Prigioniero dei ricordi

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Racconto di Miguel Brando Matera. Creative Commons (permessa la riproduzione integrale, non a fini commerciali, e con obbligo di citare autore e provenienza del file).

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PRIGIONIERO DEI RICORDI

CAPITOLO PRIMOI

Antonio Potenza rifletteva malinconicamente, sedutodavanti all’ampia finestra del suo soggiorno di Padula. Altramonto la vista del vallo di Diano era bellissima:l’imponente mole grigia della certosa di San Lorenzocontrastava con i colori caldi e teneri dei campi coltivatie, ad ovest, gli ultimi raggi del sole davano fuoco allebianche nuvole autunnali, creando un’atmosferanostalgica. Quando il meraviglioso spettacolo si conclusecon un cielo nero che si confondeva con il buio dellemontagne, Antonio si avvicinò al caminetto per megliosistemare i ceppi accesi; ne aggiunse un altro nuovoabbastanza grande e appoggiò anche, qua e là, alcunirametti secchi per ravvivare il fuoco. Si accomodò sullasua accogliente poltrona di cuoio, fissando, comeipnotizzato, le chiare fiamme scoppiettanti profumate diresina nel buio totale della stanza, e rimase così, quasiimmobile, con gli occhi semichiusi, provando a mettereun po’ d’ordine in quel turbinio di pensieri e di ricordiche affollavano la sua mente.

Mancavano soltanto due mesi alla ormai decisapartenza per la Colombia, eppure si sentiva ancoraincerto e preoccupato. Dopo la sfortunata esperienza diNew York avrebbe preferito rimanere a lavorare inCampania, vicino alla sua famiglia, fra la sua gente.Purtroppo, dopo la sconfitta dei Borbone e l’annessionedel Sud al Regno d’Italia, la situazione economica era

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peggiorata. L’edilizia era completamente ferma, non sicostruivano nuove case e nemmeno erano in programmalavori pubblici. Per lui, che di professione faceva ilcostruttore, non si scorgevano ancora opportunità dilavoro.

A New York, era andato nel 1872 con Michelina, suamoglie. Formavano una giovanissima coppia senza figli,piena d’entusiasmo e d’ottimismo. Non partivanoall’avventura: Antonio andava a lavorare perun’importante impresa di costruzione appartenente acompaesani, di cui uno zio di Michelina era socio. ZioLuigi conosceva la sua bravura e gli aveva promesso diassumerlo, con la prospettiva di un lavoro direttivoappena fosse stato in grado di parlare la lingua e avesseimparato i metodi di lavoro americani. Infatti, pochi mesidopo la loro sistemazione in città, gli fu affidata ladirezione del lavoro d’intonacatura e delle altre finituredi una palazzina di tre piani a Brooklyn. La scelta deicolori, l’artistica sistemazione dei pavimenti, gliornamenti delle porte, degli infissi e degli interni dellestanze con originalissimi gessini di sua creazione e leesclusive bordure agli angoli dei soffitti con ghirlande efigure mitologiche, piacquero tanto da contribuire ad unainaspettata, velocissima vendita della palazzina. Si trattòdi una partenza alla grande che gli procurò notorietà edenaro per i numerosi lavori di consulenza artisticacommissionati da imprese esterne, pur rimanendo semprefedele alla ditta Alliegro, Pinto e Co. che lo aveva accoltoe aiutato. I soci dell’impresa lo ritenevano uncollaboratore prezioso per la sapiente abilità chedimostrava nel trattare e comandare i suoi dipendenti,sempre con maniere gentili e gioviali, che producevano

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risultati pratici superiori rispetto a quelli ottenuti daglialtri capimastri. Quando nascevano situazioni conflittualifra il personale e l’azienda: Antonio dimostrava grandicapacità di mediazione, riuscendo sempre a trovare lesoluzioni che conciliavano gl’interessi di tutti. Inoltre, eraassai apprezzato per la sua pazienza e bravuranell’addestrare gli operai, compito che sovrintendevapersonalmente conseguendo cospicui risparmi nei costiaziendali.

Antonio si era perfettamente integrato nellacomunità degli italiani di New York, e anche Michelinaera diventata elemento di spicco in tutte le iniziativeumanitarie promosse dalla loro parrocchia, perciò sisentivano contenti e realizzati.

Quando ricordava quei tempi Antonio s’inteneriva,come l’atleta anziano quando lucida le coppe e lemedaglie delle sue passate vittorie.

Si mosse dalla poltrona, raggiunse la vetrinetta doveconservava le bottiglie di vino buono e si versò unagenerosa dose di Marsala secco che bevve poco a poco,gustandolo intensamente. Tornò a sedersi davanti alfuoco a rievocare la malinconica conclusione di una cosìentusiasmante esperienza.

Erano trascorsi ormai cinque anni dal suo trionfalearrivo a New York quando, una cupa e fredda mattina difebbraio, due loschi individui, vestiti con grande sfarzo indoppio petto blu gessato e cappello Borsalino chiaro, sipresentarono nel cantiere e chiesero di parlare col “boss”.Qualcuno indicò Antonio che li accolse con la consuetacortesia.

“Buon giorno, mi chiamo Potenza, in cosa possoesservi utile?”

“Complimenti, signor Potenza, questo è proprio unbell’edificio” disse il più grosso dei due, guardandosi

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attorno. “Nel cartello esposto fuori sulla strada è scrittoperò, che appartiene ad Alliegro e Pinto, lei chi è?”Chiese con fare petulante

“Sono il direttore dei lavori. Vi serve qualcosa?”“Veniamo a vendervi un’assicurazione contro i danni

provocati da terzi.” Grugnì quello con la cicatrice sullabbro inferiore.

“Guardate, sono cinque anni che lavoro perl’impresa e con questa sono nove le palazzine cherifinisco e francamente non abbiamo mai avuto danni daterzi. Sinceramente, non credo che siamo interessati aquest’assicurazione,” rispose Antonio ingenuamente,senza capire cosa volessero quei figuri.

“Ti sbagli, Potenza,” aggiunse l’elegantone “tu nonhai idea di quante persone possono venire a distruggere ilvostro lavoro, così…” E con un forte colpo a mano apertafece cadere il provvisorio sostegno di una scala incostruzione.

“Ma che sta facendo?” Scattò Antonio adirato per ildanno subito e senza pensarci su, lo afferrò per il braccioe lo spinse fuori, da dove era entrato.

L’altro individuo centrò lo zigomo destro delgiovane con una sberla micidiale, mentre il primo,girandosi di scatto, gli affondò due forti pugni allostomaco e al fegato che lo buttarono di schianto al suolovomitando e senza fiato. Prima di andarsene gl’intimò avoce alta, in modo che fosse udito dal personale. “Tu nonsai trattare con la gente, sei proprio un maleducato.Adesso però avrai capito come stanno le cose. No?Vogliamo parlare con il vero boss. Torniamo domani allastessa ora. Hai capito? Riferisci a chi di dovere” conclusequello più grosso, mentre spolverava con un fazzoletto leghette che coprivano le sue scarpe e si girarono perandare via.

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Dopo tanti anni ancora ricordava con furorel’accaduto, e conservava, come tatuato nel suo spirito,l’umiliazione che gli procurò la reazione dell’ingegnerPinto, quando Antonio gli ebbe ripetuto una ad una leparole dei due loschi individui:

“Antò, ma tu allora sei tre volte buono, non avevicapito chi fossero quei mascalzoni? In che razza dimondo vivi tu? Quelli erano della “mano nera”, sonopericolosi assai. E, mò? Mò devo avvicinare qualcunoimportante. E tu, fammi il santo piacere di non fartivedere nel cantiere finché non abbiamo risolto il caso. E,mi raccomando, niente denunzie alla polizia.”

Qualche giorno dopo, Alliegro andò a visitareAntonio che era ancora a letto con il fegato moltodolorante a causa del forte pugno ricevuto.Dall’espressione del viso si capiva che dovevacomunicare una notizia non lieta al povero malato.Michelina non nascondeva l’impazienza: “Ingegnere, cidica, ha risolto il problema?”

“Ci costa un bel po’, ma forse ci lasceranno in pace.Purtroppo però pretendono che tu te ne vada da NewYork e in fretta pure.”

“Ma, che c’entro io? Non capisco.” ProtestòAntonio.

“Antò, chill’ sò fetient’ della peggiore risma e nonperdonano. Il massimo che mi hanno concesso è che tiaccordavano un mese di tempo per partire. E credimi, tihanno fatto un trattamento di favore: senzal’intercessione di un importante “paesano” ti avrebberofatto la festa. Per questioni di soldi non ti preoccupare,provvederemo a liquidarti assai generosamente. Midispiace per te…e per noi, anche se nessuno èinsostituibile.” Disse Alliegro, ferendolo gravemente

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Anche Michelina rincarò la dose, accusandolo diaver voluto fare l’eroe, invece di evitare d’intervenire infaccende che erano di pertinenza esclusiva dei titolaridell’azienda.

Erano arrivati in due e, con la morte nel cuore esenza programmi per il futuro, ripartivano in quattro(poiché nel frattempo gli erano nati Pasquale e Michele).Il gruzzolo che avevano risparmiato, sommato allaliquidazione ricevuta, gli concedeva una concretatranquillità economica. Ma, per quanto tempo?

Della Colombia invece non sapeva assolutamenteniente. Partiva, come si dice nel gioco del poker, “albuio”. Era a conoscenza soltanto che molti compaesaniavevano costruito fortune assai cospicue in un temporelativamente breve. Un esempio fra tanti, lo zio di MarioFiero, che in soli sedici anni, nella cittadina di SanJacobo, a circa duecento chilometri da Cartagena, avevaaccumulato un patrimonio di circa ottomila capi dibestiame e due poderi estesi quasi quanto una provinciaitaliana. Interessante, no?

Mario aveva finalmente deciso di partire percollaborare con suo zio, il quale non avendo figli maschi,da molto tempo lo invogliava ad andarci.

“Antò, vuoi leggere cosa scrive zio Alfonso? Sentiqua: <…questo è un paese certamente arretrato, ma cheoffre grandissime opportunità per tutti coloro checonoscono bene un mestiere, sono ambiziosi e tenaci.>Hai sentito? Ti ha descritto! Chi meglio di te? E poicontinua: < la gente di qua è molto allegra e spensierata eattualmente sta emergendo una classe sociale benestante,che rifiuta di continuare a vivere nelle case con i tetti dipaglia e che aspira a belle abitazioni moderne, con tuttele comodità. Ci vorrebbero individui di notevole

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esperienza, e con idee nuove… I cittadini di questi paesi,oltre tutto, sono vanitosi e muoiono dalla voglia diostentare la propria ricchezza.> Hai capito, Antò? E’un’opportunità soprattutto per te. San Jacobo sarà, comedice lo zio, arretrato, ma noi non viviamo mica a Parigi oa Londra. Padula è un piccolo paese che non offre niente.Questa è la morte civile. Tutto “pare brutto”, tutto è “chedirà la gente”, tutto è proibito. Il massimo divertimento èla Messa cantata. Rotto per rotto, è meglio scegliere unluogo dove si fanno i soldi. Non ti pare? Antò, sai chedicono quelli che sono stati là? Che ci sono femminebellissime di razza creola, che non hanno tutte le fisimedelle figliole di qua; forse a te questo non interessa,perché sei sposato e padre di figli, ma a me, sì.”

Dopo tante pressioni e senza altre alternative,Antonio decise di partire insieme all’amico, conscio delledifficoltà che sicuramente avrebbe trovato in una regionedel mondo ancora non del tutto civilizzata. Non volevaperò che anche Michelina e i suoi quattro bambinirischiassero chi sa quali difficoltà. Preferivamomentaneamente lasciarli a Padula, per chiamarlisuccessivamente, ma non prima che il suo lavoro si fosseavviato bene..

Antonio sentì qualcuno aprire la porta di casa e sidistrasse dai suoi cupi pensieri. Notò anche che, senzarendersene conto, aveva pianto e si vergognava di farsivedere così dalla moglie.

“Antonio, che fai lì al buio?” Gli chiese Michelinaentrando.” Che brutta espressione hai in faccia! E haipianto pure…dai, tesoro mio, non ti tormentare più,” glidisse mentre lo baciava sul viso, sugli occhi e sullelabbra, sedendosi sulle sue gambe, come facevanell’intimità della stanza da letto.

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“Attenta amore, che possono entrare i bambini.”Rispose lui turbato. Era sempre stato molto pudicodavanti ai figli.

“E va bene, non ti preoccupare, non ti bacio più. Poinon dire che io sono freddina…” lo canzonò Michelina, econtinuò: “guarda cosa ti manda mia madre: duebellissime soppressate, di quelle ben stagionate. Leporterai in Colombia e te le mangerai, due fettine allavolta, così durano di più e ogni volta ti ricorderai di noi.”Volle scherzare, ma fu tradita da calde lacrime chesgorgavano copiose dai suoi bellissimi occhi neri, e simosse, come per andare in cucina.

“Vedi, tesoro? Adesso sei tu… Non te ne andare,vieni, siediti vicino a me… ma senza piangere, altrimentiqui facciamo un funerale.” E. avvicinando il proprio visoall’orecchio di lei, mormorò come confidandogli unsegreto: “Sappia la mia amabile signora che non hobisogno delle soppressate di sua madre per pensarla…Tesoro mio, io sono perdutamente innamorato di te daquando eri una bambinella con le trecce. Sei eternamentefissa nei miei pensieri.”

Si baciarono ancora, questa voltaappassionatamente, e rimasero abbracciati, senza direniente, chissà quanto tempo, inebriati dal loro amore.Nemmeno si accorsero che i due figli minori, Angelo eSilvia erano entrati, e vedendo quella dolce atmosfera, siprecipitarono gioiosi a pretendere una razione di coccoleanche per loro.

“Accendiamo le lanterne, che si è fatto propriobuio” suggerì Antonio col cuore in tumulto, per evitare dicommuoversi ancora.

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II

I preparativi per la partenza furono velocissimi.Antonio era impaziente: mal sopportava l’ansia che gliprocuravano l’afflizione di Michelina e dei due bambinimaggiori. Gli altri due, ancora piccoli per capire davverocosa stesse accadendo, erano comunque contagiati dallacupa e mesta atmosfera che aleggiava in famiglia.

Le ultime notti Antonio e Michelina dormironoabbracciati, come se avessero deciso di elargirsireciprocamente, tutto insieme, il loro tenero amore, senzadir parola, senza nemmeno più piangere. Lei accettavacon coraggio quel destino comune a quasi tutte le donnedi Padula; era molto religiosa e avvertiva grande confortosolo dopo aver pregato accoratamente la Vergine Mariad’intercedere presso suo Figlio santissimo, affinchél’aiutasse a sopportare lo sconcerto e il profondo doloreche stava patendo. Si separava da suo marito senzasapere quando si sarebbero rivisti. Non riusciva aimmaginare come si sarebbe sentita lontana da lui, senzapiù ricevere le sue dolci carezze, senza notare queisorridenti sguardi di complicità che lui le riservavaquando, a tavola, parlavano e ridevano con i bambini,tutti insieme, come in una festa goliardica.

“Dio mio che sarà di lui? Ti prego, aiutalo ad evitarei tanti pericoli di quelle terre sconosciute. Fa che non siammali, come farebbe tutto solo?”

Antonio dovette trovare qualcuno a cui vendere gliattrezzi e il materiale edile che lasciava. Si accordò conun suo ex capomastro che gli pagò in contanti la metàdella somma pattuita e firmò delle cambiali, all’ordine di

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Michelina per la differenza. Lasciò a lei anche buonaparte dei soldi “americani” che erano rimasti; il resto loavrebbe portato con sé per iniziare oltremare unamodesta attività in proprio. Volle portarsi alcuniimportanti manuali di architettura abitativa, con disegnidi case spagnole e di villette nordamericane e un elegantelibro sugli scavi di Pompei riccamente illustrato condisegni e piantine delle più importanti case fino a quelmomento portate alla luce. Egli era rimasto tantoentusiasta della funzionalità di quelle case, (costruite duemillenni prima) così adatte al clima caldo delle terre dovelui si recava, che decise di visitarle prima di partire.

Antonio e Mario erano uniti da una non lontanaparentela e, infatti, si rassomigliavano molto fisicamente.Entrambi erano abbastanza più alti della media, Antonioera più atletico di Mario, ma quest’ultimo, di cinque annipiù giovane, possedeva un fascino misterioso che pochedonne riuscivano a non recepire. Il primo era biondomentre il secondo aveva capelli nerissimi e ondulati, maper il resto avevano molti tratti fisici in comune: la formadel viso, il colore verde chiaro degli occhi e le labbracarnose molto attraenti.

I giovani padulesi s’imbarcarono sulla “Città diPalermo” nel tardo pomeriggio del 3 febbraio 1881. Dalponte di seconda classe salutarono a lungo, sventolando ilcandido fazzoletto all’indirizzo dei loro cari, che giùdalla banchina del porto aspettavano con intensa mestiziala partenza della nave.

Finalmente, la nave si allontanò piano piano dalbacino d’ormeggio, accompagnata dai consueti fischi disaluto. Era l’ora del tramonto quando lentamente

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navigava nello splendido golfo che, come volendoaccomiatarsi da loro e farsi ricordare, sfoggiò unospettacolo di variopinta ed esuberante bellezza davveromozzafiato. A destra si ammirava tutta la costa della cittàdi Napoli, dove si andavano accendendo una a una le lucidelle strade e delle abitazioni; davanti invece, il soletrionfante si tuffava nel mare, fra Ischia e Capri, tingendodelle mille sfumature del rosso e del giallo il cielo e lepigre nuvole che volavano verso il Vesuvio, spinte da unafredda brezza proveniente da sud. A sinistra, inlontananza, si distingueva chiaramente ogni particolaredella costa, da Castellammare a Sorrento, fino alla Puntadella Campanella. Con gli occhi pieni di lacrime e ilcuore angosciato si allontanarono dal ponte in cerca dellaloro cabina per prepararsi per la cena che da lì a pocosarebbe stata servita.

Era quella l’epoca delle grandi emigrazionidall’Italia. Sulla nave, Antonio e Mario conobberocentinaia di sventurati senza arte né mestiere, inmaggioranza meridionali, che fuggivano dalla povertà edall’arretratezza, e abbandonavano un paese senza piùillusioni, un paese da secoli governato da principistranieri che pensavano solo a sfruttare una popolazioneignorante, misera e bigotta. Conversando con loro, siresero conto che questi emigranti erano consapevoli distar disgregando le loro famiglie e di star barattando laloro cultura, le loro abitudini, il loro passato, i loro affetti,tutto insomma, con… la speranza… Dio mio! LASPERANZA! Ma, speranza di che? Di una lunga,durissima battaglia per la vita con qualche probabilità divittoria in più. Antonio sapeva anche, per esperienzapersonale già vissuta in USA, che una volta lasciato allespalle il proprio paese si sarebbe sentito orfano della sua

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storia, della sua vera e reale identità. I due amici si reseroconto anche di essere dei privilegiati perché avevanostudiato, sapevano leggere, scrivere e far di conto;Antonio, addirittura, conosceva a menadito un mestiereche gli avrebbe assicurato in qualunque parte del mondouna possibilità di lavoro ben retribuito. Ciò lo confortavae non poco.

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III

Il lungo viaggio, con un mare spesso molto mosso,costrinse Antonio a sollecitare l’assistenza del medico dibordo. Era un giovane fresco di laurea proveniente,guarda caso, da Teggiano, un paese di fronte a Padula. Sichiamava Nicola Stabile. Antonio ricordò di averconosciuto suo padre, anche lui medico, in un’occasione,quando lavorava per l’ing. Valenti. Fu l’inizio diun’amicizia sincera e duratura e per Antonioprovvidenziale.

“Come vedi, la mia è stata finora una vita di lavoroduro.” Si confessava Antonio. “Non ricordo di essere maistato spensierato. Da piccolo ho dovuto contribuire amantenere la famiglia e se oggi godo di una certaagiatezza la devo all’ing. Valenti che ha creduto in me emi ha insegnato tutto quello che so fare.” ConcluseAntonio, dopo avergli raccontato i travagli della suagiovane ma intensa esistenza mentre sorseggiavano unbuon bicchiere di vino bianco nella buvette della nave.“Adesso chi sa cosa mi attende. Speriamo bene…”

“Abbi fede, Antonio. I tipi come te sicuramente lavincono.”

“Adesso raccontami tu per quale motivo hai scelto diesercitare la professione medica su una nave invece chenel tuo paese…oppure che so, a Napoli, a Salerno?”

“Caro amico, semplicemente perché sono un tipoavventuroso: mi piace conoscere gente nuova, luoghinuovi. A Teggiano mi sentivo a disagio, impaziente diqualcosa di non definito. Che noia vedere sempre lestesse facce, ascoltare eternamente le stesseconversazioni! E poi, ti pagano con polli e uova. Qui

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invece, ho un ottimo stipendio che arrotondoconsistentemente con un po’ di commercio.”

“Davvero?” Chiese Antonio. “Quale genere dicommercio?”

“Conosco a Napoli un buon pittore, come si dice? Dimaniera? Si, quelli che dipingono sempre le stesse cose;ma lo fanno proprio bene. Lui dipinge sempre marine.Con il mare calmo, con il mare agitato, di mattina, disera, di notte, con la barchetta a vela e in lontananza ilVesuvio fumante, ecc. Tu devi vedere quelle onde: tiverrebbe il mal di mare. Piacciono assai agli emigrantiitaliani in quei paesi, che acquistano quelle tele congrande entusiasmo e le pagano bene. Forse sentono… cheso, di possedere un pezzetto della loro patria lontana. Daipaesi centroamericani invece, porto in Italia oggettidell’artigianato e monili d’argento molto originali”rispose Nicola.

“Ma non senti la mancanza di una casa, di tuamoglie?” Chiese Antonio al quale la lontananza dellafamiglia, a pochi giorni dalla partenza, già procuravanostalgia.

“Io sposato? Oh no! Per amor di Dio. Sonorefrattario al matrimonio,” disse Nicola ridendo, eammiccando aggiunse: "oltre tutto, in una nave leoccasioni di compagnie femminili non mancano mai.”

“Ti capisco. Beato te che hai quel carattere, io invecesono nato sposato.” Gli disse Antonio.

Tutte le sere dopo cena s’incontravano nel salonedelle feste per chiacchierare fino a tardi e spesso Antoniochiedeva informazioni e notizie riguardanti il paese chedi lì a poco lo avrebbe ospitato.

“Della Colombia conosco solo Cartagena,un’interessantissima città costruita nel cinquecento, cintada una muraglia ciclopica. La popolazione è composta

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prevalentemente da mulatti e negri. Gente allegrissima,simpatica e accogliente che ti tratta con semplicità. Simangia benissimo, un piatto incredibilmente buono è ilriso col cocco e se ti vuoi divertire troverai sempreallegra compagnia. Di più non so.” Illustrò Nicola.

“Hai mai sentito nominare il paese che si chiama SanJacobo?”

“Francamente, no. Perché? E’ lì che ti rechi?”“Si, ma pare che nessuno sappia nemmeno

l’esistenza di quella cittadina.” Si lamentò preoccupatoAntonio.

“Sarà uno dei tanti paesi agricoli e di “ganaderos”(allevatori di bestiame). Sono paesi con poche personeassai ricche mentre la maggioranza della popolazione èignorante e povera.”

“A me hanno detto che con le costruzioni diabitazioni moderne c’è da guadagnare benissimo.”

“Anch’io lo credo giacché quelle venti o venticinquefamiglie ricche hanno il desiderio di spendere i soldi incomodità. Ma, solo loro. Gli altri non avrebbero i soldiper comprare nemmeno una baracca.”

Antonio si muoveva continuamente sulla sedia,perché voleva fare una domanda delicata all’amico, magliene mancava il coraggio.

“Io ho un problema ancora da risolvere. Sai per casocome fanno i connazionali nostri a spedire soldi alle lorofamiglie?”

“No, non lo so, ma suppongo tramite banche. Uncorrentista di una grande città spedisce i soldi alcorrentista di un’altra città importante, per esempio daCartagena a Napoli, ma non credo da San Jacobo aPadula. In questi casi è più probabile che i soldi sianoaffidati a persone conosciute, in occasione del lororitorno in Italia. Ma sono supposizioni mie. Sai che

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facciamo? Quando arriveremo a Cartagena lo chiederemoa uno dei tanti compatrioti che vengono sempre a visitarela nave.”

“Nicola…dimmi, se io ti chiedessi l’immensofavore… qualche volta, di portare a mia moglie dei soldiper la conduzione della mia famiglia… mi favoriresti?”Chiese Antonio rosso come un peperone.

“Dio mio, si tratta di una responsabilità enorme”rispose molto titubante.

“Nicò, solo fino a Teggiano. Mia moglie verrebbe date a ritirare il pacchetto, si capisce. Non ti sarebbe digrande disturbo e per me, invece, sarebbe unpreziosissimo aiuto.”

“Qualche volta, se fosse proprio necessario,d’accordo, conta su di me.” S’impegnò Nicola.

“Sei un vero amico. Ti ringrazio per la disponibilità.”Lo ringraziava stringendogli la mano con calore. Volevaanche fargli capire che era disposto a pagare per ilservizio, ma non sapeva scegliere le parole adatte per nonoffenderlo. “Ti ringrazio immensamente. Sappi cheovviamente sono a tua disposizione per qualunquecosa…e se ciò dovesse comportare spese o altro…” stavacontinuando, quando fu interrotto dall’amico.

“Antò, dai, mi fai arrabbiare. Lo farò volentieri peraiutarti, come sono sicuro che anche tu faresti un favore ame, se io te lo chiedessi. Devi sapere che io ho uncontratto con la società ancora per due anni e che la navetocca Cartagena generalmente ogni 55 giorni. Ma poi,t’informerai tu.”

Da lontano si vedeva la costa, ma di Cartagena sidistingueva solo la collinetta di Bocachica, dove sorgevaimponente il Castello di San Fernando, un immenso forte

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militare pieno di torrioni armati, sovrastanti una colossalemuraglia di pietra viva. Bocachica sorvegliava edifendeva lo stretto ingresso alla splendida baia dove eracostruita Cartagena. Si diceva che fosse impossibileprendere la città dal mare, giacché la muraglia merlataaveva resistito alle cannonate delle navi dei pirati sia nelseicento che nel secolo seguente. E si diceva anche chetutte le navi in questione fossero state affondate dal fuocodei torrioni, prima che superassero l’ingresso diBocachica.

A mano a mano che la nave si addentrava nella baia,Cartagena si andava schiudendo alla vista dei viaggiatori,che, attoniti, non si aspettavano di trovare una città cosìbella e particolare.

Arrivati al porto, Nicola presentò Antonio a tantiitaliani che ogni volta che arrivava una nave dalla lontanapatria, andavano a visitarla. Alcuni erano commerciantiche avevano rapporti con ditte italiane e quindi venivanoanche a ritirare o spedire mercanzie; ma la maggioranzadi loro saliva sulla nave solo per sentirsi come in unapiccolissima “dependance” del loro Paese e per mangiareall’italiana in compagnia degli ufficiali. A loro, i ragazzidomandarono se vi fossero linee di diligenze a svolgeresevizi regolari fra la città di Cartagena e i centri minoridell’interno. Purtroppo questa comodità mancava inassoluto e l’unico mezzo per raggiungere San Jacobosarebbe stato utilizzare i grossi carri che trasportavano lemercanzie. Per quanto riguardava la spedizione di denarialle famiglie in Italia le cose stavano come Nicola avevasupposto.

Antonio e Mario salutarono Nicola, dandosiappuntamento al seguente viaggio della nave e scesero aterra per iniziare una nuova vita.

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Appena in città, presero contatto con un certo PedroVelez, che sarebbe partito all’indomani mattina, moltopresto, con destinazione la zona di San Jacobo e, se tuttofosse andato bene, sarebbe arrivato a destinazione quattrogiorni dopo. Davanti a loro pertanto, avevano adisposizione un’intera giornata e una notte per visitare lacittà. Presero una stanza in un discreto albergo nonlontano dalla piazza della Cattedrale. Si lavarono, sicambiarono d’abito e uscirono. Quasi increduli,ammirarono gli imponenti palazzi in stile coloniale,ricchi di originalissimi balconi di legno, di scudiartisticamente scolpiti, collocati sopra massicci portoni dipietra; visitarono le tantissime chiese dalle facciatemeravigliosamente decorate e si riposarono sulle panchedi ferro battuto nelle tante piazze e piazzette all’ombra dialberi frondosi. Si resero conto che, se dal mare eraimpossibile prendere militarmente la città, nemmeno daterra era compito facile, perché essa era protetta sia daciclopiche muraglie bene armate e sia da un altroimmenso Castello, quello di San Felipe. La loromeraviglia crebbe più tardi quando, andando a conoscerela città nuova, fuori dalle muraglie, scoprirono bellissimeville in riva a una spiaggia di sabbia finissima,incorniciata da alte palme di cocco. La sera, verso lediciannove, entrarono in un’osteria dove oltre a mangiareun ottimo piatto di carne a spezzatino “guisado” (stufato),accompagnato da iucca fritta e riso pilaf in bianco,bevvero un paio di bicchierini di un delizioso rum, percui Cartagena era famosa sin dal tempo della pirateria eascoltarono una musica, scandita da un ritmoallegrissimo, che alcuni giovani ballavano senza maistancarsi. Verso le ore ventuno rientrarono nell’albergoper andare presto a dormire, in attesa di Pedro Velez, che

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li avrebbe prelevati dall’albergo verso le quattro, perapprofittare delle ore più fresche del giorno.

Non erano vere strade quelle che loro percorsero,anzi potevano meglio definirsi “polverosi sentieri dicampagna” in terra battuta. Impiegarono quattro giorniper raggiungere San Jacobo poiché il carrettiere PedroVelez aveva dovuto fermarsi per consegnare della mercea commercianti in tre cittadine durante il percorso. Leprime due notti dormirono su amache, presso abitazionidi povera gente che li ospitò per poche monete emangiarono in rustiche bettole i piatti contadini: del risoin bianco, platano fritto (banane speciali), yucca e gnamebolliti (due grossi tuberi) e un latticino nonparticolarmente raffinato, parente alla lontana del fior dilatte campano.

La terza sera invece furono accolti, sempre dietropagamento di una modesta somma, dalla famiglia diPorfirio Mendoza, un commerciante buon cliente e amicodi Velez. Dopo che ebbero scaricato la merce, furonoinvitati a sedere in giardino, mentre una donna anzianacucinava per loro la cena. Velez tirò fuori dall’involto chegli fungeva da valigia, la bottiglia di un ottimo liquoredal sapore di grappa all’anice che lui chiamò “aguaardiente”. Ne bevvero diversi bicchierini accompagnatida pannocchie bollite e da certe formelle di una fritturagustosissima a base di formaggio fresco avvolto in pastadi granoturco. Per cena la donna aveva tirato il collo a ungallina che fu servita a pezzi con contorno di bananefritte, di una qualità chiamata platano e dalla yucca. Achiusura della cena portarono dell’ananas tagliato a fetteappena colto dalla pianta. Le donne non mangiaronosedute a tavola. L’anziana signora, sdentata, alta e magra,mangiava vicino al fuoco dove cucinava, seduta su unbasso sgabello di legno grezzo. Data la sua altezza, aveva

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assunto una posizione piegata e protesa in avantiformando con il corpo la forma della lettera Z. Anche duegiovani donne, che possedevano corporature moltoattraenti, figlie del signor Mendoza, mangiarono in piedi,vicino alla porta che conduceva verso un’ampia verandaprima del giardino, e lanciavano di tanto in tanto occhiateprovocatorie ai due italiani. Finita la lauta cena,portarono le sedie nella veranda dove Velez e il loroospite iniziarono a parlare di affari. Le ragazzecondussero Antonio e Mario alla camera a loro assegnata,la quale era totalmente priva di mobili, eccetto dueamache di rustica tela blu, già appese ai ganci. Eranostanchi dallo strapazzo del lungo e scomodo viaggio, manon sentivano sonno, erano accaldati e anche un po’eccitati dall’alcol e dal cibo. Chiesero dove fosse lalatrina e gli indicarono una piccola stanza semi scopertadietro la cisterna, in fondo al patio, che usarono a turno.Entrambi si sentivano fuori posto e molto imbarazzati;per non manifestarlo passeggiarono fra le piante delgiardino. Mario si accorse di essere seguito a distanzadalla più giovane delle sorelle, la quale si avvicinò a lui egli parlò senza essere capita. Di faccia, la giovane nonera molto bella a causa di un naso negroide, corto eallargato, con fori troppo evidenti; il corpo invece eraquello di una statua greca. Anche Mario desiderava fareconversazione ma, alla fine di ogni frase, si guardavanodivertiti con la netta certezza di non essersi capiti. Mariomolto furbescamente ogni volta che diceva “io” sitoccava il petto con il palmo della mano e ogni volta chediceva “tu” toccava ugualmente il petto della ragazza, laquale, anziché protestare, sogghignava con un sorrisodivertito e invogliante. Una foglia caduta dall’albero siposò sul volto della giovane e Mario ne approfittò perlevargliela accarezzando le labbra delicatamente. Lei

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fremette dal desiderio e prendendolo per mano locondusse all’ultima stanza della casa dove lo baciòappassionatamente. Si liberò della lunga gonna dicotonina leggera e lo aiutò a spogliarsi del pantalone.Mario, molto preoccupato le chiedeva con i gesti se nonfosse pericoloso, indicando col dito il luogo dove il padree Velez erano seduti a parlare. Lei comprese e gli risposedi non preoccuparsi. Questo sperava Mario per dedicarsicompletamente a soddisfare la loro violenta passione.Alla fine, la ragazza rimase nella stanza e Marioraggiunse furtivamente la camera dove avrebbe dormito.Anche la sorella maggiore avrebbe desiderato imitare lapiù giovane ma Antonio, atterrito dal pericolo chesupponeva Mario stesse correndo, la evitò recandosilestamente al posto dove Velez e il loro ospiteconversavano. Appena si rese conto che Mario giàl’aveva preceduto, salutò i due e si ritirò anche lui.

“Mario, ma sei pazzo? Volevi diventare l’emigrantecon l’esperienza più breve delle Americhe?” Chiesearrabbiato.

“Macché, Antonio! Pare che qui non sia tantomortale quel peccato lì… Alla ragazza ho regalato unastola leggera di cotone fiorato che ho comperato aBarcellona per poco prezzo, giusto allo scopo. Ne hoaltre cinque in valigia. E’ rimasta felicissima.” Risposelui.

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IV

Al pomeriggio del quarto giorno, finalmentegiunsero a San Jacobo e, per recarsi direttamente a casadello zio di Mario, dovettero attraversare buona parte delpaese, che altro non era se non un’interminabilesuccessione di capanne costruite con muri di fangoindurito, mantenuti in piedi da canne legate le une allealtre, ricoperte da tetti di foglie secche di palma. Più cheun paese sembrava un immenso accampamento difuggitivi, costruito alla base del leggero declivio di unacollinetta. La vista di tale spettacolo fu un colpo al cuoredei due amici che si scambiarono solo sguardi perplessi,senza pronunziare parola, per non amareggiareulteriormente i loro spiriti. La stessa casa di zio Alfonsoera costruita con i medesimi rustici materiali ma eraabbastanza grande, confortevole e fresca.

I parenti di Mario accolsero i giovani con sincere erumorose effusioni. Lo zio Alfonso si scusò cento volteper non essere andato a Cartagena a riceverli perchéimpegnato a far migrare una mandria di bovini da unpodere ad un altro in cerca d’erba abbondante e fresca. Ilmestiere del “ganaderia” (allevatore), diceva Alfonso, èmolto duro a causa appunto delle transumanze, perché loimpegnavano per giorni e giorni, sempre in groppa alcavallo, con quel caldo deprimente, dormendo su amachein capanne di fortuna e mangiando i poveri cibi che ledonne dei “vaqueri” avessero cucinato.

L’italiano d‘Alfonso si era ormai impoverito efaceva uso di molte parole castigliane. Non aveva avutofrequenti occasioni di praticare la sua lingua madreessendo la colonia italiana composta da lui e da altri dueconnazionali i quali, poverini, avevano anche loro

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dimenticato buona parte del vocabolario. Furono subitoinvitati a sistemarsi nella stanza a loro assegnata e arinfrescarsi con una doccia, giacché erano molto sudati esporchi della polvere del viaggio. Il cesso, “alla turca”, sitrovava in un piccolo vano in fondo alla casa, confinantecon il bagno. Furono avvertiti di non bere dall’acquadella doccia perché proveniente da una cisterna metallicache raccoglieva l’acqua piovana. Quella da bere,l’attingevano da un ruscello a qualche chilometro dalpaese. Quando uscirono dalla stanza, lavati e con vestitipuliti, ebbero la sorpresa di costatare che mezzo paese siera radunato in casa Fierro per conoscere i due italiani.Gli uomini bevevano rum, le donne e i bambini invece,una bibita dolce fatta in casa e mangiavano dolcetti dilatte in un’atmosfera allegra e gioviale. Furonoletteralmente assaliti dalla folla che li trattava come sefossero stati vecchi amici che rientravano da un lungoviaggio. Poco a poco tutta quella gente andò via. Oltre ifamigliari rimasero nove notabili che Alfonso avevainvitato per presentare loro suo nipote e “l’architetto”Potenza. Erano: il medico, Evaristo Saenz, laureato inBelgio; mister Edward Cronin, un inglese inviato da unasocietà di ricerche minerarie e che, anziché minerali,scoprì una bellissima mulatta che gli fece dono di duefigli in tre anni; don Javier Gonzalez, unico sacerdote delpaese; l’avvocato Arturo Maianz, uomo di legge e dilettere; i due italiani Alberto Mancini e Silvio Buonaiuto,entrambi salernitani, pittore, musicista e poeta il primo ecoltivatore di tabacco il secondo, e, per finire tre“ganaderos” con i quali Alfonso a volte faceva societàper l’acquisto di intere mandrie di bestiame, per poivendere poche unità alla volta a prezzi sensibilmentemaggiorati.. A eccezione del sacerdote erano tuttepersone facoltose che avevano ripetutamente manifestato

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l’aspirazione a vivere in comode case moderne. Alfonsoaveva raccontato a tutti le peripezie di Antonio a NewYork, suscitando in loro rispetto e simpatia.

Quella sera si coricarono su letti veri, ma nonostantela stanchezza di quei giorni difficili, Antonio non riuscivaa dormire: era deluso, arrabbiato, preoccupato. Sichiedeva come avrebbe fatto a vivere in un luogo tantoarretrato e selvaggio, senza famiglia, lontano daMichelina e dai figli. Avvertiva nuove sensazioni, odoristrani a base di tabacco, di grasso di maiale e di sudore dicavallo. Il silenzio della notte era di tanto in tanto rottodal verso di qualche uccello notturno. Uno in particolarelo incuriosì moltissimo, poiché più che un canto o unverso sembrava emettesse un forte, acuto e lungo urloritmato che faceva accapponare la pelle e che, particolareassai curioso, l’animale ripeteva con frequenza quasiprecisa, ogni ora; venne poi a sapere che veniva chiamato“uccello orologio”. Al mattino, molto presto, fu svegliatodalla baraonda di migliaia di variopinti uccellini chesvolazzavano come rincorrendosi allegramente;quest’inconsueto spettacolo fu per Antonio motivo diconsolazione.

Bernardo Mejia, uno dei tre allevatori, avevainvitato Antonio e Mario a conoscere, col suo cocchio, ilpaese e il territorio circostante, assieme ad Alfonso chefungeva da interprete. Fecero prima un giro nell’abitato,il centro del quale era una grande piazza di formarettangolare, lunga circa duecento metri e larga la metà,su cui sorgeva, isolata, una chiesetta semplice e povera,

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con l’ingresso principale rivolto verso il centro dellapiazza e il lato posteriore opposto alla fila delle case difronte, formando con loro una breve viuzza piuttostolarga. Non un albero, né un giardino ingentilivano lapiazza, che presentava così un aspetto molto squallido. Iriflessi dei fortissimi raggi del sole su un terrenosabbioso, molto chiaro, ferivano gli occhi e facevanosentire maggiormente il calore cocente del climaequatoriale. Sul lato lungo della piazza si affacciavano ilMunicipio, con l’abitazione del sindaco al piano alto, euna caserma militare che contava una decina di soldaticon compiti di polizia. Dal lato opposto della piazza c’erauna cantina–osteria, il negozio di tessuti di un libanese ealcune brutte case costruite con mattoni e tetti di tegole.

Lasciarono l’abitato alle spalle per ammirare gliimmensi poderi, occupati da centinaia di bovini. Il cieloera di un celeste pallidissimo, quasi bianco, senza nuvole.La campagna, coltivata a pascolo, risentiva della siccità ela mancanza di alberi frondosi incuteva un sensod’opprimente desolazione.

Antonio e Mario si sentirono delusi e sconsolati ma,davanti al gentile signor Mejia, dovettero nascondere leloro impressioni.

“Che ne pensate di San Jacobo?” chiese Alfonsotraducendo la domanda formulata dall’amico.

“ Mi dovrò abituare a un ambiente tanto differenteda quello dove sono vissuto finora,” rispose Antonio “adire la verità, l’impressione migliore la ho avuta ieri,dalla simpatia e dalla straordinaria cordialità della gente”.

“ E l’impressione peggiore?” “ La mancanza d’alberi e di zone verdi nell’abitato “

commentò, tutto confuso. “ Sai quale è il nostro problema più grave,

Antonio?” chiese Mejia, e aggiunse subito, rispondendo

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alla sua stessa domanda. “L’acqua! Ci mancal’acquedotto e pertanto non possiamo sprecare l’acquache raccogliamo nelle cisterne durante le piogge.”

Tornarono a ora di pranzo alla casa di zio Alfonso.La moglie, Maria, aveva preparato, in loro onore, dellapasta all’uovo fatta in casa condita alla “carbonara”; persecondo, un’immensa e gustosa bistecca con l’osso,arrostita sulla brace, accompagnata da yucca frittadavvero ottima. Per finire, una varietà di frutti tropicali,mai assaggiati prima di allora, di una bontàindescrivibile. Dopo il pranzo, si sentirono più rincuorati.

Cinque giorni più tardi, Antonio, che avvertiva lanecessità di una sistemazione per conto suo, chiese al suogeneroso ospite:

“Alfonso, ci sarà in paese un albergo o una pensionedove trasferirmi, non è vero?”

“ Ma, Antonio, che bisogno c’è. Non ti trovi bene acasa mia ?”

“ Mi trovo benissimo a casa vostra e ringrazioinfinitamente voi tutti di cuore, ma vi ricordate come sidice in Italia:?: l’ospite, come il pesce, dopo tre giorni,puzza. Ed è vero, sia per chi ospita, sia per l’ospitato chenon si può mai sentire a proprio agio.”

“ Io vorrei insistere ma certamente non ti possoforzare. Allora: un alberghetto con poche camere c’è,nella piazza, accanto alla cantina, ma non mi sembra unabuona sistemazione definitiva. Invece so di una brava eseria signora che ha perso il marito da qualche mese evorrebbe dividere la sua casa con una persona educata,come te, per potersi pagare da vivere. Sono sicuro che titroveresti bene. Vive con sua nipote, una ragazzinaancora piccola. Altra opzione sarebbe quella di affittareuna casetta; ciò però ti creerebbe problemi di mobilia,aiuto domestico, cucina, ecc.”

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“Potreste gentilmente farmi accompagnare daqualcuno? Vorrei vedere la sistemazione che quellasignora mi potrebbe offrire.”

Lo stesso pomeriggio una figlia d’Alfonsoaccompagnò Antonio dalla signora Sara Conte che giàconosceva il motivo della sua visita, essendo stata inprecedenza avvertita. La casa era appena a tre isolatidalla casa dei Fierro e differiva, dalle altre che Antonioaveva conosciuto, solo dalla maggiore povertà dellamobilia. Si entrava direttamente in un vasto soggiorno,arredato con un tavolo ovale al centro della stanza, consei seggiole attorno, un mobile buffet, due sedie adondolo poste vicino alla porta d’ingresso (di giornosempre aperta) e un tavolino con un candelabro poggiatosopra. Un’apertura senza porta, di dimensioni abbastanzagrandi, conduceva al centro d’una loggetta confinantecon un giardino di bellissime piante equatoriali, tuttesplendidamente fiorite. La loggetta era a forma di ferro dicavallo, alla cui destra si aprivano due porte di altrettantestanze comunicanti fra di loro. Al lato opposto si aprivauna camera più grande, dietro la quale trovavano posto lacucina e la dispensa. In fondo, isolati, a una decina dimetri dal corpo della casa, seminascosti da un immensoficus, sorgevano il cesso e il vano doccia. Alle spalle,viera ancora del terreno, in parte occupato da un pollaio eda quella che una volta era stata una stalla.

La signora Sara Conte era una simpatica donna suicinquant’anni, piuttosto bassina e rotondetta, di colorecaffellatte, come quasi tutti nel paese. Un paio di dentimancanti in bocca guastava molto il suo aspetto dai beilineamenti, illuminati da un paio di sorridenti occhi neri,vivacissimi. Era pettinata all’indietro con i capelliraccolti in uno “chignon”.

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L’accordo che Sara propose ad Antonio era che leigli avrebbe ceduto le due stanze comunicanti, a destra delsoggiorno, gli avrebbe preparato i pasti, lavato labiancheria e pulito le stanze. Il prezzo gli sembrò moltoconveniente e accettò senza discutere. A parte Antonio leavrebbe rimborsato il denaro speso per la suaalimentazione.

Quella stessa sera, trasferì le poche cose che avevaportato con sé dall’Italia, e decise che avrebbe adibito laprima stanza a studio-ufficio. Su un mobile a mensolesistemò i libri e gli strumenti di lavori. In paese acquistòun grande tavolo per il disegno, una sedia e duepoltroncine con il piano a sedere in cuoio. Nella secondastanza c’erano un letto a una piazza e mezza che, siintuiva, era stato il letto matrimoniale dei coniugi Conte,un cassettone e un comodino.

Dopo la cena di quella prima sera, Antonio sitrattenne a parlare con la signora Clara per fare la suaconoscenza: “Signora Conte, sono molto contento distare a casa sua. Non conosco ancora la sua lingua, anchese durante il viaggio, sulla nave, ho memorizzato più ditrecento parole con tanti verbi che mi permettonosicuramente di capire e farmi capire, se si parla adagio econ parole molto facili.”

“Si, sono due idiomi con parole moltorassomiglianti. Io mi chiamo Sara, non signora Conte equi a San Jacobo ci diamo tutti del tu.”

“Si, certo, va bene anche per me,” rispose Antonio. ”Antonio, sono preoccupata perché non conosco le

tue abitudini e non so che cosa ti piace mangiare.” “Non ti preoccupare per me. Io mangio di tutto.

Forse mi mancherà la pasta, che è alla base della cucinaitaliana. Tu la sai preparare?”

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“No, ma chiederò a Maria Fierro come si fa eimparerò” rispose Sara, gentilissima.

“Tante grazie, sei molto gentile. Ti chiedo un altrofavore: sicuramente tua nipote avrà dei libri digrammatica spagnola, chi sa se può prestarmenequalcuno. Voglio imparare a parlare bene la tua lingua.”

“Teresita” chiamò Sara ad alta voce. “Si, nonna, che vuoi?” “Vieni un po’ qua. Mostra ad Antonio i tuoi libri di

grammatica.” Poco dopo, la giovinetta tornò con quattro libri che

Antonio incominciò a sfogliare. Erano pieni di disegni edesempi molto comprensibili perché usavano i vocabolid’uso più comune. Proprio quello che Antonio cercava.

“Grazie tante. Dimmi quale mi puoi prestare”,chiese Antonio, osservando bene la ragazza cheprometteva di diventare una bellissima donna.

“Tienili tutti. A me non servono più: sono quelli sucui ho studiato negli anni passati. A proposito: mi hannodetto che tu conosci bene l’inglese, è vero?” chiese laragazza molto interessata. “Sì, sono stato cinque anni e mezzo a New York. Perchét’interessa?”

“Io studio qui a San Jacobo con una suora che miprepara per gli esami che ogni anno devo presentare aCartagena, per conseguire il diploma di “bachiller” Leiperò non conosce l’inglese e quest’anno prossimo dovròdare gli esami di terzo anno di “Bachillerato” che includeanche tale lingua. Posso chiederti un aiuto qualche volta.E’ una lingua strana che si scrive in una maniera e sipronunzia in un'altra.”

“Tutte le volte che vorrai. Io non ho niente da fare disera.”

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Teresita lo ringraziò e sedendosi su una sedia adondolo gli chiese:

“ Antonio, perché non hai portato con te anche tuamoglie?”.

“In quel caso avrei dovuto portare anche i mieiquattro figli. Come facevo? Sono ancora piccoli: ilmaggiore ha appena otto anni.” Rispose con voce colmad’afflizione.

Antonio era un po’ seccato, preferiva non parlaredella sua famiglia. Faceva un grande sforzo perallontanare il pensiero da essa perché la lontananza gliera molto dolorosa. Anche Sara si sentì a disagio perchécapiva la sua tristezza: anche lei soffriva per la mancanzadi suo marito. Preferì non dire niente alla nipote in quelmomento, ma più tardi, in camera loro, a voce moltobassa per non farsi sentire, la rimproverò dolcemente.

“Tère, è stata un’indelicatezza chiedere ad Antoniocose così intime. Non farlo più. Io capisco quanto devesoffrire la lontananza dalla famiglia. Dimmi, non pensiogni tanto anche tu ai tuoi genitori ?”

“Si, nonna, molto spesso e ogni volta mi viene dapiangere. Non ci avevo pensato”. rispose, mentre duelacrimoni le scendevano lungo le gote.

“Immagina l’angoscia che prova lui che ha lasciatomoglie, figli, parenti e la sua terra per venire a lavorare inquesto posto tanto lontano! ” Concluse Sara baciando lanipote.

Antonio era sdraiato supino sul letto nel buio totaledi quella notte calda e silenziosa. L’immagine diMichelina s’insinuava con prepotenza nella sua mente,nonostante egli tentasse con tutte le sue forze diallontanare ogni ricordo e di addormentarsi per nonsoffrire. Vedeva i suoi bellissimi occhi neri che glisorridevano, la sua bocca dalle carnose labbra dolcissime

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che lo invitavano all’amore; perfino gli sembrava diodorare il suo inebriante profumo. La rievocava neimomenti più felici della loro vita, come quella volta,quando durante la festa di San Michele, il Santo patronodi Padula, lui ardì stringerle la mano con appassionatadelicatezza, di nascosto, nella calca della folla, e lei,voltandosi a guardarlo sorrise, dimostrandogli di avergradito, e più tardi quando anche lei ricambiò la mutadichiarazione d’amore con una tenera carezza, seguita dalloro primo bacio, dato in fretta per non farlo notare allagente. Il cuore d’Antonio sembrava impazzito e pulsavaacceleratamente, facendogli soffrire le pene dell’inferno ecercando una consolazione, rivolse al cielo una ferventeimplorazione:

“Dio, Dio mio, ti prego….”, ma non finì lapreghiera, non sapendo cosa chiedere.

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V

Antonio non perse tempo. Incominciò conl’informarsi chi vendesse nel paese i materiali utilizzatinell’edilizia, il loro prezzo, se nel paese si trovasserooperai esperti in quel tipo di lavoro e quanto fosse ilsalario medio giornaliero. Venne a sapere che ilcarrettiere Pedro Velez trasportava da Cartagena tuttoquello che gli sarebbe servito e che gli operai espertierano pochissimi a San Jacinto. “Li addestrerò io.” Dissea se stesso.

Trascorse vari giorni disegnando tre tipologie divillette nello stile di Pompei, secondo il numero dellestanze da letto occorrente ai suoi committenti ecalcolando il costo approssimativo delle costruzioni aiquali avrebbe dovuto aggiungere le eventuali spese diurbanizzazione e il suo stipendio. Fu felice di costatareche risultavano costi inferiori a quelli di Brooklyn e diPadula., dovuto alla minore incidenza dei costi dellamano d’opera molto a buon mercato, pur calcolando unabassa produttività degli operai per la loro scarsaesperienza.

Con questi calcoli alla mano e con i disegni cheaveva elaborato andò a visitare Alfonso e Mario.

“Salve Antonio. Siediti e raccontami che hai fatto inquesti giorni che non ci siamo visti” chiese Alfonso congentilezza. “Gradisci una birra abbastanza fresca?”

“Tante grazie Alfonso. Molto volentieri” risposeAntonio, sedendosi sul dondolo. “Sapete, hoincominciato a guardarmi attorno, a rendermi conto dicome vive la gente di qua e cercare di capire la loromentalità. Vorrei, per piacere, mi ascoltaste per giudicare

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alcune mie impressioni, perché avrei potuto trarreconclusioni sbagliate”.

“Ti ascolto con attenzione”. “Allora: prima di tutto ho molto meditato cercando

di capire che cosa manca realmente a voi e ai vostri amicifacoltosi di San Jacobo.” Fece una lunga pausa comevolendo trovare le parole giuste e proseguì. “Ho conclusoche, in concreto, non si tratta di una nuova casa piùmoderna. No. Voi aspirate a molto di più: voletemigliorare per davvero la qualità della vostra vita,trascorrere le vostre giornate in un ambiente ameno,bello, allegro che qui a San Jacobo non esiste.”

“La tua birra, Antonio” lo interruppe la signoraMaria offrendogli un bicchiere pieno.

“Tante grazie, signora. Molto gentile”. Portò inbocca il bicchiere e dopo averla assaggiata affermò:“ottima birra.”

“Cara, vieni, siediti e ascolta anche tu ché è moltointeressante ciò che mi sta spiegando.”

“Allora dicevo, quello a cui aspirate non si trova quinel paese. Supponete per esempio che decidiate diabbattere questa vostra vecchia casa, comoda e frescama, obiettivamente, non bella, rustica e al suo posto necostruite una nuova seguendo i più moderni canonidell’edilizia. Secondo voi, credete che la vostra vitacambierebbe in meglio veramente? Io non credo. Quellanuova casa non vi sembrerebbe nemmeno bella,attorniata come sarebbe dalle vecchie case dei vostrivicini. E allora, che guadagnereste dopo aver speso tantiquattrini? A mio avviso, poco o niente. Bisogna quindicreare prima l’ambiente nuovo, ameno, bello e allegro.Ossia, costruire un piccolo quartiere, con caratteristichediverse dal resto del paese, nel quale la vostra casa sitroverebbe circondata da giardini, da frondosi alberi e, a

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discreta distanza, da altre belle case moderne come lavostra, abitate da amici con uguale educazione. Allora sìche la qualità della vita cambierebbe in meglio.”

Alfonso e Maria ascoltavano con molta attenzionema, dalle espressioni delle loro facce dimostravano dinon credere realizzabile un così ambizioso programma.Rivolgendosi alla signora Maria, proseguì: “Adesso vieneil meglio. Queste villette sarebbero anche fornite d’acquapotabile, che arriverà direttamente fin dentro casa.”

“Magari…” interruppe la signora.“Ma come farai? Dove prenderai l’acqua?” Chiese

Alfonso incredulo.“Alfonso, ho camminato molto in questi giorni e ho

individuato un terreno che forma una collinetta all’uscitadi San Jacobo sulla strada che va al ruscello. E’ il luogopiù ventilato e dal quale si gode una bella vista. La miaidea è di urbanizzare il suolo, costruirvi le strade,piantare alberi belli e frondosi e, siccome il ruscellopassa lì vicino, a monte della collinetta, si potrebbeconvogliare parte dell’acqua, semplicemente per cadutagiacché viene dall’alto. Inoltre si offrirebbe al paesel’opportunità di attingere l’acqua potabile da unafontanina pubblica. Credo che anche il sindaco sarà felicedi questa opportunità. Se adesso che siamo alla fine dellastagione secca l’acqua del ruscello è abbondante e basta eavanza per le necessità dell’intera popolazione, figuratevinei mesi piovosi quante riserve si potrebbero accumulareper innaffiare i giardini, senza dover andare a prenderla adorso di mulo.”

Antonio fece una lunga pausa per controllarel’effetto delle sue parole su Alfonso e Maria.

“Ma tutto ciò verrebbe a costare moltissimo”mormorò incredulo Alfonso.

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“NO! Non se diviso su una trentina o più di villette.E si potrebbe, addirittura, chiedere un contributo delMunicipio” replicò Antonio.

“Non ti aspettare niente dal Municipio. Il sindaco èdel partito liberale che qui a San Jacinto è minoritario.Non farebbe niente che fosse a beneficio dei ricchi,”disse Alfonso con espressione disgustata e aggiunse, “mahai calcolato quanto verrebbe a costare l’operazione?”

“Ho fatto il calcolo di quanto verrebbe a costare unavilletta con due, oppure tre, oppure quattro stanze daletto, ma tutte con un’ampia sala, una stanza da pranzo,l’impluvio (una sorta di patio interno), cucina, bagno, dueveri gabinetti con doccia, rimessa per il cocchio conannessa stalla ecc. Sono stati inclusi pure i costidell’urbanizzazione, della progettazione e della direzionedei lavori, calcolati sulla base di una trentina di villettecostruite; solo manca aggiungere la quota parte del costodel suolo. Eccoli qua.” Disse Antonio aprendo la cartellacon i disegni e i calcoli che aveva portato con sé.

Entrarono in casa e aprirono le carte sul tavolo dapranzo Studiarono a lungo i progetti di massima.L’entusiasmo d’Antonio fu contagioso. Alfonso e Marias’innamorarono dell’idea.

“T’immagini, Alfonso, vivere praticamente in ungiardino, in una casa come l’abbiamo sempre sognata conl’acqua potabile che sgorga a volontà direttamente incucina e quel…scusa, Antonio, come hai detto che sichiama quel patio nel centro della casa?”

“Impluvio,” rispose Antonio. “E’ una parola dellalingua latina. Serviva ai pompeiani per raccoglierel’acqua piovana. Alfonso, dobbiamo scoprire a chiappartiene il terreno sul quale scorre il ruscello echiedergli se ci concede di convogliare parte dell’acqua equanto vuole per tale servitù.”

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“Mi sembra che il terreno appartenga ad AlbertoOsorio. Se non vado errato, per legge, egli è obbligato aconcedere l’utilizzo dell’acqua alla popolazione e non èdetto che debba essere attinta solo nel luogo dove si vaoggi con i muli; a maggior ragione se si offre lapossibilità a tutto il paese di godere di una comoditàcome una fontanella pubblica, senza dover entrare nellasua proprietà. Ad ogni modo è sempre meglio consultarel’avvocato Arturo Maianz.” Alfonso rimase qualcheminuto in silenzio meditando e poi aggiunse: “Io credoche Alberto potrebbe essere a sua volta interessato a unavilletta, egli è un uomo intelligente e molto facoltoso.” Siaccese un grosso sigaro e continuò a voce più bassa:“Dovremmo visitare domani stesso Jaime Andrade che èil proprietario della collinetta. Si tratta di un coltivatoredi tabacco non molto ricco ma che ama ostentare. Hairagione tu: la collinetta è proprio bella! Vuoi che prendaappuntamento con lui?”

“Certo che voglio parlargli” disse Antonio alzandosiin piedi tutto emozionato. “Alfonso, ascoltatemi bene:con lui non bisogna parlare del progetto di convogliarel’acqua, ma semplicemente che vorremmo scambiare ilsuo terreno con una villetta di media grandezza. In parolepovere, lui ci cede la proprietà del terreno e comecontropartita noi gli diamo una splendida villetta benrifinita.”

“Certo, certo, hai ragione; se io fossi in lui credo cheaccetterei la proposta. Adesso, parlami della società.”

“C’è bisogno di uno o più finanziatori che anticipinoi costi dell’urbanizzazione e della prima villetta. Con isoldi incassati dalla sua vendita e dagli anticipi sulleprenotazioni delle case da costruire, si finanzieranno lecostruzioni successive. Purtroppo, io non ho denari equindi la mia partecipazione alla società sarà di lavoro, a

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fronte del quale, io aspiro a una percentuale sugli utili euno stipendio per la direzione dei lavori; in più la societàdovrebbe pagarmi i progetti, se approvati dalla societàstessa. Lo trovate onesto ?”

“Sai Antonio? Credo che io potrei finanziarel’impresa anche da solo. Sei sicuro che i calcoli sono fattibene?” Domandò, guardando Antonio negli occhi eproseguì dopo il sì di lui: “lasciami queste carte, vogliostudiarle. Si è fatto tardi. Resta a cena con noi, ” disseAlfonso chiudendo il discorso.

“Vi ringrazio molto, sarà per un altro giorno. Midispiacerebbe per la signora Conte che mi staràaspettando con la cena pronta”. Antonio salutò e andò viacon il cuore pieno di speranze.

“A proposito, come ti trovi nella sua casa?”“Benissimo! Grazie dell’indicazione.” E se ne andò.

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VI

Verso sera del giorno seguente Alfonso, Mario eAntonio si recarono a casa di Jaime Andrade cheprendeva il fresco seduto su una poltrona di vimini sullargo marciapiede, fuori dalla porta. Tutti quelli chepassavano cavalcando i piccoli cavalli colombiani losalutavano con rispetto. I tre furono accolti moltoaffabilmente, come era loro costume. Antonio notò cheAlfonso e Jaime si chiamavano con l’appellativo di“compadre”, evidentemente erano amici di vecchia data.Non entrarono in casa ma si aggiunsero altre sedie lì,sulla soglia, per rimanere al fresco. Jaime offrì loro unottimo rum di fabbricazione locale con acqua di fontefreschissima.

“Compadre, forse ricorderai, io comprai quel terrenocirca sei anni fa perché volevo costruire un capannonenel quale conservare e imballare le foglie di tabacco.Dopo averlo comprato mi offrirono quella grande casa invia XX de Julio, dove attualmente ho il deposito, a unprezzo davvero molto interessante. Mi convenne di piùcomprarla che costruire. Allora, misi in vendita il terrenoma non interessò a nessuno. Sai, non è adatto allacoltivazione del tabacco perché è piccolo, e tanto menoper il bestiame perché troppo vicino al paese e poi è incollina. Dopo non si è fatto più niente.” Spiegò Jaime.

“Quanto è grande ?” Chiese Alfonso.“Il terreno ha forma di un rettangolo imperfetto di

circa 350 metri di lunghezza verso la collina, e di circa140 metri di larghezza, dal lato della strada municipale.Se t’interessa, te lo vendo allo stesso prezzo che pagai

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allora.” Rispose Jaime, che non nascondeva di volerdisfarsi del terreno per lui inutile.

“Compadre, la nostra idea è un’altra, e sono convintoche ti potrà interessare.” Alfonso illustrò il loro progettoall’amico il quale, dopo una breve pausa, concluse che, inlinea di massima, gli piaceva ma voleva conoscere qualigaranzie loro potevano offrirgli sulla qualità delle villettee l’amenità del rione. “Se le villette saranno belle con imuri di mattone, il tetto con le tegole, pavimenti diceramica ecc. sono d’accordo, ma prima voglio vederneuna già costruita.”

“Questo sarà impossibile. Come si può costruire sudi un terreno tuo una villetta che se poi non ti soddisfa, lapuoi rifiutare?” rispose Alfonso e aggiunse “ma si potràtrovare una forma legale che ti garantisca, parliamonecon Maianz”.

La settimana seguente fu alquanto movimentata;consultarono varie volte l’avvocato, discussero sul prezzoda pagare ad Antonio per il progetto, per lo stipendiomensile e per la percentuale sugli utili. Alla fine si miserod’accordo e firmarono un contratto molto dettagliato.

Antonio decise che i soldi del progetto li avrebbespediti a Michelina per mezzo del dottore Stabile, appenapossibile.

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VII

La domenica pomeriggio era dedicata allacorrispondenza, che per lui rappresentava un compitoassai malinconico perché era come medicare con latintura di iodio una ferita non rimarginata. Erano ormaitrascorsi più di due mesi da quando aveva lasciato Padulae la famiglia in lacrime. Ricordò che era l’alba di unafreddissima giornata di febbraio con un cielo coperto dipesanti nuvole nere che minacciavano neve. Si erafermato davanti alla certosa, e con profonda mestizia siera girato a guardare il bellissimo scenario di Padulaarrampicata sulla collina: desiderava ancora una voltariempire gli occhi del simbolo concreto del suo amore, eportarlo via con sé. In quel piccolo angolino del mondolasciava la sua gioventù, i suoi più cari ricordi, esoprattutto lasciava la fonte della sua felicità: Michelina ei suoi figli. Le lacrime però gli avevano impedito dimettere bene a fuoco la visione di quel bellissimo presepedove rimaneva il suo cuore.

Faceva un gran caldo e San Jacobo sembravaaddormentato. Non si sentiva alcun rumore. In casa, ledonne facevano la siesta. Era quello il momento piùadatto a scrivere alla mogliettina adorata, perché lui giàsapeva che si sarebbe commosso fino alle lacrime, e nonvoleva farsi vedere in quello stato. Estrasse dal cassettodella scrivania la carta, la penna e l’inchiostro e, sotto ladata, scrisse: ”Michelina, amore mio carissimo, sonofelice di riferirti che in società con Alfonso Fierro frameno di un mese incomincerò a costruire un interoquartiere di villette unifamiliari qui a San Jacobo, ciòsignifica che molto presto potremo riunirci.” E proseguìla sua lettera fornendo particolari del suo lavoro e

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chiedendo notizie della vita di Michelina e dei suoi figli.Nemmeno questa volta Antonio volle dirle la verità: ecioè che riteneva quel brutto paese, caldo come un forno,inadatto a crescere i suoi figli. Mancavano tutte le cosebelle e utili che la civiltà elargiva in Europa e negli StatiUniti. Purtroppo, non vedeva altre soluzioni, forsesoltanto trasferire la sua residenza a Cartagena, città cheera dotata di buone scuole, discreti ospedali, luoghi diricreazione e un mare bellissimo per divertirsi. “Si vedràpoi, per il momento sono qui e le cose, dal punto di vistalavorativo, pare che si stiano sistemando”, pensò Antonioin una pausa della redazione della lettera a Michelina.

Dedicò il resto della giornata a conversare con Sara.Le raccontò della sua vita a Padula, di quanto avevalavorato sin da giovanissimo per aiutare la sua famiglia,per imparare bene il suo mestiere, delle difficoltà cheaveva dovuto superare a New York per inserirsi in unambiente tanto diverso dal suo. Evitò di parlare diMichelina per non commuoversi, invece raccontò tutte lemarachelle dei suoi figli così birichini e intelligenti.Accanto a Sara anche Teresita lo ascoltava affascinata egli domandava mille particolari sui costumi e sulla vitanegli Stati Uniti, paese del quale aveva sentito moltissimestorie entusiasmanti. Egli raccontò con dovizia diparticolari, la sua esperienza con gli uomini dellafamigerata “mano nera” e di come aveva affrontato duedei suoi manigoldi durante l’aggressione subita, dopo laquale era rimasto per terra quasi privo di sensi, più mortoche vivo. “Pobrecito” (poveretto) ripeteva molte volteTeresita, sinceramente impietosita e pienad’ammirazione.

Si era fatta l’ora di cenare. Sara si alzò dal suodondolo domandando ad Antonio: “Cosa vuoi che ticucini stasera?”

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“Aspetta, Sara, vi posso invece invitare a mangiarealcune “arepas” in piazza?” Infatti, nella piazza del paeseogni sera alcune donne friggevano in grandi pentoloni digrasso di maiale delle gustosissime pizzette fatte di unimpasto di granoturco acerbo mescolato con delformaggio morbido e, se si gradiva, anche con un uovo.Friggevano anche l’immancabile yucca che era una sortadi patata morbida dal gusto delicato. Altre specialità diquei rudimentali chioschi erano delle formidabilicostolette di maiale grasso, abitualmente accompagnatedal “boyo” (una sorta di pane di granoturco).

“Non so…mi piacerebbe, ma sono sicura che micriticheranno: potrebbero pensare male di me” esitavaSara.

“Ahi, nonna. Che male facciamo andando amangiare una arepita?” replicò Teresita, preoccupata diperdere un raro divertimento.

“Sara, no seas boba”: La invogliò Antonio incastigliano, che voleva dire di non essere sciocca. “Sonosicuro che già ti criticano perché ospiti un uomo in casatua. Tutti i piccoli paesi sono uguali. Non vale la penadare retta alle critiche delle vecchie malelingue.”

“Va bene. Datemi qualche minuto per indossare unvestito migliore,” cedette Sara.

“Grazie nonnina, sei buonissima,” sbottò Teresitaentusiasta.

In piazza c’era grande animazione. Dalla cantinaproveniva il canto di un trio di voci maschili moltointonato. Ogni cantante suonava anche uno strumento:una fisarmonica, un tiple (piccola chitarra a cinque cordedal suono dolcissimo) e le “maracas”. Antonio vide che illocale era affollato di soli uomini, perciò pensò che nonera il caso d’invitarle a sedersi. Molte persone lisalutarono e Antonio si fermò a parlare con alcune che

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aveva conosciuto il giorno del suo arrivo. Mangiaronocon gusto e notarono che Antonio era servito conparticolare riguardo, su un piatto di metallo, mentre tuttigli altri ricevevano il cibo avvolto in foglie di granoturco.Antonio ringraziò con calore tale privilegio perché si reseconto che il paese intero gli manifestava simpatia eamicizia.

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AVVERTENZA

Nelle pagine che seguono, si fa riferimento ad una guerra civile realmente combattuta in Colombia dai militari citati nel racconto, negli anni 1884-1885.

Sono anche vere e documentate le idee espresse dalle

personalità politiche coinvolte nello scenario storico dellaColombia di quegli anni.

Sono di pura immaginazione invece, gli eventi attribuiti alla cittadina di San Jacobo e ai personaggi riportati nel racconto.

Il cognome del presidente Nugnez in lingua castigliana si scrive Nuñez, con la grafia ñ, anziché gn, qui preferita per adeguarla alla pronunzia italiana.

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CAPITOLO SECONDOI

Il giorno dopo, di mattina presto, Antonio e Marioandarono ad esaminare il terreno, accompagnati da dueoperai di Alfonso. Caricarono in groppa a dei muli gliapparecchi per le misurazioni e tante aste di legno con lequali alzarono un rustico steccato, per rendersi contodella forma e delle dimensioni dell’appezzamento.Controllarono con attenzione la consistenza dellasuperficie del terreno, le varie quote e i dislivelli. Dopodi che, Antonio riportò il tutto su disegno, corredandolodi note, commenti e calcoli un lavoro attento emeticoloso che li impegnò l’intera giornata, e soloquando ebbero finito, fecero ritorno alle loro abitazioni.

“Virgen santa! (Vergine santa), Antonio, ragazzo mio,che hai fatto? Sei rosso come un peperone” disse Saraseriamente preoccupata. “In questo clima non puoi stareal sole senza il “sombrero” per tanto tempo. Vai subito afarti un bagno”.

“Hai ragione Sara, ho sofferto molto a causa del solesulla testa. Mi faccio la doccia e vado immediatamente acomprarlo. Dimmi, c’è per caso una birra in fresco? Nesento proprio il bisogno.”

“Si, te ne apro una bottiglia e ti accompagno anche aberla. Immagino come sarai affamato. Fortunatamente tiho preparato un sancocho (zuppa con carne e gallinabollite e molte qualità d’ortaggi e verdure), e riso biancofritto. Per frutta abbiamo un melone rosso dolcissimo”.

“Sei una santa! Vado, mi sbrigo in un momento,”rispose dirigendosi verso la sua camera col bicchiere dibirra in mano.

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Rimandò l’acquisto del cappello e si sedette amangiare con Sara. Teresita non era ancora tornata dallavisita a una sua amica.

“Oggi abbiamo fatto un lavoro enorme. Non puoiaverne idea” disse Antonio prima di addentare un buonpezzo di yucca.

“Mi fa molto piacere. Ciò significa che il lavoroincomincia ad andarti bene.”

“Adesso devo incominciare a scegliere gli operai ead addestrarli perché non hanno esperienza nel tipo dicostruzione che dovremo fare”.

Sara rimase pensierosa per qualche minuto, poiaffermò con voce un po’ preoccupata: “Antonio, ti vogliodare un amichevole consiglio perché sei una bravapersona, sensibile e ingenua.”

“Ti ringrazio, dimmi di che si tratta.” “Tu non conosci questi paesi, né la loro storia

recente. Devi stare molto attento a chi assumi. Informatisempre prima chi sono. Durante l’ultima guerra civile,una delle tante che hanno insanguinato la Colombia,morirono moltissimi nostri compaesani, sia da parte deiliberali, sia da quella dei conservatori. Sono trascorsiormai quattro anni da allora, ma la rabbia, il dolore,l’odio, la voglia di vendetta, invece di scomparire sonocresciuti, maturati, radicati in fondo al cuore di tantagente. Attenzione, Antonio, non esporre mai le tue ideepolitiche o religiose, nemmeno se ti chiedessero conl’astuzia di esprimere opinioni circa persone, discorsi odottrine. Ascoltami bene: niente di niente. Te lo dice unapersona che ha avuto un’esperienza terribile. Forse ungiorno ti racconterò tutto”.

“Grazie tante del consiglio. Io, per la verità, non misono mai interessato di politica. Non ho avuto il tempo.Ho sempre lavorato molto.”

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“Si, ma qui pretendono che tu decida da quale partestare. Stai attento.”

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II

“Alfonso, buon giorno. Signora Maria, sempre inmovimento, voi” esordì Antonio entrando in casa Fierrocon un sorriso di soddisfazione stampato sul viso.

“Salve socio. Come vanno i preparativi ?”- risposeAlfonso alzando la testa dal giornale che stava leggendo.

“Direi bene. Mi potete dedicare una mezz’oretta? Hobisogno di concordare con voi ciò che faremo in questaprima fase del lavoro,” chiese mostrando al suofinanziatore un grosso quaderno tutto pieno di calcoli e didisegni..

“Certo, vieni nel mio studio.” Si mossero entrambiper entrare nello studio di Alfonso.“Maria, chiama Mario,che venga a sentire pure lui.” E, rivolgendosi ad Antonio“Ho pensato di farmi rappresentare da Mario in tutte lequestioni amministrative. Non ti dispiacerà, spero?

-“E perché dovrebbe dispiacermi? Siamo sempreandati molto d’accordo e nei contrasti sappiamo trovareun’intesa.”

Mario entrò nello studio con una tazza di caffèfumante in mano.

“Buon giorno, Tonino. Caspita! Stai proprio bene colsombrero”. Gradisci un ottimo caffè appena fatto?”chiese sorridente.

“Magari più tardi. Ho preso il caffè da poco. Grazielo stesso. Dici sul serio che mi sta bene il sombrero? L’hoappena comprato” rispose Antonio che aggiunse: “tiricordi il sopralluogo che abbiamo fatto sul terreno diecigiorni fa? Ebbene, ecco qua i disegni e le annotazioni checi permetteranno di studiare il programma dei lavori. Hoanche preparato un progetto di massima su comeurbanizzare il terreno, tracciare le strade e costruire le

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villette. Ho fatto un elenco degli attrezzi da lavoro che cioccorrono e del materiale necessario per costruire leprime villette e iniziare la prima parte dellaurbanizzazione. Vi chiedo di studiare per bene il progettoe, se sarete d’accordo e vorrete approvarlo, ioapprofitterei del viaggio che farò a Cartagena perincontrare l’amico dottor Stabile, che arriva con la navefra quattro giorni, per prendere contatti con i fornitori,controllare i prezzi, stabilire i tempi di consegna e dipagamento, ecc.”

“Mi pare giusto. Oggi stesso ti comunicherò le miedecisioni.” Rispose Alfonso, tutto soddisfatto.

“Alfonso, scusatemi, se approvate questa prima fasedella progettazione, vi sarei grato se mi deste una quotadel mio onorario. Vorrei mandarla a Michelina per mezzodi Nicola” chiese Antonio, rosso in viso per la timidezza.Poi, rivolgendosi a Mario aggiunse:

“Se stabiliamo di andare insieme a Cartagena,questa volta sarebbe più opportuno viaggiare in carrozza,così impiegheremo meno tempo e potremo tornarequando ci farà più comodo. Inoltre, sarebbeindispensabile portare con noi un vostro dipendente checonosca bene la strada e anche la città di Cartagena..”

Dopo i soliti convenevoli, Antonio ritornò a casa e simise a scrivere una lunga lettera a Michelina. Nel tardopomeriggio Mario bussò alla porta dello studio diAntonio ed entrò tutto allegro.

“Ti porto buone notizie. Zio Alfonso ha approvato iltuo progetto. E’ molto soddisfatto. Crede molto in te e tiprega di passare stasera da lui per ricevere i soldi dellaprogettazione. Sarà una sommetta che farà feliceMichelina. Se sei d’accordo, dopodomani, primadell’alba, partiremo per Cartagena. Ci accompagnerà un

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nostro impiegato, Esteban Zambrano, che a Cartagenaconosce tutti, così dicono.”

Mario si fermò a parlare con Antonio del più e delmeno, e gli raccontò di una bellissima ragazza mulattacon la quale aveva iniziato una relazione amorosa.. Poiandò via.

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III

Il breve crepuscolo equatoriale quel giorno sipresentava torridissimo e niente faceva prevedere unaserata più fresca. Non si alzava un filo di vento chepotesse arrecare un minimo di sollievo. Le strade delpaese sembravano ribollire e le luci delle lontane lanternedella piazza, appena accese, tremolavano comefiammelle di candela. Le ombre della notte rapidamenteinvadevano il turchino del cielo e i verdi slavati delpaesaggio. Erano le ore più deprimenti della giornata perchi, come Antonio, si sentiva angustiato. Era seduto suuna poltroncina di vimini, nel giardinetto ormai buio,inebriato dall’intensa fragranza di una pianta digelsomino. Teneva gli occhi socchiusi e pensava al suopaese. A Padula, quella era la stagione più belladell’anno: la dolce e fresca primavera. Da ragazzo, coltempo bello, dopo il lavoro, andava su a San Clemente apasseggiare con gli amici, percorrendo decine di volte inlungo e in largo i pochi metri dello spiazzo. Insiemeridevano e scherzavano allegramente, e si confidavano lesperanze ed i progetti per il futuro che, grazie aglientusiasmi della loro gioventù, immaginavano dipinti dirosa.

Adesso, quel mondo era lontano e poteva solovagheggialo con gli occhi della memoria. Nelle suevisioni, non mancava mai Michelina, la musa dei suoitantissimi poemi amorosi mai scritti, per il suo cuore lapiù tenera ed adorabile delle donne, che la grazia delbuon Dio gli aveva concesso in moglie. La desideravatanto. Avrebbe voluto accarezzare delicatamente con lamano il suo viso, e lentamente avvicinarsi a lei fino a

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toccarla con le labbra e odorare il delicato profumoproveniente dalle sue giovani carni.

“Mannaggia la miseria, mannaggia” si sfogò, senzarendersene conto, ad alta voce.

“Cosa hai detto, Antonio?” Domandò Teresita, chedalla sua stanza lo osservava in silenzio.

Fu riportato alla realtà di soprassalto. Era cosìlontano con la mente che non poteva immaginare diessere spiato.

“Niente, niente, Teresita. Scusami, credevo d’esseresolo in casa. Pensavo alla mia famiglia, al mio paese, ”

“Ti mancano molto, vero ?”“Si.”“Se non ti procura dolore, mi racconti com’è

Padula ?” Chiese Teresita avvicinando la sua sedia aquella di Antonio. “Ma, se preferisci stare solo, ti chiedoscusa e torno dentro casa.”

“No, no, anzi, ti prego, resta. A volte penso checonfidare i miei sentimenti a qualcuno mi aiuterebbe asopportare la malinconia. Tu sei tanto sensibile, ma seianche troppo giovane e non so se capiresti le mieafflizioni.”

“Prova a dirmele” fu la seria risposta di Teresita.“Mi chiedi come è Padula? E’ come domandare a un

uccellino, come è il suo nido. Non importa come sia. E’ ilmio paese: non so dirti se sia bello oppure brutto. Per me,quello che importa è che le mie radici sono là, i mieiricordi sono là, i miei….i miei cari sono là”, disse convoce rotta dalla commozione.

“Io ti chiedevo se è grande o piccolo, se è un paesedi mare o di campagna, come San Jacobo.” InsistéTeresita più che altro per farlo sfogare.

“Ah, capisco. Padula è un piccolo paese, tuttoarrampicato sulla vetta di un alto colle che sorge in una

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verdissima vallata dove scorre il Tanagro, un minuscolofiume, a circa 650 metri d’altezza. I poderi là sonopiccolissimi e producono appena quanto necessario alsostentamento di una famiglia contadina. Visti dal paesesono meravigliosi perché ognuno ha un colore diverso, aseconda di quale pianta sia stata seminata. Sembrano latavolozza di un pittore.”

“La costruzione più bella del paese è la magnificacertosa di San Lorenzo. Pare che sia la certosa più grandedel mondo e contiene innumerevoli opere d’arte. La casadei miei genitori, dove sono nato, si trova nella zona piùalta del paese, vicino alla chiesa parrocchiale; la mia casainvece, quella che ho comperato dopo il ritorno da NewYork è a mezza costa, tutta rivolta verso il panoramadella vallata. Lì abitano mia moglie e i miei figli.” DisseAntonio, come recitando una preghiera.

“Dalla tua voce capisco che ami molto il tuo paese.Allora, perché lo hai lasciato per venire a San Jacobo ?”

“Il paese è povero, non offre nessun lavoro. Vive diagricoltura, ma noi terre non ne abbiamo e non siamoricchi…..”

“ Comprendo. Deve essere bello andare in montagna.Sai? Io non ho mai sentito il freddo in vita mia. Qui fasempre caldo. Ma forse è meglio così: non hai bisogno ditanto abbigliamento, indossi gli stessi vestiti tutto l’anno.Dimmi, d’inverno cade anche la neve ?”

“Sì. Non sempre, ma ogni anno qualche giornata dineve la fa. E’ brutto il freddo perché quando non si haalcun lavoro da fare, bisogna starsene seduti davanti alfocolare per riscaldarsi, e di notte si trova il letto gelato…In estate non fa mai molto caldo come qui. Ma parliamodi te, come va la scuola ?” chiese Antonio per non parlarepiù di Padula.

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“Il risultato dei miei esami è sempre ottimo. Ottengoil massimo dei voti in tutte le materie. Tu lo vedi, mipiace studiare; sono molto brava in lettere e in filosofia.Ogni tanto scrivo delle favole per bambini e chi le halette, afferma che sono belle. Sono favole solo inapparenza perché contengono, in maniera velata, i mieipensieri, le mie convinzioni sui problemi della vita. Ionon concepisco le guerre e invece qui in Colombia,dall’Indipendenza in poi, le guerre civili sono statefrequentissime. Io ho perso i miei genitori cinque anni fa,uccisi durante un incomprensibile conflitto. Allora, nonne capivo il motivo: ero piccolina. Oggi, mi pareincredibile che non sia possibile evitare quell’inutilemartirio di tanta gente innocente. Sai che dico io? Chedovrebbero far combattere in prima linea proprio igenerali e i politici che promuovono le guerre. Inveceloro si piazzano lontano e non rischiano niente.

“Teresita! Mi sorprendi figlia mia. Hai idee benchiare e ragioni da persona saggia. Mi congratulo con te.Mi devi far leggere le tue favole. Ma, dimmi, quanti annihai ?”

“Quindici, quasi sedici. Ma, non è l’età bensì ildolore che fa maturare le persone. Le mie amiche, chesono anche più grandi di me, pensano sempre a cose futilie alle conquiste amorose, perché non hanno soffertoquello che io ho sofferto.”

“Perché, tu non pensi anche all’amore ?” Le chieseper scherzare.

“Certo che penso all’amore. A quello vero, all’amoreche unisce profondamente due persone, che alimenta illoro spirito, che fa compiere anche atti d’eroismo.” Sifermò come per ricordare. Guardò Antonio negli occhi eriprese con tono tristissimo. “I miei genitori si amavanomolto. Quando arrivarono le truppe dei conservatori qui a

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San Jacobo, quasi alla fine dell’ultima guerra, uncapitano malvagio e sanguinario entrò in casa con duesoldati. Volevano abusare di mia madre. Mio padre e miononno corsero in suo aiuto ma furono sparati, senza pietà.Mio padre morì sul colpo: un proiettile gli era penetratoin testa attraverso l’occhio sinistro. Mio nonno fu feritogravemente, cadde per terra proprio lì, dove sei seduto tu.Ancora sento nella mia testa le sue grida di dolore e dirabbia. Si salvò, ma perse la salute. Morì lo scorsosettembre. Aveva soltanto 52 anni. Nonostante questaspaventosa tragedia, il mostro non abbandonò la preda,continuò le sue violenze contro mia madre che morìdissanguata. Un fiume di sangue le scorreva dal sesso.Dio mio! Antonio, era tanto buona mia madre…. Ancoranon riesco a dimenticare i suoi bellissimi occhiimploranti pietà. Chissà a quale tortura la sottoposequella belva.” Teresita ora piangeva e singhiozzava.

Tanta efferatezza sconvolse e scandalizzò Antonio.Si rese conto che il dolore che provava per la lontananzadai suoi cari e la solitudine che sentiva nel suo spirito,erano ben poca cosa di fronte a quanto quella giovanedonna aveva sofferto e soffriva ancora. Avrebbe volutoabbracciarla e consolarla, ma evitò il contatto fisico chepoteva essere foriero di una tenerezza d’altra natura senon in lui stesso, forse nella ragazza.

“Ti prego Teresita: calmati ora. Non posso sentirtipiangere, su dai, diventi anche brutta.”

La battuta fece ridere la ragazza che si alzò dallasedia e si allontanò velocemente verso la sua stanza.

Antonio rimase come impietrito. La ragazza glifaceva una gran pena. Che tragico destino aveva avutofinora! Egli aveva intuito qualcosa sin dal primo giorno:aveva notato che alla ragazza mancava il sorriso della sua

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età. Lei, infatti, rifiutava di accettare nella sua mentequelle illusioni e dolci speranze che distinguono i giovanidagli adulti e il suo comportamento era allineato a quellasua acerba maturità.

Ricordava come era Michelina a quindici anni,sempre scherzosa e spensierata. Tutti la conoscevano aPadula e tutti desideravano starle vicino per la sua intimaallegria che, con prorompente giovialità, era in grado dicontagiare anche agli altri. Michelina amava la musica, ivestiti belli, i romantici libri di amori contrastati, leconversazioni spiritose davanti al focolare, i buoni dolcitradizionali del paese: la pizza di sanguinaccio e quella dicrema, le lunghe passeggiate primaverili su per i monti diMandrano, profumati di pino...

Teresita invece era concreta, guardava il mondo e lavita come realmente erano. Non permetteva che le suepersonali speranze ed i suoi più accarezzati sognialterassero i giudizi che aveva costruito su persone oeventi, dopo un severo e obiettivo esame. Ponderava diconseguenza le sue azioni. Non aveva avuto quelprezioso dono di Dio che è la gioventù: gliela avevanomartoriata, lasciando al suo posto un simulacro pieno dirughe.

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IV

Dopo cena Antonio andò in piazza per distrarsi, pernon pensare a quanto era successo dopo il tramonto.Mentre camminava, fu chiamato ad alta voce. Lui si giròe riconobbe Mario, seduto all’interno della cantina chebeveva birra con alcuni amici. Erano tutti sotto latrentina, molto simpatici ed allegri. Lo invitarono asedersi e a bere con loro. S’intuiva che erano amicidall’infanzia. Si prendevano in giro e scherzavanorumorosamente. Mario si stava inserendo bene nel paese.Qualcuno gli chiese, per metterlo in imbarazzo, comeandavano i sui amori con la bella mulattina, che, costuiinsinuava per renderlo geloso, fosse assai generosa.Antonio invece voleva consigliargli di non prenderetroppo sul serio quella relazione.

”Stai attento Mario che ti puoi trovare in un grossoproblema se ti nasce un figlio.”

“Antò, sono attentissimo perché non voglio che ciòpossa succedere. Ad ogni modo, qui i costumi non sonocome in Italia, sono molto differenti, almeno fra la gented’origine non europea. Se una ragazza ha una relazione,in famiglia nessuno protesta, basta che l’amante la trattibene e le faccia dei bei regali. Il matrimonio, anzi, èconsiderato un pericoloso errore”, rispose Mario initaliano, per non farsi capire.

“Non comprendo.” “Sai che racconta zia Maria? Racconta, molto

scandalizzata, di una sua donna di servizio in famiglia daanni, che aveva una relazione con un dipendente delmarito. Da quella relazione erano anche nati dei figli chesi crescevano con la nonna materna. La signora Maria, dabuona cattolica, apostolica, romana, insisteva con loro

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affinché si sposassero, adducendo che, se si amavano datanto tempo, se, come sembrava, andavano felicemented’accordo, non riusciva a capire quale fosse il motivo pernon formalizzare la loro unione. La risposta della donnafu che suo padre non glielo permetteva. < Ma dimmi, noncapisco il perché > e la cameriera rispose: <Vedetesignora, noi ci vogliamo bene, ma se lui si comportassemale con me o con i nostri figli io sarei libera di lasciarloin qualunque momento. Se invece ci sposassimo, luivanterebbe diritti che m’impedirebbero di lasciarlo esicuramente ne approfitterebbe. No, signora Maria. Nonmi conviene. Se mi vuole, mi tenga così, se no, che se nevada <al carajo>.” (a quel paese).

La storiella divertì moltissimo Antonio che conl’umore meno nero, incominciò a partecipare allaconversazione e a gradire la compagnia degli amici diMario. Prima di accomiatarsi, fissarono un appuntamentoper un’altra serata in allegria, al loro ritorno daCartagena.

Prima di rientrare a casa Conte, Antonio incassòdalle mani di Alfonso i primi soldi da inviare aMichelina.

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V

San Jacobo, 27 di maggio 1883

Carissima Michelina,oggi sono tornato a San Jacobo dal mio viaggio a

Cartagena. Come ti ho già scritto, avevo unappuntamento con Nicola Avitabile, il buon amicomedico della nave che tanto gentilmente venne a trovartia Padula.

Mi ha raccontato meraviglie di voi e mi haassicurato che godete di buona salute. Ho approfittato dilui per mandarti quei soldi che ti avevo promesso. Sonoin monete d’oro che, per titolo e peso corrispondono allasterlina inglese. Le potrai cambiare facilmente presso ilBanco di Napoli. Ti prego, amore mio, d’inviarmi uncablogramma per tranquillizzarmi, appena Nicola ticonsegnerà il pacchetto. Usa l’indirizzo telegrafico diAlfonso Fierro in Cartagena.

Come puoi constatare il lavoro incomincia aingranare e, dato che lo stipendio è buono, ogni tre oquattro mesi potrò farti una rimessa consistente. Soquanto sei saggia (oltre che la più bella donna delmondo), pertanto non è necessario che ti raccomandi dirisparmiare qualcosa, quanto potrai. Il mio lavoro non èun impiego fisso, ho un programma di lavoro della durataprevista di cinque anni e sono ottimista che si possacompiere con successo. Ma non sappiamo il futuro che ciriserva….

Cartagena è proprio una gran bella città di mare, conlunghissime spiagge d’acqua tiepida e cristallina. Sonosicuro che ti piacerà. Accarezzo l’idea di stabilire laNOSTRA residenza proprio a Cartagena, anche se avrò il

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mio lavoro a San Jacobo o in qualche altro piccolo paesedella zona e dovrò organizzarlo in modo da trascorrereinsieme a te e ai ragazzi quattro o cinque giorni ogni dueo tre settimane.. San Jacobo non è proprio adatta a voi.Qui manca tutto: scuole, pronto soccorso, negozi, ecc.,senza contare che è veramente un brutto paese, come nonpotresti immaginare nemmeno. Chi, come me, è sempreoccupato in un lavoro molto coinvolgente, non ne risentetanto, ma chi deve semplicemente vivere in famiglia ecrescere i figli suppongo dovrà soffrire di noia enostalgia.

Mi manchi, tesoro mio. Mi manchi moltissimo. Noisiamo nati per vivere insieme, per completarci l’uno conl’altra. Stare separati è una condizione anormale, comeun’asola senza il bottone. Speriamo che questaseparazione duri solo pochi mesi ancora. Quando saraiqui con me la vita ci sembrerà più bella.

Ti troverai bene a Cartagena perché la gente dellacosta atlantica della Colombia è cordialissima, aperta alleamicizie, allegra: cantano e ballano sempre. Non avrei néil tempo, né lo spazio in una lettera, per raccontarti tuttele manifestazioni di amicizia che ricevo ogni giorno. Lepersone sono molto disponibili e pronte ad aiutartiquando notano che ti trovi in difficoltà. Rispetto agliamericani degli USA, sono molto più affabili e ti fannosentire più a tuo agio.

Bacia per me i bambini. Dì loro che li penso sempree che sento tantissimo la loro mancanza, che voglio che sicomportino bene, che studino molto. Sono lontano perchésto lavorando per voi tutti, perché voglio che non vimanchi mai niente.

Ti amo, ti amo, ti amo, ti amo con tutto il mio cuore.Antonio.

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VI

“Ecco i nostri amici italiani di ritorno da Cartagena”annunciò Esteban Martinez, un giovane avvocato egiornalista che faceva parte di quel gruppo di allegriamici che si riuniva spesso nella cantina.

“Come sono andati gli affari, Antonio?” chiese ilgiovane allevatore di bestiame Osvaldo Perez, alzandosiper salutarlo.

“Molto, molto bene” rispose Antonio soddisfattodell’accoglienza cameratesca che gli riservavano i nuoviamici. “Ho visitato quel tuo amico commerciante dilaterizi, Gutierrez. Ti invia tanti cari saluti e ti chiede diandarlo a trovare. Ho concluso un importante affare conlui. L’ho preferito, a pari condizioni, ad un altro, perché èamico tuo e sono sicuro che vorrà fare bella figura conte.”

“Tante grazie,” Osvaldo si sentì gratificato dallegentili parole di Antonio.

“Antonio, noi due dovremmo parlare di affari, ”esordì Leonardo Lopez, “ho pensato che potrei essertiutile: posso fornirti porte, finestre e qualunque altra cosain le. Li produco io stesso, qui a San Jacobo.”

“Bene Leonardo, mi fa tanto piacere. Dimmi quandovuoi che ti venga a trovare.”

“Se puoi anche domani. Io sono sempre in fabbrica.”“Mario, ti vedo stanco,” disse Esteban ridendo

“forse, Estercita di fa esaurire troppo?”“Virivì, Mario, ti sfruculeano.” Aggiunse Antonio in

dialetto, unendosi alla divertente presa in giro degliamici.

“Non parlare in italiano, ché noi non ti capiamo. Chesignifica virivì?” Fu Leonardo a parlare.

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“Non è italiano, Leonardo. Ho parlato nel dialettodel nostro paese. “Virivì” significa “vedi, vedi” e “tisfruculeano”, “si burlano di te”.

“Una birretta, amici?” chiese Esteban. “Sì grazie, molto volentieri. Oggi fa un caldo

soffocante e molto umido.” rispose Mario. “Si avvicinano le piogge. Vedrete come sono le

piogge qui nella zona equatoriale. Dei veri diluvi: dibreve durata ma di un’incredibile potenza..” aggiunseEsteban, e rivolgendosi verso il bancone chiese “Duebirre per gli amici.”

“Piove, governo ladro.” Scherzò Mario, traducendoil proverbio in castigliano. “Così si dice in Italia per dareal governo la responsabilità di tutti i mali.”

“Qui non si dice così, ma ci sarebbero mille motiviper dirlo. Il governo degli ultimi vent’anni haeffettivamente la colpa di tanti nostri mali. Se non sicambia finiremo in mezzo alla strada tutti quanti.” disseOsvaldo diventando serio improvvisamente. “Ilpresidente Rafael Nugnez vorrebbe cambiare tutta lapolitica, ma, come al solito, la Chiesa da una parte e ifederalisti liberoscambisti, dall’altra non gli permettonodi riformare niente. E’ proprio una disdetta.”L’espressione di Osvaldo denunziava la sua intimadelusione e, come per cancellare quel pensiero, bevvefino in fondo la sua birra e ne ordinò un’altra.

“Non parlare di quel voltafaccia di Nugnez: primaera liberal-radicale, ministro degli interni con ilpresidente Josè Maria Obando, poi ministro delle finanzecol presidente Manuel Maria Mallarino; dopo la guerracivile del 1860-62 nuovamente ministro delle finanze conil presidente Tomàs Cipriano de Mosquera. Allora tassavai beni della Chiesa e riformava in senso laicol’educazione, oggi invece, va a braccetto coi preti e vuole

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concludere con loro un Concordato.” si contrapposeEsteban Martinez che era l’esponente più prestigioso inSan Jacobo del partito radicale. “Il traditore vorrebbeaddirittura sostituire la Costituzione in senso unitario eabolire il federalismo. Questo non lo permetteremo mai.”

“Ma, parli sul serio, Esteban? Non ti rendi conto cheil federalismo sta smembrando il Paese?” risposeOsvaldo infervorato, mentre prendeva un altro bicchieredi birra dalle mani della cameriera. “Non ti rendi contoche gli Stati Uniti di Colombia, formati da nove Statifederati, ognuno con codici e leggi differenti, esercitipropri, moneta cartacea propria (con valore legaleesclusivamente nel proprio Stato), con burocrazieorganizzate in maniere diverse, non coordinate dalgoverno centrale, non possa più chiamarsi una Nazione.”

“D’altro canto, ” replicò Esteban Martinez, “checontavamo noi della costa atlantica, per capirci degli Statidi Bolivar, del Magdalena, del Chocò quando laCostituzione era unitaria? Niente di niente. Tutti i centridel potere risiedevano a Bogotà. o comunque nelleregioni andine, lontani da noi in tutti i sensi e coninteressi contrastanti con i nostri. Non facevanonemmeno lo sforzo d’ascoltare le nostre istanze, di capirele nostre necessità, di risolvere i nostri problemi.Eravamo tanto sconosciuti quanto una regione delVenezuela. Sai quanti presidenti della costa atlanticaabbiamo avuto dall’Indipendenza in poi, escludendoNugnez? Nessuno. Dopo tutto, loro sono montanari e noidella costa, loro di razza ispano-india, noi invece afro-spagnola, loro sono eternamente tristi e intransigenti, enoi sempre allegri e pacifici, loro vestono di lana nera,noi di cotone o lino bianco. La loro economia si basasulla coltivazione del caffè, la nostra sull’allevamento delbestiame e la coltivazione del tabacco e della canna da

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zucchero. Lo Stato federale è indispensabile, sicuramenteva corretto, trasformato, ma mai sostituito da uno Statounitario.”

Anche Osvaldo Perez volle dire la sua opinione. “E’vero, come dici tu, che Nugnez è nato federalista, ma si èreso conto che il sistema non funziona in Colombia. Perquesto lo vuole cambiare. Dopo la guerra civile del 1876-78 preferì spaccare il partito liberal-radicale vittorioso,anziché mantenersi fedele a un sistema politicofallimentare. Ecco perché noi conservatori loappoggeremo.”

“Quello fu un vero colpo di Stato, eliminò tutti iradicali dai posti chiave della nazione.” replicò Estebanin un tono di voce più alto e concitato. “A propositoOsvaldo, hai letto che cosa va scrivendo il tuo capoconservatore, Miguel Antonio Caro? Scrive, niente dimeno, che scopo dello Stato è quello di educaremoralmente l’uomo e servire il bene comune dellasocietà. Ma, ascolta bene che cosa aggiunge il grandeuomo: che, ciò che si deve considerare bene comune nonva definito dalla società civile ma dogmaticamente dallaChiesa, giacché la disciplina cattolica è la vera formanella quale Cristo ha voluto che sia applicato ilcristianesimo ai popoli per farli liberi e grandi”. Fece unabreve pausa per finire la sua birra e continuò: “Scriveanche che la Chiesa è un’istituzione trascendente diorigine divina, mentre lo Stato è un’istituzione terrena,pertanto fallibile e imperfetta. Per questo motivo MiguelAntonio Caro propone che l’educazione torni ad esseremonopolio della Chiesa e addirittura che tutti i libri ditesto, finanche quelli universitari debbano essereapprovati dalle autorità ecclesiastiche. Osvaldo, mi haisentito? Siamo tornati al medio evo, oppure, al secolo

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della controriforma? E, Nugnez oggi unisce le sue forze aquesto troglodita reazionario.”

“Esteban,” disse Leonardo:” Io ti voglio bene estimo la tua notevole capacità intellettuale, ma deviammettere che il liberismo economico applicato dairadicali, che ha eliminato tutte le imposte doganali, hadistrutto la nascente, ma debole industria nazionale. E’ovvio che i prodotti industriali europei o nordamericanisiano migliori e più a buon mercato, ma piano piano inostri stavano migliorando e alcune industrie si stavanomodernizzando con macchinari a vapore. Tutto inutile:sono fallite. Se fosse stato utile questo liberismoeconomico per vendere all’estero più tabacco, o fiori, ocarne o animali vivi, potremmo affermare che qualchesettore economico ci perde ma qualche altro ci guadagna.No, invece no. E’ tutta teoria. Sai che fanno quei fetentidi “gringos” di merda? Con il pretesto di evitare ilcontagio di malattie tropicali alle loro coltivazioni,proibiscono l’importazione dei nostri prodotti.”. Erivolgendosi ad Antonio gli chiese: “Tu che ne pensi?”

Antonio portò lentamente il suo bicchiere alla boccae bevve un lungo sorso di birra per prendere un po’ ditempo per riflettere. Non voleva compromettersi, manemmeno poteva esimersi dal dare un giudizio.Finalmente parlò, con calore.

“Da quel che ho capito finora, in Colombia ci sonotre partiti che possiedono tradizioni e visioni della societàmolto differenti. Non conoscendo la vostra storia né lavostra realtà non sono in grado di esprimere opinionipersonali.” Si fermò un momento guardando ad uno auno i suoi interlocutori, per riprendere con maggioresentimento nella voce: “Ciò che non capisco è, come maipretendiate di risolvere i problemi con le guerre civili,che mi sembrano una costante nella vostra storia. Vedete,

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io sono convinto che le guerre non risolvono cheraramente i problemi politici e sociali. Il vincitore di unconflitto non è necessariamente chi propone la soluzioneo la tesi più giusta. Il vincitore è soltanto il più forte, o ilpiù fortunato; e, secondo voi, potrà mai egli governaretranquillamente sapendo che il nemico, di sicuro, tramala riscossa o la vendetta? No! Deve aggrapparsi al poterecon fermezza e decisione e difenderlo a tutti i costi,anche con la forza, contro tutti, fino a quando il nemico,diventando più forte, non glielo strappa. Vi ricordatequello che nel medioevo veniva chiamato “il giudizio diDio”? Molte guerre furono scongiurate facendocombattere fra di loro solo i capi dei due eserciti, con laconvinzione che il Signore avrebbe concesso la vittoria aldepositario della verità. E’ chiaro che non è così, che talepremessa era utopica…ma molto più saggia: aveva ilgrande vantaggio di evitare il massacro di tanti poverisoldati innocenti. La violenza non risolve mai i problemi.Nell’intransigenza c’è il seme della violenza el’accettazione della violenza come metodo di soluzionedei problemi è un crimine verso l’umanità. Più di questo,amici, non posso dirvi.”

“Bravo, Antonio,” approvò con calore LeonardoLopez, che proseguì: “hai pienamente ragione. Il nostro,è un popolo appena adolescente e la democrazia, piùformale che vera, è retta da capi politici che sannoperfettamente che le dottrine economiche e politichehanno bisogno di tempi lunghi per affermarsi econsolidarsi e che prima di conseguire buoni risultatidevono subire continue correzioni. Essi però, hanno frettae preferiscono sovente ricorrere all’espediente dellaforza”. Così concluse Leonardo che aveva dovutointerrompere gli studi universitari di economia per

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dirigere l’azienda di famiglia, dopo la morte di suo padre,anche lui ucciso durante l’ultima guerra civile.

“Amici, non discutiamo più di politica. Noi cistimiamo molto e siamo consapevoli dell’onestàintellettuale di tutti noi. Non permettiamo che la nostraamicizia possa incrinarsi per colpa di problemi tantocomplessi e articolati che, in ogni caso, non possiamorisolvere noi personalmente.” propose Osvaldo Perez,alzandosi per andare via. Pagò la sua consumazione,salutò tutti con un cordiale sorriso, montò sul suo cavalloe andò via con passo lento. Gli altri rimasero pensierosivedendolo partire. Mario, che fino a quel momento nonaveva preso parte alla conversazione, si rammaricò:“Sempre la politica ad inguaiare tutto.”

La cameriera si avvicinò ad Antonio con incedereprovocante e gli chiese con voce volutamente flautata,“un’altra birra anche per te, italianito?“, mentre, nellosporgersi sul tavolo per raccogliere i bicchieri vuoti,intenzionalmente sfregò un seno sulla sua spalla.

“No, molte grazie. E’ quasi ora di ritirarsi” le risposeAntonio che la osservava per la prima volta. Appariva diuna bellezza volgare, per come era imbrattata dicosmetici e vestita di un abito lucido colore rosso lacca.Sicuramente senza tutti quei colori così generosamenteapplicati sul viso e con una veste meno appariscentesarebbe apparsa abbastanza bella.

A nessuno sfuggì il gesto della ragazza e ciò dettel’avvio ad una corale canzonatura nei riguardi di Antonio,il quale non era rimasto indifferente alla provocazione.La lunga astinenza incominciava a pesargli e non sapevacome risolverla. Esteban gli sussurrò all’orecchio: “Nonla giudicare una prostituta. Si vede che tu le piaci. Moltici provano senza risultato. Auguri….”

VII

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L’anno 1883 ormai volgeva alla fine. Era stato perAntonio un anno molto particolare: dal punto di vistaprofessionale, ricco di soddisfazioni, ma da quellosentimentale poco gratificante.

La prima villetta era stata ultimata e consegnata aJaime Andrade che era rimasto entusiasta della sua nuovacasa, felice anche perché non aveva dovuto spendere unpeso. Le spese iniziali erano state ragguardevoli, mamolto vicine ai calcoli previsti da Antonio: la costruzionedi una parte delle strade del futuro quartiere, gli alberiacquistati e piantati per abbellirlo, la canalizzazionedell’acqua e le spese sostenute per l’addestramento delpersonale, si sarebbero recuperate solo con le vendite avenire. Intanto, altri cinque contratti di vendita erano statifirmati, con consegna entro aprile dell’anno seguente e sierano anche incassati congrui anticipi.

Erano le sei del pomeriggio di una giornataestenuante, non tanto per la notevole mole di duro lavoroche Antonio aveva eseguito, ma per i contrasti e lediscussioni che aveva dovuto affrontare con RobertoPaez e altri due operai in combutta col primo.Contrariamente al suo temperamento tollerante eindulgente, aveva dovuto assumere un atteggiamentorigoroso e intransigente verso di loro. Il Paez eraindubbiamente un individuo intelligente, le cui notevolicapacità creative Antonio riconosceva e apprezzava, manon poteva tollerare il suo comportamento prepotente eindisciplinato mirato a sminuire la sua autorità.

Camminava sulla strada infocata e meditava se nonfosse il caso di acquistare un cavallo per spostarsi piùfacilmente, come facevano solitamente tutti. Pensava alcosto, alla necessità di inviare periodicamente denaro a

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Michelina e al fatto che non avendo dipendenti al suoservizio, sarebbe stato molto faticoso doversi occuparepersonalmente della pulizia e dell’alimentazionedell’animale. Fortunatamente non esistevano grandidistanze da superare nel paese… “Non pensiamoci più”,disse a se stesso.

“Buenas tardes, Antonio. Come è andata lagiornata?” chiese Sara, alzandosi dalla sedia a dondoloper dirigersi in cucina.

“Non bene. Ho un operaio, un certo Roberto Paez,che mi dà molto da fare per la sua indisciplina edisubbidienza alle mie direttive. Devo armarmi dicoraggio e risolvere il problema drasticamente.” risposeAntonio più che altro a se stesso, sbuffando sonoramente.

“Va a farti la doccia e cambiati quei panni sudati.L’acqua è un vero toccasana contro il malumore. Framezz’ora si cena, oggi ti ho preparato un ottimo riso conpollo, platano fritto, e un’insalatona come piace tanto ate. Ti va una birra?”

“Ottimo, sì che mi va una birra.” Risposerinfrancato.

Si avviò verso la sua camera per prendere labiancheria pulita. Chiuse la porta e si levò la camicia e lacanottiera che lasciò cadere per terra. Teresita bussò allaporta con il bicchiere di birra in mano. Prima di aprireAntonio si coprì le spalle con un asciugamano che perònon nascondeva del tutto la sua possente muscolatura delbusto e delle braccia. L’aspetto atletico del corpo e il visodolce, sempre rasato, gli conferivano un aspetto moltoattraente, ma erano i suoi luminosi occhi verdi chefacevano innamorare le donne. Anche Teresita sentiva perlui una struggente attrazione e senza farsi notare, loseguiva in tutti i suoi movimenti, con occhi incantati.Spesso lo spiava sbirciando attraverso le porte socchiuse,

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quando lavorava nel suo studio, o quando riposava sedutosulla poltroncina di vimini in camera sua. Questa volta,Teresita sentì un forte fremito che sconvolse tutti i suoisensi. Un evidente rossore le colorò le guance mentre glioffriva il bicchiere, sorridendo maliziosamente. Antoniorispose al sorriso con un “grazie, Teresita” moltocordiale, ma privo di messaggi d’alcun genere.

“Sai Antonio, che fra un paio di settimane compiosedici anni?”

“Non lo sapevo. Devo pensare a farti un bel regalo.” “So io quale regalo vorrei.” “Dimmelo, così mi eviti di pensare a sceglierlo.” “Non te lo dico. Pensaci tu….ma quello che io

preferirei non ti costerebbe niente.” disse Teresita mentreusciva dalla stanza ridendo.

Antonio rimase pensieroso. Chissà che aveva volutodire Teresita con quelle ambigue parole. Bevve la birra esi avviò verso la doccia. Una volta dentro incominciò acantare una dolce canzone napoletana, mentre l’acquarinfrescava e puliva la sua pelle:

“Quant’è bella a muntagna sta notte” “bell’accussì nun l’aggio visto mai….” Improvvisamente, come un fulmine, gli entrò nella

coscienza il sospetto che quel sorriso e quel parlare diTeresita fossero messaggeri di una velata dichiarazioneamorosa e di un invito che lui non avrebbe potutoaccettare. Ad Antonio non era sfuggita la trasformazioneavvenuta nel corpo di Teresita. In quei pochi mesi eradiventata una splendida ragazza, come un bel bocciolo dirosa appena aperto. Si evidenziava in lei l’unione dimolte razze: era alta e sottile, con un personale assaiarmonioso e ben formato: aveva una delicata pellebronzea, serici capelli castani scuri un po’ ondulati, occhi

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colore nocciola chiaro un po’ a mandorla, naso dritto epiccolo e labbra carnose..

Antonio finì di lavarsi, si asciugò, si vestì di fresco eraggiunse la sua camera, dove si chiuse per meditare albuio, sdraiato sul letto. Certo, questa era unacomplicazione alla quale non aveva pensato giacchéaveva sempre considerato Teresita una ragazzina, ma nonpoteva negare che anche lui, qualche volta, l’avevafissata con ammirazione. Decise di stare molto piùattento al suo comportamento per non alimentare nellagiovane false speranze.

Durante la cena parlò poco e subito dopo, con unpretesto, si ritirò in camera sua a meditare sulcomportamento che avrebbe dovuto assumere con glioperai all’indomani. Gli sembrava di intuire che il Paezstesse studiando le sue reazioni, perché evidentemente,aveva confuso la gentilezza con la debolezza. Forse eraabituato ad essere trattato in maniera dura, dall’alto inbasso; ma non era quello lo stile d’Antonio, il qualeaspirava piuttosto ad avere collaboratori, non dipendenti.La soluzione doveva cercarla attraverso un chiarimentoserio e definitivo.

Il giorno seguente anticipò il suo arrivo al cantiereper invitare tutti gli operai ad ascoltare quanto aveva dadire. Quando l’ultimo di loro fu arrivato, Antonio salìsopra un palchetto e fissandoli a uno ad uno, esordìdicendo: “Desidero, per piacere, un po’ di attenzione e disilenzio. Dovete sapere che io lavoro nel settore dellecostruzioni da vent’anni. Ho svolto il mio lavoro prima inItalia, poi nella città di New York e vi assicuro, hoacquistato una grande esperienza. Non confondete i mieimodi cortesi con la soggezione o la debolezza. Quandodo un ordine, pretendo che sia eseguito senza discutere.Ciò non vuol dire che mi rifiuterei di ascoltarvi se voleste

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suggerirmi un’idea originale, su come eseguire un lavoro;al contrario, sarei felicissimo di imparare qualcosa dinuovo. Questi suggerimenti però, li voglio prima del mioordine, non dopo. Questo vale per tutti. Non tolleroperdite di tempo e tanto meno che qualcuno vogliasostituirsi a me. Chi non vuole assoggettasi a questaprocedura è libero di andar via, io non lo tratterrò. Sonosicuro che perderebbe più lui di me. In nessuna parte diSan Jacobo sarebbe pagato quanto noi paghiamo, nésarebbe trattato gentilmente, da cristiano, come noi siamoabituati a fare. Paez, questo vale anche per lei. Mi dica, èd’accordo?” Nessuno fiatò, nemmeno Paez: “Allora, allavoro, amici.”

Le parole ferme ma pacate d’Antonio sortirono uneffetto sorprendente. Gli operai si resero conto di esserediretti da un capo che sapeva il suo mestiere, che nonaveva paura di nessuno, e che non si limitava a dareordini ma che lavorava accanto a loro e quanto loro,interessandosi, non formalmente, ma per amicizia, ai loroproblemi. Il rispetto e l’ammirazione furono condivisi datutti ed il lavoro riprese più sereno e produttivo.

In Paez, Antonio trovò, col tempo, un ammiratore eun collaboratore prezioso con il quale si consultava ognivolta che doveva risolvere un problema che riguardasse idipendenti.

Paez, per piacere, mi dia un consiglio, lei checonosce bene la mentalità della gente di San Jacobo.”

“Mi dica Don Antonio.”“Lei avrà notato che ogni lunedì cinque o sei operai

non si presentano al lavoro perché sono reduci difenomenali sbronze domenicali. A causa di ciò, moltevolte abbiamo dovuto rimandare alcuni lavori, ancheurgenti, per l’assenza degli operai addetti. Questiinconvenienti hanno un costo molto alto per l’azienda.”

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“E’ vero. E’ un brutto vizio.”“Eh già, ma il peggio è che le loro donne vengono a

lamentarsi con me, perché i mariti spendono buona partedel loro salario nella cantina e portano a casa soldiinsufficienti a mantenere i figli e mi chiedono anche diconsegnare direttamente a loro parte del salario. Secondolei, posso farlo?”

“Il salario è di chi lavora non delle mogli. Io nondarei ascolto a queste richieste.”

“E allora che cosa possiamo fare? Io non vogliolicenziare nessuno.”

“Don Antonio, la causa dei due problemi è il vizio diubriacarsi. Anche a me piacciono un paio di “traguitos”(sorsetti) con amici, la domenica, ma solo due! Seriuscissimo a convincerli che rischiano di perdere il postoavremmo risolto ogni problema. Allora, io consiglierei didare un premio in denaro, ogni fine mese, agli operai chenon si siano assentati dal lavoro nemmeno un giorno eminacciare di licenziamento quelli che abbiano disertatoil lavoro due lunedì nel mese.”

“Grazie del suggerimento. Anch’io avevo pensato aduna soluzione simile. Credo che valga la pena di provare.Vorrei anche offrire una bella festa al personale e alleloro famiglie con pranzo, birra e guarapo per i bambiniogni volta che ultimiamo una villetta. Che ne pensa?”

“Sarebbe bello. S’immagina l’invidia di tutto ilpaese?”

La prima festa fu organizzata in occasionedell’ultimazione della seconda villetta, la domenicaprima del Natale, con pranzo cucinato nell’osteria, birraper gli adulti e “guarapo” (bibita ottenuta dallaspremitura della canna da zucchero e succo di limone

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diluiti in acqua) per i bambini. La festa, rallegrata dal triomusicale “Los Rancheros”, che si esibiva nell’osteriaogni domenica, conquistò la fantasia dei dipendenti che,per la prima volta nella loro vita, si sentirono partecipidei destini di un’impresa. Antonio aprì le danze con lamoglie di Paez che si pavoneggiò durante tutta la festaper l’onore concessole. Anche Mario prese parte attivaallo svolgimento della festa e una fugace apparizione lafecero anche Alfonso e Maria Fierro. Ormai AntonioPotenza aveva conquistato la simpatia dell’intero paese,che lo considerava l’amico di tutti, dei ricchi e deglioperai, senza distinzione di credo politico, né di razza.

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VIII

“Scusa, Antonio, io non voglio intervenire nelledecisioni che ti competono, ma non hai mai pensato che idenari che spendi in pranzi e feste per gli operai, sonosoldi che farebbero parte dei nostri guadagni?” ChieseAlfonso che, come tutti gli altri ricchi del paese,conosceva solo un modo di trattare quella “gentarella”: adistanza, freddamente e che nemmeno nascondeva uncomportamento razzista.

“A prima vista, è come dite voi,” replicò Antonio,cercando di non offendere la suscettibilità dell’amico.“Non così nei conti. Vedrete a fine mese, quando vipresenterò la consueta relazione, il notevole risparmio intermini di ore lavorative, e quindi di costi di manod’opera che abbiamo ottenuto negli ultimi due mesi.Vedete, non ho mai avuto in vita mia operai più entusiastidi questi e, sapete perché? Sono orgogliosi di collaborarealla costruzione di qualcosa d’importante per l’interopaese e, si sentono protagonisti di ciò perchè i loro datoridi lavoro lo dimostrano concretamente, di fronte a tutti ein presenza delle loro mogli. Se il ritmo di lavoro nondiminuirà, le altre villette già vendute potranno essereconsegnate con un mese d’anticipo e ciò significa per levostre finanze un alleggerimento non indifferente.Dovreste anche sentire che dicono di voi nel paese, viconsiderano un esempio d’imprenditore illuminato.Alfonso,” concluse solennemente il discorso, “trattarequeste persone con simpatia e generosità è uninvestimento molto redditizio”.

Antonio non comprendeva che significato potessemai avere essere razzista in un paese come San Jacobodove di bianchi, veramente bianchi, vi erano solo

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pochissimi esemplari: l’inglese, i tre italiani, quattro ocinque libanesi, un portoghese e una decina di andalusiarrivati negli ultimi dieci anni. Il resto della popolazioneera indistintamente tutta caffellatte: chi più caffè, chi piùlatte, sebbene, l’appartenenza ad un gruppo razziale nondipendesse soltanto da un fatto cromatico, ma anche disoldi: fra due mulatti, era considerato più bianco quellomeno povero.

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IX

Antonio aveva regalato a Teresita in occasione delsuo compleanno un bellissimo anello d’oro con unosmeraldo non grandissimo, ma di ottima qualità. Incambio aveva ricevuto un bacio molto vicino alle labbrache produsse in lui un effetto conturbante. Vennero afesteggiarla una ventina d’amici. Uno di essi, Carlos, ungiovane di circa vent’anni, alto, dai capelli nerissimi eondulati e con baffetti curatissimi, la corteggiava conevidente passione. Si vedeva a mille miglia che era moltoinnamorato di lei. Il giovane suonava molto bene lafisarmonica e cantava, con voce colma di sentimento,commoventi canzoni d’amore, guardando fissamentenegli occhi Teresita che civettava con lui da femminaesperta. Le ragazze invece giravano tutte attorno adAntonio assumendo atteggiamenti di donne vissute.Alcune erano proprio begli esemplari della loro razza,con corpi splendidamente modellati. Gli amici avevanoportato anche il trio musicale e iniziarono a ballare leallegre musiche caraibiche.

Antonio aveva preferito sedersi in giardino a parlarecon Sara. La sera era fresca per le brezze checaratterizzavano la stagione e la penombra, appenamitigata da due lanterne appese agli archi della loggetta,creava un’atmosfera intima e gradevole. Le ragazze loraggiunsero anche là per invitarlo a ballare, e la stessaSara lo invogliava a divertirsi.

“Via, Antonio, non fare il vecchione. Sei tantogiovane, divertiti anche tu. Non vedi che le ragazze tivogliono? Non deluderle.” L’animo di Antonio eracombattuto fra il desiderio di divertirsi e la paura disentirsi fuori posto. Per non mostrarsi scortese accettò di

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ballare con una bella brunetta alta e formosa al puntogiusto, sicuramente molto più adulta delle altre. Questa sistrinse a lui con intenzioni che non davano adito adubbi. .

“Ti chiami Antonio, vero?”“Si, e tu come ti chiami?”“Mi chiamo Celia. Lo sai che sei molto popolare fra

noi ragazze di San Jacobo? “ “Mi sorprende perché rispetto a voi, io sono ormai

vecchio. Siete così giovani…. E belle, molto belle. Comete” Rispose Antonio tentando di rispolverare le ormaideposte tattiche amorose di un tempo.

“Questo lo dirai a tutte, scommetto. E poi, ti piacepassare per uomo maturo per pura civetteria. Fossero cosìforti e muscolosi i ragazzi che stanno qua con noi….”

Ballarono insieme diversi valzer lenti di seguitosempre scherzando con sottintesi inviti amorosi.

“Fammi sentire quanto sei forte.” disse Celiastringendosi ancora di più a lui.

“Attenta, Celia. Non mi provocare troppo ché nonsaprei rispondere di me. Io non conosco i vostri costumi equindi non vorrei comportarmi in maniera sconveniente.”

“Puoi stare tranquillo. Non ho niente da perdere. Miaccompagni in giardino?” Lo invitò spingendolodelicatamente per il braccio.

Uscirono in giardino dove Sara non c’era più,evidentemente si era ritirata in camera sua. Siaddentrarono fra le piante e lì, al buio, si baciaronoansimando d’eccitazione. Senza essere visti, Antonio lacondusse nella sua camera. Una decina di minuti piùtardi, rientrarono nel soggiorno dove le danzecontinuavano con motivi più lenti e sdolcinati. Teresitastava ballando ancora con il suo spasimante. Quando finì

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la canzone, si avvicinò ad Antonio e lo costrinse a ballarecon lei.

“Non ti vedevo. Ti sei appartato con Celia?” Glichiese quasi adirata.

“Si. E’ una donna molto bella.” Indispettita, Teresitasi separò da lui per rifugiarsi fra le braccia di Carlos.

Antonio ballò anche con altre ragazze, senzaeccessivi entusiasmi. Era molto dispiaciuto per averdovuto deludere Teresita e procurarle quel dolore.Finalmente, gli amici si accomiatarono. Celia gli sussurròall’orecchio che sarebbe andata a visitarlo al cantiere, aconclusione del lavoro. Antonio chiuse la porta, spense lecandele e le lanterne e si sedette sulla poltroncina divimini a prendere il fresco della notte in giardino. Ad untratto, sentì che Teresita era uscita dalla stanza e siavvicinava a lui nell’oscurità della notte. Indossava unaleggerissima camicia da notte che le copriva senzanascondere le splendide forme da poco sbocciate. Nelcamminare, i suoi seni si muovevano ritmicamente e unleggero sudore incollava l’indumento al corpo,disegnando chiaramente le provocanti forme del teneroventre. Antonio dovette farsi forza per non alzarsi dallapoltroncina e abbracciarla ebbro di desiderio.

“Non ti arrabbiare Antonio.” disse, vedendolocontrariato. “Tu sai che io sono innamorata di te e chesoffro molto per la tua indifferenza….”

“Credi veramente che io sia indifferente alla tuagiovane bellezza? Anzi, sono follemente attratto da te,ma non devo fare cose di cui mi pentirei domani.”

“Perché dovresti pentirti? Io non pretendo niente.Desidero solo essere amata da te.” E si avvicinò a lui, gliprese la mano destra che condusse sopra il suo seno.“Senti come batte il mio cuore?”

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Lui ritirò la mano di scatto e la redarguì con voceferma ma dolce:

“Teresita, io sono un uomo sposato e, oltre tutto, hoil doppio della tua età. Sei ancora troppo giovane. Nonposso, né voglio farti del male.”

“Ma con Celia si. Perché?”“Primo, perché lei è già adulta e, secondo, perché a

lei non voglio bene e so che sarà un’avventura senzaconseguenze. Con te non sarebbe così. Ti farei un gravetorto.”

Teresita si ritirò nella sua stanza piangendo.

Antonio rimase sconcertato: non sapeva comegiudicare il proprio comportamento di quella sera. Eranotrascorsi tanti anni da quando la parola amore era per luiun sinonimo di Michelina. Solo sua moglie avevaoccupato il suo cuore, tutto intero, senza lasciare spaziper altri amori. Mai più aveva guardato altre donne coninteresse, nemmeno alcune bellezze nordamericane,bionde sofisticate che invano avevano cercato di sedurlo.Si sentiva felice unicamente accanto a Michelina; bastavache la guardasse nei suoi sorridenti occhi neriprofondissimi, perché in lui svanisse ogni malinconia, esparissero prontamente, come etere a contatto dell’aria, lesue stanchezze e preoccupazioni. Bastava una leggeracarezza di lei che il suo cuore subito partiva in unafrenetica danza di mazurca. E allora, che gli era successoquella sera? Perché aveva accettato l’invito di Celia? Glipiaceva molto quella giovane. Aveva solo ventidue annied era dotata di un viso allegro ed espressivo nonché uncorpo flessuoso e provocante, da gattina desiderosa disesso. Quando lei lo abbracciò per ballare un valzer lento,Antonio avvertì la morbidezza dei suoi abbondanti seniche si schiacciavano contro il suo torace e le sue gambe

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che nei passi della danza cercavano il contatto col sessodi lui, affamato dalla lunga astinenza. Che pretendeva dasé stesso? Chissà quanto tempo ancora doveva aspettareper riunirsi a Michelina…e la forzata astinenza sessualeincominciava ad ossessionarlo. Celia non gli avevachiesto amore, sapeva che era sposato e non le importavaniente. Gli aveva confessato che era come affascinata dalui, dai suoi modi gentili e signorili e dalla perfezionedella sua possente muscolatura che rivelava forza evigore fisico. Ragionandoci sopra, Antonio sentiva di nonstare tradendo la sua amata mogliettina, anzi semmai ilcontrario, stava scongiurando un tradimento vero: se sifosse innamorato della tenera e sensibile Teresitasicuramente sarebbe stato coinvolto anchesentimentalmente.

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CAPITOLO TERZOI

Per le attività lavorative di Antonio, tutto l’anno1884 trascorse senza importanti novità. Il lavoro avevadato i risultati previsti: l’intero paese stava vivendo unperiodo di relativa prosperità, in buona parte dovuta allanuova iniziativa edilizia della società Fierro & Potenzache non solo aveva creato molti nuovi posti di lavoro, maaveva fatto nascere tante nuove imprese indotte. Anche lapiccola industria di Leonardo Lopez si era dovutaingrandire. Le costruzioni continuavano a pieno ritmo:erano state consegnate dodici ville e altre cinque erano infase d’ultimazione. I soldi anticipati da Alfonso ormaierano rientrati, e si lavorava con gli anticipi ricevuti almomento delle prenotazioni e con parte degli utiliconseguiti. Nel paese non esisteva un rione bello efunzionale come “Las delicias” (quello era il nome datoal nuovo parco costruito da Antonio). Oltre alla graziadelle villette, erano il manto erboso, le aiuole, gli alberiche stavano crescendo, a dare un tocco di leggiadria edeleganza all’intero complesso.

.Le elezioni presidenziali del 1884 erano state vinte

dal candidato liberale moderato Rafael Nugnez,appoggiato dai conservatori di Miguel Antonio Caro e delGen. Marceliano Velez, avendo egli conquistato lamaggioranza in sei dei nove Stati che componevano laFederazione Colombiana. Il candidato dei federalisti,Solon Wilches, non si rassegnava a cedere il potere alvincitore perché era convinto che sarebbe statol’annientamento definitivo degli ideali radicali. Nugnezaveva promesso agli elettori una nuova Costituzione cheavrebbe messo la parola fine all’esperienza federalista

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durata venticinque anni. Al posto di essa, avrebberifondato una nuova Repubblica di Colombia intorno aun centralismo politico appena attenuato da undecentramento amministrativo, non meglio definito.Aveva promesso anche un programma di riforme al qualeaveva pomposamente dato il nome di Regeneraciòn(rigenerazione).

Malauguratamente, negli ultimi mesi dell’anno lasituazione politica nazionale stava prendendo unabruttissima piega. Eserciti irregolari, organizzati econdotti da deposti generali appartenenti alle file radicali,si confrontavano in continue scaramucce con l’esercitogovernativo. In molte occasioni attaccavano eoccupavano militarmente gli indifesi comuni di interivasti territori, specialmente nelle tranquille regioni dellacosta atlantica. Niente poteva risultare più rovinoso per icommerci e i trasporti delle merci. I materiali acquistatida Antonio a Cartagena subivano ritardi nelle consegne, avolte anche d’intere settimane, impedendogli dimantenere fede alle date di consegna delle villette in fased’ultimazione. Antonio reputò meno rischioso e anchemeno costoso sospendere l’inizio di nuove costruzioni.Un’ennesima guerra civile stava per insanguinare laColombia.

La guerra, scoppiata formalmente all’inizio del1885, sarebbe risultata, forse, la più sanguinosa fra quelleche avevano martoriato il popolo colombiano dal 1830,anno dell’indipendenza dalla colonia spagnola, in avanti.

In verità, nessuno si chiedeva quali vantaggi avrebbepotuto trarre la quasi totalità della popolazionecolombiana dall’essere amministrata da una Repubblicaunitaria, anziché da una federazione di Stati “sovrani”.La risposta giusta sarebbe stata: nessun vantaggio,assolutamente nessuno. Solo un’esigua minoranza della

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popolazione sapeva leggere e scrivere, e da nessungoverno il cittadino analfabeta poteva (né può) sperare diavere qualche beneficio. Le guerre in quei paesi digiovani autonomie politiche, venivano in praticacombattute da poveri contadini affamati, che accettavanodi rischiare la vita nella speranza del soldo e deisaccheggi che spesso concludevano battaglie vittoriose.

Ogni tanto, arrivavano notizie allarmanti di stragi dicittadini innocenti nei villaggi e nei paesi occupati dalletruppe nemiche; d’interi paesi dati alle fiamme dopoessere stati saccheggiati; di morti lasciati marcire perterra con la lingua costretta ad uscire, come se fosse unamacabra cravatta, da un taglio inferto sotto il mento…ASan Jacobo ormai nessuno usciva dopo il tramonto.Anche fra gli amici d’Antonio e Mario non regnava piùquell’armonia, né quel rispetto, e tanto meno quella stimache fino a pochi mesi prima li univa.

Molti cittadini di San Jacobo avevano abbandonato ilpaese per arruolarsi nelle varie truppe cheguerreggiavano nella regione e, come sempre accade,alcuni profittavano della situazione per commettereomicidi che nulla avevano in comune con la lottapolitica. Le persone che sapevano di avere dei nemici,prendevano quello che potevano trasportare facilmente efuggivano dal paese, da soli oppure addirittura conl’intera famiglia. Anche fra alcuni operai d’Antonioserpeggiava l’odio. Un odio che sicuramente aveva radicilontane, nel passato e che erroneamente si credeva ormaisepolto definitivamente. Queste povere persone ignorantiparteggiavano o per i conservatori, o per i liberali, o per iradicali senza conoscere realmente quali differenze idealio pratiche dividessero questi partiti. L’appartenenza a unpartito aveva inizio al momento della nascita, come lemalattie ereditarie e il DNA. Era sorprendente

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l’accanimento che dimostravano nel difendere unaparola, un nome, il cui significato gli era del tutto ignoto.

Tutto il territorio attorno a San Jacobo era diventatoun vasto campo di lunghe e durissime battaglie. Ciòconvinse Antonio che era più saggio e convenientededicare tutto l’impegno lavorativo a rifinire econsegnare le villette già iniziate, per incassare in moneted’oro, come convenuto nei contratti, il saldo di quantopattuito.

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II

Verso la fine di aprile del 1885, a notte ormaiinoltrata, Alberto Osorio bussò furtivamente alla porta dicasa Conte, che ospitava Antonio. Nel paese si sentiva uninsolito subbuglio. Alcune persone si sentivanoconfabulare a bassa voce negli antri più bui delle strade,fra una casa e l’altra; discutevano fra di loroconcitatamente e poi si separavano in fretta, e a cavallos’instradavano verso le strade che portavano a oriente, indirezione del fiume Magdalena.

“Antonio c’è Alberto Osorio all’ingresso e ti chiededi riceverlo. Posso farlo passare?” domandò Sara, dafuori la porta della camera di Antonio che già dormiva.

“Grazie Sara. Si, certamente, fallo entrare, è un miobuon amico.”

“Entra Alberto”. Antonio lo accolse nel suo studio.“Aspetta che accenda le candele” gli disse, notando cheportava con sé un pesante pacco che aveva scaricato dallagroppa del suo cavallo.

“No, lascia stare.” Lo interruppe Alberto. “Scusami,non volevo, ma è meglio così, al buio.” Gli offrì la manoin segno di saluto. Era tutta sudata e priva di vigoria.S’intuiva che era terrorizzato. Il viso sembrava lamaschera della paura ed era scosso da leggeri tremitiAntonio, preoccupato, gli chiese:

“Come mai una tua visita a quest’ora insolita?” Alberto Osorio era un uomo sulla sessantina, basso e

obeso, al quale Antonio aveva costruito la villa piùgrande e lussuosa di “Las Delicias”. Sin dal primoappuntamento si era dimostrato disponibile a permetteredi convogliare verso il nuovo rione parte dell’acqua deltorrente che scorreva sulla sua proprietà . La loro

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amicizia si era ulteriormente consolidata in occasione deiripetuti contatti avuti per concordare le finiture e gliabbellimenti da apportare alla sua nuova casa.

“Antonio, non so come incominciare: ho da chiedertiun immenso favore che solo tu mi puoi fare.” Si fermò unmomento per asciugarsi il capo abbondantemente sudato.

“Se posso…. dimmi di che si tratta.”“Sai che sono notoriamente riconosciuto come capo

del partito conservatore qui a San Jacobo e, purtroppo, letruppe del generale radicale Gaitan Obeso si dirigonoverso il paese ed arriveranno al più tardi fra un paio digiorni. Noi non siamo preparati ad affrontarli:disponiamo di pochi soldati male armati e non abbiamonemmeno uno stratega militare che possa organizzare ladifesa del paese. Come tu sai, il sindaco è sì un liberalemoderato, ma io non ho alcuna fiducia in lui. Sono sicuroche non difenderà la città. Le truppe nemiche entrerannosenza sparare un solo colpo e temo che possano uccideree saccheggiare tutto.” Si fermò un momento a pensare leparole che doveva dire e, prendendo le mani di Antoniofra le sue , continuò.

“Antonio, promettimi che quello che ti dirò resteràfra te e me e, anche se non potrai o vorrai favorirmi, nulladirai mai ad altri.”

“Ti prometto di non confidare a nessun ciò che haida dirmi.” disse solennemente Antonio.

“Grazie. Allora, ascoltami bene. Io lascerò questastessa notte San Jacobo; con me verranno tanti altri amiciconservatori e liberali di Nugnez per unirci alle truppe diun colonnello agli ordini del generale Marceliano Velez.Non ti dico altri particolari perché in momenti comequesto è meglio non essere a conoscenza di segretimilitari. Noi confidiamo di poter ritornare assai presto a

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San Jacobo per ricacciare i radicali che sicuramenteoccuperanno il paese.

“Non capisco in quale modo io possa esserti utile.”dichiarò Antonio allarmatissimo.

“Ecco, nel sacco che ho qui con me, si può dire chevi sia tutto quanto io possieda, oltre al bestiame che sonofinora riuscito a salvare, avendolo spostato lontano daiterritori occupati dai radicali. Non lo posso portare conme e nemmeno lasciarlo incustodito in casa mia. Nelpaese, l’unica persona stimata e rispettata da tuttiindistintamente, da poveri e ricchi, liberali, radicali oconservatori che siano, sei tu. Non sei colombiano, staiqui da poco tempo e non hai nemmeno una casa tua.Nessuno sa se hai o non hai denaro. Da te non verrà mainessuno. Ti scongiuro, nascondi tu questo mio sacco ecustodiscilo. Nel malaugurato caso che mi succedaqualche disgrazia e lasci prematuramente questo mondo,quando tu lo reputerai opportuno, lo darai a mia moglie.Lei non sa niente, nemmeno che lo sto affidando a te”,pronunciò le parole tutte di un fiato.

“Maronna santissima.” esplose Antonio in padulese.“Mi chiedi un favore di grande responsabilità. Ti prego,non mi chiedere tanto… Permettimi di esimermidall’accettare.”

“Antonio, solo tu puoi salvare la mia famiglia. Tiscongiuro. Ti sarò riconoscente per tutta la vita. Chiedimiqualunque cosa e ti esaudirò.” Alberto quasi piangeva. Imuscoli del viso erano contratti oltre ogni dire e la venasopra l’occhio sinistro era diventata turgida.

“Non è questo. E, se mi derubassero? Oppure,s’impossessassero dei tuoi soldi? Come farò a convincertiche non sono stato io ad approfittare di te.”

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“Non ne saresti capace. Tu sei una personaveramente onesta. Non lo faresti mai, lo so.” Alberto loguardò con occhi supplichevoli.

“Non posso, non chiedermi un favore cosìrischioso,” replicò Antonio, mentre nella sua mente siinsinuò il pensiero della figura di Nicola Avitabile chetante volte aveva portato a Michelina il frutto delle suefatiche, correndo rischi simili a quelli che egli stavarifiutando all’amico. A questo punto capitolò.

“Va bene Alberto. Ascoltami attentamente: prima ditutto, sei sicuro che nessuno ti abbia visto venire qui dame?

“Si. Sono sicurissimo giacche non sono venutodirettamente, ho fatto alcuni giri viziosi per non dareall’occhio.” Rispose un po’ rasserenato.

“Allora, facciamo così: è buio pesto e credo chenessuno ci potrà vedere. Usciamo come per andare alcesso. Dietro di esso ho piantato alcuni alberelli che,appena saranno cresciuti un po’, dovranno esseretrapiantati a “Las Delicias” Aiutami a interrare il tuosacco. Solo noi due sapremo dove stia.”

“Meglio che io non lo sappia.”“Ti sbagli: anche a me può succedere una

disgrazia…Aspettami qui, vado a vedere se possiamoagire liberamente.” Uscì dall’ufficio per controllare se ledonne dormissero. Dal respiro pesante dedusse cheeffettivamente non potevano essere sentiti. Ritornò suisuoi passi, e senza parlare fece cenno ad Alberto diseguirlo con il sacco che sicuramente conteneva moneted’oro. Dietro al cesso, una ventina di alberelli non più altidi due metri erano stati piantati di recente.

“Scaviamo una fossa vicino a questo alberello di“ciruelas”, disse sussurrando. Prese due vanghe da unporta attrezzi e incominciarono a scavare di buona lena

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nel massimo silenzio. Dopo un quarto d’ora la fossa fucompletata. Deposero il sacco a circa settanta centimetridi profondità e lo ricoprirono. Per finire innaffiarono ilterreno per mimetizzare il lavoro.

“Ecco fatto. Adesso affidiamoci al buon Dio. Aquesto punto anch’io devo chiederti qualcosa. Procuramiuna pistola e una scatola di munizioni. Devo essere ingrado di difendermi.”

“Prendi questa mia e queste munizioni. Non sonomoltissime ma ti auguro di non doverle mai usare.” disseAlberto consegnandogli l’arma che aveva con sé. “Tiringrazio di cuore. Mi hai salvato. Ti sarò debitore pertutta la vita. Grazie. Grazie.” Lo abbracciò, battendogli lapalma della mano delicatamente dietro le spalle, gestoche in America Latina sostituisce il bacio fra uomini.Tornarono guardingamente all’ingresso della casa e sisalutarono. Alberto scappò via in groppa al suo cavallo.

Antonio cercò di riposare ma non ne fu capace.Fuori, si udivano ancora cavalieri in fuga e perfino, unapiccola mandria di bovini che instradavano verso il suddel paese. Antonio era seriamente preoccupato per Marioe la sua famiglia e, si ripromise di recarsi all’alba allaloro casa per offrire il suo aiuto, se fosse stato necessario.

Non era passato nemmeno un quarto d’ora che udìqualcuno chiamarlo sottovoce da fuori casa. Si buttò dalletto e andò ad aprire. Era Osvaldo Perez, armato fino aidenti.

“Fammi entrare, ti prego. Ti devo parlare.”“Che fai a quest’ora fuori casa?”“Mi devi fare un favore” esordì Osvaldo,

mostrandogli un pacchetto piccolo ma pesante. “Devopartire questa sera stessa e solo in te ho fiducia. Se nontornassi più restituiscilo a mia moglie. Scusami e tantegrazie.”

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“Che dici, Osvaldo? Non mi dare questaincombenza. Ho capito di che si tratta, è molto rischioso,cerca di capire.” pregò Antonio.

“Cerca di capire tu, non ho alternative.” DisseOsvaldo depositando il pacchetto nelle mani d’Antonio efuggendo via al galoppo del suo cavallo.

Anche il pacco d’Osvaldo trovò un nascondigliosotto un albero; di “mango” questa volta.

Di ritorno dal lavoro di scavo, trovò Sara e Teresitaalzate, che lo aspettavano impaurite davanti alla suacamera. “Che vi succede, come mai sveglie?”

“Non mi dire che non hai sentito il trambusto che c’ènel paese. Sai che sta succedendo? E tu dove stavi?” Glidomandò Teresita rifugiandosi impaurita fra le suebraccia.

“Calmati, Teresita. Anche io so poco, si tratta delletruppe dei radicali che alcuni dicono che siano a un paiodi giorni da San Jacobo, ma è improbabile che entrino nelpaese. Mi ha svegliato una mandria che è passata proprioqui davanti e ho approfittato per andare in gabinetto.” Lerispose, respingendola teneramente. “Adesso, da brave,calmatevi e tornate a letto.” A malincuore, le donneubbidirono

Tornò in camera sua, si buttò sul letto senza poterdormire più. “Ma, che c’entro io con tutto questo?”pensava amaramente. “Questa è una guerra che non miriguarda. Per me, o governa l’uno o governa l’altro, èindifferente. Io sono venuto qua solo per lavorare nellecostruzioni, non per fare il banchiere a perseguitati infuga. Lo so che si tratta di amici, ma per il buon Dio, storischiando la vita! La mia vita! Se si venisse a sapere cheio ho nascosto i patrimoni liquidi dei conservatoripotrebbero supporre che io li appoggi anchepoliticamente. A questo punto mi devo muovere, dovrò

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comportarmi in modo che si capisca chiaramente che iosono neutrale e che sono a favore di tutta la popolazionedi San Jacobo, che con tanto affetto e incredibilegenerosità mi ha accolto.”

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III

Molto presto al mattino, Antonio si recò a “Las Delicias”,dagli amici Fierro, nella loro nuova casa. Dal silenzio sideduceva che dormivano ancora, e per svegliarli bussòalla porta con energia.

“Un momento. Chi è?” chiese Maria prima di aprire.“Sono Antonio.”“Uè, Antò. Sei caduto dal letto? Che fai a quest’ora

già in giro?”“Fatemi entrare, donna Maria, per favore e.

chiamatemi Alfonso.”“Non c’è. Ieri nel tardo pomeriggio è andato con

Mario e dieci “vaqueros” a portare il bestiame verso sud.Pare che qui non fosse più al sicuro. Dicono che fra menodi una settimana potrebbero arrivare le truppe deiradicali.” spiegò Maria.

“Non fra una settimana, al più tardi domani stesso.Così so io. E, ditemi, con chi siete rimaste voi donne?”,domandò preoccupatissimo.

“Con nessun uomo, perchè Alfonso e gli altridovrebbero tornare solo fra tre giorni. Il bestiame sarà alsicuro al sud, dove le truppe dei consevatori presidiano ilterritorio. Mario e Zambrano e altri due vaquerosresteranno là a difenderlo, se sarà necessario.” Mariarispose tranquilla; non sembrava né impaurita, népreoccupata. Forse aveva già vissuto nel passatomomenti simili a quello.

“Io vi consiglierei di lasciare questa casa subito e ditrasferirvi, provvisoriamente, nella vecchia. Sonoconvinto che qui è il primo posto dove le truppe verrannoa rubare, poiché ci vivono molti ricchi del paese. E’ancora libera la vostra vecchia abitazione?”

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“Si, ed è anche arredata ancora con i vecchi mobili.”“Allora, chiudete bene questa casa e andatevene. Più

tardi passerò a salutarvi.”

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IV

Antonio si diresse di gran corsa verso la casa diEsteban Martinez. Era certo che l’amico avrebbe potutofare molto per salvare la vita di tanti suoi compaesani.Era notoria la sua appartenenza politica al partito liberal-radicale, e si auspicava che anche i capi militari chemarciavano su San Jacobo ne fossero a conoscenza.

Ormai, il paese appariva sonnolento,come tutti igiorni, e non si notavano particolari allarmismi fra lapopolazione. Forse non tutti sapevano il rischio chestavano correndo. Oppure, consci di essere impotenti amodificare il destino delle cose, si affidavano soltantoalla volontà di Dio.

La giornata era caldissima e buia. Pesanti nuvolonibassi e scuri minacciavano forti acquazzoni. “Forse lapioggia è provvidenziale, servirà a rallentare la marciadei radicali,” pensò ad alta voce.

Giunto a casa Martinez, Antonio bussò con forza allaporta. Da dietro di essa gli giunse la voce di una donnache chiese chi fosse.

“Signora, sono Antonio Potenza, un amico italiano diEsteban. Avrei bisogno urgente di parlargli.” rispose contono energico.

“Qui non c’è nessuno. La casa è chiusa.”“E’ molto importante ciò che ho da dirgli. Sa dove

posso trovarlo?” Finse di crederle.“Io non so niente: se ne vada.”Antonio capì dal congedo scortese dalla voce

femminile, che essa mentiva, e che Estebanprobabilmente era nascosto in casa e aveva datodisposizioni di non fare entrare nessuno.

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“Signora, per amore di Dio, ascolti, ho urgenza diparlargli di un argomento della massima gravità.Facciamo così, io tornerò fra una decina di minuti, leipotrà chiedere in famiglia se sanno dove potrei trovarlo.Si ricordi, io sono Antonio l’italiano. Grazie, signora, apiù tardi.”

Si sentirono rumori di porte che si aprivanonell’interno della casa e una voce che bisbigliava diaprire. La donna si opponeva e vi fu un breve battibecco.

“Aspetti, signor Antonio, probabilmente possiamoaiutarla. Mi assicura che è solo?”

“Si, sono solo.”La porta si aprì e Antonio fu fatto passare senza

esitazione. Dentro la casa il caldo era insopportabileperché nessuna porta o finestra era stata lasciata aperta.Anche il buio era quasi completo, attenuato appena dallaluce che filtrava attraverso l’imperfetta chiusura dellefinestre. La voce di Esteban lo invitò ad accomodarsi suuna sedia nella stanza accanto all’entrata. Antonio loabbracciò con vigore e gli chiese: “Dimmi Esteban, chepensi di fare per il tuo paese?” La voce suonò commossa,conferendo una profonda passionalità alla conversazione.“Che posso mai fare io?”, rispose come discolpandosi.“Ieri ho discusso a lungo col sindaco sulla situazione, maegli è un individuo assai ambiguo, pronto a giocare sufronti opposti.” Ansimava e tossiva dalla paura.

“Inviare i pochi soldati che ci sono qui in San Jacoboa ostacolare l’ingresso delle truppe in arrivo, sarebbe lapeggiore decisione che il sindaco potrebbe prendere. Isoldati avversari diventerebbero furiosi e si offrirebbe ilpretesto a un’inutile carneficina, che va evitata.”,commentò Antonio. “Bisogna far qualcosa e al piùpresto. San Jacobo è in pericolo imminente.”

“Si, lo so; ma che possiamo fare?” chiese Esteban.

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“Io avrei un’idea che potrebbe salvare molte viteumane e tu ne saresti il protagonista. Conosci qualcheufficiale fra quelli che guidano le truppe radicali.?"

“Credo di sì.”“Allora, metti da parte gli ideali politici a beneficio

di un ideale, in questo momento più importante e urgente:salvare la vita di molte persone. Riunisci alcuni tuoiamici radicali coraggiosi come te e cerca di convincerliad accompagnarti incontro alle forze di Gaitan Obeso…”

“Ma che dici Antonio?” Lo interruppe l’altro. “Tirendi conto del pericolo? Sarebbe proprio una pazzia.!”

“No. Ti sbagli. Stammi a sentire. Non mi dire chenon sai chi sono gli ufficiali delle truppe radicali alleporte di San Jacobo, non ti crederei,” disse Antonio, chesi fermò come aspettando risposta.

“Vai avanti”, replicò lui.“Chiedete di parlare solo a qualche ufficiale che ti

conosca come esponente politico del loro partito in SanJacobo. A questi fate credere che troveranno una forteopposizione in San Jacobo. Dite che volete evitare uninutile spargimento di sangue da entrambe le parti,giacché vi dispiacerebbe vedere morire molti vostriconcittadini e anche tanti soldati appartenenti alla lorotruppa radicale, ai quali vi sentite legati da vincoli diideali politici e di amor patrio. Spiegate loro che lapopolazione sarebbe disposta a pagare, se si potesseevitare questo disastro, e senza rinunziare alla lorooccupazione di San Jacobo. Non sarebbe questo lo scopodi un loro attacco al paese?”

“Si, certo: lo scopo sarebbe occupare militarmenteSan Jacobo.” Rispose Esteban che aggiunse: “E loro,secondo te, crederebbero a questa bella favola?”

“Sicuramente lo crederebbero, perché è plausibile. Eanche perché sarebbe un accordo conveniente per loro,”

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“ Prosegui, fammi capire”, disse interessato, mentresi asciugava il sudore che gli bagnava la faccia.

“Assicurateli che sapreste mediare un armistizio frale parti. Che sapreste convincere i dirigenti conservatori enugnisti ad abbandonare il paese e, il sindaco amantenere soltanto pochi soldati chiusi in casermamentre gli altri dovrebbero andar via con i governativi.Le truppe radicali potrebbero entrare nel paese senzasparare, né incendiare, né tanto meno saccheggiare, e incambio il paese sarebbe disposto a pagare una somma pertale immunità. Mentre tu corri ad incontrarli, ioconvincerò i tuoi concittadini a mettere mano alportafoglio e ad evitare, in tal modo, di perdere di più coni saccheggi ed i morti. Che ne pensi?”

“Caspita, si potrebbe tentare. Io rischiereimoltissimo, questo sì.” calcolò Martinez.

“Esteban, tu rischi molto anche se non fai niente.Pensa invece alla gloria che te ne verrebbe se salvassi ilpaese. Tieni presente che ormai, in tutta San Jacobo non èrimasto nemmeno un solo capo conservatore o nugnistae, come tu stesso mi hai appena confermato, il sindaconon farebbe intervenire i soldati ai suoi ordini. L’unicoelemento che manca è il denaro, che sicuramenteraccoglierò. Si tratta di un affare che devimercanteggiare, tu sei avvocato, lo sai fare. Se nonvolessero accettare l’accordo vi converrebbe unirvi aloro. Sarebbe così più convincente la vostra buona fede.”

Il giovane Martinez asciugò con un grande fazzolettoil sudore che continuava a bagnargli la testa e le braccia.Esitò qualche minuto prima di parlare, era terrorizzato.Finalmente si armò di coraggio e disse ad Antonio:

“Aspettami, mi preparo in dieci minuti usciamoassieme. Vuoi bere un succo di frutta? Fa molto caldo.”

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“Si, ti ringrazio, ho la gola riarsa. Non è solo ilcaldo, è anche la paura.”

“Hai un cavallo? Sarebbe utile averne uno in questigiorni. Se vuoi te ne presto uno calmissimo.” gli disseEsteban e rivolgendosi alla signora ordinò: “Zia mentremi vesto dai un bicchiere di succo di “guanàvana” al mioamico.”

“Se si tratta di un cavallo davvero tranquillo, loaccetto e con vero entusiasmo; io non sono molto bravocome vaquero.”

Prima di uscire di casa, Esteban dovette superarel’opposizione dei suoi famigliari. Una volta fuori sisalutarono e si divisero: Antonio si diresse a casa di suoiamici e conoscenti “ricchi” per strappare il lorocontributo, mentre Esteban cercava di convincere i suoicompagni di partito a trattare l’armistizio assieme a lui.

Antonio tornò a casa di Sara a orario di pranzo.“Come mai a quest’ora? Tu non pranzi mai con noi.

E’ successo qualcosa? Posso chiederti che voleva Osorioieri, così tardi nella notte?” Chiese Sara molto allarmata.

“Venite vi debbo informare.” Egli si sedette davantialle donne e con voce forzatamente calma riferì ognicosa.

Come previsto da Antonio, i ricordi della tragediavissuta appena sette anni prima fecero disperare le duedonne. Sara, piangendo si inginocchiò con il rosario nellemani davanti ad un quadretto del Cuore di Gesù; Teresita,in preda al terrore, si avvinghiò al collo di Antonio:“Antonio, ti prego non ci lasciare. Proteggici, tu sai ilbene che ti vogliamo. Non permettere che ci succedaun’altra volta la tragedia che uccise i miei genitori.”

“Teresita, non lo pensare nemmeno. Non vi lasceròmai. Tu sei sempre la mia “muchachita linda”. Calmatiora. Vi conviene mantenere la calma. Fate provviste

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d’acqua potabile e di cibo. Quando si saprà che le truppestanno per entrare nel paese vi chiuderete in cameravostra e non uscirete per nessun motivo” disse ostentandouna tranquillità che non sentiva. “Sara, ti prego, vieni conme nel mio studio” e, s’incaminarono assieme. “Vedi, quinel cassetto della mia scrivania conservo una pistolacarica, in caso di grande necessità prendila e usala. Haicapito? Forse non accadrà mai, perché ci sarò sempre io.”

“ Anche tu sarai con noi? Ti prego, ti prego” Glipropose Teresita, abbracciandolo e baciandogli il viso.

“Appena potrò sarò vicino a te, ma promettimi chesarai calma.” E, prendendole la testa fra le mani, leasciugò le lacrime e lisciò i capelli con infinita tenerezza.“Pobrecita mi muchachita linda,” e la baciò sulla fronte.

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V

Dopo un frugale pranzo, Antonio raggiunse “LasDelicias”, voleva parlare agli operai che in sua assenzaerano diretti da Paez. Li riunì in un piazzale all’inizio delparco, dove avevano costruito un provvisorio capannoneche fungeva da ufficio. “Amici, vi devo informare che letruppe del generale Gaitan Obeso sono a ventiquattro oreda San Jacobo e si propongono di occuparla. Io con altriamici stiamo facendo il possibile per salvare il paese damassacri e saccheggi. Mantenete la calma e fate cheanche le vostre famiglie la mantengano. Più tardi, finito illavoro, ritornate alle vostre case. Domani e nei giorni cheseguiranno, se preferite, potete restare con i vostrifamigliari. Vi pagherò la metà del salario. Se invece,qualcuno vorrà venire qua, per proteggere il nostrolavoro, sarà il benvenuto e avrà il salario intero, anche senon lavorerà. Adesso, vi auguro buona fortuna. Io resto inufficio un’oretta, sono molto stanco e voglio riposare.Sono venuto con un cavallo che mi hanno prestato. Paez,per piacere, lo liberi dalla sella e provveda a che beva emangi.”

Nonostante la stanchezza, non riusciva adaddormentarsi. Voleva ripassare mentalmente il suo pianoper evitare errori. Pensava: “Ma che sfortuna, non civoleva questo contrattempo adesso che stavoguadagnando tanto bene. Se tutto si risolverà per ilmeglio, qui potremo costruire ancora una quindicina divillette. Poi, trasferirò l’impresa a Cartagena e chiameròMichelina e i bambini; qui a San Jacobo non ci sono piùpersone che possano spendere tanto per una casa.”

Sentì bussare alla porta, si alzò di colpo e chieseprima di aprire: “Chi e?”.

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“Sono Celia, aprimi.”“Che bella sorpresa. Sono felice di vederti. Era più di

un mese che non mi venivi a trovare. Come mai?” disseaprendo la porta e abbracciandola.

“Perché, non sapevi cercarmi tu? Sono moltoarrabbiata con te giacché non mi pensi affatto. E’ più diun anno che ci frequentiamo e mai mi hai dimostrato unpo’ di affetto. Ti piace solo fare l’amore con me, manient’altro.”

“Celia, vieni qua, siediti e ragioniamo. Tu lo sapeviche sarebbe stato così. Non posso darti amore. Io sonosposato in Italia e non voglio crearmi un’altra famigliaqua. Sarebbe il fallimento del mio matrimonio conMichelina.”

“Ma io ti amo, che posso fare? Vedi, avevo promessoa me stessa che non sarei più venuta da te e, invece….”Celia piangeva disperata.

“Celia, oggi è una brutta giornata. Forse non saiquello che sta succedendo. I prossimi giorni sarannodurissimi per tutti. Non crearmi altre complicazioni,vieni…” disse mentre la spingeva sul lettino. “non mirinfacciare quello che già sapevi. Vieni, ti desidero tantoe anche tu mi vuoi, lo so. Contentiamoci così.” Antonio siavvicinò a lei e la baciò appassionatamente. Celia volevarifiutarsi, ma non ne fu capace e si abbandonòincondizionatamente a lui.

Antonio dormì fino alle diciassette. Quando sisvegliò Celia era già andata via e incominciava a piovere.

VI

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La pioggia cadde impetuosamente per circa un’orascaricando tanta acqua quanta, calcolò Antonio, neriversano gli acquazzoni europei in una giornata intera.Le polverose strade di terra battuta l’assorbivano solo inparte: il resto scendeva precipitosamente lungo il leggerodeclivio che portava verso valle formando dei veri fiumie lasciando il paese immerso in uno spesso strato difanghiglia. Anche il cavallo stentava a muoversi su quellasuperficie scivolosa…..”Meglio così”, si consolavaAntonio, supponendo che anche le truppe dei radicaliavrebbero incontrato difficoltà a proseguire la marcia suSan Jacobo, rallentando il loro arrivo e invogliando gliufficiali ad accettare l’armistizio offerto dalla cittadina.

Dedicò il resto del pomeriggio a fare un giro per ilpaese per rendersi conto di quali fossero gli umori e lostato d’animo della popolazione. Si fermò a salutare tantisuoi conoscenti; si accertò che Maria Fierro si fossetrasferita nella vecchia casa; fece visita a un suo operaioche aveva avuto un non grave incidente sul lavoro e, perfinire, entrò nella cantina e chiese di parlare alproprietario, Juan Prieto, un burbero omone robusto,dalla lunga barba grigia, eternamente con la pipa inbocca.

“Don Juan, ho da chiederle un favore. Lei sarebbedisposto a fare ancora un piccolo sacrificio per il suopaese?”

“Si, credo di si. Di che si tratta, adesso? Questamattina le ho promesso un contributo per l’armistizio estia sicuro non mi tirerò indietro”

“Molto probabilmente domani entreranno a SanJacobo alcuni soldati nostri invasori. Non sappiamo sesaranno in molti, oppure, come mi auguro in pochi. Adogni modo vorranno ubriacarsi e noi dovremmo evitareche ciò possa succedere. Come lei sa meglio di me, molti

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ubriachi non riescono a controllare i loro istinti e alloraaggrediscono, stuprano, uccidono, incendiano ecc, ecc. Anome di tanta gente del paese le chiedo: vuole sacrificarsiper il bene di San Jacobo? Chiuda da questa sera lacantina, nasconda i liquori dove nessuno possa trovarli,nel caso che dovessero abbattere la porta. M’impegnopersonalmente a farle riparare gli eventuali danni chepotessero provocarle.”

“Don Antonio, se me lo chiede lei significa che ègiusto che lo faccia. Stia tranquillo: da questo momento,fino a quando non mi dirà che il pericolo è passato, lacantina resterà chiusa.”

Antonio lo abbracciò commosso. “Mille grazie, donJuan, per la sua generosità e gentilezza.”

Più tardi tornò a casa Conte. Gli venne incontroTeresita, visibilmente provata dalla paura e gli chiesenotizie più recenti.

“Ancora non so niente. Probabilmente domattinapresto avrò notizie dall’inviato di Esteban. Infatti,all’alba mi recherò a Las Delicias per aspettarlo, sebbenel’ideale sarebbe che io andassi a dormire in ufficio…”Non riuscì a finire il discorso perché Teresita lointerruppe: “no! Antonio, ti prego, non ci lasciare sole dinotte. Dormi qui con noi.” Protestò la ragazza seriamentepreoccupata.

“Non aver paura, avevo già deciso di non farlo. Soloper gravi motivi vi lascerei sole. Tranquilla. Sai chefacciamo adesso? E’ da più di dieci giorni che nonstudiamo l’inglese insieme. Ricorda che quest’anno tidevi diplomare, Bring your english book and let’s studythe irregular verbs.” Propose in inglese per distrarla. Lei,pur di stargli vicino, accettò volentieri.

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VII

Le truppe radicali avevano combattuto per mesi inun vastissimo territorio, erano stanche e le munizioniincominciavano a scarseggiare. Erano state informate cheil grosso dell’esercito di Nugnez si stava preparando adoltrepassare il fiume Magdalena a sudest dello Stato diBolivar, per sferrare un attacco in grande stile cheprobabilmente avrebbe deciso le sorti della guerra.

Risparmiare ai loro soldati una battaglia dall’esitoimprevedibile, senza rinunziare a occupare militarmentee amministrativamente San Jacobo, e in più ricevere un“concreto contributo patriottico” era una proposta assaiallettante che gli ufficiali non si sentirono di rifiutare.

Esteban e compagni erano stati riconosciuti comeloro alleati grazie a un giovane tenente, EvaristoRodriguez, compagno di studi di Esteban, ai tempidell’università a Cartagena, il quale poteva garantire sullaserietà dell’amico che sempre aveva dato prova di fedeltàagli ideali radicali. Per tale motivo non dovevano perderequella conveniente opportunità, né rimandarla in unalunga trattativa. L’accordo fu trovato facilmente con unEsteban che dimostrò ottime capacità di negoziatore. Ilcontributo in monete d’oro fu fissato in una somma moltoinferiore a quella che Antonio avrebbe sperato, mal’accordo più tranquillizzante fu che nel paese sarebberoentrati non più di una trentina di soldati, scelti fra i piùdisciplinati sotto il comando del tenente Rodriguez che sifaceva garante dell’ordine. Per finire il sindaco in caricaveniva sostituito da Esteban. Il resto dell’esercito avrebbeproseguito la marcia.

Nel tardo pomeriggio del giorno seguente, l’accordofu reso efficiente e operante sul piano pratico: Evaristo

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Rodriguez, Esteban Martinez e gli amici che lo avevanoaccompagnato, entrarono pacificamente a San Jacobo conappena ventotto soldati, dopo che un colonnello ebbericevuto il denaro pattuito.

Antonio ed Esteban si abbracciarono sinceramentecommossi.

“Congratulazioni Esteban, ero sicuro delle tuecapacità e del tuo amore per San Jacobo.”

“Evaristo, voglio presentarti un cittadino italiano cheho il privilegio di conoscere. E’ stato lui l’ideatoredell’armistizio che ha salvato tante vite da entrambe leparti. Si tratta di una persona molto sensibile, che ha acuore solo ed esclusivamente il bene di tutti i cittadini. Sichiama Antonio Potenza.”

“Mi sento onorato, signor Potenza. Sono personecome lei che mancano in questa nostra Colombia. Miconsideri suo amico e sappia che non mancherò diconsigliarmi con lei, se me lo consentirà, quando dovròprendere delle decisioni importanti” disse il tenetesalutandolo militarmente e lo invitò a “tomarse unostraguitos en su compañia”. (bere insieme a lui alcunibicchierini di rum).

“Sono veramente mortificato, signor tenente, masono riuscito a convincere l’amico Prieto, il “cantinero”,a mantenere chiusa l’osteria per evitare pericoloseubriacature da parte della truppa “ rise Antonio.

“Si potrebbe andare a casa mia, una bottigliasicuramente c’è.” Intervenne Esteban e aggiunse “potrestianche mangiare qualcosa di buono cucinato da mia zia.”

“Molto amabile. Non oggi, domani, magari. DonAntonio, vedo che lei pensa a tutto, complimenti.”

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VIII

Antonio tornò soddisfatto a casa Conte e aprì la portacon le chiavi. Le donne avevano seguito i suoisuggerimenti ed erano chiuse in camera loro.

“Sara, Teresita.” Chiamò ad alta voce. “Potete aprirenon c’è più pericolo.”

Le due donne uscirono piangendo dalla contentezzae abbracciarono il loro ospite. Teresita lo baciò sullelabbra senza che la nonna dimostrasse alcun disappunto.Antonio rimase confuso e imbarazzato.

“Sentite, vi racconto come abbiamo risolto ilproblema.” Antonio riferì alle donne, che pendevanodalle sue labbra, quello che era accaduto, con tutti iparticolari. “Adesso, se non vi dispiace, vorrei mangiarequalcosa; mi si è risvegliato l’appetito. Teresita, vuoivedere se è rimasta una birra in fresco?”

Teresita si alzò ed uscì dalla stanza, lasciando soliSara ed Antonio. Quest’ultimo colse l’occasione perparlare alla donna. “Sara, aiutami tu. Non credere che iosia indifferente all’amore di tua nipote. Lei mi ama etante volte me lo ha fatto capire. Io le voglio un granbene e fisicamente sono molto attratto da lei.Sinceramente, non vorrei farle alcun torto né dimostrarmiirrispettoso verso di te. Come mi devo comportare?”

“Lo so. Non una, ma tante volte ho tentato di farlaragionare senza ottenere niente. Lei per te darebbe la vita,e sono persuasa che niente né nessuno le farebbecambiare idea. So che sei felicemente sposato e che nonintendi crearti una nuova famiglia qui. Che vuoi che tidica? Comportati come ti dice il tuo cuore,” disse Saraalzandosi per andare a cucinare la cena.

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Teresita rientrò con un bicchiere di birra in mano, lopoggiò sul tavolino e senza dire più niente lo baciònuovamente sulle labbra. Colto di sorpresa, Antonioricambiò il bacio con tenerezza e passione, per pentirseneappena passato il momento di smarrimento. “Ti prego,Teresita…” e la respinse delicatamente.

“La tua birra è sul tavolino,” Teresita si sentivaumiliata, “ho sentito quello che hai detto a mia nonna.Neanche io pretendo che tu ti crei una famiglia con me,con figli e tutto il resto, ma ti prego, amami. Io nonamerò nessun altro nella mia vita, di questo puoi essernecerto.”

Antonio le prese le mani e guardandola negli occhibagnati di lacrime le disse: “Se lo vuoi sapere, sì, tivoglio un gran bene, ma non posso, non devo rovinare ilmio matrimonio, ho dei doveri con la mia famiglia. Iovorrei che tu capissi. Dopo tutto sei tanto giovane, haiuna vita davanti a te.” Si girò e si diresse verso la suastanza.

Teresita piangeva disperatamente e tremava comefoglia al vento. Lui sapeva di amare la ragazza. L’amavada molto tempo ormai, anche se rifiutava di confessarlo ase stesso. Non lo accettava perché si trattava di un amoreirregolare, non consentito dalle sue convinzioni etiche ereligiose. Aveva fatto una promessa a Michelina davantiall’altare, il giorno del loro matrimonio; le avevapromesso non solo di amarla e rispettarla ma anche diesserle fedele, ossia di amare lei e solo lei. Avrebbevoluto mantenere tale promessa, perché nei riguardi dellamoglie sentiva che nulla era cambiato, anche se gliavvenimenti, il destino, come si diceva romanticamente,avevano disposto diversamente. Questa era la verità, chelui lo volesse o non.

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IX

Antonio aveva dormito pochissimo, era moltopreoccupato. Si chiedeva che sarebbe successo quandol’esercito governativo con i cittadini conservatori enugnisti sarebbero tornati a “liberare” San Jacobo.Bisognava informarli che non c’era stato alcuntradimento, ma un riuscito tentativo di evitare morti fra lapopolazione civile e che l’amico Martinez, pur sapendodi rischiare la vita, aveva accettato il suo attuale ruolo.

Era molto presto quando andò a bussare alla portadella casa di Esteban con il pretesto di restituirgli ilcavallo.

“Chi è? Che vuole?” Era sempre la zia che orafaceva la guardia al sindaco, suo nipote.

“Signora, sono Antonio l’italiano. Mi vuole chiamaresuo nipote?”

“Entri, signor Antonio, glielo chiamo subito.”Pochi minuti dopo Esteban lo fece accomodare nello

studio. Era evidente che si stava alzando in quelmomento.

“Scusami se ti ricevo in vestaglia. Come mai aquest’ora?”

“Sono molto preoccupato. I nostri amici conservatorial fronte, non sanno cosa sia successo qui a San Jacinto.Anzi, forse supporranno che vi sia stata una cruentabattaglia conclusasi con l’occupazione del paese e siproporranno di liberarlo. Per il tuo bene bisognainformarli.”

“E come riuscire a sapere dove si trovanoattualmente?

“Forse il tenente Rodriguez sa qualcosa” supposeAntonio che aggiunse scherzando “A proposito, ti ho

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riportato il cavallo sano e salvo”, alludendo alla suainesperienza come “vaquero”.

“Se ti serve ancora…”“Mi è stato utilissimo, ma adesso non mi è più

indispensabile. Grazie di nuovo”.

Si recarono in caserma e chiesero di parlare altenente Rodriguez.

“Un minuto solo, signor sindaco. Si accomodi colsuo amico nel salottino, viene subito.”

“Buon giorno, Esteban. Signor Potenza, come sta?”“Ti dobbiamo parlare. E’ importante.”“Ditemi, ditemi. Vi posso offrire un caffè?”“Volentieri, grazie. Mi ascolti tenente. Noi

vorremmo informare i nostri concittadini al seguitodell’esercito governativo che il paese è tranquillo, chenon è accaduto niente di drammatico e che non devonotornare in assetto di guerra. Semmai, sarebbe opportunoche ci informassero preventivamente del loro ritorno, perdarvi il tempo di andar via in pace.”

“Credo che abbiate ragione, anch’io ci avevopensato. La nostra situazione qui è molto pericolosa. Ora,ditemi, sapete dove si trovino loro in questo momento?”

“No, noi speravamo che tu ne fossi informato.”Rispose Esteban un po’ depresso.

“Qualcosa so, ma non con sicurezza.” Evaristo presetempo portandosi alla bocca la tazza di caffè nero.“Amici, quello che sto per dirvi è un’informazioneriservata che non deve assolutamente trapelare fuori daquesta stanza. Voglio la parola d’onore di entrambi.”

“Ti do la mia parola d’onore che nessuno saprà dame quanto stai per dirci” disse Esteban.

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“Anch’io le do la mia parola d’onore” soggiunseEsteban.

“Ebbene, come ben sapete, all’inizio della guerra lenostre armate radicali erano vittoriose in tutto il territorionazionale, perché più numerose di quelle governative.Sapete anche che la nostra costituzione federalista, sullaquale ha giurato Nugnez, non consente al governocentrale di possedere un proprio esercito. Solo i singoliStati possono possedere eserciti propri, in monopolio.Rendendosi conto che avrebbe sicuramente perso laguerra e che l’occupazione da parte nostra di tutti i noveStati federati sarebbe stata questione di pochi mesi,Nugnez ha istituito per decreto un esercito federale diriservisti, chiamando forzatamente conservatori, liberali eradicali, tutti insomma, capovolgendo così le forze incampo. Adesso loro sono molto più numerosi di noi conil risultato che, negli ultimi mesi, abbiamo collezionatouna serie di sconfitte.” Si accese un sigaro e continuò:“L’unica possibilità di vittoria potrebbe darcela un nostrogrande esercito che accomuni tutti quelli che attualmentesono sparsi un po’ qua e un po’ là. Ma i loro generali nonsono mica stupidi. Hanno capito le nostre intenzioninotando che da sud le nostre forze si ritirano dirigendosial centro del paese sulla riva destra del grande fiumeMagdalena, nello stato di Santander; che le nostre truppedella costa atlantica, incluso il contingente dal quale iofaccio parte, che dipende dal generale Gaitan Obeso,stanno scendendo per unirsi alla prima nello stato diSantander, e che da occidente, ossia da Antioquia,Caldas, Valle, anche si muovono per riunirsi alle altre. Tupoi mi confermi che i conservatori che hanno lasciatoSan Jacobo si sono diretti a sudest, ossia verso il fiume,che è qui vicino. Una volta attraversato il Magdalena sitroveranno esattamente nello stato di Santander dalle

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parti di “Playa de la Humadera” dove anche noi ci stiamoriunendo. Se due più due fanno quattro, è lì dove avràluogo la battaglia cruciale. O noi, o loro! ”

“Caspita, e sai anche chi sia a capo dei contingentigovernativi?

“Si, è uno sconosciuto ufficiale di cognome QuinteroCalderòn. Ma il capo supremo sarà certamente il generaleCampo Serrano” concluse Evaristo.

“Grazie delle informazioni. Da quanto ci diciconcludo che sarebbe un miracolo se un nostro emissarioriuscisse a trovare i nostri amici. Che potrebbe succederese tornassero a, fra virgolette, liberarci?” chiese Estebanal suo amico.

“Se ci sorprendessero, sarebbe un disastro. Eccoperché è urgente preparare un piano di difesa” risposel’ufficiale. “Ad ogni modo, se dovessero attaccarci, lofarebbero sicuramente con un piccolo contingente.Sarebbe insensato sottrarre molti uomini al proprioesercito per riconquistare un paesetto come San Jacobo.”

“Dobbiamo evitare un combattimento.” Antonio siera alzato dalla sedia e camminava nervosamente per lastanza. “ Bisogna avvertire la popolazione di restarechiusa nelle case. Solo chi fosse disponibile a dare unamano alla difesa del paese sarà il benvenuto, ma sia benchiaro, non per uccidere, ma per evitare che si uccida.Pensiamoci.”

Antonio ed Esteban uscirono dalla caserma e simisero d’accordo a mobilitare il maggior numero dipersone.

“Ho tanti amici giovani, politicamente agnostici macon un forte sentimento civico. Non permetteranno che illoro paese diventi un campo di battaglia” affermòconvinto Esteban.

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“Ed io mobiliterò i miei operai e li pregherò diconvincere parenti e amici. Domani a mezzogiorno, tuttidovranno radunarsi nella piazza, il resto dellapopolazione dovrà chiudersi in casa e non aprire anessuno.”

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X

Non erano ancora le tre del mattino quando Antoniofu svegliato da Esteban Martinez che bussava alla porta.

“Antonio, sono Esteban, aprimi, presto!”“Vengo, dammi un minuto solo” Prima di aprire,

Antonio andò a controllare se le donne fossero sveglie.Lo erano, infatti. “Non è niente, state calme”. Sentì chepiangevano impaurite. Aprì la porta e lo fece entrare.“Esteban, come mai? Che c’è di nuovo?”

“Un contingente governativo è accampato a circaventi chilometri da San Jacobo. Sicuramente domattinariprenderanno la marcia.” Rispose molto agitato.

“Quanti sono?“E chi lo sa? Non li hanno potuto contare, ma

sicuramente più di trenta.”“Chi li ha visti?“Evaristo ha mandato ieri sera due suoi uomini in

ricognizione sulla via del fiume Magdalena. Sono tornatida poco con la notizia. Antonio, ti devo chiedere duefavori: accompagnami in caserma e dammi una mano aorganizzare la difesa civile. Prima di andare però, perquanto di più caro tu abbia al mondo, ti prego, nascondiquesto mio pacchettino di monete d'oro. E’ l’unica cosadi valore che possiedo, l’ho messo da parte faticosamenteperché vorrei sposarmi a fine anno. La mia fidanzata è diCartagena. Se mi succedesse qualcosa, dallo a mia zia,che rimarrebbe praticamente senza un soldo.”

“E tre,” pensò Antonio “non c’è due senza tre.”Ormai, nemmeno protestò, sapeva che sarebbe statoinutile. Gli disse a voce bassissima: “Vieni, ti prego nonfarti sentire. Andiamo dietro al cesso in fondo algiardino.” Una volta lì, scelsero un alberello di “avocadi”

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e vicino alle sue radici interrarono il pacchetto. Furonoveloci perché le ridotte dimensioni dell’involto nonrichiesero un fosso molto grande. Prima di uscire di casa,Antonio chiamò alla porta delle donne: “Teresita, perpiacere, aprimi un momento”. La porta si aprì. “Avetesentito qualcosa?” Lei accennò di no con la testa. “Devouscire, ma promettetemi di non aprire la porta a nessuno,solo a me. Io mi unirò a voi appena possibile.” E la baciòsulle guance.

Esteban aveva portato un secondo cavallo perAntonio ed entrambi andarono di corsa alla caserma.

“Signor sindaco, si accomodi, e anche lei signorPotenza, il signor tenente vi sta aspettando.” Disse ilsoldato di guardia.

“Buona sera signori. Venite, vi mostro sullacartina….se abbiamo fortuna, possiamo aspettarli qui, acirca cinque chilometri da San Jacobo, in località“Tumbaburro”, mi dicono, dove la strada passanell’avvallamento fra due ripide colline. Ci divideremo indue gruppi per tentare di accerchiarli appena sarannopassati. Li disarmeremo e li costringeremo a ritornare dailoro alti ufficiali con un messaggio: che sono vivi perchéil paese di San Jacobo non vuole morti. Che Dio ci aiuti.”Rivolgendosi ad Antonio: “Lei, signor Potenza miscuserà, ma non può venire con noi, né immischiarsi infaccende militari di un paese che non è il suo ma che loospita soltanto. Anche tu, Esteban, devi restare, sei ilsindaco del paese, responsabile dell’assistenza allapopolazione in un momento così delicato. Noi partiamosubito. Buona fortuna anche a voi.”

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XI

Il piano ottenne solo un parziale successo. Settesoldati e un caporale riuscirono ad evitarel’accerchiamento e a cavallo raggiunsero San Jacobo, unpaese che sembrava deserto. Non c’era una sola personaper le strade e nessuno aprì le porte alle quali avevanobussato. Si udiva solo il latrare di qualche cane legato. Ilcaldo era soffocante nonostante l’orario mattutino. Siaddentrarono nel paese e raggiunsero la piazza dovecentinaia di persone armate di machete, di coltelli dacucina e di fucili da caccia, li aspettava nel massimosilenzio. Si fermarono atterriti, non si aspettavano taleaccoglienza. “Esta es gente de grandes cojones, pero losmios son mas grandes” pensò il caporale. Il sindaco siavvicinò a piedi e gridò al loro indirizzo: “Andatevene,non vogliamo farvi del male. Lasciate le armi e dite aivostri ufficiali che San Jacobo vuole vivere in pace.”

I soldati disorientati buttarono per terra fucili epistole, girarono i cavalli e scapparono da dove eranovenuti. Solo il caporale, un omino tarchiato, sullaquarantina, con la faccia olivastra piena di cicatrici, occhida indio e una brutta bocca sdentata, non era d’accordo egridò furiosamente ai suoi subalterni in fuga: “Vigliacchi,dove andate, che fate, fuggite come donnicciole? Figli dicagna.” Estrasse la pistola e sparò un colpo controEsteban che cadde al suolo ferito a una gamba, in unapozza di sangue. Poi, girò il cavallo, ma invece diriprendere la strada da dove era entrato, imboccò,tallonato a piedi dalla folla, la prima strada a destra,quella dove Antonio risiedeva con Sara e Teresita.Antonio lo inseguì a cavallo aggirandolo dalla stradaparallela e lo raggiunse proprio davanti a casa Conte,

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dimenticando di non essere armato. Antonio gli gridò:“Non essere stupido, lascia la pistola e vattene.” Ilcaporale sparò di nuovo mentre il cavallo imbizzarrito lodisarcionava, ma non lo centrò. Teresita che aveva sentitola voce di Antonio aprì la porta di casa e gli urlò:“Antonio entra, salvati.” Fu questione di secondi: luiscese da cavallo e cercò rifugio in casa mentre l’indio glisparava un altro colpo. Lo mancò nuovamente e loinseguì, furioso, fin dentro casa. Antonio scivolò e caddeper terra mentre l’altro gli puntava contro l’arma chefortunatamente s’inceppò. Come rapito da una furiaselvaggia l’indio prese a calciarlo con i grossi scarponichiodati sulla testa, sui reni, sulle cosce. Teresita perdifenderlo si scagliò contro il caporale, tirandogli icapelli con tutta la sua forza. Questi la colpì con la manoche impugnava l’arma facendola cadere indietro. Teresitaurtò violentemente con la testa il tavolo da pranzo esvenne. Quando l’indio stava per calciare nuovamenteAntonio, si sentì il colpo di un’altra pistola che colpì ilcaporale alla spalla. Era Sara che gridava “Maledetto,questo colpo è per mio marito,” e , continuando a sparare,“questo per mia figlia e questo per mio genero”.Sembrava impazzita, con gli occhi fuori dalle orbite etutta scapigliata. “Dio mi perdoni…. Dio mio,perdonami!” Aveva usato la pistola che Antoniocustodiva.

Ormai molta gente aveva raggiunto la casa di Sara. Ildottor Saenz fu chiamato a prestare aiuto alla ragazza,svenuta e piena di sangue. “Il colpo è stato molto forte,ma non grave” disse, rivolgendo la sua attenzione adAntonio, rimasto a terra anche lui privo di sensi. Saenznel visitarlo, si rese subito conto che le sue condizionierano disperate: una violenta pedata lo aveva colpitodietro l’orecchio destro. “Povero amico, speriamo che si

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salvi. Non c’è alcun aiuto che io possa prestargli.”Sollevarono con molta attenzione i due feriti e dopoaverli lavati e medicati li adagiarono sui due lettini incamera delle donne, per permettere a Sara di assisterlimeglio. La povera donna, distrutta dal dolore e dalrimorso, non si mosse dalla stanza.

Dopo qualche ora, Teresita aprì gli occhi e chiesedove fosse Antonio, “Dimmi, nonna, che è successo?Come sta Antonio?”

“Tesoro mio, vedi, è sul lettino accanto a te, stadormendo. Riposa anche tu. non parlare, ti affatichi;pensa a guarire” mentì, mentre la baciava delicatamentesulla fronte. Teresita le sorrise e si addormentònuovamente.

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XII

Antonio bruciò dalla febbre per dieci giorni. Teresitanon gli fece mancare mai un fiore dentro il vasetto diporcellana bianca sul suo comodino. Glielo recapitavaogni mattina presto, ancora bagnato di rugiada e con unfilo di voce gli recitava vicino all’orecchio dolcissimepoesie che sgorgavano spontaneamente dalla fonte stessadella sua idolatria, gli prendeva le mani fra le sue,appoggiava la sua faccia a quella di lui ancora dormentee gli cantava melodiose canzoni che solo lei conoscevaperché dettatele direttamente da Eros. Lui le ascoltavasorridendo e la cercava nei suoi pensieri annebbiati, congli occhi chiusi, come invocandola dall’abisso tenebrosodella sua solitudine.

All’undicesimo giorno, Antonio aprì gli occhi esembrò che stesse in condizioni molto migliori. Sarachiamò piangendo dalla commozione: “Teresita, Teresita,vedi, ha aperto gli occhi, è salvo, vieni. Buon Dio,grazie.”

Teresita avvicinò il suo bel viso a quello pallido edemaciato di Antonio, irriconoscibile per la lunga barba, elo baciò sulle gote sudate. “Amore mio, come stai, cometi senti, puoi parlare? Dimmi qualcosa!” Antonio laguardava con gli occhi ancora lucidi di febbre e sorrise.Faceva grandi sforzi, voleva dire qualcosa. Finalmenteriuscì ad articolare le parole:

“Michelina, amore mio. Ti amo tanto.”Teresita sobbalzò indietro come colpita da un altro

tremendo pugno. Si riprese e piangendo gli disse:“Antonio carissimo, sono Teresita, vedi, sono la tua“muchachita linda” che ti ama tanto.”

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Antonio non capiva le parole di Teresita e continuavaa chiamarla: “Michelina, quanto mi sei cara, quanto seibella! Mi ami, vero, mi ami? Dimmi di si. Mi vuoisposare? Io ti amerò sempre.”

“Non ti offendere Teresita,”, la consolava Sara, “ è ate che parla, non a Michelina. Vi confonde. Vedi, perchénon rivolge a me quelle parole? Semplicemente perchénon sono io l’oggetto del suo amore.”

“No, nonna. Lui ama solo Michelina.” si sentivaoppressa da una angoscia soffocante.

“Teresita, per lui quel nome significa AMORE, nonti affliggere. Forse fra qualche giorno ti riconoscerà e tidirà le stesse parole. Vedi, lui con Michelina è giàsposato, perché dovrebbe chiederle di diventare suamoglie? Lo ha chiesto a te.”

“Nonna non mi illudere, non si ricorda più del tempoche è passato, egli mi vede giovane e mi confonde conMichelina, ecco perché mi chiede in sposa. Egli cerca neimiei occhi lo sguardo di sua moglie”.

Il dottor Saenz lo visitò nuovamente e chiese ilconsulto di un neurologo di Cartagena che viaggiòscortato da molti giovani di San Jacobo. Anche lui fumolto esplicito.

“Signora Sara, mi dispiace,queste sono le diagnosiche mai vorrei fare. Purtroppo il calcio del soldato gli haferito gravemente il cervello. Forse, col tempo, pianopiano migliorerà. Attualmente ha una grande confusionenella mente. Non perdiamo completamente le speranze.Chissà, vede? Già cammina, già parla chiaramente…”

“Dottore, per amor di Dio, mi dica, che possiamofare per lui?” chiese Teresita con il cuore a pezzi. “Forsein Europa o in Nord America possono fare qualcosa?”

“Allo stato attuale, la scienza medica non è in gradodi aiutarlo, né qui né in altra parte del mondo. Signorina,

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mi dispiace,” rispose, e si girò verso la porta. Teresitasentì il mondo crollarle addosso.

“Tante grazie dottore. Quanto le dobbiamo?” ChieseMario, anche lui presente al consuto.

“Sono già stato pagato. Pensi che tutti avrebberovoluto contribuire al pagamento del mio onorario, persdebitarsi, anche se solo in parte, di quello che il signorPotenza ha fatto a favore dell’intera collettività. Io hodato questo privilegio al dottor Saenz.”

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XIII

Il 17 di giugno dell’anno 1885, in località Playa dela Humadera nell’allora, Stato di Santander, oggiDepartamento de Santander, l’esercito governativo diconservatori e liberali del presidente Nugnez, condottodai generali Marceliano Velez, Leonardo Canal, DanielHernandez e Campo Serrano, inflisse una sonorasconfitta all’esercito irregolare dei radicali, dopo unasanguinosissima battaglia. La guerra civile ebbe fine,dando l’avvio alle riforme costituzionali ed economichedel presidente Nugnez.

Pochi giorni dopo, fecero ritorno i cittadini di SanJacobo che erano andati a combattere in quella inutileguerra. Ritornò Alberto Osorio e ritornò anche OsvaldoPerez. Ritornarono vincitori e vinti e ognuno di loroaveva una tragedia da raccontare, la cui protagonista erasempre la morte. Alcuni invece non tornarono e, altritornarono feriti o amputati di qualche arto.

Tutti si aggiornarono sulla cronaca degliavvenimenti del loro paese, l’unico, in tutta la Colombia,che aveva scelto la vita alla morte, grazie a uno stranieroinnamorato dell’AMORE. “L’amore,” diceva, “è vita,l’odio è morte.”

Tutti andarono a trovare Antonio, come si puòandare in un luogo di culto, in processione, e tutti neuscivano asciugandosi le lacrime. Antonio li avevaguardati senza riconoscerli ma a tutti aveva donato unsorriso. Uno dei frequentatori più assidui della sediaaccanto ad Antonio, quella riservata alle visite, fu Paez.Alle cinque di ogni pomeriggio Celia passava a salutare il

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suo amante italiano; le prime volte superando condifficoltà un certo risentimento nei confronti di Teresita,ma col tempo le due donne si sarebbero sentite unite dauna comune vedovanza.

Osorio, Perez e Martinez riebbero i loro averi perchéin previsione di una sua prematura dipartita, Antonioaveva lasciato scritto una lettera indirizzata ad AlfonsoFierro, nella quale forniva le istruzioni per il recupero deiloro pacchi e concludeva pregandolo di continuare lecostruzioni delle altre villette e di riconoscergli, se loconsiderava onesto, una percentuale sugli utili per lamoglie Michelina.

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XIV

Qualche settimana dopo, Antonio già mangiavasenza aiuto, seduto al posto suo in tavola; non aveva piùbisogno di aiuto nemmeno per lavarsi, tutte le funzionicerebrali funzionavano perfettamente, tranne la memoria.

Una sera di metà agosto, dopo cena, Teresita loinvitò a sedersi vicino a lei, su un piccolo divanetto divimini, in giardino, a prendere quel poco di fresco chel’assenza di quel violentissimo sole equatoriale riusciva aconcedere. Teresita era bellissima quella notte,nonostante l’amarezza che custodiva nell’anima. Avevaindossato un vestito di cotonina celeste che una volta luiaveva giudicato che le donava molto, forse perché lacamicetta, stretta dalla vita in su, con un ampio scolloplissettato, metteva in evidenza le sue belle forme. Ilucidi e vaporosi capelli emanavano un lieve profumo difiori. Era una notte quasi magica, come lei non nericordava di uguali: senza luna, né stelle, senza personeper le strade, senza rumori di alcun genere. Sembravacome se il paese intero trattenesse il respiro nel timoreche qualche brutto evento venisse a turbare quellaserenità ottenuta dopo tanta inquietudine. Nemmenol’uccello orologio scandiva le sue assurde ore: anche luirispettava quel silenzio quasi mistico. Teresita gli prese lamano destra e l’allacciò alla sua per aver la certezza divivere ancora, in quella totale assenza di stimoli fisici.Antonio sentì calda e pulsante di energia quella maninache stringeva la sua. Lei gli appoggiò la testa sulla spallae sussurrando a voce, appena percettibile, gli disse:“Antonio non sono mai stata tanto felice in vita mia.”Teresita lo amava con un maturo amore di donna; non eral’infatuazione di una bambina cresciuta. Egli, nella sua

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confusione mentale, ricordò le parole che una ragazzinagli aveva confidato tre anni prima: “Anche io pensoall’amore, ma all’amore che alimenta lo spirito”…. e luisentiva il bisogno impellente di alimentare quel suospirito bramoso di tenerezze. Scoprì che dall’amore chelei gli offriva, si sentiva stimolato a vivere, ravvivato nelcuore, alimentato nell’anima. Si girò accostando il suoviso al viso di lei, mentre le carezzava amorevolmente icapelli e giocherellava con il lobo di un suo orecchio.Poi, la baciò con un lungo bacio di vero amoreappassionato. Lei si alzò e lo condusse per mano verso illetto che era stato il nido d’amore dei suoi genitori e lì glifece dono della sua verginità. Lui, prima diaddormentarsi le disse: “Ti amo tanto, Michelina. Ti amoe ti amerò sempre.” Fortunatamente, lei già dormiva conun sorriso sulle labbra.

Fra le sue carte fu trovato un libricino dove Antoniosoleva scrivere i suoi pensieri. Nell’ultima pagina avevascritto, con la data della sua tragedia, la seguente frase:

“Senza amore la vita non ha alcun significato. Gliesseri umani hanno bisogno di dare amore e ricevereamore. In nessun modo, l’amore può rimanere chiusonella mente, prigioniero dei ricordi.”

FINE

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MA NE VALEVA LA PENA ?

Vincenzo piangeva silenziosamente nel suo letto dimalato. I dottori erano concordi nel pronosticargli pochigiorni di vita ancora, dato il decadimento generale delsuo fisico che mal reagiva alle cure che gli eranopraticate. Sua moglie, Marietta, non riusciva arassegnarsi perché era un uomo di soli 60 anni, etàprematura soprattutto in un paese come Padula popolatada vecchi ottantenni.

“Marietta,” le spiegava il dott. Di Vittorio, che loteneva in cura dall’inizio della malattia: “non dimenticarei suoi 22 anni in clima equatoriale e i disagi patiti inColombia. Sono 22 anni che contano quanto 40 deinostri.” Affermava con convinzione.

Certamente non erano quelle le parole che Mariettadesiderava ascoltare. Vincenzo era andato in Colombiaper lei, giacché aspirava ad offrirle una vita meno grama,risparmiare una piccola fortuna e poi tornare, comeavevano fatto molti altri prima di lui. Avevaprogrammato anche di investire nel suo paese queirisparmi in qualche attività, anche modesta, chepermettesse loro, con i guadagni, di godere insieme di unpo’ di agiatezza.

“Marietta, ti prego, vieni vicino a me”, chieseVincenzo con voce afflitta. “Che vita sprecata, la mia!Dimmi, tesoro, ne valeva la pena?” Lei si avvicinòlentamente lisciandosi i capelli ormai incanutiti, perrenderli più ordinati e per nascondere il suo imbarazzo.Si sedette sulla sedia vicino al letto, gli prese le freddemani fra le sue, lo guardò dritto negli occhi pieni dilacrime e gli mormorò: “Vincè, non torturarti così, nonpensarci più, è stata la volontà di Dio.”

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La stanza era arredata sobriamente con mobili senzastile né fronzoli, ma puliti e ben conservati. Per espressarichiesta del malato le visite dovevano essere dibrevissima durata e i famigliari stretti potevanotrattenersi, uno per volta, purché non tentassero di parlarecon lui. Sapeva di essere in attesa della morte senzaalcuna speranza di miglioramento, e quindi non avevatempo da perdere. Voleva rimanere con i suoi pensieri,darsi una risposta: avrebbe potuto la sua vita avere undestino diverso? Aveva fatto tutto il possibile per esserefelice con lei? Passava e ripassava con la memoria tuttigli eventi importanti della sua vita come se fossero scenedi un film.

Volse lo sguardo fuori dalla finestra e sentì la suamalinconia crescere angosciosamente al cospetto di unaluminosa giornata di primavera. Ricordò, quasirivivendola, la mattina di un’altra primavera di tantissimianni prima, quando con Marietta e altri giovani amicifacevano la tradizionale gita del lunedì in albis. Ilprogramma era di raggiungere una minuscola ma moltomistica chiesetta, sulla sommità del monte Romito, unaspoglia collina di fronte a Padula, dove era custodita unaantica e pregevole statua che ritrae la madonna con unseno scoperto, come nell’atto di offrire il suo lattebenedetto ai credenti. Occorreva fare un lungo giro,prima in discesa e poi in salita, perché un profondoavvallamento divideva le due colline. Dopo tanta neve etanto freddo di un inverno appena finito, la giornata sipresentava tiepida e radiosa: non vi era una nuvola incielo a minacciare mal tempo e una leggera brezzamuoveva l’aria incantata che diffondeva un profumoinebriante di fiori di campo mescolato a quello più forted’erba appena tagliata. Tutti inspiravano quell’aria coninfinita voluttà. Marietta era particolarmente bella quella

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mattina con i lunghi capelli biondi lasciati liberi disvolazzare al capriccio del vento, che solo un sottilenastro di velluto rosa annodato sopra la fronte evitava chele cadessero davanti al visetto di madonna medievale. Isuoi occhi colore nocciola splendevano per l’eccitazionedella giornata giuliva e sembrava sorridesserocostantemente. Vincenzo ricordò il battito accelerato delsuo cuore innamorato e il desiderio opprimente didichiararle quel suo immenso amore. Sapeva cheMarietta non era indifferente alla sua discreta corte e gliparve che ella, fingendo di raccogliere fiori, rimanesseapposta indietro, come invitandolo ad avvicinarla e ascambiare, durante quelle briciole d’intimità, alcuneparole fra loro due soli. Si armò di coraggio e le andòvicino. Voleva dire cose spiritose, carine, ma la sua golasembrava rifiutarsi di formulare parola. Si guardarononegli occhi e si scambiarono un timido sorriso. Glisguardi furono più loquaci: composero dolcissime, mutemelodie e recitarono silenziose ma appassionate poesied’amore. Lei abbassò turbata gli occhi mentre finalmente,lui, prendendole una mano, le rivelò balbettando:“Marietta, ti amo immensamente, ti prego, dimmi cheanche tu mi vuoi bene.”

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Il povero malato fu sopraffatto dall’emozione che uncosì bel ricordo gli aveva procurato. Si sentiva stanco eafflitto. Avrebbe preferito a quel punto addormentarsi

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senza sognare, ma i ricordi si ostinavano a non lasciarloriposare.

Quanti ostacoli dovettero superare nei mesi cheseguirono a quella primavera del 1926, dopo che Mariettaebbe raccontato in famiglia l’amore di Vincenzo echiesto, come allora si usava, se potesse accettarlo comefidanzato. Era quanto più temeva la mamma di Marietta,che confidava nella splendida avvenenza della figliolaper compensare la pochezza della dote e si auspicava chepotesse darla in sposa a uno dei giovani professionisti delpaese che non nascondevano l’ammirazione e l’interesseper lei.

Dire che Vincenzo fosse un buon partito sarebbestata una bugia. Innegabilmente, era un bravissimoragazzo serio e ben educato, di ottima famiglia (anche sesquattrinata), aveva conseguito il diploma di maestro, eramaggiore di lei di cinque anni, e dimostrava di esseremolto volenteroso, anche se non aveva finora trovato unaconveniente sistemazione lavorativa. A Padula se non si èricchi, o si possiedono fondi agricoli produttivi, non sihanno che due opzioni: o un impiego con lo stato nellascuola, nelle poste, nelle ferrovie, oppure l’emigrazione.Vincenzo aveva tentato moltissimi concorsi, si eraraccomandato a tante persone importanti, ma pareva cheil governo fascista, da poco al potere, desse maggioreimportanza ai meriti politici o preferisse coloro chemanifestavano maggiori entusiasmi verso il nuovo corso.Ma, Vincenzo non era fra quelli.

Nemmeno in casa di Vincenzo erano soddisfatti diquell’eventuale matrimonio, convinti che una doteadeguata lo avrebbe aiutato a intraprendere un qualchecommercio anche se inizialmente modesto. Insomma,sembrava che non restasse altra alternativa che

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l’emigrazione verso una di quelle Americhe che cosìbene avevano accolto e arricchito tanti compaesani.

Una volta accettato il fidanzamento vi erano moltedecisioni da prendere. Le famiglie propendevano perrimandare il matrimonio di qualche anno, a quandoVincenzo avesse iniziato a lavorare in America e potessegarantire alla sposina una dimora conveniente. Forse incuor loro, speravano che la lontananza raffreddasse illoro amore e scombinasse il matrimonio. I ragazzi invecelo volevano subito, prima che Vincenzo partisse. Chepartisse da solo era una necessità perché non potevanosapere quale situazione avrebbero trovato in America ecome avrebbero affrontato tanti mutamenti nelle loroabitudini. Furono i giovani a vincere anche questa volta esi passò poi a decidere il paese di destinazione. LaColombia, il Venezuela, Cuba erano tutte meteprivilegiate da tanti padulesi in quegli anni ’20. InColombia si assisteva a una straordinaria espansioneeconomica e, inoltre, in Colombia risiedeva AntonioLepre, suo padrino che aveva accumulato una cospicuafortuna e sicuramente l’avrebbe aiutato.

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Vincenzo fu vinto dal sonno. Socchiuse tristementegli occhi e piano piano tutto il presente si dissolse in unagrigia nebbia che lasciava però insinuare nella suacoscienza visioni di momenti vissuti in tempi lontani.Vedeva ora chiaro l’abbraccio di un furioso impetoamoroso. Era l’abbraccio di un amore carnale represso,mille volte sognato, desiderato con tutto il suo essere.Abbracciava Marietta e la baciava sulle labbra, sul collo,

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sui seni con indescrivibile bramosia, come se volesselasciare dentro di lei non solo il suo seme, ma l’intera suavita. Era la loro prima notte di vita coniugale. Mariettarispondeva a quel tumulto di passione con un teneroamore rispettoso, come si addiceva a una donna timoratadi Dio. Le delizie dell’amore non la lasciavanoindifferente ma, l’educazione ricevuta stabiliva chequello era un atto che solo l’uomo poteva gestire e ilruolo della donna doveva limitarsi ad accontentare ilmarito, senza esternare eccessive soddisfazioni.

La scena cambiò e sentì sua madre che gli dava gliultimi consigli con accenti inquieti e angosciati. “Staiattento ai soldi, non lasciarli incustoditi nella cabina chéte li possono rubare. Ti ho fatto questa tasca che puoiappendere al collo con le corde e fissarla sotto la camicia.Non dimenticare di andare a salutare compare AntonioLepre appena arriverai a Barranquilla e dagli questibarattoli di marmellata di amarene e queste soppressatefatte da me. Egli ti voleva un gran bene quando eripiccolino e se saprai consolidare quei rapporti affettuosi,sicuramente ti aiuterà, all’occorrenza. ”

Vide anche Marietta mentre l’aiutava a preparava ilbaule e pregava piangendo per un pronto ritorno di suo m

arito. “Dai, amore, non piangere più. Ritornerò frasoli due o tre anni per portarti con me.”

Nuovo cambio di scena e vide sé stesso a PuertoColombia, una cittadina a 25 km. da Barranquilla, dovele navi approdavano ai lati di un molo lungo 1.050 metriche s’inoltrava nel mare aperto. Un trenino partiva daBarranquilla e arrivava al porto percorrendo il molo intutta la sua lunghezza, così che le mercanzie trasportatedalle navi potessero essere conservate direttamente neidepositi delle ditte importatrici con sedi nel mercatogrossista di Barranquilla. Vincenzo lavorava come

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delegato delle navi italiane per gli adempimenti doganalie per il controllo del carico e scarico delle merci. Eranoquegli anni 1927 e 1928 assai prosperi; il porto lavoravaa pieno ritmo e lui guadagnava molto bene. Abitava nellapensione Esperia appartenente alla vedova di uncalabrese, non lontano dal porto. Risparmiava su tutto perinviare più denaro a Marietta e alla bambina che le eranata tre mesi dopo la sua partenza, in modo che niente levenisse a mancare. Il resto….in banca.

Insomma, sembrava che le ottimistiche aspirazioni diVincenzo potessero realizzarsi e che al più tardi nellaprimavera del 1930 avrebbe potuto tornare in Italia.Invece, come un fulmine a ciel sereno, un avvenimentonefasto piombò sul lavoro di Vincenzo (e non solo sulsuo): il crollo di Wall Street e l’immane crisi che neseguì, che paralizzò l’economia di tutto il mondo, i suoitraffici e commerci e fece fallire le più importantiindustrie e banche, non esclusa quella nella qualeVincenzo aveva depositato tutti i suoi sudati risparmi. Lacrisi lo riportò alle condizioni di partenza, ma conl’aggravante che ora era di gran lunga più difficiletrovare un lavoro. Fu l’amico di famiglia, Antonio Lepreche gli venne in aiuto e gli offrì l’opportunità diguadagnare qualcosa. Antonio aveva, fra le tante sueattività, un’oreficeria che in quel momento di crisivendeva poco e sentiva la necessità di allargare laclientela. Vincenzo, ormai, conosceva tutti a PuertoColombia dove era stimato e rispettato per la sua onestà egentilezza. Don Antonio gli affidò un pacchettocontenente catenine, medagliette, braccialetti e altre gioied’oro italiano di squisita fattura, affinché le vendesseriservando per sé. un discreto margine. Fu un lavoro cheil giovane intraprese col solito entusiasmo, senza aprirebottega, per risparmiare, svolto, come si dice oggi, porta

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a porta, con pagamento anche a rate settimanali.L’impegno e la serietà nel lavoro furono ricompensati dalsuccesso, e così alla fine del 1932, Vincenzo poté fareritorno in Italia, riunirsi con Marietta e conoscere la suabambina. Erano trascorsi cinque lunghissimi anni ma illoro amore non si era nemmeno scalfito. I due giovaninon credevano che potesse esistere una felicità piùgrande. Nonostante la lontananza avevano continuato adamarsi alla follia. Le delicate e ispirate lettere che siscrivevano ogni due o tre giorni e che entrambiconservavano come tesori, erano testimonianze diquest’amore e della loro fede nel Signore.

L’esperienza aveva insegnato a Vincenzo che erameglio evitare a Marietta e alla bambina i travagli che luiaveva patito. Non fu facile convincerla. Nel suo sogno,ormai incubo, Vincenzo rivisse le sue accorate preghierealla mogliettina adorata: “Marietta, credimi, non possoancora portarvi con me. La situazione economica ètuttora precaria: un giorno si guadagna e l’altro, invece,niente. Vivrei più tranquillo se restate qui a Padula fra lanostra gente sapendo che, con quanto riesco a mandarvinon vi manca niente. La vita in quel paese si è fattadurissima per chi non ha un lavoro sicuro e fisso. Non haiidea di che significa vivere in quel forno, con le zanzare,bevendo acqua cattiva. Molti bambini muoiono di diarreaa causa dell’acqua. Io mi so arrangiare. Ti prego, tesoromio, non insistere, sono addolorato, mortificato, umiliato:ti chiedo perdono, avevano ragione i tuoi, non dovevisposarmi, non sono stato capace di darti un poco dibenessere in una vera famiglia.” Marietta protestava.“Non dire così che mi arrabbio, io ti amo tanto e non homai desiderato altro che vivere con te.”

E Vincenzo tornò da solo in Colombia nell’estate del1933, lasciando Marietta in attesa di un secondo figlio.

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Fortunatamente, trovò un’economia migliorata. Riprese ilsuo commercio di oreficeria, questa volta però con mercetutta sua, acquistata con i suoi risparmi, e guadagnavabene. Nell’ottobre del 1938 decise che era ora di tornaredefinitivamente in Italia con un buon gruzzoletto.Liquidò tutto quanto aveva in Colombia e s’imbarcò sullanave “Virgilio”. Appena arrivato, si rese conto dell’ariache soffiava in Europa e della mentalità guerresca delgoverno fascista che, addirittura, aveva convinto ilmondo intero che l’Italia di Mussolini fosse una potenzaben armata e rigidamente organizzata. Il conflitto fra laGermania e la Polonia era dato per scontato a brevetempo, e probabilmente con il coinvolgimento di altrenazioni confinanti, le quali avrebbero finito per esserefagocitate nel volgere di qualche mese dall’invincibilearmata del Terzo Reich. Vincenzo rimaneva attonitoquando ascoltava i discorsi del Duce e si stupiva chebuona parte del Paese si entusiasmasse all’ascolto diquelle parole bellicose. Per questo motivo era pocoottimista circa un’eventuale neutralità dell’Italianell’inevitabile guerra.

“Marietta, qua le cose si mettono male. Se la guerrascoppierà le navi verso le Americhe non viaggeranno piùed io correrò il rischio di essere richiamato. La cosamigliore è trasferirci tutt’e quattro a Barranquilla e al piùpresto”. Stabilirono che Vincenzo si sarebbe imbarcatoimmediatamente per preparare l’arrivo della famiglia.Una volta là, si affrettò a prendere in affitto una piccolama graziosa villetta con giardino per i bimbi. Per quantoriguardava la mobilia pensò che sarebbe stato meglio sel’avesse arredata Marietta a suo gusto. Le inviò uncablogramma sintetico: “Vieni subito ti sto aspettando.”

Le navi di linea italiane verso la Colombia eranosolo due la “Virgilio” e la ”Orazio”. Marietta avrebbe

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voluto imbarcarsi assieme ai bambini con questa ultima,che era la prima a partire, ma la fortuna volle che nontrovasse cabine libere. La nave naufragò nel golfo diLeone con moltissime perdite fra i passeggeri. Nemmenoriuscirono a trovare cabine sul “Virgilio” e neprenotarono una per il viaggio seguente. Quellaattraversata non fu mai più effettuata perché nelfrattempo il 1° di settembre la Germania aveva invaso laPolonia. Le fosche previsioni di Vincenzo si stavanopurtroppo dimostrando giuste e la partenza diventòimpossibile su navi passeggeri. Forse solo su qualchenave mercantile avrebbero potuto espatriare ma si reputòuna soluzione molto pericolosa.

La guerra, come si sa, breve non fu e una volta finita,ci vollero anni per riconvertire le navi usate nel conflittoa navi passeggeri. Vincenzo tornò a Padula, con molteferite nell’animo, nel 1947. Le terribili vicissitudinil’avevano cambiato. Non era l’uomo sempre allegro,capace di suonare il pianoforte a orecchio, dispostosempre a convincere con le buone maniere quando unasua opinione non era condivisa dalla moglie o dai figli.Era tornato un uomo deluso dalla vita, arrabbiato. Dalsettembre del 1943, per ben otto mesi, non aveva ricevutonotizie di Marietta e dei figli e ciò gli aveva fatto perdereil sonno e indebolito il sistema nervoso. Al suo ritorno, ifigli ormai grandi, non conoscendolo, rifiutavano la suaautorità e, senza volerlo, gli procuravano una dolorosaferita nel suo spirito. Quanti suoi amici non erano più….Non capiva nemmeno più la mentalità (cambiata “inpeggio”, diceva lui), dei suoi concittadini. Tutto questogli procurava un senso di fallimento totale della sua vita esi sentiva colpevole dell’esistenza triste che avevacondotto Marietta, ormai sfiorita. Era riuscito a portareun gruzzoletto appena sufficiente a completare

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l’educazione dei ragazzi e a vivere modestamente, senzalussi né agi. Anche Marietta stentava a comprendere suomarito e spesso s’indispettiva per minimeincomprensioni. Forse, pensava Vincenzo, era risentitacon lui e l’amore si era trasformato in dovere…….

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Lentamente, le visioni del povero malatoscomparvero e la realtà triste e dolorosa si ripresentava.Aprì gli occhi e, nella stanza oscurata notò i suoi figli cheparlavano a voce bassissima. Pregò loro di avvicinarsi esussurrando disse: “Mi dispiace, credo di aver sbagliatosempre tutto.”

Marietta rientrava in camera con il vassoio dellemedicine e quando volle fargli inghiottire una pillola, luisi oppose gentilmente: “Lascia stare, tesoro mio, nonserve più a niente. Piuttosto, dimmi, mi hai perdonato?Secondo te, ne valeva la pena? Ti sei pentita di avermisposato?” Marietta non piangeva, non aveva più lacrime.Gli accarezzo il viso teneramente e con voce risentita glirispose: “Ascolta, scimmione, non un solo giorno dellamia vita mi sono pentita di averti sposato. Se dovessiricominciare la mia vita ti risposerei.” Vincenzo abbozzòun sorriso e si addormentò tranquillo.

Bianca, la figlia maggiore, incredula, le chiese:“Mamma, davvero? non ti sei mai pentita? Oppure, haidetto così per tranquillizzarlo?:”

Marietta, con voce rotta dalla commozione, lerispose: “Figlia mia, voi giovani di oggi capite poco delvalore del sacrificio. Tuo padre è stato un uomo buono

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che si è sacrificato per me e per voi. Per questo io lo hosempre amato, con tutto l’amore che sapevo dare. Voi,invece, attribuite eccessivo valore alle cose, senza lequali, credete di non poter vivere.” E si sedette sullasedia accanto al marito, tenendole stretta una sua manofra le sue

La morte colse Vincenzo qualche ora più tardi,ancora col sorriso sul volto. Sorriso che portò con sé nelsuo ultimo viaggio: verso l’eternità.

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