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Il Trovatore

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Il Trovatore

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Quando?

• Lo spartito fu pronto il 14 dicembre 1852 e l'opera fu rappresentata al Teatro Apollo di Roma il 19 gennaio 1853.

• Dopo la morte del librettista Cammarano nel luglio di quell'anno, il giovane Leone Emmanuele Bardare completò il libretto (ma, con tatto, senza aggiungere il suo nome a quello di Cammarano).

• Proprio quella notte di gennaio, il Tevere straripò, ma il pubblico sfidò le acque per assistere alla prima.

• L'impresario approfittò della popolarità del compositore per alzare i prezzi, ciononostante tutti i biglietti furono esauriti e Il trovatore ebbe un'accoglienza trionfale.

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L’ambientazione spagnola

• La Spagna, diversamente dagli altri paesi stranieri, affascinava Verdi e fu l'unico paese che visitò da semplice turista

• Dalla letteratura spagnola, o da racconti di altre letterature, ma ambientate in Spagna, ha preso ispirazione per tutta una schiera di opere, da Ernani a La forza del destino e al Don Carlos.

• Per Verdi, la Spagna era terra di passioni profonde e travagliate, così come di azioni veementi.

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La struttura

• Già nell’impianto del libretto è evidente la ricerca della simmetria nella micro come nella macro struttura.

• Le quattro parti constano ciascuna di due scene, quasi un’iperbole della frase musicale tipica della tradizione melodrammatica: otto battute bipartite esattamente in domanda e risposta.

• In queste scene i numeri musicali sono tutti rigorosamente basati su quella che Basevi per primo definì solita forma, sviluppata in scena, cantabile, tempo di mezzo e cabaletta o in scena, tempo d’attacco, concertato, tempo di mezzo e stretta.

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La posizione de Il Trovatore

• Nel repertorio verdiano, Il trovatore occupa una posizione speciale, seguendo immediatamente il Rigoletto e precedendo immediatamente La Traviata, due opere estremamente anticonvenzionali all'epoca, l'una con protagonista un gobbo brutale e deforme, l'altra raffigurante una cortigiana - eroina.

• Verdi riesce a conferire all'eroe e all'eroina alcune caratteristiche individualizzanti: Leonora sfida le consuetudini fino in fondo con coraggio. E la violenza di Manrico, insieme al suo liricismo da trovatore, gli dà un'altra dimensione.

• Per Verdi, protagonista non è né l'amante fuorilegge né l'amata aristocratica, bensì la zingara, Azucena, che dà al dramma spagnolo originario su cui si basa il libretto quella bizzarria che per Verdi è l'attrazione principale della storia.

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Un’opera cupa e notturna

• Il trovatore è forse l'opera più cupa e pessimistica di Verdi.

• Ferrando che racconta una storia di tenebre e d'orrore, che non solo ci dà il retroscena per la vicenda che si sta per svolgere, ma funge anche da una specie di introduzione emotiva: anche l'opera, come la narrazione di Ferrando , sarà una tragedia di zingari, di vendetta e di morte.

• Quasi tutte le scene che seguono hanno luogo di notte o all'interno (o entrambi)

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L’eco medioevale

• L’eco popolare della leggenda medioevale, ricordata con i toni della ballata e del ricordo personale da Azucena e Ferrando, prende vita esattamente come le passioni di dame e cavalieri, come le sorti di armi e amori di fronte alla maledizione d’un destino già scritto.

• Anche nell’audacia di alcune soluzioni, fra cui la stessa Introduzione, Verdi riesce a rivestire d’una patina arcaica, persino ancestrale, l’intera partitura.

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Introduzione e ruolo dell’orchestra

• All’inizio della scena, ascoltiamo una breve introduzione orchestrale, che ha la funzione di descrivere l’ambiente e di presentare l’atmosfera di questa prima scena.

• Dal punto di vista narratologico, l’orchestra ha il ruolo di commento o, certe volte, di contraddizione nell’intreccio dell’opera romantica: l’orchestra corrisponde alla voce del compositore, ed ha una responsabilità informativa che, nell’opera ottocentesca, le viene assegnata con sempre maggior frequenza. Essa può fornire informazioni sull’azione – avvenimenti passati o futuri sconosciuti allo spettatore - , sull’interiorità del personaggio – ciò che egli pensa e sente ma non dice -, o sull’ambiente descrivendo gli elementi ambientali ritenuti importanti.

• In questo caso l’orchestra descrive l’ambiente e l’atmosfera della narrazione di Ferrando, e serve come una breve introduzione.

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• Scena 1: All’erta all’erta (traccia 1)

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Scena prima

Atrio nel palazzo dell'Aliaferia: porta da un lato che mette agli appartamenti del Conte di Luna. Ferrando e molti Familiari del Conte che giacciono presso la porta; alcuni Uomini d'arme passeggiano in fondo.

[N. 1 Introduzione]

(ai familiari vicini ad assopirsi)

FERRANDO All'erta, all'erta! Il Conte n'è d'uopo attender vigilando; ed egli talor presso i veroni della sua cara, intere passa le notti.

FAMILIARI Gelosia le fiere serpi gli avventa in petto!

FERRANDO Nel trovator, che dai giardini move notturno il canto, d'un rivale a dritto ei teme.

FAMILIARI Dalle gravi palpebre il sonno a discacciar, la vera storia ci narra di Garzia, germano al nostro Conte.

FERRANDO La dirò: venite intorno a me. (i familiari eseguiscono)

ARMIGERI (accostandosi pur essi) Noi pure...

FAMILIARI Udite, udite.

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Un’opera narrata

• L’opera si definisce come dramma della narrazione, perché sulla scena non succede niente, ma tutto viene narrato.

• esiste una staticità al cuore de Il trovatore, che è un'opera "narrata" per antonomasia.

• il titolo: Manrico, in ultima analisi, altro non è che un trovatore, un cantante di ballate che effettivamente si introduce a noi con una ballata autobiografica.

• Ma nella scena antecedente il suo arrivo, abbiamo già sentito altre storie, più o meno autobiografiche; quella di Ferrando è già stata accennata, seguita dell'aria ricca di reminiscenze di Leonora "Tacea la notte", dove il passato è magicamente presago degli eventi che stanno per avvenire. Più tardi, vi sono le narrazioni di Azucena e, ancora una volta, di Manrico (che racconta, nel "Mal reggendo" del suo duello con il Conte, facendoci rivivere la fine della parte prima e anticipando lo scontro che presto seguirà).

• Solo il Conte vive saldamente nel presente; l'aria "Il balen del suo sorriso" parla dei suoi sentimenti immediati

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La narrazione di Ferrando

• Nella prima scena del primo atto, Ferrando narra la tragedia, cioè l’antefatto dell’intreccio del melodramma;

• Atto I Scena 1: di due figli vivea padre beato – e il padre brevi e tristi giorni visse – sull’orlo del tetti (traccia 2,3 e 4)

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Racconto

(tutti accerchiano Ferrando)

FERRANDO Di due figli vivea padre beato il buon Conte di Luna: fida nutrice del secondo nato dormia presso la cuna. Sul romper dell'aurora un bel mattino ella dischiude i rai; e chi trova d'accanto a quel bambino?...

CORO Chi? favella. Chi? chi mai?

FERRANDO Abbietta zingara, fosca vegliarda!... Cingeva i simboli di maliarda! E sul fanciullo, con viso arcigno, l'occhio affiggeva torvo, sanguigno! D'orror compresa è la nutrice... Acuto un grido all'aura scioglie; ed ecco, in meno che il labbro il dice, i servi accorrono in quelle soglie; e fra minacce, urli e percosse la rea discacciano ch'entrarvi osò.

CORO Giusto quei petti sdegno commosse; l'insana vecchia lo provocò.

FERRANDO (raccontando) Asserì che tirar del fanciullino l'oroscopo volea... Bugiarda! Lenta febbre del meschino la salute struggea! Coverto di pallor, languido, affranto ei tremava la sera. Il dì traeva in lamentevol pianto... ammaliato egli era! (familiari ed armigeri inorridiscono)

FERRANDO La fattucchiera perseguitata fu presa, e al rogo fu condannata; ma rimaneva la maledetta figlia, ministra di ria vendetta! Compì quest'empia nefando eccesso... Sparve il fanciullo e si rinvenne mal spenta brace nel sito istesso ov'arsa un giorno la strega venne, e d'un bambino... ahimè!... l'ossame bruciato a mezzo, fumante ancor!

CORO Oh scellerata! oh donna infame! Del par m'investe odio ed orror!

ALCUNI E il padre?

FERRANDO Brevi e tristi giorni visse! Pure ignoto del cor presentimento gli diceva che spento non era il figlio; ed a morir vicino bramò che il signor nostro a lui giurasse di non cessar le indagini... ah! fur vane!...

ARMIGERI E di colei non s'ebbe contezza mai?

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FERRANDO Nulla contezza... Oh! Dato mi fosse rintracciarla un dì!...

FAMILIARI Ma ravvisarla potresti?

FERRANDO Calcolando gli anni trascorsi... lo potrei.

ARMIGERI Sarebbe tempo presso la madre all'inferno spedirla.

FERRANDO All'inferno? È credenza che dimori ancor nel mondo l'anima perduta dell'empia strega, e quando il cielo è nero in varie forme altrui si mostri.

CORO (con terrore) È vero! È ver!...

ARMIGERI Su l'orlo dei tetti alcun l'ha veduta!... In upupa o strige talora si muta!

FAMILIARI In corvo tal'altra; più spesso in civetta, sull'alba fuggente al par di saetta! FERRANDO Morì di paura un servo del conte, che avea della zingara percossa la fronte! (tutti si pingono di superstizioso terrore)

FERRANDO Apparve a costui d'un gufo in sembianza, nell'alta quïete di tacita stanza! Con l'occhio lucente guardava... guardava! Il cielo attristando d'un urlo feral! Allor mezzanotte appunto suonava... (una campana suona improvvisamente a distesa mezzanotte)

TUTTI Ah! sia maledetta la strega infernal!

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La focalizzazione

• Dal punto di vista narratologico, la narrazione di Ferrando è una delle chiavi dell’analisi. Con la possibilità di richiamare il passato nel presente, Verdi dà il ruolo di narratore alla bocca di Ferrando, usando la tecnica di focalizzazione in cui gli eventi scenici sono presentati dal punto di vista di un personaggio.

• Grazie ad alcuni giochi con parametri della voce e degli effetti orchestrali, l’opera in musica può applicare questa tecnica narrativa.

• La narrazione di Ferrando viene condotta dalla prospettiva del personaggio: lo spettatore vede gli eventi passati tramite gli occhi di Ferrando, che, attraverso i suoi sentimenti e i suoi ricordi, rivela la sua simpatia per la famiglia del conte di Luna. La narrazione di Ferrando, quindi, è una rimembranza, un passaggio che porta lo spettatore ad un momento tragico del passato non sperimentato dal pubblico, e che rievoca le immagini e i ricordi personali del protagonista. Il testo verbale fornisce il contenuto preciso dell’immagine pensata, e la musica offre la dimensione prospettica della penetrazione interiore del personaggio.

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La narrazione di Azucena

• Nella Parte Seconda Azucena narra la stessa storia che ha raccontato Ferrando nella Parte Prima.

• La storia viene focalizzata dal punto di vista di Azucena, e riceve un colore assolutamente diverso da quello della narrazione di Ferrando.

• Il servo Ferrando, rappresentando l’opinione del conte e della società tradizionale, accentua l’anima malvagia della madre zingara e di Azucena, e le condanna per la loro vita superstiziosa, segnata dalla magia. Lui rappresenta la voce della gente comune, che guarda di mal occhio il modo di vita degli zingari, e che considera Azucena e sua madre come streghe maligne.

• La narrazione di Azucena, invece, richiama l’attenzione sul lato opposto: vediamo la faccia umana di Azucena, che soffre per gli eventi del passato. Lei sottolinea la forza dei teneri sentimenti tra madre e figlia, e cerca di dare una spiegazione alla sua terribile azione

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• Nel caso di Azucena, la narrazione è una rimembranza integrale, e ciò significa che i ricordi del passato sono rievocati dal personaggio e non dall’autore. L’allucinata ricomparsa del motivo della vampa nella mente di Azucena, durante il racconto a Manrico, è una ricomparsa al quadrato, poiché la zingara (nel momento della narrazione) rivive la situazione con il bimbo davanti al rogo – primo livello di ricordo -, in cui era stata assalita dall’immagine del fuoco che aveva arso la madre – secondo livello di ricordo.

• sia quella di Ferrando che quella di Azucena – sono rimembranze. Quest’affermazione è appoggiata anche dal fatto che in questi casi non esiste un’intera melodia musicale che rievochi gli eventi, e quindi i due motivi musicali – quello del servo e quello della zingara – non si corrispondono, tutti e due hanno una melodia diversa, che riappare nel corso della loro narrazione, ma il racconto di Azucena non include gli elementi e i motivi uditi nella parte prima dell’opera.

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• Atto II scena 1: Soli or siamo; deh, narra questa storia funesta –condotta ella era in ceppi - Quand'ecco agli egri spirti (traccia 16, 17, 18)

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[N. 5 Racconto]

MANRICO (sorgendo) Soli or siamo; deh, narra questa storia funesta.

AZUCENA E tu la ignori, tu pur! Ma, giovinetto, i passi tuoi d'ambizion lo sprone lungi traea!... Dell'ava il fine acerbo è quell'istoria: la incolpò superbo Conte di malefizio, onde asseria côlto un bambin suo figlio... Essa bruciata venne ov'arde quel foco! MANRICO (rifuggendo con raccapriccio dalla fiamma) Ahi! Sciagurata!

AZUCENA Condotta ell'era in ceppi al suo destin tremendo, col figlio sulle braccia io la seguia piangendo: infino ad essa un varco tentai, ma invano, aprirmi, invan tentò la misera fermarsi e benedirmi, ché, fra bestemmie oscene, pungendola coi ferri, al rogo la cacciavano gli scellerati sgherri! Allor con tronco accento «Mi vendica!» sclamò. Quel detto un'eco eterno in questo cor lasciò.

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MANRICO La vendicasti?

AZUCENA Il figlio giunsi a rapir del Conte: lo trascinai qui meco... le fiamme ardean già pronte. MANRICO (con raccapriccio) Le fiamme!... oh ciel!... tu forse?...

AZUCENA Ei distruggeasi in pianto... io mi sentiva il core dilaniato, infranto! Quand'ecco agli egri spirti, come in un sogno, apparve la vision ferale di spaventose larve! Gli sgherri!... ed il supplizio!... la madre smorta in volto, scalza... discinta!... il grido, il noto grido ascolto... «Mi vendica!» La mano convulsa tendo... stringo la vittima... nel foco la traggo, la sospingo... Cessa il fatal delirio... l'orrida scena fugge... la fiamma sol divampa, e la sua preda strugge!... Pur volgo intorno il guardo e innanzi a me vegg'io... dell'empio Conte il figlio!

MANRICO Ah! come? AZUCENA Il figlio mio, mio figlio avea bruciato!

MANRICO Che dici! quale orror!

AZUCENA Sul capo mio le chiome sento rizzarsi ancor! (Azucena ricade trambasciata sul proprio seggio, Manrico ammutolisce colpito d'orrore e di sorpresa. Momenti di silenzio)

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• L’orrore del rogo viene aumentato con il passaggio cromatico della musica che raggiunge il culmine nel punto in cui Azucena si accorge che il figlio del conte è accanto a lei, e comprende che suo figlio sta morendo sul rogo.

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La simbologia del fuoco

• Nell'oscurità de Il trovatore, i fuochi sono importanti. La pira due volte preparata per l'esecuzione di Azucena è cruciale ai fini della storia, e ancor più lo è l'altro rogo dove morì sua madre e - come narra in "Condotta ell'era in ceppi" - suo figlio.

• L'iconografia del libretto di Cammarano, inoltre, è insolitamente ricca di riferimenti a fuoco, fiamme e ardore, sia reali che metaforici.

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Il motivo musicale del rogo

• Durante la narrazione dell’atto del rogo, la musica ritorna al ritmo del ballo e al tempo di allegretto dell’aria “Stride la vampa”, e gli archi cominciano a suonare lo stesso motivo musicale che prima Azucena cantava nel suo canto realistico.Questo è il motivo della vampa, del fuoco e della follia che diventa il motivo identificante di Azucena

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Stride la vampa

AZUCENA Stride la vampa! la folla indomita corre a quel fuoco lieta in sembianza! Urli di gioia intorno echeggiano; cinta di sgherri donna s'avanza! Sinistra splende sui volti orribili la tetra fiamma che s'alza al ciel! Stride la vampa! giunge la vittima nerovestita, discinta e scalza! Grido feroce di morte levasi; l'eco il ripete di balza in balza!... Sinistra splende sui volti orribili la tetra fiamma che s'alza al ciel!

ZINGARI Mesta è la tua canzon!

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• https://www.youtube.com/watch?v=JKQlg8rRsUs

• Muti prova Il Trovatore. Parte seconda, scena prima. "Vedi! Le fosche notturne spoglie... Stride la Vampa.»

• https://www.youtube.com/watch?v=aU8tIXZr8Pc

• Muti parla di Verdi

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Le arie

• Ogni atto racchiude una grande aria tradizionale: “Tacea la notte placida”, “Il balen del suo sorriso!, “Ah sì ben mio”, “D’amor sull’ali rosee”. Due per Leonora, una per il Conte e per Manrico, nessuna per Azucena.

• La zingara cui Verdi avrebbe voluto intitolare l’opera si esprime con un linguaggio musicale diverso rispetto ai tre personaggi nobili, che trovano nella perfezione della solita forma il corrispettivo musicale del loro mondo araldico e cortese.

• Azucena canta una vera e propria canzone, una sorta di ballata popolare sulla morte della madre (Stride la vampa), poi un racconto – di nuovo, non un’aria – sullo stesso soggetto, rivissuto in prima persona.

• La vicenda del rogo e del tentativo di vendetta, costantemente ripetuta da voci e angolazioni sempre diverse, rappresenta il vero fulcro drammatico della partitura.

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Aria di Leonora

• Atto I Scena 2: Tacea la notte placida (Traccia n.6)

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LEONORA Ascolta.

Tacea la notte placida e bella in ciel sereno la luna il viso argenteo mostrava lieto e pieno; quando suonar per l'aere, infino allor sì muto... dolci s'udiro e flebili gli accordi d'un lïuto, e versi melanconici un trovator cantò.

Versi di prece, ed umile qual d'uom che prega iddio; in quella ripeteasi un nome... il nome mio... Corsi al veron sollecita... egli era, egli era desso!... Gioia provai che agli angeli solo è provar concesso! Al core, al guardo estatico la terra un ciel sembrò.

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Motivo della vampa (il Conte-parte terza)

• Il motivo della vampa si ripete anche nella Parte Terza quando il conte arresta la zingara e vuole bruciarla sul rogo - è noto che in questo caso non Azucena, ma il Conte menziona il motivo della vendetta, e infine Ferrando e il coro dei soldati toccano il tema del rogo e la vampa infernale che sarà la tomba della strega malvagia.

• Atto III, scena 4: Deh rallentate o barbari (traccia 6)

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AZUCENA Deh! rallentate, o barbari, le acerbe mie ritorte... questo crudel martirio è prolungata morte! D'iniquo genitore empio figliuol peggiore, trema! v'è dio pe' miseri, e dio ti punirà!

Insieme

CONTE Tua prole, o turpe zingara, colui, quel traditore?... Potrò col tuo supplizio ferirlo in mezzo al core! Gioia m'inonda il petto, cui non esprime il detto!... Meco il fraterno cenere ampia vendetta avrà!

FERRANDO E ESPLORATORI Infame pira sorgere, ah sì, vedrai tra poco... né solo tuo supplizio sarà terreno foco: le vampe dell'inferno a te fian rogo eterno, ivi penare ed ardere l'anima tua dovrà!

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Finale ultimo (tema della vampa)

• Azucena continua il suo cammino verso la follia gridando tre volte, senza badare a Manrico (indicazione del compositore): “Il rogo!...” e poi aggiunge: “parola orrenda!”.

• Con queste parole ricomincia il motivo musicale di “Stride la vampa”, con il ritmo popolaresco di tre ottavi, con il tempo in allegretto e con lo stesso motivo melodico suonato dagli strumenti di legno anche se non nella stessa tonalità.

• Manrico cerca di calmarla, e alla fine la zingara si addormenta. Anche a questo punto, la musica segue fedelmente le fasi dell’addormentarsi e della crescente stanchezza di Azucena: gli staccati e le pause dell’orchestra in tempo andantino simboleggiano i suoi occhi che stanno chiudendosi.

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• Atto 4, scena 3: madre non dormi? (traccia 21 minuto 3.20) – si la stanchezza m’opprime (traccia 22)

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[N. 14 Finale ultimo]

Il rogo!...

Parola orrenda!

MANRICO Oh madre!... oh madre!

AZUCENA Un giorno turba feroce l'ava tua condusse... al rogo! Mira la terribil vampa! Ella n'è tocca già! già l'arso crine al ciel manda faville!... Osserva le pupille fuor dell'orbita loro! Ah! chi mi toglie a spettacol sì atroce? (cade, tutta convulsa, in braccio a Manrico)

MANRICO Se m'ami ancor, se voce di figlio ha possa d'una madre in seno, ai terrori dell'alma oblio cerca nel sonno, e posa e calma. (la conduce presso alla coltre)

AZUCENA Sì, la stanchezza m'opprime, o figlio... alla quïete io chiudo il ciglio! Ma se del rogo arder si veda l'orrida fiamma, destami allor!

MANRICO Riposa, o madre: iddio conceda men tristi immagini al tuo sopor.

AZUCENA (tra il sonno e la veglia) Ai nostri monti... ritorneremo!... l'antica pace... ivi godremo!... Tu canterai... sul tuo liuto... in sonno placido... io dormirò!

MANRICO Riposa, o madre: io prono e muto la mente al cielo rivolgerò. (Azucena si addormenta. Manrico resta genuflesso accanto a lei)

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Il liuto

• La romanza è anticipata e poi accompagnata dagli arpeggi del liuto, che sarà lo strumento tipico del personaggio.

• È evidente che l’arpa è lo strumento che si mette in rapporto con il nome di Manrico o, meglio dire, lo strumento non è il motivo identificante di lui ma della sua qualità di trovatore, caratterizzata tradizionalmente con il liuto.

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• Atto 1 scene 3: Deserto sulla terra (traccia 10)

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La romanza del trovatore

CONTE (cieco d'amore avviasi verso la gradinata: odonsi gli accordi d'un liuto: egli si arresta) Il trovator! Io fremo!

MANRICO (fra le piante) Deserto sulla terra, col rio destino in guerra è sola speme un cor al trovator! Ma s'ei quel cor possiede, bello di casta fede, è d'ogni re maggior il trovator!

CONTE Oh detti!... Oh gelosia!... Non m'inganno... Ella scende! (si avvolge nel suo mantello)

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La non pazzia di Azucena

• Nella prima bozza del libretto, Cammarano intendeva che nell'ultima scena Azucena perdesse il lume della ragione. Verdi subito obbiettò che Azucena non doveva essere insana: "...... Non fare Azucena demente. Abbattuta dalla fatica, dal dolore, dal terrore, dalla veglia, non può fare un discorso seguito. I suoi sensi sono oppressi, ma non pazza......".

• Un compositore convenzionale avrebbe invece benvisto, a questo punto, un dramma di follia. Ma verdi non era mai ricorso ad artifici del genere: solo nel Nabucco c'è una scena di follia, importante e commovente. La figura di Azucena doveva essere molto più grande, ma sempre saldamente e profondamente umana.

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I temi di Azucena: Scena terza atto IV

• La voce di Azucena a Manrico: “Non odi?... gente s’appressa... – I carnefici son... vogliono al rogo – Trarmi!... difendi la tua madre!”

• ripete la stessa linea cromatica, accompagnata dalle semicrome, in allegro, apparsa all’inizio del suo racconto, nella Parte seconda, ma Manrico non ode nulla.

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• Atto IV scena 3: madre, non dormi? (traccia 21)

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Orrido carcere: in un canto, finestra con inferriata; porta nel fondo; smorto fanale pendente dalla volta. Azucena giacente sopra una specie di rozza coltre, Manrico seduto a lei dappresso.

[N. 14 Finale ultimo]

MANRICO Madre... non dormi?

AZUCENA L'invocai più volte, ma fugge il sonno a queste luci... Prego.

MANRICO L'aura fredda è molesta alle tue membra forse?

AZUCENA No; da questa tomba di vivi sol fuggir vorrei perché sento il respiro soffocarmi!...

MANRICO (torcendosi le mani) Fuggir!

AZUCENA (sorgendo) Non attristarti. Far di me strazio non potranno i crudi!

MANRICO Ah! come?

AZUCENA Vedi?... le sue fosche impronte m'ha già stampate in fronte il dito della morte!

MANRICO Ahi!

AZUCENA Troveranno un cadavere muto, gelido!... (con gioia feroce) anzi uno scheletro! MANRICO Cessa!

AZUCENA Non odi?... gente appressa... i carnefici son... vogliono al rogo trarmi!... Difendi la tua madre...

MANRICO Alcuno, ti rassicura, qui non volge...

AZUCENA (senza badare a Manrico, con ispavento)

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Opera di contrasti

• Verdi voleva ovviamente conservare da un lato il quadro cromatico ristretto, cioè la qualità notturna già accennata; e dall'altro, creare la massima varietà. E vi riuscì. Perciò gli zingari si alternano con gli armigeri; un coro festivo e risonante precede una scena di profonda intensità drammatica, quando Azucena e il suo nemico mortale, il Conte sono faccia a faccia, dopo anni di vicendevole odio e rancore.

• Il contrasto esiste anche tra lo scenario e l'azione ivi svolta, come quando la serenità del convento è sconvolta dal fragore delle armi e dell'esplosione di emozioni; o come nel finale, nell'orrore del carcere germogliano le espressioni più tenere di amore filiale, e lo spirito più indomabile di eroismo e sacrificio.

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Il movimento

• La scena si sposta rapidamente da una parte all'altra della Spagna, perché, come dice Azucena al Conte, "D'una zingara è costume mover senza disegno il passo vagabondo, ed è suo tetto il ciel; sua patria il mondo".

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Il fuoriscena

• Una scena de Il trovatore colpì particolarmente il pubblico del 1853: l'apertura dell'ultimo atto, quando Leonora è sola in scena, e si levano invisibili la voce di Manrico e il coro dei monaci.

• E per tutta la durata de Il trovatore, i personaggi sono uditi prima di essere visti e i cori aprono e chiudono "in dissolvenza".

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Miserere

• Dopo la cavatina di Leonora segue il coro interno che canta il Miserere e suona la campana dei morti; quindi, la musica conferisce un effetto funebre e tragico alla scena, come se accompagnasse Leonora al suo ultimo cammino verso la tomba. La campana dei morti è un suono di natura che appare nell’opera diverse volte e fornisce informazioni spazio-temporali: aumenta l’effetto del buio notturno, e, inoltre, prevede simbolicamente gli eventi tragici.

• Il Miserere, nonostante che sia un intermezzo, o un tempo di mezzo funzionalmente secondario tra la cavatina e la cabaletta di Leonora, oltre a dare informazioni secondarie sulla situazione drammatica, costituisce il vero culmine emotivo della scena, grazie alla sua focalizzazione e alla sua straordinaria efficacia emotiva: il coro interno è focalizzato alla personalità di Leonora: “Miserere d’un alma già vicina – Alla partenza che non ha ritorno! – Miserere di lei, bontà divina, - Preda non sia dell’infernalsoggiorno!»

• Il Miserere lascia intendere che la sorte della protagonista è già prevista.

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• Atto IV scena 1: Misere (traccia 14)

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Suona la campana dei morti.

VOCI INTERNE Miserere d'un'alma già vicina alla partenza che non ha ritorno; miserere di lei. Bontà divina, preda non sia dell'infernal soggiorno.

LEONORA Quel suon, quelle preci solenni, funeste, empiron quest'aere di cupo terror! Contende l'ambascia, che tutta m'investe al labbro il respiro, i palpiti al cor!

MANRICO (dalla prigione) Ah, che la morte ognora è tarda nel venir a chi desia morir!... Addio, Leonora!

LEONORA Oh ciel!... sento mancarmi!

VOCI INTERNE Miserere d'un'alma già vicina alla partenza che non ha ritorno; miserere di lei. Bontà divina, preda non sia dell'infernal soggiorno.

LEONORA Sull'orrida torre, ah! par che la morte con ali di tenebre librando si va!... Ah! forse dischiuse gli fian queste porte sol quando cadaver già freddo sarà!

MANRICO (dalla prigione) Sconto col sangue mio l'amor che posi in te!... Non ti scordar di me!... Leonora, addio!

LEONORA Di te, di te scordarmi?...

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Il fuoriscena

• il tema del fuori scena viene ripetuto anche musicalmente: il canto del Trovatore nel primo atto, il coro degli zingari nel secondo, l’organo della chiesa nel terzo, o il Miserere di voci interne nel quarto atto, in cui, mentre Leonora pregusta il sacrificio per il suo profondo amore, Manrico, in una prigione non vista dallo spettatore, esprime il suo desiderio di morte e il suo affetto per Leonora.

• L’unica azione di Leonora è l’atto del suicidio, l’ingestione del veleno contenuto nel suo anello, che è difficilmente percepibile dallo spettatore visto che la censura non permetteva un aperto suicidio sulla scena.

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Suoni di natura

• Nella Parte prima, durante la narrazione di Ferrando il suono della campana di mezzanotte assume la funzione di descrivere un ambiente fuori scena e di aumentare l’effetto orroristico della musica, e della situazione, basti pensare che il servitore sta proprio parlando del mondo superstizioso della zingara.

• Nella Parte Seconda, si ode il rintocco della campana de’sacri bronzi, che segnala lo squillo del rito di monacazione di Leonora. La sua funzione è dare informazioni sull’ambiente spazio-temporale: informa il conte e i suoi servitori sul tempo e sul fatto che devono fare in fretta se vogliono rapire Leonora prima dell’annunzio del voto sacro.

• Nella Parte Terza, il suono dell’organo informa Leonora e Manrico sull’ambiente spaziotemporale: i due amanti si accorgono così che devono lasciare la cappella che sta per essere chiusa.

• E infine, nella Parte Quarta, dopo il coro interno del Miserere focalizzato sulla personalità di Leonora, prevedendo la sua sorte tragica, suona la campana dei morti, che aumenta l’atmosfera funebre e tragico della scena.