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GILD A ADOLFO SCOTTO DI LUZIO ADOLFO SCOTTO DI LUZIO anno XXVIII 4 Professione Professione DCOOSO325 SETTEMBRE 2018 Contiene I.R. - Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento Postale – 70% - DCB Roma Nella formazione iniziale degli insegnanti è in gioco l’identità del docente italiano FABRIZIO TONELLO FABRIZIO TONELLO Ma bisogna insegnare agli studenti l’abitudine alla riflessione LUIGI FERRAJOLI LUIGI FERRAJOLI Uguaglianza di tutti nell’accesso alla scuola non significa diritto alla uguale valutazione ROBERTO CASATI ROBERTO CASATI Wikipedia è un bene comune, dev’essere mantenuto e curato In caso di mancato recapito inviare al CSL STAMPE ROMA la scuola sospesa Il Punto di RINO DI MEGLIO

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G I L D A

ADOLFOSCOTTO DI LUZIOADOLFOSCOTTO DI LUZIO

anno XXVIII 4 ProfessioneProfessione

DCOOSO325

SETTEMBRE 2018

Contiene I.R. - Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento Postale – 70%

- DCB Rom

a

Nella formazione iniziale degli insegnantiè in gioco l’identità del docente italiano

FABRIZIO TONELLOFABRIZIO TONELLOMa bisogna insegnare agli studenti l’abitudine alla riflessione

LUIGI FERRAJOLI LUIGI FERRAJOLI Uguaglianza di tutti nell’accesso alla scuola non significa diritto alla uguale valutazione

ROBERTO CASATIROBERTO CASATIWikipedia è un bene comune, dev’essere mantenuto e curato

In caso di mancato recapitoinviare al CSL STAMPE ROMA

la scuola sospesa

Il Punto diRINO DI MEGLIO

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PROFESSIONE DOCENTEReg. Tribunale di Roma n. 257/90 del 24/04/'90

Direttore ResponsabileFranco ROSSO

Responsabile di RedazioneRenza BERTUZZI

Vice caporedattoreGianluigi DOTTI

Comitato di redazioneAntonio ANTONAZZO, Piero MORPURGO,

Massimo QUINTILIANI, Fabrizio REBERSCHEGGHanno collaborato a questo numero

Giovanni Carosotti, Roberto Casati, Vito Carlo Castellana, Alberto Dainese,

Michela Gallina, Antonio Gasperi, Marco Morini,Giorgio Quaggiotto, Adolfo Scotto di Luzio,

Fabrizio Tonello, Paola Tongiorgi, Ester TrevisanStampa Romana Editrice - 069570199

GILDA DEGLI INSEGNANTIVia Aniene, 14 00198 Roma

Tel. 068845005 - Fax 0684082071UNAMS - Viale delle Provincie, 184 - 00162 RomaSito internet: www.gildaprofessionedocente.it

E-mail: [email protected]

S O M M A R I O

G I L D A

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Renza Bertuzzi IL DOVERE DI ANALIZZARE, IL DIRITTO DI CRITICAREIl Punto di Rino Di MeglioLA SCUOLA SOSPESA

Adolfo Scotto di Luzio LA FORMAZIONE INIZIALE DEGLI INSEGNANTI Gianluigi DottiCCNL 2016/2018

Alberto DainesePERCHÉ LO STUDENTE AL CENTRODIVENTA UN TIRANNO DISPOTICO Paola TongiorgiL’INSEGNANTE NON PUÒ LAVORARE BENE SE VIENE...Giovanni CarosottiI FALSI PRESUPPOSTI DELLA DIDAT-TICA PER COMPETENZElettere alla redazione

Fabrizio ReberscheggIL MANIFESTO PER L'UGUAGLIANZA:UNA SPERANZA PER IL FUTURORenza Bertuzzi INTERVISTA A LUIGI FERRAJOLI

Paola Tongiorgi IL WEB E IL PERICOLO DELLA “NICCHIA MEDIATICA”Massimo QuintilianiALLERTA PER I GIOVANI NAVI-GANTI: CONNESSI IN RETE... Roberto Casati C’ È DEL SANO IN WIKIPEDIA…

Fabrizio Tonello …MA NON BASTA: BISOGNA INSEGNARE AGLI STUDENTI...lettere alla redazione

Gianfranco Meloni QUANDO LA PEDAGOGIA È SOLO INSTRUMENTUM REGNI...Piero Morpurgo GLI ANNI ’30: LA SCUOLA TRAIDEALI DI SOLIDARIETÀ E...Marco MoriniIL DIGITALE RISCOPRE LA SCRITTURA A MANOEster Trevisan 5 OTTOBRE 2018: GIORNATAMONDIALE DEI DOCENTI...

IL DOVERE DI ANALIZZARE,IL DIRITTO DI CRITICAREdi Renza Bertuzzi

Un numero corposo, questo di “Professione docente”,riservato all’inizio di un nuovo anno scolastico.

Formato non solo dalle consuete pagine del giornale maanche da un supplemento monotematico tuttodedicato all’ oneroso tema dell’ alternanzascuola lavoro. Procediamo con ordine, nel presentare ai lettori lamappa di tutto il giornale.Inizio d’ anno, dunque, con i soliti problemi sempreaperti. La scuola è ancora sospesa, ci ricorda RinoDi Meglio , nel suo punto a pag. 3. Per ora siamo inattesa che i piccoli passi delGoverno non richiedano tempi troppo lunghi. I moltidrammatici problemi della scuola richiedono urgenza.Tuttavia, per quel che compete ad una Associazione/ sin-dacato come la nostra passi rapidi sono stati fatti poichéla Gilda si è fatta carico della pubblicazione del testocoordinato dei Contratti collettivi nazionali perpermettere a tutti i docenti di accedere al testo contrat-tuale completo. Perché ogni insegnante sia messo nellacondizione di consultare agevolmente il testo contrat-tuale, unico documento ufficiale nel quale sono indicatii diritti e i doveri, come ci informa Gianluigi Dotti, apag. 4.Tra i problemi aperti, relativi alla scuola, permanequello relativo delle reazioni scomposte, vio-lente in alcuni casi, nei confronti dei docenti da partedi studenti e genitori. Ne abbiamo parlato nel numeroscorso, ma continuiamo la riflessione con due contributi,uno di Alberto Dainese, a pag. 6, che argomentacome il principio del mettere al centro lo studente possatrasformare lo stesso in un piccolo tiranno; l’ altro diPaola Tongiorgi, a pag 7, che recensisce un testo diMaria Teresa Serafini “ Perché devo dare ragioneagli insegnanti di mio figlio”.Un tema che dalla scuola si allarga alla societàè quello del web e dei suoi possibili pericoli. E’ ilweb un buco nero o una potenzialità da sfruttare? Ladomanda è ancora aperta e perciò, in questo numero,vari articoli analizzano il problema. Roberto Casati sioccupa di wikipedia, definendo i lati positivi di un servi-zio, paragonabile a un bene comune, a pag. 14; mentreFabrizio Tonello, a pag. 15 precisa : il vero problemaresta quello di insegnare ai nostri studenti l’ abitudinealla riflessione. Michela Gallina, psicologa clinica, in-tervistata da Paola Tongiorgi approfondisce i temi legatial provvedimento della UE di tutela della privacy e le de-cisioni di Facebook, a pag 12; mentre Massimo Quin-tiliani, a pag. 13, informa sugli strumenti per arginarei pericoli del web.Ancora molte analisi: sulla formazione iniziale dei

docenti che coinvolge- e non è poco!- l’ identità deldocente italiano, nascosta dietro formule tecniche cheoccorre scrostare, come fa Adolfo Scotto di Luzio, apag. 4; le stesse formule o soluzioni tecniche chespesso vengono invocate per “ salvare” la scuola e che-dimostra Gianfranco Melloni a pag 17- sono illusorie,se non mendaci, perché la scuola si salva solo cam-biando il paradigma pedagogico. Sul tema delle compe-tenze che, disseminate da anni nella didattica, hannoproliferato batteri che stanno intaccando la libertà d’insegnamento dei docenti, Giovanni Carosotti, apag. 8, scrive un intervento importante, articolato, perricordare ai colleghi quanto ancora vi sia di salvabile conl’ azione consapevole e decisa degli insegnanti.Riflessione sull’ uguaglianza, un tema all’ ordinedel giorno, in questa epoca che sta rapidamente dimen-ticando i principi faticosamente conquistati da genera-zioni precedenti.Fabrizio Reberschegg recensisce, a pag. 10, un libromolto importante di Luigi Ferrajoli, docente emeritodi Filosofia del Diritto presso Roma tre, Manifesto perl’ uguaglianza, che ricompone in un quadro di filosofiadel diritto le sfaccettature di questo fondamento dellademocrazia. In una intervista, a pag. 11, il professor Fer-rajoli specifica e articola che cosa di debba intendereper uguaglianza nella scuola. Infine, della riscoperta del valore della scrittura manualeci parla Marco Morini, a pag. 19, confermando ciò cheesperti e docenti avevano sempre sostenuto : la scrit-tura manuale aiuta a formarsi una immagine delmondo; e sulla storia della scuola continua il viaggiodi Piero Morpurgo, a pag 18. Completano questo nu-mero, la comunicazione del tradizionale Convegno dellaGilda per il 5 ottobre, giornata mondiale dell’ inse-gnante, a cura di Ester Trevisan, a pag. 20e alcunelettere giunte alla Redazione, che pubblichiamo con pia-cere.Il supplemento monotematico sull’ alternanza

scuola/lavoro è nato dalla consapevolezza che l’ espe-rienza in questione, con 400 ore obbligatorie, è statoun fallimento, gravoso per i docenti e inutile per gli stu-denti. L’ argomento, dibattuto nell’ Assemblea na-zionale della Gilda di maggio, viene trattato coninterventi di Fabrizio Reberschegg, Giorgio Quag-giotto, Vito Carlo Castellana e Antonio Gasperiin una panoramica completa che comprende normativa,valutazioni, informazioni sui lavori del futuro. Molto materiale per avere sempre strumenti a portatadi mano, perché nella scuola- e nella società- rimanganovivi il dovere di analizzare e il diritto di criticare.

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IL PUNTO

LA SCUOLA SOSPESA

di Rino Di Meglio

OFFICINAGILDA

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Finalmente a distanza di vari mesi dalvoto, l’ARAN ci ha reso noti i risultati

ancora peraltro provvisori delle elezioniRSU che confermano un buon risultatoper le liste della FGU, sia in termini divoti che di percentuale. Un altro passoavanti nel consolidamento della nostrarappresentatività.Dei risultati altrui non parliamo, lasceremo laparola ai numeri, i soli che possonocommentare con sobrietà la vera situazione, perquesto invitiamo i colleghi a verificareautonomamente cali e aumenti dellarappresentatività dei sindacati. Per i nostririsultati desidero ringraziare tutti i candidati edil sacrificio dei coordinatori provinciali e di tantidirigenti che hanno reso possibile questorisultato.Un risultato tanto più significativo in quantoabbiamo sempre contestato questametodologia di misurazione dellarappresentatività. Non rinunciamo alla speranzadi un cambiamento.Facciamo ora una breve analisi delle situazioniche ci vedono in attesa di indispensabilicambiamenti.L’anno terzo dell’ era della cosiddetta“buona scuola” è coinciso con la cadutadel governo che l’aveva fortemente voluta edè un fatto acquisito, secondo numerosicommentatori, che il malcontento che a seguitodi quella legge ha pervaso la stragrandemaggioranza degli insegnanti abbia influito inmodo molto negativo sulla sua sorte. La nostra indipendenza dalla politica ciporta ad evitare qualsiasi giudizio suigoverni, limitandoci a rappresentare la scuolae gli insegnanti e di volta in volta facendo delleaperture di credito, nella speranza, spesso

andata delusa, che essi operino per ilmiglioramento delle condizioni della Scuola.Entrambe le forze politiche checostituiscono il nuovo governo si eranoimpegnate nell’abrogazione delle partidella legge 107/2015 più contestate dagliinsegnanti: chiamata diretta, titolarità sugliambiti anziché sulle scuole, irragionevolerigidità dell’Alternanza scuola-lavoro, bonusmerito, licenziamento dei precari dopo 36 mesi.La Gilda, fin dal giorno dell’insediamentodella nuova amministrazione, hareclamato il rispetto delle promesse.Sono trascorse poche settimane ed èsicuramente prematuro ogni giudizio,possiamo solo rilevare che il Governosembra voler procedere a piccoli passi,augurandoci che i tempi non diventinotroppo lunghi, perché l’apertura del nuovoanno scolastico è alle porte.Al momento in cui scriviamo, l’unico testo dilegge presentato è un piccolo emendamento alcosiddetto decreto “dignità”, che prevedel’abrogazione della norma che statuisce illicenziamento dei precari dopo il superamentodei 36 mesi continuativi di servizio. Avevamoinvano segnalato l’assurdità di questanorma nel corso di numerosi incontri con gliesponenti del precedente Governo, senza alcunrisultato, non possiamo quindi che esseresoddisfatti della sua cancellazioneimminente.Per quel che riguarda la “chiamatadiretta” se ne sono temporaneamentesterilizzati gli effetti attraverso lasottoscrizione del contratto sullamobilità annuale (assegnazioni provvisorie edutilizzazioni), un segnale positivo,

ma ovviamente, ci auguriamo sia solo ilpreludio dell’abrogazione.Per ora la scuola vive un momento diattesa e sospensione, nella speranza chesi riescano ad affrontare i moltidrammatici problemi che la affliggono.Si deve intervenire con urgenza sulproblema del precariato scolastico, la cuidimensione è abnorme, rispetto agli altri paesieuropei; bisogna stabilizzare rapidamentele decine di migliaia di insegnanti che nehanno una legittima aspettativa, anche in basealle sentenze della Corte Europea di Giustizia, erivedere il sistema di reclutamento, affinchédiventi snello ed efficace, è l’unico modo perevitare la fabbrica perpetua di precari.Il contratto di lavoro è in scadenza evorremmo un segnale concreto dirivalutazione del lavoro dei docenti: se gliaumenti contrattuali continueranno ad esserecorrisposti nella medesima percentuale degli altriimpiegati pubblici (rispetto ai quali sono menopagati), qualsiasi recupero resterà una chimera,chi governa ha il dovere di studiare questasituazione ed individuarne una via di uscita.Il clima nelle scuole è diventato difficile:classi sovraffollate, la sfida immensadell’integrazione degli stranieri, bullismo inespansione, famiglie aggressive, una burocraziaossessiva e, talvolta, dirigenti che creano unclima da caserma.Non bastano, per invertire la rotta, solo lenorme di legge, occorre un atteggiamentoculturale di politica e mezzi diinformazione che riportino al centrodell’attenzione l’importanza della culturae rivaluti la figura di coloro che dedicanola loro vita alla sua trasmissione.

Grazie a tutti i nostri candidati, ai coordinatori provinciali e ai tanti dirigenti che hanno resopossibile un bel risultato della Gilda alle RSU. Per ora siamo in attesa che i piccoli passi del

Governo non richiedano tempi troppo lunghi. I molti drammatici problemi della scuola richiedonourgenza e un cambio di atteggiamento di politica che riporti al centro l' importanza della cultura.

professione docente • settembre 2018

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La crisi della scuola si manifesta sul terreno delreclutamento degli insegnanti in forme più cla-

morose che altrove. È da anni ormai che il nostro Paeseè privo di un modello credibile al riguardo. Dall’ inizio delnuovo secolo si sono succedute scuole di specializ-zazione, tirocini formativi, percorsi abilitanti e orala Formazione iniziale e Tirocinio, il cui acronimo èFit. Ma non sembra finita. Quale sarà il destino dell’ultimo dispositivo è infatti difficile dire. Nell’ audizionedavanti alla settima Commissione di Camera e Se-nato, all’inizio di luglio, il nuovo ministro dellaPubblica istruzione ha lasciato intendere la necessità diuna revisione, sulla base di un fantomatico legame deidocenti con il proprio territorio. Nel frattempo, per guadagnarsil’accesso all’ ennesimo corso-concorso, migliaia di aspirantiprofessori, in tutta Italia, si sono dati e si stanno dando dafare per procacciarsi i famigerati 24 crediti necessari perpartecipare al bando.Bastano queste considerazioni per cogliere subitoun aspetto che a mio avviso è stato poco sottolineatonel dibattito su chi è il «buon professore» dellanuova scuola italiana e cioè il rapporto molto stretto traquestione scolastica e questione universitaria. Se volete, lacrisi della scuola riflette una più ampia crisi del sistema uni-versitario nazionale. Non è un caso che il problemadel reclutamento dei professori secondari vada dipari passo con l’introduzione a partire dal 2001 delnuovo modello accademico concepito sulla basedel cosiddetto tre più due. Scuola e Università vannotenute insieme altrimenti perdiamo di vista quello che èsuccesso in questi anni alle istituzioni formative nel nostroPaese.Si può infatti discutere sulle cosiddette «criticità» della Fit,ma il fatto è che questa discussione si svolge a valle di unatrasformazione profonda della nostra formazione universi-taria.Il problema del reclutamento dei professori secondari èinfatti non soltanto quello del funzionamento di unmeccanismo burocratico; ad essere in questione è l’interomodello della loro formazione culturale di tipo accademico.Vale a dire, niente di meno che l’identità del docenteitaliano: quali meccanismi istituzionali presiedono alla suaformazione e come sono cambiati in questi anni e con qualiesiti? È su questo terreno più generale, infatti, che si èprodotto un vasto e profondo smottamento. Come dicevoall’ inizio, sta qui gran parte della questionescolastica del nuovo secolo.Facciamo un piccolo esercizio. Non partiamo dalla Fitma prendiamo in considerazione le classi di concorso cosìcome sono state ridefinite dal decreto del Presidente dellaRepubblica n. 19 del 2016, integrato poi e corretto dalD.M. n. 259 del 2017. Concentriamoci sulla classe A-11 ex51/A, materie letterarie e latino nei Licei e nell’ Istituto ma-gistrale. Siamo in un punto nevralgico del funzionamentodi un sistema come quello italiano, dove da sempre l’ inse-gnamento letterario si è venuto caricando di funzioni ideo-logiche di carattere generale. Ebbene, che cosa è successosu questo terreno a partire grosso modo dalla fine deglianni Novanta, nel passaggio cioè dal vecchio al nuovo or-dinamento universitario?

Se consideriamo i titoli necessari per accedere aquesta classe di concorso così come disciplinati apartire dal D.M. 1998 n. 39, notiamo che questi silasciavano organizzare nel quadro di cinque ambitiaccademici, quello delle lauree letterarie storico-geografiche pre e post 2001, quello delle laureeletterarie filosofico-pedagogiche, quello delle laureepedagogiche e quello delle lauree filosofiche.Ognuna di queste cinque tipologie, richiedeva una serie diavvertenze che specificavano in maniera dettagliata gliesami necessari. Che cosa bisognava aver studiato per fareil professore di lettere nei licei? Lingua e Letteratura italiane,Lingua e Letteratura latine, due esami di Storia, Geografia.Meno scomposto era il quadro tradizionale delle vecchiefacoltà di Lettere e Filosofia e minore era il numero deivincoli posti da parte del legislatore. Erano requisiti minimiin un quadro però di rigidità dei piani di studio e in cui ilmodello dell’ Università un tanto al chilo era ancora di là davenire. Agiva ancora alla base del sistema un meccanismodi vincoli piuttosto costrittivo, che obbligava in manieraefficace gli studenti al percorso degli studi intrapresotenendoli all’interno di ambienti formativi abbastanza coe-renti.

Da allora questo mondo, già pieno di crepe, èandato letteralmente in frantumi. Se prendiamo ilD.M. 22 del 2005 che definisce le classi di laurea specia-listiche per l’accesso all’insegnamento, i titoli sono diventatiben 17 e si va dalla laurea in Antropologia culturale aquella in Metodologie informatiche per le discipline uma-nistiche, alle Scienze geografiche, Storiche e Storia dell’arte. Il grimaldello di questa disarticolazione del sistema,sia universitario che della formazione dei docenti, è statocome è noto l’introduzione all’interno dell’ Universitàitaliana di un’ unita di computo nota per il suo acronimo,CFU. Se nel vecchio modello resisteva un quadroformativo consolidato nel tempo, se volete unatradizione di studi, che doveva portare i giovanilaureati in cattedra, a partire dagli anni duemilala logica è completamente cambiata. Le facoltàsono state spacchettate e allo studente, provenientedai circuiti più disparati, è stata data la possibilitàdi comporre, come nel carrello di un supermercato,il proprio paniere di crediti necessario per accedereal concorso, attraverso un certo numero di esamicosiddetti soprannumerari. In questo caso, i CFU ne-cessari sono 96, sembrano tantissimi, ma i CFU complessivinel sistema del 3 + 2 sono trecento e dunque i requisiti

per l’insegnamento di una materia decisiva come le letterevalgono meno di un terzo dell’ intero percorso universitario.Ma al di là dell’ aspetto quantitativo, cosa conta in questocammino così impoverito? La lingua e la letteratura latina,per un totale di due annualità, la letteratura italiana (un’an-nualità), la linguistica italiana (idem), glottologia e linguistica(sempre un’annualità), geografia; storia greca o storiaromana, bisogna scegliere ma non tutt’e due, e poi semprea scelta o storia medievale o quella moderna o storia con-temporanea.Allora, riassumendo, per fare l’insegnante d’italianouno studente che viene non da un percorso dilettere ma mettiamo di antropologia o di metodologie in-formatiche per le scienze umanistiche deve sapere laletteratura latina ma non la storia romana (se scegliegreco), la letteratura italiana ma non deve avere nessunanozione di filologia romanza o di filologia italiana, pertacere delle letterature comparate o della letteratura italianamoderna e contemporanea (lo aveva già notato ClaudioGiunta sul domenicale del Sole 24 Ore nella lontana estatedel 2015); si deve infine accontentare di conoscere un pez-zettino di storia nella lunga estensione temporale che vadalla caduta dell’ impero romano all’avvento di Trump.Si può discutere se la Fit è meglio del Tfa ma l’una o l’altronon cambiano nemmeno di una virgola il quadro desolanterappresentato dalla demolizione alla quale abbiamo assistitoin questi ultimi vent’anni di qualsiasi idea di progettocoerente di formazione culturale degli insegnanti. Di fattoin Italia si diventa insegnante di lettere nei liceicomprando un po’ qua e un po’ là un altro esameall’ università come canta una canzoncina idiota diqualche estate fa.

di Adolfo Scotto di Luzio

Il problema del reclutamento deiprofessori secondari è non soltantoquello del funzionamento di un mec-canismo burocratico; ad essere inquestione è l’intero modello dellaloro formazione culturale di tipo ac-cademico. Vale a dire, niente di menoche l’identità del docente italiano.L’esempio della classe A-11 ex 51/A,materie letterarie e latino nei Liceie nell’ Istituto magistrale.

ADOLFO SCOTTO DI LUZIOInsegna Storia della pedagogia, Storia delle istituzioniscolastiche ed educative e Letteratura per l'infanzianell’Università di Bergamo. Si è occupato a lungo distoria del fascismo e, in particolare, della costruzionedel suo apparato culturale e anche di storia delle isti-tuzioni culturali e della scuola (con un’attenzione maismessa per l’editoria e la stampa). Ha pubblicato diversi volumi, tra cui ricordiamo, per ilMulino, «Il liceo classico» (1999), «La scuola degli ita-liani» (2007) e «Napoli dei molti tradimenti» (2008),“Senza Educazione. I rischi della scuola 2.0”(2016);per Bruno Mondadori «La scuola che vorrei» (2014).

LA FORMAZIONE INIZIALEDEGLI INSEGNANTI

professione docente • settembre 2018

TEATRODELLE IDEE

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Il 19 aprile aprile 2018 è stato firmato ed èentrato in vigore il testo definitivo del

nuovo Contratto Collettivo Nazionale di La-voro 2016/2018 (CCNL) del Comparto Istru-zione e Ricerca, nel quale è inserita la Sezio-ne Scuola.Come abbiamo già ricordato su questo giornale(vedi il numero di marzo 2018) la riduzione del nu-mero di comparti, voluta dal d.lgs 150/2009 e at-tuata dal CCNQ del 13 luglio 2016, ha fatto sìche in un unico CCNL fossero concentrati icontratti che riguardano il personale di benquattro ex-comparti: Istituzioni scolastiche ededucative, Istituzioni di Alta formazione artistica,musicale e coreutica, Università e Aziende ospeda-liero-sanitarie (solo gli amministrativi) e Istituzionied Enti di ricerca e sperimentazione.Se a questo si aggiunge che l’ARAN ha det-tato una tempistica della contrattazionemolto serrata, chiudendo le trattative in duemesi (dopo ben 9 anni senza contratto) il ri-sultato è un CCNL 2016/2018 che aumenta laconfusione normativa, che già nella scuola è al li-vello rosso di sicurezza.Il CCNL 2016/2018 (il testo lo trovate sul sitodell’ARAN www.aranagenzia.it) presenta una pri-ma parte comune a tutti i comparti (in tutto 21 ar-ticoli) e una parte specifica per la scuola (in tutto20 articoli).I problemi nascono però già con l’art. 1, c.10, che recita: “Per quanto non espressamenteprevisto dal presente CCNL, continuano a trovareapplicazione le disposizioni contrattuali dei CCNLdei precedenti comparti di contrattazione e le spe-cifiche norme di settore, in quanto compatibili conle suddette disposizioni e con le norme legislative,nei limiti del d.lgs n. 165/2001”.Con questo comma si chiede in pratica al-l’insegnante che voglia conoscere i propridiritti e i propri doveri di improvvisarsi stu-dioso di diritto e ricercatore per mettere aconfronto il testo del CCNL 2016/2018 conquelli precedenti, così da sapere come com-portarsi per svolgere correttamente la propriaprofessione. Lavoro decisamente difficoltoso per idocenti che, giustamente, tendono a privilegiarel’insegnamento e la relazione con gli studenti.Tuttavia condividiamo ciò che, fin dalla propria na-scita, sostiene la Gilda degli Insegnanti, cioè che ilCCNL è il documento ufficiale nel qualesono indicati i diritti e i doveri dei docenti eche ogni insegnante deve essere messo nel-la condizione di poter accedere al testo con-trattuale e alla sua comprensione per poter pro-

muovere la professione docente in modo autono-mo dalle strutture burocratiche di Amministrazionee OOSS.Questo anche in virtù della consapevolezzache la professione docente è una professio-ne intellettuale e che ogni insegnante è in gradodi leggere e comprendere e soprattutto usare lenorme contrattuali al fine di migliorare la qualitàdell’insegnamento.Per permettere a tutti i docenti di accedereal testo contrattuale completo, la Gilda de-gli Insegnanti, dopo aver verificato che l’ARANnon ha intenzione di produrre il testo coordinatodel CCNL 2016/2018, ha deciso di redarre epubblicare, con la collaborazione dell’avv. FabioPetracci, il “Testo coordinato dei ContrattiCollettivi Nazionali del 2016/2018 e del2006/2009 del Comparto Istruzione e Ricer-ca - sezione Scuola”.Il testo stampato dalla Gilda degli Insegnanti, conun significativo investimento di risorse, si sforza dicoordinare gli articoli dei due CCNL per fornire aldocente un testo completo che gli permetta di indi-viduare diritti e doveri così da non rimanere in ba-lia del Dirigente scolastico (Ds) di turno che potreb-be essere tentato di approfittare della confusionecreata dal nuovo CCNL per negare le giuste richie-ste dell’insegnante.Fatta questa doverosa premessa e invitatitutti gli insegnanti a leggere e studiare ilCCNL, nello spazio di questo articolo mi limito asegnalare brevemente alcuni elementi del CCNLche meritano attenzione.Innanzitutto le norme del CCNL si applicanoa tutto il personale della scuola sia a tempoindeterminato sia a tempo determinato escadono il 31 dicembre 2018 (anche se riman-gono in vigore fino alla firma del CCNL successivo).Nel campo delle relazioni sindacali, nellaparte comune al comparto, oltre a confer-mare l’istituto dell’informazione si introduceall’art. 6 quello del confronto, che costituisce unanovità. Si tratta della possibilità che le OOSS o laRSU, anche singolarmente, dopo aver ricevuto l’in-formazione (“elementi conoscitivi sulle misure daadottare”), hanno di chiedere un incontro all’Am-ministrazione per approfondire le materie oggettodi informazione e contrattazione. A conclusionedell’incontro si redige e si firma un verbale con leposizioni emerse. Il confronto non è la contrattazio-ne e non vi è alcun obbligo per l’Amministrazione oil Ds di modificare le decisioni assunte o che inten-de assumere.Un’altra importante informazione da cono-

scere riguarda le norme disciplinari e le san-zioni, infatti gli articoli dal 10 al 17 del CCNL2016/2018 non possono essere applicate agli inse-gnanti, così come ribadito poi dall’art. 29. Per i do-centi, in ragione dell’art. 33 della Costituzione chetutela la libertà di insegnamento, la materia rimanenormata dal d.lgs 297/1994 in attesa di una se-quenza contrattuale successiva.Disposizioni particolari sono poi previsteper le donne vittima di violenze, per le unio-ni civili e per disincentivare elevati tassi diassenza del personale. Riguardo alla differen-ziazione dei premi individuali prevista dall’art. 20non si applica ai docenti e ai non docenti comestabilito dall’art 74, c. 4 del d.lgs. 150/2009.Nella sezione Scuola l’art. 22 stabilisce chea livello nazionale, regionale e di istituto ledelegazioni siano formate in ordine per l’Am-ministrazione centrale (MIUR), dal Direttore regio-nale e dal Dirigente scolastico, per i lavoratori dalleOOSS nazionali, regionali e provinciali firmatariedel CCNL, e per l’istituto dalle RSU. Per la mobilitàterritoriale e professionale viene introdotto il vinco-lo triennale per chi viene trasferito sulla scuola ri-chiesta.La contrattazione di istituto interviene nelladefinizione dei criteri per l’assegnazione delnuovo Fondo per il miglioramento dell’offerta for-mativa previsto dall’art. 40 e dei fondi per l’Alter-nanza scuola-lavoro.Nel nuovo Fondo confluiscono le risorse: del FIScon i fondi per il recupero, quelle delle ore ecce-denti di Educazione fisica per la pratica sportiva,quelle delle funzioni strumentali, quelle degli inca-richi specifici del personale ATA, quelle delle aree arischio, quelle delle ore eccedenti per la sostituzio-ne dei colleghi assenti, quelli della valorizzazionedei docenti (ex-bonus merito). Tutti questi fondi de-vono essere contrattati dalle RSU.Rimangono invece in vigore gli articoli delCCNL 2006/2009 che riguardano i congedi, leferie, i permessi retribuiti, quelli brevi, le aspettativee le assenze sia per i docenti a tempo indetermina-to che a tempo determinato. Allo stesso modo ri-mangono invariati il profilo professionale docente,l’orario di servizio, le attività aggiuntive (40+40), lenorme che riguardano il part-time, la formazione inservizio, la parte relativa al personale educativo equella delle scuole italiane all’estero (queste ultimeperò sono state interessate dal d.lgs. 64/2017 cheha modificato la normativa).In conclusione a settembre presso le sedi pro-vinciali della Gilda degli Insegnanti trovere-te copia del testo completo del CCNL2016/2018.

OFFICINAGILDA

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Stampato, a cura della Gilda, il testo coordinato dei Contratticollettivi nazionali per permettere a tutti i docenti di accedereal testo contrattuale completo. Perchè ogni insegnante siamesso nella condizione di poter consultare il testo contrattuale,unico documento ufficiale nel quale sono indicati i diritti e i do-veri dei docenti.

di Gianluigi Dotti

CCNL 2016/2018

professione docente • settembre 2018

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SULLE AGGRESSIONI AGLI INSEGNANTI

PERCHÉ LO STUDENTE AL CENTRODIVENTA UN TIRANNO DISPOTICO

di Alberto Dainese

Insegno da dieci anni e sono in ruolo per concorso daquattro. Vorrei portare un modesto contributo al dibatti-to sulla scuola che si è intensificato in seguito ai reiteratiepisodi di aggressione verbale e fisica degli ultimi tempi.Premetto che, in questo caso specifico, non credo che cisia una particolare bolla mediatica o un effetto emulazio-ne; se anche ci sono, penso che siano secondari. Il feno-meno è davvero in aumento.Ricordo che l’avevo pre-visto, appena mi sono affacciato alla professione,perché avevo constatato una situazione analoga aquella attuale italiana in altri Paesi, in particolare ilRegno Unito, dove già dieci anni fa c’era tra i docenti il ti-more fondato e diffuso di subire aggressioni fisiche o altreforme di vessazione. Come in molti altri campi, arriviamocon qualche decennio o lustro di “ritardo” rispetto a Paesidi livello socio-economico comparabile. Nel mondo dellascuola è successo e succede puntualmente con quasi tuttii grandi fenomeni pedagogici e organizzativi: tendiamo acopiare, nel bene e nel male, modelli esteri, sia pure conun certo scarto temporale. Gli esempi sono molteplici:il sistema dei moduli alla scuola primaria, la programmati-ca riduzione e semplificazione dei contenuti, l’adozionedelle tecnologie digitali nella didattica con fede acriticacome panacea taumaturgica. In ognuno di questi casi,l’Italia è arrivata dopo, ma ha percorso gli stessi passaggiche si erano compiuti altrove, anche laddove i risultatierano stati fallimentari o controproducenti e si era giàproceduto a cambiare rotta. Ma in virtù di quale preveggenza avevo fatto la Cassan-dra sul fenomeno degli attacchi anche fisici ai docenti, giàdieci anni fa, dal mio osservatorio minimale di supplente epersona comune? Intuivo già allora una connessio-ne, su cui poi nel tempo ho continuato a leggere eriflettere, tra alcuni cambiamenti paradigmatici diampia portata nella società e nella scuola da unlato, e il comportamento delle famiglie e deglistudenti nei confronti della classe insegnantedall’altro. Mi spiego meglio. La scuola, riflettendo inquesto mutamenti più vasti della società, è passata – eancora sta passando – da luogo dove si trasmettono con-tenuti e si acquisiscono o migliorano capacità specifiche etrasversali a luogo deputato a ogni sorta di missione emandato, in funzione vicaria (specie in loco parentium),perdendo così di senso e ragion d’essere. Gli studenti ascuola trovano tutto e il contrario di tutto, in una girando-la di proposte che, a dispetto delle buone intenzioni di chile organizza, sono disorientanti e creano di fatto un sensodi anomia. A scuola si accoglie, si sostiene, si recu-pera, si sperimenta, si rovescia la classe, si com-pensa e dispensa, si pianifica, si rendiconta, sicompila, si gioca, si ride, si naviga, si coopera, siviaggia, si socializza, si motiva, si coinvolge, sicomprende, si perdona. Tutto legittimo e auspica-bile. Ma ogni luogo ha un suo senso e una sua funzione,

e se la scuola non è il luogo dove si va per imparare, e pri-mariamente per quello, viene meno il quadro di riferimen-to, la cornice che fornisce le premesse e i fini ultimi dellostare in quel posto. Se a scuola si chiede agli insegnanti difare tutto fuorché insegnare le materie che amano e co-noscono, fornendo al contempo un esempio di passioneper il sapere e un modello di impegno quotidiano, e seagli studenti si propone di tutto fuorché un insieme benpresentato di contenuti disciplinari coi quali cimentarsigiorno dopo giorno perché li facciano propri, sostanzastessa del loro essere, allora non si può poi essere stupitise si creano le crepe, nel vivere scolastico, da cui fuorie-scono e si manifestano intemperanze personali, violenze eabusi più o meno gravi, forme di protagonismo e sfida diogni tipo. Quello che sto cercando di dire è che la scuola do-vrebbe essere un luogo più coerente e compatto,in cui tutti, dal primo all’ultimo, quando varchiamo la so-glia la mattina, siamo consapevoli che il motivo e il fineper cui siamo lì è insegnare e imparare, con dedizione, fa-tica, impegno, sbagliando e riprovando. Se invece sia-mo lì, noi docenti per fare assistenza sociale, spe-rimentazione didattica, coordinamento organizza-tivo, ora persino gara a chi è migliore in ottica“meritocratica” e gli studenti per passare il tem-po, perderlo, inventarsi come riempirlo, è inevita-bile che si aprano scenari altri e pericolosi. Insom-ma, a mio avviso la soluzione, a monte, sarebbe quella di(ri)mettere gradualmente lo studio e l’apprendimento alcentro dell’intero percorso. Tornare, cioè, a rendere lo stu-dio non solo la principale e pressoché unica cosa che av-viene a scuola, ma anche una sorta di principio di base, diorizzonte di riferimento per tutti coloro che sono a scuola.Questo non colmerebbe magicamente il vuoto esistenzia-le di alcuni studenti, famiglie, gruppi sociali, ma di certoindirettamente lo ridurrebbe, perché chi è impegnato inun’attività ha meno occasioni per dare la stura a istinti ecomportamenti indesiderati e antisociali. Mi viene inmente il vecchio detto “il lavoro nobilita l’uomo”;ecco, “lo studio nobilita lo studente” potrebbe es-sere il nuovo slogan per la scuola. Sapere che ascuola si studia, ben lungi dall’essere tautologia, sarebbeuna specie di dimensione obbligata densa di senso per laquotidianità di tutti, soprattutto di coloro che – per pro-blemi personali, tragedie familiari, disagi sociali – sonopiù fragili ed esposti. E lo sarebbe anche per quegli stu-denti – esistono! – che invece sono proprio cattivi, vuoti,indifferenti. Anche loro troverebbero minori vie di fugalungo cui tralignare, minori occasioni per perseverare nellacattiva strada.Andare a scuola per imparare sarebbe il filo rosso che tut-to tiene insieme, e che previene – colla potentissima – losgretolamento della comunità scolastica e l’esplodere de-gli individualismi più virulenti e nocivi. Lo studio come ov-vietà, come dato di fatto, come “macigno” cui rassegnar-si. Non imposizione o teoria, ma cosa scontata che tuttidovremmo dare per ineluttabile, come respirare per vivereo lavorare per guadagnare. E vi assicuro che, allo stato at-tuale, non è così. Nella scuola di oggi si possono at-traversare interi cicli senza pressoché aprire libro,

intere giornate senza ascoltare una sola paroladei propri docenti, interi quadrimestri senza chevenga chiesto conto di comportamenti di noncu-ranza nei confronti di una materia o un docente.Non solo non sono più indispensabili i risultati, ma nep-pure l’atteggiamento giusto, proattivo all’apprendimento,è richiesto. Sì, un pochino forse sì, ma quel tanto che ba-sta, nulla più.Anche i pomeriggi dei nostri ragazzi sarebbero migliori, inuna scuola dove – fondamentalmente – si studia e lacosa è data per scontata. Fare i compiti e ripetere a vocealta non sarebbero imposizioni assurde, anacronistichepretese, o liturgie patetiche che espongono al dileggio deipari (o anche al sorrisino saputo dei genitori più “progres-sisti”), ma cose ovvie e inderogabili. E le cose ovvie, che sifanno perché è così e basta, sono proprio quelle che dan-no un ritmo alle nostre vite e ci sottraggono a tante di-strazioni e ubbie. Ricordo le belle trasmissioni di Tata Lu-cia, che erano molto utili a livello pedagogico; ricordo, inparticolare, quel suo tono fermo con cui, di fronte alleobiezioni dei bambini, simulava impotenza e rassegnazio-ne: “Ma è la regola; se c’è una regola c’è e basta, eh?”.Questo – è evidente – introduce nel quadro che ho cerca-to di tratteggiare un altro elemento fondamentale: è ne-cessario, progressivamente, sostituire nella scuola al prin-cipio edonistico quello deontico (fermo restando che pro-vare piacere nel fare ciò che si deve o è necessario fare èla cosa più bella del mondo). Non è più proponibileoperare come si è fatto negli ultimi decenni: porrelo studente e i suoi bisogni e desideri al centro(student-centred learning), strutturando la didattica ela scelta dei contenuti in modo che gli siano graditi e di-geribili. Occorre rimettere al centro l’adulto (tea-cher-led learning) saggio e colto, il professionista depu-tato a insegnare la materia, che avrà l’esperienza, la cul-tura e il buon senso per scegliere i contenuti e le metodi-che idonee non tanto a soddisfare i bisogni immediati enarcisistici dello studente, ma a creare la basi per il suopercorso futuro, per la vita e il lavoro. Una buona esana centralità del docente è, oggi, auspicabile,dopo tanta centralità dello studente, imposta comeunica possibilità da tutte le scuole di formazione per do-centi e le raccomandazioni ministeriali ed europee. Se simette lo studente al centro in modo scoperto, lo si rendetiranno; e sarà giocoforza, per l’età, un tiranno dispotico eignorante, talora perfino violento. Se invece si mette, connaturalezza e senza atteggiamenti vessatori e oscurantisti,lo studente di fronte al semplice “fatto della vita” che ascuola si va perché “bisogna, è così”, e se gli si fa capireche deve studiare perché è suo dovere, come quello deigrandi è di faticare per lo stipendio, sarà tutto molto piùsemplice. Viceversa, se continuiamo a inseguire un malin-teso senso di motivazione e analisi dei bisogni (needsanalysis), in base ai quali o si coinvolge lo studente pro-ponendogli quello che gli interessa e gli serve nell’imme-diato oppure ci si deve rassegnare a non averne l’atten-zione, l’ascolto, l’impegno, credo che fenomeni come lamancanza di rispetto e le aggressioni ai docenti continue-ranno a crescere. 6

di Marco OcchipintiTEATRODELLE IDEE

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L’INSEGNANTE NON PUÒ LAVORARE BENE SE VIENE CONTRADDETTO E SCREDITATO DAI GENITORI Maria Teresa Serafini, Perché devo dare ragione agli insegnanti di mio figlio, La Nave di Teseo

TEATRODELLE IDEE

Quante volte quest’anno abbiamo letto sullastampa di genitori che hanno aggreditofisicamente e verbalmente i docenti?Sembra un fenomeno in crescita, che mette inluce quanto gli insegnanti siano disarmati eimpreparati di fronte a tale violenza.Maria Teresa Serafini, docente eformatrice, recentemente ha pubblicatoun libro rivolto ai genitori dal titolo:”Perché devo dare ragione agli insegnanti dimio figlio “ della casa editrice Nave di Teseo.Lo ha scritto da docente di lunga data, invitandoi genitori a porsi delle domande sul loro ruolo esu come percepiscono la scuola.Una volta i genitori crescevano i figli con moltepiù certezze e li affidavano agli insegnanti confiducia, scrive Serafini, perché si diceva“l’insegnante ha sempre ragione. Non c’eradiscussione: in caso di divergenze non c’eranodubbi su chi dovesse guidare le scelte e icomportamenti dei ragazzi”.Oggi sappiamo che non è più così. Le certezzesulla professionalità dei docenti sono stateminate da una lunga campagna disvalorizzazione sociale e i genitori, nelfrattempo, hanno affilato le unghie perdifendere ad oltranza i loro figli.Con questo libro l’autrice è riuscita a mettereinsieme la letteratura sull’argomento e la suaesperienza di docente.“Se i genitori, scrive Serafini, parlano male degliinsegnanti come possono questi fare bene il lorolavoro? Gli adulti dovrebbero dare l’esempio,capire che senza difficoltà non si cresce,accettare i brutti voti quando arrivano. E invece,stanno sempre addosso ai figli tentando difacilitare le cose addirittura prima che vengaloro richieste. In America li chiamano i genitorielicottero”Da questa idea l’autrice ha costruito per igenitori un percorso guidato in cui essipossono confrontarsi con i test, presentiall’inizio di ogni capitolo, di autovalutazione delloro ruolo, e con ognuno dei 14 casi accadutirealmente nelle scuole d’Italia.Nel primo capitolo Serafini chiede aigenitori di riconoscere il proprio stile educativo,tra i tre presentati nel libro, che derivano da

ricerche di pedagogisti e psicologi. Ma ancheindividuare se si avvicinano di più alla mammatigre cinese, al papà peluche italiano o aigenitori danesi.Nel secondo capitolo viene richiesto allafamiglia di riflettere sugli aspetti del caratteree la personalità dei figli, perché scrive Serafini,”è importante capire non solo che tipo distudenti saranno, ma anche che tipo di personesaranno”.Altra tappa è l’esame degli elementi cheguidano i genitori nella scelta della scuolaperfetta per i loro figliScelta la scuola, i papà e le mamme si devonomisurare con gli stili di insegnamento deidocenti dei loro figli. ”Gli insegnanti sono tuttidiversi e gli studenti possono incontrarel’insegnante compagno, l’insegnantesperimentatore o l’insegnante guida. Non c’è,secondo l’autrice, un insegnante perfetto pertutti; alcuni sono più utili per alcuni tipi distudenti e altri per altri.Un capitolo del libro è dedicato allostudio a casa, al dibattito sull’efficacia deicompiti, all’organizzazione dei pomeriggi, almetodo di studio e all’uso della tecnologia comesmartphone, computer e tablet.Nella vita scolastica degli studenti, lavalutazione ha un ruolo importante e spesso ècausa di tensioni tra docenti e famiglie chearrivano a mettere in discussione i giudizidell’insegnante anche se, come in un casodescritto, il voto è 9.I voti delle verifiche e delle interrogazionidurante l’anno, scrive l’autrice, sono quelli piùutili ai genitori perché li aiuta a capire se il figlioha fatto progressi o se ha qualche difficoltà cherichiede un colloquio con i professori.“È fondamentale che le verifichedell’apprendimento siano frequenti per metteresistematicamente a fuoco ciò che si è appreso eciò su cui è bene lavorare ancora, ma tutti isistemi di valutazione che portano via troppotempo in burocrazia si traducono in uno sprecodel tempo limitato del docente senzanecessariamente dare di più agli studenti”Serafini, inoltre, sostiene, con vari esempi,quanto sia importante rendere espliciti i criteri divalutazione tramite meccanismi che si possonoutilizzare anche per esercizi di autovalutazionedegli studenti.Un altro tema contenuto nel libro èquello dei ragazzi con bisogni speciali e lasempre più diffusa medicalizzazione noncondivisa dall’autrice, che sostiene invecel’importanza di una didattica di qualità per tutti,in modo da andare incontro ai bisogniparticolari di ciascuno.Infine Serafini chiede ai genitori di analizzarequali sono i problemi che incontrano nellascuola dei figli, suggerendo gli stili comunicativi

più efficaci da utilizzare nei rapporti con idocenti. ”Partire con un sorriso, salutare con uncaldo Come sta?”. Questo, scrive la autrice, èl’approccio giusto che devono avere i genitoriquando sono a colloquio con i professori, perottenerne la collaborazione. Inoltre, nessunoama sentirsi rinfacciare gli errori anche se ne èconsapevole. Perciò ai genitori Serafini consiglianei colloqui di partire con delle domandelasciando al docente la soluzione, evitareproposte aggressive e ascoltare in modo attivocosa dicono i docenti.Affrontate le proposte del libro, i genitori hannodelle motivazioni in più per dare ragioneall’insegnante del figlio:Perché l’insegnante non può lavorare bene seviene contraddetto e screditato dai genitori.Perché l’insegnante si scoraggia se sente venirmeno l’appoggio della famiglia.Perché l’insegnante vede l’intera classe e puòessere più capace di valutare gli effetti delle suescelte, mentre i genitori talvolta hanno un puntodi vista limitato.Perché i ragazzi sono disorientati e confusi daaffermazioni opposte a casa e a scuola.Perché i ragazzi devono potersi fidare dei propriinsegnanti.Perché ai ragazzi fanno bene i no e i voti scarsi:diventano più robusti e capaci di reagire difronte alle inevitabili delusioni e sconfitte dellavita.Perché i ragazzi devono imparare a rispettare lepersone che rappresentano le istituzioni anchedi fronte ai loro errori.Il libro, che nasce da una vita professionaleintensa, ricca di ricerche, sperimentazioni, di unappassionato lavoro quotidiano in classe, sirivolge anche ai docenti, offrendo loro spuntiper affrontare l’incontro con i genitori nelleriunioni di classe e nei colloqui individualiquando vengono affrontati argomenti didiscussione come voti, bocciature, sanzioni pernegligenze o indisciplina.

di Paola Tongiorgi

*Maria Teresa Serafini, laurea in letterealla Sapienza di Roma e master inLinguistica a Stanford, insegnante discuola media e superiore, docente diScienze dell’educazione in corsi diformazione per insegnanti all’Universitàdegli Studi di Milano-Bicocca.

È autrice di grammatiche italiane per lascuola e dei best seller di pedagogia ecomunicazione con traduzioni inspagnolo e portoghese, Come si fa untema in classe (1985 ), Come si studia(1989), Come si scrive (1992), Come silegge (e scrive) un racconto (2009).

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Il tema della «didattica per competenze», che dapiù di vent’anni indirizza la politica di riforma della

scuola in Italia, rimane ancora oggi dirimente perstabilire la legittimità dell’intero quadro teoricoalla base della Legge 107. Conviene innanzitutto non cadere nella trappola dichi ritiene che il rifiuto del concetto di competen-za comporti la difesa di un modello didattico fon-dato sul nozionismo e sulla passività della ricezione. Ri-tengo sia consapevolezza di qualsiasi docente che l’inse-gnamento disciplinare possiede una finalità più ampia-mente formativa, ovvero quella di comunicare una cono-scenza di ordine generale, tale da rendere coscienti dellediverse componenti che costituiscono la cultura umana,ciascuna delle quali porta un contributo specifico e a suomodo indispensabile al sapere nel suo complesso. Questoorizzonte formativo non ha la finalità banalmente sinteti-ca di offrire una “cultura generale”, espressione sul cuireale significato è lecito avanzare più di un dubbio, quan-to concretamente realizzare il fine autentico dellascuola repubblicana, così come espresso nella Co-stituzione: favorire la formazione di un cittadinocapace di interagire positivamente con la comuni-tà di appartenenza, per dare il proprio contributo,eventualmente anche di carattere critico, al dibat-tito democratico, sulla base delle personali con-vinzioni e del proprio talento. Tale finalità può effetti-vamente realizzarsi solo se, nel corso dell’intero processoformativo, lo studente recepisce la dimensione olistica delsapere, conosce la ricchezza e la specificità dei di-versi campi disciplinari, ne comprende l’interazioneper il costituirsi di una visione di civiltà; nella consapevo-lezza del valore che la sua futura scelta specialistica assol-ve rispetto alla comunità dei saperi e dei talenti in cui egliè destinato a inserirsi. Tale processo formativo si oppone evidentementea un insegnamento fondato sul semplice nozioni-smo; ma in ciò esso si collega a una lunga tradizione del-la didattica italiana, che nella sua originalità si è sviluppa-ta proprio da una presa di distanza consapevole dal no-zionismo di origine positivista. Per cui, già ai tempi di An-tonio Labriola, Pasquale Villari e Gaetano Salvemini (nomeimpropriamente strumentalizzato dai teorici delle compe-tenze), il dibattito sulla scuola italiana ha sempre riflettutosu come rendere vivo lo studio delle discipline, su comeesso dovesse influire sulla formazione di una personalitàautonoma e capace di interagire con la comunità civile. Ilfatto che esso possa essere disatteso non ne smentiscel’impianto; le contestazioni nei confronti della scuola, inpassato, intendevano semmai denunciare proprio l’incapa-cità delle istituzioni di garantire tali obiettivi. Ora, con buona pace di chi continua a sostenereche non è affatto vero che la didattica delle com-

petenze si fondi su una sottovalutazione del sape-re disciplinare, risulta evidente come, nella Legge107 e in tutta la confusa letteratura precedente,del concetto di competenza si faccia un uso ideologiconon solo per destrutturare il sapere fondato sulle discipli-ne, ma per sferrare un colpo decisivo all’autonomia dellaprofessione docente e all’esercizio effettivo della “libertàd’insegnamento” sancita dalla costituzione. La didattica per competenze, infatti, intende agiresugli stessi processi di soggettivazione, per dareorigine a individualità portate a scorgere e a valo-rizzare esclusivamente la risultanza pratica del sa-pere appreso, considerato valido nel momento in cui sidimostra utile alla risoluzione di problemi specifici e setto-rialmente delimitati. La competenza acquista dunque sta-tuto autonomo e, in quanto tale, essa mantiene con il sa-pere disciplinare una relazione esclusivamente strumenta-le; e, proprio per questo, essa avrebbe diritto di essere va-lutata autonomamente. Mi sembra che ciò corrispon-da a quanto scritto dal presidente della Fondazio-ne Agnelli, Andrea Gavosto (La Stampa, 19 dicembre2017): «paradossalmente, un gruppo di insegnanti po-trebbe affrontare in tutto l’anno un solo argomento, mafarlo così approfonditamente da trasmettere agli studentiun metodo di studio utile per sempre». In un’unità didatti-ca siffatta si configurerebbe sia un impoverimento sia unagerarchizzazione –dal patente significato ideologico- trale discipline. Quelle scientifiche verrebbero valorizzateesclusivamente sul piano di un loro riferimento pratico aun problema concreto (e su tale pericolo, peraltroincoraggiato dai criteri dei test OCSE-PISA, avevaproposto considerazioni a mio avviso insuperate ilcompianto Giorgio Israel), mentre il contributo di or-dine storico-filosofico-letterario assumerebbe solo una di-mensione contestuale, di contorno (non potrebbe esserealtrimenti, mancando un’impostazione cronologicamentecoerente del loro dispiegarsi), in grado di creare innocuicontesti culturaleggianti, incapaci però di illustrare comeun determinato approccio disciplinare concorra all’arric-chimento della conoscenza. Nel corso di più di vent’anni, in merito alle competenzesono state proposte tra le definizioni più varie e fra lorocontraddittorie, tanto che Edoardo Greblo (rivista aut-aut,n°358, 2013) aveva affermato che «del concetto dicompetenza esistono tante definizioni quanti sonogli autori che hanno scritto sull’argomento». Sa-rebbe facile, a questo punto, scegliere le più imbarazzantia supporto della propria posizione. E’ però uscito, all’iniziodel presente anno, un volumetto presso la casa edi-trice Il Mulino, curato dalla Fondazione Agnelli, in-titolato proprio Le Competenze, che, consapevole –in un raro moto di autocritica- della confusione e anchedella provvisorietà di molte analisi del passato, si propone

di fare il punto del concetto, per ricondurlo entro i para-metri scientifici che gli spetterebbero e rilanciarlo nellasua urgenza formativa. Ebbene: se prendiamo a riferimen-to tale studio, riteniamo che le nostre valutazioni critichene escano rafforzate. Sempre nel saggio di Greblodel 2013 compariva un’altra impegnativa affermazione:ovvero che le famose otto competenze di cittadinanza sta-bilite dall’Unione Europea, oltre a essere diverse e, percerti versi, tra loro alternative (dal momento –aggiungia-mo noi- che non se ne proponeva un legame di qualsiasitipo, magari gerarchico e, quindi, progressivo), non faceva-no alcun riferimento a una definizione condivisa che po-tesse rappresentare per le stesse un comune denominato-re. Insomma, erano indicate otto declinazioni di compe-tenza, senza preliminarmente chiarire che cosa la compe-tenza fosse. In un passo contenuto nel volume appena ci-tato edito dalla Fondazione Agnelli (pag.38), a propositodi queste famose competenze europee, leggiamo: «Al-l’assenza di un robusto impianto teorico sopperi-sce evidentemente l’autorevolezza dell’istituzio-ne» [corsivo mio]. Insomma, che la competenza sia unconcetto infondato, non in grado di vantare alcuna basescientifica che possa sottrarlo ai contraddittori, mi sembraribadito anche in questo caso. E non si capisce perché leprese di posizioni contrarie di numerose personalità delmondo della cultura e della scienza –che scrivono spessoanche su Professione Docente- non debbano godere di al-trettanta autorevolezza. Un ritorno evidente al principiod’autorità, fondato più su logiche di appartenenza politicache sul prestigio culturale.Nonostante ciò i teorici delle competenze conti-nuano imperterriti affermando l’assoluta necessi-tà e urgenza di piegare la scuola in modo totale aquesta “innovativa” pratica didattica. Il ragiona-mento possiamo riassumerlo nel seguente modo: poichésolo le competenze assicurano un’immediata trasforma-zione del sapere appreso in «pratica sociale», quindi inuna pronta utilità, esse risultano assolutamente indi-spensabili in una fase storica di crisi occupaziona-le, per far uscire dal ciclo d’istruzione individui ca-paci di essere immediatamente operativi rispettoalle esigenze del mondo dell’impresa; alla qualedunque si concede il diritto di entrare da protago-nista nella stessa organizzazione scolastica, con-tribuendo alla precisazione degli obiettivi, dei me-todi e dei criteri di valutazione. Si scopre dunque chele «competenze di cittadinanza» non coincidono con queivalori civili precisati nel testo costituzionale, ma nella ca-pacità del futuro lavoratore di adeguarsi e di comprenderele logiche e le esigenze del sistema economico che miraad integrarlo, e nei confronti del quale deve valere un at-teggiamento intellettuale di accettazione sistemica, e menche meno un approccio di carattere critico.

Il concetto di competenza , pur es-sendo infondato, rimane il pernodella Legge 107/15 e di tutte le indi-cazioni successive. Ne conseguonoprogetti lesivi della dignità degli in-segnanti e per questo i docenti de-vono coniugare la lotta sindacale equella didattico-culturale.

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di Giovanni Carosotti

I FALSI PRESUPPOSTIDELLA DIDATTICA PER COMPETENZE

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L’ignoranza, ovvero la mancanza di quella comprensioneapparentemente gratuita dell’orizzonte sistemico in cui cisi colloca, diventa un valore da perseguire; di conseguen-za, la gestione dei curricola assume quella finalità tecnico-pratica che il concetto di competenza incarna alla perfe-zione. D’altra parte, basta leggere con attenzione il recen-te documento intitolato Orientamenti per l’insegna-mento della filosofia nella società della conoscen-za per toccare con mano come tale disciplina deb-ba diventare, nelle intenzione dei riformatori, unapparato ideologico che espelle da sé qualsiasicontraddittorio storiografico, per ridursi a legitti-mazione del processo conoscitivo incarnato dalproblem solving (l’esatto contrario della centralitàdell’interpretazione e della critica), e quindi so-stanzialmente produrre teorie d’appoggio allanuova ideologia scolastica (come dimostrano leparti del documento in cui si pretenderebbe di in-dividuare identiche finalità tra la filosofia comedisciplina e pratiche quali il CLIL e l’AlternanzaScuola Lavoro).Il risultato di questo approccio ha evidentemente pesantieffetti –sicuramente voluti- sui docenti e sulla gestioneautoritaria dell’organico. Poiché la disoccupazione è unproblema urgente, l’applicazione della didattica per com-

petenze, che aiuterebbe a sconfiggerla, diventa prioritàassoluta della scuola e finisce per coincidere con la stessadeontologia professionale del docente, il quale non puòpiù decidere se liberamente avvalersene o meno (si vedaa proposito il recente documento intitolato Svi-luppo professionale e qualità della formazione inservizio, dove è prevista addirittura la sottoscri-zione di un patto formativo che vincoli giuridica-mente l’insegnante a tali procedure). E poiché lapreparazione dei docenti risulta inadeguata in vista di taliobiettivi, li si intende obbligare, attraverso corsi d’aggior-namento di pressoché totale contenuto pedagogistico, arecepire queste nuove pratiche, ad accettare come vere lefondazioni pseudo-scientifiche delle stesse, a dimostraredi metterle in partica costantemente, lasciandosi eventual-mente etero dirigere, e utilizzando anche materiali e pre-scrizioni provenienti da esperti esterni (in qualche docu-mento ritenuti pomposamente –ma la definizione suonaanche un po’ inquietante- degli «scienziati dell’educazio-ne»-). Un evidente azzeramento della libertà d’insegna-mento.Da questo punto di vista, se si intende respingerequesto progetto lesivo della dignità degli inse-gnanti, questi devono coniugare la lotta sindacalee quella didattico-culturale. In sostanza: rifiutare

questo immotivatoed interessato attac-co alla loro professio-nalità; respingere neicontesti collegiali l’obbliga-torietà di certe pratiche intese a in-trodurre in modo irreversibile questa didattica ostile al sapere disciplinare; battersi per la difesa dellascuola come istituzione che conserva, rinnova e diffonde ilpatrimonio culturale, nella consapevolezza che solo unaconoscenza complessiva dello stesso è in grado di emanci-pare la soggettività dell’alunno, farne una figura libera enon invece servile (come ha recentemente argomentato inmerito anche Salvatore Settis).Un obiettivo immediato dovrebbe essere quello direspingere la riforma del nuovo esame di Stato;l’intenzione sottesa a questa innovazione – non acaso invece fortemente incoraggiata nel volume della Fon-dazione Agnelli (pag.164) – è quella di finalizzare ilpercorso liceale a una verifica per competenze,rendendo quindi superfluo il lavoro di studio con-centrato sulle discipline. A quel punto, una pres-sione sui docenti perché modifichino radicalmenteil loro modo di lavorare nel senso che abbiamo in-dicato risulterà sicuramente più semplice.

Egregio Signor Dirigente,ormai si sarà abituato a questa mia forma un po’ demodé di comunicare: lacarta scritta è un vizio che non riesco a perdere… sarà l’età![…]Io credo che i nostri alunni siano come delle piante rampicanti: se durante laloro crescita, non sono guidati, indirizzati e fermati con interventi mirati enon sempre ‘divertenti’, che permettano ai loro rami di distribuirsi in manieraarmonica sul muro da ‘scalare’, ma vengono lasciati liberi, in balia di ventiche ne strappano foglie e rami, si rischia di minare la loro naturale crescita, oche non crescano affatto e siano, alla fine,‘vinti’ dalla vita.Perché non proviamo noi per primi, nella nostra scuola, ad andare un po’contro tendenza, visto che i risultati ottenuti finora non soddisfano nessunoe le attuali premesse non sembrano farci pensare a un miglioramento so-stanziale, se continuassimo su questa china?Dal prossimo anno, potremmo assicurare alle famiglie che non saranno piùpromossi alunni se non ritenuti in grado di affrontare serenamente la classesuccessiva o una scuola superiore, anche se questo dovesse comportare unagrossa percentuale di bocciati in ogni classe.Potremmo garantire che il malcostume o lo scarso rispetto delle regole, im-perante in ogni contesto sociale, da noi non sarà tollerato, anche a costo diinterventi poco popolari.Potremmo dire a quelle famiglie che si sentono incapaci di atteggiamenti se-veri nei confronti dei loro figli,che troveranno spunti interessanti nella nuovaorganizzazione della nostra scuola. Potremmo fare capire ai nostri alunni, in maniera adeguatamente proporzio-nata alla loro età, che nella vita ci si deve impegnare e che il lavoro paga piùdella furbizia.

Potremmo far capire che l’importante non è non cadere mai, ma essere ingrado di rialzarsi, magari anche con qualche esperienza in tasca. Potremmo informare le famiglie che la scuola non permetterà più, esclusoper casi eccezionali o per esigenze della famiglia stessa, che gli alunni pos-sano uscire prima della fine dell’orario scolastico: chi è entrato la mattina,può aspettare l’ora di uscita per tornare a casa. Potremmo chiedere il supporto delle famiglie nell’impegno di non daretroppi soldi ai figli e soprattutto di cancellare la pratica dei regali per la pro-mozione: studiare è un loro dovere, non un favore che fanno agli altri.Potremmo stabilire la regola che ogni mancanza, disciplinare o di impegnoche sia, deve comunque avere una contropartita in termini di lavoro perso-nale (di studio o di servizio). La promessa di non farlo più si scorda in fretta,se non è supportata da un po’ di sacrificio.Potremmo sconsigliare l’iscrizione alla nostra scuola a quelle famiglie chenon ne condividono gli obiettivi e i metodi.Potremmo darci un termine abbastanza congruo per tirare le somme e ve-dere se la scuola e la società hanno guadagnato dal nostro esperimento o seè meglio ritornare alle vecchie e cattive abitudini, perché sicuramente più co-mode e meno impegnative.Queste sono le mie idee, non so se le vorrà mai prendere in considerazione,ma ho preferito esprimerle, anche perché, a questo punto della mia carriera,non sapendo in che altra maniera reinventarmi, rimanendo comunque coe-rente con la mia moralità, mentre nulla mi fa sperare di poter andare final-mente in pensione, forse, ricominciare ad insegnare, mi piacerebbe anche.

Con rispetto Rossella Sansone

Di questa lettera,rivolta ad un dirigente scolastico, pub-blichiamo, per motivi di spazio, solo una parte. Il testocompleto si trova qui.https://www.orizzontescuola.it/alunni-disinteressati-per-che-gli-insegnanti-sono-incapaci-di-reinventarsi-lettera-al-mio-dirigente-scolastico/

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Lettere allaredazione

professione docente • settembre 2018

TEATRODELLE IDEE

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Il “manifesto per l’uguaglianza” è il recente saggio del prof.Ferrajoli che ha il coraggio di riprendere e analizzare in ma-niera lineare e chiara uno dei concetti più banalmente ripro-dotti in tutte le carte costituzionali e nei trattati internazionalisenza che da esso derivino oggi pratiche concrete e politi-che conseguenti. L’eguaglianza viene stipulata nella sferagiuridica perchè dal principio di libertà individuale di stampoprettamente liberale, frutto dell’illuminismo e della rivolu-zione francese, deriva il riconoscimento che siamo diffe-renti a livello soggettivo, ma come persone siamoriconosciuti astrattamente uguali a tutte le altre.Con la costituzione dello Stato democratico e delle sue isti-tuzioni si identifica come elemento intrinseco del tessuto so-ciale e politico il principio fondativo del riconoscimento edella tutela delle minoranze, dei più deboli nella sfera poli-tica, etnica, religiosa ed economica. La nostra Costitu-zione distingue, non a caso, l’uguaglianza formalee liberale prevista nel primo comma dell’art 3 ,dalla cosiddetta uguaglianza sostanziale al se-condo commadella necessità di “rimuovere gli ostacolidi ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la li-bertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno svi-luppo della persona umana e l’effettiva partecipazione ditutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e so-ciale del Paese”. Si tratta di un principio costituzio-nale che obbliga a politiche che attuinoeffettivamente il principio democratico di uguaglianzasuperando il semplice paradigma liberale. Un principio dina-mico, programmatico che si contrappone alla formalità cri-stallizzata del riconoscimento formale e soggettivo diuguaglianza.Ferrajoli apre una seria riflessione sulla la contrapposizionetra libertà individuale di stampo liberale con la deriva neoli-beralista che vede la disuguaglianza come motore dellacompetizione e dell’efficienza economica nel capitalismo ela necessità di riportare al centro della politica i valori co-muni, i beni comuni, la dignità delle persone- in quanto “persone”- che per loro caratteristica non possono essere

misurati e misurabili in termini economici tradizionali.L’uguaglianza pone e deve porre limiti al concettoastratto di libertàbasata sull’individualismo proprietariodel neoliberismo, deve garantire il multiculturalismosenza che esso scada in semplice riconoscimento tollerantedelle diversità, deve essere alla base della laicità deldirittoe delle istituzioni pubbliche , è alla base della sovra-nità popolare e di uno sviluppo economico equilibrato edecologicamente sostenibile.Il problema del mondo attuale è che il valoredell’uguaglianza è profondamente messo in di-scussione dalle politiche liberisteche, superando letesi del keynesismo e dello stato regolatore in economia,hanno portato nell’economia globale ad una inaccettabiledisuguaglianza sia a livello di produzione che di distribu-zione del reddito e della ricchezza. La crisi dello Stato Socialeè il paradigma della progressiva scomparsa della politica edel concetto di “Stato” come abbiamo da sempre conce-pito. Sono le leggi di mercato che hanno riempitol’assenza della politica e si sono trasformate intotem intoccabili, nuove “leggi naturali” del-l’umanità. Questa deriva può solo portare alla crisi dellademocrazia, della coesistenza pacifica, al crescente sfrutta-mento del lavoro, all’impoverimento di gran parte delledonne e degli uomini, alla concentrazione del potere e dellaricchezza in entità astratte di natura multinazionale control-late da una oligarchia mondiale che sfugge alle regole e aldiritto.L’autore tocca diversi aspetti che sono alla basedelle contraddizioni concernenti il concetto diuguaglianza: l’aggressione ai diritti del lavoro e dei lavo-ratori, l’attacco allo jus migrandie la criminalizzazione dellostatus di immigrato, il problema della distribuzione del red-dito con l’utopia concreta del reddito minimo garantito, lacontrapposizione tra beni fondamentali e beni illeciti (arma-menti). Per ogni tematica analizzata Ferrajoli non si li-mita ad una semplice analisi descrittiva madefinisce proposte concrete per superare l’attualesituazioneche può portare solo a ulteriore destabilizza-zione sociale ed economica, allo sfruttamento selvaggio

delle risorse naturali, all’impoverimento progressivo dimasse enormi del nostro pianeta.Si tratta di rifondare il diritto internazionalepar-tendo da processi ricostituenti degli ordinamenti statali e so-vranazionali per arrivare ad un nuovo ordine internazionale,si tratta di restaurare le garanzie essenziali dei lavoratorinei confronti dei datori di lavoro per arrivare ad un codiceinternazionale del lavoro garantendo a tutti un livello di red-dito di base universale e incondizionato quale garanzia deldiritto al lavoro. E’ necessario superare le politicheautoreferenzialidi esclusione riconoscendo nel migranteun elemento costituente di un uovo ordine mondiale, è ne-cessario ricostruire la partecipazione democratica attraversonuove forme di partito partendo dalla difesa dei diritti socialie dei beni fondamentali.Serve quindi un costituzionalismo oltre gli stati olo “Stato”, che sia fondante di nuovi e condivisi principi didiritto privato e di diritto pubblico. Alcuni hanno criticato in maniera semplicistica il saggiocome una elencazione di belle speranze e di politiche utopi-stiche irrealizzabili. E’ vero che le possibilità di arrivare intempi brevi ad una costituzionalizzazione globale dei dirittia garanzia del principio di eguaglianza sostanziale è diffici-lissimo. Purtroppo serviranno evidenze storiche che costrin-geranno i già deboli “Stati” a prendere atto della necessitàdel cambiamento in atto per tornare a riconfigurare il con-cetto di “Stato di Diritto” come nuovo elemento per lacreazione di una vera Costituzione della Globalizzazione.Ma è anche necessario cominciare a pensare il fu-turo e il modo di domani come mondo migliore ilcui il diritto non sia il diritto del più forte o unateocrazia fondata sulle logiche del profitto.E’ un libro che consigliamo alla lettura, anche cri-tica, anche per i nostri allievi che sono ancora, eper fortuna, portatori di suggestioni e speranzeper un mondo diverso costringendo il lettore aporsi in termini costruttivi e propositivi di fronteagli enormi problemi mondiali attuali.Nel saggio diFerrajoli non si parla se non in modo indiretto ad uno deibeni comuni per eccellenza che sono alla base dello StatoSociale: l’istruzione, la formazione e la scuola pubblica. Nonè da leggere come carenza, ma come elemento di succes-sivo sviluppo di ricerca nell’ambito della ricostruzione delconcetto di uguaglianza. La nostra scuola, come quella ditroppi paesi occidentali, si sta caratterizzando come ele-mento strumentale del sistema valoriale governato dallaprevalenza dell’economico rispetto al politico. Studiare deveservire a qualcosa (competenze) curvando le capacità e la li-bertà di ricerca all’utilità misurabile con parametri ragionieri-stici. Così le nostre scuole sono il trionfo delle prosopopeerelative all’uguaglianza formale (tutti bravi, tutti promossi,tutti competenti, tutti con il diritto al successo formativo..)per poi delegare al mercato la speranza di una uguaglianzasostanziale del tutto irrealizzabile. Una situazione inaccetta-bile che spinge i docenti a diventare operatori di un sistemache crea disuguaglianza senza responsabilità e gli studentia diventare lavoratori essendo “il lavoro” l’unica liberazionead essi offerta. Un incubo.

Un libro che consigliamo alla lettura, anche critica, ai docenti e agli studenti per-chè costringe il lettore a porsi in termini costruttivi e propositivi di fronte aglienormi problemi mondiali attuali.

IL MANIFESTO PER L'UGUAGLIANZA:una speranza per il futuro

TEATRODELLE IDEE

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di Fabrizio Reberschegg

professione docente • settembre 2018

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INTERVISTA CON LUIGI FERRAJOLI* LE NOSTREINTERVISTE

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• Professor Ferrajoli, dal principio politico dell’uguaglianza derivano tutti i diritti umani fondamentali, come quelli alla salutee all’istruzione. Come può, la scuola, declinare questo principio? L’uguaglianza è l’“égalité en droits” proclamata dal primo articolo della Dichiarazione francese dei dirittidell’uomo e del cittadino del 1789. Precisamente, è l’uguaglianza nei diritti fondamentali, che diversamentedai diritti patrimoniali come per esempio la proprietà privata, sono diritti universali, cioè attribuiti ugual-mente a tutti. Per “scuola”, ovviamente, deve intendersi il diritto all’istruzione, la cui attribuzione a tutti èstabilita dall’articolo 34, comma 1, della nostra Costituzione che afferma che “la scuola è aperta a tutti”.Questo diritto è precisato nel secondo comma del medesimo articolo, secondo cui “l’istruzione inferiore, im-partita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita”, e dai due commi successivi sulle “borse di studio” egli altri benefici cui hanno diritto i “capaci e meritevoli“ onde sia loro possibile “raggiungere i gradi più altidegli studi”. Dunque, quanto alla scuola, l’uguaglianza è in due diritti, tra loro ovviamente connessi: nel di-ritto di tutti all’istruzione gratuita per almeno otto anni e nel diritto di tutti i capaci e i meritevoli di prose-guire negli studi fino ai gradi più alti• Nel suo testo, lei cita alcune leggi orientate al principio dell’uguaglianza (per es. l’intervento dei genitorinella scuola con i Decreti delegati e la liberalizzazione degli accessi universitari). Eppure oggi, la presenzadei genitori si rivela molto dannosa e la liberalizzazione ha prodotto non pochi insuccessi.La presenza dei genitori negli organismi scolastici fu certamente un fattore di democratizza-zione della scuola. La tesi che essa si è rivelata “molto dannosa”, oltre che opinabile, prova troppo. Sa-rebbe come dire che il suffragio universale è dannoso perché non ci piacciono, come a me e a tanti altrinon piacciono, gli attuali governanti e la maggioranza degli elettori che li ha eletti. Del resto anche i ge-nitori, non meno della scuola, hanno “dovere e diritto”, come dice il primo comma dell’art. 30 della Co-stituzione, non solo di “mantenere”, ma anche di “istruire ed educare i figli”. Ed è chiaro che le due for-me di educazione e di istruzione - quella della scuola e quella della famiglia - non possono ignorarsi, madevono integrarsi e coadiuvarsi. Detto questo, non ho difficoltà a riconoscere che il ruolo dei genitori non si è rivelato al-l’altezza delle aspettative che furono all’origine della sua previsione legislativa; che si è svi-luppato, in molti casi, un antagonismo tra genitori e docenti all’insegna, assai spesso, della difesa insen-sata degli alunni da parte dei primi contro le oggettive valutazioni dei secondi; che i genitori, nella granparte dei casi, non attribuiscono un sufficiente valore alla cultura e alla formazione civile e intellettualedei loro figli e sembrano interessati soprattutto alle loro promozioni. Ma questo è uno dei tanti segnidella generale degradazione dello spirito pubblico e del senso civico che sta avvelenando la nostra de-mocrazia e che certamente non può essere risolta con una riduzione degli spazi democratici.• Nella scuola, oggi sembra prevalere la prosopopea relativa all’uguaglianza formale (tutti bravi, tuttipromossi, tutti competenti, tutti con il diritto al successo formativo..). Cosa ne pensa? Penso che si tratti di un fallimento della scuola. Ma penso anche che tale fallimento nonabbia nulla a che vedere con l’“uguaglianza formale”. L’uguaglianza consiste nell’uguale dirittodi tutti all’accesso alla scuola, e non certo nel diritto alla loro uguale valutazione; tanto è vero che lostesso articolo 34 della Costituzione distingue i capaci e i meritevoli dagli incapaci e dai non meritevoli.L’idea di cui lei parla del “tutti bravi, tutti promossi, tutti competenti” è del tutto estranea al diritto al-l’istruzione e al principio di uguaglianza, dei quali rappresenta anzi la negazione.• Non vi sono dubbi che la “meritocrazia” sia un principio liberista che giustifica le differenze. Ma, puòessere applicato anche alla cultura e allo studio? E’ pensabile che la scuola, in virtù di un principio diuguaglianza, escluda il merito dal proprio orizzonte?Come ho già detto nella mia precedente risposta, la valutazione di merito degli studenti e perciò i lorodifferenti e meritati successi o insuccessi sono imposti dalla nostra stessa costituzione. • La scuola è un organo istituzionale, il cui scopo risiede nel principio repubblicano di migliorare lastruttura della res publica, attraverso la trasmissione della cultura. Come si potrebbe, senza tradire il principio dell’uguaglian-za, restituire alla scuola il compito di formare classi dirigenti avvedute e orientate all’interesse generale?Mi pare che stiamo girando intorno alla stessa questione. Il principio di uguaglianza non soltanto non preclude, maimpone alla scuola, come lei dice, “il compito di formare classi dirigenti avvedute e orientate all’interesse generale”, inaccordo con il “principio repubblicano di migliorare la struttura della res publica”.

Nella scuola, l’uguaglianza consistenell’uguale diritto di tutti all’accessoe non certo nel diritto alla loro uguale valutazione

di Renza Bertuzzi

professione docente • settembre 2018

LUIGI FERRAJOLI è giurista, ex magistrato e professore emerito diFilosofia del diritto all’università di Roma Tre. Haricevuto dottorati honoris causa in Argentina,Brasile, Cile, Colombia, Ecuador, Messico, Perù,Spagna e Uruguay. È autore di numerose opere-più di 30 libri, di cui molti tradotti in diverse lin-gue- che hanno contribuito a stimolare un di-battito accademico su temi di rilevanzainterdisciplinare. Questi, oltre al saggio recensitoa pag . 10, i suoi testi più recenti: Dei diritti edelle garanzie. Conversazione con Mauro Barbe-ris (il Mulino, Bologna 2013); La democrazia at-traverso i diritti (Laterza, Roma-Bari 2013); Ilparadigma garantista. Filosofia e critica del dirittopenale (Editoriale Scientifica, Napoli 2014, II ed.2016); Iura paria. I fondamenti della democraziacostituzionale (Editoriale Scientifica, Napoli2015); La logica del diritto. Dieci aporie nell’operadi Hans Kelsen (Laterza, Roma-Bari 2016); conJuan Ruiz Manero, Due modelli di costituzionali-smo (Editoriale Scientifica, Napoli 2016); Costi-tuzionalismo oltre lo Stato (Mucchi, Modena2017), Contro il creazionismo giuduziario (Muc-chi, Modena 2018). Luigi Ferrajoli ha. Ha inoltrepubblicato più di 500 saggi, in riviste e opere col-lettanee di cui è impossibile dare conto qui.

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LE NOSTREINTERVISTE

• Dottoressa, cosa ne pensa della decisionedi whatsapp di innalzare il limite di eta’ diutilizzo da 13 a 16 anni?Sta facendo discutere il provvedimentodell’UE entrato in vigore dal 25 maggio sul-la tutela della privacy dei minori e, What-sapp, la chat di Facebook, ha annunciatoun adeguamento con un mese di anticipo,innalzando il limite di accesso da 13 a 16anni.Sicuramente questa decisione diventa l’oc-casione per una riflessione. A mio avvisosi tratta di una semplificazione, per-ché la capacità di usare correttamen-te e con buon senso le chat e i socialnon è legata solo all’età anagraficadell’utente ma al tipo di maturità e dieducazione che ha ricevuto nell’usodel web e della rete, alla consapevolez-za di quelle che ne sono le enormi poten-zialità ma anche i molti rischi. I ragazzisono nativi digitali e quindi si muovono congrande agilità nel mondo della tecnologiama queste abilità e competenze “tecniche”e “strumentali” non sono sufficienti a farliagire anche in maniera corretta e sicuraverso sè e verso gli altri, nel rispetto dellapropria ed altrui privacy. L’avvento deglismartphone ha trovato tutti impreparati,non sarebbe stato possibile prevedere leconseguenze dell’uso di uno strumento dicui, in fase iniziale, sono state enfatizzatesoprattutto le potenzialità e comodità masottovalutati i rischi e le insidie e trovo siastata imprudente la ministra Fedeli acaldeggiare l’uso degli smartphone inclasse, una presa di posizione piutto-sto superficiale.• Tuttavia e’ impensabile escludere la tecno-logia dalla vita e dalla didattica dei ragazziAssolutamente, non si tratta di vietarnel’uso, anzi, l’accesso al web e ai social con-sente la condivisione immediata di docu-menti, la ricerca rapida, l’invio di foto, ma-teriali, filmati e così via. Il problema è chela condivisione non ha limiti e confini equesto può comportare conseguenze im-portati ed a volte irrimediabili sia rispettoalla sicurezza personale che reputazionaledegli utenti. Nel web si possono postare adesempio commenti o foto che danno un’im-magine troppo spinta di sè. I ragazzi nonsempre si rendono conto che quantoviene postato è per sempre e che ilmezzo non consente più di tornare in-dietro.• Quali sono gli effetti negativi dell’uso delweb?Il web può indurre, in casi estremi, compor-tamenti e dipendenze compulsive con veree proprie crisi di astinenza, per questo mo-tivo gran parte della popolazione è in allar-

me dopo l’annuncio dell’innalzamentodell’età utile per l’accesso alla chat.Fortunatamente le forme più estremee patologiche sono piuttosto rare; mala dipendenza può diventare una verae propria sindrome: riguarda ragazzi chenon riescono a fare a meno della rete e, seprivati, provano un forte disagio che non siattenua in nessun altro modo se non con ilripristino della connessione. I ragazzi, i giovani possono rinchiu-dersi in una sorta di “nicchia mediati-ca”, attuando una vera e propria fuga dal-la realtà con conseguenze sociali e psicolo-giche: sostituire amici reali con amici vir-tuali, smettere di fare sport e passare sem-pre più tempo in solitudine davanti ai vi-deogames. Una delle manifestazioni pato-logiche più importanti della dipendenza èla sindrome Hikikomori che consiste in unritiro totale dalla realtà e in un rifugio nelvirtuale, in completo isolamento e rinunciaalla vita di relazione con conseguente svi-luppo di forme di malinconia e depressione.Tale sindrome è stata classificata in Giap-pone, dove la società è caratterizzata dauna grande pressione verso l’autorealizza-zione e il successo personale, accompagna-ta da un contesto familiare contraddistintodalla mancanza di una figura paterna e daun'eccessiva protettività materna. Ma al dilà della patologia, un abuso di Internet edelle tecnologie è sempre negativo.Non si tratta solo di numero di orepassate davanti al computer. Internetdovrebbe avere un uso “integrativo",incentivare ed accompagnare le atti-vità dei ragazzi nel mondo reale: di-vertirsi con gli amici, coltivare hob-bies, innamorarsi, fare sport… Se laRete assume invece un ruolo “sostitutivo”,allora diventa un problema, perché si vienea perdere l’allenamento e la capacità ad in-traprendere e mantenere rela-zioni reali. Il virtuale può pren-dere il sopravvento fino a farperdere le abilità sociali, fino aprodurre confusione di identi-tà fra la propria immagine rea-le ed il profilo virtuale.Preadolescenti ed adolescentisoffrono moltissimo per la lorotimidezza e per l’esclusione acui i compagni o amici posso-no condannarli, è proprioper questi ragazzi che larealtà virtuale diventauna modalità illusoria at-traverso cui possono vi-vere un’identità liberadalle paure e condiziona-menti della realtà vera, il-

ludendosi di avere molti amici, superandoin maniera surrogata il senso di solitudine.Sono questi i ragazzi più vulnerabili che ri-schiano di rimanere intrappolati fra le ma-glie della rete. • Perche’ il web esercita un fascino cosi’forte nei ragazzi?I preadolescenti e adolescenti hanno ungran bisogno di comunicare con i loro coe-tanei e di condividere, hanno bisogno disentirsi parte di un gruppo, di essere scelti,di avere tante amicizie, ma è bene che pre-diligano quelle reali, più controllabili. Inquesto senso la rete incrocia proprio i biso-gni di condivisione e le fragilità di questotarget di utenza. Postare commenti o pen-sieri intimi su web mentre da un lato portaad un immediato sollievo delle tensioniemotive, dall’altro potrebbe far sì che ungiorno i ragazzi si pentano di quanto pub-blicato, proprio perché su web lascia tracceper sempre e può avere conseguenze sulpiano reputazionale. Purtroppo i ragazzi invece si sentono illuso-riamente e quindi pericolosamente protettiproprio dallo schermo. Dietro al display diun telefonino o al monitor di un pc si per-cepsicono al riparo, nascosti, ma in realtàsi tratta una protezione molto ingan-nevole perché è come se si trovasse-ro in un’immensa vetrina affacciatasul mondo, il grande palcoscenico delweb dove tutti possono esprimere giudizi,criticare e condannare. Il peso dei giudizi edella conseguente vergogna è proporziona-le al numero di spettatori ed alcuni ragazzine rimangono schiacciati.Nella rete possono vivere anche le loro pri-me esperienze sessuali; l’approccio direttodel contatto con l’altro può risultare moltoansiogeno, invece condividere alcune im-magini sexy tramite chat (la pratica del sex-

ting) li fa sentire al sicuro, manon possono sapere qualeuso i loro interlocutori faran-no di queste immagini, se ver-ranno condivise poi con mi-gliaia di altri utenti senza chegli interessati lo sappiano,salvo poi vivere una vergognainsopportabile quando lo ven-gono a scoprire, vergognache più di una volta ha pro-dotto anche dei comporta-menti estremi di cui abbiamoletto nella cronaca nera.

di Paola Tongiorgi*

IL WEB E IL PERICOLO DELLA “NICCHIA MEDIATICA”

INTERVISTA CON LA PSICOLOGA CLINICA MICHELA GALLINA

professione docente • settembre 2018

MICHELA GALLINAPsicologa clinica, Psicoterapeutafamiliare-relazionale, Psico-trau-matologa (Membro Ordinariodell’Associazione per l’EMDR inItalia), Counselor e Mediatrice fa-miliare.

Intervista in Gilda tvhttps://www.youtube.com/watch?time_continue=8&v=i4pEHvN-20s

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STRUMENTI PER ARGINARE I PERICOLI DEL WEB OFFICINAGILDA

di Massimo Quintiliani

Allerta per i giovani naviganti: connessi in rete, tra social, chat e forum

Tra un caruggio e l'altro, Genova “la Superba”

L’uso della connessione in rete da parte dei giovanissimi è già un problema. La loro navigazione è spesso inconsapevole dei rischi d’imbattersi nel web peresempio in sexting, adescamenti, cyberbullismo, furti d’identità. Creare consapevolezza di ciò, tanto nei bambini/giovani che tra i genitori è oggi una necessità,specialmente se colui il quale dovrebbe fungere da supervisore non possiede nemmeno nozioni minime d’Internet e tecnologia. L’AgCom di Roma ha creatoper questo i presupposti per un progetto di “media education” rivolto a studenti dai 12 ai 16 anni ed ai loro genitori. L’agenzia delegata Core-Com Toscana ha coinvolto direttamente gli insegnanti per informare/educare, arrivando a contattare più di mille studenti negli ultimi due anni, sull’uso appropria-to di Internet e sui rischi a cui ci si può esporre. Il risultato finale è stato concretizzato in un vademecum cartaceo dal titolo “Internet@minori@adulti”: il volu-me, distribuito nelle scuole, vuole rappresentare uno spunto di riflessione intergenerazionale, in quanto la rete è una grande opportunità ma ci si deve anche pro-teggere da essa. Attualmente l’utente Internet è attivamente protagonista con creazione di contenuti e possibilità di divulgarli attraverso svariati canali (Facebook,Youtube, Flickr, Twitter, ecc). Le generazioni nate dopo il 1990, i cosidetti “Digital Nativs”, sono cresciute accompagnate dalla tecnologia interattiva e sono predi-sposte al loro utilizzo con facilità e fin troppa disinvoltura. Infatti non poche sono le ore di navigazione sul web del 56% dei giovani tra i 12 ed i 17anni: tra le 2 e le 4 ore al giorno. Se partiamo dal presupposto che la piattaforma Internet nasce ideata per gli adulti, la protezione dei minori dai rischi del webricade sostanzialmente sulla famiglia. E sempre più indispensabile che all’interno del nucleo famigliare avvenga una gestione condivisa della navigazione, con gliadulti chiamati in causa per consigli e vigilanza. Secondo la polizia postale siamo di fronte ad un forte incremento di episodi di furti d’identità sulweb. E’ il caso della creazione di falsi profili, alle volte anche solo per gioco per interagire con altre persone, che possono degenerare in adescamenti on line. Edancora casi di sexting ovvero sms a sfondo sessuale talvolta accompagnati da foto compromettenti. In conclusione i rischi che si celano dietro Internet sono realie vanno conosciuti senza sottovalutarli. Purtroppo la conferma di tale necessità ci viene anche dai gravi fatti di cronaca che, troppo spesso alla ribalta, devono far-ci riflettere e rappresentare -come preciso dovere morale della società- l’essere in allerta e sensibilizzati alla problematica specifica, compenetrandosi sempre piùnella conoscenza e sull’uso degli strumenti in rete, così da non dipendere in qualità di genitori/educatori dai nostri giovani a causa della nostra inesperienza tec-nologica su Internet e social network.

Per maggiori informazioni su queste problematiche e sugli strumenti per arginarle si rimanda al sito ufficiale del CoreCom Toscana : www.corecom.toscana.it

Così soprannominata da Francesco Petrarca, che nel 1358scrisse: “Vedrai una città regale, addossata ad una collina alpe-

stre, superba per uomini e per mura, il cui solo aspetto la indica si-gnora del mare”. Genova è contornata da monti, rappresentatanta storia marinaresca e commerciale col suo aspetto protesoverso il mare. Città affascinante con il Porto Antico, l’Acquarioe il Museo del Mare, il suo Centro Storico più granded’Europa che ha mantenuto le proprie caratteristiche uniche edatmosfere d’altri tempi con le chiese e le botteghe storichecollegate dalle centinaia di caruggi, (caratteristici stretti portici evicoli ombrosi). Per apprezzare Genova in tutta la sua bellezza esi-ste un modo: osservarla dall’alto. La città possiede diversi punti pa-noramici come: la SPIANATA CASTELLETTO per godere la vistadel Centro Storico, del Porto Antico, della Lanterna edell’Acquario; la TERRAZZA DI PALAZZO ROSSO, da pochiconosciuta, terrazza panoramica situata sul tetto dell’omonimo pa-lazzo, una delle dimore storiche più belle di Strada Nuova (viaGaribaldi). Questi magnifici palazzi, costruiti tra il 500 e il 700,hanno incantato viaggiatori da tutto il mondo. Alzando gli occhiverso le colline, si noteranno imponenti costruzioni che dominano irilievi, sono i Forti di Genova: una serie di fortificazioni costruitenel 1600 sulle mura medievali che circondavano la città, mura chefurono prese a modello da architetti militari dell’epoca per edifi-carne altre in Germania e in Francia. Da buona città di mare, giàRepubblica Marinara, Genova è riuscita a fondere diverse culturetra loro grazie ai traffici di merci e di persone che il porto ha ac-colto negli anni e ciò non poteva non influenzarne anche l’arte cu-linaria: Pansoti con la salsa di noci, Stoccafisso con pinoli, olivetaggiasche e patate, Focaccia di Recco (al formaggio), Torte diverdura, Cima, Trippa (da gustare in una delle storiche tripperiedella città com’è La Casana), ed ancora Calamari e Acciughe frittedelle friggitorie storiche come l’Antica Friggitoria Carega. La

focaccia (più conosciuta come pizza alla genovese), la farinatae la pasta al pesto sono tutte specialità che possono esseregustate recandosi in uno dei mercati tipici: il più famoso è il Mer-cato Orientale; oppure al Mercato del Carmine, dove s’inse-gna persino a preparare il vero Pesto alla Genovese.Proseguendo nella zona del Porto Antico, a pochi passi dalMuseo del Mare c’è il Bigo, l’ascensore panoramico convista a 360°; c’è la famosa Lanterna di Genova che è il monu-mento simbolo della città, della sua grandezza e della sua po-tenza nonché del suo porto. Costruita nel 1128 e ristrutturata nelleforme attuali nel 1543, ha un’altezza di 77 metri che offre unavista estesa a 50 chilometri di distanza. Quasi tutti i locali e i pubsi trovano nel centro della città, attorno alla Cattedrale di SanLorenzo o in altre piazzette famose: Piazza Lavagna, uno dei luo-ghi più suggestivi del centro storico genovese, un’oasi che trovaspazio fra gli stretti caruggi e le piazzette che la circondano. Piazzadelle Erbe, che è una piccola piazza situata a ridosso di PalazzoDucale, dietro alla centralissima Piazza De Ferrari. Questa città hamolto da offrire al visitatore ma, come tutti i porti , Genova è luogodi passaggio; offrendogliene l’occasione, però, saprà essere così ri-conoscente da meravigliarvi ogni giorno e sempre con cose diverse.

Viaggi&Cultura

professione docente • settembre 2018

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Wikipedia è un nome, un marchio, un modo didire. Un’idea e un fatto. Il quinto sito mondia-

le, Davide tra i Golia commerciali. Un’enciclopediaimperfetta, una benedizione epistemica, un incuboe una manna. Una presenza nella nostra vita di ge-nitori ed educatori. A un certo punto in alcunescuole francesi gli insegnanti hanno detto agli stu-denti di fare ricerche online senza utilizzare wikipe-dia. Si erano evidentemente stancati del copia-e-in-colla facile. Il risultato non è stato dei migliori: ilcopia-e-incolla è continuato imperterrito, ma invecedelle pagine di wikipedia si sono usate le informa-zioni sulla prima pagina di google. Fate una provae un confronto. Noterete tra l’altro una cosa: cer-cando su google, che so, “Francesco Giuseppe”, viritrovate comunque in cima alla pagina il link a wi-kipedia. E nella colonna di destra, l’informazione diwikipedia viene citata, copia-incollata da google!Evidentemente gli algoritmi di google vedonoemergere la voce di wikipedia come utile, pertinen-te, affidabile. Questa piccola osservazione sulla colonna di destradi google, il copia-e-incolla da wikipedia, nascondeun fatto di enorme portata che mi piacerebbe por-tare all’attenzione della discussione pubblica. Idati che seguono vengono dal lavoro di Da-rio Taraborelli, che dirige l’unità di ricercadella Fondazione Wikimedia a San Francisco(Wikipedia gestisce wikimedia). Non è un caso chegoogle abbia un potente aspiratore sempre accesoche risucchia informazioni dal wikipedia e le rispu-ta sulle sue proprie pagine. Wikipedia non èsolo un’enciclopedia online, è molto di più.Nell’ordine. Wikipedia è una dei primi “punti diaccesso” alla letteratura accademica. Che cosavuol dire? Che se cercate un’informazione pubbli-cata in un articolo accademico, potete passare dawikipedia. Wikipedia è usata nel mondo scienti-fico per quello che si chiama “prericerca”. Checosa vuol dire? Che se un ricercatore comincia a la-vorare su un soggetto nuovo, conviene partire dawikipedia. Wikipedia ha contribuito a dare for-ma al linguaggio scientifico contemporaneo. Checosa vuol dire? Che il modo in cui gli articoli scien-tifici sono scritti, la scelta dei vocaboli, le struttureargomentative, si allineano agli standard di wikipe-dia. E inoltre: Wikipedia è la risorsa medica onlinepiù consultata al mondo. Ed è il primo vettore dicomunicazione scientifica: la comunicazione di un

risultato nuovo passa dalle pagine dell’enciclope-dia libera prima che da qualsiasi altro vettore. Ma non è tutto. Avrete notato che sulle pagi-ne di wikipedia compare un riquadro che sin-tetizza le informazioni enciclopediche (per esempio,per la città di Pescasseroli, avete geolocalizzazione,numero di abitanti, altitudine, eccetera). Questi ri-quadri non sono soltanto comodi riassunti; staccatidalla voce principale, alimentano un immenso da-tabase che si chiama DBpedia che sta al centro diuna rete sconfinata di centri di elaborazione dati.In pratica tutto il web si alimenta su DBpedia, e inparticolare il web commerciale, come fa google conil suo gigantesco aspiratore, come fa Facebook conil suo Fake News tool, come fanno Youtube, SiriKnowledge, e innumerevoli altri. Il che vuol dire,tra l’altro, che c’è un immenso uso commer-ciale del lavoro di redazione indefesso chefanno le decine di migliaia di volontari diwikipedia. Nelle parole di Taraborelli, Wikipedia èla spina dorsale epistemica del web. Ci sono naturalmente molte sfide: la rappresentati-vità geografica e di genere è ancor lungi dall’essereacquisita. Pescasseroli ha una voce, come tutti i co-muni italiani, ma la carta geografica che disegnawikipedia è piena di zone vuote in Africa. Negli ultimi mesi si fa un gran parlare diFake News e dei modi in cui possiamo difendercidalla disinformazione, con software che filtra, conprogrammi educativi per la prima infanzia, congruppi ministeriali, task force, contrositi, poliziadel web. Taraborelli ci ricorda non senza ironia chela soluzione del problema esiste da diverso temponella letteratura scientifica, e per quel che riguar-da il web esiste da quando esiste wikipedia: biso-gna suffragare ciascuna affermazione con il riferi-mento a fonti verificabili (per esempio, potete ri-trovare i dati di cui vi sto parlando nella presenta-zione https://doi.org/10.6084/m9.figshare.6477680 ).Sembra una cosa da poco, ma bisogna pro-vare a scrivere su wikipedia per rendersiconto di cosa vuol dire esprimersi senzabuone informazioni alle spalle; dei simpati-ci ma inflessibili robot, e degli editor uma-ni, vi riportano velocemente in riga. Le lamentazioni sulla qualità di wikipedia,o sulla sua colonizzazione dei compiti acasa, andrebbero riesaminate alla luce didue fattori: il ruolo sociale, purtroppo poco

visibile, dell’enciclopedia libera e collabora-tiva, e i meccanismi di controllo della quali-tà, mal capiti, che un’enciclopedia collabo-rativa deve mettere in atto. Entrambi i fattorispiegano perché wikipedia funziona, e perché lesue alternative commerciali, come Knol e Citizen-dum, sono fallite. Ci incitano a continuare ad usar-la, a farla usare ai nostri studenti, e ci mettono an-che nella condizione di fare una scelta che definireimorale. Wikipedia è un bene comune, dev’es-sere mantenuto e curato. Sapendo che lenostre studentesse e studenti la useranno,dovremmo investire una parte del nostrotempo a migliorare la qualità delle voci sucui siamo competenti.

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TEATRODELLE IDEE

di Roberto Casati

ROBERTO CASATIÈ un Filosofo italiano, studioso dei processi co-gnitivi. Attualmente è Direttore di ricerca del Cen-tre National de la Recherche Scientifique (CNRS),presso l’Institut Nicod a Parigi e Direttore dellostesso Istituto Nicod. Esponente della filosofiaanalitica, già docente in diverse università euro-pee e statunitensi, è autore di vari romanzi esaggi, tra cui La scoperta dell’ombra (2001), tra-dotto in sette lingue e vincitore di diversi premi,la raccolta di racconti filosofici Il caso Wasser-mann e altri incidenti metafisici (2006), Prima le-zione di filosofia (2011), Contro il colonialismodigitale. Istruzioni per continuare a leggere(2013), recensito in “Professione docente”,settembre 2016, con un’intervista all’autore eLa lezione del freddo, presso Einaudi, una filoso-fia e un manuale narrativo di sopravvivenza peril cambiamento climatico. Questo libro ha vintoil premio ITAS del libro di montagna.

Wikipedia è un bene comune, dev’essere mantenuto e curato. Sapendo che le nostre studentessee studenti la useranno, dovremmo investire una parte del nostro tempo a migliorare la qualitàdelle voci su cui siamo competenti.

C’ è del sano in Wikipedia…

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Sì, Wikipedia è una cosa eccellente e non si può che essere d’ac-cordo con l’articolo di Roberto Casati qui a fianco. Come docenti,

abbiamo però bisogno di fare qualcos’altro che si è perso: insegnarepazientemente l’abitudine alla riflessione, all’approfondimento e alpensiero critico, in particolare nel rapporto con i media digitali. Percominciare direi che tra i nostri studenti, i cosiddetti “nativi digitali”,non si trova alcuna particolare competenza nell’usare le enormi po-tenzialità della Rete: prevale piuttosto la pigrizia e il taglia-incolladei primi dieci risultati forniti da Google.Così, quando ricevo la tesina di una studentessa sul rapporto tra re-ligione e politica negli Stati Uniti scopro che ha inserito, a guisa diintroduzione, una descrizione della banconota da 1 dollaro, che citoqui sotto integralmente:

In the American One-dollar bill there is a sign: “In God Trust”. This isthe American national motto, which was taken in 1956 duringEisenhower’s presidency (...) Next to this motto, the American eagleis also depicted, that squeezes the war’s arrows in its claws and anolive branch on both sides, while holding a ribbon in its beak saying:“Pluribus Unum” (By many, one). The sentence is made up of 13stars, that correspond to the number of the colonies that shaped thenew Republic, the eagle is dominated by 13 stars (...) The pyramid isformed by 13 block of stone, representing (…) self-government,whereas the incompleteness of the construction aims at conveyingthe possibility of new States joining theAmerican Republic. The pyramid is sur-rounded by a ribbon and at the basis of itVirgilio is quoted: “A new order of the cen-turies”. On top of the pyramid a sacred trian-gle is portrayed and it has a divine eyeoverlooked by a 13-words Latin sentence :“It has favoured our endeavour”. Therefore,this bill has a strong religious value, but it isnot so clear what religion it identifies with.

La lunga citazione non ha lo scopo di met-tere in evidenza l’inglese estremamente ap-prossimativo di una candidata alla vigiliadella laurea, che inizia il suo elaborato conuna citazione sbagliata alla seconda riga:“In God Trust” invece che “In God WETrust”. E prosegue, qualche riga sotto, ripor-tando la scritta “Pluribus Unum” invece che“E Pluribus Unum”. Il punto non è questo: èpiù interessante mostrare fino a che puntopuò spingersi la credulità dei giovani neiconfronti di fonti incerte.Le stelle sopra l’aquila americana sono ef-fettivamente 13 ma certamente non com-pongono una “sentence”, cioè una frase.

Non ci sono affatto 13 blocchi di pietra nella piramide (basterebbecontare) e neppure 13 parole nel motto “Annuit coeptis” dove ov-viamente sono solo due.Per evitare questi errori pacchiani non c’era bisogno di studiare ilmanuale: sarebbe stato sufficiente osservare con attenzione la ban-conota (on line ovviamente se ne trovano centinaia di immagini) efare le considerazioni personali del caso. Magari sarebbe sfuggito ilfatto che l’occhio divino al di sopra della piramide è un simbolomassonico ma non si sarebbero scritte altre sciocchezze.Un’altra studentessa mi manda una tesina che analizza alcuni tweetdi Salvini, di cui il primo è questo: “Cifre ufficiali alla mano, nel2018 cresce ancora la spesa per accogliere e mantenere centinaia dimigliaia di finti profughi: - 5 MILIARDI in un anno (!) - 13,7 MILIONIal giorno (!!) - 570 MILA euro all’ora (!!!)”.Il commento della candidata è: “Questo tweet è parzialmente falso,infatti si tratta solo di una previsione: la spesa prevista è tra i 4,6 e i5 miliardi”. Ovviamente, il commento non è adeguato: in questocaso, l’elemento essenziale non era la cifra delle spese messe a bi-lancio, bensì l’effetto che Salvini voleva ottenere usando l’espres-sione “finti profughi” da “accogliere e mantenere”. Si sa, infatti, chelo stanziamento riguarda categorie di persone molto diverse, essen-zialmente richiedenti asilo a cui la Costituzione (art. 10) PRESCRIVEdi garantire aiuto, anche se si presentassero alla dogana di Trieste,invece che farsi salvare da un gommone che sta affondando.

Inoltre, parlando di “mantenere” queste per-sone il tweet dà l’impressione che i soldi va-dano direttamente ai “profughi” quando inrealtà le cifre indicate rappresentano il costo difunzionamento dell’intero sistema, quindi es-senzialmente stipendi di personale dello Stato eappalti a cooperative italiane per l’accoglienza.Questi aspetti non sono stati approfonditi, enemmeno considerati, da studenti che sonoiscritti a un corso di laurea, la quale permetteràloro di accedere a posizioni dirigenziali nellapubblica amministrazione.Un ecosistema dell’informazione sempre piùvasto e opaco c’è ancora qualche simpaticopersonaggio televisivo, come Massimo Polidoro,che si illude di trovare “Una bussola per navi-gare sicuri nel grande mare dell’informazione”.Purtroppo le sicurezze sono appannaggio deifanatici o degli sciocchi, due tribù che sem-brano ingrossarsi ogni giorno: ciò che possiamofare noi è una lenta opera di “rieducazione” deinostri studenti per abituarli a diffidare delle no-tizie ambigue, opache, troppo belle per esserevere. La pigrizia digitale è il vero nemico dacombattere nei prossimi anni. 15

TEATRODELLE IDEE

di Fabrizio Tonello

FABRIZIO TONELLOÈ docente di Scienza politica presso l’università diPadova, dove insegna, tra l’altro, un corso sulla po-litica estera americana dalle origini ad oggi. Ha in-segnato alla University of Pittsburgh e ha fattoricerca alla Columbia University, oltre che in Italia(alla SISSA di Trieste, all’università di Bologna). Hascritto L’età dell’ignoranza (Bruno Mondadori,2012), La Costituzione degli Stati Uniti (BrunoMondadori, 2010), Il nazionalismo americano (Li-viana, 2007), La politica come azione simbolica(Franco Angeli, 2003). Da molti anni collabora allepagine culturali del Manifesto.

… ma non basta: bisogna insegnare agli studenti l’ abitudine alla riflessione

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Buongiorno Spett.le Redazione,ho letto l’articolo del Prof. Roberto Casati sulle “Parole matematiche” nellaVs rivista Professione Docente di Marzo 2018.Ho ripreso ad insegnare quest’anno dopo un’interruzione di 20 anni.Ho trovato una situazione disastrosa, sia come disciplina sia come cono-scenze di base, anche forse perché insegnavo, in ruolo, Topografia e foto-grammetria nelle classi terze, quarte e quinte dell’ITSG “G.B. Aleotti” di Fer-rara e adesso insegno “disegno” nelle classi prime e seconde (sempre supe-riori).Cercare di semplificare le cose certamente è positivo ma, secon-do me, solo se la semplificazione non compromette il rigore.Mi spiego meglio. Nell’articolo succitato si afferma, ad esempio, che il termi-ne “radice quadrata” non è d’aiuto perché non ha un contenuto intuitivo esi propone la questione come “Calcolare il lato del quadrato di area nove(unità)”. A parte la confusione che, sempre secondo me, si genera ponendo il proble-ma in quel modo faccio notare, ma mi posso sbagliare, che ci sono due im-precisioni: la prima è che un’area è una misura con dimensioni pari ad unalunghezza al quadrato (quindi secondo me si dovrebbe porre il problemamagari come “calcolare la misura del lato del quadrato .....”); la seconda èche si perde la seconda soluzione dato che una radice quadrata (di un nu-mero reale positivo) ammette due soluzioni una positiva ed una negativa. Equesto a parte i quadrati perfetti, gli arrotondamenti ecc.E con la radice cubica come la mettiamo? Calcoliamo la misura del lato diun cubo? Ma una radice cubica di un numero reale negativo è calcolabile:come lo giustifichiamo un volume negativo?Sarò all’antica ma credo sia migliore la vecchia definizione di radice quadra-ta che, come mi hanno insegnato alle elementari, è: la radice quadrata di unnumero (radicando) è un altro numero che, elevato al quadrato (o moltipli-cato per se stesso), dà come risultato il radicando. Idem per le radici con al-tri indici (che potrebbero anche non essere interi ma lasciamo perdere). Tangente, seno e coseno hanno precise definizioni da secoli. Su alcuni libriho trovato “chicche” del tipo: “prendiamo una circonferenza di raggio uni-tario con centro nell’origine degli assi; tracciamo la congiungente l’originecon un punto sulla circonferenza; il seno dell’angolo tra l’asse X e la lineacoincide con la Y ed il coseno con la X del punto”. A parte la mancanza disinteticità per me è una bestialità dato che si confonde una lunghezza conla sua misura e che le succitate funzioni trigonometriche sono definite com-piutamente per un triangolo rettangolo. Poi che la tangente trigonometricacoincida con una pendenza non sono assolutamente d’accordo perché una

pendenza implica il coinvolgimento di un percorso orizzontale e di un disli-vello. Sembrerebbe quindi che la tangente di un angolo sia definibile solo inquelle condizioni cosa assolutamente non vera dato che, per definizione, latangente di un angolo in un triangolo è data dal rapporto tra il cateto oppo-sto ed il cateto adiacente (e non c’è nemmeno bisogno di aggiungere “ret-tangolo” dato che si parla di cateti).Non ho assolutamente capito la questione seno=”piede”, coseno=”schie-na” e funzione=”ombra”. Mi sembra che più che semplificare si cerchi dicomplicare una questione cristallina in partenza.Altra questione ‘.. come fare con “addizione” e “sottrazione”...’. Non ho ca-pito l’esempio proposto “Anna ha perso tre biglie. Ora ne ha cinque. Quantebiglie aveva all’inizio ?”. Che il termine “perso” suggerisca una sottrazione non c’entra nulla, secon-do me, con il problema che va chiaramente risolto con un’addizione. Il pro-blema non è nei termini ma, semmai, nell’incapacità, o nella capacità, di ra-gionare e risolvere di chi legge.Le definizioni di luogo di punti (circonferenza, cerchio, apotema ecc.) le hoimparate in modo rigoroso alle elementari (ho 60 anni) e quando sento imiei studenti affermare che con un compasso si tracciano cerchi mi sento indovere di correggerli. Come del resto mi stupisco del fatto che mi chiedanoqual é la squadra a 30° e 60° e quale quella a 45°. Ho come l’impressioneche gli studenti “moderni” più che cercare di capire tendano a copiare pe-destremente quanto proposto alla lavagna senza nemmeno chiedersi sequello che vedono è corretto (l’ho verificato molte volte tendendo loro delle“trappole”). In più noto una notevole pigrizia; la maggior parte delle do-mande che mi pongono sarebbero evitabili con semplicissimo ragionamentima, chiaramente, si fa meno fatica a fare una domanda banale che a ragio-nare un po’ per risolvere da soli il problema.Sono quindi del parere che a scuola, a partire dalle elementari, se l’intento èquello di formare in modo dignitoso gli studenti, si debba tornare un bel po’indietro con i metodi di insegnamento e che non serva a nulla sostituire ter-mini precisi con altri che, tra l’altro, non potrebbero essere utilizzati per altredefinizioni o dimostrazioni. Ad esempio sin(alfa+beta) dovrebbe diventarepiede(alfa vince beta)?Spero di non avere annoiato.Cordiali saluti.Fabrizio Brunetti

Pubblichiamo il contributo interessante di un lettore,Fabrizio Brunetti, che risponde garbatamente ad un ar-ticolo di Roberto Casati, “ Parole matematiche”, ap-parso nel numero di marzo 2018 di questo giornale.

Training the Trainers è il nome del nuovo corso gratuito di formazione, in linguainglese, indirizzato a insegnanti delle scuole italiane secondarie di secondo gra-do con indirizzi tecnico scientifici che mira a trasferire ai frequentanti compe-tenze e conoscenze specifiche in tema di sicurezza e ambiente nell’ambitodel settore marittimo (navale e offshore). L’obiettivo è quello di trasferireagli studenti delle scuole superiori, tramite i loro docenti, nozioni sulle proble-matiche di sicurezza in ambito marittimo anticipando la loro comprensione sul-le pratiche adottabili più rilevanti in uso ad oggi.

CORSO GRATUITO PER DOCENTI SUI TEMI DI SICUREZZA E AMBIENTE NELL’AMBITO DEL SETTORE MARITTIMO

Per maggiori informazioni sul corso e candidatura cliccare al seguente link: http://www.assess-project.com/course/training-the-trainers/L’iniziativa è cofinanziata dall’Unione Europea, nell’ambito del progetto “Advanced Skills in Safety, Environment and Security at Sea-ASSESS” (www.assess-project.com)16

TEATRODELLE IDEE

Candidature aperte al Training the Trainers: il primo corsogratuito di aggiornamento per insegnanti sui temi di sicu-rezza e ambiente nell’ambito del settore marittimo.

Moduli e tempistica:SHIPS AND THE ENVIRONMENT - 5 Ottobre 2018, 14:30 – 18:30ONBOARD SYSTEMS - 12 Ottobre 2018, 14:30 – 18:30THE MARITIME INDUSTRY - 19 Novembre 2018, 14:30 – 18:30CONCEPTS OF I.T. ONBOARD - 26 Novembre 2018, 14:30 – 18:30Ciascun insegnante potrà scegliere di frequentare uno o più corsi. Ciascuna area prevede ulteriori sotto tematiche.Sede del corso: Università degli Studi di Trieste

Lettere alla redazione

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TEATRODELLE IDEE

Il dibattito sulla scuola pubblica italiana, circa unanno orsono, trovava una rinnovata, per quantoeffimera, vivacità in seguito alla pubblicazione dellalettera Contro il declino dell’italiano a scuola,sottoscritta da seicento accademici che certificava-no quanto è sotto gli occhi degli insegnanti già datempo, ossia l’inefficacia del sistema di trasmissio-ne culturale offerto dalla scuola pubblica statale ele sue conseguenze disastrose sulla salute del cor-po sociale.Da decenni, la discussione sulle cause stesse diquesta crisi è impaludata nel grande equivoco cheessa possa trovare soluzione in un rinnovamentotecnico-metodologico, tuttavia ostacolato da anti-quati sostenitori della scuola delle conoscenze, in-tenti a frenare il decollo della taumaturgica scuoladelle competenze.Il derby pedagogico di Conoscenze vs Competenze,tuttavia, da anni distrae dal tema politico difondo che, necessariamente, deve restare centralenella valutazione dei sistemi pedagogici e nell’indi-viduazione delle cause della crisi della scuola pub-blica. Ignorare questo tema equivale, infatti, a considera-re la politica come ancilla economiae e la pedago-gia come mero instrumentum regni. L’embrione della politica scolastica moderna è con-temporaneo, per certi aspetti, agli Stati modernistessi. Alla loro alba, infatti, in particolarenel XVII secolo, si originano due paradigmipolitico-pedagogici profondamente diffe-renti che, nel tempo, hanno caratterizzato gli ordi-namenti scolastici di molti Paesi, tra cui il nostro.La costituzione di questi due paradigmi risale, aben vedere, a due differenti visioni filosofico-politi-che, sviluppatesi, sull’asse geopolitico del Canaledella Manica, tra il XVII e il XVIII secolo.I grandi Stati nazionali non tardarono a compren-dere, fin dagli esordi della rivoluzione scientifica,l’importanza della diffusione della nuova culturapresso strati sempre più ampi di popolazione comeuna condizione imprescindibile dello sviluppo e delbenessere socio-economico della nazione.In Inghilterra, in modo particolare, dove larivoluzione culturale assume, fin da subito,dei contorni pragmatici, riassunti nello slo-gan baconiano scientia est potentia, si indicala strada della traduzione immediata del sapere in tec-nologia e dominio sulla natura e, sotto questa ispira-zione, sorge la prima grande istituzione scientifica e

pedagogica nazionale, la Royal Society, nel 1660.Nei paesi dell’Europa continentale, purmeno inclini ad accettare la curvatura prag-matica anglosassone, nascono, comunque, ana-loghe istituzioni: l’Académie de Sciences voluta inFrancia dal ministro Colbert, nel 1666 e la Königli-sche Preussische Akademie der Wissenschaften,fondata nel 1700, su ispirazione di Leibniz, a Berli-no. Sotto un certo profilo possiamo consideraretali atti istitutivi come altrettanti certificatidi nascita della politica scolastica a gestio-ne statale che, nel nome dell’interesse nazionale,prende le mosse dall’alta formazione, ove si costi-tuisce l’élite scientifica e tecnologica dei singolipaesi, lasciando, invece, ancora per più di un seco-lo, la formazione scolastica primaria e secondarianelle mani delle istituzioni clericali.A partire dal XIX secolo, quando le conseguen-ze tecnologiche della rivolu zione industriale si di-spiegano sull’Europa con tutta la loro dirompenteenergia di trasformazione socio-economica, il pro-blema della politica scolastica assume contorninuovi, acquisendo caratteristiche di massa e pre-figgendosi l’obiettivo dell’eradicazionedell’analfabetismo, grave ostacolo allo svi-luppo.È in questa fase, nel corso del XIX secolo che, a pa-rità di obiettivi (diffondere l’istruzione), si assistealla distinzione di due sistemi operativi politico-pe-dagogici profondamente diversi, se non addiritturaalternativi tra di loro. Uno di matrice anglosassone, che appare fina-lizzato alla formazione di una classe sociale bor-ghese, organica al paradigma capitalista e liberistaha come archetipo iniziale il modello del gentle-man elaborato da John Locke.L’altro, di matrice europea continentale, so-prattutto francese, appare finalizzato alla formazio-ne del cittadino, costruttore del proprio mondo,nuovo ideale umano che sostituisce il suddito del-l’ancien regime ed ha come archetipo iniziale ilmodello presentato dall’Emile di Rousseau. Da una parte una scuola che promuoveadattamento e selezione e si presenta in termi-ni ancillari rispetto al sistema economico-politico,dall’altra una scuola come palestra di tra-sformazione e inclusione sociali, che aspira auna dimensione indipendente e mai, semplicemen-te, strumentale.

Il dibattito pedagogico contemporaneo, dimenti-candosi tale fondamentale distinzione, si è, invece,consumato nella finzione di una lotta tra progressi-sti, sostenitori del costruttivismo e conservatori, le-gati al vecchio modello didattico trasmissivo, igno-rando completamente il quadro politico sullo sfon-do.Il costruttivismo pedagogico, può, in effetti, subirematrimoni politici di diversa natura che possonofarne le sorti felici o infelici. Quando si sposa aun modello politico-educativo di matriceaziendalistica, che considera l’istruzionecome uno strumento di adattamento all’am-biente socio-economico dato, l’infelicità è die-tro l’angolo, vista l’infecondità in termini di pensie-ro critico e qualità culturale.La scuola dell’autonomia battezzata da LuigiBerlinguer alla fine degli anni ’90, è la versio-ne italiana di un modello marcatamente privatisticoe aziendalistico, che continuamente strizza l’occhioal libero mercato globale e che promuove una con-cezione della società e dell’individuo profondamen-te diversa da quella concepita dai nostri padri co-stituenti. Paradossalmente, la scuola non èmai stata più serva che nel periodo dell’au-tonomia.L’intellighenzia pedagogica nazionale, perlomenoquella operativamente coinvolta nei processi di ri-forma dalla classe dirigente politica di turno, di si-nistra o di destra che fosse, è stata, finora, incom-prensibilmente indulgente verso questa deminutiocapitis della scuola.Il corpo docente stesso, parte rilevante dellaclasse intellettuale del Paese, in questi anniè parso estremamente passivo nell’accetta-zione della funzione di operatore culturale olavoratore della conoscenza, assegnatagli dalmodello politico-pedagogico aziendalistico.Constatato l’insuccesso di questo modello, dopooltre vent’anni di verifica sul campo, persino rispet-to agli scopi dello sviluppo economico per i qualiera stato costruito, i docenti dovrebbero tentare diuscire dal sonno dogmatico della ragione pedago-gica e proporre al legislatore una strada radical-mente alternativa. Liberati dallo schema ingombrante del pensiero pe-dagogico unico, forse riusciremo ad andare oltre alpresunto conflitto conoscenze/competenze ed a ri-pristinare un rapporto sano tra scuola e cultura, re-stituendo alla scuola la sua reale autonomia.

Per superare il presunto conflitto conoscenze/ competenze occorre che i docenti escano dal sonnodogmatico della ragione pedagogica e propongano al legislatore vie radicalmente alternative.

di Gianfranco Meloni

QUANDO LA PEDAGOGIA ÈSOLO INSTRUMENTUMREGNI LA SCUOLA MUORE

IL RINNOVAMENTO TECNICO-METODOLOGICO NON È LA SOLUZIONE

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FINESTRA SUL MONDO E NEL TEMPO. LA STORIA DELLA SCUOLA

In Italia si creava una scuola rigida mentre in Europa si sognavano ideali di libertà e didignità: dello studente e dell’insegnante, come L'École libératrice:

‘Sii un uomo, dal momento che devi fare uomini’.

Il popolo che dimentica le sue scuole non sarà mai salvo. ( Inno repubblicano spagnolo)

di Piero Morpurgo

TEATRODELLE IDEE

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Scrivo nel ricordo di Giovanna Castaldo Pagnotta, allieva di Maria Montessori, maestra esemplare nell’educarebambini e genitori. In Spagna, nel 1931, si affermò la Seconda Repubblica; il rinnovamento della Scuola

fu il principale obiettivo del governo rivoluzionario: furono progettati 27.000 nuovi istituti, si affrontò la formazionedegli insegnanti che era molto scarsa con Marcelino Domingo titolare del Ministerio de Instrucción Pública e RodolfoLlopis a capo del settore della scuola primaria si elaborarono i piani di aggiornamentoe si abolirono gli stipendi miserabili che salirono a 3.000 pesetas1. Il 29 aprile 1931si concesse il bilinguismo in Catalogna a maggio fu abolita l’obbligatorietà del-l’insegnamento della religione cattolica, furono organizzate delle “missioni pedago-giche” per l’alfabetizzazione degli adulti e la diffusione della cultura nelle campagne,in agosto le scuole divennero miste e furono chiuse le scuole femminili2. La nuovaCostituzione spagnola stabiliva all’art. 48: “la cultura è un servizio essen-ziale dello Stato che organizzerà le istituzioni educative. La scuola primariasarà gratuita e obbligatoria. Tutti gli insegnanti sono funzionari pubblici.La libertà di insegnamento sarà garantita. La Repubblica garantirà a chi è economi-camente svantaggiato l’accesso a tutti gli ordini di studi. L’insegnamento sarà laico esi ispirerà agli ideali di solidarietà umana”3. Si disponeva inoltre che si ammetteva lascuola privata “purché non persegua fini politici o confessionali”; pertanto la “scuolapubblica deve limitarsi a dare informazioni sulla storia delle religioni”. Il principio della

gratuità dell’istruzione sarebbe stato esteso a tutti gli ordini prevedendo per le università almeno il 25% di iscrizionigratuite4. Così in Spagna, col fine di diffondere l’amore per i libri e la passione per lo studio garanzia di libertà dalletirannie e fondamento della pace, fu diffuso un inno scolastico repubblicano che cantava “il popolo che dimentica le sue scuole non saràmai salvo”.Tutt’altro che improntate agli ideali di solidarietà erano altri principi educativi che circolavano in Europa: il 1931fu l’anno dell’Esposizione Coloniale Internazionale di Parigi e il Commissario Generale Hubert Lyautey sosteneva che si trattava di mostrare nonsolo i progressi industriali, ma anche come “fosse instillata la gentilezza umana nei cuori selvaggi degli abitanti della savana e del deserto”5.Migliaia di indigeni furono reclutati per mostrare gli stili di vita dei “selvaggi” che invero avevano combattuto con la Francia la Grande Guerra.Fu organizzato un nuovo giardino zoologico senza gabbie nel giardino di Vincennes. Si insistette sulla missione del costruire strade, scuole, ospedali.Si assunsero centinaia di agenti coloniali che avrebbero dovuto “istruire” le popolazioni conquistate6. La civilizzazione coloniale aveva af-fascinato anche il pacifista Giovanni Pascoli che, nonostante fosse un insegnante, aveva cambiato la sua idea di Scuola7 giacché -nel1911- con La Grande Proletaria si è mossa aveva detto: “O voi che siete la più grande, la più bella, la più benefica scuola che abbia avuta nel cin-quantennio l’Italia, armata ed esercito nostri! /…/ Noi, dicono quei nostri maestri, che siamo l’Italia in armi, l’Italia al rischio, l’Italia. in guerra,

combattiamo e spargiamo sangue, e in prima il nostro, nonper disertare ma per coltivare, non per inselvatichire e cor-rompere ma per umanare e incivilire, non per asservire maper liberare. Il fatto nostro non è quello dei Turchi. La nostraè dunque, checché appaiono i nostri atti singoli di strategiae di tattica, guerra non offensiva ma difensiva. Noi difen-diamo gli uomini e il loro diritto di alimentarsi e vestirsi coiprodotti della terra da loro lavorata, contro esseri che partedella terra necessaria al genere umano tutto, sequestranoper sè e corrono per loro, senza coltivarla, togliendo pane,cibi, vesti, case, all’intera collettività che ne abbisogna. A

questa terra, così indegnamente sottratta al mondo, noi siamo vicini; ci fummo già; vi lasciammo segni che nemmeno i Berberi, i Beduini e i Turchiriuscirono a cancellare; segni della nostra umanità e civiltà, segni che noi appunto non siamo Berberi, Beduini e Turchi. Ci torniamo. In faccia anoi questo è un nostro diritto, in cospetto a voi era ed è un dovere nostro” 8. Era la conquista della Libia del 1911 voluta da Giolitti e proseguitada Mussolini dal 1922 al 1931, come è andata a finire è sotto gli occhi di tutti. Oggi.

GLI ANNI ’30: LA SCUOLA TRA IDEALI DI SOLIDARIETÀ E LA BRUTALE COLONIZZAZIONE “CIVILIZZATRICE”

1https://elpais.com/diario/2006/04/17/educacion/1145224801_850215.html 2http://www.ub.edu/ciudadania/hipertexto/evolucion/introduccion/Edu10.htm 3http://www.ub.edu/ciudadania/hipertexto/evolucion/textos/ce1931.htm#5 4M. Pérez Galán, La enseñanza en la II Republica Española, Madrid 1975; https://www.upct.es/seeu/_as/divulgacion_cyt_09/Libro_Historia_Ciencia/web/mapacentros/Educacion%20y%20II%20Republica.htm#_msocom_3 5http://www.arthurchandler.com/paris-1931-exposition/ 6https://www.histoire-image.org/fr/etudes/propagande-coloniale-annees-1930 7Cfr. http://www.gildaprofessionedocente.it/news/dettaglio.php?id=334 8 https://it.wikisource.org/wiki/La_grande_proletaria_si_%C3%A8_mossa

professione docente • settembre 2018

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TEATRODELLE IDEE

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Sono ormai anni che insegnanti, pedago-gisti e giornalisti specializzati lancianol’allarme: la scrittura manuale è in viad’estinzione, la rivoluzione digitale sta ucci-dendo la calligrafia, l’apprendimento e lacreatività degli studenti più giovani ne ri-sente. Effettivamente sono molti gliindizi che portano in questa direzionee nei paesi a più alto sviluppo tecno-logico l’insegnamento del corsivo ascuola va scomparendo. In Finlandia,per esempio, da un paio d’anni il corsivoè stato ritenuto superfluo perché ibambini richiederebbero troppe oredi lezione per divenire veloci nellascrittura manuale. L’Estonia, il paeseeuropeo a più elevata digitalizzazione, staper seguirne le orme e negli Stati Uniti,dove la didattica scolastica è una prerogati-va dei singoli Stati, l’abbandono del corsivoè in corso da decenni. Pensandoci bene,poi, anche in Italia accade da sempre che,nel passaggio dalle elementari alle medie, ilcorsivo sia soppiantato da forme ibride dialfabeto basate sui caratteri a stampa. I segnali negativi sono numerosi eprovengono da più parti: il Guardianbritannico ha riportato la notizia di pediatrie insegnanti preoccupati perché molti alun-ni farebbero perfino fatica a tenere in manouna penna o una matita, dato l’uso eccessi-vo di strumenti tecnologici. Negli StatiUniti, più della metà delle “lettere aBabbo Natale” viene ormai spedito peremail. In Cina e Giappone, prendere appun-ti con il laptop è più diffuso che prenderlicon carta e penna. Infine, l’introduzionemassiccia, spesso per ragioni di uniformitàe semplicità di correzione, di test al compu-ter come esami universitari, sta avendo l’ef-fetto di introdurre verifiche simili anche a li-velli scolastici inferiori. E’ indubbio che la tecnologia stia avendoun impatto sulle abilità di scrittura manualee sarebbe stupido pensare di fermare il pro-gresso tecnologico o arroccarsi in una stre-nua (e nostalgica) difesa della tradizione.

Tuttavia, non si tratta di solo passati-smo. Sono numerosi gli studi che mo-strano come la scrittura manuale ab-bia un ruolo nell’apprendimento enella formazione cognitiva dei bam-bini. In particolar modo nello sviluppo del-la creatività e della personalità. Scrivere amano aiuta a formarsi un’immaginementale del mondo. Tracciare una ‘A’ suun foglio di carta aiuta un bambino a fami-liarizzare con la lettera stessa e a introiet-tarla. Digitarla su una tastiera nonavrebbe lo stesso effetto. Serve quindia dare una sorta di “fisicità” al linguaggio.Gli studenti che prendono appunti a manoricordano più a lungo e trattengono meglioconcetti e idee rispetto a chi utilizza stru-menti elettronici. La scrittura a manocoinvolge più parti del cervello e, se-condo i neuroscienziati, più parti delcervello si usano, più ricorderemo lecose. Vi sono poi studi che mostrano comela scrittura manuale aumenti la capacità diconcentrazione e sia più funzionale all’ap-prendimento di lingue straniere. D’altronde,la correlazione è evidente: scrivere a manoaiuta i bambini a capire i suoni, a collegarelettere e a comporre parole. Scrivere amano è quindi essenziale e anche se moltibambini, una volta finita la scuola elemen-tare, perderanno dimestichezza e non lauseranno più, le funzioni essenziali legateall’apprendimento e allo sviluppo cognitivosarebbero comunque salve. E dopo? La calligrafia rimarrebbe solo perscrivere liste della spesa e per qualche stu-dente universitario che preferisce prendereappunti cartacei? In realtà, anche inquesto caso, ci sono segnali che sem-brano andare in direzione opposta.Nelle città italiane, negli ultimi anni, si sonomoltiplicati i corsi di calligrafia, di ‘bellascrittura’, che sembrano andare molto dimoda, ma che forse sono solo un rigurgitovintage o un passatempo per pensionati epensionate annoiate. Più rilevante è invece tracciare gli in-

vestimenti delle grandi aziende del-l’elettronica, che stanno sempre dipiù spostando risorse su ricerche fi-nalizzate a valorizzare l’utilizzo dellascrittura manuale. Prevedono infatti chesarà la scrittura a mano, più della tastiera,l’interfaccia del futuro. Anche perché la di-gitalizzazione automatica dei testi scritti amano funziona bene con lingue come l’in-diano, il cinese e il giapponese che sonomercati in sicura crescita economica e de-mografica. La scrittura manuale po-trebbe quindi rilanciarsi, in un’entu-siasmante ibridazione con l’elettroni-ca più avanzata. Alla carta, all’inchiostroe alle matite si affiancheranno sempre piùspesso penne digitali e superfici touchscre-en. Ed è proprio l’invenzione e la diffusionedel touchscreen che ha di fatto aperto unanuova stagione e che rappresenta quel-l’anello di congiunzione, che per molti anniè mancato, tra scrittura manuale e digita-zione elettronica. Dal 2016, l’’iPhone di Apple permettedi scrivere i messaggi a mano. Micro-soft ha già introdotto sistemi di rico-noscimento della scrittura manuale,la cinese Lenovo produce tablet sucui applicare fogli di carta in mododa disegnare e contemporaneamentescrivere a mano e in digitale. PerfinoMontblanc si è messa a produrre pen-ne digitali. L’italiana Moleskine vende unsuo speciale Paper Tablet composto daun’agenda di carta, una penna con micro-camera e un’app specificatamente svilup-pata che “converte” l’inchiostro in digitale. Il confine tra carta e digitale andrà quindisempre più a scomparire. Rinunciare all’in-segnamento della scrittura manuale non èquindi solo lesivo del diritto dei bambini aun corretto apprendimento e allo sviluppodelle facoltà cognitive, ma sembra già incontrasto con le più recenti tendenze tec-nologiche.

Sono numerosi gli studi che mostrano come la scrittura manuale abbia un ruolo nell’apprendimento e nella formazionecognitiva dei bambini, come insegnanti, pedagogisti e giornalisti specializzati sostengono da anni.

di Marco Morini

IL DIGITALE RISCOPRE LA SCRITTURA A MANO

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ALLEGGERIAMO LA TUA RATAALLEGGERIAMO LA TUA RATA

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5 OTTOBRE 2018: giornata mondiale dei docenti,tradizionale convegno della Gilda. Riflettori sul

difficile rapporto tra scuola e famiglia.

OFFICINAGILDA

di Ester Trevisan

In occasione della Giornata Mondiale degliInsegnanti, istituita dall’Unesco nel 1994,anche quest’anno la Gilda degli Inse-gnanti organizza un convegno che sisvolgerà il 5 ottobre all’hotel MassimoD’Azeglio di Roma. L’iniziativa, promossa in collaborazione conl’Associazione Docenti Art.33 e il CentroStudi Nazionale della Gilda, punterà i ri-flettori sul difficile rapporto tra scuolae famiglia e sulla crisi della figura pro-fessionale dell’insegnante. Lo psichiatra, scrittore e sociologo Paolo Cre-pet e lo storico, giornalista ed editorialista delCorriere della Sera Ernesto Galli Della Loggiaanalizzeranno il fenomeno delle aggressioniai danni dei docenti da parte degli studenti edei loro genitori. Casi così drammaticamentefrequenti e gravi da spingere il Miur a valu-tare “la possibilità di costituirsi parte ci-vile nei procedimenti penali cheabbiano ad oggetto episodi di vio-lenza posti in essere da studenti - o dailoro genitori/parenti - nei confronti deidocenti”, come ha dichiarato lo scorsoluglio il ministro dell’Istruzione, MarcoBussetti, illustrando alle commissioni Cul-tura di Camera e Senato le linee programma-tiche di viale Trastevere. In quella stessa sede,il successore della ministra Fedeli ha aggiuntoche “la rottura del patto formativo scuola -

famiglia ha fatto sì che, nell’immaginario col-lettivo, il docente non rivestisse il ruolo dieducatore posto alla base del rapporto di cre-scita e sviluppo degli allievi. Depauperati diquesto ruolo i docenti sono stati oggetto dimanifestazioni violente”. La rottura del patto formativo trascuola e famiglia citata da Bussetti èstrettamente legata a quella che, sulle co-lonne di questo nostro giornale, GianluigiDotti ha definito “la politica dell’erosionedella professione docente portata avanti daidiversi ministri che si sono succeduti e chehanno sfornato documenti indirizzati allescuole nei quali il termine insegnante diven-tava di volta in volta mediatore culturale,

operatore di competenze, fino all’ultimo ritro-vato: facilitatore di conoscenze”.Come se non fossero bastati i danni provocatidalle riforme Berlinguer e Gelmini, ad assestareun altro colpo micidiale al sistema dell’istru-zione ci ha pensato la cosiddetta Buona Scuoladi matrice renziana, che ha accentuato la derivaaziendalista della scuola dove le famiglie deglistudenti sono clienti da soddisfare. Per contrastare questa aberrazione, la Gildadegli Insegnanti ha elaborato una serie diproposte di modifiche alla legge 107/2015che saranno presentate durante la secondaparte del convegno e di cui si discuterà congli esponenti politici invitati alla tavola ro-tonda.