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Parrocchia

S. Maria

della Visitazione

Pace del Mela IL NICODEMO

Anno VI - Numero 61 pro-manuscripto 11/97 Dicembre

v

Fogli della Comunità

L'arcivescovo Ignazio Cannavò ci propone una meditazione

Una gioiosa novitàMistero dell'amore di Dio, il Natale:

l'amore di Dio che “si dona” all'uomo,

per farlo partecipe della sua vita!

La nascita di una vita portasempre una gioiosa novità.Quella di Gesù, il Natale, ciha portato una novità di pro-

porzione immensa, infinita: una presen-za nuova di Dio nel mondo. Gesù èl'Emmanuele, il Dio-con-noi!

Non vi è più soltanto la presenza diDio Creatore che “sostenta” il mondo: viè la presenza di una comunione di Diocon l'uomo, che lo trasforma, rendendo-lo partecipe della sua stessa vita.

Questa novità S. Leone Magno espri-me in una nota omelia che la liturgia ci faascoltare nel Natale, ricordandoci che ilFiglio di Dio, nascendo a questo mondo,si è fatto uomo perché l'uomo diventasseDio. Una espressione che sembra ad unaimmediata considerazione per lo menoardita o forse anche incredibile. Ma S.Giovanni aveva già scritto che con la ve-nuta di Gesù non soltanto possiamo dir-ci, ma siamo realmente figli di Dio.Siamo diventati tutti figli nel Figlio, cheè pertanto come Uomo-Dio il Capo diuna umanità nuova, nuovo Adamo, ilprimogenito di molti fratelli, come diceS. Paolo.

Parola di Dio è quella scritta da Gio-vanni e lo è anche quella scritta da Paolo,eco delle affermazioni di Gesù che ripe-tutamente nel Vangelo parla della parte-cipazione della sua vita a chi crede in luie lo ama.

E', questa, una verità che va al di so-pra di ogni “razionalità”, e tuttavia non èestranea al desiderio vivo e presente del-l'uomo, a cominciare dalla narrazione bi-blica della creazione dei primi uomini,passando alle mitologie pagane, alle “or-gogliose” affermazioni anche dei mo-

derni pensatori, che negando Diotrascendente fanno dell'uomo un presun-to dio.

I primi uomini nella narrazione bibli-ca non restano indifferenti alla proposta-

Ø

Un “puer” per sperare ancoradi Pina Tuttocuore

Nel medioevo alle soglie del-l'anno mille si andava sem-pre più diffondendo lac o n v i n-

zione della prossimafine del mondo, di ca-tastrofi inimmagina-bili, e chissà perché lecifre tonde (e con trezeri) spaventano an-cora oggi.

Eppure siamo sta-ti noi a fissare con-venzionalmente glianni sulla linea deltempo, a partire dalmomento in cui la sto-ria divenne veramen-te tale, cioè dallanascita di Cristo. Non che i fatti prece-denti all'anno zero non abbiano avuto al-cun valore, ma almeno sulla carta si èvoluto conservare il ricordo di un avve-nimento che ha profondamente segnatol'uomo, offrendogli possibilità nuove divita e di conoscenza.

E già gli antichi profeti l'avevanodetto: “Un germoglio spunterà dal tron-

co di Iesse” (Is. 11,1), precorrendo nellospirito quella che era l'esigenza di spe-ranza, di nuova libertà dei tempi. E tantopiù matura questa volontà di cambia-mento, quanto più l'occasionalità segna

l'uomo, sia egli cri-stiano, sia pagano oappartenga a qualsia-si altro credo di qual-siasi altro tempo. Lasperanza unita allaprofetica visione diun mondo migliore èda sempre uno deiconnotati più specifi-ci dell'essere-uomo.

Persino Virgilio,il poeta latino dellacorte augustea, il ce-lebratore della GensIulia, riallacciandosi

a diffuse concezioni orientali, non si sot-trae all'istanza di rinnovamento che lecontingenze storiche gli suggeriscono.

E' impressionante la somiglianzaestrema tra la sua Egloga IV (Bucoliche)e le profezie messianiche di Isaia: “vocedi Dio” e profeta dell'VIII sec. a.C. que-st'ultimo, l'altro, invece, vissuto duranteil principato di Augusto; lontani per cul-

La speranza unita alla

profetica visione di un

mondo migliore è da

sempre uno dei

connotati più specifici

dell’essere-uomo.

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2-tentazione fatta dal “serpente” di diven-tare “come” Dio. Il loro desiderio non fusoddisfatto, perché avrebbero voluto di-ventarlo non rispettando il piano di Dio,ma contro Dio stesso. Fu questo il pecca-to di origine: l'orgoglio di una autonomiache negava e quindi rompeva il rapportofiliale con Dio, ritenendo possibile rag-giungere con un gesto di ribellione ciòche poteva essere solo un dono di amore.

Il Padre manda il Figlio suo a redime-re l'uomo dal peccato ed elevarlo allapartecipazione della sua vita divina, conun sorprendente “supplemento” di amo-re, che si fa “perdono” e “dono”. E con lavenuta di Gesù nel mondo, il sogno del-l'uomo, infranto dall'orgoglio, diventarealtà per la ricchezza di un gesto diumiltà, dettato dall'amore, del Figlio diDio, che si fa uomo, Gesù l'Uomo-Dio.

Mistero dell'amore di Dio, il Natale:l'amore di Dio che “si dona” all'uomo,per farlo partecipe della sua vita!

La risposta dell'uomo può nasceresolo dalla fede, gesto di umiltà che elevae si fa accoglienza, gesto di amore chearricchisce. Lo stesso S. Leone Magno,nell'omelia natalizia già citata, esorta ilcristiano a riconoscere nella fede la suadignità di figlio e a comportarsi cometale, senza ritornare al peccato, l'orgo-glio che allontana da Dio: vivendo nel-l'amore, che è riconoscimento del donoche ci ha costituito figli dello stesso Pa-dre e fratelli con Gesù e tra noi.

Dio trova così nel suo gesto di amorela sua gloria. L'uomo accogliendo ildono di Dio ritrova la pace desiderata.

L'annuncio degli Angeli nella nottesanta è proclamazione gioiosa di quellagloria di Dio e di quella pace tra Dio e gliuomini e degli uomini tra di loro.

Ma mentre il dono di Dio è continua-mente e fedelmente offerto all'uomo,questi non sempre lo accoglie. E pecca!Il peccato è sempre espressione dellapresunzione di poter fare a meno di Dio.

Aprire il cuore all'amore di Dio, “ri-portarlo” nei rapporti con gli altri in unavicendevole donazione: è il senso verodel Natale, che dà senso alla vita all'uo-mo di tutti i tempi, anche del nostro, desi-deroso di serena pace, che può soloesssere frutto di vero amore.q

tura e storia, vicini per capacità di sentiree di interpretare i “segni” dei loro tempi.Entrambi auspicano l'avvento di una fi-gura dispensatrice di salvezza, capace diristabilire l'equilibrio sconvolto delmondo, restituendo agli uomini la rico-stituzione dell'ordine primigenio: abbiaesso i colori del paradiso terrestre o dellamitica età dell'oro.

“Il lupo dimorerà insieme conl'agnello, (...) il vitello ed il leoncello pa-scoleranno insieme e un fanciullo li gui-derà (...). Il lattante si trastullerà sullabuca dell'aspide; il bambino metterà lamano nel covo dei serpenti velenosi” (Is.11,6-8): così dice il profeta con “fremen-te robustezza” riecheggiando le immagi-ni tipiche del paradiso terrestre dipintenel libro della Genesi.

Ad un “puer” si rivolge pure l'Eglogadi Virgilio (Egl. 4,8-9; 4,21-25): “(...) tuil bambino che adesso nasce e per la pri-ma volta vedrà / cessare la razza del ferroe ovunque spuntare quella dell'oro (...). /Spontaneamente le capre ti verranno incasa con poppe / gonfie di latte e gli ar-menti non avranno paura dei grandi leo-ni; / perirà il serpente, la pianta cheocculta il veleno / perirà; (...)”. Un'attesapiena di speranza questa di Virgilio, illu-minata da scene ricche di tradizione,come ad esempio dell'età dell'oro chetrae origine da Esiodo per poi ampliarsi ericoprirsi di significati diversi in Aratoed approdare all'esigenza di palingenesiauspicata da Virgilio.

Non è tanto fondamentale stabilire seil “puer” citato da Virgilio sia Cristo (tesisostenuta dagli esegeti medievali delpoeta nel loro tentativo di “redimere” iltesto virgiliano: un esempio per tutti siaFulgenzio “De continentia vergiliana”),o invece – come appare più accettabilealmeno storicamente – il figlio atteso daOttaviano e Scribonia o da Pollione.Quello che invece conta è sottolinearel'apertura alla speranza che si fa stradanelle menti e nei cuori di un popolo dallospirito radicalmente prammatico e belli-coso qual era quello romano; anche senon segue i canoni cristianamente mes-sianici, onore e merito giungono a Virgi-lio per non essersi chiuso in un grettopessimismo a deplorare i suoi tempi eper non essersi spinto alla ricerca di un“angulus” pacifico e tranquillo, a coro-namento della tendenza individualisticatipica della Roma imperiale sul mottooraziano “petamus arva, divites et insu-las” (“dirigiamoci a quelle campagne, a

quelle isole fertili” Epodo, XVI, v. 42),negando qualsiasi possibilità alla rina-scita morale del mondo. Roma si è apertaall'oriente e alla speculazione filosofica,assorbendone le più stravaganti istanze;probabilmente anche Virgilio ne vienecatturato e la rappresentazione del“puer” accoglie non solo le suggestionidegli oracoli sibillini, ma soprattuttol'inclinazione profetica dei popoli dapoco conquistati, che già da secoli ave-vano conosciuto la rivelazione; la inter-preta però, anche se un sorprendentealito di grandezza, quasi di divinità, per-vade l'egloga, su basi ancora pagane (ba-sti pensare ai riferimenti mitologici):“Guarda il mondo che si piega sotto ilpeso della volta celeste / e la terra e le di-stese del mare e l'azzurro profondo, /guarda come tutto festeggia l'epoca chesta per venire” (Virgilio Egl. IV, 50-52),avvicinandola alla salda visione di Isaia:“La radice di Iesse si leverà a vessillo peri popoli, le genti lo cercheranno con an-sia, la sua dimora sarà gloriosa”(Is.11,10).

E Cristo è nato: le profezie si sono av-verate.q

APPUNTAMENTI

u26 Dicembre ‘97, ore 18, chiesadel Redentore

Concerto di Natale

Corale Polifonica “S. Benedetto”diretta dal Maestro Pippo Mollura.

u28 Dicembre ‘97, ore 17, chiesadel Redentore

Celebrazione Sacra Famiglia

Partecipano tutte le coppie dellequali, nel corso dell’anno, ricorrevail 25° Anniversario di matrimonio.

u4 Gennaio ‘98, gita a S. Stefano

di Camastra promossa dal gruppodel “Rinnovamento dello Spirito”.Per informazioni rivolgersi, in tem-po utile, a Maria Calderone, tel.933171.

u6 Gennaio ‘98, ore 15, dallachiesa Parrocchiale processione

del Bambin Gesù. Invitiamo ibambini a partecipare, come diconsueto, in costume da presepe vi-vente.

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QUESTOBAMBINOLA NOSTRA UNICA

SPERANZA

di Franco Biviano

Due mesi e mezzo fa ho vissutouna grande gioia, quando èvenuto alla luce il mio secon-do nipotino. Ricordo le ap-

prensioni degli ultimi giorni perchésapevamo già che si sarebbe trattato diun parto cesareo, non posso dimenticarela mezz'ora di attesa dietro la porta dellasala parto e la gioia incontenibile al sen-tirne il primo vagito, né la sorpresa reci-proca a scoprirci col volto rigato dilagrime al suo apparire fra le braccia del-l'infermiera. Poi, col passare dei giorni,al vedere quel piccolo essere indifeso,incapace di movimento e di parola, com-pletamente dipendente dai suoi genitori,ho pensato al grande miracolo che Diocompie ogni volta che un bambino com-pare sulla scena del mondo per diventareuna piccola goccia nel grande fiume del-la storia.

Oggi mi trovo a riflettere sul Natale,celebrazione della nascita di un uomodel tutto particolare avvenuta più o menoduemila anni fa, della quale noi cristianiogni anno facciamo memoria viva. E miviene spontaneo cercare di rivivere, cosìcome posso, i sentimenti che la nascita diGesù, miracolo sommo compiuto daDio, ha suscitato in tutti coloro che sonovenuti in contatto con Lui. Prima fra tuttila madre. Questa ragazza ebrea, di nomeMaria, vistasi improvvisamente incintain virtù di un intervento dello SpiritoSanto, Signore della vita, ha vissutol'esperienza più grande mai concessa aduna donna. Quel bambino, portato pernove mesi nel suo grembo, partorito condolore, adagiato adesso su pochi sempli-ci pannicelli dentro una mangiatoia, nonè un bambino come gli altri e lei lo sa. Inquel bambino il potentissimo si è fattofragile, l'immenso si è fatto minuscolo,l'irraggiungibile si fa tenere in braccio,l'invisibile è alla portata dei suoi occhi,Dio si è fatto uomo. Chissà quante volte,durante i mesi della gravidanza, Mariaavrà pensato alla sua missione di porta-

trice di Dio fra gli uomini. Ora il suo Dioè davanti a lei, si alimenta col latte delsuo seno, dorme pacificamente quandosi è saziato, strilla quando ha fame, è unbambino al cento per cento. Adesso Ma-ria può chiamare per nome Colui che dasempre è l'innominabile. Gesù: Maria sicompiace a ripetere quel nome volutodall'angelo Gabriele, un nome diffuso,comunissimo, che significa semplice-mente “Salvatore”. Ma quando lo pro-nuncerà, per chiamarlo, Maria saprà cheil suo bambino è l'unico al mondo al qua-le quel nome calza proprio a pennello.Questo bambino è veramente “Dio chesalva”, unico ed insostituibile. “Non vi è

infatti altro nome dato agli uomini sotto

il cielo nel quale è stabilito che possiamo

essere salvati” (Atti 4,12).Man mano che la notizia della nascita

si diffonde, tutti corrono a vedere il suobebé. Maria sa perché. Questo bambinonato dalle sue viscere è il Liberatore an-nunziato da secoli, colui al quale ogniuomo dovrà rivolgersi se vuole ottenerela salvezza. I pastori, i primi ad accorre-re, si rendono conto che quel bambino èl'Atteso, che sono di fronte all'eventocentrale della storia e piegano il ginoc-chio in segno di adorazione. Quarantagiorni dopo sarà la volta del vecchio Si-meone che riconosce in quel primogeni-to presentato al Tempio “la salvezza diDio e la luce per illuminare le nazioni” edella profetessa Anna che rende gloria aDio riconoscendo in Gesù il Redentorepromesso. Anche i Magi si recano adadorare il bambino Gesù, testimoni diun'attesa di salvezza anche al di fuori delpopolo d'Israele.

Sono stati molti gli uomini e le donneche nel corso dei secoli sono rimasti af-fascinati dal mistero di Dio che si spoglia

della sua grandezza per assumere la con-dizione di bambino ed alcuni di essi han-no raggiunto per questa via un tale gradodi perfezione che la Chiesa li ha ricono-sciuti come santi e li propone comeesempio da imitare. Ne citerò solo quat-tro fra i più noti: S. Girolamo (340-420),S. Antonio di Padova (morto nel 1231),S. Alfonso Maria de' Liguori (1696-1787) e Santa Teresa del Bambino Gesù(1873-1897). Non è certamente un casose tutti e quattro sono stati insigniti del ti-tolo di “dottore della Chiesa”, cioè dipersonalità che la Chiesa considera“maestri” e dai quali, quindi, tutti abbia-mo da apprendere.

Oggi, a distanza di venti secoli,l'evento del Natale suscita in noi ancorale stesse emozioni. Dio continuamente sirifà bambino, si abbassa fino all'espres-sione più fragile della nostra specie perinnalzarci fino alla soglia del divino efarci suoi consanguinei. Questo bambi-no è la nostra àncora di salvezza, è lalampada che getta luce sul significato esullo scopo della nostra esistenza, è altempo stesso mèta da raggiungere e stra-da da percorrere. E' l'unica speranza checi rimane. Senza di lui siamo degli smar-riti.q

Hanno bisogno di noi

Avanti!con Chernobyl ‘98

di Antonio Bonarrigo

e Santino Grillo

Nei giorni 29 e 30 novembre siè svolto, a Grosseto, un in-contro al quale sono stati in-vitati a partecipare tutti i

comitati italiani del Progetto Chernobyl,per un’analisi dei risultati dell’esperien-za di ospitalità del 1997. Il nostro Comi-tato, unico fra tutti i comitati dell’interaregione siciliana, era presente con duerappresentanti.

Il Progetto Chernobyl va “AVANTI”:questo è ciò che è venuto fuori nel corsodel congresso. Durante l'incontro abbia-mo costatato che, anche se esistono tantedifficoltà, si deve andare “avanti”. Tutti icomitati presenti del Progetto Chernobylsono dello stesso parere.

I bambini che vivono nei luoghi con-

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4taminati della Bielorussia, dell'Ucraina edella stessa Russia, hanno bisogno dinoi, non hanno che questa possibilità, equindi non dobbiamo deluderli.

Nel corso della riunione, il coordina-tore nazionale del progetto ChernobylLegambiente, Angelo Gentili, ci ha illu-strato il consuntivo del 1997, ivi com-preso un minuzioso rendiconto delconsuntivo finanziario, entrate e spesesostenute per il buon esito del progettostesso.

Si è concluso l'anno 1997 con un to-tale di 2.754 bambini, ospitati da 142 co-mitati presenti su tutto il territorionazionale. I criteri di selezione, ci è statodetto, sono stati stabiliti dai nostri refe-renti esteri (bambini provenienti da fa-miglie bisognose, da aree contaminatecon più di 15 Curie e bambini mai statiall'estero).

Quindi i risultati sono stati sicura-mente migliori rispetto agli anni prece-denti, anche perché i componenti delcomitato nazionale hanno fatto frequentiviaggi nelle zone contaminate per verifi-care e per discutere con i nostri collabo-ratori esteri dell’ospitalità, dellaselezione dei bambini e dei criteri in baseai quali tale selezione deve essere ap-prontata. Inoltre ogni anno vengono in-vitati in Italia i referenti dei luoghicontaminati e si organizzano degli in-contri specifici che servono innanzituttoa ribadire i principi del nostro progetto ea dare indicazioni precise su come ope-rare per realizzare l'iniziativa nel miglio-re dei modi.

Per il prossimo anno, in generale, cisi pone un obiettivo che va verso unamaggiore qualità dell'iniziativa ed, inquesta direzione, è da interpretare anchela scelta di utilizzare voli Alitalia o com-pagnie similari, che sicuramente offronogaranzie di sicurezza e affidabilità mag-giori rispetto a quelle di compagnie del-l'Est, onde evitare i disagi degli annipassati.

Il confronto della nostra con le altreesperienze di ospitalità ci ha confortatosulla bontà delle iniziative adottate nel-l'ambito del nostro Programma, anzi,possiamo affermare con orgoglio, che ilnostro Comitato ha attivato una serie diattività e modalità di soggiorno sicura-mente rispondenti allo spirito del Pro-getto Chernobyl.

“AVANTI” quindi su questa stradanella programmazione del Progetto1998.q

Il diritto

all'amoredi Emanuela Fiore

Quanto un essere umano ha di-ritto all'amore? Ne ha dirittochi è concepito, già, ognibambino cresce in cerca di

tante cose, ma soprattutto e sempre, diamore. Ma, ahimè, più siparla d'amore e più si“sbiadisce” il suo signifi-cato: in questa nostra eraormai c'è poco tempo dadedicare ai grandi idealied è così che questi ri-schiano di perdersi nel-l'oceano dell'impossibile.

Se pensiamo ad unbambino, la nostra sensa-zione è di fragilità, di te-nerezza, di protezione, distupore perché Dio gli hadato la forza di farsi senti-re, di far capire a tutti cheesiste e ha bisogno diamore... Voltiamo paginae ci rendiamo conto chequel bimbo, molto spes-so, soffre, ha dimenticato o non sa cos'èsorridere. Quel che è peggio assistiamo,come in un film di terrorismo, all'ennesi-

ma strage degli innocenti: la prima ha vi-sto Erode far uccidere tanti bambini, altempo della nascita di Gesù, e in nome diuna stessa ferocia crudele, questa di oggivede ancora tanti bambini morire, senzaun perché.

I dati sono allucinanti: l'Organizza-zione Mondiale del Lavoro, nel corso diuna conferenza svolta ad Amsterdam,che aveva come tema lo sfruttamentominorile, ha informato che ben 250 mi-lioni di bambini vengono regolarmentesfruttati nel mondo, costretti a lavorarespesso come veri e propri schiavi. Il mo-vimento di ribellione ugandese Lord'sResistence Army avrebbe in pochi mesicatturato oltre 3.000 minori e li avrebbepoi venduti alla frontiera sudanese incambio di armi e munizioni. Molti mino-renni compaiono in video cassette por-nografiche, per tutti loro la vita èdiventata davvero insopportabile. La po-vertà, la malattia, la mancanza di cibo edi medicine, l'acqua sempre più inquina-ta... sono realtà che portano alcuni paesiad un incredibile degrado, generando ef-fetti devastanti soprattutto sui bambini.

Nel 1996, 2.391 sono stati i minoriscomparsi, secondo i dati forniti dallaCriminalpol, le cause sono dovute a crisifamiliari e spesso anche psicologiche,per non parlare del continuo aumento dibambini senza famiglia, più di 70 mila,che vivono in mezzo ad una strada. Leliti tra genitori vissute dentro casa, l'inusuale approccio al giudice, la separa-zione, la mediazione dell'assistente so-

ciale aggravano, molto spesso, lasituazione traumatica del minore e non èraro quindi il desiderio di fuga.

Gomel

Pace del Mela

solid

arietà tra i popoli

Tempo di adesionePer il “Progetto

Chernobyl ‘98”, il comitato pensa dipoter ospitare 20 bambini bielorussi oucraini. Le famiglie interessate a dareospitalità ad un bambino possonodare, già da subito, la loro adesione alpresidente prof. Francesco Parisi, tel.933894, o al parroco, tel. 933165.

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C'è da chiedersi allora, perché si è ar-rivati a tanto? In che cosa abbiamo sba-gliato? E la risposta è sempreinappagante. Del resto, oggi, escogitia-mo di tutto per fare del male. Ancora pri-ma che un bambino nasca, riusciamo apregiudicare la sua esistenza. E' davverotanto voler “giocare” con la natura, pro-gettare in laboratorio una vita, con espe-rimenti sugli embrioni, congelamenti diovuli e persino pecore e scimmie “in fo-tocopia”, ottenute con la clonazione; ètanto, troppo, che possa nascere un figliodal seme o dall'ovocita di un padre e diuna madre deceduti, ed è ancora più de-gradante che tutto questo dia l'occasioneper “costruire” un vero e proprio busi-ness. Ma che l'inseminazione artificialefosse la “culla” di un seme infetto vadavvero oltre ogni etica. E' proprio così.

Ma allora qual è il senso della vita? Ese davvero riusciamo a coglierlo, c'è unsenso alla vita?

La vita è un fiore che sboccia, è unalacrima che si trasforma in sorriso, hamolti nomi, molti volti, un solo respiro, ilRespiro di Dio. Non ci dobbiamo lascia-re abbattere dalla situazione di abbando-no materiale e morale in cui versa ilnostro mondo e sentirci solo incapaci eimpotenti, ognuno di noi dovrebbe esse-re sollecito e battersi perché il mondopossa cambiare, essere migliore.

Molte sono, oggi, le coppie che deci-dono di adottare un figlio, o più figli, didare loro un futuro più stabile, di offrirespontaneamente il proprio affetto, senzaaspettarsi nulla in cambio. Questa sceltaè a favore del bambino, operata anchedal legislatore italiano con la legge sul-l'adozione (Legge 4 maggio 1983 n°184), è una scelta coraggiosa, che si è ri-velata vincente.

“Voglio poter dare qualcosa di mioad uno di questi bambini meno fortunati,per riempire di significato la sua esisten-za”: sono le parole di una giovane donnafinora senza figli, che ha deciso con ilmarito di adottare un figlio, perché èquesto che sarà, un figlio, e non solo unbambino. L'adozione è una delle tantestrade per avvicinarsi ai bambini chehanno bisogno di protezione e di affetto.E' un atto d'amore, è la risposta concretaad un bambino che “piange” e al suo di-ritto di essere amato, come per Gesù chevenne al mondo per amare e per essereamato.

E' questo il messaggio del Natale:dare amore, dare vita.q

“Fateli vivere, sono laparte migliore di noi”

di Carmelo Parisi

Il 10 dicembre scorso si è fe-steggiato, nelle maggiori ca-pitali mondiali, l’ingresso nelcinquantesimo anno della

Dichiarazione universale dei dirittidell’uomo, approvata, con voto unani-me, il 10 dicembre 1948, nel corsodell’assemblea generale delle NazioniUnite.

Nei 30 articoli che la compongono sisono voluti sancire i diritti civili, politici,economici, sociali e culturali di ogni in-dividuo.

L’evento è storico ed è tanto impor-tante e significativo in quanto in quel 10dicembre di quarantanove anni fa, per laprima volta, il mondo ha elaborato deiprincipi e dei valori nei quali si sono ri-conosciute tutte le nazioni: tutti gli esseriumani hanno diritto alla vita e tutti sonouguali in dignità, in libertà e accesso alledisponibilità della Terra.

Il primo dei trenta articoli è ricco disignificato. Esso recita: “Il bambino ha

diritto di ricevere una educazione che

sviluppi le sue capacità e che gli insegni

la pace, l’amicizia, l’uguaglianza ed il

rispetto dell’ambiente naturale.”

La mente corre in questo momento,alle violenze, alle sofferenze, alle priva-zioni, alle violazioni dei diritti dei bam-bini di tutto il mondo in questi 49 anni.

In molte parti della Terra al bambinonon è assicurato neppure il diritto allavita, in altre si convive con il superfluo.Quanti bambini del cosiddetto terzo (oquarto?) mondo soffrono di malnutrizio-ne e quanti ne muoiono di fame?

Il pensiero vola ai bambini dell’Afri-ca e dell’Asia dove si muore veramenteancora di fame. Ed a quelli dell’AmericaLatina. A paesi come Nicaragua, Hondu-ras, Brasile dove i bambini sono moltovulnerabili perché se è vero che, in unacerta misura e rispetto all’Asia ed Afri-ca, essi non muoiono per fame o per ma-lattia, o ne muoiono in misura minoreperché le campagne di vaccinazione,grazie anche all’opera di tante associa-zioni umanitarie, sono ad un buon livel-lo, c’è invero da chiedersi in quali

condizioni essi vivano. In quale sistemadi vita e con quale futuro?

In quei paesi l’infanzia ha dei grossiproblemi: problemi di lavoro minorile,di prostituzione minorile, di violenze, dimaltrattamenti e problemi emergenticome l’abbandono della scuola.

E’ di questi giorni l’invito dell’ONUa riflettere proprio sui diritti di ogniuomo: “fateli vivere, sono la parte mi-gliore di noi” ha detto il segretario gene-rale delle Nazioni Unite, Kofi Annan,rivolgendosi ai giovani di tutto il mondo,ed ha aggiunto : “fateli vostri, promuo-veteli, sosteneteli”.

I diritti da tutelare sono tanti: il dirittoalla differenza ed al rispetto per le perso-ne che non sono uguali a noi è uno di que-sti.

Penso allora a ciò che ho letto del pre-sidente degli Stati Uniti d’America, BillClinton, il quale, intervenendo ad unamanifestazione di celebrazione dellaGiornata, ricordava che “in molti Paesipersistono minacce alla libertà e i dirittidell’uomo sono tuttora in pericolo”, e misono chiesto se il “capo del mondo libe-ro” avesse presente in quel momento ciòche hanno subìto, in America, per colpedi quei governi, i Pellerossa. In uno spotdell’organizzazione mondiale SurvivalInternational è magistralmente rappre-sentata l’odissea di quelle “nazioni”(come essi preferiscono chiamarsi): “Ci

hanno fatto molte promesse, più di quan-

te io possa ricordare, ma ne hanno man-

tenuta una. Promisero che avrebbero

preso la nostra terra e la presero. Quan-

do Nuvola Rossa disse queste parole

predisse anche l’annientamento del suo

popolo e del modo di vivere di tutti i nati-

vi americani” .

Oggi, mi viene da aggiungere, lestesse forze della cosiddetta civiltà mi-

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6nacciano popoli tribali di ogni angolodella Terra come le tribù del bacinoamazzonico o gli aborigeni australiani.Tutti i nativi, in quelle regioni, soffrono,molti sono stati derubati della terra, altrisono stati attaccati, imprigionati, tortu-rati o massacrati. Nemmeno i bambini edi vecchi vengono risparmiati.

L’art. 18 della Dichiarazione univer-sale dice: “Ogni uomo ha diritto alla li-bertà di pensiero, di coscienza e direligione…”.

Che dire quindi della libertà, negata,di professare la propria religione, diquella libertà osteggiata ancora oggi inpaesi totalitari ed anche in quelli che, af-francatisi, in certo qual modo dal totali-tarismo, proprio non sanno rinunciare adimbrigliare quelle che, per loro, sono re-ligioni cosiddette “minori”. Penso allaRussia di oggi ed alla legge che la Dumaha recentemente approvato ed il presi-dente Eltsin ratificato. Come si conciliaquesto con l’aver votato la solenne di-chiarazione universale?

E l’art. 13: “Ogni uomo ha diritto allalibertà di movimento e di residenza entroi confini di ogni stato. Ogni individuo hadiritto di lasciare qualsiasi paese, inclusoil proprio, e di ritornare nel proprio pae-se.”

Viene applicato il dettato di questoarticolo in tutti i paesi che hanno appro-vato la Dichiarazione?

Questi sono solo alcuni dei princìpicui tutti dovremmo, nell’operare di ognigiorno, fare riferimento. Noi per primi e,non ultimi, tutti i governanti della Terra.Bisogna veramente operare per creareuna cultura per la quale si viva in unmondo diverso da quello in cui viviamooggi. E la Chiesa Cattolica, con le sue ra-dici in tutto il mondo, può far molto inquesto campo.

Anche il Papa ha lanciato il suo ap-pello per dare voce a tutti coloro che ognigiorno e ad ogni latitudine vedono umi-liata la propria dignità di uomini e didonne.

Vorrei concludere con l’auspicio chesi realizzi realmente ciò che Sua Santità,Giovanni Paolo II, ha detto nel corsodell’udienza generale dello scorso mer-coledì 10 dicembre, per commemorarelo storico evento: “Siano sempre più ri-

spettati e promossi, da parte di tutti, i di-

ritti di ogni uomo a salvaguardia della

umana dignità e per favorire lo sviluppo

autentico dell’intera umanità” .q

CONOSCO PERSONE MOLTO ABILI:SONO DISABILI

SCOPRIAMO PERSONE

MERAVIGLIOSEdi Paolo Orifici

Vi confesso che ho più voltepensato al mondo dei disabilicome un mondo estrema-mente difficile, che richiede-

va una forza interiore fuori del normale.Sbagliavo!

Mi è bastato conoscerne alcuni perscoprire delle persone meravigliose edin loro ho trovato degli amici, dei veriamici.

È bastato un atti-mo. In un attimo tuttele mie paure, le mieansie si sono dissolte.

Soltanto adesso riescoa capire tutti i pregiu-dizi e le prevenzioniche mi ero creato. Era-no questi pregiudizi,queste mie prevenzio-ni che finivano colgiustificare la mia in-

differenza, la paura, iltimore erano solo de-gli alibi che avevo in-ventato.

Proprio la mia esperienza mi sugge-risce un interrogativo: quanti di noi sicreano delle giustificazioni per non af-frontare il problema? Badiamo bene, cisentiamo tutti impegnati nel sociale, tuttici assumiamo le nostre responsabilità,salvo poi non avere mai il tempo di farequalcosa di concreto. Perché, vedete, ilproblema è sicuramente importante etoccante ma non è il nostro, non ci appar-tiene. Ne siamo “addolorati” ma nulla dipiù.

Ma di questo non vorrei parlare, miinteressa di più parlare di donne, di uo-mini e bambini che vivono quotidiana-mente ogni genere di disagi, quei disagiche il più delle volte siamo proprio noi acreare. Si parla tanto di abbattere le bar-riere architettoniche (che di per sé sonouna vergogna) quando le barriere più altesono in noi stessi.

Io ho avuto una grande opportunità:

li ho conosciuti, ho conosciuto la lorovoglia di avere qualcuno vicino, che ac-cetti (chissà poi cosa c’è da accettare) laloro presenza, il loro dialogo.

Questa esperienza mi ha suggeritoalcune riflessioni. La prima confermatutta una serie di luoghi comuni, vale adire quelli su coloro i quali speculano suidisabili e dalla vicenda AIAS in poi visono, purtroppo, tutta una serie di tristiconferme a questa affermazione. Le fa-

miglie, che in veritàsono spesso disponibi-li a qualsiasi spesa, siritrovano costante-mente circondati da unbranco di avvoltoi.Costoro guardano aidisabili esclusivamen-te come a degli oggettida utilizzare opportu-namente per produrresoldi o, nel più subdo-lo dei casi, consensielettorali.

Gli stessi terapistiche si ritrovano in girosi limitano a sommini-

strare cure ed esercizi stabiliti a tavolino,senza nemmeno guardare in faccia il ra-gazzo. Per quel poco che ne so, possopiuttosto segnalare la necessità che il te-rapista conosca a fondo il suo pazientepoiché sono da uno studio personalizza-to può derivare una terapia opportuna, edancora solo studiando le singole – e perforza di cose diverse – reazioni alla curaè possibile adattare la stessa, modellan-dola sulle specifiche esigenze. Solo unlavoro così strutturato può produrre deibenefici, viceversa si rischia – nella mi-gliore delle ipotesi di prenderci tutti ingiro – nella peggiore di arrecare loro unulteriore danno.

Per non dire degli insegnanti di soste-gno. Il loro è un ruolo di una delicatezzaestrema ma, evitando – come sempre digeneralizzare – credete che siano real-mente in grado di aiutare questi ragazzi?Spesso sono solo la causa di un ulteriore

Giotto - La lavanda dei piedi.

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Ø

aggravamento, data la prassi diffusa diabbandonarli al loro destino. Se c’è, in-vece, una cosa che non va mai fatta èquella di lasciarli soli. Hanno bisogno dimoltissime cose, si scontrano ogni gior-no con ostacoli di ogni tipo, ma l’affettoe l’amicizia sono le cose a cui più tengo-no e che in nessuno caso gli devono esse-re negati.

La loro forza, il loro coraggio, la lorospontaneità non lo meritano.

Riuscire ad entrare in contatto con illoro mondo ci consentirebbe di apprez-zarne le immense qualità. Vederli sorri-dere, scherzare, cantare e ballare è unemozione autentica che ci porta a cono-scere aspetti che non pensavamo nean-che potessero esserci. Si rivelano dasubito delle persone amabili, dolcissimecon una voglia sfrenata di fare le cosenormalissime che tutti noi facciamo mache a loro sono, troppo spesso, vietate.La loro dolcezza è quasi sempre mitigatada due fattori: la timidezza che nasce contutta probabilità dalla paura di non essereaccettati, e la forza – quasi la durezza –con la quale affrontano le vicissitudiniquotidiane.

Fra le tante frasi che ho sentito pro-nunciare mi ha profondamente colpitoquella di un genitore che presentandomila figlia down mi ha detto: “Mia figlia hal’esatto percezione di tutto quello che leaccade intorno. Capisce se la si prende ingiro o piuttosto la si rispetta; se le si pro-pone qualcosa di interessante lo accettacon entusiasmo altrimenti respinge tuttorichiudendosi in se stessa.” È questa l’u-nica verità. Capiscono i loro interlocuto-ri.

Ed ecco l’importanza delle relazioni,dei rapporti. Attraverso il dialogo, laconfidenza è possibile realmente con-sentire alla loro personalità di venirefuori, di affermarsi. Parlando con qual-cuno di loro, con le famiglie, emerge tut-ta l’importanza dell’amicizia e lanecessità pressante di trovare loro delleoccupazioni, di dargli degli obiettivi cuitendere la giornata. Molti disabili sonofra le persone più capaci ed abili che ioabbia mai conosciuto. Ho incontrato deilaureati, degli universitari, dei dipenden-ti comunali (a proposito, sapete dovevanno a finire i posti riservati ai disabi-li?) ed ancora chi corrisponde con artistidel mondo dello spettacolo o semplice-mente chi passa la giornata a guardare icartoni animati o in strada. Vi posso assi-curare che sono tanti quelli che aspettano

l’opportunità di poter mostrare le pro-prie qualità; sarebbe davvero bello ri-uscire, un giorno, a valorizzare appienole loro enormi potenzialità. Il telelavoropotrebbe essere davvero la strada perpermettere loro un inserimento proficuoed altamente positivo nel mondo del la-voro, abbattendo in un solo colpo tutte leproblematiche che ne impediscono l’af-fermazione reale. Oggi, piuttosto, uncomputer rischia di essere soltanto l’ulti-mo compagno che è rimasto loro, e que-

sto è davvero molto triste.Io vorrei concludere questa breve ri-

flessione con un auspicio, quello di ri-uscire a trovare un po’ più di tempo perloro. Riuscire a regalargli un po’ di sere-nità e di allegria, pur nella nostra vita su-perimpegnata e stressante, sarebbedavvero il regalo più bello che si possia-mo fare, e ci farebbe anche apprezzare dipiù le gioie che la nostra vita ci riserva.E, soprattutto, loro lo meritano davvero.Sono eccezionali!q

IPPOTERAPIAA MILAZZO

di Maria Grazia Currò

AMilazzo si è appena conclu-so il ciclo trimestrale di Ip-poterapia per disabiliorganizzato dalla Cooperati-

va Geriatrica e finanziato dal comune diMilazzo.

L’ippoterapia è una tecnica riabilita-tiva la cui efficacia curativa sui portatoridi handicap sia fisici che psichici è ormaiindiscutibile; essa da parecchi anni èmolto diffusa all’estero, ed anche in Ita-lia si sta estendendo sempre di più.

Dalle nostre parti questo è stato il pri-mo approccio con “la terapia con il ca-vallo” e devo dire che è stata unabellissima esperienza che tutti noi, anchequelli più scettici e quelli che rifiutano itipi di terapia classici, abbiamo vissutocon entusiasmo e positività.

Come per ogni altra attività, soprat-tutto all’inizio c’è stata qualche difficol-tà a livello organizzativo, ma soprattuttoabbiamo dovuto fare i conti con le condi-zioni atmosferiche che, dato che erava-mo in un maneggio all’aperto, ci hannoobbligato a saltare qualche seduta; devoperò dire che coloro che si occupavanodell’organizzazione ce l’hanno messatutta affinché il progetto si svolgesse nelmodo più serio e più proficuo possibile.

I ragazzi dalla cooperativa sono statitutti molto simpatici, cordiali e allamano; in particolare Paolo che ha segui-to più da vicino la cosa e che era quasisempre presente alle nostre sedute, hacercato in tutti i modi di incastrare gliorari facendoli coincidere il più possibi-le con le singole esigenze di ognuno dinoi (cosa non proprio facile, consideratoil fatto che eravamo circa una trentina di

utenti e un solo terapista). Ma la cosa cheho apprezzato di più di questo ragazzo èche lui ha cercato di instaurare un dialo-go con ciascuno di noi ed è riuscito, pia-no piano, con molta discrezione edelicatezza, ad entrare nelle simpatie ditutti, anche dei più chiusi e riservati.

Fin dalla prima volta che ho vistoAntonio, l’ippoterapeuta, all’opera conun cavallo e un ragazzino, ho subito in-tuito che non solo ha una preparazionetecnica non indifferente, ma anche chesvolge il suo lavoro con passione, chevorrebbe avere la possibilità di lavorareseriamente, vale a dire in modo duraturo(quasi nessuna terapia fisica dà dei risul-tati in solo tre mesi), in un maneggio co-perto in modo da non essere condizionatidal tempo; l’ideale poi sarebbe avere unminimo di attrezzature e lavorare con laconsulenza di un’équipe di specialisti(neurologi, ortopedici, ecc.).

Sarebbe sicuramente una gran bellacosa se si riuscisse a mettere in piedi unarealtà del genere che, con una spesa noneccessiva, potrebbe diventare un fioreall’occhiello della nostra città e fornireun servizio utile e funzionante all’uten-za.

Forse in futuro tutto ciò potrebbe di-ventare realtà; per il momento io perso-nalmente spero di cuore che questo siastato solo l’inizio e che il progetto vengarinnovato.q

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RITRATTO

DI LARADONO DI DIO ALLA

COMUNITA'

Parlare di Lara mi entusiasma.Il suo nome evoca la musicadel “Dottor Zivago” e le inne-vate distese della Russia. Il

suo volto fa pensare all'Estremo Orienteperché Lara ha gli occhi a mandorla,come una cinesina, anzi come una mon-gola. Sì, diciamolo subito: Lara è una ra-gazza Down. Possiede un cromosoma inpiù rispetto alla norma e questo, anzichéfavorirla, la rende più fragile. Per questasua caratteristica, Lara ha avuto difficol-tà a trovare il proprio spazio nella socie-tà, a scuola, nei giochi, nello sport.

La gente la considerava “diversa”,come se al mondo esistessero persone“uguali”. I suoi genitori hanno dovutosudare sette camicie per fare capire ingiro che Lara non è un “castigo” o una“croce”, ma una “missione”. Anzi lamamma non esita a definirla un “dono”,perché la presenza di Lara ha irrobustitoil suo carattere, l'ha resa capace di af-frontare qualsiasi difficoltà.

Adesso la mamma di Lara è un puntodi riferimento per tutti coloro che hannofigli portatori di handicap. Molti si chie-dono come fa ad avere tanto “coraggio” evorrebbero seguirne l'esempio. MammaAngela ha una risposta semplice: “Dioha mandato Lara nella mia famiglia per-ché ci prendessimo cura di lei”. La suabattaglia è stata quella di convincere tuttiche Lara è una ragazza normalissima, hasolo bisogno di attenzioni particolari.Tutti i giorni la porta ad Oreto per farleseguire dei corsi di musicoterapia e chi-nesiterapia. Sin dai primi giorni di vita diLara ha dovuto lottare con i medici chenon volevano fargliela allattare. Secon-do loro la bambina non era capace di suc-chiare, aveva pochi giorni di vita ecomunque avrebbe dovuto essere “rin-chiusa” in un apposito istituto. Ha con-dotto una dura battaglia per ottenerel'insegnante di sostegno quando la leggenon ne prevedeva la presenza per un solobambino svantaggiato.

Adesso “Mamma Coraggio” è con-tenta dei risultati ottenuti: la gente accet-

ta la “normalità” di Lara, molti l'aiutanoad inserirsi. “Sono molto grata ai pacesi -dice Angela, che viene dalla provincia diCatania - questo paese non lo lasceròmai”. E' solo dispiaciuta di non avere ot-tenuto dal Comune un locale dove i bam-bini svantaggiati potessero riunirsi,giocare e lavorare insieme. Il suo mes-saggio a chi ha figli portatori di handicapè quello di non isolarsi, ma di coalizzarsiper lottare insieme.

Lara ha una immensa fiducia nelprossimo, per lei tutti sono buoni, nonesiste la cattiveria. Ha diciassette anni,ama la musica e lo sport. Vorrebbe suo-

L'EDICOLA

DELL'ADDOLORATA

Una gentile lettrice ci ha forni-to una foto scattata nell'ago-sto del 1962 che riproduce lavecchia edicola dell'Addolo-

rata e che volentieri pubblichiamo. Latrasformazione dalla situazione ripro-dotta nella foto a quella attuale è stataeseguita dal muratore Antonino Schepiscon materiale fornito dalla signora Con-cetta Parisi, la quale afferma di avereadempiuto in tal modo un preciso desi-derio espressole in sogno dall'Addolora-ta. Tutti gli anziani da noi interpellatiricordano l'edicola collocata da semprein località Santa Croce, all'angolo fra laVia Roma (già Via del Popolo) e la ViaCap. Angelo Amendolia (già Via Bene-fizio), dove iniziava l'abitato di Pace In-feriore. P. Giovanni Parisi, nel libro Dal

Nauloco al feudo di Trinisi (p. 146), so-stiene invece che il simulacro “era un

tempo collocato nella piazza antistante

all'attuale Municipio”.q

nare la chitarra. I suoi idoli sono i Pooh.E' felicissima di essere stata inserita inuna squadra di pallavolo ed è orgogliosadi sapere fare la “schiacciata”. Lara haun bisogno “fisico” di stare insieme aglialtri. C'è forse qualcuno che non ha anco-ra ricevuto il suo abbraccio all'uscita del-la Messa, la domenica? E' simpatica,affettuosa, educata, sensibile, pronta afare amicizia con chiunque. Ha un entu-siasmo trascinante. E' buona oltre misu-ra.

Lara non ha soltanto un cromosomain più. Forse ha anche un cuore in più.q

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ADDIO, NINO CRIMI, POETA DELLANOSTRA TERRA

(o, se preferisci, poeta e basta)

di Giuseppe Capilli

Così, te ne sei andato. Mi hanno dato il giornale e holetto di te “sull'ultimo crinale ...” arrancare, aggrap-pando “le vertigini alla nera pietra di lava”. Mi han-no dato i tuoi “pensieri mobili”, “i pensieri liberati

dal tempo, dalla fine...”Come è stato facile scrivere della tua poesia, quanto mi sor-

reggeva la certezza che le mie parole, attraverso i tuoi occhi, sa-rebbero giunte fino alla mente e tu potevi apprezzarne lasincerità o respingerne l'artifizio. Ora, ogni mia parola apparevana e forse anche inopportuna.

Si perde nell'aria, diventa niente; tutte le cose diventanoniente quando “ al mucchio già falciato i nostri corpi accostia-mo ”. Vedi, mi prendo già delle licenze: non è con questa intesache un giorno Tu scrivesti questo verso. Tu parlavi allora di“vera stagione” di “sincere speranze” e tuttavia io vi leggo ilpreannunzio di una disperazione non rassegnata.

E poi, cosa dovrei scrivere io della tua poesia? Di te, dellatua poesia, altri hanno scritto, assai più importanti di me; criticiveri, esperti di letteratura. Io sono soltanto un uomo del tuo pae-se e scrivo solo di “Nino Crimi” uomo del mio paese. La tuapoesia... in essa cerco di riconoscermi e niente altro. Perciò an-che i miei diventano “pensieri mobili” e posso incedere, liberoe discreto senza il timore del tuo giudizio, senza la preoccupa-zione di poterti offendere.

Nonostante tu non ci sia, mentre invece la tua poesia è quisul mio tavolo, impressa sulle pagine bianche che tu hai voluto,io sento che è più agevole parlare con te che con la tua poesia.Non lo so perché, ma è così. O, forse, lo so perché.

Ho dovuto pensare a lungo, prima di scrivere ancora, per te;e, come l'ultima volta ti ho immaginato bambino, questa volta tiho immaginato adulto, impegnato con tutte le tue forze in quel-la che sarebbe stata la tua ultima battaglia, quella decisiva. Havinto il cancro, il maledetto cancro; ed è un terribile sconforto ilpensiero che la vita dell'uomo sia un susseguirsi di battaglie, al-cune vinte, molte perdute, in attesa che arrivi lo scontro finale,iniquo, impari, perché si sa già che l'uomo ne verrà fuori vinto,vinto per sempre.

Mi sono chiesto se, quando intorno a te c'era soltanto il tuodolore, ti abbia dato una qualche forza la tua poesia. Mi sonochiesto se siano passati, in quei momenti, per la tua mente edunque davanti agli occhi tuoi, i cieli azzurri e tersi della tua in-fanzia, le colline di Pace del Mela, le lavandaie, le vendemmia-

trici, i boschi dei Nebrodi attorno a Naso, gli amici e le cittàin cui si è alzato il tuo canto, Messina, Firenze, Milano, Ve-nezia... e se per questo almeno per un po' tu abbia sentito piùlontano il presagio che incombeva su di te . Mi sono ancorachiesto se invece, insieme con te, non moriva piano pianoanche la tua poesia e, a volte, se solo lei, la poesia, pure natadalla tua sofferenza, ora, per la tua ultima sofferenza restas-se estranea, indifferente, oppure lontana ma indenne comepietra scolpita.

E il tuo dolore, in questo caso, lo sentivo più vicino epalpitante. Vi riconoscevo il dolore di tanti altri che si sonoconfrontati con lo stesso ineludibile destino e mai avevanoscritto una poesia, ma essi stessi erano poesia, la sublimepoesia della “dolcezza del vivere” che la morte piegava evinceva.

Sì, caro Nino, poeta della mia terra, quando la nostraparte è finita, finisce anche tutto quello che noi abbiamo fat-to, finisce la poesia della nostra vita, finisce la poesia. Fac-ciamo tutto per un bisogno di immortalità, ma niente cisopravvive per sempre; le cose che noi facciamo, compresal'arte e la poesia, possono vivere, ammesso che vivano, soloun po' più a lungo di noi, ma prima o poi finiranno. Arriveràil tempo nel quale nessuno saprà più chi siano mai statiOmero, Saffo o Virgilio e già oggi molti non lo sanno. E'dura questa! Forse non è neanche così, ma è il mio pensiero.Tuttavia noi non dobbiamo stancarci di cercarla l'immorta-lità, ognuno con i propri strumenti, per la propria strada.

C'è Qualcuno contro cui nulla può la morte, nulla può ilcancro maledetto, Qualcuno nel quale si stempera e si subli-ma tutta la poesia della vita, tutto il suo mistero. Ma chedico io a te, Nino, di queste cose? Tu hai già visto; tu sai.

Tu Lo hai riconosciuto nella tua ricerca di immortalitàed Egli ti ha dato la mano, ti ha incontrato nel tuo cammino ete l'ha data la Sua immortalità con l'amore con cui la conce-de a tutti, a chiunque si metta in cammino per cercarlo, perincontrarlo.

Per questo, caro Nino Crimi, poeta della mia terra, noiconserveremo gelosamente ogni testimonianza del tuocammino e della tua ricerca.

Per questo, caro Nino Crimi, poeta da me mai incontratoma conosciuto solo attraverso la poesia, lascia che io ti salu-ti in questo modo: Addio, amico.q

”Io volerò col vento della serasopra i solchi chiusile genti addormentatemute tranquille in pace.Io volerò col vento della serae con la luce nuovaaltra mattina”.

Nino Crimi

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I VANGELIITINERARI DI FEDE

Chiamati a seguire Gesù, ci poniamo in ascolto della sua parola di vita

di fr. Egidio Palumbo,carmelitano

Il Vangelo che quest'annoascolteremo nella Liturgiadella domenica sarà il Vange-lo secondo Luca. L'anno

scorso abbiamo ascoltato il Vangelo se-condo Marco, l'altro anno ancora quellosecondo Matteo. Del Vangelo secondoGiovanni ascolteremo solo poche paginein alcune domeniche dell'anno.

Ma prima di introdurci a Luca, misembra doveroso fare una premessa par-tendo dalle seguenti domande: perchéleggere i Vangeli? E perché leggerli tuttie quattro? Non è sufficiente leggerneuno solo, e magari uno che li riassumatutti insieme?

Perché leggere i Vangeli? I Vangelinon sono libri storici; diciamo come queilibri che raccontano e spiegano la storiadell'Impero Romano o la storia del Re-gno delle Due Sicilie; neppure sono deiromanzi “strappa-lacrime” o libri di fa-vole per bambini. I Vangeli, invece, sonol'annuncio di una Buona Notizia (questoè il significato della parola “vangelo”)per l'umanità, vale a dire: la venuta e la

manifestazione di Dio nella persona sto-

rica di Gesù di Nazaret. E che Dio si siamanifestato in Gesù non lo prova nessu-na “carta bollata” o “registro comunale”o altro documento simile, ma soltanto latestimonianza dei suoi discepoli e disce-pole, resa da questi dopo la morte e la ri-surrezione di Gesù, i quali, assumendo lostile di vita del Maestro di Nazaret, han-no visto cambiata in meglio la loro esi-stenza e quella di tanti altri, sia dal puntodi vista umano che di fede. Così leggia-mo nella prima lettera dell'apostolo Gio-vanni: “Ciò che noi abbiamo udito, ciòche noi abbiamo veduto con i nostri oc-chi, ciò che noi abbiamo contemplato eciò che le nostre mani hanno toccato, os-sia il Verbo della vita ..., noi lo annunzia-mo a voi, perché anche voi siate incomunione con noi. La nostra comunio-ne è col Padre e col Figlio suo Gesù Cri-sto” (1 Gv 1,1-3).

Attirati da questa testimonianza,molti iniziarono a vivere le scelte e i va-lori vissuti da Gesù, attualizzandoli nelleloro particolari situazioni di vita. Attor-no a questa memoria-attualizzazione diGesù - celebrata nel Battesimo e nell'Eu-caristia, e vissuta con impegno e faticanella vita di tutti i giorni - si formarono leprime comunità cristiane: a Gerusalem-me, ad Antiochia di Siria; in seguito,presso altre località: in Grecia, in parti-colare nelle città di Tessalonica, Corinto,Atene e Filippi; in Asia Minore, in parti-colare nelle regioni della Galazia e nellecittà di Efeso e Colossi; poi in Italia, inparticolare a Roma, forse anche a Siracu-sa, Reggio Calabria e Napoli; infine inSpagna. In pochi anni la Buona Notizia

di Gesù uscì dai confini della Palestina,si irradiò verso altre regioni e incontròaltre mentalità e culture.

Col passar del tempo, all'interno diqueste comunità si sentì il bisogno di ap-

profondire in maniera più sistematica lostile di vita di Gesù e di testimoniarlo conmaggiore impegno. Tutto questo chiede-va un lavoro concreto di scrittura che ri-portasse le parole e i gesti di Gesù, cosìcome li avevano tramandati i suoi disce-poli, però non come se fossero un sem-plice ricordo del passato, bensìattualizzati, cioè resi vivi dal confronto

con le esigenze e i problemi che manmano si presentavano a livello persona-le, familiare e comunitario. Nacquerocosì i Vangeli.

Per la profondità dei contenuti, per laessenzialità del loro modo di spiegare edi narrare senza cedere a fantasie e spet-tacolarità, questi scritti furono ricono-sciuti come ispirati. Essere ispiratisignifica due cose: primo, che questiscritti sono il frutto dell'azione dello Spi-

rito Santo che comunica a noi, attraversole parole degli uomini, la vera Parola diDio; secondo, che questi scritti, ogni vol-ta che li leggiamo nella fede, cioè comeParola di Dio, comunicano lo Spirito

Santo per la rigenerazione della nostravita umana e cristiana.

Ricordiamo ciò che di Gesù scrivel'apostolo Giovanni nel suo vangelo: “E'lo Spirito che dà la vita, la carne non gio-va a nulla; le parole che vi ho dette sonospirito e vita” (Gv 6,63), cioè le parole diGesù trasmesse nel vangelo non sonosemplicemente parole umane (“carne”),ma Parola di Dio che comunica lo Spiritoper un'autentica rinascita dell'uomo(“spirito e vita”).

Perché quattro Vangeli? Veniamoora a rispondere all'altra domanda inizia-le. Da quanto si è detto dovrebbe risulta-re chiaro che i Vangeli contengono sia latestimonianza della vita di Gesù traman-data dai suoi discepoli, sia alcuni accen-ni alla vita delle prime comunitàcristiane che hanno accolto e attualizza-to quella testimonianza.

Riguardo al mistero di Gesù, tutto ilNuovo Testamento attesta la sua imper-

scrutabile e inesauribile ricchezza. Oraè chiaro che ogni discepolo ha potuto co-gliere e comunicare solo alcuni aspetti

dell'esperienza di Gesù, Figlio di Dio eSignore della storia. Ecco cosa scriveGiovanni alla conclusione del suo van-gelo: “Vi sono ancora molte altre cosecompiute da Gesù che, se fossero scritteuna per una, penso che il mondo stessonon basterebbe a contenere i libri che sidovrebbero scrivere” (Gv 21, 25). Per

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11que sta ra gio ne si son do vu ti scri ve re benquat tro Van ge li e non uno solo. E nel laplu ra li tà dei quat tro Van ge li la Chie sa hari co no sciu to l'an nun cio vero e fe de le diGesù Cri sto, uni co Sal va to re del mon do.

Leg gen do i quat tro Van ge li, di ognu -no pos sia mo co glie re le par ti co la ri tà, le“note do mi nan ti”, l'an nun cio di uno opiù aspet ti del mi ste ro di Cri sto, la pro -po sta di un iti ne ra rio di fede per la co mu -ni tà cri stia na.

In fat ti, il Van ge lo se con do Mar co èun te sto adat to per ini zia re ad un cam mi -no di co no scen za di Gesù Mes sia, Fi gliodel l'uo mo e Fi glio di Dio, ve nu to tra noinel se gno de bo lez za. Mar co scri ve neg lianni tra il 65 e il 70 dopo Cri sto per la co -mu ni tà cri stia na di Roma, co mu ni tà for -ma ta pre va len te men te da pa ga ni dicul tu ra gre co- ro ma na con ver ti ti al cri -stia ne si mo. Mar co non è un te sti mo neocu la re del le pa ro le e dei ge sti di Gesù,ma un col la bo ra to re del l'evan ge liz za zio -ne di Pao lo e di Pie tro; in par ti co la resem bra che Mar co ab bia tra smes so ciòche Pie tro pre di cò a Roma.

Il Van ge lo se con do Mat teo è un te stoadat to è un te sto adat to per ap pro fon di rel'iden ti tà del la Chie sa, così come l'havo lu ta Gesù: una co mu ni tà di fra tel li.Mat teo, che è un te sti mo ne ocu la re diGesù, scri ve neg li anni fra il 70 e l'80dopo Cri sto per le co mu ni tà giu deo-cri -stia ne (cioè giu dei con ver ti ti al cri stia ne -si mo) del la Si ria.

Il Van ge lo se con do Luca è un te stoadat to per ap pro fon di re la Chie sa incam mi no nel la sto ria de gli uo mi ni, uncam mi no da per cor re re sot to l'im pul sodel lo Spi ri to San to e la for za del la Pa ro la di Dio. Luca, che non è un te sti mo neocu la re di Gesù ma un col la bo ra to re del -l'evan ge liz za zio ne di Pao lo, scri ve neg lianni tra l'80 e l'85 per le co mu ni tà cri stia -ne del la Gre cia, co mu ni tà for ma te pre -va len te men te da pa ga ni di cul tu ra gre cacon ver ti ti al cri stia ne si mo.

Il Van ge lo se con do Gio van ni è un te -sto adat to per aiu ta re a cre sce re comecri stia ni adul ti e ma tu ri nel l'Amo re;Amo re non pos ses si vo, ma Amo re che sidona per l'al tro. Gio van ni, che è un te sti -mo ne ocu la re di Gesù, scri ve neg li annitra il 90 e il 96 dopo Cri sto.

Dopo que ste pre mes se, che han vo lu -to pre di spor re ad una let tu ra per so na le eco mu ni ta ria dei Van ge li, of fri re mo al cu -ne in di ca zio ni in tro dut ti ve per il Van ge -lo se con do Luca. Un im pe gno per ilpros si mo ar ti co lo.q

Ri cor di, poe sia, invocazionedi An to nel la Li pa ri

Vedo scor re re, len ta men te, da -van ti ai miei oc chi i vol ti dichi mi sta in tor no, dei fra tel liche mi sie do no ac can to nel

ban co di un luo go sa cro.E' una se ra ta cal da, as sai stra na per

un fine di cem bre, vedo luci scin til la re,co lo ri, ba loc chi e fili do ra ti.

Mi guar do in tor no alla ri cer ca diodo ri e sa po ri d'un tem po.

Cer co i fi chi sec chi, cer co quel la se -re ni tà di noi fan ciul li ac can to “o fu cu la -ru” , e poi le bat ta glie di noc cio li ne,... el'odo re del fuo co, il suo scop piet ta re al -le gro e gioio so.

Vò cer can do il sor ri so, il can do re,l'in ge nui tà di quel tem po an da to.

E poi la mez za not te, il son no di noipic co li, e il bam bi nel lo den tro quel pre -se pe dove ogni pa sto rel lo ti rac con ta unasto ria ed ecco li puoi sen ti re gli an gio lidel cie lo che nar ra no la glo ria di Dio.

E mi ri tro vo qui, die tro ve tri ne or na te a fe sta, odo ri di pro fu mi eso ti ci, ma ni fe -sti di va can ze al sole per ab bron zar si an -che d'in ver no, e poi ve sti ti, per li ne ena stri ni.

Ora mi sen to stan ca. Il do lo re ha in ci so i sol chi ap pe na

sot to gli oc chi, e poi il su do re e la fa ti camen tre pia no pog gio i pie di lun go la stra -da. Nel do lo re, na sce un lu cer ni no te nue. Dice Isaia: “Giu bi la te o cie li; ral le gra tio ter ra gri da te di gioia o mon ti, per ché ilSi gno re con so la il suo po po lo ed ha pie -tà dei suoi mi se ri” (49, 13).

Poso ap pe na lo sguar do su quel pic -co lo es se re par to ri to nel fie no, men trefuo ri il fred do sca te na il suo fu ro re ed ilsuo vol to mi com muo ve. L'an ge lo ras si -cu ra il cuo re di chi tre ma, di chi ha pau ra: “Non te me te, ecco vi an nun zio unagran de gioia, oggi è nato il Sal va to re”.

Il mio cuo re vuo le in nal zar si a te omio Si gno re, per ché tu sei la mia con so -la zio ne, il mio ri pa ro, la mia sal vez za, lamia gioia. Il Si gno re è con me, è den trodi me, pos so sen ti re il suo can to.

Ti of fro o Dio la mia so li tu di ne, ilmio pian to, la mia an go scia e tu mi da raila gioia.

Io pos so dan za re il tuo amo re per me,per ché oggi il con ta di no ha rac col to ilsuo frut to, per ché una ma dre ha par to ri to

e pian ti di gioia ri e sco ad udi re.Com pa gni di stra da, vi ci ni di ban co,

gen te sco no sciu ta e fra tel li nel l'ani ma, la fe li ci tà è nel vo stro spi ri to.

Come può quel Dio che si fa un pez -zet to di pane af fin ché non ab bia te piùfame, che si fa vino pro fu ma to af fin chénon ab bia te più sete, come può que stoDio amo re, sop por ta re la vo stra tri stez -za, la vo stra sof fe ren za?

Vo stro pa dre, vo stro fra tel lo che viama no, vor reb be ro che i vo stri oc chi la -cri mas se ro?

Dio è la vo stra gioia; la di scor dia, ladi vi sio ne non è ope ra del lo Spi ri to.

Dice S. Pao lo: “Lo Spi ri to è amo re,gioia, pace, pa zien za, be ne vo len za, bon -tà, fe del tà”.

Il Si gno re ci chia ma: “Ri ma ne te nelmio amo re. Vi dico que sto af fin ché lamia gioia sia in voi e la vo stra gioia siapie na”.

Il do lo re ci pro va, a vol te ci in ca te na,ci cro ci fig ge. Scri ve Gi bran: “Quan topiù a fon do il do lo re sca va nel la vo stravita tan ta più gioia po tre te con te ne re”.

For se in que ste se ra te di fe sta, pos -sia mo es ser tri sti per ché fa ce va mo pro -get ti per chis sà qua li cose, for se quelve sti to nero di vel lu to, o quel pic co loanel lo, o an co ra....

Re ste re mo tri sti an che men tre il Diodel la gioia si fa pic co lo per noi, ma nonab bia te ti mo re.

Pro va te a rin cor re re i vo stri so gni nei vi co li na sco sti di que sto gran de ba loc co, e poi li rag giun ge re te con un po' di for tu -na l'uno die tro l'al tro.

E quel gior no, ap pe na alba, men tre vi guar da te allo spec chio e li scia te il vo stroviso ap pe na sbar ba to, men tre date un po' di co lo re alle guan ce pal li de, un toc co diluce alle lab bra, vi sen ti re te for se an co ratri sti.

Può for se es ser per noi pa ro la, quelgior no, San t'Ago sti no: “Tu ci hai crea tiper te, Si gno re, e il no stro cuo re è in -quie to fin ché non ri po sa in te”.q

Au gu ri per unSan to Na ta le ‘97 dipace e di gioia!

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Il Nicodemo - Dicembre 1997 - n. 61

12L’OPINIONE

Scuolapubblica,scuolaprivata?

di Marco Pandolfo

La scuola attraversa giorni tur-bolenti per via dell’occupa-zione da parte degli studenti,la loro protesta riguarda so-

prattutto il finanziamento che lo Statofarà alle scuole private e quindi (secondogli studenti) la conseguente morte dellaPubblica istruzione.

Eravamo abituati a pensare ad unasola scuola: pubblica, uguale per tutti,all’interno della quale potessero con-frontarsi pensieri e fedi diverse. In Italialo Stato, si sa, non è sempre in condizionidi fornire i migliori servizi e sicuramentela scuola non fa eccezione. Cosa sta suc-cedendo? Una parte degli Italiani stadando vita ad una scuola conforme alleproprie idee e forse più efficiente. Il pro-blema è lo Stato deve sovvenzionare isti-tuti pubblici e privati?

La mia esperienza liceale, avendofrequentato un istituto privato, mi porta adomandare quali sono le scuole privateche hanno il diritto di essere sovvenzio-nate e quali no? Sono tutte in grado di of-frire un’istruzione adeguata ai ragazzi?

Sono domande che mi pongo e che vipongo, perché il problema della scuolaprivata è proprio questo e bisogna che ilministro Berlinguer si muova per rispon-dere a questi quesiti.

Nell’Europa in cui tutti dicono di vo-ler andare non esiste il monopolio stataledell’istruzione , mi sono rimaste impres-se le parole pronunciate da un genitore eriportate da un giornale: “Chiediamo chesia riconosciuto alle famiglie il laico di-ritto di scegliere una scuola piuttosto cheun’altra”. Nessuno si è stracciato le vestiquando il governo si è impadronitodell’informazione scolastica e dei pro-grammi che sempre più sono servili ver-so il potere, sembra invece non correttochiedere che la famiglia possa esercitareil diritto, costituzionalmente garantito,

di istruire ed edu-care i propri figli.La scuola deve es-sere vissuta incondizioni di li-bertà, libertà ge-stita dallo Statoche deve renderepossibile l’esi-stenza di più pro-getti educativi,senza pretendere

che ne esista uno statalista buono per tut-ti; libertà gestita dai privati, garantendola possibilità di scelta senza penalità eco-nomica. Il popolo italiano deve poter an-dare in Europa sperimentando anche lamaggiore libertà scolastica.

La scuola è questione professionalema anche culturale, educativa e morale.

Deve essere decisa dallo Stato o dallafamiglia?

Lo Stato rappresenta tutti ed è l’unicoche offre un punto di vista unificante del-la società. Altrimenti andremo all frantu-mazione: scuola cattolica, islamica,ebraica, anarchica, manageriale, ecc.

Chi difende la scuola privata rispon-de che lo Stato non rappresenta la societàma la maggioranza che in quel momentola controlla. Oggi c’è Berlinguer e si stu-dia la Resistenza, domani Berlusconi e sistudierà Marketing, dopodomani Bossi esi studieranno i confini della Padania.

Io rivendico il diritto di scegliere lamia istruzione in base ai principi in cuicredo. Come puoi tu, Stato, deciderequali valori insegnarmi? La libertà dipensiero e l’autonomia del soggetto pre-vale sul diritto dello Stato o questi ha ilpotere di orientare l’educazione dei cit-tadini?

Nei Paesi comunisti si adottava la pa-rola Stato=Verità Assoluta, quindi tuttoera in funzione dello Stato compresa l’i-struzione ottenendo uomini e donne in-quadrati annullando il loro aspettocritico. Noi non siamo a quei livelli mapoco ci manca, se non accettiamo unascuola alternativa che apra le conoscen-ze dei nostri ragazzi descritti semprecome un vaso da riempire di nozioni ilpiù delle volte aride e prive di progressointellettuale.

La scuola privata può servire a stimo-lare la scuola pubblica, a migliorarlasempre di più ottenendolo così una sanacompetizione che farà sicuramente in-nalzare la qualità dello studio e quindidello studente.q

L'America è veramenteun altro mondo

Studiare

all'esterodi Maria Grazia Tuttocuore

Ero già stata negli USA dueanni fa e lo shock per il cultu-ral gap è stato enorme allora.Questa volta sono venuta

preparata, anche perché era da tempo chesognavo di vivere un'esperienza comequesta e ho vissuto gli ultimi due anni diuniversità in Italia rincorrendo ciò che èdivenuto realtà oggi e facendo diventarematti un po’ tutti a casa, ma soprattuttomia madre (scusa!).

La vita nel college è solo un aspetto,tra i tanti, della realtà e della cultura ame-ricana in generale. La cultura americanaè amorfa, multietnica, è un crogiolo dirazze, religioni, pensieri, tradizioni, usi ecostumi tra i più disparati. Una culturache non è cultura così come noi usiamoquesto termine in Italia. E' difficile dacapire perché si trova di tutto: chi è trop-po ricco e chi non ha niente; chi sa tre lin-gue e chi non ne sa parlare nessuna...

Qui in New England i contrasti sonoancora più stridenti. La Pioneer Valley,zona che ospita ben 4 college tra i più ri-nomati negli States e una graduateschool, è culla di uno sfrenato liberali-smo, ma al tempo stesso si trovano lebasi del puritanesimo americano. Perquanto open-minded si può essere, al-l'inizio è difficile accettare un lifestylecosì lontano dal provincialismo di Mi-lazzo a cui io e la maggior parte dei mieicoetanei in Italia siamo un pò troppo as-suefatti. Ciò che ammiro molto nellegenti americane che sto incontrando è illoro attivismo: organizzano di tutto conimpegno e serietà e lottano veramenteper ciò che credono sia giusto. Il loro at-teggiamento mi sembrava un po’ naïf adun primo impatto, ma noi in Italia e so-prattutto in Sicilia dovremmo scrollarcida dosso quella passività che non fa maidecollare niente.

Su Mount Holyoke College non sa-pevo nulla prima di venire, ma qui misono resa conto che sono stata davverofortunata perché sto facendo un'espe-

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rienza che non avrei mai potuto fare innessun'altra parte d'Europa. Sto guada-gnando molto in pratica: io sono unaLanguage Assistant di italiano e quelloche faccio mi dà grandi soddisfazioni.Spendo molto del mio tempo davanti alcomputer e mi diverte avere il mio e-mail account, su cui arrivano fino a 25messaggi al giorno! Prima di venire erouna computer illiterate come quasi tuttigli italiani (pure quelli che pensano di sa-pere abbastanza sull'informatica), maora va molto meglio e sto addiritturaprendendo lezioni di typing. Quest'annoMHC è stato giudicato il college con ilcampus più bello d'America e il suo ran-king generale è al tredicesimo posto.Sono molto vicina a Yale in Connecticute ad Harvard in Boston MA, che sono un-dergraduate, graduate school e al tempostesso college e mi sento al centro dellaculla dell'istruzione.

La high school è solo 4 anni negliUSA e di solito finiscono il college a21/22 anni, dopo di che sono pronti per ilmodo del lavoro o per una graduateschool che offre programmi di Masterdegree (2 anni) o PHD (praticamente undottorato e altri 4 anni di studio, dopo ilquale si può insegnare a livello universi-tario).

L'istruzione è carissima qui, bastapensare che per stare un anno nel miocollege le ragazze americane paganoqualcosa come 30.000 $ (cifra che è tra lepiù alte per la retta di un college, dallaquale sono esclusi i libri e l'assicurazio-ne sanitaria: cioè altri 2.000 $ circa). Maè normale spendere così tanto per l'istru-zione e, poi, si spende e le strutture fun-zionano davvero: abbiamo computer adogni passo, senza contare che le ragazzeamericane hanno il loro nelle stanze; c'èun magnifico centro sportivo; la libreriaha più di 590.000 volumi; i laboratori

linguistici sono molto funzionali e,quando ritornerò, parlerò pure il tede-sco!

La cosa più bella e stancante è che la-voro tutto il giorno e non ho tempo perniente: 24 ore sembrano durare di menoqui! Che mi stia americanizzando? For-se...

Cos'altro? Mi manca la mia famiglia,mi mancherà non essere con loro questoNatale: abbracciare mia madre, mia so-rella, mio padre e mio nonno. Mi man-cheranno i miei amici, i miei cugini, i

miei zii, il mio parroco con quelle sueomelie così lunghe e sentirò molto fred-do, visto che qui si scende fino a 35 gradiCelsius sotto lo zero!

Buon Natale e felice anno nuovo dalMassachusetts.q

IL GRUPPO TEATRALE“ARTEMISIO” DI CATTAFI

di Caterina Italiano

Cattafi, frazione del Comunedi San Filippo del Mela, dueanni fa ha assistito all'alba diun gruppo teatrale che prende

il nome di “Artemisio” dall'omonima de-nominazione di un antico tempio dedica-to a Diana, la cui presenza è stataipotizzata in una delle campagne dellostesso paese e precisamente in contradaReilla.

Sin dalla nascita del gruppo i suoicomponenti si sono rimboccati le mani-che con l'intento di creare qualcosa di in-novativo e stimolante per gli abitanti diCattafi. Il primo esordio il gruppo “Arte-misio” l'ha avuto il 27 luglio 1996 alcampetto comunale di Cattafi con lacommedia in due atti “Per amore di Ele-

na: marchesino innamorato cerca padre

blasonato” di E. Scarpetta, arrangiata daGiuseppe Bertini e diretta da Nino Bar-tolone.

E' stato bello vedere come gli attori sisono adoperati per divertire il pubblico,ma altrettanto piacevole è stato assistere

ad un altro spettacolo nello spettacolo:ragazzi giovanissimi che accanto a gentepiù matura hanno dimostrato di possede-re ottime capacità artistiche e tanta vo-glia di cambiare la realtà sociale che licircondava.

Ma è con la stagione teatrale '97 cheil gruppo “Artemisio” ha ottenuto ungrandissimo successo. Con un'altra com-media brillante in due atti, scritta da Giu-seppe Bertini e diretta sempre da NinoBartolone, intitolata “Matrimonio sici-

liano: cu don Saru si schezza picca”, gliattori Giuseppe Bertini, Felice Aragona,Francesco Aragona, Antonino Renda,Laura Ragno, Federico Prato, GiovannaBertini, Rosaria Ruvolo, Caterina Italia-no, Franco Zullo, Giovanni Ragno, Do-menico Ragno, Salvatore Capone,Tiziana Zullo, Francesco Russo, M.T.Italiano, Carmelo Bartuccio, DomenicaBartuccio ed altri si sono esibiti in nume-rose piazze della provincia di Messina.Da Spadafora a Contrada Malapezza(“Casolare”), da Archi a Merì, da TermeVigliatore a Falcone, da San Piero Patti aBasicò, da Frazzanò a Tortorici i prota-gonisti si sono vestiti di ruoli che hannofatto ridere a crepapelle gli spettatori chenelle varie piazze andavano a vederli.Dappertutto applausi finali per sottoli-neare la bravura con la quale ogni attoreha portato a termine il proprio ruolo.Pensate infine all'entusiasmo con cui, divolta in volta, la gente che ha dato vita algruppo “Artemisio” saliva sul palco no-nostante gli innumerevoli problemi cheda persone comuni si portavano dietro eche mettevano da parte una volta entratiin scena!q

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L’infanzia da proteggeree l’ipocrisiadi Paolo Orifici

Come sempre accade, ancheper recenti fatti di cronaca, èscattata la psicosi: la caccia almostro di bambini. Sarà que-

sto, per qualche tempo potete scommet-tere, l’argomento delle nostreconversazioni. Salvo poi scoprire – ma, aparer mio, vi è davvero poco da scoprire,che il mostro è in noi. Tutti siamo mostri.

E quelli che, fingendo, si interroganosull’accaduto, finiscono con il mostraretutta l’ipocrisia di cui siamo portatori.

Perché, invece, non riflettere - seria-mente – sulla famiglia? Giorgio Rumi,sull’Osservatore Romano, ha parlatodella famiglia come una entità estrema-mente ambigua. Ma questa ambiguitàesiste? E se esiste da cosa nasce?

Vorrei poter dire che ad essere ambi-guo è il nostro tempo e con esso la socie-tà che ne è figlia. Ma un sospetto, atrocea dire il vero, mi sorge: e se fossimo noi,singolarmente, ad essere attori di tuttociò?

L’esperienza, come sempre accade,ci supporta. La soluzione di ciò che acca-de quasi sempre va ricercata in noi stessi.Noi andiamo a cercarla altrove, fuori,solo perché lì vi è più spazio, più luce.Ma non è lì che risiede. Non la trovere-mo.

Dicevamo della famiglia. Mi piacepensare la famiglia come un isola felice.Quella che vagheggio è un bene insosti-tuibile, difficilmente è possibile valutar-ne il valore, salvo poi apprezzarloquando si è messi di fronte ad eventispiacevoli. Come quello di Cicciano.

Il degrado, i problemi economici, labarbaria – propria dell’uomo – sono tutte

parti della risposta che andiamo cercan-do. Non è neanche il caso di approfondi-re la morbosità che accompagna vicendecome quella del piccolo Silvestro. Nonpossiamo parlare solo del caso criminale– che tale comunque resta e per tale vacondannato. Lo specifico, il particolare,è un qualcosa di profondamente doloro-so, triste, ma finisce, inesorabilmente,con il coprire il problema vero: la nostraapatia, indifferenza, distrazione (per-mettetemi di generalizzare, conscio diquanto sia sbagliato farlo). Non ci curia-mo più di niente, o meglio perdiamo ilnostro tempo rincorrendo il frivolo. Ilvuoto.

Chi può obiettare che le relazioniumane si stanno sempre più riducendo?Il sociale, oltre ad essere una moda ed uncavallo di battaglia buono per tutte le sta-gioni, è poca cosa.

La famiglia, non può non risentire ditutto ciò, finendo – fatalmente – con per-dere la residua parte di coesione che pos-sedeva, divenendo a tutti gli effetti unamera e vuota forma giuridica.

In casa non ci si parla più, non ci sifrequenta. Si è talmente distratti da nonprestare la minima attenzione ai proble-mi (veri) dell’infanzia e dell’adolescen-za. I bambini, i ragazzi crescono semprepiù soli, apprendono il modello di vitache vedono intorno. Indifferenti nell’in-differenza.

Non rispondiamo subito che quantosin qui detto non ci riguarda, perché an-che la nostra comunità – tutta – ha unproblema che inizia esattamente nel mo-mento in cui non si è capaci di scorgerlo,di fare autocritica.

Non meravigliamoci di Cicciano,non cediamo alla caccia al mostro (o allestreghe, piuttosto), capiamo ciò di cuiabbiamo realmente bisogno.

La solidarietà, la solidarietà creativae positiva, l’amicizia, la comunione.Facciamo in modo che significhino an-cora qualcosa e non siano solo delle vuo-te frasi di circostanza.

Siamo noi, tutti noi, a dover crederenel cambiamento. Siamo noi quelli chedobbiamo combattere il mostro che tuttiabbiamo dentro.q

I FATTI

NOSTRIA cura di Franco Biviano

Dallo scorso 14 novembre, a conclusione del-le operazioni di fusione, la Banca di Credito Co-operativo di Pace del Mela è diventata “Banca diCredito Cooperativo La Riscossa di Regalbuto -Agenzia di Pace del Mela”, la cui direzione è stataaffidata al Preposto, rag. Filippo La Manna. Nelcorso di un incontro chiarificatore, tenutosi il 30novembre nei locali dell'Auditorium comunale, iresponsabili (dott. Giuseppe Monaco, Presidente,dott. Salvatore Marraro, Vice Presidente,dott.Giuseppe Calabrese, Direttore Generale)hanno illustrato ai soci la filosofia e i programmi fu-turi dell'istituto di credito ennese, nato nel 1922 epresente attualmente in 9 Comuni (Regalbuto,Catenanuova, Gagliano Castelferrato, Agira, Nis-soria, Randazzo, Troina, Assoro e Pace delMela). Le novità per i soci pacesi sono veramentetante: nessuna spesa sul pagamento delle uten-ze, spese di bonifico ridotte del 50%, scopertura diconto corrente al tasso del 9,25%, accesso al cre-dito a condizioni di particolare favore (uguali pertutti i soci), mutuo per l'acquisto o costruzione del-la prima casa al tasso fisso dell'8,50%. I soci chelo richiedono potranno avere, inoltre, una polizzasanitaria che copre le spese sostenute per inter-venti chirurgici presso qualsiasi struttura sanitariadel globo (la banca si accolla il 50% del premio),borse di studio per i figli dei soci che frequentanole scuole di ogni livello ottenendo risultati di alto li-vello, prestiti al tasso del 4% per l'acquisto di libridi testo per le scuole superiori e per l'università.Infine un'anticipazione: dalla fine di dicembre isoci titolari di reddito da lavoro dipendente potran-no usufruire di un credito al consumo a tasso parti-colarmente agevolato.

***Da alcuni mesi la piazza Stazione (nostro

biglietto da visita per chi arriva in treno) si presen-ta in uno stato veramente pietoso (priva di pavi-mentazione e ingombra con materiale edile). Idisagi diventano particolarmente notevoli nellegiornate di pioggia, allorché la piazza diventa unpantano e il suo attraversamento, mancandoqualsiasi passerella, diventa un'operazione anfi-bia che mette a rischio l'abbigliamento e la stessaincolumità dei viaggiatori in arrivo e in partenza. Inattesa della pavimentazione, ancora non realizza-ta nel momento in cui andiamo in stampa, consi-gliamo agli utenti della nostra stazione ferroviariadi munirsi di canotti gonfiabili.

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Il Nicodemo - Dicembre 1997 - n. 61

15***La Giunta Municipale, con delibera del

10.12.97, ha impegnato la somma di£.37.700.000 per contributi alle società sportivepacesi per l'anno 1997. Ecco gli importi assegnatialle singole associazioni.

Società sportiva“Trinisi”

10.200.000

A s s o c i a z i o n esportiva “Il Faro”

10.200.000

Società sportiva“Blue Stars”

2.000.000

A s s o c i a z i o n esportiva ricreativa “Tir-senia”

4.000.000

A.S. “SIR FootballClub”

8.000.000

Sezione Prov.Caccia Pesca Ambien-te

800.000

Ciclismo G.S. Pa-gano Pietro

800.000

***Salvo imprevisti dell'ultimo momento, nel

prossimo mese di gennaio si svolgeranno le gareper l'appalto di alcune importanti opere pubblicheda realizzare nel nostro Comune. Ecco il calenda-rio nel dettaglio.

13.1.98 - Fornitura di un autocompattatore da27 mc. per la raccolta e losmaltimento dei rifiuti solidi urbani. (base d'asta£.280.000.000).

20.1.98 - Potenziamento acquedotto esterno.I lotto (base d'asta £. 700.000.000).

22.1.98 - Lavori di ristrutturazione eampliamento cimitero comunale. I lotto.(base d'asta £ 514.794.674).

27.1.98 - Lavori di ristrutturazione e comple-tamento centro diurno per anziani (base d'asta £.345.000.000).

***E' stata completata la prima fase dei lavori di

sistemazione dell'Archivio Comunale. Tutti gli attiesistenti sono stati ordinati cronologicamente ecollocati in appositi scaffali nelle sedi di PalazzoCaprì (Archivio storico), Via A. Gramsci (Archiviodi deposito) e Palazzo Municipale (Archivio cor-rente). In futuro si provvederà all'integrazione del-le delibere mancanti e alla catalogazione di tutti idocumenti. Tenuto conto che gli archivi di moltiComuni della nostra provincia, contenenti atti pre-ziosissimi non reperibili altrove, si trovano in statodi completo abbandono (e talvolta esposti all'umi-dità e alle intemperie), merita senz'altro un vivoplauso l'operato dei nostri amministratori a van-taggio della conservazione della memoria storicacollettiva.q

A MILAZZO

L’ultima mostra

di CARLO ALOY

di Marcello Espro

Confesso di essermi alquantosorpreso allorché il nostroamico Aloy, che molti cono-scono come fotografo profes-

sionista fra i più estrosi e originali dellanostra provincia (oltre che tecnicamenteimpeccabile), mi ha invitato ad una mo-stra di pittura a Milazzo, nella quale egliesponeva alcune delle sue opere più si-gnificative.

Eppure a ben riflettere e ben cono-scendo il soggetto e la sua multiforme edimprevedibile genialità artistica, questomio stupore era del tutto fuori luogo eanzi quasi offensivo: ci si sarebbe sem-mai dovuti meravigliare del contrario.Un vero artista infatti, e Carlo Aloi è si-curamente fra questi, prima ancora diservirsi di un qualsiasi strumento espres-sivo, è artista “dentro”, nell'animo. E' unuomo, cioè, che ha ricevuto da madre na-tura e coltiva dentro di sé in misura più omeno elevata il senso del bello, medianteil quale riesce ad osservare gli uomini ele cose con occhio più profondo e ispira-to, ad illuminarli della sua ricchezza in-teriore e a farli uscire dalla loroapparente insignificanza e banalità, di-svelandone la bellezza nascosta e quasicontinuando l'opera creatrice diversa.Che poi si serva di questo o di quellostrumento per portare ad espressione ciòche l'occhio veggente gli ispira, diventasecondario, e spesso succede che eglinon sappia resistere alla tentazione dispaziare dall'una all'altra forma d'arte,anche se non è ovviamente possibile rag-giungere in ciascuna di esse una elevataperfezione.

In una piovosa serata di sabato, vin-cendo la mia naturale pigrizia, sono cosìpartito alla volta di Milazzo in compa-gnia di alcuni amici per scoprire questonuovo (per me) aspetto della personalitàartistica del nostro amico. Non essendoun critico d'arte, non posso avere la pre-sunzione di dare una valutazione artisti-ca dei quadri esposti nei locali (piuttostoangusti) della mostra: è un compito chelascio volentieri agli addetti del mestie-re. Per quanto mi riguarda posso dire diavere trascorso un'ora piacevolissima in

compagnia dell'Autore e dei suoi quadri,e di non essermi affatto pentito di questapasseggiata. Voglio cercare tuttavia diesprimere da profano e senza pretese ungiudizio personale circa i contenuti te-matici espressi nelle varie opere e le im-pressioni su di me suscitate,aggiungendo fra parentesi che anche laqualità delle opere esposte raggiunge li-velli assai superiori a quello che miaspettassi e rivela una mano che non ècerto quella di un dilettante.

Se dovessi scegliere un titolo per lamostra per quanto concerne l'opera del-l'Aloi (l'esposizione comprendeva anchele opere di Carmelo Raffa), opterei per ilcelebre motto paolino “omnia mundamundis” (tutto è puro per i puri) o forse(se mi si scusa il dissacrante confronto)un qualche titolo nietzschiano. C'è neiquadri dell'Aloi una nostalgia di purez-za, un ardente bisogno di libertà e di veri-tà, la ricerca di un paradiso perduto, chel'Autore pensa di ritrovare mediante unritorno allo stato innocente di natura,nella riscoperta del puro elemento dioni-siaco (di nietzschiana memoria) comeforza liberatoria di una umanità impri-gionata nei ceppi di un falso moralismo ecorrotta dalla menzogna borghese di unintellettualismo astratto e del perbeni-smo ipocrita ed alienante, inaridita e resatriste dalla moderna idolatria tecnologi-ca, dalla pseudoscienza e divorata dalconsumismo e dall'avidità di possesso.Ciò si evidenzia, oltre che nei volti dipersonaggi ritratti e nei soggetti, nell'usoconsapevole di materiali poveri e genial-mente riciclati (ad esempio, vecchi fondidi botte) e nel motivo ricorrente del gi-glio, come simbolo di purezza e di sem-plicità. Il tutto trova la sintesi nell'ultimogrande quadro, messo, certamente non acaso, proprio in fondo alle sale, in cuil'Autore, comodamente sdraiato, in at-teggiamento di olimpica serenità, si of-fre completamente nudo all'occhio delvisitatore.

Mi piacerebbe approfondire conl'Autore e amico queste tematiche che ri-velano tutta la nobiltà e il dramma diun'anima in cerca di se stessa e della veri-tà in un mondo che ci rende sempre piùaridi e schiavi di ogni conformismo. For-se avremmo delle divergenze circa la viada seguire, ma non su una: la via delBELLO, che è quella appunto che seguo-no gli artisti e che dovremmo seguire tut-ti, perché LA BELLEZZA SALVERA' IL

MONDO (F. Dostoevskij).q

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PACE DEL MELAUN PAESE“BELLOSENZ'ANIMA”

La tradizione democratica è il forte

del nostro paese, ma non vorremmo che

l'eccessiva democrazia e tolleranza si

fosse trasformata in debolezza e lassi-

smo.

di Carmelo Pagano

Già da qualche mese si succedo-no a Pace del Mela gli incontriufficiosi per preparare le coali-zioni per le elezioni amministra-

tive del prossimo anno ma, purtroppo, al di làdelle risultanze di tali incontri e delle personeche prenderanno parte in qualità di candidatialla competizione, non sarà di certo facilesconfiggere quel senso di disagio e di man-cata realizzazione che ammanta le nostrestrade e le nostre piazze. Disagio che vienetrasmesso alle giovani generazioni che nonhanno parecchi personaggi vicini e concreticon i quali confrontarsi e crescere.

Forse ciò che ci dobbiamo rimproveraredi più è il non essere riusciti a coinvolgeremaggiormente le forze fresche rappresenta-te dalle nuove generazioni; non c'è ricambio,a tutti i livelli, e non perché ci sia preclusioneper l'ingresso di tali forze fresche sia nel set-tore amministrativo sia negli altri settori so-ciali e produttivi che potrebbero essere offertidal nostro paese ma perché queste forze fre-sche o non ci sono o, se vengono cooptate, illoro impegno dura lo spazio di un mattino.

E', se volete, il solito discorso, forse unpo' noioso e palloso, scusate il termine, magià da qualche tempo il nostro è divenuto unpaese senz'anima; abbiamo perso la conno-tazione tipica del paese, ci sentiamo quasicittadini ma lasciamo che siano le personeprovenienti da altri paesi, siano essi vicini olontani, ad occuparsi delle attività economi-che principali; quasi noi non ne avessimo bi-sogno! Il risultato è stato che, cedi di qua,cedi di là, i Pacesi sono stati estromessi daigangli vitali della struttura economica delpaese e, se continuerà quest'andazzo, an-che da quelli della struttura amministrativa.

Non è un discorso campanilistico puro esemplice ma, come diceva un mio amico, è ilcuore a muovere ed a costituire il centro mo-tore di una qualsivoglia attività; la ragione ar-riva sino ad un certo punto ma la forza persmuovere, se necessario, anche le monta-gne e superare le difficoltà e gli ostacoli piùardui, viene solo dal cuore ed è quello che noi

pacesi abbiamo perso delegando l'operativi-tà alla ragione di affaristi senza scrupoli.

Il paese ha perso i suoi connotati caratte-ristici e genuini per assumere sempre piùquello di una periferia urbana con tutto il de-grado e le occasioni di perdizione che prolife-rano sulle teste dei nostri bambini.

Ricordo, pur essendo io allora ragazzo,come alla fine degli anni '60 ed all'inizio deglianni '70 Pace del Mela fosse ancora un pae-se vivo e vitale; la squadra di calcio che mili-tava con successo in prima categoriacalamitava l'attenzione di tutta la popolazio-ne ed era un formidabile centro aggregatoredi tutta la comunità. Busilacchi, ve lo ricorda-te? Era un attaccante che giocava nel Pacedel Mela e che proveniva dal Bari; quanto en-tusiasmo... quanta ammirazione negli occhidi noi giovani che sognavamo di ripetere legesta di Rundo, di Di Dio, di Orte, di Vasquez,di Grillo... chi sono questi? Erano i nostri idolidel Pace del Mela ed il nostro esempio di puli-zia. Potrebbero sembrarVi espressioni pate-tiche ma allora Pace del Mela era veramenteun paese, adesso si può più dir tale?

Il gruppo folkloristico, la compagnia tea-trale, i circoli che allora esistevano, erano tut-te espressioni di una realtà viva, intelligente,creativa. Adesso, pur essendoci qualche ini-ziativa lodevole, come il Gruppo Teatro An-ziani o la Trinisi, il più è grigiore.

Riccardo Cocciante diceva in una suacanzone di successo “Bella senz'anima”, for-se questa è l'espressione forse la più calzan-te per il nostro paese: “Bello senz'anima!”.

Eppure noi di orgoglio ne abbiamo parec-chio perché quando veniamo punti diretta-mente reagiamo, ma non lo facciamo quandoè il paese ad essere punto e mortificato dadecisioni che passano sopra le nostre teste.Quanti pacesi lavorano nella zona industrialedi Pace del Mela? Eppure il grosso del caricoinquinante lo sopportiamo noi! Quante picco-le e medie imprese commerciali presenti nelterritorio di Pace del Mela sono di pacesi?Quante imprese artigianali? Perché? Perchésiamo diventati pigri e siamo più propensi avenderci a chi viene solo per far affari senzaintegrarsi ed adoperarsi per lo sviluppo an-che della comunità locale, piuttosto che im-pegnarci in prima persona.

Storicamente, proprio per la sua partico-lare connotazione geografica, Pace del Melaè stato sempre un po' slegato ma ora siamogiunti ad un livello di disgregazione e di fran-tumazione sociale francamente preoccupan-te. La crescita e lo sviluppo anche di un solooperatore economico è la crescita di tutto ilpaese! Figuriamoci se a crescere siano tantioperatori economici, se a realizzarsi siano

tante idee, se a prosperare siano tante fami-glie, se a crescere fosse, in definitiva, tutta lacomunità.

La parrocchia, pur con tutti i suoi proble-mi logistici, forse è rimasto l'unico polo ag-gregatore; ma la mancanza di un oratorio e diuna struttura sportiva ad esso adiacente hamolto inficiato la Sua presenza fattiva vicinoalle nuove generazioni.

Pace del Mela era additato anni fa comeesempio per tutti i comuni del circondario e ditutta la provincia per le sue strutture all'avan-guardia, per la presenza di un gruppo di gio-vani preparati e creativi, per la suaprogettualità, per il suo dibattito politico sem-pre civile, a differenza di quanto avveniva inpaesi viciniori dove lo scontro fisico era la lo-gica conclusione delle diatribe oratorie, edora questi stessi paesi si vantano a ragione diessere divenuti più vivi, più creativi, più pro-gettuali di quanto non lo sia attualmente il no-stro.

Ci siamo scagliati un po' ovunque in Italiacontro il sistema dei partiti ma il risultato èstato che chiuse le sedi dei partiti non sonopiù circolate le idee, non c'è stato più con-fronto, non c'è stata più crescita e Pace delMela, avendo una lunga tradizione di presen-ze partitiche, ne ha risentito più di altri paesi.

Amministrazioni rosse, nere, bian-che...Quello che ci preme è il ritorno dellaprogettualità, del confronto con la gente, del-la creatività ed in questo noi cittadini di Pacedel Mela abbiamo il compito gravoso di assi-stere gli amministratori con proposte e con lapartecipazione assidua alla vita amministra-tiva perché il paese è nostro e viverci bene èun nostro diritto ma anche un nostro dovereverso noi stessi e verso i nostri figli.

Non sono necessari sforzi sovrumani maun miglioramento di quanto già esiste senzaiperboli e voli pindarici e quanto già esiste,con interventi migliorativi e funzionali e conun'adeguato sfruttamento, potrebbe essereun formidabile volano di sviluppo di tutte leattività produttive.

Forse ho peccato di eccessivo campani-lismo ma l'ho fatto perché ritengo che Pacedel Mela ha tutte le potenzialità umane estrutturali per non essere, così come lo è sta-ta negli ultimi anni, terra di conquista di ope-ratori economici senza scrupoli.

La tradizione democratica è il nostro for-te, ma non vorremmo che l'eccessiva demo-crazia e tolleranza si fosse trasformata indebolezza e lassismo.

A voi politici, buone consultazioni e buonlavoro per un servizio ed un impegno richie-stoVi da tutta la comunità!

A tutti , buon Natale e felice anno nuovo!q

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