
avversari. Lo dimostra l’albo d’oro del “Rex”: dei 312
ammessi in Accademia, solo 238 furono promossi
Sottotenenti. Di loro, 103 risultano caduti o dispersi, 6
sono le Medaglie d’Oro al valor militare, di cui 5 alla
Alfredo Fusco
15
Medaglia d’Oro - Le steli della Memoria: Alfredo FuscoAnno I n° 1
memoria, 206 le medaglie d’argento, 131 le medaglie di
bronzo, 57 le croci di guerra, 29 gli avanzamenti per
merito di guerra, 5 le promozioni per merito di guerra.
Una lunga lista di punizioni
Le note caratteristiche di Alfredo vergate in elegante
corsivo sul suo diario scolastico da un paziente scritturale
e recuperato grazie all’allora Comandante
dell’Accademia, Gen. B.A. Luigi Domini, descrivono un
giovane dal “carattere franco e leale, ma non ancora
formato” (“a
casa- interviene
Anna Fusco di
Ravello- era per
tutti «il bimbo»),
“ i n t e l l i g e n z a
normale”, “scarsa
a p p l i c a z i o n e
nello studio”,
“molto educato e
sensibilissimo ai
richiami”. Quello
scritturale doveva
essere d’indole
buona, perché a
scorrere la lunga
lista di punizioni
accumulate nei tre
anni di corso si matura il convincimento che proprio
disciplinato Alfredo non fosse: 101 turni di consegna, 45
giorni di consegna semplice e 33 giorni di «tavolaccio»,
cioè di cella di rigore. E se le andava proprio a cercare.
Come quando ai primi di marzo del ‘38 si prese tre
giorni di consegna per la sua ennesima ragazzata:
“chiedeva visita medica credendo che il Corso non
andasse a volare, giunto invece l’ordine da Capua di
partenza, si depennava arbitrariamente dal quaderno
della visita medica”.“ Di solito si ama ricordare – ha
scritto il Gen. Giulio Cesare Graziani, uno dei miti,
insieme ad Adriano Visconti, del Corso Rex, tra i pochi
che ebbero la fortuna di riportare a casa la pelle e con
essa una medaglia d’oro al valor militare, 6 medaglie
d’argento al v.m., 1 una medaglia di bronzo al v.m. 2
avanzamenti e 1 promozione per merito di guerra – gli
episodi più lieti dei quali si fu attivi protagonisti. Rientrano
fra questi anche i ricordi di cella. La continua altalena di
noi allievi tra i dormitori e le celle, sempre affollate, risultò
meno dura dato che non mancò mai la buona
compagnia”. Come dire: finire «dentro» era quasi
d’obbligo per essere considerati dagli altri cadetti.
E «dentro», Fusco si comportava esattamente come gli
altri: fumava quando era proibito; leggeva riviste, quando
avrebbe dovuto
aprire i libri della
cultura fascista,
mettendo a
disagio il
personale di
sicurezza e quel
Bove e quel
Mirabella che
proprio quando
lo riprendevano
al pari degli altri
« g u a s c o n i »
ristretti dietro le
grate, non
trascuravano di
elargire razioni
di cibo più
abbondanti del consueto. I risultati conclusivi del corso,
per uno come Alfredo che pensava esclusivamente al
volo, non potevano essere entusiasmanti: 45° su 72 il
primo anno; 46° su 51, il secondo; 128° su 213 il terzo.
Il duello fatale
Promosso sottotenente, Fusco venne assegnato al 52°
Stormo caccia terrestri di stanza a Ciampino Sud. Era il
28 agosto 1939. In Europa, il dissidio internazionale
sarebbe sfociato presto in guerra totale e per i ragazzi del
“Rex” la vigilia ansiosa del combattimento sgombro’
subito i sogni di una vita brillante. Abilitato al pilotaggio
del “Breda 25”, del “Ro 41”, del Caproni “Ca 111”, e
del “G50”, Fusco,promosso nel frattempo tenente, fu
Cartolina commemorativa
16
Medaglia d’Oro - Le Steli della Memoria: Alfredo Fusco Anno I n° 1
trasferito al 24° Gruppo, 361^ squadriglia e con essa
inviato a Tirana sul fronte greco-albanese. Il 26 ottobre
del 1940, la 361^ venne rischierata nel 154° Gruppo
Autonomo Caccia Terrestri costituito direttamente in
Albania. La mattina del 20 febbraio del 1941, il tenente
Fusco decollò dall’aeroporto di Berat insieme alla
formazione comandata dal Maggiore Angelo
Mastragostino per una missione di scorta al IV e all’VIII
Corpo nella zona di Klisura, quando ecco apparire 30
caccia Gloster (inglesi) e P.Z.L. (greci).
Il diario storico del 154° descrive un
“combattimento furioso” durante il quale,
la squadriglia di Fusco riuscì ad
abbattere “10 P.Z.L. e 8
probabilmente”. Lui, pur ferito,
se la cavò egregiamente, ma il
suo G.50, già ridotto male
dai colpi delle mitragliatrici
avversarie risultò inservibile
dopo l’atterraggio. Al
pomeriggio, Fusco, era in
turno di riposo in infermeria,
quando ecco comparire sulla
verticale di Berat 18 bombardieri
inglesi “Bristol Blenheim” scortati da sei
temibilissimi caccia hurricanes dell’80° Raf
comandati dal Lt. John Marmaduke Pattle, detto
“Picchiatello”, un asso della R.A.F. (primo in classifica per
abbattimenti). Erano le 15.35. Scattato l’allarme, Fusco
si precipitò sulla pista fangosa, balzando sul primo G.50
disponibile. “Era quello del comandante”, dice Anna
Fusco di Ravello, ricordando il racconto del padre. Dalla
motivazione della medaglia d’oro al valor militare, si
deduce che Fusco decollò per primo per attaccare i
Blenheim, mentre la ricostruzione del maresciallo Nicola
Malizia, autore di numerosissimi saggi sull’Arma
Aeronautica di cui uno, impietoso, proprio sul G.50 (un
“ferro da stiro con le ali”) sottolinea il decollo in pattuglie
strette degli altri aviatori italiani in una formazione
comandata dal Capitano Scafetta.
Il rapporto di quel pomeriggio inoltrato a Superaereo
descrive una battaglia furibonda, ma l’ingaggio del
combattimento con i sei hurricanes di scorta per
consentire ai compagni di prendere quota e
scompaginare la formazione nemica avrebbe avuto esiti
letali per Alfredo Fusco. Incrociando la ricostruzione del
combattimento riportata negli annali dell’80° R.A.F. con
quella del Maresciallo Nicola Malizia e la testimonianza
del Maresciallo dell’Aria Sir Gordon Jones si arriva ad
una sigla: V7724. E’ quella del caccia del Comandante
Pattle. Proprio dall’ hurricane dell’asso dell’aviazione
britannica partì la prima delle raffiche dei sei monoplani
(alla cloche, tra gli altri: i tenenti George Kettwell
ed Eldon Trollip, il sergente maggiore
Charles Casbolt) della R.A.F. contro
il G50 “Freccia” di Alfredo Fusco
in un duello che il pilota
italiano, pur tentando di
giostrare con abilità, sapeva
essere senza scampo. In tal
senso, depone il raffronto tra
il “Freccia” e l’”Hurricane”:
meno veloce e maneggevole
dell’inglese, l’aereo italiano
era armato di due mitragliatrici
Breda calibro 17,7 contro le otto
armi alari Colt Browning di quello
avversario in grado di sviluppare un volume
di fuoco di 1000 colpi calibro 303 al minuto.
Il G.50 di Fusco esplose in volo, provocando la morte
istantanea del pilota per poi scomparire tra i monti
circostanti l’aeroporto di Berat, mentre il tenente Livio
Bassi tentava invano di accorrere in suo aiuto con uno dei
G.50 della 395^ squadriglia.
Nel fascicolo personale esistente presso l’Archivio
centrale dello Stato sono custodite le testimonianze di due
avieri che descrivono il recupero della salma sul greto del
fiume Devoli: di Alfredo restava un ammasso informe
completamente carbonizzato, tumulato qualche giorno
dopo a Tirana.
Amici fino alla morte
Fusco e Bassi erano amici dai tempi del “Rex” e non si
17
Medaglia d’Oro le Steli della Memoria: Alfredo FuscoAnno I n° 1
lasciarono nemmeno dinanzi alla morte. Anche Bassi ha
venduto cara la pelle (due aerei abbattuti nelle
circostanza da aggiungere alla quattro vittorie
precedenti), ma, nell’atterrare, il suo caccia, già
mitragliato in più punti, prese fuoco avvolgendo il pilota,
peraltro ferito, in un rogo dal quale il personale della
base riuscì a sottrarlo in condizioni disperate: sarebbe
morto due mesi più tardi all’ospedale “Celio” di Roma per
la gravità delle ustioni. Alla sua memoria è stata concessa
una medaglia d’oro al valor militare.
Ad Alfredo Fusco, invece, la concessione della medaglia
d’oro al valor militare proposta proprio dal suo
comandante risultò complessa. Anna Fusco di Ravello
ricorda nitidamente i discorsi dei genitori e dice che le
iniziali riserve derivavano dal fatto che «zio Alfredo»
decollò senza autorizzazione a bordo di un aereo non in
dotazione a lui, compiendo così un atto di
insubordinazione. Ma, nella valutazione della
commissione prevalse il valore del gesto, l’abnegazione e
il coraggio dimostrato dal giovane ufficiale che, pur a
riposo, non esitò un attimo ad andare in battaglia e
morire.
“Bella figura, bella storia – commenta il Presidente della
Provincia. Armando Cusani. Esse riconducono a valori
che la Memoria deve riscoprire e indicare ai più giovani
perché si possa costruire una società migliore all’insegna
della pace e della tolleranza: sessant’anni dopo la
tragedia della guerra, pur nell’immutato giudizio della
storia, è ora che vincitori e vinti si stringano la mano,
testimoniando alle nuove generazioni l’assurdità di una
avventura che sconvolse il mondo e che mai più si dovrà
ripetere.
Ricordando Alfredo Fusco e i ragazzi del Rex, abbiamo
inteso inviare questo messaggio, così sottolineando
l’enorme portata morale della Medaglia d’Oro al
Alfredo Fusco, secondo da sinistra, nella mensa dell’Accademia Aeronautica
18
Gonfalone della Provincia e del luogo che ha ospitato il
monumento e la mostra dedicata al giovane ufficiale
morto in combattimento: Piazza della Medaglia d’Oro a
Castelforte, cittadina simblolo, con Santi Cosma e
Damiano, della Linea Gustav”.
Gianpiero Forte, Sindaco di Castelforte, ascolta ed
annuisce. “Per il nostro paese – dice -Alfredo Fusco è una
figura importante e l’iniziativa che ha visto la Provincia e
il Comune collaborare in piena sintonia contribuirà ad
evitare che il giovane pilota possa essere dimenticato
nonostante a lui siano stati intitolati la nostra scuola media
e la via più importante del paese. In più essa costituisce
un rilevante stimolo verso il progetto di un Parco della
Memoria al quale stiamo pensando fin da quando il
Presidente della Repubblica concesse al nostro Gonfalone
la Medaglia d’Oro al Valor Civile”
Il monumento consiste in un bassorilievo in bronzo
elaborato e realizzato dalla Fonderia Marinelli di
Agnone. Avviato in occasione del 60° anniversario della
fine della guerra, esso è stato finalmente completato con
la realizzazione di un basamento in travertino che, nei
tratti, ricorda il timone di un aereo da caccia e sulla parte
centrale, oltre il bassorilievo e la targa con i loghi della
Provincia e del Comune, accoglie una sezione composta
da flap ed alettone di una semiala di un caccia-
bombardiere F 104S.
Su ciascuno dei due lati, una coccarda tricolore ed altri
due loghi: quello del 154° Gruppo ai tempi di Fusco (un
Medaglia d’Oro - Le Steli della Memoria: Alfredo Fusco Anno I n° 1
Il labaro del Corso REX
19
gallinaccio coi i colori della bandiera inglese trafitto da
una freccia), quello del 154° Gruppo di oggi (un
diavoletto ghignante in procinto di ghermire la preda): il
segno di una storia di coraggio e di amore per l’Italia che
continua, perché proprio ad Alfredo Fusco l’Aeronautica
Militare ha intitolato uno dei suoi reparti di pronto
impiego, comandato dal Col. p. Silvano Frigerio: il 6°
Stormo «Tornado» di stanza a Ghedi (Brescia) del quale
il 154° Gruppo fa parte.
Monumento e Mostra (in collaborazione con l’Archivio di
Stato di Latina) dedicati al pilota sono stati inaugurati il 6
ottobre venturo alla presenza del Sottosegretario di Stato
alla Difesa, On. Marco Verzaschi, dei vertici dello Stato
Maggiore Aeronautica, delle Autorità civili, militari e
religiose della provincia, dei 33 sindaci dei comuni della
provincia accompagnati dai rispettivi gonfaloni, 15 dei
quali decorati di medaglie d’oro (quattro), d’argento
(nove), di bronzo (due).
Con un seguito in occasione del 66° anniversario della
morte di Alfredo Fusco: la presentazione del libro che
Anna Fusco di Ravello ha scritto anche sulla base della
ricerca della Provincia e la ripetizione della mostra
perché essa possa essere visitata dagli studenti delle
scuole del circondario.
Medaglia d’Oro - Le Steli della Memoria: Alfredo FuscoAnno I n° 1
Alfredo Fusco dopo il giuramento da ufficiale
20
di DOMENICO TIBALDI
essuno sa dove esattamente sia sepolto. Forse
è tra le migliaia di ignoti che non avranno mai
un nome e una croce al Sacrario dei Caduti
d’Oltremare di Bari, luogo solenne dal quale lo sguardo
insegue l’orizzonte del mare che separa dalle coste slave
e da quel fronte greco-albanese dove l’ubriacatura
totalitaria sognava di spezzare le altrui reni. O, forse, i
resti di Angelo Di Tano, Carabiniere reale del Battaglione
“Albania”, Medaglia d’Argento al Valor Militare alla
memoria, è ancora laggiù in un improvvisato sepolcro di
Guri i Capit, dove il 18 novembre del 1940 una granata
ne stroncò l’esistenza dopo che, per tutto il giorno,
nonostante la ferita alla mano sinistra, s’era battuto da
leone contro l’avversario che difendeva la propria terra
dall’invasione delle truppe dell’Asse.
Pratica: 64034, Cognome: Di Tano; Nome: Angelo;
Arma: Carabinieri. Il computer del Sacrario collegato al
Dipartimento di Onorcaduti del Ministero della Difesa è
avaro di dati. C’è della Medaglia d’Argento e giù in
fondo alla “maschera” poco altro. A seguire il documento
si sarebbe indotti a ritenere che ciò che resta di quel
Carabiniere, dai capelli lisci e castani, alto circa un metro
e sessantacinque, ottantotto centimetri di torace, dal naso
dritto e il mento rotondo, nato il 22 ottobre 1907 a Santi
Cosma e Damiano, epicentro come Castelforte della Linea
Gustav ed al pari di esso Medaglia d’Oro al Valor Civile,
sia ancora in terra straniera. Ma gli ufficiali dell’Esercito
che hanno cura del Sacrario paiono sicuri che da quel
fronte “sono stati presi tutti”.
Arduino Di Tano, l’anziano professore di educazioni
tecniche e vice preside della Scuola media di Castelforte
dalla mente ancora lucida ed imparziale testimone di ciò
che avvenne da queste parti quando – era il maggio del
’44 – tedeschi ed algerini e goumiers del Corpo di
Spedizione Francese si sbudellarono a colpi di baionetta,
non ha mai smesso di cercare il corpo del congiunto e la
sua ultima richiesta di notizie risale all’anno 1998. Non
sono riusciti a dirgli nulla, ma lui ha continuato ad
impegnarsi perché ad Angelo venisse intestata la
Caserma del luogo d’origine, lasciato a vent’anni in cerca
di un avvenire diverso dalla povertà contadina che aveva
vissuto fino a poco prima nella casa, umile ed onesta, di
contrada Sellitti, a Santi Cosma e Damiano, con papà
Sabatino, mamma Giovannina ed altri nove tra fratelli e
sorelle.
E così è stato. Così è stato perché Arduino Di Tano in
qualche modo ha raggiunto le persone giuste: il
Colonnello Domenico Libertini, già Comandante
provinciale dei carabinieri che ha avviato la pratica per
l’intitolazione della moderna Stazione di Santi Cosma e
Damiano realizzata qualche anno fa dal Comune; e il
Presidente della Provincia, Armando Cusani, già ufficiale
dei Carabinieri, che a quella pratica ha impresso una
svolta ottenendo dal Ministero della Difesa il tanto atteso
provvedimento. Di più: Ad Angelo Di Tano la Provincia,
con la collaborazione del Comune di Santi Cosma e
Damiano, ha dedicato una stele in bronzo posta sulla
Anno I n° 1Medaglia d’Oro - Le Steli della Memoria: Angelo Di Tano
UN FISCHIO, UNA BOMBA, UN EROEUN FISCHIO, UNA BOMBA, UN EROE
N
21
Medaglia d’Oro - Le Steli della Memoria: Angelo Di TanoAnno I n° 1
parete esterna della Caserma. Come quella per Alfredo
Fusco e per Mario Musco, è stata realizzata dall’Antica
Fonderia Marinelli di Agnone. Accanto ad essa una targa
in marmo con la motivazione della Medaglia d’Argento al
Valor Militare alla memoria e l’intitolazione a Di Tano.
L’iniziativa è stata apprezzata con particolare
compiacimento anche dal nuovo Comandante Provinciale
dei Carabinieri Colonnello Leonardo Rotondi. Raggiunta
ad Oakland, California (Usa), dove vive da tantissimi
anni insieme al marito Benedetto, conosciuto nel 1960
durante le Olimpiadi di Roma, e ai figli Damiano Angelo,
Anna ed Ivana e tre bellissimi nipotini (Simona, Benedetto
ed Alessandra), Antonietta Di Tano, l’unica
figlia di Angelo, è finalmente felice e si
lascia andare ai ricordi appresi dalla
mamma, dai nonni, dagli zii che le
parlarono sempre “di questo uomo
che per me non era altro che un
sogno”. “Non ho mai avuto la
fortuna di conoscere mio padre -
dice - Mi ha potuto prendere in
braccio solo due volte e quando
nacqui gli diedero una licenza di tre
giorni. Era il 13 giugno del 1940,
l’Italia era appena entrata in guerra. I
Treni erano sempre in ritardo e quella
licenza per papà si ridusse a pochissime ore che
egli trascorse vicino al letto per non lasciare neanche un
attimo sia mia madre, che me. La seconda volta che ho
avuto la fortuna di essere presa in braccio da mio padre,
avevo solo un mese. Doveva partire per la guerra in
Albania”.
Era il 23 luglio del 1940. Negli anni precedenti, il
Carabiniere Angelo Di Tano aveva prestato servizio in
varie Legioni Territoriali e in Eritrea, dove, insieme ad altri
commilitoni e al suo comandante di plotone, il Tenente
Armando Valle si distinse in varie operazioni meritandosi
un encomio solenne: “Durante il ciclo operativo nella
regione del Cassem si prodigò instancabilmente in
fruttuose azioni di rastrellamento contribuendo con la sua
opera ad assicurare alla giustizia elementi pericolosi. 1°
giugno-5 luglio 1938”.
Il profumo della salsedine e la brezza dell’Adriatico
accompagnarono la notte insonne di Angelo nel tragitto
da Bari a Durazzo e verso quel destino senza ritorno che
si sarebbe compiuto quando Antonietta aveva cinque
mesi. Arrivato a destinazione, Angelo venne inquadrato
nel Battaglione Carabinieri Reali “Albania” costituito a
Tirana il 31 luglio 1940 (22 ufficiali, 71 sottufficiali e
500 militari) comandato dal maggiore Bruto Bixio
Bersanetti e sciolto il 13 dicembre successivo. Poco dopo,
egli venne assegnato alla seconda compagnia che, con le
altre, si distinse in operazioni militari molto brillanti a
Bregu e Vraces (5 novembre 1940), nella difesa di
Corizza (il 9 novembre) e per il disarmo del
battaglione “TOMORI” composto da
militari albanesi e interessato da
frequenti diserzioni. Per quest’ultima
operazione, ancora un
riconoscimento ma direttamente dal
comandante del Corpo d’Armata
“il quale volle fare accompagnare
l’encomio da una gratificazione da
ripartirsi tra i militari più
meritevoli”.
Poi, venne il giorno fatale. Era il 18
novembre del 1940, un lunedì. “Il
nemico – scrisse nel Diario Storico del
Battaglione, il colonnello addetto Gino Riccioni
– preme fortemente su tutto il fronte. Coriza è già sotto il
tiro delle artiglierie di medio calibro. Le popolazioni
italiane e gran parte di quella musulmana evacuano la
città. Il nemico attacca violentemente la posizione di
Guri i Capit tenuta dalla 2^ compagnia. Il combattimento,
con alterne vicende, dura tutto il giorno. Sull’imbrunire, il
nemico riesce a serrare sotto, ma viene ribattuto dal fuoco
preciso delle armi automatiche.
Il carabiniere Di Tano, estremo difensore dell’ala sinistra,
mentre falciava il nemico, colpito da una bomba di
mortaio muore con la sua arma infranta”.
“Mi hanno raccontato – riprende il racconto dalla sua
casa di Okland, la signora Antonietta – che papà,
quando aveva bisogno di qualcosa o d’aiuto, era solito
fischiare e, subito, le sorelle si precipitavano. Anche nel
22
Anno I n° 1
giorno e nell’ora in cui egli morì, una di loro, zia Giulia
corse concitata da sua madre, dicendo di aver sentito il
fischio del fratello: «Mamma, Angelo è finalmente tornato
dalla guerra», esclamò”.
Non era così. Il destino, oltre che amaro, è cinicamente
beffardo. Angelo era morto tra le pietraie di Guri i Capit
“per ferite multiple endocavitarie” e non sarebbe più
tornato per prendere in braccio la sua piccola Antonietta.
La notizia arrivò nel piccolo borgo di Santi Cosma e
Damiano alcuni giorni più tardi, lasciando sgomenti la
moglie Gilda, congiunti e conoscenti. “Per mia madre –
aggiunge Antonietta – fu una scossa tremenda e per un
anno non lasciò la casa materna. Il primo giorno in
cui mise piede fuori di casa andò al cimitero a
piangere sulla tomba del padre. Era
disperata, temeva di non farcela a
portarmi avanti da sola…” .
Ad Antonietta, nel frattempo cresciuta, la
madre Gilda, i fratelli e le sorelle di
Angelo dissero, con delicatezza, il vero,
dissero che il papà era un eroe, dissero
che il papà era morto per l’onore
dell’Italia e dell’Arma dei Carabinieri,
dissero che il papà era “molto bravo, gentile
e che aveva un cuore grande come il mare”.
“Pensi – spiega la signora Di Tano –
che uno degli zii mi raccontava
sempre tante storie ed in particolare teneva a ricordare
che con il suo primo stipendio da carabiniere, papà gli
comprò il primo paio di scarpe, e a sua cognata, che
aspirava a diventare insegnante, dava mensilmente dei
soldi per aiutarla negli studi”. E aggiunge: “d’estate, mi
piaceva andare a casa dai nonni di là dal fiume (il
Garigliano,n.d.r.), perché si mangiava al fresco sotto un
grandissimo albero di gelsi. Sapevo che anche mio padre
si era seduto sotto lo stesso albero per tanti anni e mi
sembrava di stare con lui: E’ stata molto dura la vita da
orfana, ma io sono orgogliosa del suo atto d’eroismo e ne
ho parlato costantemente ai miei figli. Quando guardo il
primogenito e paragono a lui la fotografia di papà vedo
una grande somiglianza. Mio padre è stato un esempio
ed un faro di luce per me, come lo sarà per i suoi
discendenti. Ora mia madre vive in Australia, con la sua
nuova famiglia, ma sono sicuro che non passa giorno in
cui non pensa cosa avrebbe potuto essere la sua vita con
papà”.
Ad aggiungere altri particolari è il prof. Almerindo
Ruggiero, dirigente scolastico di un istituto di scuola
media superiore in quel di S. Giorgio a Liri (Frosinone),
che è un cugino della signora Di Tano. “Mi pare – dice –
che Antonietta abbia dimenticato di aggiungere che
conserva gelosamente la medaglia d’argento al valor
militare alla memoria e che, di tanto in tanto, la tira fuori
per mostrarla ai suoi figli e nipoti. Inoltre lei,
giustamente, non ne ha parlato per pudore,
ma da ragazza e anche dopo,
specialmente quando tornava in vacanza
in Italia, spesso si è chiesta come forse
diversa sarebbe stata la sua vita se
un’assurda guerra non le avesse
portato via il padre. Questa domanda
se l’è fatta centinaia di volte ed è
rimasta sempre senza una risposta.
Forse – aggiunge il professor Ruggiero –
la risposta è proprio negli avvenimenti di
questi anni: il sacrificio del padre e le sue
sofferenze di bimba trovano un
significato profondo perché,
conservandone la memoria, divengano patrimonio di
valori condivisi di un popolo, delle vecchie e delle nuove
generazioni”. Alla fine della storia, Armando Cusani, il
giovane presidente che con le celebrazioni per la
medaglia d’oro conferita al Gonfalone della Provincia, ha
voluto fermare per sempre nella memoria l’esempio di
Angelo Di Tano accenna un sorriso e, con lo sguardo
pensoso, si allontana senza dire una parola. “Non ce n’è
bisogno”, dice con una voce improvvisamente strozzata.
Già, qualsiasi cosa è di troppo nella storia del
carabiniere Angelo Di Tano morto 66 anni fa a Guri i
Capit. Era il 18 novembre 1940, un lunedì. “Tempo
bello”, annotava il colonnello Riccioni nel Diario del
Battaglione Carabinieri Reali “Albania”.
Medaglia d’Oro - Le Steli della Memoria: Angelo Di Tano
La figlia di Angelo Di Tano
23
di DOMENICO TIBALDI
iso rigato dalle lacrime, Don Bordignon ne
stringeva al petto il corpo esanime, impartendo
con la mano destra l’ultima benedizione. Poi ne
prese il portafoglio e lo strinse tra le mani come una
reliquia. Più tardi , il cappellano militare l’avrebbe spedito
ai genitori, insieme ai pochi, intimi ricordi di quel figlio
esemplare: “Cippo 33”, Borgo Tellini, Fronte greco-
albanese, non molto lontano da Argirocastro. La scena è di
sessantasei anni fa e “racconta” l’ultima, estrema difesa
dell’avamposto che il Tenente Mario Musco teneva insieme
al plotone di fanti piumati del 5° Reggimento Bersaglieri-
24° Battaglione e al quale la Provincia dedicherà una stele
in bronzo nell’isola dove nacque: Ponza.
Nell’avere tra le mani, oggi, quel portafoglio perforato
dalle schegge di bombarda che stroncarono la vita
dell’ufficiale, toccare la bandiera che avvolse la cassetta
contenente i resti dell’ufficiale nel tragitto, avvenuto dopo il
1956, dal cimitero di guerra poco lontano da Argirocastro
al Verano, significa provare emozioni intense e irripetibili,
mentre quella medaglia d’oro al valor militare alla
memoria, la croce di guerra italiana e quella tedesca,
l’onorificenza di cavaliere custodite nella sobria teca in
legno al Museo Nazionale di Porta Pia a Roma, aiutano ad
immaginare un giovane, eroe suo malgrado, semplice,
buono, assennato e con uno spiccato senso dell’onestà e del
dovere espressi prima come funzionario di polizia, poi
come primo segretario di prefettura, infine da ufficiale dei
bersaglieri come la madre, Lucia De Rienzo, osservando
dall’alto di una terrazza dell’abitazione di Ponza
l’andatura marziale e le penne al vento della “vaira” (lo
speciale cappello a falda rotonda che si usa ancora nelle
parate) di un giovane ufficiale del Corpo di La Marmora
appartenente alla guarnigione sull’isola, avrebbe voluto
“vedere un mio figliuolo”.
Erano gli anni in cui l’Italia si apprestava a vivere il primo
dei due grandi orrori del Novecento: la Grande Guerra.
Nazzareno Musco e Lucia Di Rienzo avevano messo al
mondo Mario il 26 dicembre 1912 (“padrini furono –
annotò il parroco di Ponza, Don Giuseppe Vitiello –
Gaetano Ponto e sua moglie Angelina Pantinato”).
Raccontano i documenti - avuti grazie alla sensibilità
dell’avv. Franco Musco, oltre che del Museo di Porta Pia
diretto dal Ten. Col. Romano Alessandrini - che quella
donna esemplare non avrebbe provato la gioia del figlio
bersagliere, né il tormento per la sua perdita in battaglia:
un brutto male la rapì alla vita, quando Mario era ancora
in tenera età. Fu la signora Rosina Fiocca, donna altrettanto
colta e distinta, a prenderne il posto accanto a Nazzareno
trasferitosi a Roma negli anni dell’adolescenza di Mario,
colmando così il vuoto d’affetto lasciato dalla scomparsa di
una madre che mai fece rimpiangere, distribuendo amore e
sani insegnamenti in eguale misura allo stesso Mario e ai
suoi fratelli Arturo (Questore di Roma), Iolanda, Ugo
V
IL “SANTO” DAL CAPPELLO PIUMATOIL “SANTO” DAL CAPPELLO PIUMATO
Medaglia d’Oro - Le Steli della Memoria: Mario MuscoAnno I n° 1
24
Medaglia d’Oro - Le Steli della Memoria: Mario Musco Anno I n° 1
Corrado (diventato Generale), Gabriele (nel 1970 aveva il
grado di Maggiore) e Laura.
Un ragazzo modello
Il giovane crebbe nella serenità, affermandosi presto “per
vivacità d’ingegno, serietà di studi, austerità di costumi,
fermezza di carattere ed elevato senso del dovere in ogni
suo compito”. Terminate le medie superiori in quel Liceo
«Torquato Tasso» che intitolò alla sua memoria la sala di
ginnastica, Mario Musco intraprese gli studi universitari di
giurisprudenza per laurearsi a pieni voti ad appena 21
anni. Nel frattempo, il giovane isolano non aveva trascurato
il servizio militare. A lui non dissero mai del desiderio di
mamma Lucia, ma appena dopo la Scuola Allievi Ufficiali
di Complemento a Milano, eccolo, quasi fosse predestinato,
al 2° Reggimento Bersaglieri.
Era il 17 novembre 1932. Due anni di leva, il congedo,
richiamato per l’addestramento il 29 settembre 1935
presso il 1° Reggimento Bersaglieri, ancora in congedo, di
nuovo alle armi presso il 5° reggimento Bersaglieri in Siena
con il grado di tenente. Era il primo giugno del 1940,
ancora nove giorni e “gli otto milioni di baionette”
sarebbero finite nel vortice della seconda tragedia del
Novecento: un’altra Guerra Mondiale, ancor più crudele e
devastante della prima. Il 28 settembre di quell’anno, ecco
il dispaccio del Ministero della Guerra: Mario deve partire
per raggiungere il 5° reggimento sul fronte greco-
albanese. Appena il tempo di salutare i genitori e i fratelli,
l’imbarco a Bari il 5 ottobre, l’arrivo a Durazzo il giorno
successivo, il ricongiungimento ai suoi bersaglieri il 7
ottobre.
Tra il servizio militare universitario, il servizio di
complemento e i frequenti richiami per l’addestramento,
Mario Musco ebbe il tempo di vincere due concorsi indetti
dal Ministero dell’Interno: come vice commissario di Polizia
a Roma nel 1935, poi come funzionario di prefettura a
Firenze dove conseguì, ad appena 26 anni, il grado di
Primo Segretario.
Una nota del Dicembre 1935 del Comando Agenti di P.S.
descrive Mario Musco così: “….Di ottima condotta,
disciplinato, dotato di ampia e superiore cultura generale e
giuridica……...è di carattere franco e leale, di animo mite
ma fermo ..è molto serio ed ha tratto corretto e signorile
…sa ben trattare, dirigere, indirizzare, istruire gli inferiori
sui quali ha molto ascendente”. Tre anni più tardi – era il 20
maggio – il Prefetto di Firenze proponeva per lui la
concessione dell’onorificenza di Cavaliere della Corona
d’Italia, definendolo “ottimo funzionario ed un elemento
prezioso sul quale si può contare moltissimo anche in
circostanze eccezionali. Le sue qualità intellettuali e
personali lo renderanno indubbiamente meritevole di
ascendere presto ai maggiori gradi della carriera”.
La partenza per il fronte
La guerra non permise quel luminoso futuro
nell’amministrazione dell’interno pronosticato dal Prefetto.
La stanza delle Medaglie d’Oro al Museo dei Bersaglieri di Roma
25
Medaglia d’Oro - Le Steli della Memoria: Mario MuscoAnno I n° 1
C’era un dovere da compiere per Mario e in quel dovere
egli aveva incluso rischi, disagi, ogni genere di sacrificio,
compreso quello della vita. Con molta serenità lo disse,
poco prima di partire alla volta di Durazzo, a papà
Nazzareno che gli raccomandava prudenza. Giunto al 5°
Reggimento e assegnato al 24° Battaglione – 6^
compagnia si distinse nella battaglia del 5 novembre al
ponte di Kalamas e in quella del 19 sulla rotabile di
Argirocastro. Ma Mario non amava parlarne nei brevi
scritti dal fronte diretti ai genitori. Luigi Stazi, primo
maresciallo dei Bersaglieri in servizio prima alla Brigata
“Garibaldi” ed oggi al Museo Nazionale di Porta Pia,
mostra quelle lettere e quei biglietti che il giovane ufficiale
di Ponza scriveva soprattutto per dare loro
tranquillità. “Siamo da alcuni giorni in zona
di operazioni – annotava in uno di essi
con una matita blu il tenente Musco
- ed abbiamo avuto il battesimo
del fuoco. Ora però sono
comandante di un piccolo
presidio fuori dei tiri – quindi
non vi preoccupate di
me………”. “…nel nostro
settore da alcuni giorni c’è calma
– aggiungeva in un altro biglietto –
Io ho partecipato ad alcuni
combattimenti ….siamo ormai dei
veterani e non ci fanno più impressione le
pallottole ed il rombo dei motori. Ho anche in corso
una proposta per una ricompensa al valore……”. Quando
i brevi silenzi dei cannoni e delle mitraglie lo permettevano,
Mario Musco era leggermente più prolisso. Come in questa
lettera: …….oggi il nostro reparto è passato in seconda
linea….Un mese di guerra in primissima linea, che come
avrete appreso dai giornali, è dura, ha messo alla prova i
reparti dei bersaglieri che si sono mostrati, come sempre,
magnifici per resistenza e ardimento. Sono stati impiegati
dovunque…….ma abbiamo superato tutte le fatiche e le
ansie per lo spirito che ci anima…”. E, più avanti, una
riflessione: “Questa guerra è stata per il mio sistema
nervoso una prova di bomba….Non solo ho sopportato le
fatiche senza risentirne affatto; anzi mi sento meglio di
prima, ma mi sono meravigliato con me stesso, per la
calma, tranquillità e sangue freddo che ho conservato in
ogni circostanza”.
Il contrassalto fatale
Poi venne il momento dell’ultimo assalto. Era il 26 novembre
1940. Quel giorno, Mario Musco era alla guida di una
compagnia dislocata su un caposaldo di Borgo Tellini,
considerato importantissimo per le sorti dell’intero 5°
reggimento. Lui e i suoi bersaglieri si batterono lealmente e
con coraggio contrastando in ogni mondo l’offensiva greca.
Non solo essi diedero vita a “superba resistenza”, ma
contrattaccarono continuamente, ristabilendo “una
situazione decisamente compromessa”.
Mario Musco e i pochi bersaglieri
rimasti ce l’avevano fatta ancora
una volta, ma proprio nel
momento in cui i greci avevano
iniziato il ripiegamento, ecco
quel colpo di bombarda fatale
per il giovane ufficiale che
cadde “sull’arma da lui stesso
manovrata”. Ricorda Egidio
Lavoratori, operaio al servizio del
Genio militare, in un’altra delle
tantissime lettere ricevute da papà
Nazzareno, di avere appreso dai bersaglieri
“che il tenente Musco era l’ufficiale più amato di tutto
il battaglione……il giorno in cui cadde, tutti gli ufficiali e
soldati piangevano, era un valoroso come ufficiale e un
angelo come uomo”. Lo conferma lo scritto del cappellano
militare Don Bordignon : “conoscevo troppo bene il tenente
Mario, ancora da quando eravamo al campo attendati, per
non ricordarlo con rimpianto. Era sempre lui: mi riceveva,
compitissimo, nella sua tenda, sorriso sulle labbra, poche e
misurate parole, perfetto signore…” Lo stesso cappellano,
durante le funzioni religiose al campo, indicava il giovane
ufficiale di Ponza come “un Santo Eroe che aveva scritto
una delle più belle pagine d’oro nella storia della Patria. I
suoi bersaglieri (….) lo adoravano come un Dio”.
26
Medaglia d’Oro - Le Steli della Memoria: Mario Musco Anno I n° 1
Queste parole suscitarono commozione in un giovanissimo
Sottotenente del Genio di cognome Bournes che, alcuni mesi
dopo quel 26 novembre , incaricato di eseguire lavori dalla
parte di Borgo Tellini, si sentì in “dovere di sistemare nella
maniera più dignitosa la tomba” di Mario Musco “
proteggerla dai danni delle intemperie e conservarla finchè
non potrà essere trasportata in Patria”. Il Ten. Col. Romano
Alessandrini e il Primo Maresciallo Luigi Stazi ne mostrano
le immagini , insieme a quelle successiva del piccolo cimitero
di guerra di Argirocastro dove la
salma del giovane fu traslata
qualche anno più tardi,
prima di tornare in
Italia dopo un’attesa
durata più di
trent’anni. I famigliari
di Mario Musco
consegnarono tutti i
cimeli e i ricordi,
compresi gli atti
i n e r e n t i
a l l ’ in t i to laz ione
alla memoria del
congiunto del
molo di
Ponza, di
u n a
via in Roma, della Sezione provinciale di Latina dell’Unione
Nazionale Ufficiali in Congedo, di una targa nella Prefettura
di Firenze, al Museo Nazionale dei Bersaglieri il 26
novembre del 1970, nel trentesimo anniversario della morte.
Dodici anni più tardi (la lettera è del primo giugno 1982), un
nipote, l’avvocato Mario affidò al Museo la custodia
definitiva della sciabola appartenuta allo zio.
A Ponza, il nome di Mario Musco è ricordato dai più
anziani, ma i giovani non sanno nulla di lui e della sua
esistenza. E’ così anche altrove. “Il tempo – riflette il
Presidente della Provincia Armando Cusani – lenisce il
dolore, ma rischia di cancellare esempi di grande valore
educativo come quello di Mario Musco. La storia di questo
giovane, esemplare studente, ufficiale e funzionario dello
Stato va testimoniata e raccontata ai più giovani perché il
recupero della memoria costituisce un momento determinante
nella costruzione di una società migliore e all’insegna della
pace”. Ecco il progetto della stele in bronzo in corso di
realizzazione presso la Fonderia Marinelli di Agnone e della
mostra che saranno inaugurati a Ponza il 14 aprile 2007, in
una cerimonia alla quale sarà presente, tra l’altro, un reparto
d’onore della Brigata Bersaglieri Garibaldi, attualmente in
Iraq, quegli stessi fanti piumati che di Musco proseguono il
valore e la tradizione nelle missioni di pace che da più di
dieci anni svolgono sullo scacchiere internazionale. Il
Sindaco di Ponza Pompeo Rosario Porzio e l’Assessore
Musella apprezzano e condividono l’iniziativa della
Provincia: “sarà un giorno della memoria che l’isola non
dimenticherà mai”.
La stele sarà collocata sul molo che prende il nome di Musco,
mentre la mostra che si spera di allestire insieme all’Archivio
di Stato e al Museo Nazionale dei Bersaglieri sarà ospitata
per sempre nel museo civico dell’isola che il giovane ufficiale
lasciò appena adolescente verso un destino luminoso. Fino a
quel giorno terribile del 26 novembre 1940, a “Cippo 33”,
Borgo Tellini, fronte greco-albanese.
27
Medaglia d’Oro - La collana editoriale “Per non dimenticare”Anno I n° 1
di ROBERTO BOIARDI
a Casa editirice “HE - Herald Editore” di Roma,
facente parte dell’azienda “I.P.I. – Informazione
Promozione Immagine”, si impegna da alcuni anni
nella realizzazione di prodotti editoriali legati sia a
progetti, manifestazioni ed eventi di carattere socio-
culturale anche in collaborazione con Enti Locali e varie
istituzioni territoriali, sia in ricerche e studi di carattere
scientifico al fine di diffondere cultura e conoscenza.
Essendo inoltre particolarmente attenta e impegnata nel
sociale, la Casa editrice, in collaborazione con
l’associazione culturale no-profit G.I.S.CA. (Gruppo
Italiano Scuola Carceraria) e la Cooperativa sociale a r.l.
Infocarcere, promuove il recupero e il reinserimento di
individui socialmente deboli e di soggetti appartenenti alle
cosiddette categorie svantaggiate quali detenuti, ex-
detenuti, donne sole con bambini a carico, donne che
hanno subito violenze, ecc.
Nell’ambito delle varie iniziative promosse dalla nostra
Casa editrice, lo scorso anno ha visto la luce in particolare
la collana “Per non dimenticare” con un intento ben
specifico: portare a conoscenza dei cittadini, ed in
particolare delle giovani generazioni, episodi legati a
vicende di forte impatto sociale che hanno caratterizzato
un’epoca ormai lontana, i cui aspetti salienti altrimenti
correrebbero inevitabilmente il rischio di perdersi nel più
oscuro oblio, di venire irrimediabilmente inghiottiti
nell’abisso inesorabile del Tempo. Pertanto essa non ha
trascurato la disamina dei tragici avvenimenti che hanno
drammaticamente solcato il secolo scorso, ma ha inteso
riproporli secondo un taglio ed uno spirito del tutto
peculiari, ove non si impongono all’attenzione del lettore le
grandi manovre strategiche né i classici scenari tipici dei
manuali di storia, ma occupano la ribalta le testimonianze
dirette di un’umanità modesta, lacerata e straziata dalla
realizzazione dei folli disegni di potenza perpetrati da
governanti dispotici e spietati. Le vicende degli eroi
sconosciuti, infatti, l’eroismo della quotidianità,
costituiscono la quinta davanti alla quale si rappresenta la
grande storia, quella dei politici e dei generali. Tuttavia,
così come la vita è unica, per cui la morte non è mai di
massa, ma è sempre un evento individuale, allo stesso modo
anche i dolori sono unici e inconfondibili per chi li ha
vissuti, per quanto simili possano apparire i fatti narrati. In
questo senso le testimonianze dirette o indirette che
abbiamo raccolto rappresentano un dono prezioso che ci è
stato fatto e che abbiamo voluto a nostra volta allargare ad
altri. Non è solo voglia di storicizzare, documentare o
LA BANCARELLA DEI LIBRI DELLA MEMORIALA BANCARELLA DEI LIBRI DELLA MEMORIA
L
2828
Medaglia d’Oro - La collana editoriale “Per non dimenticare” Anno I n° 1
rammentare, ma è soprattutto desiderio di ripercorrere col
ricordo un difficile cammino, perché attraverso la sua
durezza si possa apprendere a cercare altre strade per
scrivere le pagine della storia.
La collana “Per non dimenticare” andrà annoverando
soprattutto scritti ad andamento quasi diaristico, nei quali
gli autori hanno messo a nudo esperienze patite nello spirito
e nella carne, lacerazioni e forzate separazioni sofferte dai
loro nuclei familiari, vicende altamente drammatiche di
profondi sconforti e di speranze tragicamente sconvolte.
Resoconti accorati, ove è privilegiata un’angolazione
‘locale’, che restituiscono con piena aderenza ai fatti
l’autentica storia di come la gente, i civili vissero le diverse
fasi della guerra, non esclusi i momenti di ritrovata, fraterna
solidarietà umana.
È un’operazione non facile, perché spesso i protagonisti
delle “storie”, proprio per il loro diretto coinvolgimento,
manifestano una sorta di pudore, di riservatezza e hanno
reticenza a parlare, anche per non rivivere la sofferenza
patita. Spesso capita che abbiano rimosso gli episodi più
dolorosi della loro vita e, quindi, ne ricordano soltanto
frammenti e flash che faticano a ricostruire e a narrare.
Accanto a tutto ciò, figureranno nella collana anche
rappresentazioni di vicende che documenteranno i profondi
mutamenti sociali che hanno intaccato in maniera incisiva,
e talora irreversibile, comunità e tradizioni secolari; e
inoltre odissee individuali contrassegnate da fasi
particolarmente infelici ma riabilitate da una mai dimessa
propensione alla speranza ed al riscatto morale e materiale
infine conseguito.
Alla nostra proposta editoriale non mancherà neppure la
collaborazione diretta di nuclei di scolaresche impegnatesi
in indagini locali tese al recupero del passato. Pregevoli
iniziative indubbiamente queste ultime che alimentano e
vivificano il percorso della memoria e instillano nelle ultime
generazioni una solida coscienza storica che ne agevolerà
il culto dell’Amor patrio, della Pace tra gli uomini e
dell’irrinunciabile passione per la Libertà.
Si ricordi, infatti, che: “chi non fa memoria, è condannato
a rivivere la storia nelle sue manifestazioni le più tragiche e
le più disumane”, come ebbe ad affermare il 16 ottobre
2003 a Roma il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio
Ciampi, ricordando la razzia del ghetto ebraico del 1943.
Per promuovere i libri della memoria e sollecitare persone
che hanno diari e storie di particolari eventi a renderli noti
al grande pubblico affinché questo immenso patrimonio
storico e umano non vada disperso, è stata ideata
l’iniziativa denominata la “Bancarella della memoria” che si
è inaugurata il giorno 6 agosto 2006 a Campodimele in
occasione della manifestazione “Incontri con gli scrittori”
organizzata dal Comune. Una sorta di tour itinerante della
cultura storica, che toccherà tutte le province del Lazio, in
cui si contatteranno gli amministratori locali, entrando in
contatto con i ricercatori di storia locale e parlando con
persone che hanno vissuto in prima persona episodi che
sono rimasti impressi nella memoria caratterizzando la loro
esistenza.
È infine con particolare orgoglio che annunciamo
l’avvenuto accordo di collaborazione con la Provincia di
Latina in merito alla pubblicazione di libri selezionati dalla
stessa Provincia i quali escono con il Logo dell’Ente e la
presentazione del Presidente Armando Cusani.
Un sentimento di orgoglio che ci riporta a quello provato nel
ricevere il telegramma da parte dell’ex Presidente della
Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, con cui si
complimentava della nostra iniziativa editoriale su “La
Bandiera Italiana”, rivolta alle scolaresche proprio per non
disperdere gli ideali della patria ed ideata per rispondere
all’auspicio dello stesso Presidente di far sì che in ogni
famiglia fosse presente il nostro amato Tricolore.
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Medaglia d’Oro - Il quadro di sfondo: Fronte del Garigliano 1944
di DUILIO RUGGIERO
enerdì 12 maggio 1944, ore 18.30. La 10a
Compagnia del capitano Louisot, del 3°
battaglione del 4° reggimento Tiragliatori tunisini,
dopo averne snidato i soldati tedeschi che vi si erano
asserragliati per una estrema difesa, occupava le prime
case di Castelforte poste sul lato orientale del paese.
Castelforte, una delle pietre angolari del fronte fortificato
tedesco, era il primo obiettivo da raggiungere nell’offensiva
degli Alleati iniziata alle ore 23.00 dell’11 maggio.
Occupata da un nemico valoroso, ben deciso a difendersi e
impegnato a mantenerlo a qualsiasi costo.
A questo bastione naturale il genio militare tedesco aveva
apportato integrazioni e miglioramenti che ne avevano
maggiormente rafforzato le difficoltà per espugnarlo e
conquistarlo.
I tedeschi del generale Raapke, battezzarono la posizione
fortificata degli odierni Comuni di Castelforte e SS. Cosma
e Damiano “la piccola Cassino” ed i suoi difensori ne
menavano vanto: un castello forte, una vera fortezza, un
bastione, una piazzaforte.
I tedeschi consideravano questa posizione così forte e
vantaggiosa che avevano finanche disdegnato di occupare
di fronte all’abitato, il fondo valle sino alle rive del
Garigliano dove, però, crearono una palude di mine.
Gli abitati di Castelforte e SS. Cosma e Damiano, allora
uniti in un solo Comune, Castelforte appunto, erano difesi
dal 2° battaglione del 194° reggimento della 71a divisione
fanteria tedesca, che resistette accanitamente agli attacchi
dei reparti della 3a Divisione Algerina.
Per Juin, comandante del Corpo di Spedizione Francese,
schierato in questo settore, la conquista di Castelforte era di
Anno I n°1
L’URLO E IL SILENZIO DELLA «PICCOLA CASSINO»L’URLO E IL SILENZIO DELLA «PICCOLA CASSINO»
V
30
Medaglia d’Oro - Il quadro di sfondo: Fronte del Garigliano 1944 Anno I n° 1
una imperiosa necessità per l’insieme della manovra del
piano predisposto dal Comando Francese.
Improvvisamente, la situazione di Castelforte si chiarì con la
conferma del successo del capitano Louisot.
Un’avanzata difficile
All’inizio dell’ offensiva, il 4° reggimento Tiragliatori
Tunisini e i Raggruppamenti blindati di Lambilly e di
Dodelier, cui era stata affidata la conquista di queste
posizioni, incominciarono la loro marcia di avvicinamento
a SS.Cosma e Damiano e a Castelforte con difficoltà.
L’avanzata era stentata, gli attaccanti venivano investiti dal
fuoco nemico di fronte e di fianco e solo dopo violenti
scontri, anche all’arma bianca, riuscirono ad aver ragione
dei difensori.
L’operazione «Diadem» scattata alle ore 23.00 dell’11
maggio avrebbe portato allo sfondamento della Linea
Gustav, proprio a Castelforte e SS.Cosma e Damiano ad
opera delle truppe del C.E.F., determinando il crollo delle
difese tedesche su tutto il fronte Garigliano-Cassino.
L’Armata Francese del generale Juin comprendeva la 2a
Divisione Fanteria Marocchina agli ordini del generale
Dody, la 4a Divisione Marocchina da Montagna
comandata dal generale Sevez, la Prima Divisione Francia
Libera del generale Brosset, la 3a Divisione Fanteria
Algerina (truppe algerine e tunisine), comandata dal
generale de Monsabert e i Goums marocchini agli ordini
del generale Guillaume. Nella fase iniziale del suo impiego
in Italia la consistenza del C.E.F. era di circa 65.000
uomini; durante le battaglie di Cassino e del Garigliano
passò a 112.000 effettivi ed alla fine del maggio 1944
raggiunse i 130.000 uomini, di cui 12.000 goumiers.
Erano soldati in gran parte provenienti dal Nord Africa con
alla testa ufficiali quasi tutti francesi, quadri di prim’ordine,
comandante capace, valoroso, dinamico; generali provetti
e tutti animati d’amor patrio e ben preparati
professionalmente.
Per i tedeschi la grande sorpresa fu lo spirito combattivo di
queste truppe, dopo l’ombra sinistra della disfatta da loro
subita nel 1940.
Dal marzo alla vigilia dell’offensiva di maggio, i francesi
sostituirono nel corso superiore del Garigliano le truppe
inglesi. Il comando alleato era molto scettico sull’impiego
delle truppe francesi specialmente sui Monti Aurunci dove
era assolutamente impossibile l’impiego degli imponenti
mezzi di un esercito moderno.
Oltre una schiacciante superiorità aerea e il dominio
assoluto del cielo, anche sulle linee del fronte era notevole
la sproporzione delle forze in uomini e mezzi. Per due
settimane di seguito (notte e giorno) dal 27 aprile al 5
maggio 1944, vennero accumulati nella testa di ponte del
Garigliano quantità tali di munizioni, di vettovagliamenti,
combustibili, attrezzature, per permettere alle truppe
operanti sullo scenario un’autonomia di quattro giorni.
Sul fronte di Castelforte e degli Aurunci era schierata,
integrata da altri diversi reparti, la 71a Divisione del
generale Raapke, fanatico ancora convinto della vittoria
della Germania nazista, e autore della direttiva emanata ai
suoi uomini di resistere sino all’ultimo.
Al sorgere del sole del giorno 12, dopo sei ore di accaniti
combattimenti, le notizie non erano affatto buone. Solo il
Faito era stato conquistato in seguito a duri scontri e con
pesanti perdite. Altrove, ovunque, l’avanzata era stata
bloccata su tutto il fronte.
Alle ore 4.00 del 13 maggio, dopo un intenso
cannoneggiamento di oltre tre quarti d’ora dell’artiglieria
del C.E.F. rafforzata da un raggruppamento americano, i
combattenti francesi ripresero l’attacco alle posizioni
tedesche sui Monti Aurunci. Malgrado la violenta reazione
tedesca alle ore 11.30 del 13, il Monte Feuci veniva
conquistato come poco prima erano stati conquistati il Colle
Cerasole e il Monte Girofano. Alle ore 15.00 veniva
occupato Monte Maio, sommità principale, punto forte,
vitale, strategico della difesa tedesca, precipitosamente
sgomberato dal nemico in rotta.
I tedeschi che avevano resistito vittoriosamente a
Castelforte, sul Cerasole e sul Girofano, credendo di aver
scongiurato il pericolo di sfondamento della loro linea,
erano stati battuti dalle truppe francesi.
Gli attacchi dei giorni 11, 12 e 13 maggio aprirono una
breccia larga nove chilometri e profonda sei nella linea
Gustav.
La rottura del fronte che aveva resistito per quasi sei mesi,
per l’armata francese fu il successo tattico determinante
31
Medaglia d’Oro - Il quadro di sfondo: Fronte del Garigliano 1944Anno I n° 1
della vittoria degli Alleati in Italia. L’audace sfruttamento
strategico del generale Juin fece crollare tutto il fronte
germanico e condusse le armate alleate a Roma e poi a
Firenze.
Il II Corpo d’Armata US. che aveva sostituito il X C.A.
Britannico era schierato da S.Lorenzo in Castelforte al
mare, alla sinistra del Corpo di Spedizione Francese.
Comandato dal maggior generale Goffrey S. Keyes,
comprendeva l’85a Divisione fanteria (chiamata divisione
“Custer”) agli ordini del generale J.B.Coulter e l’88a
Divisione “Buffalo” del generale J.E.Sloan, oltre al 1°
Gruppo corazzato. Erano truppe appena arrivate dagli
Stati Uniti e non avevano ancora partecipato ad operazioni
belliche.
Appena iniziata l’offensiva dell’11 maggio, gli americani
progredirono sensibilmente sulle alture di SS.Cosma e
Damiano, conquistando Monte Cianelli e il villaggio di
Ventosa, occupato alle ore 14 del 12 dal 350° reggimento.
Si scontrarono invece con le difese tedesche poste a
copertura delle frazioni Pulcherini e S.Maria Infante nella
zona di Minturno. L’abitato di S.Maria Infante, difeso del 1°
battaglione del 267° reggimento (94a Divisione) e dal 94°
battaglione della 71a Divisione, venne attaccato dal 2°
battaglione del 351° reggimento fanteria dell’88a Divisione
US, appoggiato dal 1° e 3° battaglioni. Questo centro nel
corso dell’offensiva fu perduto e riconquistato dai tedeschi
per ben 17 volte e solo alla sera del 14 maggio gli
americani riuscirono ad occuparlo definitivamente. Durante
i combattimenti per il possesso di questa borgata
completamente distrutta, entrambe le parti subirono
pesantissime perdite ed alla fine i tedeschi superstiti furono
solo cinque, benché nelle ore precedenti avessero fatto
prigioniero un intero battaglione americano.
Un forte appoggio alle truppe americane venne dal fuoco
degli incrociatori HMS Did, Brooklin e Philadelphia, che a
turno si avvicinavano alla spiaggia per bombardare le
posizioni tedesche e le loro retrovie non raggiungibili
dall’artiglieria terrestre alleata.
Il generale De Gaulle, Presidente provvisorio della
Repubblica Francese, arrivato in Italia il 17 maggio 1944,
visitò la zona della battaglia il 18 maggio, accompagnato
dal generale de Lattre de Tassigny, comandante dell’Armata
B), dal generale Bèthomart, capo di Stato Maggiore della
Difesa Nazionale e da André Diethel, Commissario alla
Difesa del governo provvisorio francese. Dopo una breve
sosta tra le rovine di Castelforte, si recò al fronte di Esperia
e dal comando avanzato del generale De Monsabert, nei
pressi di S.Oliva, seguì direttamente i combattimenti delle
truppe francesi. Presso il quartiere generale francese ad
Ausonia ebbe le congratulazioni del generale Clark per
l’ardore e la combattività delle truppe di Juin. E, nella stessa
giornata, prima di rientrare ad Algeri, visitò nella zona di
S.Clemente la 2a Divisione marocchina vincitrice dei Monti
Aurunci e poi le formazioni sanitarie di M.me Catroux,
della contessa du Luart e di Lady Spears.
L’Attacco di gennaio dei «tommies»
La vittoria degli Alleati sul Garigliano nel maggio 1944, fu
Goumiers marocchini attraversano il Garigliano
32
Medaglia d’Oro - Il quadro di sfondo: Fronte del Garigliano 1944 Anno I n° 1
possibile principalmente per i risultati della prima offensiva
avvenuta il 17 gennaio precedente .
Tra la metà di gennaio e i primi di febbraio del 1944 si
ebbero due tentativi di sfondare la Linea Gustav: nei pressi
di Cassino e sul Garigliano. Completamente fallito quello
nella zona di Cassino, si ebbe un parziale successo solo nel
settore del Garigliano che portò alla creazione della testa di
ponte nel territorio dei comuni di Castelforte e di Minturno.
L’offensiva alleata del gennaio 1944, genialmente
concepita e meticolosamente organizzata, anche se nel
quadro generale della condotta della guerra in Italia, non
aveva raggiunto completamente gli
obiettivi, con l’azione di forzatura del
Garigliano e la conseguente
costituzione di un’ampia testa di ponte,
è da ritenersi che abbia raggiunto
ugualmente un risultato positivo per le
favorevoli condizioni create per il
successivo attacco della primavera in
questa zona.
L’Attacco di gennaio alla «Gustav»
Queste operazioni, eseguite dal X
Corpo d’Armata Britannico, presero il
nome di Panther .
Il Corpo Britannico, facente parte della
V Armata Alleata, comprendeva la
56a Divisione Fanteria comandata dal maggior generale
Gerald W.R.Templer, la 46a Divisione Fanteria comandata
dal maggior generale J.L.I. Hawhesworth e la 23a Brigata
Corazzata comandata dal brigadiere generale
R.H.E.Arkwright, tenuta in riserva nella zona di San Carlo-
San Martino alle falde dei monti di Roccamonfina. Alla
vigilia dell’inizio delle operazioni vi era stata aggiunta la
5a Divisione Fanteria comandata dal maggior generale
Gregson Ellis, rilevata dal settore adriatico che durante la
notte tra il 15 ed il 16 gennaio 1944, con tutta segretezza
e molta precauzione , si spostò nel settore costiero a cavallo
della strada nazionale Appia e tra questa ed il mare,
schierandosi a poca distanza dal Garigliano.
Il Corpo d’Armata Britannico, comandato dal tenente
generale Richard McCreery, aveva raggiunto il fronte del
Garigliano il 2 novembre 1943 e fino al 15 successivo i
suoi reparti avevano gradualmente preso contatto con le
prime posizioni tedesche. Erano soldati che avevano
partecipato alla battaglia di El Alamein, alla campagna
libica e tunisina contro le truppe italo germaniche ed allo
sbarco di Salerno avvenuto l’indomani della firma
dell’armistizio tra l’Italia e gli Alleati dell’8 settembre 1943.
Il fronte del Garigliano che costituiva l’ala destra del XIV
Corpo Corazzato tedesco, comandato dal generale Fridolin
Von Senger und Etterlin, era tenuto dalla 94a Divisione
Fanteria del maggiore generale Bernard Steinmetz con
posizioni di resistenza nelle colline di
Castelforte e Minturno che avevano
davanti una zona pianeggiante quasi
tutta minata e con avamposti, anche in
riva sinistra del fiume in territorio di
Sessa Aurunca, occupati dal 194°
battaglione di ricognizione della
medesima divisione e che costituivano
la Linea Burkhard.
Questa divisione era schierata in un
settore considerato secondario ma
sicuro dal comando tedesco, però
esposto sia ai cannoneggiamenti
terrestri che ai bombardamenti navali
ed a possibili sbarchi. Oltreché
difendere il Garigliano aveva anche il
compito di proteggere la costa del Golfo di Gaeta-Formia,
ritenuta punto di probabili sbarchi alleati. Le sue posizioni
erano state difese da 24.000 mine poste sulle rive del
Garigliano e lungo le coste. In questa zona, gli uomini della
94a Divisione, erano schierati lungo il Garigliano sino a
sud di Sant’Andrea Vallefredda (oggi Sant’Andrea sul
Garigliano). Il 274° reggimento presidiava il settore di
Minturno dalla costa al torrente Ausente (il 1° battaglione
nella zona Scauri-Monte d’Argento, il 3° intorno a Minturno
e Tremensuoli, il 2° in riserva nella zona di S.Vito- S.Maria
Infante. Nella zona di Castelforte era schierato il 276°
reggimento (il 1° battaglione tra Monte Castelluccio e
Monte Purgatorio alle spalle dell’abitato di Suio); il 2°
battaglione tra gli abitati di Suio e di Castelforte-SS.Cosma
e Damiano, Ventosa, S.Lorenzo sino al torrente Ausente; il
Bernard Steinmetz
33
3° battaglione tenuto in riserva nella sona di Ceracoli. Il 3°
battaglione del reggimento (367°) presidiava la costa da
Scauri a Terracina.
Le istruzioni del piano del generale Clark, comandante
della V armata alleata, stabilivano che l’obiettivo della 5a
divisione britannica era Minturno con la frazione Tufo e
aprire la valle dell’Ausente. Quello della 56a divisione
invece era quello di conquistare la roccaforte di Castelforte,
mentre la 46a divisione doveva attraversare il Garigliano a
S.Ambrogio per appoggiare il 2° Corpo d’Armata USA il
cui attacco sul basso Rapido era previsto per il 20 gennaio.
Con una vigorosa penetrazione nella
Valle dell’Ausente in direzione di
Ausonia e S.Giorgio a Liri, gli Alleati si
proponevano la destabilizzazione
delle forze tedesche sulla parte
meridionale della Linea Gustav.
La 5a divisione britannica attaccò
senza preparazione di artiglieria
sorprendendo la 94a divisione
germanica.
Ogni divisione iniziò l’attacco con due
brigate.
Il 2° Royal Scots Fusilier della 17a
brigata aveva la missione della
conquista di Monte d’Argento, una
modesta altura sul mare a circa due
chilometri dal capoluogo Minturno, fortificata dai tedeschi
che col fuoco delle loro armi potevano battere tutto il corso
del Garigliano dall’Appia alla foce. L’operazione riuscì
parzialmente perché i mezzi anfibi impiegati, partiti dalla
base di Mondragone, ad una ventina di chilometri di
distanza, nell’oscurità sbagliarono rotta e sbarcarono alle
spalle della linea alleata. La resistenza accanita dei tedeschi
nella zona di Monte d’Argento arrestò qualsiasi ulteriore
avanzata lungo la costa verso Scauri e sulla destra verso
l’interno del territorio minturnese.
Il 2° Wilthire della 13^ brigata attraversò il Garigliano
nella località Grottelle, seguito dal 2° Royal Inniskilling, al
quale non era riuscito il passaggio del fiume più a nord a
causa della reazione nemica, che puntava sulla Masseria
Pantanello in territorio di Castelforte , diretto a Tufo e con la
missione di occupare Minturno, per proseguire poi verso
S.Maria Infante e Tremensuoli e le alture che dominano tali
località.
Tufo venne occupata il 19 gennaio ma venne subito
riconquistata dai tedeschi con un poderoso contrattacco.
Nella sera venne conquistata Minturno e fortemente difesa
contro gli attacchi tedeschi che cercavano di rioccuparla.
Solo il 23 gennaio Tufo venne stabilmente occupato. Il
giorno 29, con l’appoggio del fuoco dell’incrociatore
Penelope e del cacciatorpediniere Inglefield, il 6° Granadier
Guards e il 3° Coldstream Guards della 201a brigata
ripresero l’offensiva nella zona di
Tremensuoli ed il 30 conquistavano a
nord ovest del paese tutto il complesso
collinare di Monte dei Pensieri.
La 5a Divisione Britannica per la
spossatezza dei suoi reparti che si
erano impegnati e battuti
strenuamente, dopo queste azioni ed
avere sostenuto duri contrattacchi
nemici, prese a stabilizzare le posizioni
occupate difendendole dagli accaniti e
ripetuti tentativi di riconquista da parte
dei tedeschi. Non potendo
intraprendere ulteriori operazioni di
avanzata, le truppe inglesi rimasero
sulla difensiva sino alla loro
sostituzione da parte degli Americani alla vigilia
dell’offensiva di maggio.
Nel settore di Castelforte e Suio, le operazioni erano state
affidate alla 56a divisione del generale Templer che attaccò
con due brigate ed avevano come obiettivo di conquistare
i due centri abitati di Castelforte e Suio ed occupare i rilevi
che li circondavano con le zone elevate che dominano la
Valle dell’Ausente: Colle Salvatito ad ovest di SS.Cosma e
Damiano, il Ceschito e Monte Siola alle spalle di
Castelforte, Monte Valle Martina e le aree circostanti nella
zona di Suio.
La 167a Brigata, che aveva come obiettivo immediato il
triangolo fortificato S.Lorenzo, SS.Cosma e Damiano con
Ventosa e Castelforte. Attraversato il Garigliano in località
Vignali Scafa D’Orvé, nei pressi del ponte distrutto della
Fridolin Von Senger und Etterlin
Anno I n° 1 Medaglia d’Oro - Il quadro di sfondo: Fronte del Garigliano 1944
34
Medaglia d’Oro - Il quadro di sfondo: Fronte del Garigliano 1944 Anno I n° 1
vecchia linea ferroviaria Gaeta-Sparanise, dopo il primo
tentativo non riuscito, verso la sera del giorno 18 raggiunse
ed occupò Colle Salvatito col 9° Royal Fusilier. L’8° Royal
Fusilier che aveva attraversato il fiume nella località Grotte,
dopo duri combattimenti lungo il percorso di avvicinamento
e nell’attacco al Monte Cianelli di cui conquistarono la cima
che domina Ventosa, subì gravi perdite e la reazione
tedesca costrinse gli inglesi ad arretrare sino al Colle
Salvatiti, rimanendovi sino alla sucessiva offensiva della
primavera.
Sull’ala destra dello schieramento britannico, la stessa notte
del 17 gennaio, dopo un massiccio fuoco dell’artiglieria
alleata, la 56a Divisione di
fanteria britannica, comandata dal
maggiore generale G.W.R.
Templer, attacca nella zona di
Suio: Il superamento riuscito del
fiume Garigliano della 169a
brigata, pur avendo subito
sensibili perdite a causa del fuoco
del 1° battaglione del 276°
reggimento tedesco schierato sul
Monte Castelluccio posto di fronte
all’area del guado, nella mattina
del 18 porta alla conquista
dell’abitato di Suio, del Monte
Castiello posto alle sue spalle,
estendendo l’occupazione per oltre
due chilometri verso la parte
occidentale del Monte Valle Martina. Malgrado i
contrattacchi scatenati dai tedeschi nei giorni successivi, gli
inglesi dopo aver occupato Monterotondo riescono a
sfondare nel settore Monte Fuga-Furlito, ma la loro
avanzata viene contenuta dalla resistenza accanita dei
reparti germanici. Il 2 febbraio reparti di Commandos
Britannici e Belgi, dopo averne scacciati i tedeschi,
conquistarono l’Ornito, ma fallirono il tentativo di occupare
il Faito. I contrattacchi tedeschi non ottennero successo per
l’intenso fuoco dell’artiglieria alleata che costrinse le truppe
della Wermacht ad abbandonare alcune posizioni dalle
quali però riuscrino a contenere e respingere le spinte delle
truppe inglesi, nel frattempo integrate con la 46a Divisione
ritirata da S.Ambrogio sul Garigliano.
Tra il 19 e il 20 gennaio 1944 il 1° London Frish, che aveva
il compito di conquistare Castelforte , attaccò l’abitato,
riuscendo verso le ore 11.00 ad occupare alcune case nella
periferia del paese. Dopo due giorni di sanguinosi
combattimenti, i reparti britannici che pur non avendo
conquistato Castelforte si erano spinti ed avevano superato
il centro abitato, tra il 21 ed il 23 gennaio furono
contrattaccati dalla 29a Divisione Panzer Grenadier che,
passando per Castelforte, mirava a separare le forze che
tenevano la testa di ponte infiltrandosi fra le due brigate di
prima schiera. La 29^ Divisione Panzer colse gli inglesi
proprio nel momento in cui
scemava l’impeto del loro attacco,
quando gli uomini erano stanchi e
la loro artiglieria stava
riorganizzandosi su nuove
posizioni. McCreery per evitare il
travolgimento della brigata di
centro della sua 56a divisione
lanciò nella mischia parte del 40°
Commando dei Royal Marines
per rinforzare i combattenti
britannici di fronte a Castelforte,
riuscendo così ad arginare la
violenta reazione tedesca. Mentre
il generale Templer, riorganizzate
le sue truppe, si apprestava a
sferrare un nuovo e definitivo
attacco contro Castelforte, alla fine di gennaio la 167a
brigata della 46a Divisione , venne ritirata dal fronte del
Garigliano ed inviata nella testa di sbarco di Anzio. Subito
dopo venne inviata nel settore di Anzio tutta la 46a
Divisione, seguita nel mese successivo anche dalla 5a
divisione britannica.
Per i tedeschi il ritiro di queste truppe dal Garigliano,
significava che il pericolo paventato sul fronte di Castelforte,
era per il momento sventato definitivamente e la tensione
scemata, quindi questo settore non presentava alcuna
preoccupazione. Non era così: l’11 maggio successivo,
l’attacco dei francesi si rivelò epico e risolutore.
L’avanzata continua
35
di PIER GIACOMO SOTTORIVA
i sono voluti 60 anni perché le nuove generazioni
cominciassero ad rimpadronirsi della esperienza
della seconda guerra mondiale in provincia di
Latina. Questo da un lato non deve sorprendere, se è vero
che ancora oggi, 90 anni dopo, continuano a pubblicarsi
libri e si celebrano ricordi sull’altra grande tragedia della
prima guerra. Evidentemente l’Uomo ha bisogno di una
lunga macerazione, ha bisogno delle nuove generazioni
per digerire il suo dolore, ha bisogno di tempo per
elaborare la memoria di quel dolore per consegnarlo ad
altri, ma depurato delle angosce dell’immediatezza e
trasformato in memoria consapevole, in memoria civica,
come accade a Cisterna che ha sintetizzato la sua
esperienza bellica nel ricordo dell’esodo forzato dell’intera
sua popolazione avvenuto il giorno 19 marzo 1944.
Quel ricordo inizia nella notte del 22 gennaio 1944,
quando 374 navi da guerra alleate scaricano sulla costa tra
Littoria, Nettuno, Anzio e Tor San Lorenzo, migliaia di
uomini per uno degli sbarchi più fulminei e sorprendenti
della seconda guerra mondiale. La molteplicità del ricordo
inizia a Cisterna con la discesa nelle grotte, cominciata già
dalla domenica 23 gennaio. Ma la guerra in Agro pontino
era iniziata già nell’estate del 1943.
La Gazzetta Ufficiale n. 165 del 19 luglio 1943 pubblicava
il Regio Decreto 14 luglio 1943, n. 630, che disponeva che
"su proposta del Duce del Fascismo, lo stato di guerra è
dichiarato anche nel territorio della Provincia di Littoria". Il
Regio Decreto entrò in vigore il giorno successivo. Lo stesso
giorno della pubblicazione Roma subiva il primo
bombardamento aereo. Cinque giorni dopo veniva
affondato il piroscafo Santa Lucia che collegava Napoli,
Gaeta e le isole di Ponza e Ventotene, con la morte di forse
un centinaio di persone. E sei giorni dopo il Re defenestrava
Mussolini a Villa Savoia.
La provincia di Littoria era stata istituita meno di nove anni
prima, con Regio decreto legge 4 ottobre 1934, n.1682.
Questo significa che la giovanissima Provincia affrontava la
guerra nelle peggiori condizioni possibili. La bonifica delle
Paludi Pontine non era consolidata (i tedeschi, dopo l'8
settembre 1943, avrebbero impiegato pochi giorni per
sabotarne i punti vitali); la malaria non era stata sradicata,
non era consolidato il quadro sociale che nasceva dalla
bonifica, né quello amministrativo che scaturiva dal nuovo
assetto istituzionale: la provincia di Littoria, insomma,
viveva una vita che ancora non le apparteneva. Le sue sorti
erano decise altrove: nel gabinetto di Mussolini (confini da
ritoccare, città da fondare, borghi da creare), negli uffici
tecnici e di vigilanza dell'ONC (gestione delle aziende
IL FRONTE DEL NORDIL FRONTE DEL NORD
C
Anno I n° 1 Medaglia d’Oro - Il quadro di sfondo: Anzio, Littoria, Cisterna, Aprilia
36
agrarie e dei poderi assegnati), e nelle stanze del Pnf, dove
si decideva quali contadini fossero affidabili, giacché nei
contratti colonici, dopo il 1936, tra le cause di rescissione
del contratto in danno del colono, fu introdotto il parametro
della "indegnità politica", il cui giudizio era rimesso ai
"competenti organi di partito".
La giovanissima Provincia, soprattutto la parte più nuova,
quella settentrionale, affrontava insomma la guerra in
condizioni se possibili anche più gravi.
Subito dopo l'8 settembre, i tedeschi predisposero un piano
per contenere un prevedibile sbarco alleato, con la
creazione di una linea di difesa fatta di postazioni costiere
in cemento armato o trasformando strutture o edifici
c o l l o c a t i
s t r a t e g i c a m e n t e ;
vennero depositate
centinaia di migliaia di
mine antiuomo e
anticarro lungo la fascia
litoranea e
n e l l ' i m m e d i a t o
retroterra; fu decisa ed
eseguita la distruzione
di tutte le strutture
portuali e
l'affondamento di tutto il
naviglio non utilizzabile,
inclusi i pescherecci;
venne attuata la sistematica demolizione con l'esplosivo, di
tutti gli edifici - palazzi, antiche torri costiere, fabbriche -
che avrebbero potuto costituire punto di riferimento per lo
sbarco o ostacolo per la difesa.
Poi, in vista di una risalita via terra, in conseguenza del
fatto che in qualche settimana dallo sbarco di Salerno gli
Alleati avevano raggiunto e liberato Napoli, con l’aiuto
dela rivolta cittadina delle “Quattro Giornate”, venne anche
disposto l'allagamento della Piana di Fondi- Monte San
Biagio e di ampie aree della Pianura Pontina, appena
bonificate. Furono tagliati gli argini, sabotate le centrali
idrovore, asportati i motori, stravolto scientificamente il
sistema che aveva permesso di ristabilire l'equilibrio
idraulico nelle zone paludose.
L’operazione di devastazione e di sabotaggio fu così vasta
che persino le poche autorità fasciste rimaste, pur con tutte
le cautele che le circostanze imponevano, giudicarono
eccessive e non spiegabili militarmente molte delle
distruzioni. Ciò ha indotto a sospettare che esse fossero, in
realtà, un atto di vera e propria vendetta contro gli Italiani,
rei di “tradimento”. Una vendetta da consumare attraverso
una vera e propria azione di terrorismo biologico,
l’impaludamento finalizzato a selezionare le zanzare
portatrici di malaria e a provocare una disastrosa
pandemia, che effettivamente avvenne tra il 1944 e il 1946.
E’ una tesi sostenuta da autori italiani (Corbellini,
Merzagora, A. Coluzzi, che fu malariologo in zona) e
americani (Snowden,
Paul Russel).
Mentre il sabotaggio
progrediva, la
popolazione veniva
fatta evacuare prima a
5 poi a 10 chilometri di
distanza dalla costa. La
popolazione dell’area
settentrionale della
provincia, che contava
oltre 133 mila persone,
tra Aprilia, che
all'epoca registrava
appena 2237 residenti, e Terracina, il centro più popoloso
con i suoi 23.559 abitanti, si disperse parte nella pianura
di Pontinia, e parte nella retrostante collina, zona che
godeva di una situazione di relativo vantaggio, piuttosto
defilata dalle operazioni tattiche e logistiche, ma non da
quelle militari, visto il tributo che anche Cori, Sezze,
Priverno, Sonnino, Maenza pagarono alla guerra. I centri
collinari divennero casa ospitale per centinaia di profughi.
A sollecitare lo spostamento, oltre agli ordini tedeschi c’era
la paura dei bombardamenti, che avevano dato inizio a
quella “guerra contro i civili” che caratterizzò anche
quest’area. Il 4 settembre viene bombardata Terracina (un
centinaio di morti), l’8 settembre Gaeta, il 10 settembre
Medaglia d’Oro - Il quadro di sfondo: Anzio, Littoria, Cisterna, Aprilia Anno I n° 1
Una formazione di aerei da caccia italiani
37
Formia (una settantina di morti e pesanti distruzioni). Il 13
ottobre 1943 il Governo del Sud presieduto da Badoglio,
dichiarò guerra alla Germania. La provincia di Littoria
divenne l’estremo lembo della Repubblica sociale fascista,
ma comandavano solo i tedeschi.
Lo sbarco di Anzio-Nettuno
Gli Alleati raggiunsero la linea Gustav - tra Castelforte e il
mare di Minturno - a metà novembre, e vennero inchiodati
dalla organizzata difesa tedesca. Per aggirare lo scoglio fu
progettata l’Operazione Shingle, uno sbarco in profondità
dietro le linee di difesa, preceduto da un attacco sulla
Gustav per richiamare forze. La sera del 21 gennaio
salparono dal golfo di Napoli 374 mezzi navali, che
trasportavano 50 mila
uomini e 5 mila
automezzi. Formavano
il VI Corpo posto sotto il
comando del generale
americano John P.
Lucas, 54 anni compiuti
da una settimana. Il
contingente era
composto dalla 3^
divisione, dal 504° e
509° reggimento
paracadutisti di fanteria
e da tre battaglioni di
Rangers, tutti americani;
dalla 1^ divisione e da due battaglioni di Commandos
britannici. La flotta compì una lunga manovra per
ingannare eventuali osservatori nemici, poi, col favore della
notte invernale, puntò sull’arco di costa tra Terracina e Ostia
per sbarcare nel tratto compreso tra Tor San Lorenzo-fosso
della Moletta, a ovest, e Anzio-Nettuno-Foglino, a est. L’ora
H fu fissata alle ore 2 di sabato 22 gennaio. All’1.53 due
navi aprirono il fuoco rovesciando sulla costa 792 razzi in
circa 90 secondi e devastando un’area di circa 15 ettari.
Una decina di minuti dopo dai primi mezzi da sbarco
scendevano in acqua, a pochi metri dalla costa, i fanti.
In quella notte, nella zona di Anzio-Nettuno si trovavano
soltanto due unità tedesche, il LXXI battaglione e il
battaglione Esploratori della 29^ divisione
Panzergrenadier, reduci dalla Gustav per un periodo di
riposo, e una sessantina di uomini del presidio costiero. Lo
sbarco, dunque, avveniva in una zona priva di presidio, e
nel giro di poche ore americani e inglesi conquistavano
l’obiettivo che si erano prefissi senza vittime (solo gli inglesi
a Tor San Lorenzo persero qualche uomo finito su un campo
minato).
Per sostenere lo sbarco gli alleati lanciarono, appena sorse
l’alba, una serie di attacchi dall’aria, sia a difesa della
flotta, sia per terrorizzare, anche col tiro dei grossi calibri
delle navi da guerra, i centri attorno alla testa di ponte:
Aprilia, Cisterna, Velletri, S. Felice Circeo, i paesi della
collina, in special modo
Cori e Priverno.
L’attacco su Sezze fu tra
i più gravi: tra le 8.30 e
le 9, ora del mercato,
rimasero uccise alcune
persone e distrutte
alcune case. Il 23
gennaio, domenica, i
primi abitanti di
Cisterna scendevano
nelle “grotte”, le
profonde cantine
scavate nel sottosuolo di
pozzolana e tufo, dove
avrebbero vissuto per due mesi. Altre duemila persone
presero la strada per Torrecchia, Le Castella e per la
campagna più interna, ai piedi dei monti Lepini.
Cisterna a est, Aprilia a ovest: erano i due ostacoli che il VI
Corpo alleato doveva superare per accedere a Roma. Il
primo significava il controllo della Statale 7 Appia e,
attraverso esso, anche di Valmontone, nodo della Statale 6
Casilina, da Cassino a Roma; il secondo apriva la via ai
Colli Albani.
Esplorazioni alleate
L’unica iniziativa che Lucas assunse subito dopo lo sbarco
Medaglia d’Oro - Il quadro di sfondo: Anzio, Littoria, Cisterna, ApriliaAnno I n° 1
Rovine della Chiesa di Cisterna
38
fu l’invio di pattuglie in esplorazione: quella diretta verso
Littoria, al comando del maggiore Crandall, cade in mano
ai tedeschi all’altezza di Borgo Podgora. Nel settore
occidentale, gli inglesi inviano una pattuglia automontata
che raggiunge le prossimità di Campoleone, prima di
essere intercettata dai tedeschi e rientrare. La facilità con la
quale la pattuglia era penetrata, convinse il comandante la
1^ divisione britannica, generale Penney a tentare una
esplorazione in forze su Aprilia il mattino del 25 gennaio.
La penetrazione ebbe buon esito e l’abitato di Aprilia cadde
temporaneamente in mano inglese. Nella stessa giornata
Littoria subì le prime vittime a causa di un
cannoneggiamento dal mare che raggiunse il centro urbano
poco dopo le 12.30. Subito dopo i colpi raggiunsero anche
Cisterna, e le case del Corso.
Sulla testa di sbarco erano ormai presenti più di 50 mila
uomini, comprese la 1^ divisione corazzata e la 45^
divisione di fanteria americane, ma i tedeschi erano riusciti
in poche ore a fare affluire circa 40 mila uomini raccolti
nella XIV armata sotto il comando del generale Eberhard
Von Mackensen, e il 26 gennaio, il generale tedesco
Westphal considerava che “il pericolo acuto di uno
sfondamento in direzione di Roma o di Valmontone era
passato”. Cancellata la sorpresa, i due avversari
cominciarono a studiarsi.
La prima operazione importante tentata dal generale Lucas
la notte tra il 30 e il 31 gennaio, fu una penetrazione da
Isolabella a Cisterna, affidata a 3 battaglioni di Rangers
appoggiati da elementi della 3^ divisione, ma si concluse
con una catastrofe per gli americani: sorpresi dai tedeschi
che essi avrebbero dovuto, a loro volta, sorprendere, dei
767 Rangers che presero parte all’attacco tornarono alla
base di Anzio solo in 6. Circa il 60% dei reparti furono
Medaglia d’Oro - Il quadro di sfondo: Anzio, Littoria, Cisterna, Aprilia Anno I n° 1
Rovine del Municipio di Cisterna di Latina/Foto Emilio Sottoriva - Coll. P.G. Sottoriva
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uccisi o feriti, gli altri finirono prigionieri. I tedeschi li
avrebbero fatti sfilare qualche giorno dopo per Roma, come
segnale del fallimento alleato.
Le battaglie per Aprilia-Campoleone
Non andò meglio sul settore occidentale, tra Anzio, Aprilia
e Campoleone, dove, tra il 29 gennaio e il 4 marzo si
svolsero quattro sanguinose battaglie tra i due schieramenti,
che costarono migliaia di morti e comportarono il rischio
che gli Alleati venissero rigettati in mare. La prima battaglia
si svolse tra il 29 e il 31 gennaio; la seconda dal 3 al 12
febbraio (e in questa circostanza scesero in campo anche
300 parà della Repubblica sociale italiana), la terza tra il
16 e il 19 febbraio, e mise ripetutamente in crisi il
dispositivo alleato. I tedeschi furono arrestati al cavalcavia
di Campo di Carne. La
quarta battaglia durò
circa cinque giorni, dal
29 febbraio al 4 marzo,
e fu l’ultimo tentativo
tedesco di respingere a
mare gli alleati. Poi
iniziò una fase di
stanca, con i due eserciti
intenti a recuperare le
pesantissime perdite, e
le popolazioni
sottoposte ad ulteriore
martirio. Quella di
Aprilia venne per la quasi totalità trasferita dagli Alleati, via
mare, in Campania, Calabria e Sicilia; quella di Cisterna, a
Roma Officine Breda, Narni, in provincia di Terni, o
Cesano. L’esodo forzoso fu completato il giorno di San
Giuseppe, il 19 marzo 1944, dalle prime ore pomeridiane.
La pausa fu intervallata da episodi bellici che potrebbero
definirsi di routine, se non fossero costellati da una serie di
tragici eventi, che possono essere simbolicamente
riepilogati nella fucilazione avvenuta a Borgo Montenero, il
4 maggio, quando furono trucidati, come punizione per
non aver abbandonato l’area secondo gli ordini del
comando tedesco, cinque civili, tratti a sorte al termine di
una drammatica decimazione. Nei tre mesi di sosta
relativa, inoltre, tanto gli Alleati che i tedeschi posero tra sé
e i rispettivi nemici uno sbarramento di mine che avrebbe
reso ancor più difficile la vita del dopoguerra. Secondo il
generale Puddu, ne vennero “seminate” ben 966: 385, da
parte degli alleati, e 581 da parte tedesca, per complessive
194 mila mine (121 mila alleate e 73 mila tedesche).
Borgo Sabotino, intanto, era diventato base per un corpo
d’élite alleato, la 1st Special Service Force, una unità
americano-canadese di circa 2000 uomini, specializzata in
azioni che si potrebbero definire di guerriglia, per le quali
furono battezzati col nome di Diavoli Neri: formavano una
struttura militare forte e compatta, capace anche di
muoversi in campo aperto, come avrebbe dimostrato nella
battaglia di Cisterna. La 1st SSF aveva ribattezzato Borgo
Sabotino col nome di Gusville, aveva dato nomi americani
alle principali vie, aveva
creato anche un
bollettino a stampa.
L’offensiva finale
L’arrivo della primavera
riaccese le azioni, L’11
maggio 1944 gli Alleati
lanciano l’offensiva
finale contro la Gustav e
riescono a sfondare nel
settore di Castelforte,
iniziando la risalita
della provincia. Quando
ormai la ritirata tedesca stava imboccando le porte
dell’Agro Pontino, il VI Corpo decise di liberarsi
dall'accerchiamento che stava subendo nella testa di ponte
di Anzio-Nettuno, puntando allo sfondamento della linea
che faceva perno su Cisterna. Per la verità, si era discusso
a lungo presso lo Stato Maggiore alleato su quale direttrice
imprimere all'ultima battaglia nell'area pontina, ed erano
stati esaminati quattro possibili piani: il Grasshopper
(Cavalletta), che prevedeva l'attacco principale su Littoria e
la prosecuzione su Sezze, per tagliare la ritirata tedesca; il
Turtle (Tartaruga), che doveva svilupparsi lungo la via
Nettunense, Carroceto, Aprilia, Campoleone; il Crawdad,
(che ipotizzava una penetrazione più a ovest, su Ardea, la
Medaglia d’Oro - Il quadro di sfondo: Anzio, Littoria, Cisterna, ApriliaAnno I n° 1
Il corso di Cisterna di Latina/Foto Emilio Sottoriva - Coll. P.G. Sottoriva
40
costa e Roma); e il Buffalo, per il quale l'obiettivo principale
dell'attacco era Cisterna e, subito dopo, Cori, Artena e
Valmontone, punto in cui la X Armata tedesca che ripiegava
da Cassino avrebbe dovuto essere intercettata e bloccata. Il
piano prescelto fu il piano Buffalo.
Esso prevedeva un attacco frontale su Cisterna e attacchi
contemporanei avvolgenti sui due lati della cittadina. Il
primo fu affidato alla 3^ divisione US del generale ‘O
Daniel; gli altri, alla 1^ divisione corazzata del generale
Harmon (a ovest) e alla 1^ S.S.F. del generale Frederick (a
est). Aggredire il paese equivaleva a tagliare la SS 7 Appia
e la linea ferroviaria Roma-Napoli, che lo attraversano. Per
garantirsi una difesa più morbida, gli alleati attuarono un
piano diversivo, che avrebbe dovuto attirare l'attenzione
tedesca altrove, risucchiando uomini ed unità: era la
Operation Hippo, che venne lanciata dagli inglesi nel
settore di Carroceto-Aprilia-Ardea, con le divisioni, 1^ e
5^.
Per gli inglesi l’ora X scattò fra le 23.15 del 21 maggio e le
03.15 del 22, quando fu lanciato nella zona di Moletta-
Ardea-Buonriposo-Carroceto un furioso bombardamento di
preparazione, seguito dall’assalto alle difese germaniche.
Contemporaneamente la 45^ divisione US attaccava lungo
la ferrovia Anzio-Campoleone e la strada Anzio-Carano.
Le unità tedesche comprendevano il 1° Corpo parà del
generale Schlemm, la 3^ divisione P.G. e la 4^ divisione
parà, affiancati dal reggimento italiano Folgore
(ridottissimo) schierato sui battaglioni Folgore, Nembo e
Azzurro. L’Operation Hippo convinse i tedeschi che il
tentativo di sfondare la testa di ponte sarebbe passato per
la zona di Aprilia, e quando si accorsero, invece, che
l’attacco principale era su Cisterna, ormai non esistevano
possibilità di rafforzare quella difesa.
L'attacco su Cisterna iniziò, invece, 24 ore dopo, alle 5.45
del 23 maggio, quando le batterie schierate fra Spaccasassi
Medaglia d’Oro - Il quadro di sfondo: Anzio, Littoria, Cisterna, Aprilia Anno I n° 1
Campo della Croce Rossa ad Anzio
41
e canale Mussolini, circa 500 cannoni, aprirono, come già
facevano da alcuni giorni, il solito terribile fuoco di
artiglieria. Per 40 minuti piovvero sulle posizioni tedesche
migliaia di proiettili. Alle 6.25 iniziò la seconda fase, col
martellamento aereo affidato a 60 bombardieri del 12°
Tactical Air Command. Verso le 8.30 gli aerei allargarono
il loro raggio di azione a Sezze, he colpirono facendo
strage nella piazza antistante la chiesa di S. Andrea, dove
era in corso il mercato degli ortaggi. Morirono 94 persone
e altre 116 rimasero ferite. Nelle stesse ore anche Priverno
fu bombardata, accusando una trentina di morti.
Alle 6.30 gli americani iniziavano l'attacco da terra con la
3^ divisione fanteria, la 1^ divisione corazzata e la 45^
divisione. La difesa germanica era affidata al LXXVI
Panzercorps (generale Herr), che comprendeva due
divisioni: la 362^ di fanteria (generale Heinz Greiner) a
ovest, e la 715^ di fanteria (generale Hans-Georg
Hildebrandt), sostenuta da un reggimento corazzato, a est.
Mentre quest'ultima si spingeva fino a coprire il settore più
orientale (quello di canale Mussolini, che gli alleati avevano
affidato alla 1^ S.S.F.), nel settore occidentale, di seguito
alla 362^ operava la 3^ divisione Panzergrenadier. Il
sistema difensivo germanico era ben organizzato: la città
aveva la propria linea di difesa organizzata su plotoni di
fanteria costituiti “a caposaldo” con 4-8 mitragliatrici. Ogni
caposaldo faceva sistema con quello vicino, in modo da
creare una forte linea di sbarramento. A 500-800 metri alle
spalle di questa prima linea erano di riserva i primi rincalzi.
La prima giornata di battaglia si concluse con risultati
positivi per gli alleati, anche se con dure perdite. Alle 5.30
del 24 maggio, secondo giorno di battaglia, la l^ divisione
corazzata americana riprese l'attacco a ovest di Cisterna,
ma solo alle 14 si riuscì a superare la strada Appia,
tagliando in tal modo i collegamenti fra Cisterna e i Colli
Albani. Sulla spinta gli americani fecero avanzare un
Medaglia d’Oro - Il quadro di sfondo: Anzio, Littoria, Cisterna, ApriliaAnno I n° 1
42
battaglione di carri armati leggeri, in direzione di
Torrecchia, per minacciare direttamente Giulianello. A sera
Torrecchia era in mano alleata. Analogo risultato si riuscì
ad ottenere entro la sera nella zona di Le Castella, a circa
3 Km. a ovest di Cisterna: l'abitato fu raggiunto e superato
da un battaglione che si spinse fino a circa 6 Km. da
Velletri. A quel punto la linea di sbarramento della 362^
divisione germanica era spezzata in due e Cisterna isolata
da Roma. A est, intanto, la 1^ S.S.F. si spingeva in
direzione di Cori.
La giornata del 25 maggio, si apriva con l’attacco portato
poco prima dell'alba, dalla 3^ divisione (colonnello Everett
W. Duvall) direttamente su Cisterna, attraverso le strade
ingombre di macerie, nidi di mitragliatrici, franchi tiratori.
“Era evidente - scrisse Vaughan-Thomas che seguì la
battaglia per la BBC - che non c'era altro da fare che
impadronirsi di un mucchio di macerie dopo l'altro, di una
cantina dopo l'altra e accettare le perdite inevitabili nei
combattimenti per le strade. Per rastrellare l'abitato di
Cisterna occorsero due giorni. Gli americani gettavano
bombe a mano nelle inferriate delle cantine e poi entravano
nell'oscurità puzzolente dove armi automatiche erano forse
in agguato per falciarli, puntate sul rettangolo di luce che
segnava l’entrata della cantina. Così avanzarono
combattendo lentamente fino al centro della città, sinché
non raggiunsero il mucchio di macerie che segnava il
palazzo della piazza principale [palazzo Caetani].
Duecento uomini della guarnigione tedesca uscirono
strascinando i piedi dai nascondigli, con le mani in alto e
coperti dalla polvere delle mura crollate. Quando
scendemmo nella grande cantina sotto il palazzo dove i
tedeschi si erano riparati durante il bombardamento, vi
trovammo un mucchio puzzolente di morti e feriti, coperti di
sporcizia e di vestiti sudici”.
L'avvicinamento a palazzo Caetani era stato lunghissimo:
poche centinaia di metri di centro urbano furono percorse
in molte ore e con grande impiego di mezzi. “I tedeschi
avevano preparato l'estrema resistenza in quello che
apparentemente era stato il Municipio, circondandolo di
mine anticarro e guarnendone tutti gli accessi con
mitragliatrici protette da piazzole di macerie. A ovest, un
cannone anticarro ben appostato controllava l'ingresso del
cortile interno”. In realtà, non fu il Municipio l'estremo
baluardo della guarnigione tedesca, ma il cinquecentesco
palazzo Caetani. Contro di esso si svolse un vero e proprio
assedio che durò fino al tardo pomeriggio del 25 maggio.
Era il crepuscolo quando le pattuglie americane snidarono
dai sotterranei gli ultimi tedeschi, compreso il comandante
del 955° reggimento, il colonnello Annacker. “Fu un
momento di gioia e di euforia - commentarono gli alleati -.
I GI della 3^ divisione trovarono delle bici, le inforcarono e
cominciarono a correre per le strade del paese piene di
rovine; colsero fiori e li attaccarono agli elmetti, mentre i
prigionieri li guardavano stupiti. Tutto attorno c'erano
veicoli ed equipaggiamenti distrutti, rovinati,
abbandonati... I soli abitanti di Cisterna ora erano i
prigionieri e pochi gatti mezzi morti di fame”.
Con la caduta di Cisterna si chiudevano praticamente
quattro mesi di battaglia per la testa di ponte e si
concludeva il “lungo assedio”.
Contemporaneamente si svolgeva senza altri ostacoli la
risalita da Sud del II Corpo, che, superata Fondi, imboccò
due direzioni: quella interna, attraverso i monti Ausoni; e
quella che passava attraverso l'Agro Pontino. Il 23 maggio
viene raggiunta Roccasecca dei Volsci, il 24 Priverno e
Sonnino. La direttrice di pianura fu battuta, invece, con
maggiore cautela. Il 24 maggio alle 10 le retroguardie
tedesche abbandonavano Terracina dopo una battaglia
notturna combattuta anche nel cimitero. Alle 11 una
pattuglia americana del 91° esploratori raggiungeva San
Felice Circeo e poco dopo Sabaudia. La stessa sera del 24
maggio unità del VI Corpo provenienti dalla litoranea si
spinsero in ricognizione per contattare il II Corpo che
avanzava da Terracina: l’incontro tra le due pattuglie
avvenne alle ore 7.31 del 25 maggio, a Borgo Grappa. Il
collegamento fra i due Corpi segnava la saldatura fra il
fronte di Anzio e quello del Sud.
Il 25 maggio, alle ore 7 del mattino, anche Pontinia veniva
raggiunta dagli americani. In quello stesso giorno altri
reparti americani completavano l'occupazione dei borghi e
delle località costiere, spingendosi fino al lido di Littoria. Da
qui iniziarono a risalire verso l'interno, puntando sulla città.
Medaglia d’Oro - Il quadro di sfondo: Anzio, Littoria, Cisterna, Aprilia Anno I n° 1
Il primo carro armato entrò a Littoria alle 14.30,
proveniente da Fogliano-Borgo Isonzo.
Le truppe americane che avevano seguito il percorso
interno, la sera del 25 maggio si erano fermate a Sezze
Scalo, ma preferirono attendere il giorno seguente, quando,
verso le 8, i carri armati raggiunsero il paese e
proseguirono per Bassiano, dove giunsero attorno alle 10.
La 1^ S.S.F., si era, intanto, diretta verso la collina,
scalando monte Arrestino, a est di Cori, e isolando il centro
lepino, verso il quale si stava dirigendo il 3° battaglione del
15° reggimento, che aveva aggirato Cisterna da est e che
raggiunse Cori a valle la sera del 25 maggio: anche qui gli
americani lasciarono trascorrere la notte prima di entrare in
paese. Era una prudenza motivata, giacché un reggimento
della 92^ divisione tedesca era stato inviato nella notte del
24 maggio lungo la strada Giulianello-Cori. Fu proprio su
questa strada che, nottetempo, esso incrociò le unità della
715^ divisione tedesca che lasciavano Cisterna per non
essere tagliate fuori dall'avanzata americana. La
Giulianello-Cori è una strada stretta e tortuosa, per cui
quando i reparti tedeschi della 92^ e della 715^ divisioni
si incrociarono da direzioni opposte ne nacque un
inestricabile groviglio di mezzi. I ricognitori del XII Corpo
Aereo Tattico alleato che seguivano le operazioni, si resero
conto di quanto accadeva e pilotarono sul posto i caccia-
bombardieri. Fu un vero e proprio tiro al bersaglio, che si
risolse con la perdita da parte tedesca di centinaia di mezzi
e con un massacro di uomini.
Il 26 maggio anche Roccamassima venne raggiunta da un
battaglione del 30° reggimento di fanteria americana, che
catturò l'intera guarnigione tedesca, composta da una
compagnia di fanteria. Il 27 maggio i centri di Maenza e
Roccagorga furono cannoneggiati a lungo e il 28 maggio,
giorno del patrono di Maenza, S. Eleuterio, i goumiers
coloniali si avviarono verso la montagna lepina, superando
Pisterzo, Prossedi e allargandosi verso Maenza, Monte
Calvello, Monte Acuto, Selvapiana, dove si erano rifugiati
circa tremila civili. La fama delle truppe coloniali era già
terribilmente nota. Maenza veniva a trovarsi al confine di
quella “linea rossa” che separava il Corpo di spedizione
Medaglia d’Oro - Il quadro di sfondo: Anzio, Littoria, Cisterna, ApriliaAnno I n° 1
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Soldati tedeschi
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marocchino dalla 88^ divisione US: alcuni ufficiali alleati
radunano le donne in un unico luogo, che venne affidato
alla sorveglianza di un plotone di truppe coloniali sotto il
comando di sottufficiali francesi. E furono salve.
Sempre il 27 maggio, il 15° reggimento di fanteria
americana raggiungeva Artena. Quello stesso giorno
riprendeva movimento il fronte nella zona di Aprilia. Alle
10 le divisioni 35^ e 45^ attaccarono in direzione di
Aprilia, Campoleone e Lanuvio, raggiungendo Carano il 28
maggio. Nello stesso giorno alcune pattuglie di Gordon
Highlanders entrarono in Aprilia senza colpo ferire.
La lunga attesa era ripagata da un susseguirsi di rapidi
avanzamenti. Il 29 maggio la l^ divisione corazzata di
Harmon rilevava la 45^ divisione US e alle 15.30
raggiungeva la stazione di Campoleone, per tanti mesi
imprendibile obiettivo. La tortuosa strada per Albano si
apriva agli attaccanti che entravano in contatto con la
ormai inutile Linea Cesar.
Azioni partigiane
I1 riflusso delle truppe germaniche dalla collina non era
avvenuto tranquillamente. Al naturale nervosismo suscitato
dagli avvenimenti si accompagnava qualche iniziativa da
parte di piccoli gruppi resistenziali. All'alba del 24 maggio
il gruppo Roncuzzi era sceso verso il vallone tra Bassiano e
Norma per tentare di far saltare il ponte Pio IX, a qualche
centinaio di metri di distanza dall'Abbazia di Valvisciolo,
che fino allora i tedeschi avevano utilizzato come ospedale
militare. La piccola pattuglia era formata da Italo e
Giuseppe Ficacci, dal giovane Nullo Cicognani,
dall'ingegnere Piazza e da due russi, un ingegnere e un
contadino, che da qualche mese dividevano con gli altri la
vita di montagna. Erano proprio i due russi a trasportare a
spalla l'esplosivo fatto filtrare attraverso le linee dai
comandi partigiani dei colli Albani. Qualche giorno prima
il gruppo aveva cercato di far saltare un ponte sulla
Carpinetana, ma aveva dovuto rinunciarvi.
La zona era battuta dalle truppe tedesche che andavano
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Medaglia d’Oro - Il quadro di sfondo: Anzio, Littoria, Cisterna, Aprilia Anno I n° 1
Civili tra le macerie
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ripiegando verso Velletri-Artena-Valmontone. Giunto
all'altezza dell'abbeveratoio lungo la provinciale di
Bassiano, il gruppo Roncuzzi si arrestò fra gli alberi,
trattenuto dall'improvviso rumore di un blindato tedesco. Gli
uomini decisero di intercettare il mezzo militare e dal
boschetto spararono i primi colpi. L'equipaggio
dell'autoblinda reagì al fuoco con la propria mitragliera,
proseguendo la corsa. L'episodio si esaurì a quel punto per
il sopraggiungere di altri mezzi tedeschi (18).
Quello stesso 24 maggio, ma stavolta nelle primissime ore
del pomeriggio, un gruppo inquadrato nel Corpo Volontari
della Libertà come Formazione Monti Lepini, e formato da
Giulio Giovannoli, Gilberto e Biagio Marchioni, Candido
Zaccheo, Bruno Piazza, Renato Bertollini, Mario
Manciocchi, Glicerio Rossi e altri decise di attaccare un
distaccamento tedesco che si era accampato nel vivaio della
Forestale, sotto Sermoneta, fra la stazione ferroviaria e
Piedimonte. Gli uomini erano armati di mitra, fucili, bombe
a mano e pistole.
Dopo avere accerchiato il distaccamento, richiamarono
l'attenzione dei militari, facendoli uscire allo scoperto, e a
quel punto aprirono il fuoco. Nello scontro, durato circa
dieci minuti, morirono un soldato tedesco e Biagio
Marchioni (al quale fu poi intestata la lunga scalinata posta
sulla sinistra di chi entra a Sermoneta); Candido Zaccheo fu
leggermente ferito, tre tedeschi furono fatti prigionieri e gli
altri fuggirono attraverso gli oliveti, in direzione di Latina
Scalo.
Il giorno dopo Candido Zaccheo (che poi, su segnalazione
americana, fu promosso maresciallo per meriti di guerra),
Glicerio Rossi, Antonio Ceccarini, detto Tonino, e altri
guidarono una colonna di autoblindo americane nei pressi
dell'Abbazia di Valvisciolo per snidare i tedeschi che si
erano nascosti nell'edificio e nella retrostante montagnola.
Il cannoneggiamento fu intenso e durò a lungo. I tedeschi
furono snidati e ne furono fatti prigionieri 105. Rimasero
uccisi un ufficiale americano e tre soldati tedeschi.
Sermoneta venne presa subito dopo dagli americani.
Medaglia d’Oro - Il quadro di sfondo: Anzio, Littoria, Cisterna, ApriliaAnno I n° 1
Giovane donna con bambini sfollati
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Dopo la guerra
Il dopoguerra ebbe due strascichi negativi: una forte
recrudescenza della malaria e l’allagamento di 10-11 mila
ettari di agro pontino. Il ritorno delle febbri fu notevole in
tutta la provincia, ed ebbe picchi anche al di fuori delle aree
un tempo paludose, come Formia, Gaeta e Minturno.
Secondo una relazione del 12 giugno 1950 dall'ingegner
Pietro Ballerini, presidente della Camera di Commercio, in
occasione dell'insediamento della Consulta economica
provinciale, la malaria aveva colpito addirittura il 95 per
cento della popolazione.
I danni non sono mai stati quantificati in maniera definitiva.
Diverse fonti, tuttavia, illuminano su alcuni valori. Una carta
dell'Opera nazionale Combattenti parla di 5966 ettari
minati nell'area di bonifica, di 299 poderi distrutti, 507
fortemente danneggiati e 954 danneggiati. La relazione
dell'ingegner Ballerini, fornisce questo consuntivo generale:
10.468 ettari di superficie allagata per due anni (1944-
45), 12.259 ettari di terreno minato e improduttivo per tre
anni, 4.205 vani colonici totalmente distrutti e più di 8.000
danneggiati; 71 mila metri cubi di stalle e magazzini
distrutti e circa 100 mila danneggiati; il 50 per cento dei
macchinari agricoli o di mezzi di trazione distrutti. Oltre
6.500 ettari di superficie boschiva vennero distrutti o
danneggiati, e l'agricoltura accusò anche la perdita totale
di 8,5 milioni di viti e quella parziale di altri 4 milioni; 220
mila olivi perduti e 150 mila danneggiati, 600 mila
alberature diverse distrutte o danneggiate. E ancora, con
riferimento alle scorte vive perdute: 47.491 bovini, l'83,4%
del patrimonio anteguerra; 6495 equini, 59.303 ovini,
11.000 suini.
Nel campo delle opere pubbliche e di bonifica, fu messo
fuori uso il 50% degli impianti idrovori e andarono distrutti
o furono gravemente danneggiati 30 ponti in cemento
armato. In complesso, infine, la Relazione Ballerini dava
59.052 vani civili distrutti o inabitabili in 16 dei Comuni che
avevano maggiormente patìto la presenza della guerra.
(*) Questo saggio deriva per larga parte da quanto è
raccontato nei libri I giorni della guerra in provincia di
Littoria, Cipes, Latina 1974, ried. nel 1984; e Cronache da
due fronti, Meganetwork, Latina 2004.
Medaglia d’Oro - Il quadro di sfondo: Anzio, Littoria, Cisterna, Aprilia Anno I n° 1
Donne e bambini sfollati
47
di LUIGI ZACCHEO
e operazioni di guerra nei lunghi mesi dal gennaio
al maggio 1944 interessarono quasi tutti i centri
antichi dei Monti Lepini, con massicci
bombardamenti e cannoneggiamenti degli Alleati e con la
dura repressione degli occupanti tedeschi. Finita la guerra,
le popolazioni hanno cercato in tutti i modi di dimenticare
le sofferenze, le morti, le violenze subite, mettendo ogni
energia per ricominciare una nuova vita di lavoro e di
pace. Dopo molti anni dalla fine della Seconda Guerra
Mondiale si è registrata una importante fioritura di studi e
di ricerche su questo tragico periodo.
Nel 1974 abbiamo la pubblicazione del primo importante
libro “I giorni della guerra in provincia di Littoria. Luglio
19473 – maggio 1944” scritto in modo eccellente da Pier
Giacomo Sottoriva. Sono narrate in forma chiara le
operazioni belliche avvenute nei centri lepini e soprattutto
sono ascoltati numerosi testimoni degli eventi bellici. Lo
stesso Sottoriva nel 1994 ha pubblicato il bel volume
“1943-1944 tra la Gustav e l’Agro pontino. Immagini di
una guerra”, nel quale vengono narrate le più importanti
azioni belliche avvenute nella zona, corredate da efficaci e
rare fotografie, che da sole trasmettono tutto il senso del
dolore e della tragedia.
Nel 1975 la Regione Lazio ha pubblicato una serie di
volumi “Quaderni della Resistenza Laziale”, per ricordare il
30° anniversario della Liberazione dall’occupazione
nazista. Il sesto volume, curato da Linda La Penna, ha per
titolo “La provincia di Latina dal 1940 al 1945”. Il libro,
ben fatto e ricco di notizie, utilizza soprattutto i documenti
del tempo conservati presso la Prefettura di Latina.
Interessante è il piccolo volume di Giuseppe Intersimone
“Cattolici nella Resistenza Romana” del 1976, in quanto in
modo occasionale ha modo di parlare di cittadini lepini
impegnati in atti di resistenza ai Tedeschi, sia essa attiva che
passiva. Forte è la figura del sacerdote setino don Renato Di
Veroli attivo nell’aiutare la popolazione inerme e quella del
tenente Alfredo Roncuzzi, capo del gruppo di resistenti di
Sezze e di Bassiano.
Nel 1981 Franco Caporossi, originario di Carpineto
Romano, ha pubblicato l’importante libro “Monti Lepini
1943-1945. Occupazione, Resistenza, Liberazione”.
L’autore, ascoltati numerosi testimoni oculari, ci racconta la
guerra nei centri lepini pontini, ciociari e romani, dandoci
un grande affresco sulle operazioni dell’esercito tedesco
occupante e di quello alleato, il tutto tra le sofferenze e le
Anno I n° 1
L
Medaglia d’Oro - Il quadro di sfondo
LA GUERRA NEI CENTRI LEPINILA GUERRA NEI CENTRI LEPINI
48
Medaglia d’Oro: Il quadro di sfondo Anno I n° 1
tragedie quotidiane della povera gente.
Nel 1996 il Gruppo Culturale Roma e Lazio, a cura della
nota casa editrice Newton e Compton Editori, ha pubblicato
il corposo volume “Il Lazio in guerra 1943-1944” con gli
interessanti contributi di Luigi Zaccheo “La guerra vissuta a
Sezze”; Franco Caporossi “I giorni della liberazione sui
Monti Lepini”; Francesco Berti “Guerra nelle paludi
redente”; Francesco D’Erme “La Guerra a Sermoneta”. Gli
autori ci raccontano i terribili mesi trascorsi dalla
popolazione lepina costretta a vivere e a convivere tra due
eserciti che quotidianamente si scontravano, utilizzando
armi potenti e distruttive.
Gli alunni della scuola elementare e media di Sonnino, con
il patrocinio del Comune, nel 2002 hanno pubblicato un
libro molto importante per le numerose informazioni che
contiene “Giorni di storia… Sonnino racconta”. Il centro
storico di Sonnino ha subito violenti bombardamenti alleati:
in quello del 22 aprile 1944 morirono sotto le bombe ben
35 civili e altri nove feriti gravi dopo due giorni.
Successivamente il 17 maggio, durante la messa della
Coroncina, ci fu il secondo bombardamento seguito dal
mitragliamento con 12 persone morte. La gente non riuscì a
darsi ragione di un così pesante bombardamento (i soldati
tedeschi non erano presenti nel paese), alimentando le
congetture più strane: uno sbaglio nel bombardare i nemici
oppure un aereo colpito e costretto ad alleggerirsi del
carico di bombe. Il libro ha il pregio di raccontare le
vicende dei numerosi testimoni oculari, che riferiscono le
loro sensazioni, i loro drammi, le loro sofferenze. Siamo di
fronte ad una grande pagina di vita vissuta.
Nel 2004 il Consorzio Biblioteche Monti Lepini ha
pubblicato il libro “La Resistenza a Norma e nei Monti
Lepini” riportando integralmente gli articoli scritti per il
quotidiano Il Tempo dal comandante partigiano Tito
Gozzer, che dal Trentino era stato inviato nell’area Lepina
per facilitare l’avanzata dell’esercito alleato. Tito Gozzer ha
operato con il suo piccolo gruppo per qualche mese a
Norma e ci ha lasciato nel suo diario bellissime descrizioni
dell’area Lepina e di Norma in particolare. Una lapide
epigrafica posta nella centrale piazza della Vittoria di
Artena ricorda con orgoglio l’attiva presenza di Tito Gozzer
nei centri lepini e il fatto che il nostro sia entrato per primo
Un carro armato tedesco
49
Medaglia d’Oro: Il quadro di sfondoAnno I n° 1
con l’esercito americano a Roma attraversando Porta
Maggiore.
Norma è tra le poche cittadine lepine che non ha subito
bombardamenti, probabilmente perché essa non è
attraversata da un reticolo stradale, importante ai fini
strategico-militare. Tuttavia a Norma i soldati tedeschi
uccisero a freddo, perché ritenuto collaboratore degli
Alleati, il povero padre di famiglia Giovanni Viola. Il
parroco di Norma don Vincenzo Zaralli nell’atto di morte
del Viola scrisse con molto coraggio “Ucciso nella sua
abitazione dai Tedeschi”. Durante l’uccisione del Viola fu
ferito a morte anche Vittorio Dionigi. I due erano dipendenti
della famiglia Caetani e si erano rifugiati a Norma
ritenendo che fosse un luogo sicuro.
Interessante è il libro di Luigi Zaccheo “La Comunità ebraica
di Sezze” pubblicato dal Consorzio Biblioteche Monti Lepini
nel 1987. In esso alcuni capitoli sono dedicati alla fuga
della piccola comunità ebraica di Sezze per sfuggire al
rastrellamento e alla successiva deportazione dei Tedeschi.
Nessuno degli ebrei di Sezze (le famiglie Di Veroli,
Veneziani, Spagnoletto) grazie all’aiuto generoso di molti
setini è finito nei campi di sterminio nazista. Giustamente la
popolazione setina è ancora orgogliosa di aver salvato da
sicura morte numerosi ebrei “nati e cresciuti a Sezze”.
Nel 1995 è stato pubblicato l’importante libro di Francesco
Moroni “Per non dimenticare gli anni della guerra a Cori”.
L’autore con dovizia di particolari e con appropriata
documentazione descrive la dura vita dei Coresi durante
l’occupazione tedesca e soprattutto i terribili giorni dei
bombardamenti, quando circa 220 persone rimasero
uccise, moltissime ferite e tante altre rimaste senza casa,
senza beni e senza viveri. L’autore in modo diligente ci dà
l’elenco di tutti i Coresi rimasti uccisi durante la guerra.
Nel 1999 si è tenuto a Maenza un convegno per ricordare
i bombardamenti avvenuti sull’abitato tra il 14 e il 27
marzo del 1944, con ben sette morti, tutti civili. In quella
occasione lo storico privernate Edmondo Angelini ha
parlato dei bombardamenti subiti dalla città di Priverno il
31-1-1944 con 12 morti e il 25-5-1944 con ben 29 morti.
In altri bombardamenti ci furono altri 28 morti per un totale
complessivo di 69, di cui 32 forestieri e con 20 feriti ed
invalidi. Il centro abitato di Priverno, lungo la via Consolare
e nella zona di via Garibaldi - via Bixio ancora presenta
ferite profonde, causate dai bombardamenti alleati.
Non è cosa simpatica elencare il numero dei morti civili dei
bombardamenti nei primi mesi del ’44 anche se il numero
è considerevole, basta ricordare che nel solo
bombardamento della chiesa di S. Andrea a Sezze, ben 72
persone (per lo più donne, bambini, vecchi) rimasero sotto
le macerie.
Purtroppo con la cacciata delle truppe tedesche occupanti le
sofferenze e i dolori per la popolazione non finirono, anzi
peggiorarono. L’arrivo delle truppe amiche dei soldati
francesi e marocchini è ancora ricordato con raccapriccio
Soldati si preparano all’attacco
50
dalla popolazione lepina. Lo stupro e la violenza brutale
sulla giovane ragazza Elide Rosella di Sezze e la successiva
morte è ancora una delle pagine più tragiche della Seconda
Guerra Mondiale.
Nel 2005 è stato pubblicato il libro di Tommaso Bartoli
“Prossedi con amore… dall’antichità ad oggi”. Interessanti
sono i capitoli sulla Seconda Guerra Mondiale. Nei
sotterranei del massiccio castello di Prossedi i tedeschi
avevano in funzione alcuni forni per la panificazione del
pane, col quale rifornire le truppe di stanza a Cassino. Vi
lavoravano con alacrità personale tedesco, aiutato da
prigionieri russi e da prossedani disposti a rimediare un po’
di pane fresco per la famiglia.
Il mese di maggio 1944 rimarrà a lungo nella memoria dei
Prossedani sia per i continui bombardamenti e
cannoneggiamenti avvenuti nell’intera zona, sia per le gravi
difficoltà alimentari, sia per la nefasta presenza dei francesi
“liberatori” con al loro seguito le truppe marocchine.
Nel mese di aprile in seguito ad un bombardamento
alleato, in contrada Pantano, rimasero uccise quattro
persone (tre donne e un uomo) mentre innaffiavano un
campo di cipolle.
Per la frazione di Pisterzo abbiamo la fortuna di conoscere
le pagine del diario, curato nei dettagli, del parroco don
Carlo Ceccanese. Veniamo a sapere della morte di tre
persone in momenti e situazioni diverse, ma soprattutto il
diligente parroco riporta le malefatte delle truppe di colore
marocchine. “Notte 29 – maggio, si presentano in paese
(Pisterzo) alcuni francesi e marocchini. Col pretesto di
scovare i tedeschi nascosti, entrarono in più di qualche
casa, ma il loro scopo era di sfogare le sozze voglie perché
ben sapevano che i tedeschi non ve ne era nessuno.
Lo stupro… le altre due figlie si attardarono un poco ed una
riuscì a fuggire dalla parte dell’orto, ma l’altra fu presa,
disonorata, malmenata da tutte quelle bestie e lasciata a
terra con la faccia e il corpo tutto contuso e col cuore
spossato e ridotta in uno stato da non sembrare una faccia
umana. Io al mattino fui chiamato per amministrargli i SS.
Sacramenti, ma potetti darle solo l’Olio Santo perché
appena respirava e non poteva in alcun modo rispondere…
Arrivò un capitano con soldati americani che presero subito
il servizio di sorveglianza, mandano via i 16 soldati
francesi che, mentre erano venuti per difenderci dai
marocchini, tenevano loro mano perché a prima sera,
soldati marocchini scassarono tre case e chissà che cosa
avrebbero fatto nella notte. La venuta degli americani
provocò un grido di gioia e di gratitudine alla Madonna e
a S. Michele. Moltissimi andarono a dormire alle loro case
e tornò la calma. Dio sia ringraziato!”
I sodati marocchini fecero violenza sugli uomini, sulle donne
di tutte le età, sugli animali; il loro sfrenato desiderio di
sesso a distanza di anni ancora viene ricordato con orrore
dalla popolazione del Lazio Meridionale.
50
Medaglia d’Oro - Il quadro di sfondo Anno I n° 1
Soldati tedeschi trasportano un ferito
51
di ALDO LISETTI
aggio 1944: gli abitanti e gli sfollati sui Monti
Aurunci incominciarono ad uscire dai
nascondigli per andare incontro ai liberatori,
incrociando qualche tedesco in fuga che atterrito gridava:
Sono neri. Tanti neri! Al momento non compresero, storditi
da azioni di fuoco da ogni parte. Dopo ore di
combattimenti e di scontri tra i contrapposti eserciti
belligeranti, le truppe del Corpo di Spedizione Francese
(C.F.S.) avevano avuto la meglio e i poveri, indifesi, denutriti
fuggiaschi dei paesi aurunci pensarono che era finalmente
giunta la tregua, la pace. Ma marocchini, algerini e tunisini,
nell’esaltazione delle battaglie vinte, ubriachi di bestialità,
consumarono azioni violente ed inumane nei confronti delle
donne e dei bambini. Nelle case e nelle capanne presero e
trascinarono via soprattutto le più giovani oppure le
violentarono sul posto in presenza degli stessi familiari:
genitori, mariti, figli.
Le esecuzioni degli atti di violenza – si legge in una
relazione ufficiale del dopoguerra – quasi sempre si
svolgevano di giorno ma più particolarmente all’imbrunire
(quando) numerosi gruppi di soldati marocchini, ciascuno
dai tre agli otto uomini, si spargevano in tutto il territorio del
paese e con la scusa di dover cercare i tedeschi nascosti,
frugavano tutti i luoghi abitati. La ricerca non era
preordinata, ogni gruppo si dirigeva a caso, talché lo stesso
abitato, lo stesso pagliaio, nello stesso giorno, aveva
cinque, dieci, fino a quindici violazioni operate da
altrettanti gruppi diversi. Il totale di queste violazioni per
taluni casolari di più facile accesso ha superato il centinaio.
Agli uomini, sotto la minaccia delle armi, veniva intimato di
uscire, mentre altri all’interno violentavamo le donne e
portavano via tutto. A volte non finivano di andare via che
ecco si presentava un altro gruppo che si comportava come
i precedenti. (...) Era il loro un feroce istinto di distruzione
perché spesso le cose asportate venivano trovate distrutte a
poche centinaia di metri dal luogo di sottrazione.
Sulle pendici del Faggeto, in località Ramontana, una
madre, che chiamo Maria per convenienza, tentò in ogni
modo di opporsi ad alcuni militari che trascinavano la
M
BOTTINO DI GUERRABOTTINO DI GUERRA
Medaglia d’Oro - Il quadro di sfondoAnno I n° 1
52
Medaglia d’Oro - Il quadro di sfondo Anno I n° 1
giovane figlia. Li aggredì, tentò di colpirli, di graffiarli, alla
fine respinta e gettata a terra, li insultò, li maledisse finché
uno di essi le sparò un colpo di fucile alla gola uccidendola.
Un’altra tragedia fu vissuta da Titina (nome di opportunità),
una bella ragazza formiana di 25 anni, rifugiatasi tra i
monti Aurunci. Denudata e legata ad un albero dovette
subire le più nefande bassezze che la lussuria possa
immaginare. La giovane non smise un attimo, pur essendo
legata, di dimenarsi, di urlare, di piangere, implorare. Sul
suo corpo straziato il segno delle corde lasciarono strisce e
solchi di sangue. I suoi occhi spenti di dolore smisero anche
di piangere. Fu a questo punto che un soldato la sventrò con
una baionetta.
Altre terribile violenza si apprendono da testimonianze e
relazioni raccolte da vari autori sulla memoria degli stupri
nel corso dell’avanzata del Corpo di Spedizione Francese
sui monti dopo lo ronfamento della linea Gustav.
Le truppe coloniali provenienti da Castelforte e da Esperia
scesero dalle alture verso Campodimele, Lenola, Pastena,
Pico, lungo la valle che conduce da Gaeta a Ceprano, oggi
unita da una strada statale. Fecero violenze e stupri di
massa, alcune donne vennero uccise. Ricordo una bella
donna di Lenola - racconta una intervistata che allora aveva
tredici anni – era fidanzata e u fidanzatu era partitu a fa u
militare; bhè chella non se vuleva sta, la mettinnu a zampe
all’aria e culla baionetta a squarciannu (da Guerra Totale di
Gabriella Gribaudi).
Io avevo undici anni – ha raccontato un’altra vittima cui non
diamo nome – mi presero sotto i miei genitori. Mia madre
aveva un altro bambino piccolo che ci dava il latte e aveva
un’altra sorella sotto i vestiti per non la fare prendere.
Allora mi presero a me la prima volta…… mamma e papà
li cacciarono, a me fecero rimaner dentro…… però io
piangevo e allora papà piangeva appresso a me ……. A
papà li abbiarono ‘na bottiglia appresso, n’ato poco o
accedevano. Poi mi misero il fucile vicino a me, le botte, le
mazzate….. mi menavano, mi hanno fatto del male,
tutto……Dopo scesa dalla casetta, tutta piangente non
potevo neanche camminare, per come mi avevano
rovinata….. Ecco che vennero gli altri, mi presero, l’ c’era
il grano alto, era notte mi portarono in mezzo al grano,
erano cinque o sei, mi trascinarono come una cosa……
Dopo aver fatto i fatti loro mi lasciarono lì in mezzo. Mio
padre piangendo andava cercando la figlia: andò stai ? e
io, piangendo, chiamavo: papà, mamma, tutti quanti…..
Era notte, era buio, non ci vedevo affatto…. Non potevo
nemmeno camminare per come mi avevano rovinata... Così
papà venne a prendermi in mezzo al campo di grano,
L’Artiglieria Francese batte i tedeschi in ritirata
piagnenne… mi misero dentro una capanna di fieno,
perché erano venuti un’altra volta pe’ me pijà, però non mi
trovanno affatto. Quella buona anima di mio fratello
Pasquale e papà, mi presero, mi misero n’cionciu ( in
spalla), mi portarono mezzu na vallata di pietre in modo
che là non potevano venire….. Dopo che fu fatto giorno mio
padre e mio fratello mi portarono sulla Madonna del Colle
e chiedemmo un’ostetrica e mi visitò e mi disse: figlia mia ti
hanno rovinata! N’saccio come sei viva…. Dopo un anno
andai girando per l’ospedali, perché mi avevano infettato il
sangue…. Sono stata al San Camillo di Roma, a parecchi
ospedali…. Ho dovuto subire a parecchi interventi” (da
Guerra totale della citata Gribaudi).
Solo poche donne riuscirono a sfuggire alle violenze, come
racconta Ilda Paduano in una lettera a me diretta a
proposito della manifestazione commemorativa del 3
settembre 2003, innanzi al monumento dei Caduti di
Campodimele: Per un momento mi sono lasciata prendere
dai ricordi, sono tornata bambina ed all’improvviso tutto è
riaffiorato alla mia mente. Ho ricordato mio padre che mi
stringeva forte prima di lasciare me e la mia famiglia per
andare in guerra. Quando ho udito questa parola terribile
nel suo significato che non va mai dimenticata, perché i
giovani sappiano i sacrifici fatti dai nonni e soprattutto
perché non si ripeta più, ho rivisto il suo volto triste (…)
Quel tempo così lontano eppure così presente. In pochi
attimi ho rivissuto la mia vita sconvolta da eventi che
modificarono la mia giovane età. Per la grave situazione
che affrontavo in quei momenti, turbata psicologicamente,
correndo su per le montagne, capeggiata da una francese
che decise di salvare me ed il mio gruppo di sole donne
dalla malvagità dei marocchini che più tardi devastarono il
mio paese compiendo atti atroci verso tutte le donne. Infatti
quando tornai in paese vidi donne distrutte dalla fame e
dalla dura realtà, ma nei loro sguardi leggevo il dolore, lo
sconforto, e la rabbia di chi non era riuscito a salvarsi da
quei maledetti mostri.
Purtroppo la maggioranza delle donne presenti sul territorio
aurunco non sfuggì all’orda barbarica, non ebbe alcuna
protezione. Una ragazza di diciannove anni, abitante nella
valle fondana, fu seviziata a lungo da tre marocchini che le
trasmisero una grave malattia e dovette curarsi per molti
anni: annessite – attestò un certificato medico del tempo –
di presumibile natura gonococcica, da allegata violenza
carnale e stato nevrotico consecutivo.. Un’altra giovinetta
morì per le conseguenze di una malattia venerea contratta
attraverso lo stupro. In paese si racconta anche di una
giovane che fu torturata nel corso di oltre cento rapporti
sessuali violenti, subiti in più giorni, durante i quali fu tenuta
segregata in una casa colonica.
53
Medaglia d’Oro - Il quadro di sfondoAnno I n° 1
Illustrazione raffigurante i Goumiers marocchini
54
Medaglia d’Oro - Il quadro di sfondo
Molte altre donne subirono la vile e turpe aggressione dei
liberatori, anche quelle che si rifugiarono in chiese. In
alcuni luoghi ne furono radunate anche venti – trenta. A
qualcuna costò caro fare resistenza perché – ha raccontato
una madre – quando mia figlia si ribellò, un soldato
estrasse un coltello e la colpì tre volte: vicino l’occhio, al
seno e nel basso ventre.
Il medico condotto Oreste Liguori, che curava i malati di
Lenola e Campodimele, in un rapporto al Medico
Provinciale in data 5 Luglio 1944, scrisse: Nella terza
decade di maggio decorso con l’arrivo della truppa di
colore del corpo di spedizione francese, si verificarono
alcune centinaia di casi di violenza carnale a danno di
persone appartenenti ad ambo i sessi ed a diverse età. Non
è possibile stabilire con esattezza il numero poiché solo un
centinaio si è presentato alla visita….. E’ pertanto urgente
che si provveda all’invio a questo comune di preparati
disponibili per la cura delle malattie veneree e sifilitiche.
Furono circa duemila, alla fine, i casi documentati di
violenza; ma presuntivamente in tutti i paesi aurunci i casi
furono circa dieci mila.
Anche il Presidente del Consiglio dei Ministri, Pietro
Badoglio, inviò il 24 Maggio 1944 alla Commissione
Alleata di Controllo una lettera di immediate proteste“
contro le violenze delle truppe alleate. Fece seguito il nuovo
Presidente, Ivanoe Bonomi, con altre due lettere datate 1
luglio ed 8 agosto dello stesso anno per il riprodursi di fatti
deplorati con scoraggiante uniformità di frequenza e di
circostanza.
La Regia Questura di Littoria trasmise al Comando
Generale Alleato, il 10 agosto 1944 un Rapporto circa i
delitti perpetrati da soldati delle truppe marocchine in
danno della popolazione della provincia di Littoria.
Da questi documenti si rileva che le truppe di colore non si
limitarono a violentare le donne ed a volte gli uomini ma
derubavano le loro vittime. Ne troviamo conferma nella
stessa relazione della Questura, nella quale al numero 241
dell’elenco degli episodi di violenza viene citata una donna
di 38 anni, madre di quattro figli, avvicinata da due soldati
di colore che dopo averle offerto denaro e cibarie allo
scopo di unirsi a lei carnalmente, al rifiuto della donna che
si dette alla fuga, ne individuarono la casa in contrada
Pisciarello di Roccagorga e “ alle ore 24 dello stesso giorno
sette marocchini armati di fucili si presentarono
nell’abitazione della stessa e dopo aver messo alla porta il
marito, il fratello (…) incominciarono a rovistare ogni cosa
e dopo essersi impossessati della somma di lire 9.700 in
biglietti di banca di vario taglio, di un orologio di tasca
Anno I n° 1
Soldati algerini tra le rovine di una chiesa
55
Omega di metallo, di una catenina e di due medagliette
d’argento, di due materassai di piuma, di otto lenzuola di
canapa e di altri effetti di biancheria e di vestiario per un
valore complessivo di 40.000 lire, alla presenza della
madre e dei quattro figlioli la violentavano in modo crudele,
tanto da farla riparare i ospedale di Priverno ove tuttora
trovasi in cura. Per lo spavento la madre della (cognome e
nome) decedeva il 18 giugno ultimo scorso.
Il Questore in prima persona così concludeva il suo
rapporto: Faccio presente a codesto Comando che il
numero delle denunzie presentate da persone che ebbero a
subire atti di violenza da parte delle truppe marocchine
specialmente per quanto riguarda i comuni di Lenola e
Campodimele, non rappresentano neppure il terzo di quello
reale, perché per questione di onore la maggioranza s è
astenuta dal produrre denunzie del caso.
Alle proteste ufficiali che da più parti giungevano agli Alti
Comandi Francesi spesso veniva data la laconica risposta:
C’est la guerre!
Senza dubbio era una fase della guerra che vedeva le
truppe anglo-americane contro quelle tedesche; ma perché
il prezzo più alto ed umiliante doveva pagarlo una
popolazione neutrale ed inerme costituito soprattutto da
donne e bambini denutriti e terrorizzate? Furono stupri
spesso definiti marocchinate facendoli apparire, anche per
assonanza, birichinate dei marocchini. Di fatto furono
delitti, assassini, atti di una crudeltà efferata che non hanno
alcuna giustificazione anche se fossero state commessi nei
confronti di un popolo nemico – e gli italiani non lo erano
– per un preteso diritto di preda. Essi sono terribili atrocità
che devono costituire monito per le future generazioni. Non
possono e non devono essere dimenticate.
Le donne sopravvissute hanno condotto la loro esistenza
con grande dignità e non possono che essere considerate
martiri di una guerra truce e crudele e, quindi, rispettate
come Sante nel silenzio dei ricordi di chi ne fu testimone
oltre sessanta anni addietro.
Medaglia d’Oro - Il quadro di sfondoAnno I n° 1
Soldato algerino
56
di VINCENZO TESTA
aria” ha la pelle scavata dal trascorrere
del tempo, le rughe disegnano sul suo
volto una serie di linee armoniche che non
lasciano intravedere minimamente il viso di quella che,
sessant’anni fa, è stata una giovane e bella donna degli
Aurunci o degli Ausoni o, ancora dei Lepini. La sua sorte è
stata analoga a quella che ha toccato, in maniera
incancellabile, anche “le altre” come lei, tutte oggetto di un
destino crudele e violento. Un destino che ha segnato la sua
esistenza in maniera profonda. Di tanto in tanto quel
dramma subito ritorna ad occupare i pensieri mentre la
mente scoppia immersa in una ridda di urla disumane e i
muscoli delle braccia e delle gambe si irrigidiscono.
La brutalità e la violenza di quegli uomini che, fino a
qualche minuto prima aveva creduto amici, si scaglia su di
Lei (Maria); il sorriso beffardo, la voce potente e un intreccio
di mani che si aggrovigliano tutt’intorno al corpo, sembrano
volerla soffocare. Oppone resistenza Maria, altrettanto
fanno “le altre”. Il corpo a corpo è inizialmente violento poi
la resistenza viene vinta da chi, non solo più forte ma,
sostenuto da altri, compie la più turpe e la più disonorevole
delle azioni. Una violenza orrenda; una forza animalesca
si scaglia sul corpo di “Maria” e su quello delle “altre” e
trova la sua lucida realizzazione in gesti assurdi e indegni
della razza umana.
Proprio a “Maria e alle altre”, a distanza di tanti anni, è
stato eretto un monumento nella piazza principale
dell’antico centro storico di Campodimele. Là in quella
piazza dove si concentra la vita della comunità più longeva
d’Italia e ogni cosa evoca una storia; in quella piazza cuore
pulsante della comunità e luogo principe dal quale si
dipanano le strade e le viuzze che fanno di Campodimele
una delle “bomboniere” degli Aurunci, la Provincia di
Latina, ha iniziato il suo percorso celebrativo della
Medaglia d’Oro al Merito Civile. Un riconoscimento che gli
Medaglia d’Oro - Eventi: A Maria, alle altre Anno I n° 1
“M
TRIBUTO A MARIA E ALLE ALTRETRIBUTO A MARIA E ALLE ALTRE
5757
abitanti della Provincia di Latina hanno conquistato sul
campo nel corso della eroica resistenza civile alla violenza
e alla barbarie della seconda guerra mondiale e che il
Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ha voluto
consegnare direttamente nel corso di una suggestiva
cerimonia tenutasi nel cortile d’onore del Quirinale lo
scorso 25 aprile. Il monumento che porta il nome di
“Maria” ed è dedicato a tutte le donne degli Aurunci degli
Ausoni e dei Lepini che hanno subito la violenza da parte
di uomini animati da istinti bestiali ora ricorda quei tragici
avvenimenti elevando un monito ai posteri affinché la
memoria di cosa accadde non abbia mai ad essere
cancellata, come mai si è cancellata l’esperienza tragica di
“Maria” e delle altre che, per tutta la vita, si sono portare
dentro con dignità e coraggio il segno di quelle violenze.
La manifestazione celebrativa voluta dal Presidente
Armando Cusani e accolta dal sindaco di Campodimele
Aldo Lisetti ha visto la partecipazione del Vice Presidente
della Camera dei Deputati On. Giorgia Meloni, dei sindaci
e dei gonfaloni dei comuni della provincia che insieme
hanno reso omaggio a quelle donne che con coraggio e
dignità, per sessantanni si sono portate dentro la memoria
di una tragedia umana. La cicatrice scolpita nelle carni di
queste donne orgogliose e forti brucia ancora tra le poche
viventi e rappresenta il segno della sconfitta dell’umanità di
fronte all’emergere degli istinti più primitivi che trovano
spazio quando la follia si impossessa della mente e del
cuore dell’uomo.
Quella follia umana che si è espressa in maniera così
brutale ha trovato, oggi, finalmente, chi la condanna e la
mostra quale pessimo esempio alle nuove generazioni. Il
tempo ha permesso che la vergogna cedesse il passo al
Medaglia d’Oro - Eventi: A Maria, alle altreAnno I n° 1
Arrivo delle autorità: da sinistra l’On. Giorgia Melonivice Presidente della Camera, il Sindaco Aldo Lisetti, ilPrefetto Alfonso Pironti e il Presidente Armando Cusani
58
racconto e le grida soffocate per tanti, troppi anni, salissero
fino ai piani più alti dei Palazzi e delle Istituzioni pronti a
fare luce su fatti e avvenimenti celati e nascosti.
Una nuova cultura, una diversa valutazione e una forza
potente si esprime ora anche attraverso le motivazioni che
fanno da supporto ai riconoscimenti che il Presidente della
Repubblica ha saputo valorizzare nell’assegnazione delle
varie medaglie d’oro concesse a molti gonfaloni della
nostra provincia.
Quel monumento, che gode della manifattura prestigiosa
della Pontificia Fonderia Marinelli di Agnone, collocato
nella piazza centrale di Campodimele è il segno di questa
nuova forza che ha trovato il modo di emergere dall’oblio
della storia per scrivere una pagina diversa e più vera.
Documenti, racconti, testimonianze e lacrime ancora piene
di vergogna, sono li a rendere ragione di questo nuovo
capitolo che apre squarci di luce in un racconto storico che
oggi possiamo leggere con maggiore libertà e più
coraggio. E’ il segno anche questo di una lucida ragione
che, oggi, sa scrutare tra le pieghe di racconti che nel
passato sono stati troppo oscuri e reticenti.
Non è ancora un lavoro concluso certamente c’è ancora
dell’altro che potrà emergere delineando il dramma di un
popolo, quello degli abitanti dei monti pontini che, nelle
varie situazioni hanno saputo interpretare il proprio
momento storico con la fierezza di eroi della resistenza. Si,
della resistenza;.perché la resistenza non è stata solo quella
armata ma è stata anche quella di chi, forte solo della
propria coerenza, ha saputo ergere un muro di opposizione
non violenta e passiva di fronte alla follia delle armi che
hanno distrutto intere cittadine.
Tra le pieghe dei racconti sono emerse, perciò, non solo la
descrizione delle macerie e delle morti incolpevoli, ma
anche quella della distruzione morale di uomini e donne, di
bambini e di anziani che sono stati segnati da ferite
profonde che hanno scavato solchi nei cuori e nelle menti.
Quel monumento a “Maria e alle altre” che ora si affaccia
sulla piazza di Campodimele è allora un omaggio corale a
quelle protagoniste femminili anonime della seconda guerra
mondiale che in questi comuni degli aurunci, degli ausoni e
dei lepini hanno contribuito a scrivere una pagina di storia
che non dovrà trovare ripetizione mai più. Mai più la
guerra. Mai più…
58
Medaglia d’Oro - Eventi: A Maria, alle altre Anno I n° 1
Il parterre delle Autorità
59
di EZIO D’APRANO
orse non è sufficientemente evidenziato, nei
reportage di guerra e nei manuali di storia, che la
provincia di Littoria è stata teatro di importanti
avvenimenti bellici ed ha pagato il suo non trascurabile
tributo di sangue e di rovine. Neppure il dramma della sua
popolazione, trovatasi al centro dei combattimenti, ha
meritato la giusta attenzione da parte degli studiosi dei fatti
di guerra. La gente di Littoria, in quel tragico periodo, è
stata costretta ad abbandonare la propria casa e la propria
terra, volontariamente o d’autorità, a seguito dell’incalzare
dei tragici eventi e dei conseguenti ordini di sgombero o dei
numerosi rastrellamenti attuati dai soldati tedeschi. Per
diverse zone si è trattato di un esodo biblico.
***
Con la disfatta delle forze dell’Asse in Nord-Africa e il
successivo sbarco degli Alleati in Sicilia, avvenuto il 10
luglio 1943, la situazione del Paese diviene drammatica. In
precedenza gli effetti della guerra erano visibili solo con i
bombardamenti aerei sulle grandi città; ora il nemico è
giunto sul territorio nazionale. Il 19 luglio il quartiere di San
Lorenzo di Roma è sottoposto ad un violento
bombardamento. Nel Paese lo scoramento è generale; si
diffonde la convinzione che la guerra ormai è persa e che
bisogna evitare ulteriori distruzioni ed inutili lutti,
sollecitando la caduta del Fascismo, colpevole della disfatta
militare. Sull’onda di tale convinzione, il 25 luglio 1943
Mussolini è destituito. Cade il Regime fascista dopo circa un
ventennio. Il re affida l’incarico di formare il Governo al
Maresciallo Badoglio. La situazione del Paese peggiora con
il passare dei giorni. Gli Alleati intensificano i
bombardamenti delle città, per fiaccare ulteriormente il
morale della popolazione e indurla ad esercitare una forte
pressione sul Governo, per convincerlo a chiedere la resa.
Nel Paese il caos è indescrivibile e la situazione diviene
sempre più insostenibile con l’incalzare degli avvenimenti.
Al Governo non resta che chiedere l’armistizio
incondizionato agli Alleati. L’armistizio, firmato non troppo
segretamente a Cassibile (Siracusa), cinque giorni prima, è
annunciato l’8 settembre 1943. Il giorno successivo, gli
Alleati sbarcano a Salerno e si dirigono verso Napoli. Alle
prime ore del mattino del 9 settembre, il re, con la sua
Medaglia d’Oro - Il quadro di sfondo: L’esodoAnno I n° 1
VITE DISPERSEVITE DISPERSEF
60
famiglia e il suo Governo, fugge da Roma e si rifugia a
Brindisi, sotto la protezione degli Alleati. Il Paese è allo
sbando e regna l’anarchia completa. In pratica, è
consegnato ai tedeschi, i quali, da alleati, divengono
dominatori. In pochi giorni essi assumono il controllo del
territorio frettolosamente abbandonato, impossessandosi
dei comandi militari, delle industrie, delle infrastrutture e dei
punti strategici; sono decisi ad arrestare la risalita delle
forze angloamericane nella piana del Garigliano. A tale
proposito approntano sul fiume Volturno una linea di difesa,
denominata Bernhard, per ritardarne la risalita e avere,
così, il tempo di predisporre, più a nord, un fortificato
baluardo difensivo: la linea Gustav. Questa linea si estende
dal Mar Tirreno al Mare Adriatico, da Gaeta ad Ortona,
lungo le valli dei corsi dei fiumi Garigliano, Rapido e
Sangro; comprende i Monti Aurunci situati a sud della
provincia di Littoria. Con questo sbarramento difensivo il
territorio nazionale è diviso in due. Sulla zona a nord della
linea Gustav, i tedeschi ormai esercitano il dominio
assoluto, con l’avallo della Repubblica Sociale Italiana. In
pratica è un territorio di occupazione, su cui vige la legge
di guerra. In conseguenza di tali eventi, la provincia di
Littoria per i tedeschi assume un ruolo strategico di grande
rilevanza; infatti, nel suo ambito si svolgeranno epici e
cruenti scontri tra i contrapposti eserciti, che porteranno,
dopo otto lunghi mesi, alla liberazione di Roma e alla svolta
decisiva della guerra in Italia a favore degli Alleati.
La provincia di Littoria, situata a nord di tale linea, che
comprende anche parte del suo territorio, costituito dai
Monti Aurunci, subisce pesanti conseguenze con gli scontri
che vi si svolgono, divenendo importante teatro di guerra.
I tedeschi, intanto, si insediano in tutti i punti strategici della
provincia. Nei giorni precedenti lo sbarco di Salerno, gli
Alleati effettuano bombardamenti aerei e navali su vari
centri, tra i quali Castelforte, Minturno, Fondi, Formia,
Gaeta, Itri, Spigno Saturnia e Terracina. I bombardamenti,
soprattutto terrestri nelle zone di prima linea, nel corso delle
ostilità sono estesi a tutti i paesi della provincia, con pesanti
distruzioni e gravi perdite di vite umane. Gli Alleati, che
hanno la supremazia incontrastata del mare e del cielo e
dispongono di enormi mezzi di distruzione e di morte,
possono colpire ogni angolo della provincia. La
popolazione cerca di mettersi al sicuro, si allontana dai
centri abitati e si trasferisce in campagna, nelle zone
Medaglia d’Oro - Il quadro di sfondo: L’esodo Anno I n° 1
60
Le miserevoli condizioni dei sopravvissuti
61
collinari e montane. E’ un segnale eloquente che la guerra
è giunta in provincia di Littoria, coinvolgendo l’intera
popolazione.
A Roma, divenuta città aperta il 15 agosto 1943, sono
istituiti centri di raccolta e accoglienza per profughi e sfollati
presso la Caserma Lamarmora in Trastevere, Caserma
Vespucci in Santa Croce in Gerusalemme, nell’ex
Stabilimento Breda al quartiere Casilino, nello Stabilimento
cinematografico di Cinecittà, nonché a Cesano e Narni. Il
Comando militare tedesco mette a disposizione della
popolazione, che intende allontanarsi dalla zona e
trasferirsi a Roma, camion militari e treni. Purtroppo,
rispetto alla popolazione interessata, in pochi approfittano
della possibilità. E’ difficile abbandonare la propria casa e
i propri beni con la consapevolezza di non trovare nulla al
ritorno! Infatti, il fenomeno dello sciacallaggio, del
saccheggio dei beni incustoditi, è molto diffuso in
concomitanza di guerre e di calamità naturali.
I Monti Aurunci, che fanno da cornice alla piana del
Garigliano, che è solcata con grandi anse dall’omonimo
fiume e attraversata dalla strada statale Appia, per la loro
conformazione orografica e per la morfologia del territorio,
costituiscono l’ambiente ideale per i Tedeschi per sbarrare
la strada alle forze alleate dirette a Roma. In questa zona le
poderose forze alleate rimangono impantanate fino a metà
maggio 1944, nonostante lo sbarco di Anzio avvenuto il 22
gennaio 1944. Gli eventi bellici incalzano. Nella fase
iniziale delle ostilità, la guerra investe in particolar modo la
zona sud della provincia, subendo le prime gravi
conseguenze.
I tedeschi il 9 settembre occupano i comandi militari di
Sabaudia, Littoria, la piazza di Gaeta, nonché le località
strategicamente rilevanti della provincia. Il giorno 12
settembre 1943 il Comando militare tedesco ordina
l’evacuazione di Minturno, Formia e Gaeta. L’ordine si
estende il 20 settembre a Sperlonga e Terracina, il 4 ottobre
a Lenola, il 17 ottobre a Castelforte (all’epoca era
aggregato il comune di SS. Cosma e Damiano), il 10
gennaio 1944 a Campodimele, il 10 e 11 febbraio a
Littoria. I tedeschi, in base all’accordo stipulato con il
Governo Fascista, emanano un proclama con il quale
ingiungono a tutti gli uomini appartenenti alle classi 1900-
25 che sono capaci a portare le armi e lavorare di
presentarsi al locale Comando militare, minacciando gravi
provvedimenti nei confronti dei disubbidienti. Il giorno 11
settembre 1943 eseguono a Gaeta e Formia un massiccio
rastrellamento degli uomini civili e militari. Tali
rastrellamenti si attuano anche negli altri comuni della
provincia: 23 settembre a Castelforte, 4 ottobre a Lenola e
Campodimele, 8 ottobre a Priverno e Roccagorga, 10
ottobre a Littoria, 25 ottobre a Cori e nei paesi dei Monti
Lepini; degli altri comuni mancano riscontri sulla loro
effettuazione. Questa operazione è da considerare come
primo esodo forzato dei cittadini della provincia di Littoria.
Gran parte degli uomini catturati sono condotti in
Germania e internati nei lager per essere impiegati nei
lavori lasciati liberi dagli operai tedeschi, chiamati ad
integrare gli organici della Wehrmacht, dopo la defezione
dell’esercito italiano a seguito dell’armistizio. Gli altri,
invece, sono adibiti ai duri lavori di approntamento della
barriera difensiva, soprattutto nella zona di Cassino.
Intanto la Quinta Armata americana attacca la linea
Bernhard, sul Volturno, tra il 7 e il 14 ottobre 1943; poi si
dirige verso la piana del Garigliano, completandovi lo
schieramento intorno alla metà di novembre. Da questa
data gli scontri si fanno durissimi con gravi perdite da ambo
le parti. E’ una anacronistica guerra di posizione, tipica
della prima guerra mondiale, combattuta con gli strumenti
moderni di morte. I paesi che si affacciano sul Golfo di
Gaeta si trovano in prima linea e sono i più esposti alle
azioni di guerra. La popolazione, pur di fronte all’ordine di
sgombero, tranne sporadici casi, non abbandona la
propria terra, decide di restare. D’altronde, è facile
indulgere all’ottimismo, vista la travolgente avanzata delle
forze alleate fino alla piana del Garigliano, dopo lo sbarco
in Sicilia del 10 luglio 1943. La popolazione cerca di
mettere al sicuro i propri beni e quanto ha di prezioso e si
allontana dai centri abitati, esposti ai bombardamenti, per
trasferirsi nelle colline e, soprattutto, nei monti adiacenti.
Ora tali località brulicano di gente, che si sistema nelle
poche casupole dei contadini, nelle capanne, negli stazzi,
negli ovili, nelle grotte, se non occupate dai soldati; si
costruiscono capanne e rifugi di fortuna. Purtroppo la
sistemazione, che si auspicava temporanea, col passare dei
Medaglia d’Oro - Il quadro di sfondo: L’esodoAnno I n° 1
62
giorni si prospetta lunga, con inimmaginabili conseguenze;
vivere in quelle condizioni è impossibile in un autunno
inoltrato, che peraltro si manifesta inclemente e rigido, con
abbondanti piogge accompagnate da scrosci di grandine.
Inoltre, la sistemazione in montagna degli abitanti dei paesi
dei Monti Aurunci è anche pericolosa; infatti, tali zone,
come i centri urbani, sono sottoposte a frequenti
cannoneggiamenti da parte degli Alleati per demolire le
fortificazioni e le postazioni dei tedeschi. Per tale motivo, ai
disagi della vita all’addiaccio si aggiungono i pericoli dei
bombardamenti in un territorio, il quale, tranne le grotte,
non offre alcuna protezione. Pertanto, escluso gli uomini,
che sono soggetti ai continui rastrellamenti dei Tedeschi, gli
altri ritornano in paese.
Il Governo si rende conto che la popolazione, se
caparbiamente rimane in zona operativa, rischia lo
sterminio. Il Ministero degli Interni della Repubblica Sociale
Italiana, di concerto con il Comando militare tedesco in
Italia, predispone un piano di sgombero d’autorità per
allontanare le popolazioni da tutte le zone invase e
sistemarle in appositi luoghi di accoglienza. A tale
proposito, nei comuni dei Monti Aurunci si attuano
improvvisi rastrellamenti di massa della popolazione,
eseguiti dai soldati tedeschi, coadiuvati da civili italiani,
probabilmente repubblichini, che fungono da interpreti.
Dopo la dichiarazione di guerra del 13 ottobre 1943
dell’Italia all’ex alleata Germania, i tedeschi manifestano un
atteggiamento di ostilità, di risentimento e di disprezzo
anche nei confronti della popolazione; infatti, durante le
operazioni di rastrellamento, sono brutali, sbrigativi,
violenti e pronti a ricorrere alle maniere forti e, nei casi di
ritardata esecuzione degli ordini, che spesso la
popolazione non comprende, ad usare anche le armi. In
provincia si registrano casi di persone trucidate durante i
rastrellamenti. L’operazione di sgombero è imponente,
poiché riguarda una popolazione numerosa, residente in
una vasta zona del fronte. E’ anche rischiosa, poiché
durante i rastrellamenti avvengono anche bombardamenti
improvvisi da parte alleata. I rastrellati sono trasferiti nelle
stazioni ferroviarie di Ceprano, Ferentino e Priverno
Fossanova, ove con treni composti di carri merci o
bestiame, dopo lunghi ed estenuanti viaggi, che durano
anche una settimana, sono condotti e sistemati nelle località
del Nord dell’Italia, non potendo essere più ospitati nelle
strutture di Roma, la cui capienza è satura. Il Governo
repubblicano emana disposizioni ai podestà per
organizzare nei loro comuni l’accoglienza e la permanenza
degli sfollati d’autorità dalle zone invase, mediante l’Ente
Comunale di Assistenza, appositamente trasformato in
Assisteza Fascista. A Viadana (Mantova), in base ai
documenti conservati nel suo Archivio Storico Comunale, si
è potuto riscontrare che vi sono stati ospitati ben
quattrocento sfollati di Castelforte, Gaeta, Formia,
Minturno, Spigno Saturnia, Coreno Ausonio (Frosinone) e
di altre località del Sud dell’Italia. Le zone più note di
accoglienza degli sfollati di Littoria, di cui si hanno notizie,
sono: Brescia (Rovato), Mantova (Gonzaga, Ostiglia,
Viadana, Villimpenta), Padova (Montagnana, Saonara),
Reggio Emilia (Boretto, Brescello), Rovigo (Castelmassa,
Castelnovo Bariano), Terni (Narni), Treviso (Altivole, Asolo),
Verona (Casaleone), Vicenza (Mason Vicentino).
Molti cittadini delle zone degli Aurunci, sfuggiti ai vari
rastrellamenti, pochi mesi prima della rottura della linea
Gustav, riescono ad attraversare la pericolosissima linea di
fuoco, rischiando la vita nell’attraversamento dei
pericolosissimi campi minati, e si mettono in salvo oltre il
Garigliano, in territorio alleato, ove la guerra può
considerarsi finita. Raggiunta la salvezza, dopo alcuni
giorni di permanenza nei centri di raccolta predisposti dagli
Alleati a Sessa Aurunca, Mondragone e Capua, sono
trasferiti nelle varie località del Sud Italia, precisamente:
Caltanissetta (Mussomeli), Caserta, Cosenza (Castrovillari,
Corigliano Calabro, Fagnano Castello), Matera (Pisticci),
Messina, Napoli, Palermo, Potenza (Maratea), Reggio
Calabria (Cittanova, Siderno).
Lo sbarco degli Alleati ad Anzio, a nord della linea Gustav,
effettuato il 22 gennaio 1944, coglie i tedeschi di sorpresa,
ma non sortisce l’effetto desiderato, cioè mettere in crisi la
linea Gustav. Dopo l’iniziale sbandamento, i tedeschi
riescono a rintuzzare l’attacco e a predisporre una efficace
linea di sbarramento imperniata su Anzio-Nettunia-Aprilia-
Campoleone-Cisterna. I quattro attacchi, lanciati dagli
Alleati alla predetta linea il 29-31 gennaio 1944, il 3-12
febbraio, il 16-22 febbraio e il 29-4 marzo, non riescono a
Medaglia d’Oro - Il quadro di sfondo: L’esodo Anno I n° 1
63
fiaccare l’agguerrita resistenza nemica. Gli scontri finiscono
con pesanti perdite da ambo le parti e con gravi
conseguenze per gli abitanti. Adesso, anche in quest’altro
lembo della provincia, la guerra ristagna, come sul fronte
del Garigliano. Dopo lo sbarco, le Forze alleate,
impiegheranno altri quattro mesi di cruenti scontri, a nord e
sud, per travolgere la linea Gustav a metà maggio 1944 e
liberare l’intera provincia di Littoria. La liberazione di Roma
avviene il 4 giugno 1944. Subito dopo gli Alleati iniziano
l’inseguimento dell’esercito tedesco in ripiegamento verso
l’Italia Settentrionale.
I cittadini di Littoria, Aprilia, Cisterna, con lo sbarco, si
trovano in prima linea, tra due fuochi, nella medesima
situazione della popolazione degli Aurunci. Il Comando
tedesco il 9 febbraio ordina l’evacuazione di Aprilia,
Cisterna, Littoria, dell’Agro Pontino, dei comuni di Cori,
Norma, Sermoneta, Bassiano, Sezze, Pontinia, fino al
confine con Terracina. E’ una operazione di vasta portata,
effettuata in una zona di prima linea, con grave rischio per
l’incolumità della popolazione. Il problema dell’incolumità
della popolazione riguarda anche gli Alleati. Infatti, con lo
sbarco, parte della popolazione di Anzio, Nettunia,
Aprilia, Cisterna e alcuni Borghi di Littoria, si trova tra due
fuochi. L’operazione di sgombero è particolarmente
complicata, poiché la zona è completamente circondata
dall’esercito tedesco e l’unico sbocco è costituito dal mare.
Per tale motivo, lo sgombero può avvenire solo via mare.
Gli sfollati, radunati sulle spiagge di Nettunia ed Anzio,
sono traghettati con le barche fino alle navi ancorate al
largo, con le quali sono condotti nelle località della
Calabria, dove già sono presenti molti profughi volontari
degli Aurunci. Con la liberazione di Roma, terminano le
Medaglia d’Oro - Il quadro di sfondo: L’esodoAnno I n° 1
Momenti dell’esodo
64
vicissitudini della guerra per la popolazione della provincia
di Littoria. La guerra, invece, continua a Nord di Roma. I
governatori militari alleati, nei territori liberati, si attivano
per il ripristino dell’attività amministrativa necessaria per
avviare la ricostruzione e la ripresa della vita. I cittadini
della provincia di Littoria, sistemati a Sud, sono i primi a far
ritorno a casa, con la tenue speranza di ritrovare qualcosa
di ciò che frettolosamente avevano abbandonato e con la
volontà di ricominciare. Ma molti paesi sono distrutti, ed è
impossibile viverci, se non si avviano le strutture
amministrative, sociali ed economiche e non inizia la
ristrutturazione delle case danneggiate e la ricostruzione di
quelle distrutte. In tali zone non è possibile accogliere tutti
quelli che rientrano; possono restarvi soltanto le persone
utili alla ricostruzione e alla rinascita. Per tale motivo, la
popolazione non attiva è invitata a trasferirsi a Roma, nei
Centri di raccolta per sfollati, e ritornare quando le
condizioni lo consentiranno.
Con il 25 aprile 1945 termina la guerra sul restante
territorio nazionale. Immediatamente gli sfollati accolti nelle
località dell’Italia Settentrionale rientrano nei loro paesi.
Anche costoro, in gran parte, sono invitati a ripartire. In
pratica, la popolazione non attiva, non utile alla rinascita
dei paesi distrutti, è invitata a trasferirsi nei Centri di
accoglienza di Roma o in quelli di nuova istituzione di
Gaeta e Littoria. E’ un altro allontanamento dalla propria
terra; è un nuovo esodo, sia pure volontario. Molti non
ritornano, rimangono nelle zone di accoglienza; altri, dopo
il rientro a casa, per costruirsi un avvenire migliore, si
trasferiscono nelle città del Nord dell’Italia in cerca di
lavoro nelle industrie e nella pubblica amministrazione, nei
paesi europei, oltreoceano, Stati Uniti, Canada, Australia,
Sud-America. Le zone interne della provincia si spopolano
a causa del flusso di migrazione; quelle costiere e quelle
investite dal processo di industrializzazione del Paese,
invece, con il tempo registrano un intenso sviluppo urbano
e demografico. In pratica, la guerra, oltre a provocare lutti
e distruzioni, che hanno richiesto anni di duro lavoro e
l’impiego di notevoli risorse economiche, ha provocato lo
stravolgimento dell’assetto socio-economico della provincia.
Per dirla con lo storico Annibale Folchi, la guerra ha
determinato la fine di Littoria e la nascita della provincia di
Latina.
* Il 19 marzo 2007 ricorre il 63° anniversario dell’esodo
cisternese che la città, Medaglia d’Argento al Valor Civile,
ricorderà con solenni cerimonie. Nell’occasione la Provincia
inaugurerà una stele in bronzo realizzata dalla Pontificia Fonderia
Marinelli di Agnone.
64
Medaglia d’Oro - Il quadro di sfondo: L’esodo Anno I n° 1
Una breve sosta prima di riprendere il cammino
65
di PIER GIACOMO SOTTORIVA
armistizio dell’8 settembre 1943 e soprattutto la
dichiarazione di guerra alla Germania del
Governo Badoglio (13 ottobre 1943)
trasformarono i tedeschi da alleati in avversari.
Dopo lo sbarco degli Alleati a Salerno (8 settembre) e il loro
ingresso a Napoli (1° ottobre), grazie anche alla rivolta
popolare iniziata il 27 settembre, essi si prepararono a
fronteggiare la risalita del nemico creando una serie di
linee di difesa, e tra esse quelle che coinvolgevano il
territorio pontino. Già nell’estate del 1943 il generale
Edoardo Minaja, comandante la 221^ divisione costiera
italiana, aveva preavvisato i tecnici del Consorzio di
bonifica di Littoria di prepararsi ad una eventuale
distruzione delle opere di bonifica per riallagare le pianure
un tempo palustri, allo scopo di rallentare la marcia dei
nemici. Ma quando l’eventualità divenne attualità, era
sopravvenuto l’armistizio, con quel che ne era seguìto: gli
Italiani non disponevano più dell’Esercito, e la Rsi – di cui
la provincia di Littoria costituiva l’ultimo territorio
Medaglia d’Oro - Saggi: Il ritorno della malariaAnno I n° 1
UN ATTENTATO BIOLOGICO STUDIATO?UN ATTENTATO BIOLOGICO STUDIATO?
L’
L’ESPLOSIONE MALARICA POST-BELLICA,L’ESPLOSIONE MALARICA POST-BELLICA,
66
meridionale sul quale, almeno formalmente, esercitava un
qualche controllo – non disponeva né di uomini in armi, a
parte qualche debole unità della Milizia e della GNR, né di
strumenti tecnici per attuare i previsti interventi.
Sul finire di settembre e poi a ottobre e novembre, i tedeschi
posero in essere una serie di sabotaggi, tenendo del tutto
all’oscuro, anzi ostentatamente ignorando le autorità
fasciste della provincia: demolizione di torri costiere
medievali o rinascimentali (di Pandolfo Capodiferro sul
Garigliano, di
Canneto a Fondi,
Gregoriana a
Terracina, di
Fogliano a Littoria,
ecc.), di case
affacciate sul mare
(in particolare a
Formia e Gaeta), di
ponti. E, soprattutto,
attuarono una
s i s t e m a t i c a
distruzione delle
opere di bonifica.
Una impressionante
testimonianza della
r a d i c a l i t à
dell’azione tedesca è
contenuta nella
lettera del 22
novembre 1943 che
G.Laghi, Capo della
Provincia, ossia il
prefetto repubblichino, trasmise al Ministero dell’Interno e a
quello dell’Agricoltura e Foreste, che erano i due dicasteri
referenti per la bonifica. Essa, mentre registra quasi in
diretta le distruzioni attuate, è anche un trasparente
esempio della soggezione degli uomini della Rsi ai
tedeschi, i cui comandi non solo non consultarono le
autorità italiane locali, né le informarono di quanto fecero,
ma non usarono alcun riguardo nella loro azione: né di
ordine tecnico, magari limitandosi a danneggiare o a
“prelevare” le cose che effettivamente avevano un valore
militare, né di ordine psicologico, nei confronti di quella
bonifica che essi ben sapevano essere il fiore all’occhiello
del loro alleato Mussolini.
Laghi manifesta tutta la sua sorpresa per il fatto che il
comando tedesco abbia condotto “un’azione di distruzione
… nel campo della bonifica idraulica, che, se pur in parte
giustificata dalle necessità della guerra, sembra ai tecnici in
gran parte eccessiva ed esorbitante da dette necessità”. E
spera che,
adottando “urgenti
ed opportuni
accordi con le
A u t o r i t à
Germaniche”, si
p o s s a n o
“contemperare le
innegabili necessità
belliche con … le
non meno innegabili
necessità sociali ed
umane”. In caso
contrario “con
distruzione facile
q u a n t o
i n g i u s t i f i c a t a ,
verrebbe ad
annullarsi una [qui
manca una parola:
forse “opera”] di
civiltà che da sola
basta a testimoniare
la feconda attività di un regime”.
Laghi ancora fedele al fascismo, è, dunque, anche la
persona che ingenuamente s’illude che le ragioni ideali
dell’alleanza coi tedeschi possano prevalere sulle necessità
della guerra, e che vengano limitati gli sconvolgimenti che
rischierebbero di cancellare la bonifica. Questo illusorio
auspicio riemerge anche nella puntuale descrizione dei
guasti che i sabotatori tedeschi stanno attuando ai danni di
Medaglia d’Oro - Saggi: Il ritorno della malaria Anno I n° 1
Due tabelle di pianificazione del C.P.A. (Comitato Provinciale Antimalarico)indicanti interventi con il ddt a mezzo di squadre motorizzate e in bicicletta
67
macchine, impianti, canali, smontando e asportando
idrovore, tagliando argini, intasando foci. Nel fare il lungo
elenco delle demolizioni e degli allagamenti, Laghi auspica
che un intervento del Ministero valga a scongiurare che
motori e trasformatori, già smontati, vengano trasferiti
altrove. Una pia illusione, perché i motori più grossi, quelli
delle idrovore di Mazzocchio, furono caricati su un treno
diretto in Germania: arrivarono fino al Brennero, e qui
furono fortunatamente e abbastanza casualmente bloccati,
per poi rientrare in provincia a fine guerra.
In breve, l’opera di sabotaggio fu scientificamente attuata,
e il poco che si salvò – qualche motore, qualche draga
fluviale – si deve solo al fatto che gli uomini del Consorzio
di Bonificazione Pontina, a loro volta, sabotarono le
macchine, asportandone pezzi vitali che le resero inservibili
e inappetibili ai tedeschi; e affondarono le draghe nei
canali, per recuperarle a guerra finita.
Bioterrorismo?
Lo smantellamento delle strutture e delle infrastrutture della
bonifica, e il conseguente allagamento da 7 a 11 mila ettari
di territorio, soprattutto nella campagna di Terracina, ha
fornito lo spunto per prospettare una tesi che è stata accolta
con qualche comprensibile clamore e che si presta ad un
tentativo di analisi. La tesi è il risultato di una
concatenazione di eventi che appaiono finalizzati allo
scopo che si assume a tesi, anche se la apparente
consequenzialità non trova il conforto definitivo di un
documento che confermi che i fatti fossero davvero
Medaglia d’Oro - Saggi: Il ritorno della malariaAnno I n° 1
Allagamento della pianura pontina da parte dei tedeschi
68
finalizzati all’evento. Del che, con onestà di studioso, dà
atto anche colui che si è fatto, da ultimo, portavoce di
quella tesi, lo studioso americano Frank M. Snowden in un
libro del dicembre 2005, The Conquest of Malary.
La tesi – che era già apparsa nel 1998 da fonte italiana
(G.Corbellini, L. Merzacora, A. Coluzzi) - individua
nell’opera di sabotaggio degli impianti di bonifica un vero
e proprio episodio di guerra biologica, un atto di
bioterrorismo che sfruttò la malaria secondo un disegno
ricostruito nel modo che segue.
Il 14 novembre del 1943 (il giorno successivo alla
dichiarazione di guerra alla
Germania da parte del
Governo del Sud) giunsero a
Roma, presso il Ministero della
Sanità, due scienziati tedeschi,
studiosi di malaria, i professori
Erich Martini, dell’Università di
Hannover, capo del
Dipartimento di entomologia
dell’Accademia Militare
medica di Berlino; e Ernst
Rodenvaldt, dell’Università di
Heidelberg, direttore del
Dipartimento di medicina
tropicale della stessa
Accademia berlinese. I due
studiosi avevano già lavorato
con i colleghi italiani sia
presso l’Istituto superiore di
Igiene, che alla Scuola di
malariologia di Nettuno. In
particolare, Erich Martini
sapeva bene che una sola
delle diverse specie di zanzare anofele era capace di
sopravvivere in un ambiente acquatico ad alto contenuto
salino, l’Anopheles labranchiae. Snowden è convinto che i
due tedeschi fossero stati mandati in Italia per attuare un
diabolico piano, nel quadro della situazione bellica che si
era aperta dopo l’armistizio del settembre 1943; e per la
verità con questo sospetto concordano Enzo Mosna,
malariologo del Ministero della Sanità, Alberto Missiroli,
uno dei maggiori malariologi dell’epoca, e il dottor Alberto
Coluzzi, che aveva lavorato per circa un anno per il
Comitato Antimalarico di Littoria, nella zona di Fondi, per
poi trasferirsi in Ciociaria. Nel dopoguerra diresse l’area
pontino-ciociara.
In proposito, Snowden commenta duramente: Erich Martini
“era moralmente capace di usare questa conoscenza per un
obiettivo spregevole, perché era un devoto membro del
partito nazista, protetto da Himmler, e una autorità nel
campo dei germi”. Insomma, un “medico nazista ideale”.
Gli studiosi citati sono convinti
che l’occupazione tedesca,
pregna di rancore per il
“tradimento” italiano, ispirò un
piano di guerra biologica nelle
Paludi pontine bonificate, col
duplice obiettivo di ritardare
l’avanzata alleata, frenandola
con l’allagamento, ma
soprattutto, di attuare una
vendetta nei confronti degli
italiani “traditori”. In questo
fosco quadro sarebbe stato
concepito e attuato “il solo
esempio conosciuto di guerra
biologica nell’Europa del XX
secolo”, ossia la salinizzazione
delle rinate paludi: l’habitat, che
sarebbe stato sfavorevole alle
zanzare non malarigene,
avrebbe invece favorito la
selezione e la formazione di
grandi focolai di Anopheles
labranchiae, portatrice della malaria. Per impaludare
nuovamente le aree, soprattutto quelle costiere, i tedeschi
minarono alcuni argini, intasarono le foci dei canali che
sversavano a mare, asportarono o sabotarono le pompe di
livello, e, soprattutto, invertirono il movimento delle pompe
per portare verso l’interno l’acqua salina delle foci dei
canali.
Medaglia d’Oro - Saggi: Il ritorno della malaria Anno I n° 1
La copertina del libro di Frank Snowden
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Sei settimane dopo la visita dei due scienziati tedeschi a
Roma, Enzo Mosna, scrisse una lettera al Direttore Generale
dell’Istituto di igiene, ricordando la visita di Martini e
Rodenwaldt e il loro sopralluogo al delta del Tevere per
esaminare gli effetti del ritorno dei luoghi alle condizioni
prebonifica. Mosna ricorda che “grazie alla lunga amicizia
che ci lega a quegli eminenti studiosi”, fu raccomandato
loro, tra le altre cose di non immettere acqua salata nei
campi bonificati perché avrebbe creato più favorevoli
condizioni per lo sviluppo di zanzare portatrici di malaria
e il rischio di serie epidemie; e di evitare danni seri alle
macchine idrovore, per poterle facilmente riparare negli
anni del dopoguerra. Mosna commenta che il professor
Martini riconobbe l’importanza di quei suggerimenti e
promise che avrebbe raccomandato al comando tedesco di
tenerli “nella più benevola considerazione”. Poi assicurò
che gli allagamenti con acqua salata sarebbero stati evitati,
ad eccezione di limitate zone lungo la costa.
Snowden commenta, però, che in realtà le cose andarono
proprio come Mosna aveva temuto: “Non si sa chi nella
catena di comando germanica dette l’ordine letale di
attuare il progetto studiato da Martini e Rodenwaldt” –
commenta lo scrittore americano – “fatto sta che il comando
tedesco non solo fermò le pompe bloccando lo scolo dei
canali, ma invertì deliberatamente il pompaggio delle
acque inviando acqua di mare nei campi”. La tesi
dell’inversione delle pompe e dell’immissione di acqua
salata (oltre tutto deleteria all’agricoltura) è ribadita dal
malariologo americano Paul Russel, che, partecipando alla
campagna d’Italia, scrisse nell’ottobre 1944: “Una delle
grandi tragedie della guerra fu la sistematica distruzione da
parte dell’esercito tedesco delle opere di bonifica.
Distruggendo le pompe, bloccando o minando i canali, e
invertendo deliberatamente il corso delle acque dal mare
nei canali essi incrementarono enormemente le Anofeli…”.
Il più convinto contributo alla tesi della guerra anofelica
viene dal dottor Alberto Coluzzi. Nel diario conservato dal
figlio Mario, anche lui eminente malariologo, vincitore del
Premio Ross per gli studi sulla malaria, Alberto, conoscendo
bene l’area pontina, da una attenta ispezione delle zone
allagate ricavò la precisa impressione “di essere testimone
di un piano accuratamente eseguito che nulla aveva a che
fare con la creazione di una barriera naturale all’avanzata
dell’esercito alleato”. Egli, difatti, scrisse: “La cosa che non
riuscivo a comprendere […] era l’allagamento provocato in
alcuni settori dove non sarebbe stato possibile procedere né
agli uomini né ai mezzi. E nemmeno comprendevo
l’allagamento di vaste zone che non sarebbero servite
neppure a fermare un gatto. Cominciai così a sospettare
che la Todt, che si era occupata insieme alla 14^
Panzerdivision di difendere la linea, in effetti aveva ricevuto
l’invito di provocare l’allagamento per altri scopi. Questo
invito doveva essere venuto da qualcuno che sapeva che la
malaria può causare perdite molto maggiori di quelle
provocate da una battaglia, da qualcuno che aveva una
buona conoscenza della “malaria creata dall’uomo”…”.
Se l’analisi del terreno gli aveva istillato il sospetto, la
constatazione dell’uso invertito delle pompe lo convinse di
trovarsi di fronte ad un episodio di terrorismo biologico:
“Non tutte le pompe situate lungo la costa furono distrutte o
asportate. Alcune di esse sono ancora funzionanti [al
momento del sopralluogo, NdA], ma sono state posizionate
per funzionare al rovescio. Molta gente, inclusi tecnici che
hanno lavorato a riparare gli impianti, mi ha detto che i
tedeschi le usarono in quel modo per incrementare
l’allagamento con acqua di mare. Ma non è così. Il sistema
fu usato solo per dare un certo livello di salinità all’acqua
dolce portata in quelle aree costiere”, allo scopo di “creare
un enorme allevamento di zanzare”.
Snowden aggiunge tre altri eventi che consoliderebbero la
sua tesi, e cioè: la ricordata distruzione delle barche usate
per diserbare i canali, la scomparsa di 9 tonnellate di
chinino, prelevato a Roma e portato a Volterra, lontano da
dove avrebbe potuto essere usato, e l’allontanamento della
gente pontina a 10 km dalla costa, nel settembre 1943, per
evitare, a suo avviso, che ci fossero testimoni oculari. Lo
scrittore americano, però, conclude correttamente che fino
a quando non sia possibile trovare documenti dai quali
trarre conferma di questo atroce sospetto, bisogna
concedere il beneficio del dubbio.
E, tuttavia, se sussistono ragioni per ritenere che la visita di
Martini e Rodenwaldt non fu solo di cortesia, dal contesto in
Medaglia d’Oro - Saggi: Il ritorno della malariaAnno I n° 1
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cui l’esplosione malarica maturò emergono alcuni elementi
che possono alimentare anche una tesi diversa: che, cioè,
il “bioterrorismo” sospettato potesse anche essere il risultato
di una disgraziata serie di negative coincidenze. Vedremo
quali elementi concorrono a sostenere una ipotesi di
dubbio.
Prima, però, va ricordato che secondo i dati resi noti nella
riunione del Comitato provinciale antimalarico di Latina –
che dipendeva dalla Provincia - del 19 ottobre 1946, il
dottor Mario Alessandrini, che
era il malariologo
responsabile, la pandemia
malarica negli anni dal 1944
al 1946 ebbe un andamento
catastrofico. A fronte di 1217
casi di febbri registrati nel
1943, nel 1944 se ne ebbero
54.929; nel 1945, 42,712; e
nel 1946, 28.952. Dopo la
paurosa esplosione del 1944,
il regresso fu rapido e totale
grazie al DDT, largamente
usato prima di essere bandìto
per la sua pericolosità anche
per l’uomo.
Proviamo, dunque, a vedere se vi sia qualche ragione per
dubitare che la pandemia sia stata la conseguenza di un
deliberato delitto.
Innanzitutto, l’allontanamento verso l’interno della
popolazione civile per evitare imbarazzanti testimonianze
avvenne in due fasi: prima per 5 km, poi per 10 km , e
riguardò non solo la pianura pontina e quella di Fondi, ma
anche l’area costiera meridionale, dove, però, non venne
praticato alcun allagamento forzoso. L’allontanamento,
invece, rispondeva anche ad esigenze tattiche, per liberare
l’area di un possibile sbarco alleato, a lungo temuto, e per
disporre i piani di difesa senza il rischio di quinte colonne.
Altre possibili ragioni di dubbio sono le seguenti:
1. Nel 1939 il Cap dichiarava che i casi di “primitiva”
erano azzerati rispetto al 1938 in Agro Pontino, ma i nuovi
colpiti in altre zone erano ancora il 47,2%, segno che la
malaria non era mai stata totalmente eradicata. E nel 1938
il dottor Donato Battista, ufficiale sanitario di Littoria,
giudicava “pericolosissimo ogni rallentamento ed esiziale
una eventuale interruzione della campagna”. L’anno
successivo, poi, il presidente del Cap osservava che “è bene
dichiarare fascisticamente che un anno di trascuratezza
potrebbe annullare i sacrifici di ponderoso lavoro di diversi
anni”: era, dunque, un timore ben presente, largamente
motivato dal progressivo prosciugamento dei finanziamenti
per completare la bonifica,
causato dalle guerre (Etiopia,
Spagna, mondiale) in cui il
fascismo si era imbarcato.
2. La situazione di non
raggiunta eradicazione della
malaria, e di instabilità del
quadro sanitario ebbe una
drammatica conferma il 17
settembre 1942: quel giorno,
presso il Ministero dell’Interno,
si svolse una riunione, nel
corso della quale il medico
provinciale presso la
Prefettura di Littoria, dottor
Giuseppe Giustolisi, denunciò la drammatica
recrudescenza malarica, dovuta alla drastica riduzione
della prevenzione e della profilassi.
3. Giustolisi ricordò anche che la presenza nella zona di
alcune migliaia di soldati italiani reduci da Grecia e
Albania aveva provocato focolai di malaria che non erano
stati denunciati. Anzi, già nel 1941 erano state omesse le
denunce di almeno 320 casi, mentre nel 1942 la situazione
era precipitata.
4. La preparazione e poi l’entrata in guerra aveva
progressivamente e drammaticamente ridotto non solo i
mezzi finanziari, ma anche i materiali: nella riunione del 26
ottobre 1942 del Comitato antimalarico lo stesso medico
provinciale denunciò che mancavano “molti prodotti a base
Medaglia d’Oro - Saggi: Il ritorno della malaria Anno I n° 1
Una tenda per dimostrare come si previene la malaria
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di rame” che impedivano persino di creare i preparati
chimici necessari alla campagna antilarvale.
5. Nel novembre 1942 il malariologo del Cap denunciava
nuovi casi di “primitiva” in zone che risultavano indenni da
almeno 3 anni: segno che la malaria aveva ripreso vigore
e si espandeva, assai prima dei sabotaggi tedeschi.
6. Un’ultima notazione è di carattere geografico: quali sono
le zone costiere che vennero ri-allagate con acqua salina?
Non risulta che siano state redatte carte delle aree re-
impaludate, ma quelle note e di una estensione adeguata a
quanto si sarebbe progettato di fare sono solo quelle del
comprensorio di Quartaccio e di Borgo Hermada, che sono
sicuramente interne.
C’era infine da considerare che i tedeschi rimasero nelle
zone infette fino a maggio 1944, e pur essendo premuniti
contro i rischi di malaria, vi erano esposti alla pari dei
residenti.
Il quadro che emerge, insomma, potrebbe essere di questo
genere: se attentato biologico vi fu, esso si avvaleva di una
situazione sanitaria che andava progressivamente
degradando, per cui gli allagamenti iniziati nell’ottobre
1943 cadevano in un contesto favorevole ad una rapida
espansione malarica, come in effetti accadde (da ricordare
che alle campagne epidemiche primaverili-estive il Cap
aveva sentito la necessità di accompagnare anche
campagne invernali, dette “interepidemiche”, segno che
quanto si era fin l’ fatto non dava ancora garanzie di
raggiunta sicurezza). E questo avvenne non solo in Agro
pontino e a Fondi, ossia in aree pianeggianti e palustri, ma
anche in tutto il sud della Provincia, a Gaeta, Formia,
Minturno, Castelforte, dove non operavano pompe
idrauliche e dove gli allagamenti non potevano avere
l’estensione dell’area pontina.
In definitiva, per chiarire la storicità dell’evento
“bioterroristico” non resta che sfidare gli archivi e sperare
che salti fuori quell’ordine che solo potrebbe dare tragica
concretezza alla ipotesi formulata.
Medaglia d’Oro - Saggi: Il ritorno della malariaAnno I n° 1
Soldati irrorano le pozze d’acqua con disinfestanti per impedire la formazione delle larve di anofele
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Medaglia d’Oro - Saggi Anno I n° 1
di PIER GIACOMO SOTTORIVA
ell’aprile 1947, il Capo Provvisorio dello Stato
Enrico De Nicola (1), compì un viaggio in provincia
di Latina, impegnandosi in un faticosissimo tour de
force che lo portò ad attraversare in auto, in andata e
ritorno e nella stessa giornata, la Provincia di Latina per
l’intera sua lunghezza. Era il primo atto ufficiale che
ricollegava la terra bonificata ad una matrice democratica.
Era stata la notizia di una visita a Cassino e all’area
contermine, programmata nel gennaio 1947, ad innescare
una garbata, ma non di meno efficace polemica da parte
degli Amministratori pontini, che avrebbero desiderato che
il Presidente facesse sosta anche nei loro centri, perché
constatasse di persona l’entità dei danni subiti a causa della
recentissima guerra, conclusasi in quest’area poco più di
due anni e mezzo prima, a fine maggio 1944. Erano stati,
difatti, emanati i provvedimenti destinati a favorire la
ricostruzione di Cassino, Montecassino e dei paesi della
bassa Ciociaria devastati dai cinque e più mesi di sosta del
fronte, nel corso dei quali si erano, tra l’altro, registrati i
micidiali bombardamenti prima dell’Abbazia benedettina,
ridotta ad un cumulo di macerie dagli alleati (15 febbraio
1944); poi della stessa città di Cassino, rasa praticamente
al suolo da un altro feroce quanto militarmente inutile
bombardamento (15 marzo 1944). Cassino era scampata
alle scorrerie delle truppe coloniali inquadrate nel Corpo di
Spedizione Francese, le cui feroci rappresaglie contro le
popolazioni si sintetizzano nel brutale neologismo nato
all’epoca, marocchinare – marocchinato/a, di cui fecero
esperienza sia le popolazioni del versante ciociaro
(Pontecorvo, Pico, ecc.), sia quelle del versante pontino
dell’antiappennino (Campodimele, Lenola, Monte San
Biagio, Sonnino, e via proseguendo). Quella fase della
guerra, com’è noto, è ormai storicamente sintetizzata col
nome di “battaglia di Cassino”, ma in realtà essa coinvolse
tutta l’area che dai contrafforti meridionali delle Mainarde
scende verso il mar Tirreno, accompagnando i corsi
d’acqua del Rapido e del Garigliano, e investendo anche
S.Angelo in Theodice, Pignataro Interamna, San Giorgio a
Liri, Castelnuovo Parano, Ausonia, in provincia di
Frosinone; e Castelforte (all’epoca unita in un solo Comune
con SS Cosma e Damiano), Minturno e Spigno Saturnia,
oltre all’immediato retroterra logistico, che includeva
Formia, Gaeta, Itri, Fondi e i comuni della collina ausona.
Anche nell’area litoranea e immediatamente interna la
battaglia – inizialmente sviluppatasi in aspri quanto
inefficaci attacchi alleati alla tedesca Linea Gustav, tra
dicembre 1943 e gennaio 1944 – aveva avuto uno
N
IL VIAGGIO IN PROVINCIA DEL CAPOPROVVISORIO DELLO STATO NEL 1947IL VIAGGIO IN PROVINCIA DEL CAPOPROVVISORIO DELLO STATO NEL 1947
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svolgimento spietato, coinvolgendo i centri in ripetuti raid
aerei, e, soprattutto, in micidiali cannoneggiamenti dal
mare, ai quali aveva fatto da feroce omologia tutto il
complesso di azioni e reazioni che l’occupante tedesco,
affiancato dai pochi elementi che la Rsi mussoliniana
riusciva a mettere in campo, aveva spiegato con cruenta
efficienza: uccisioni di persone singole e di gruppi,
evacuazioni, demolizioni, rastrellamenti, trasferimenti
forzati in Germania.
Non era, pertanto, un caso che la Prefettura di Latina, in
una nota del 22 marzo 1947 (2),
annotasse che ben 14 dei 30
Comuni che allora costituivano la
provincia di Littoria, avevano subito
danni gravissimi alle abitazioni con
percentuali di distruzioni
mediamente superiori al 40%, e
con devastanti punte del 99% a
Castelforte, del 97% ad Aprilia, del
95% a Spigno Saturnia, del 94% a
Cisterna, del 93% a Fondi (3). In
definitiva, la percezione che la
battaglia per lo sfondamento della
Linea Gustav fosse stata soprattutto
l’epicedio funebre di Cassino si era
affermata anche per la forte
emozione suscitata dall’insensato
bombardamento e dalla
conseguente distruzione
dell’Abbazia, per cui il Governo, anche sotto la spinta del
primo sindaco di Cassino del dopoguerra, Gaetano Di
Biasio, aveva, come si è detto, adottato un pacchetto di
provvedimenti per la rinascita dell’intero Cassinate. Pur
nella ovvia solidarietà che i fatti non potevano non
suscitare, è, peraltro, comprensibile che i Sindaci dei
Comuni della provincia di Latina desiderassero attirare
l’attenzione anche sull’elevato grado di partecipazione alla
guerra e sulla notevole razione di danni che anche i loro
paesi avevano patito.
Nacque proprio da questo la piccola polemica cui si
accennava in apertura. Quando dai giornali si apprese del
viaggio che Enrico De Nicola (4) si accingeva a compiere
nella Ciociaria, i sindaci di Cisterna, Terracina, Fondi, Itri,
Formia e Minturno (5) rivolsero richiesta perché il Capo
dello Stato “si compiaccia brevemente sostare nei rispettivi
Comuni per ricevere l’omaggio delle popolazioni” (6). In
una sua lettera al Capo provvisorio dello Stato, il prefetto
ricordava le vicende belliche che avevano interessato il
territorio, ed, in particolare che “Cassino e Cisterna sono
stati il fulcro della grande battaglia combattuta per la
liberazione di Roma e costituiscono un insieme che non può
essere frazionato”. E concludeva: “La richiesta dei Sindaci
è l’espressione del desiderio
spontaneo e ardente delle
popolazioni di questa zona
sinistrata, che attende alla
ricostruzione con alto spirito
patriottico, ed ho, perciò, l’onore di
perorarne caldamente
l’accoglimento”. E con un gesto in
qualche modo audace e
spettacolare in un funzionario
dello Stato, Orrù anticipando la
attesa risposta positiva, “si
permetteva” di allegare anche
“uno schema di itinerario”. De
Nicola era uomo generoso e
intelligente e non fece passare 24
ore per dare la sua risposta
affermativa, trovando anche
un’elegante via d’uscita per
giustificare l’annullamento della visita già programmata nel
Cassinate e rielaborando un diverso e più ampio (e
faticoso) viaggio. Scrisse, infatti, ad Orrù il 17 gennaio che
il viaggio “nella zona Cassinese è stato rinviato per
impedimento dei Ministri che dovevano accompagnarmi”. E
assicurava la visita ai Comuni pontini nella nuova occasione
da programmare (7). E l’occasione fu creata in breve
tempo, perché la visita in provincia di Latina venne fissata
per il giorno 2 aprile (8) . Nell’impartire telegraficamente le
direttive generali in vista di essa, il Ministero dell’Interno,
“per espresso desiderio Personalità” (ossia di De Nicola), si
preoccupava soprattutto di due cose: “evitarsi modo
assoluto largo impiego forze pubbliche” e “non costituire
Civili tra le macerie
Anno I n° 1 Medaglia d’Oro - Saggi
74
Medaglia d’Oro - Saggi
ostacolo at popolo di liberamente manifestare at Capo
Stato” (9). Altri tempi. Ciononostante, il Questore di Latina,
Giuseppe Salazar, nel predisporre il piano dei servizi, si
preoccupò di assicurare “le misure di vigilanza per evitare
qualsiasi sorpresa”, attraverso controllo “sugli alberghi,
locande ed affittacamere per identificare le persone ivi
alloggiate, sottoponendo a vigilanza stranieri o persone
politicamente sospette” [una frase che era un non
dimenticato stilèma dei tempi appena trascorsi, NdA], e il
preventivo controllo delle strade lungo le quali il corteo
sarebbe passato, comprese le ispezioni delle fognature e
dei chiusini, secondo abitudini mai perdute. Quanto al
popolo, De Nicola si preoccupava che esso potesse
liberamente manifestare, mentre Salazar impartiva la
disposizione di trattarlo “con garbo non disgiunto dalla
dovuta energia” (10). Ogni comune da visitare aveva il
proprio funzionario di polizia responsabile, la propria
forza assegnata, incluso un nucleo di poliziotti di riserva da
tenere pronti ad intervenire in caso di necessità. Il Questore
Salazar aveva qualche motivo per preoccuparsi, perché,
malgrado il clima politico di grande attesa verso colui che,
dopo tanti anni, sostituiva l’ormai dimenticato Mussolini
nella guida del Paese, c’era stato qualche episodio che
denunciava il persistere di nostalgie all’epoca mal tollerate
(11). Malgrado i gravissimi danni subiti, la provincia aveva
iniziato rapidamente la ripresa, che sarebbe divenuta
impetuosa negli anni immediatamente successivi, anche se
nel 1947 si scontavano ancora i traumi della guerra,
manifestatisi sia nei cittadini morti (circa 7000 mila), sia
nelle emigrazioni forzate, temporanee o definitive anche di
interi paesi (Campodimele, Cisterna). Anche il quadro
demografico era in rapida evoluzione. Secondo il
censimento legale del 1936, infatti, la provincia di Littoria
contava 235.074 residenti (12), mentre la Prefettura ne
Anno I n° 1
Gli evidenti segni della guerra in Piazza Costanzo Ciano a Terracina
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registrava già 261.060 al 31 dicembre 1946. La guerra
aveva, però, lasciato una scia di malattie, ad iniziare da
una recrudescenza malarica spiegata in diversi modi (13),
che assunse carattere virulento, colpì migliaia di persone
tanto nel nord provincia che nel sud, e che venne,
fortunatamente repressa in tempi ristretti, pur se ricorrendo
anche al DDT, micidiale per gli insetti ma seriamente
pericoloso anche per l’uomo. Quando De Nicola attraversò
l’area, la pandemia era praticamente scomparsa, e la
popolazione era davvero protesa verso il nuovo, che il
Presidente della Repubblica rappresentava. Si comprende,
così, l’affettuosa pressione cui egli venne sottoposto, anche
da parte di frazioni, come Tufo di Minturno, che, attraverso
il sindaco Nicola Bochicchio, democristiano, chiese al
Prefetto di sollecitare una
deviazione. Che non avvenne
perché il viaggio da compiere in
una sola giornata, con una
quantità di soste, di discorsi, di
premure, attraverso gli oltre 120
km di lunghezza della Provincia,
era di per sé una grossa fatica (e
De Nicola aveva già 70 anni). E se
era inevitabile che le isole
restassero fuori itinerario (il
sindaco di Ponza Vincenzo
Mattera, come il suo collega di
Ventotene Fortunato Verde erano
stati, peraltro, impediti dal
maltempo che aveva bloccato la
partenza del piroscafo, a
partecipare), meno gradita fu la
mancata sosta a SS Cosma e
Damiano, Comune che era stato appena ricostituito col
distacco da Castelforte. In una lettera indirizzata allo stesso
Capo dello Stato e ad una sequela di indirizzi, si
recriminava il fatto che “non era stato nemmeno possibile
vederne la figura”, perché De Nicola non venne fatto
scendere dall’auto in cui si trovava, dato il maltempo, “l’ora
tarda e per l’entusiasmo, forse un po’ troppo caloroso”,
circostanze che sconsigliarono di esporlo, con grandissima
delusione dei presenti (14). De Nicola era poi ripartito dal
sud alle 21.30 per Roma. Il viaggio fornì l’occasione ai
Sindaci per esporre la gravità della situazione in cui i
rispettivi paesi versavano, e per sollecitare, quindi,
l’estensione ai centri maggiormente colpiti delle
provvidenze governative riservate all’area del Cassinate.
Nel fascicolo relativo al viaggio, conservato presso
l’Archivio di Stato di Latina, sono rimaste tre relazioni:
quella del Comune di Cisterna, a firma di Felice Leonardi,
quella di Gaeta, che fu presentata dal sindaco Giovanni
Cesarale e quella di Minturno, di Nicola Bochicchio, oltre a
qualche sintetica nota per altri Comuni. Al di là di alcune
enfasi, le tre relazioni fanno riferimento ad altrettante
situazioni drammatiche, perché, sia pure con alcune
diversità, tutti e tre i Comuni erano stati duramente provati
dal passaggio della guerra.
Vediamo rapidamente il quadro
che emerge dai tre documenti.
Cisterna. Il sindaco ricorda che
mentre circa 4000 abitanti erano
ancora nei “centri di raccolta per
profughi di Sabaudia, Latina, Roma
e in altre parti d’Italia”, la metà
circa degli 11 mila cittadini rientrati
dallo sfollamento “sono tutt’ora
ricoverati allo stato primitivo sotto
baracche e tuguri, sia in paese che
in campagna”. Si chiedevano,
perciò, fondi per case popolari, si
sollecitava la liquidazione dei
danni di guerra (l’iniziativa privata
per il ripristino delle case
danneggiate era attivissima, ma il
ritardo nei pagamenti faceva
correre il rischio “che gli interessi pagati alla Cassa di
Risparmio di Latina per le relative anticipazioni riducano
sensibilmente” i pagamenti dello Stato); e, soprattutto, si
cercava di evitare che le numerose case rurali passassero
dalla competenza del Genio Civile a quella dell’Ispettorato
Agrario di Roma, che avrebbe ritardato enormemente
l’attesa liquidazione. Insomma, Cisterna non aspettava
tutori, si era già mossa di buona lena, ma chiedeva quel che
le spettava, inclusa l’approvazione del piano di
Rovine a Castelforte
Medaglia d’Oro - SaggiAnno I n° 1
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Medaglia d’Oro - Saggi Anno I n° 1
Ricostruzione, che era fermo all’esame del Ministero dei
Lavori pubblici. Emerge dal promemoria anche l’immagine
dolente dei danni ancora “vivi”: i ponti distrutti della
Cisterna-Aprilia, l’inutilizzabilità di gran parte del palazzo
comunale, la mancanza di aule scolastiche, di fogne, di un
lavatoio pubblico e di “gabinetti pubblici di decenza ed
orinatoi”. Si passava, quindi, ai “desiderata della
Popolazione”: il risarcimento dei danni di guerra per mobili
e biancheria, l’esenzione dal pagamento della sovrimposta
fondiaria, il contenimento degli accertamenti dei redditi di
ricchezza mobile. Insomma, si chiedeva, con grande
dignità, “il minimo indispensabile”.
Gaeta. Tornano anche nella relazione di Cesarale le
richieste per risarcimenti, per il ripristino dell’acquedotto,
per la ricostruzione delle case ridotte in macerie, ma anche
altri segnacoli del passaggio della guerra: la ricostruzione
della casa comunale, delle scuole elementari, del mattatoio,
del tronco ferroviario Gaeta-Formia, interrotto dal crollo di
alcune arcate dei 25 Ponti; delle banchine portuali, minate
dai tedeschi, dell’Episcopio, della cattedrale e delle chiese
parrocchiali distrutte o gravemente danneggiate. E
incalzavano altre istanze: l’esenzione da imposte e tasse, in
quanto comune sinistrato del Garigliano, la bonifica del
pantano di S. Agostino, il ripristino del servizio
trisettimanale Gaeta-Ponza (“che ora funziona solo
saltuariamente”), il “ripristino degli Uffici pubblici aboliti e
trasportati altrove dal passato regime”, come l’Ufficio del
Registro e il Distretto militare.
Minturno. L’emergenza più grave era la mancanza di
acqua potabile, fatta eccezione per la sola frazione di
Scauri. Si procedeva con “acqua non analizzata” derivata
dalla sorgente Genzano, mentre nelle frazioni si beveva
acqua dai pozzi, con tutti i rischi connessi. E l’elettricità
mancava ancora a Tufo, S. Maria Infante, Pulcherini e
Tremensuoli. La Società Elettrica della Campania, alle
sollecitazioni comunali, rispondeva che era in attesa del
legname per la palificazione. Minturno pativa inoltre per le
case pericolanti e la quantità di macerie di edifici demoliti
e non sgomberati, ai quali si faceva anche risalire la
recrudescenza malarica che “da tre anni ha infierito su
questa popolazione”. Concorreva a creare condizioni di
disagio il fatto che tre piccoli rivi, il S. Domenico, il
Capolino e il Capodacqua sboccavano irregolarmente nel
largario di piazza Roma e nei pressi dell’ex cinema
Capolino, formando pozze di ristagno. E mentre si
registrava, finalmente, l’apposizione dei vetri alle finestre
delle scuole, si lamentava ancora lo sfacelo del carcere
mandamentale e dei locali della pretura, degli edifici
comunali, delle case che impedivano il rientro dei cittadini
raccolti ancora nei centri profughi, come per Cisterna,
Le truppe algerine rastrellano Castelforte
77
Medaglia d’Oro - Saggi
dell’ospedale civile la cui attrezzatura sanitaria era stata
spogliata dai tedeschi. Si chiedeva, poi, la bonifica degli
ordigni bellici: “Dalla liberazione ad oggi – annotava il
sindaco – oltre 250 sono state le vittime cadute sul lavoro”
a causa delle mine e degli esplosivi lasciati nei campi. Al
tutto, poi, si aggiungeva l’inaccettabile imposizione
tributaria fondiaria, sui redditi agrari e sui contributi
unificati: proprio in quei giorni erano stati messi in
riscossione i ruoli 1945 e 1946, fatto che aveva “provocato
un risentimento nella popolazione perché non viene usata
ad essa lo stesso trattamento dei Comuni del Cassinate, con
i quali Minturno forma una cosa sola per le vicende belliche
patite in comune”: il che significava esenzione
quinquennale da tasse e imposte, ed, anzi, una
“legislazione speciale”.
SS Cosma e Damiano. Per il paese appena ricostituito è
conservato un pro-memoria anonimo, che reca come
“firma” la frase “debitamente sottoscritta dalla
Cittadinanza”. Vi si chiede la costruzione della casa
comunale, di case per senza tetto, di villaggi Unrra per
agevolare il rientro dei profughi, la sistemazione della
strada SS Cosma-S. Lorenzo e il collegamento con Ventosa.
Formia. Per la città tirrenica si dispone di un appunto del
Questore Salazar: in occasione della visita che il Ministro
dei Lavori Pubblici Umberto Tupini compì a Gaeta e Formia
il 6 ottobre, l’alto funzionario scrisse in un promemoria che
lo stesso Tupini aveva assegnato “con suo immediato
provvedimento”, 88 milioni di lire per la riparazione di
case, la ricostruzione della chiesa di S. Teresa, dei
marciapiedi, della strada di accesso al porto, per lo
sgombero di macerie [molte delle quali sarebbero andate a
colmare lo specchio d’acqua sul sito dell’attuale Largo
Paone, NdA], e per lavori a Maranola, Trivio e
Castellonorato.
Anno I n° 1
SS Cosma e Damiano dilaniato dai bombardamenti
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Medaglia d’Oro: Saggi
NOTE
(1) De Nicola fu eletto inizialmente Capo provvisorio dello Stato. Divenne
il primo Presidente della Repubblica il 1° gennaio 1948.
(2) Tutti i documenti qui citati, se non diversamente annotati, provengono
dall’Archivio di Stato di Latina - Prefettura di Latina, Busta 185 – Fasc. 9/I.
(3) Va tenuto conto che al momento dell’impatto bellico Aprilia (al centro
di quattro sanguinose battaglie tra gennaio e maggio 1944) e Spigno
Saturnia, demolita a colpi di dinamite dai tedeschi, erano poco più di
piccoli borghi come entità edilizia e demografica. Secondo la Prefettura, i
dati di inabitabilità delle abitazioni negli altri Comuni erano i seguenti:
Cori 43% (ma Giulianello 65%), Formia 75% (ma Castellonorato 84%),
Gaeta 70%, Itri 69%, Latina 46% (ma i Borghi Carso, Piave, Podgora e
Sabotino 100%), Lenola 52%, Minturno 58% (ma Scauri 68%, Simonelli
69%, mentre la coventrizzata S. Maria Infante viene “accreditata” di un
assai poco credibile 43%), Sperlonga 62% e Terracina 49%. Per la cit., v.
nota 1. Quelle valutazioni meritano qualche ritocco, ma esse valgono,
comunque, a dare il senso del “percepito”, come sentimento generale, ma
anche dell’effettualità se si tiene conto da un lato delle denunce dei danni
di guerra e, soprattutto, della richiesta di alloggio che perveniva ai Comuni
e alla stessa Prefettura.
(4) Enrico de Nicola nacque il 9 novembre 1877 e morì il 1 ottobre 1959.
(5) Lettera del prefetto di Latina Gaetano Orrù al Presidente De Nicola, s.d.
nella velina, ma molto probabilmente del 16 gennaio 1947. Questa,
difatti, è la data della lettera che Orrù spedì al Capo di Gabinetto di De
Nicola, avvocato Umberto Collamarino: a questa lettera era allegata la
richiesta indirizzata a De Nicola, secondo intese che i due avevano
concordato. La lettera venne portata a mano a Roma dal vice questore
Marchitto. Per la cit. v. nota 1.
(6) Credo non sia del tutto fuori luogo osservare il tono deferente usato nel
rivolgersi al Capo dello Stato, quando verso le Istituzioni, pur in un intento
vagamente polemico, si usava innanzitutto la regola del Rispetto, oggi
gravemente messa in crisi.
(7) Lettera del Capo provvisorio dello Stato al Prefetto Orrù, 17 gennaio
1947. Per la cit. v. nota 1.
(8) La cronaca dei preliminari registra un paio di programmi diversi: quello
finale comprendeva l’arrivo a Cisterna alle 8.30 e la partenza alle ore 9;
l’arrivo a Latina alle 9.20 e la partenza alle 10.30; arrivo a Terracina alle
11.15 e partenza alle 11.45; a Fondi, rispettivamente, ore 12.15 e ore
12.45; a Itri ore 13.15 e ore 13.30; a Gaeta ore 15.15 e ore 15.45; a
Formia ore 16 e 16.30; a Scauri ore 16.45 e ore 17; a Minturno ore
17.30 e 17.45; a Castelforte ore 18.15 e 18.30. Poi ritorno a Roma. La
giornata sarebbe stata interrotta da una “colazione al sacco”, prevista alle
ore 14.15, tra la visita a Itri e quella a Gaeta. Non è indicato se De Nicola
abbia consumato il suo frugale pasto in macchina. L’onorevole Vittorio
Cervone, all’epoca segretario provinciale della Democrazia Cristiana e
non ancora deputato, ricorda gustosamente le corse che dovette fare per
imbandierare con lo Scudo Crociato, emblema del suo partito, il percorso
del corteo delle auto, man mano che si spostava.
(9) Telegramma del Ministero alla Prefettura di Latina del 27 marzo 1947,
in cifra. Per cit. v. nota 1.
(10) Circolare del Questore di Latina alle autorità locali in data 30 marzo
1947. V. nota 1.
(11) Va ricordato che erano già stati segnalati episodi di risorgenze
fasciste, per le quali rinvio al mio La nascita del Movimento Sociale italiano
a Formia, in Brevi note, sui partiti politici in provincia di Latina. Primi
materiali per un progetto di ricerca storica e di tutela degli archivi, a cura
di A. Attanasio e P.G. Sottoriva, Latina 2005.
(12) Va, tuttavia, considerato che nella popolazione al 1936 non erano
compresi ancora i circa 2000 abitanti che Aprilia aveva subito dopo
l’inaugurazione; inoltre, Ponza annoverava anche i confinati, pur
forzatamente residenti. Infine, fra il 1936 e il 1940 Littoria aveva
incrementato in qualche modo la sua popolazione.
(13) La tesi del ritorno dell’anòfele per effetto dei sabotaggi alle opere di
bonifica e ai conseguenti allagamenti di ampi tratti della pianura è
affacciata da diversi autori, anche malariologi, e da ultimo sintetizzata in
Frank M. Snowden, The Conquest of Malaria, Italy 1900-1962, Yale
University Press, New Haven & London, dicembre 2005, che sostiene la
volontà dei tedeschi di vendicarsi del tradimento italiano reintroducendo la
zanzara portatrice del plasmodium malariae e vi sono le condizioni
causate dalle distruzioni (ristagni d’acqua, putredine, ecc.). V. in questa
stessa Rivista il saggio L’esplosione malarica post-bellica: Fu un attentato
biologico studiato?
(14) Lettera di Franco Sparagna e altri, della Sezione del Pci, in data 3
aprile 1947. Nella lettera ci si rammaricava anche del fatto che,
contrariamente che a SS Cosma, De Nicola aveva fatto una breve sosta
“nel vicino Comune di Castelforte fascista e monarchico”, e che “era sceso
dalla macchina dando piena soddisfazione ai nemici della Repubblica”.
Era dovuto intervenire a placare gli animi il ministro Sereni, che si trovava
al seguito. Un altro piccolo incidente diplomatico era avvenuto la mattina,
in occasione del breve ricevimento presso la Prefettura di Latina, dove il
Presidente del Gruppo di Latina dell’Unione nazionale degli Ufficiali in
congedo, capitano Augusto Lavoriero, per un disguido, era stato trattenuto
all’ingresso e impedito di partecipare all’incontro. Si era rammaricato in
una lettera al prefetto Orrù, e questi si era scusato dell’inconveniente anche
“come vecchio ufficiale in congedo”. Lavoriero fu anche esponente politico
dell’immediato dopoguerra. A proposito si riorganizzazione politica, va
ricordato che il 20 febbraio 1947 il Questore aveva reso noto che in
provincia operavano cinque “partiti di massa”: Dc, Pci, Psi, Pri e Uomo
Qualunque, i cui segretari erano, rispettivamente: Vittorio Cervone,
Severino Spaccatosi, Giuseppe Pompili, Pietro Ballerini e Umberto Bruno.
Operavano, inoltre, il Partito d’Azione (Cornelio Rosati), il Partito
democratico del Lavoro (Vito Tommaso Budelli) e il Pli (Attilio Pilone).
Anno I n° 1
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di AGOSTINO ATTANASIO*
naugurata il 2 giugno nei giardini del Palazzo del
Governo e successivamente ospitata nei Comuni di
Latina, Sermoneta, Gaeta, Terracina, Castelforte e
Fondi, si è conclusa a Ventotene l’otto settembre 2006
l’itinerario della mostra documentaria “La nascita della
Repubblica in provincia di Latina” realizzata dall’Archivio
di Stato in collaborazione con la Provincia di Latina
nell’ambito delle celebrazioni del 60mo anniversario del
referendum istituzionale del 2 giugno 1946 che la
Prefettura di Latina ha promosso e coordinato.
Le finalità della mostra documentaria, che nei prossimi mesi
potrà essere visitata in altri luoghi pubblici e in alcuni istituti
scolastici della provincia sono già implicitamente contenute
nel suo titolo e nel contesto istituzionale in cui essa nasce:
ripercorrere le vicende della nostra provincia nel momento
in cui l’Italia, il 2 giugno di sessant’anni fa, scelse la forma
repubblicana di Stato, con una consultazione referendaria
in cui per la prima volta le donne ebbero diritto di voto.
Fu l’inizio di una nuova storia, su cui tuttavia la mostra
documentaria si affaccia soltanto. Essa dà invece uno
spazio maggiore agli accadimenti che portarono alla
nascita della Repubblica, agli avvenimenti che dalla caduta
di Mussolini giungono all’armistizio, alla fine della guerra,
alla nascita dei primi governi democratici e all’iniziativa dei
partiti politici nell’immediato dopoguerra. Si sofferma in
particolare sui disastri della guerra, gravissimi proprio nella
nostra provincia, che dal 1943 alla liberazione del suo
territorio (maggio ‘44) subì i bombardamenti degli Alleati e
l’occupazione dell’esercito tedesco, e dal gennaio del 1944
fu stretta tra i due fronti del Garigliano e della testa di ponte
di Anzio-Nettuno. Riprendere queste pagine della nostra
storia è peraltro il modo migliore per rendere omaggio alle
sofferenze di quegli anni, che il Presidente Ciampi, il 25
aprile di quest’anno, ha voluto ricordare e onorare
conferendo alla Provincia di Latina la medaglia d’oro al
merito civile.
Ma nei suoi ultimi pannelli la mostra documentaria propone
i temi e i materiali di propaganda dei partiti alla vigilia
della lotta elettorale del 1946: manifesti, volantini e vignette
di rara incisività che evocano con grande forza il clima del
tempo. E riprende i risultati del referendum e delle elezioni
per l’Assemblea costituente, sia a livello nazionale che nei
Comuni della provincia di Latina, mostrando con l’evidenza
Medaglia d’Oro - Saggi: La nascita della RepubblicaAnno I n° 1
I
SESSANT’ANNI DI LIBERTA’SESSANT’ANNI DI LIBERTA’
80
dei grafici la netta ed omogenea affermazione della scelta
repubblicana nel Centro-Nord, e la vittoria monarchica in
tutto il Meridione, a partire proprio dal nostro collegio di
Roma, Frosinone, Latina e Viterbo: una differenziazione nei
comportamenti elettorali che in qualche modo si riflette
anche nelle nostra provincia dove alla Repubblica va il 55%
delle preferenze e sono tutti collocati nel sud pontino i nove
Comuni ove prevale la Monarchia: Monte San Biagio,
Sperlonga, Gaeta, Formia, Castelforte, Ventotene,
Minturno, Lenola e Spigno Saturnia. Inoltre, un paio di
documenti individuati proprio in occasione della
ricognizione delle fonti realizzata per la mostra
documentaria ha consentito di esporre per la prima volta i
risultati referendari delle ventuno sezioni del Comune di
Latina, facendo vedere la significativa differenzianzione tra
il centro urbano, ove di poco prevale la Monarchia, ed i
borghi, che scelgono la Repubblica con percentuali molto
alte (a Borgo Bainsizza addirittura con l’83%). Infine, la
mostra si conclude raccontando l’episodio che condusse
all’adozione dell’emblema della Repubblica, elaborato da
Paolo Paschetto e poi modificato in collaborazione con
Duilio Cambellotti, autore a Latina e in altri Comuni della
nostra provincia di tante opere di straordinaria bellezza.
Ad una mostra documentaria viene di solito assegnato il
compito di comunicare ad un pubblico il più largo possibile
quanto la ricerca storica e gli studi specialistici hanno già
acquisito. E’ stato così anche per la mostra documentaria
realizzata dall’Archivio di Stato in occasione del 60mo
anniversario della nascita della Repubblica. Essa infatti si
avvale, per la parte dedicata agli avvenimenti storici di
livello nazionale, del catalogo della mostra realizzata
vent’anni fa dall’Archivio Centrale dello Stato in occasione
del 40mo anniversario della Repubblica e, per la parte
dedicata alla storia della nostra provincia, utilizza studi e
ricerche consolidate. In altri casi, tuttavia, la mostra offre
materiale del tutto inedito, com’è soprattutto per la prigionia
di Mussolini a Ponza (28 luglio-7 agosto 1943), o per
l’analisi dei risultati del referendum istituzionale a Latina.
I tredici pannelli che costituiscono la mostra procedono
cronologicamente dal 1943 al 1946 seguendo due paralleli
livelli di narrazione, graficamente contraddistinti da due
loghi diversi: nel primo sono rapidamente sintetizzate le
vicende nazionali (qui con il titolo in tondo), mentre nel
secondo è proposta la lettura dei più significativi documenti
di storia locale (titoli in corsivo).
25 luglio - 8 settembre 1943.
Dalla caduta di Mussolini all’armistizio
Mussolini prigioniero a Ponza
8 settembre 1943 – 4 giugno 1944.
Dall’armistizio alla liberazione di Roma
Dal Garigliano all’area pontina
I disastri della guerra in terra pontina
I giorni della transizione nei Comuni pontini
Medaglia d’Oro - Saggi: La nascita della Repubblica Anno I n° 1
Un ritaglio di giornale contenente i risultati del Referendum del 2 giugno 1946
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4 giugno 1944 – 2 giugno 1946.
Dalla liberazione di Roma alla Repubblica
La propaganda dei partiti politici in Italia
Verso le elezioni del 1946 in provincia di Latina
Liste e propaganda in provincia di Latina
2 giugno 1946.
I risultati elettorali in Italia
1946. I risultati elettorali in provincia di Latina
La Repubblica italiana e il suo emblema
Ma la conclusione del primo itinerario della mostra a
Ventotene non è privo di significato. Nell’isola che ha legato
il suo nome all’europeismo e agli ideali di pace, libertà e
democrazia fissati nel “manifesto di Ventotene” di Altiero
Spinelli, Ernesto Rossi e Eugenio Colorni, proprio l’8
settembre, in una data di vasta risonanza storica, si è svolto
un incontro pubblico per presentare e discutere le iniziative
che la Provincia di Latina e l’amministrazione degli Archivi
di Stato intendono avviare a partire dal prossimo mese di
ottobre per richiamare il ricordo degli anni che hanno
portato alla nascita della Repubblica e per diffondere tra le
giovani generazioni le idealità che hanno accompagnato
quella storia.
Dopo i saluti del sindaco di Ventotene Giuseppe Assenso,
che durante la fase di organizzazione delle celebrazioni del
60mo anniversario del 2 giugno aveva sollecitato l’approdo
della mostra documentaria a Ventotene proprio allo scopo
di rinsaldare il legame iconico dell’isola con la storia
repubblicana e la vita democratica del Paese, il Prefetto di
Latina, Alfonso Pironti, ha ricordato le tante manifestazioni
che si sono svolte in provincia di Latina per festeggiare la
nascita della Repubblica, recependo a pieno le indicazioni
date nel mese di aprile dal presidente Ciampi, ed ha
sottolineato il particolare valore educativo delle inizative
rivolte ai giovani.
A tale proposito, Alessandro Maracchioni, Assessore alle
politiche della scuola della Provincia, intervenuto anche a
nome del Presidente Armando Cusani, ha avanzato la
proposta di portare la mostra documentaria per la nascita
della Repubblica negli Istituti scolastici superiori della
provincia per richiamare il ricordo di quegli anni decisivi e
per diffondere tra le giovani generazioni le idealità che
hanno accompagnato quella storia, studiando magari
ulteriori forme di comunicazione dei suoi contenuti.
Chi scrive ha ripercoso in breve le tappe più significative
della mostra documentaria e ha impegnato l’Archivio di
Stato di Latina a organizzare quest’anno, con l’apporto di
storici di rilievo nazionale, un convegno di studi che si
avvalga di un insieme significativo di ricerche di prima
mano sulle fonti archivistiche con l’intento di avviare un
Anno I n° 1 Medaglia d’Oro - Saggi: La nascita della Repubblica
Littoria appena liberata dagli alleati
82
ciclo di indagini in settori ancora poco frequentati: i primi
anni della nostra Repubblica ed il periodo della
ricostruzione, l’organizzazione dei partiti politici e la
formazione delle classi dirigenti.
Da parte sua il direttore generale per gli Archivi, Maurizio
Fallace, ha apprezzato e fatto propria l’articolazione della
mostra documentaria, ed ha confermato l’impegno del
Ministero per i Beni e le Attività Culturali nel promuovere nei
maggiori Archivi di Stato italiani iniziative analoghe che
con il consueto rigore scientifico sappiano connettere alla
storia nazionale di quegli anni la narrazione delle tante,
variegate, e talvolta poco conosciute, vicende locali. Per
giungere infine, a conclusione delle celebrazioni del 60mo
anniversario, ad una mostra documentaria nazionale da
realizzare presso l’Archivio Centrale dello Stato che
conserva le fonti più importati per la storia italiana in età
contemporanea.
I due livelli del racconto storico della mostra – locale e
nazionale -, sono stati infine ripresi nelle relazioni di Pier
Giacomo Sottoriva e di Aldo G. Ricci, cui era richiesto di
tratteggiare, in provincia di Latina e in Italia, il quadro
storico degli anni che dalla caduta di Mussolini giungono
fino alla nascita della Repubblica.
Pier Giacomo Sottoriva, autore di diversi studi sugli
avvenimenti bellici nel territorio pontino (e da ultimo:
Cronache da due fronti, Latina: 2004), si è soffermato in
particolare sulle conseguenze della guerra. Nata come la
più giovane e la più fascista delle province italiane, la
provincia pontina subì non soltanto il sacrificio di tante
vittime civili e di ingenti danni materiali nelle sue strutture
economiche, ma fu pure chiamata a superare,
nell’immediato dopoguerra, una sorta di mutazione
genetica che ebbe forse conseguenze durature sulla
formazione della sua classe dirigente.
Infine Aldo G. Ricci, sovrintendente all’Archivio Centrale
dello Stato ed autore per il Mulino di un volume dedicato
proprio alla Repubblica (La Repubblica, Bologna: 2001),
conoscitore impareggiabile delle fonti storiche di questo
periodo, si è soffermato soprattutto sull’attività e sulla
propaganda dei partiti politici dalla Liberazione al
referendum istituzionale, quasi anticipando i contenuti di
quella che sarà la mostra documentaria che presso
l’Archivio Centrale dello Stato, a Roma, concluderà a
giugno le celebrazioni del 60mo anniversario della nascita
della Repubblica.
Medaglia d’Oro - Saggi: La nascita della Repubblica Anno I n° 1
L’emblema della Repubblica Italiana
* Direttore dell’Archivio di Stato di Latina