PROGETTI E OPERE DI ÁLVARO SIZA IN ITALIA. UN VIAGGIO ...

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È un duplice viaggio quello proposto negli scorsi mesi dalle mostre che l’Accademia Nazionale di San Luca ha dedicato ad Á lvaro Siza Vieira. Un viaggio attraverso l’Italia e altri luoghi del mondo, nei quaderni di disegno dell’architetto portoghese in dialogo con le fotografie di Giovanni Chiaramonte (La misura dell’Occidente. Álvaro Siza, Giovanni Chiaramonte), e un viaggio attraverso l’opera di Siza (Il Grand Tour. Álvaro Siza in Italia 1976-2016 ), negli incontri e nelle occasioni di architettura che hanno consolidato il suo rapporto ormai quarantennale con il nostro paese e con la cultura progettuale italiana.Se il contrappunto tra disegni di viaggio e fotografie, curato da Roberto Cremascoli e Laura Geronazzo, tracciava due itinerari visivi ed elettivi paralleli – che iniziano in Italia per poi muovere all’esplorazione di altri paesaggi, di altre architetture e culture, in Europa e nel mondo –, la mostra curata da Francesco Moschini e Roberto Cremascoli ha documentato invece la presenza di Siza in Italia, ricostruendone i decisivi momenti di riconoscimento1 e la fortuna critica2, e soprattutto ripercorrendone le tappe fonda-mentali, attraverso gli oltre venti tra progetti e opere – compiute o in corso di realizzazione – che costituiscono l’articolato e com-plesso segno, tuttora in divenire, di Siza nel nostro paese. La cultura architettonica italiana, d’altra parte, è stata tra le prime – sin dagli anni settanta, e in particolare dalle pagine di riviste come “Controspazio” e “Casabella” – a riconoscere il lavoro di Siza quando ancora non erano esauriti gli effetti del lungo isola-mento salazarista, contribuendo così in modo decisivo alla sua successiva consacrazione internazionale, e alla conseguente e progressiva affermazione dell’architettura portoghese nel pano-rama contemporaneo. Di qui iniziano per Siza anni di continue conferme progettuali, attraverso progetti e realizzazioni che di-venteranno pietre miliari dell’architettura del secondo Novecen-to, a cominciare dal complesso residenziale di Schlesisches Tor (il Bonjour Tristesse) per l’IBA berlinese.Distante da quegli eccessi mediatici che troppo spesso distorcono il dibattito architettonico contemporaneo, la mostra curata da Mo-schini e Cremascoli all’Accademia di San Luca non è una elegiaca celebrazione di uno dei più importanti architetti del nostro tempo, quanto piuttosto un ripercorso fondativo, che attraversa e ricon-

giunge le numerose tappe del rapporto di reciproca attrazione e contaminazione che lo lega all’Italia, consentendo così di rileggere in filigrana molti dei caratteri peculiari della sua intera opera.Il rapporto tra Siza e l’Italia appare caratterizzato da una sorta di domestica familiarità, come dimostrano tra l’altro la presenza pressoché costante di apprendisti italiani nel suo studio, i pro-getti a quattro mani intrapresi nel corso del tempo con più giova-ni architetti (a partire dal rapporto molto fecondo, soprattutto in ambito siciliano, con Roberto Collovà), o ancora gli intensi e con-tinuativi dialoghi instaurati con architetti e critici italiani come, tra gli altri, Vittorio Gregotti, Aldo Rossi, Emilio Battisti, Pierluigi Nicolin, Francesco Venezia e Francesco Moschini. È il racconto di un legame intimo e profondo, che non si esaurisce nella pur evidente appartenenza ad un comune orizzonte mediterraneo. Dall’itinerario nel lavoro di Siza che la mostra ricostruisce tra-spare per altro la generosità e la paziente dedizione con cui egli sa interpretare il mestiere dell’architetto, e con cui ha saputo prendersi cura anche dei diversi contesti italiani in cui è stato chiamato a intervenire, affrontando caso per caso complessità e contraddizioni di vicende progettuali di lunga durata, e dalle alterne fortune.Il suo viaggio ancora in fieri nella nostra penisola è infatti se-gnato da progetti interrotti (come quelli degli anni novanta per le Universiadi a Palermo e per il Municipio di Caorle, o come la “freccia poetica” del progetto giubilare per la Chiesa romana di Santa Maria del Rosario alla Magliana, oppure ancora come il progetto per il riassetto del Corso Sempione a Milano e per la nuova sala per la Pietà Rondanini al Castello Sforzesco); da realizzazioni parziali o incomplete (è il caso dei progetti per la ricostruzione di Salemi, colpita dal terremoto del Belice); da can-tieri travagliati (emblematico è quello della stazione “Municipio” della metropolitana napoletana, avviato quattordici anni fa, poi a lungo interrotto e infine ripreso, ma non ancora completato); da interventi complessi intrapresi pur in assenza delle risorse che ne garantiscano la completa attuazione (come nel caso del Parco della Musica alle cave di Lecce, la cui realizzazione è stata avviata per stralci).In mostra, il viaggio italiano di Siza è scandito per luoghi e per sta-

PROGETTI E OPERE DI ÁLVARO SIZA IN ITALIA. UN VIAGGIO LUNGO QUARANT’ANNIdi Lorenzo Pietropaolo

Álvaro Siza, Interno del Pantheon, dal Quaderno 66, ottobre 1980, Roma; in basso, da sx: Complesso residenziale a Campo di Marte, Giudecca, Venezia, 1985 - in corso. Foto Alberto Lagomaggiore, 2008; veduta dell’allestimento della mostra Álvaro Siza Vieira. Scultura - Il piacere del lavoro, A.A.M. Architettura Arte Moderna, Milano, 1999 © Collezione Francesco Moschini e Gabriel Vaduva A.A.M. Architettura Arte Moder-na; Padiglione temporaneo al Foro Romano per la consegna del Premio Presidente della Repubblica, modello di studio, 2016 © Álvaro Siza, Accademia Nazionale di San Luca; Chiesa di Santa Maria del Rosario, Roma, 1998, modello realizzato nel 2016 per l’esposizione Álvaro Siza, Sacro, MAXXI, Roma, 2016-17. Foto Nicolò Galeazzi; in alto, nella pagina accanto: Álvaro Siza, Nuova sala per la Pietà Rondanini al Castello Sfor-zesco, Milano, 1999-2005, disegni di studio.

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gioni: da quella del primo contatto negli anni settanta, alla prima stagione al Sud (cui appartengono, oltre i progetti siciliani per Sa-lemi e Palermo, anche i progetti campani a grande scala urbana e territoriale per Caserta e per Napoli), alla stagione veneta (avviata con il progetto per il nuovo insediamento di case popolari sull’isola della Giudecca, e proseguita con importanti committenze private in terraferma, come quelle per i Laboratori Dimensione Fuoco a San Donà di Piave, o per il Parco di Villa Colonnese e per Villa Zilieri nelle campagne vicentine), alla seconda stagione al Sud (con gli interventi napoletani per il Museo d’Arte Contemporanea Donna Regina e per la stazione “Municipio”, e con il progetto salentino per il Parco della Musica), fino alla più recente stagione milanese (che oltre ai citati progetti per la sala della Pietà Rondanini e per la riconfigurazione urbana del Corso Sempione, annovera anche gli interventi residenziali in corso di realizzazione a Gallarate). Al di là della sorte toccata a ciascuno di essi, nei progetti italiani di Siza così rivisti in mostra traspare il valore indiscutibilmente fertile che ha ogni promessa di architettura, che potrà inverarsi in sé, o in altre architetture dello stesso come di altri autori, nel tempo in cui sono state espresse o in un altro tempo a venire.Traspaiono inoltre i caratteri più intimi e straordinari dell’arte paziente e “senza fretta” di questo architetto “che voleva essere scultore”, e che in altre precedenti occasioni di grande intensi-tà e raccoglimento (si pensi alla mostra nella sede milanese di AAM Architettura Arte Moderna del 1999, o a quella del 2008 nel castello di Acaya e a Lecce) erano emersi con sorprendente evidenza nella triplice dimensione del disegno, dell’architettura e della scultura.Nella sua domestica e rassicurante metafisica – laddove il rapporto con il classico è ineludibile, e la modernità si mostra nelle forme di un’intima, imprevedibile e mai passiva continuità con il passato – il lavoro di Siza sembra avere come principa-le interlocutore il tempo, nell’accezione leonardesca di “tempo consumatore”. Se le sue sculture – arcaici e filiformi piccoli kouroi, embrionali ed ermetici, animati da gestualità minime e contratte – appar-tengono a un tempo lento, astratto e soggettivo, i suoi edifici ingaggiano invece di volta in volta una partita a scacchi con il

NOTE1. Si pensi alla mostra Europa-America alla Biennale di Venezia (1976), al Tour SAAL nelle università italiane (1977), alla mostra al PAC di Milano (1979) e a quella alla Basilica Palladiana di Vicen-za (2000), come alle più recenti esposizioni al MART di Rovereto (2014) e al Padiglione portoghese dell’ultima Biennale veneziana (2016).2. Nel volume Álvaro Siza in Italia. Il Grand Tour 1976-2016, edito in occasione della mostra, è contenuta anche un’antologia di scrit-ti critici a firma, tra gli altri, di Vittorio Gregotti, Pierluigi Nicolin, Mirko Zardini, Francesco Dal Co, Alberto Ferlenga, Pierre-Alain Croset, Emilio Battisti, Paolo Zermani e Francesco Moschini.

tempo che scorre, che si sostanzia in un indissolubile legame tra il processo del costruire e quello opposto del “ruinare”. Concepi-to come vivo, l’animale architettonico siziano dalla vita è tratto e ad essa è affidato, nell’accettazione implicita dell’incompletezza, dell’imperfezione, dell’intoppo. È qui che risiede probabilmen-te la ragione dell’autenticità delle sue opere, un’autenticità che implica l’appropriatezza (ai luoghi, e alle esigenze degli uomini) e la responsabilità, di cui egli sa farsi carico con maestria di “muratore di opera grave”.Senza mai scadere in una dimensione pauperista o moralista, il nitore e la chiarezza delle architetture di Siza presuppongo-no di essere sporcati, modificati e deteriorati dal tempo: pareti piane, aperture elementari, percorsi articolati, volumi compres-si o espansi, prendono corpo con tecnologie in sé intelligenti e modeste – strutture semplici in cemento armato, intonaco, calce, rivestimenti in pietra, carpenteria metallica – cosicché il materiale primario è lo spazio abitabile, che il tempo contribui-rà a scolpire mettendolo a nudo, erodendolo senza per questo cancellarlo. Si tratta insomma di potenziali “rovine al contrario”, che anziché cadere, sorgono. Le sue figure architettoniche inter-rogano le leggi dell’universale e dell’immutabile, e al contempo accettano le leggi della metamorfosi, agita dal tempo e propria di ogni processo storico o naturale, nella consapevolezza che gli edifici ben costruiti si corrompono e invecchiano meno in fretta degli uomini, ma come loro sono inevitabilmente imperfetti. For-se anche per questo, le sue architetture sembrano abitate da una felicità introversa, quasi fossero malinconicamente consapevoli dei confini che il tempo erige al diritto alla vitalità. E il tempo non a caso è stato l’architetto intensamente evocato nell’incontro tra Siza, Francesco Venezia e Umberto Riva nella Chiesa dei Santi Luca e Martina al Foro Romano, incontro ideato da Francesco Moschini in occasione dell’inaugurazione della mostra e suggel-lato dalla commissione all’architetto portoghese del progetto per il Padiglione del Premio Presidente della Repubblica.Aver ripercorso i lavori italiani di Siza ha insomma tra gli altri il merito di aver evidenziato nel suo lavoro quella tensione tra continuità e rottura che è propria della migliore tradizione dell’ar-chitettura: lontani dalla deterministica accettazione di ideologici

vincoli moderni come da ogni retorica storicista, i suoi progetti e le sue opere dimostrano di saper reinventare di volta in volta i luoghi e i contesti, in distante solitudine rispetto alla eteronomia che circonda l’architettura attuale.Il suo sguardo sull’Italia interroga la storia nella sua contempora-neità, senza nascondere conflitti e tensioni nella lucentezza della prepotente perfezione meccanica o iconica di una “architettura da star”: Siza attraversa l’Italia come classico tra i classici, in questo fatalmente inattuale come un vero moderno.