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& CHERATOSI ATTINICA MELANOMA Melanoma SOCIETY for RESEARCH 2015 Congress (SMR) MELANOMA METASTATICO Performance delle terapie nella pratica clinica MELANOMA UVEALE Nuove strategie ma benefici modesti MELANOMA MUCOSALE GINECOLOGICO Differente da quello cutaneo MELANOMI AVANZATI Superiorità degli agenti anti-PD-1 PROFESSIONAL EDITION A SMR CONGRESS S A N F R A N C I S C O 2 0 1 5

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Supplemento al n°2 di Popular ScienceAprile - Maggio 2016

&cheratosi attinicaMELANOMA

* Dati aggiornati al 31.01.2015

Totale 50.000

Farmacisti ospedalieri 2.275

Mmg 35.815

Oncologi 5.439

Dermatologi 4.526

04 MELANOMA METASTATICO Performance delle terapie nella pratica clinica

08 MELANOMI AVANZATI Superiorità degli agenti anti-PD-1

12 MELANOMA UVEALE Nuove strategie ma benefici

modesti 16 MELANOMA MUCOSALE

GINECOLOGICO Differente da quello cutaneo

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MELANOMA METASTATICO

Performance delle terapie

nella pratica clinica

Society for Melanoma Research (SMR) 2015 Congress

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Con l’introduzione sia dell’immunoterapia che degli agenti mirati, gli ultimi anni hanno fatto riscontrare una rivolu-

zione nel trattamento del melanoma metastatico ma, sinora, soltanto un numero limitato di studi ha esaminato il modo in cui questi farmaci vengo-no impiegati nella pratica clinica. E’ stato presentato un nuovo studio che ha investigato la performance delle terapie per i pazienti con melanoma

metastatico nella realtà della pratica clinica USA. Nello specifico sono stati esaminati due nuovi farmaci, l’immunoterapico ipilimumab ed il farmaco BRAF-mirato vemurafenib, e due vecchi prodotti chemioterapi-ci, la dacarbazina il temozolamide, nell’intervallo compreso fra il mese di gennaio del 2011 ed il mese di agosto del 2013. Secondo Zhongyun Zhao della Amgen Inc. di Los Angeles, questi dati relativi al mondo reale sono in genere coerenti con le osservazioni

degli studi clinici. Il trattamento può essere sospeso nell’eventualità di effetti tossici che non possano essere tollerati, malattia rapidamente progressiva o si-gnificativo declino nella performance. Negli studi clinici, circa il 60% dei pa-zienti ha completato 4 cicli di tratta-mento. Prima del 2011, le opzioni per il trattamento sistemico del melanoma erano limitate e consistevano in vecchi agenti convenzionali proprio come da-carbazina e temozolamide ma, nessuno di questi farmaci, si era dimostrato in SH

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grado di prolungare la sopravvivenza complessiva. La sopravvivenza con i nuovi farmaci è superiore a quella ot-tenuta con la dacarbazina ma, anche in questo caso, il numero di pazienti che sopravvivono a lungo termine rimane basso. Il presente studio consisteva in un’analisi retrospettiva di un campio-ne rappresentativo di pazienti USA sottoposto a trattamento per melano-ma metastatico, estrapolato dall’IMS PharMetrics Plus Health Plan Claims Database. Si tratta di uno dei data-

base sanitari più ampi degli USA e comprende dati su più di 150 milioni di pazienti unici su tutto il territorio nazionale, di cui circa 40 milioni attivi nell’ultimo anno, con copertura sia medica che farmacologica. Le infor-mazioni del database IMS risalgono al 2006, ed i dati sono rappresentativi di dati geografici, elementi economici, enti sanitari ed aree terapeutiche negli USA, coprendo il 90% degli ospedali e il 90% dei medici. Su 1.043 pazienti con melanoma metastatico coinvolti nella presente analisi, 405 sono stati inizialmente trattati con ipilimumab, 361 con vemurafenib, 74 con dacar-bazina e 2.013 con temozolamide. I più comuni siti di metastasi sono stati polmoni (42%), cervello (34%), fegato (28%) ed ossa (24%) e la comorbidità più frequente è stata l’ipertensio-ne. Per quanto riguarda le terapie a somministrazione continua, la durata media del trattamento è stata di 174 giorni per il vemurafenib, 64 giorni con la dacarbazina e 100 giorni per la temozolamide e la durata media del trattamento, è stata rispettivamente di 148, 52 e 59 giorni. Fra i pazienti trattati con ipilimumab, il 58% ha ricevuto tutte e quattro le dosi com-plete, il 20% ne ha ricevute 3, il 14% ne ha ricevute 2 ed il 9% una soltanto.

Il 4% dei pazienti, inoltre, ha ricevuto un primo ciclo di ritrattamento ma nessuno ne ha ricevuto un secondo. L’impiego dei farmaci specifici è stato variabile durante il periodo studiato: si è verificato un costante declino nell’uso della dacarbazina (dal 45,9% nel 2011 al 32,4% nel 2012, sino al 21,6% nel 2013) e della temozolamide (dal 50,7% nel 2011 al 34,5% nel 2012 sino al 18,4% nel 2013). Al contra-rio, invece, l’impiego dell’ipilimumab è aumentato in modo drammatico (dal 5% nel 2011 al 63,5% nel 2012, per poi calare al 31,6% nel 2013). È stata osservata la stessa tendenza per il vemurafenib, che è aumentato dal 28,3% nel 2011 al 48,8% nel 2012, per poi cadere al 23% nel 2013. Questi dati sollevano una serie di interroga-tivi, come quello sul motivo per cui l’impiego dei nuovi farmaci è diminu-ito, e quello sul motivo per cui alcuni pazienti non stiano ricevendo il ciclo completo di trattamento. Secondo i ricercatori, il presente studio descrive ciò che è accaduto, ma non il motivo per cui è accaduto e sono necessarie ulteriori ricerche per gettare luce su questi interrogativi.

Fonte: Society for Melanoma Research (SMR) 2015 Congress)

Prima del 2011, le opzioni per il trattamento sistemi-co del melanoma erano limitate e consistevano in vecchi agenti convenzio-nali proprio come dacarba-zina e temozolamide ma, nessuno di questi farmaci, si era dimostrato in grado di prolungare la sopravvi-venza complessiva. La sopravvivenza con i nuovi far-maci è superiore a quella ottenuta con la dacarbazina ma, anche in questo caso, il numero di pazienti che sopravvivono a lungo termine rimane basso.

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MELANOMI AVANZATISuperiorità degli agenti anti-PD-1Society for Melanoma Research (SMR) 2015 Congress

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L’immunoterapia mirata verso la cascata della morte cellulare programmata (PD) risulta associata ad esiti migliori rispetto a qualunque altra terapia nei pazienti con melanoma metastatico.SH

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Secondo Seongseok Yun dell’U-niversità dell’Arizona e Nicole Vincelette della Mayo Clinic di Rochester, autori di una re-

cente meta-analisi in materia, gli agenti anti-PF-1 potrebbero rappresentare quindi la scelta migliore come opzio-ne terapeutica di prima linea in questi pazienti, in quanto portano ai migliori risultati in termini di sopravvivenza libera da progressione, sopravvivenza complessiva e tasso di risposta com-plessivo rispetto ai soggetti trattati con chemioterapia o vaccinazioni. Secondo le analisi dei sottogruppi, gli esiti sono risultati migliori con le immunotera-pie anti-PD-1, come il nivolumab, che con quelle anti-CTLA-4, come l’ipili-mumab ed il tremelimumab, e gli esiti risultano superiori con entrambe queste terapie rispetto a quanto osservato con i trattamenti di controllo. Nello studio CheckMate 067, gli esiti sono risultati significativamente migliori con l’asso-ciazione nivolumab-ipilimumab che con il solo ipilimumab, il che supporta fortemente gli esiti del presente studio.

Sono infatti disponibili buone eviden-ze provenienti da studi randomizzati e meta-analisi a dimostrazione del fatto che la terapia anti-PD-1 potrebbe es-sere caratterizzata da un’efficacia supe-riore a quella dell’ipilimumab e rimane da accertare se, l’associazione nivolu-mab-ipilimumab sia o meno superiore al solo nivolumab. Apparentemente, il trattamento combinato è associato ad

un’efficacia migliore, benché ciò debba ancora essere dimostrato dagli studi randomizzati, ma anche da effetti col-laterali del trattamento molto più mar-cati, il che andrebbe a controbilanciarne l’efficacia. Il melanoma cutaneo meta-statico è in genere caratterizzato da una prognosi infausta, con una sopravviven-za a 2 anni inferiore al 20% se trattato con chemioterapie convenzionali, ma SH

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nei melanomi BRAF-mutanti, le tera-pie mirate come BRAf- e Mek-inibi-tori hanno dimostrato un significativo vantaggio in termini di sopravvivenza. L’immunoterapia, inoltre, ha raggiunto la prima linea della terapia oncologica con il blocco di CTLA-3, PD-1 e PD-L1, un approccio noto come blocco del checkpoint immunitario. I recenti studi randomizzati su nivolumab e pembroli-zumab hanno dimostrato un vantaggio in termini di sopravvivenza nei pazien-ti andati incontro a progressione a se-guito del trattamento con ipilimumab ma, l’entità del beneficio clinico legato a questi agenti, sembra essere variabi-le e, apparentemente, dipendente dalle cascate target e dai singoli agenti. Nella presente indagine sono stati esaminati sei studi randomizzati di fase II o III, per un totale di 3.196 pazienti. Fra que-sti, 1.960 sono stati trattati con immu-noterapia, di cui 790 con ipilimumab, 327 con tremelimumab, 482 con nivolu-mab e 361 con pembrolizumab e 1.236 sono stati trattati con chemioterapia, di cui 1.100 con dacarbazina, carboplati-

no, temozolamide o paclitaxel e 136 con gp100. Il tasso di sopravvivenza libera da progressione è risultato migliore con gli inibitori del checkpoint immunitario che con i trattamenti di controllo, come anche la sopravvivenza complessiva ed il tasso di risposta complessivo. Nell’a-nalisi dei sottogruppi, la sopravvivenza complessiva è risultata migliore sia con la terapia anti-CTLA-4 che con quel-la anti-PD-1 rispetto ai trattamenti di controllo ma nivolumab e pembroli-zumab sono risultati superiori rispetto ad ipilimumab e tremelimumab. Nei pazienti trattati con nivolumab o pem-brolizumab, il tasso di risposta com-plessivo è risultato migliore nei pazienti PD-L-1-positivi ed il quelli che non avevano mai assunto ipilimumab rispet-to a quelli PD-L-1-negativi o refrattari a questo farmaco. Lo status relativo alle mutazioni BRAF non ha avuto alcun impatto prognostico sul tasso di rispo-sta complessiva.

Fonte: Society for Melanoma Research (SMR) 2015 Congress, presentato il 18/11

Il melanoma cutaneo metastatico è in gene-re caratterizzato da una prognosi infausta, con una sopravvivenza a 2 anni inferiore al 20% se trattato con chemiote-rapie convenzionali ma, nei BRAF-mutanti, le te-rapie mirate come BRAf- e Mek-inibitori hanno dimostrato un significa-tivo vantaggio in termini di sopravvivenza.

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MELANOMA UVEALENuove strategie ma benefici modestiSociety for Melanoma Research (SMR) 2015 CongressIl melanoma uveale rappresenta una rara forma di melanoma difficile da trattare, con bassi tassi di risposta alle terapie attualmente in uso. I dati di due piccoli studi che hanno investigato due strate-gie terapeutiche nei pazienti con forme avanzate della malattia risultano moderatamente promet-tenti, ma senza benefici significativi.

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Nel primo studio è stata va-lutata una combinazione di everolimus e pasireotide ma, soltanto 3 pazienti su 13, ha

manifestato benefici clinici. Nel secondo studio, invece, è stata revisionata l’efficacia del MEK-inibitore noto come trametinib in cinque pazienti con melanoma uveale meta-statico. È stato riscontrato che il trametinib presenta una ragionevole efficacia clinica, ma tutti i pazienti sono poi andati incontro a progressione della malattia anche con que-sto farmaco, benché in uno di essi la malattia sia rimasta stabile per 34 settimane. Il mela-noma uveale rappresenta la più comune for-ma di tumore maligno oculare negli adulti, e l’uvea rappresenta la seconda più comune localizzazione del melanoma primario dopo la cute. Nel complesso, la sopravvivenza è bassa, in quanto la metà dei pazienti svilup-pa metastasi, che di solito coinvolgono il fe-gato e risultano quasi invariabilmente fatali.

Si tratta di una patologia biologicamente distinta dal melanoma cutaneo, e nessuna delle terapie sistemiche sinora approvate ha mai dimostrato il potenziale di prolungare la sopravvivenza nei pazienti con metastasi. In uno studio presentato al congresso SMR nel 2014, è stato riscontrato che l’immu-nomodulatore noto come ipilimumab ha dimostrato efficacia in alcuni pazienti e, benché lo studio non abbia raggiunto l’esito primario di miglioramento della sopravvi-venza complessiva, è stato considerato in-coraggiante riscontrare risposte oggettive in una popolazione di pazienti altamente me-tastatici. Il tasso di controllo della malattia è stato prossimo al 50%, con malattia stabile nel 39,71% dei pazienti e risposta parziale nel 6,45% di essi. Alexander Shoushtari del Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York ha ipotizzato sulla base dei modelli preclinici che la contemporanea inibizione di mTOR ed IGF-1 con everoli-

mus e pasireotide a rilascio prolungato porti ad effetti antitumorali in questi pazienti. In base a quanto dichiarato dall’autore, in assenza di una terapia standard per questi tumori, è stato fissato un traguardo relativa-mente modesto per il successo della terapia, che richiedeva che 5 pazienti su 25 previsti presentassero una significativa riduzione delle dimensioni della lesione o la stabilità della malattia per 16 settimane ma, benché tre pazienti abbiano raggiunto questi criteri, lo studio è stato arrestato prima di portare a termine lo stesso arruolamento, dato che al-tri studi erano in competizione per gli stessi pazienti, ed è stato necessario ridurre spesso i dosaggi per effetti collaterali quali infiam-mazioni della bocca e nausea o perdita di ap-petito. Le conclusioni raggiunte sono state che questo regime combinato presenti un’ef-ficacia limitata nei melanomi uveali, e che il test con octreotide non si sia dimostrato predittivo della risposta tumorale in questo SH

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piccolo gruppo di pazienti, ma l’autore cre-de fermamente nel fatto che alcuni pazienti selezionati possano trarre un qualche bene-ficio da questo regime. È stata osservata una tendenza verso una maggiore stabilità della crescita nei singoli tumori octreotide-avidi, il che suggerisce che alcuni tumori possano essere maggiormente sensibili all’inibizione di queste cascate rispetto ad altri. Il proble-ma principale consiste nella scarsa tollerabi-lità della combinazione, e dato che essa non porta ad una riduzione delle dimensioni del tumore ma solo ad una sua eventuale stabi-lità, questo approccio attualmente non vie-ne portato avanti. Si tratta probabilmente del primo studio a combinare gli inibitori di due diverse cascate nel melanoma uve-ale e si tratta di un’altra dimostrazione nel mondo reale del concetto secondo cui gli effetti collaterali di un singolo medicinale possono peggiorare quando li si combina. Nel secondo studio Srinath Sundararajan dell’Università dell’Arizona nota che il tra-metinib presenta una comprovata efficacia nel trattamento dei melanomi cutanei, ma i dati sulla sua attività nel melanoma uveale sono limitati. Il melanoma uveale non ospita le mutazioni BRAF passibili di trattamen-to che si osservano nella variante cutanea, e manca di opzioni terapeutiche in grado di portare a tassi di risposta significativi e mi-glioramenti nella sopravvivenza. Gli studi in materia hanno dimostrato che la cascata della MAPK-chinasi è iperattiva nell’80% circa dei pazienti con melanoma uveale e l’impiego di un MEK-inibitore su questa cascata potrebbe portare ad una risposta cli-nica in questa popolazione di pazienti. Su cinque pazienti esaminati, uno è andato in-contro ad una stabilità della malattia durata 34 settimane, ossia quasi 8 mesi: ciò indica un’eterogeneità nella risposta alla malattia, ed alcuni pazienti potrebbero reagire meglio di altri a questo farmaco. I dati storici dimo-strano una scarsa risposta al trattamento in questa popolazione e, quindi, per quanto il trametinib abbia dimostrato solamente una modesta efficacia in questo piccolo studio retrospettivo, sussistono progetti per ulte-riori valutazioni future del farmaco. È at-tualmente in corso uno studio di fase 2 che sta valutando il trametinib in combinazione con il GSK2141795 nel melanoma uveale metastatico e, nello studio di fase 3 denomi-nato SUMIT, è invece oggetto di valutazio-

ne il selumetinib, un altro MEK-inibitore, a raffronto con la chemioterapia basata sulla dacarbazina nel melanoma uveale. Uno stu-dio precedente di fase 2 sul selumetinib ha dimostrato modesti benefici, con un miglio-ramento nella risposta tumorale e nella so-pravvivenza libera da progressione, ma non nella sopravvivenza complessiva, e questo risultato è stato comunque accompagnato ad un elevato tasso di effetti collaterali. Se-condo Richard Carvajal del Columbia Uni-versity Medical Center, la nostra compren-

sione della biologia del melanoma uveale ha portato allo sviluppo di un certo numero di ipotesi terapeutiche razionali su base mec-canicistica, che comprendono target come le cascate del MAPK, del PI3K/mTOR e del recettore per la somatostatina ma, sfor-tunatamente, lo sviluppo di terapie efficaci in questa malattia si è dimostrato una sfida: l’efficacia della combinazione di everolimus e pasireoitide o del trametinib è modesta e, nel primo caso, è accompagnata anche da una tossicità significativa.

Alexander Shoushtari del Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York ha ipotizzato sulla base dei modelli preclinici che la contemporanea inibizione di mTOR ed IGF-1 con everolimus e pasireotide a rilascio prolungato porti ad effetti antitumorali nei pazienti con melanoma uveale.SH

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MELANOMA MUCOSALE GINECOLOGICODifferente da quello cutaneoSociety for Melanoma Research (SMR) 2015 Congress

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Il melanoma derivante dalla mem-brana mucosa del tratto urogeni-tale femminile è raro e, un recente studio, ha dimostrato che esso è

differente dal melanoma cutaneo. La carenza di solidi dati sui melanomi gi-necologici ha reso la gestione delle pa-zienti che ne sono affette difficoltosa ed imprevedibile. Secondo Tara Baetz del Cancer Centre of Southeastern Onta-rio, autrice di uno studio in materia che

ha coinvolto 24 pazienti, alcuni nuovi dati istochimici e molecolari relativi al melanoma mucosale ginecologico se-parano questa devastante malattia dal-la sua controparte cutanea altrimenti fenotipicamente identica. I melanomi mucosali sono più rari e tendono ad essere più aggressivi rispetto a quelli cutanei. Essi rappresentano solo l’1,4% di tutti i melanomi e, fra questi, soltan-to il 20% viene diagnosticato nel tratto

genitale femminile. Nel complesso, i melanomi vulvari, vaginali e cervicali costituiscono meno dell’1-3% di tutti i melanomi nelle donne. Il melanoma ginecologico viene trattato in modo si-mile a tutti gli altri melanomi mucosali e la chirurgia rappresenta il trattamento standard di prima linea ma, una volta che si manifestano metastasi, non sus-siste alcun trattamento standard al di là dell’estrapolazione dell’algoritmo tera- SH

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peutico dei melanomi cutanei, benché sia noto che queste due malattie non siano identiche. Per quanto le opzio-ni terapeutiche per i melanomi cuta-nei siano in espansione ed includano la chemioterapia sistemica, BRAF- e MEK-inibitori e più di recente an-che l’immunoterapia con CTLA-4- e PD-1-inibitori, ciò non vale anche per i melanomi mucosali, che rappresenta-no una malattia clinicamente distinta.

Essa è determinata da meccanismi di-versi a livello molecolare, e non sembra rispondere bene a queste opzioni te-rapeutiche. La sopravvivenza di questi melanomi è notoriamente peggiore e ciò ha trovato riscontro anche nel da-tabase SEER, ed anche se la soprav-vivenza dei melanomi mucosali non è stata direttamente paragonata a quella dei melanomi cutanei nel presente stu-dio, gli autori prevedono che essa sia significativamente inferiore. Dato che i target molecolari nei melanomi gine-cologici non sono ben definiti e le op-zioni terapeutiche rimangono limitate, è stata effettuata un’analisi retrospet-tiva delle caratteristiche delle pazienti trattate in un singolo istituto per que-ste patologie negli ultimi 20 anni. La presentazione più comune è stata una lesione vulvare sintomatica, osservata in più della metà delle pazienti, seguita da sanguinamento vaginale o comparsa di macchie. Nel complesso la sopravvi-venza a 5 anni è stata del 29%, e tutte le pazienti sopravvissute erano state sottoposte a chirugia radicale. Sinora tre pazienti su quattro sono rimaste libere da malattia senza recidive, ed una è stata sottoposta a re-escissione all’atto della recidiva, rimanendo co-munque attualmente libera da malattia. Secondo l’analisi immunoistochimica,

l’espressione PD-L1 è risultata positiva in 8 pazienti, ma l’espressione di questo marcatore non sembra essere associata ad una differenza nella sopravvivenza, il che potrebbe essere dovuto alle ridot-te dimensioni del campione. Secondo i ricercatori, tuttavia, i trattamenti an-ti-PD1 andrebbero investigati più a fondo in queste patologie, in quanto è noto che nel melanoma cutaneo l’e-spressione del PD1 non sia richiesta perché questi farmaci portino a benefi-ci clinici. La frequenza delle mutazioni NRAS nel presente studio, stimata al 36%, risulta coerente con quanto pre-cedentemente riportato nei melanomi ginecologici. Analogamente, è stato ri-portato che le mutazioni KIT si osser-vino con una frequenza del 7-45% nei melanomi vulvari, mentre non se ne ri-portano in quelli vaginali. Nel presente studio, esse sono state rilevate con una frequenza del 14%, ma nella vagina non ne è stata riscontrata nessuna. Sono sta-te poi osservate mutazioni BRAF nel 12,5% delle pazienti, il che contraddice l’opinione comune secondo cui esse sa-rebbero rare o persino non esistenti nei melanomi mucosali.

Fonte: Society for Melanoma Research 2015 International Congress, presentato il 18-21/11

Sezione di tessuto

cutaneo al microscopio

Il melanoma ginecologico viene trattato in modo si-mile a tutti gli altri melano-mi mucosali e la chirurgia rappresenta il trattamento standard di prima linea ma, una volta che si manifesta-no metastasi, non sussiste alcun trattamento standard al di là dell’estrapolazione dell’algoritmo terapeutico dei melanomi cutanei, benché sia noto che que-ste due malattie non siano identiche.

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