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Affronteremo ora più in dettaglio le principali questioni
lasciate aperte nel corso dell’introduzione. Sono già
state messe in evidenza la complessità dei fenomeni
comunicativi nella società contemporanea e le difficoltà
poste all’approccio scientifico da un insieme così
problematico, sviluppatosi in prevalenza lungo una
dimensione multidisciplinare.
Si tratta ora di approfondire brevemente i concetti
chiave che stiamo usando per articolare il nostro
discorso:
• Complessità
• Interdisciplinarità
• Olismo
Complessità
Il termine «complesso» (dal latino complector:
cingere, tenere avvinto strettamente, e in senso
metaforico abbracciare, comprendere, riunire in un
solo pensiero) nel linguaggio comune è sinonimo di
ingarbugliato, pieno di implicazioni, difficile da
controllare e appianare, ma nel dibattito scientifico
contemporaneo indica qualcosa di più e di diverso.
Complessità
In epoca moderna il termine inizia ad essere usato
per definire situazioni o problemi composte da molte
parti interrelate, che si influenzano a vicenda, solo
apparentemente contiguo al senso di «complicato»
(dal latino com-plico: piego, arrotolo, avvolgo), che
definisce una matassa faticosa da districare poiché
contiene un gran numero di parti nascoste, da
individuare una per una in mezzo a un groviglio.
Complessità
Un oggetto “complicato”, sebbene con grande
fatica, può essere scomposto nei suoi costituenti
per capire come è fatto e come funziona. Esso può
essere ricostruito attraverso l’analisi dei dettagli,
perché ciascuno di essi obbedisce alle stesse leggi
degli altri ed inserito in un progetto finalizzato e
uniforme, sebbene sia evidente che l’analisi dei
“componenti” non equivale sempre alla totalità, così
come la somma delle nostre prestazioni non
coincide con la nostra «persona».
Linearità
Un sistema complesso invece non è mai riducibile
all’esame delle sue singole parti. E, per analogia, le
cause ultime di un problema complesso non sono
quelle delle sue parti essenziali. Il problema che si
può scomporre in una somma di sotto-problemi
indipendenti tra loro è detto «lineare». Quando,
invece, l’interazione tra i vari componenti/aspetti è
tale da rendere impossibile la separazione e la
risoluzione del problema passo-passo e “a blocchi”,
si parla di non-linearità.
Linearità
I sistemi e i problemi che si presentano in natura
sono essenzialmente non-lineari. Ma l’impostazione
scientifica del sapere, almeno in Occidente, pur
sapendo che il mondo è pieno di fenomeni
“complessi”, si è concentrata su un paradigma che
potremmo definire “della semplicità”, fondato su un
metodo analitico, un’epistemologia lineare e un
orientamento riduzionista, convinta dell’esistenza
di un fondo “semplice” oltre lo schermo intricato
delle apparenze empiriche.
Questo metodo di riduzione della
complessità è definito paradigma
meccanicistico e/o riduzionista:
meccanicistico, perché tende a
concettualizzare e rappresentare
ogni realtà (ivi compresi gli
organismi viventi, l’uomo, la
psiche, la società) come un
dispositivo meccanico.
Paradigma meccanicistico
L’homme machine (1747) Dalla scoperta dell’irritabilità (vis
irritabilis) delle fibre muscolari fatta
dal fisiologo svizzero von Haller, La
Mettrie trae l’idea che ogni materia
organizzata sia dotata di un principio
di movimento e di sensibilità; anche
l’uomo è, quindi, come gli animali, un
puro meccanismo; ciò che lo
distingue dagli altri esseri viventi è
soltanto la sua maggiore complessità.
Il concetto di anima non è che
un’ipotesi metafisica priva di utilità: in
realtà l’attività spirituale potrà essere
spiegata grazie al progressivo
avanzamento degli studi di medicina
(anatomia, fisiologia, patologia).
Il paradigma meccanicistico è anche
riduzionista perché predilige un
modello metodologico ispirato
all’idea che ogni fenomeno vada
studiato mediante la scomposizione
analitica e ricondotto (ridotto)
all’azione delle unità elementari,
esaminabili isolatamente l’una dalle
altre e astraendo dall’insieme che le
comprende.
Paradigma riduzionista
Il paradigma riduzionista, maturato nella rivoluzione
scientifica del XVII secolo, ha dato risultati molto
brillanti nello studio dei fenomeni fisico-chimici,
conducendo a scoperte importanti che hanno
strutturato la nostra conoscenza del mondo e
spesso modificato per sempre la nostra vita.
Paradigma riduzionista
Il fascino di questo paradigma ha contagiato a
più riprese anche le scienze umane, ma con
risultati non altrettanto brillanti: ha favorito un
aumento, anche notevole, delle conoscenze e
l’istituzionalizzazione degli studi sulla
comunicazione, ma solo a prezzo di rilevanti
compromessi.
Paradigma riduzionista
In termini generali, l’ipotesi
meccanicistica e «dicotomica» che ha
dominato la scienza occidentale ha
suscitato, sul piano macroculturale,
crescenti critiche presso numerosi
filosofi e intellettuali, sempre più
dubbiosi circa le sue effettive
possibilità di interpretare il mondo e
cambiarlo, naturalmente in meglio.
«E tuttavia, proprio quando è sotto questa minaccia
l’uomo si veste orgogliosamente della figura di signore
della terra. Così si viene diffondendo l’apparenza che
tutto ciò che si incontra sussista solo in quanto è un
prodotto dell’uomo. Questa apparenza fa maturare
un’ultima ingannevole illusione. È l’illusione per la quale
sembra che l’uomo, dovunque, non incontri più altri che
sé stesso».
Martin Heidegger, La questione della tecnica, in Saggi e discorsi, 1976
«Proprio qui viene in luce una profonda antinomia: l’uomo
rientra nell’universo dei fatti obiettivi, ma in quanto
persona, in quanto io, l’uomo ha dei fini, degli scopi, ha
norme tradizionali, norme della verità, norme eterne.
(…)Tutti questi problemi derivano dall’ingenuità per cui la
scienza obiettiva ritiene che ciò che essa chiama mondo
obiettivo sia l’universo di tutto ciò che è, senza badare al
fatto che la soggettività che produce la scienza non può
venir conosciuta da nessuna scienza obiettiva».
E. Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia
trascendentale, pp.351 - 352.
Hannah Arendt si sofferma in
particolare sul decadimento della
condizione umana prodotto dalla
scienza e dalla tecnica, che si rivela
nella scomparsa di una autentica
dimensione politica e nelle
drammatiche conseguenze che ciò
comporta.
Solo l’arte, attraverso il linguaggio,
può colmare la frattura tra il mondo
sensibile e il mondo razionale,
aprendo all’uomo una via di fuga
dalla passività e dal conformismo di
massa che sono all’origine della
banalità del male di uomini normali,
impiegati e burocrati, parte di un
sistema meccanicistico dove sono
assenti il pensiero e la libertà.
«La politica ci consegna in modo
ineluttabile alla società del lavoro
e ci trasforma in impiegati, come
se la vita individuale fosse stata
sommersa dal processo vitale
della specie e la sola decisione
attiva ancora richiesta fosse di
lasciar andare, di abbandonare la
sua individualità, la fatica e la
pena di vivere sentite ancora
individualmente e adagiarsi in un
attonito, “tranquillizzato”, tipo
funzionale di comportamento».
Hannah Arendt, Vita activa. La condizione
umana, p.240
Con particolare riguardo alle scienze
umane, il meccanicismo è stato
frequentemente accusato di produrre
un senso di distacco dell’uomo da se
stesso, dagli altri e dalla natura, di
obbedire a una logica funzionale alla
razionalità capitalista.
Al di là delle sofferenze psicologiche,
sono state imputate al paradigma
«meccanicistica» conseguenze
deludenti come la «disumanità» della
scienza e il progredire di una
conoscenza a compartimenti stagni, di
una concezione del mondo
meccanica, senza etica né finalità.
L’illuminismo, nel senso più ampio di pensiero in
continuo progresso, ha perseguito da sempre
l’obiettivo di togliere agli uomini la paura e di
renderli padroni. Ma la terra interamente illuminata
splende all’insegna di trionfale sventura.
M. Horkheimer, T.W. Adorno, Dialettica dell’illuminismo, p. 12
«La scienza, in virtù del suo metodo e dei suoi concetti, ha progettato e
promosso un universo in cui il dominio della natura è rimasto legato al dominio
dell’uomo – legame che rischia di essere fatale a questo universo intero.
La Natura, scientificamente compresa e dominata, ricompare nell’apparato
tecnico di produzione e distruzione che sostiene e migliora la vita degli individui
nel mentre li assoggetta ai padroni dell’apparato.
Così la gerarchia razionale si fonde con quella sociale. Se le cose stanno
veramente così, allora un cambiamento in direzione progressista, tale da poter
tagliare questo vincolo fatale, influirebbe anche sulla struttura propria della
scienza, sul progetto scientifico.
Le sue ipotesi, senza perdere nulla del loro carattere
razionale, si svilupperebbero in un contesto
sperimentale essenzialmente diverso
(quello di un mondo pacificato); di conseguenza,
la scienza giungerebbe a formulare concetti di
natura essenzialmente diversi e a stabilire fatti
essenzialmente differenti.
La società razionale sovverte l’idea di Ragione».
Herbert Marcuse, L’uomo a una dimensione, p. 173
Etica per la civiltà tecnologica
La tecnica è sempre più potente e sempre più
distruttiva. Ne deriva una paura crescente di fronte a
un possibile esito catastrofico di distruzione della
natura e dell’umanità. E se la vita stessa è
minacciata, serve una nuova etica.
«Una volta era la religione a terrorizzarci con il
Giudizio universale alla fine dei tempi. Oggi è il
nostro torturato pianeta a predirci l’approssimarsi di
quel giorno senza alcun intervento divino. L’ultima
rivelazione, che non giungerà da alcun monte Sinai
(…), è il grido silenzioso delle cose stesse, quelle che
dobbiamo sforzarci di risolvere per arginare i nostri
poteri sul mondo, altrimenti moriremo tutti su questa
terra desolata che un tempo era il creato».
H. Jonas, Il concetto di Dio dopo Auschwitz, pp. 48-49
«A livello atomico, quindi, gli oggetti materiali solidi
della fisica classica si dissolvono in distribuzioni di
probabilità che non rappresentano probabilità di
cose, ma piuttosto probabilità di interconnessioni.
La meccanica quantistica ci costringe a vedere
l’universo non come una collezione di oggetti fisici
separati, bensì come una complicata rete di relazioni
tra le varie parti di un tutto unificato.
Questo, peraltro, è anche il tipo di esperienza che i
mistici orientali hanno del mondo, e alcuni di essi
hanno espresso tale esperienza con parole che sono
quasi identiche a quelle usate dai fisici atomici».
Fritjof Capra, Il Tao della fisica, p. 157
Il tao della fisica
La riduzione dell’essere umano a una macchina ha comportato invece la sua
parcellizzazione: il corpo viene curato dai medici, la mente dagli psicologi e
l’anima dai preti, come se fossero entità distinte e non aspetti interconnessi di
un unico «sistema». La decadenza delle discipline umanistiche e l’astiosa
divisione fra le «due culture» hanno contribuito a indebolire la considerazione
dell’essere umano nella sua totalità e ostacolato l’educazione all’unità.
Il secondo motivo d’imbarazzo viene, come detto, dalla suddivisione in campi
disciplinari molteplici, a loro volta articolati in settori e sotto-settori, a fatica
consapevoli l’uno dell’altro o non comunicanti. L’inconveniente è che su ogni
fenomeno impattano molteplici visioni particolari, o specialistiche, che si
soffermano su singoli aspetti, livelli o parti, velando il fenomeno nella
sua totalità. Tale frazionamento, pur con i suoi vantaggi, costituisce di fatto un
formidabile ostacolo per la «visione d’insieme».
Non solo.
Il risultato di questa politica ignara della globalità
dei processi e delle relazioni ha avuto
conseguenze drammatiche sugli ecosistemi:
inquinamento, dispersione delle scorie
radioattive, disboscamento selvaggio,
sovrappopolazione, sfruttamento del terzo
mondo, povertà e abusi.
Il mondo di oggi si trova di fronte a numerose
sfide di portata «globale», che interessano
diversi ambiti e implicano conoscenze di ogni
tipo, come i problemi ambientali e gli effetti del
riscaldamento globale, l’instabilità politica e le
tensioni in varie regioni, la povertà, il
sottosviluppo, i grandi flussi migratori.
La complessità delle questioni non richiede solo
una molteplicità di competenze o una loro
convergenza momentanea, bensì la loro
integrazione in una cornice radicalmente nuova,
cioè un vero e proprio cambiamento di
paradigma.
«Il cambiamento climatico
rappresenta una sfida unica per
le scienze economiche: è il
fallimento del mercato maggiore
e di più ampia portata fra quelli
finora visti. L’analisi economica
deve pertanto essere globale,
avere un orizzonte di lungo
periodo, porre al centro
l’economia del rischio e
dell’incertezza, e valutare la
possibilità di cambiamenti di
grosso respiro, non marginali».
Dal Rapporto Stern, elaborato su incarico del
governo inglese, 2006
«Nel XIX secolo la frammentazione ha
svolto un importante ruolo nella nascita
di discipline separate per la biologia, la
chimica, la fisica, la matematica, la
psicologia, la sociologia, etc. Ma quando
consideriamo le grandi sfide che
l’umanità ha oggi di fronte a sé…
Noi ci accorgiamo che abbiamo bisogno
di un approccio interdisciplinare.
Pertanto in questo momento storico, io
credo che sia veramente molto
importante enfatizzare la fine della
frammentazione, o almeno il suo
superamento».
Ilya Prigogine, Intervista postuma, New
Perspective Quarterly, 2004.
Giorgio Gallo. Professore
di Ricerca Operativa,
Dipartimento di
Informatica, Università di
Pisa
Nuovi
approcci
L’insoddisfazione crescente per
l’oggettivizzazione dogmatica della
realtà e per la frantumazione
disciplinare ha quindi generato nel
corso del tempo due importanti linee di
frattura nel paradigma riduzionista: una
impegnata a proporre una visione
globale dei problemi sociali articolata
sui concetti di sistema e di
complessità e su un nuovo paradigma
scientifico definibile come «olistico»,
l’altra tesa a superare le delimitazioni
di campo troppo rigide mediante
un’applicazione più rigorosa dell’idea
di «interdisciplinarità».
Complessità
Il concetto odierno di complessità
sorge dai problemi affrontati da
matematici e fisici nella prima metà
del Novecento, dall’avvento della
cibernetica e dei computer (Wiener,
von Foerster, Weaver). Tra gli anni ’50
e ’60 costituisce l’embrione di un
nuovo paradigma, a cavallo tra la
fisica che si affranca dal riduzionismo,
lo studio dei sistemi «squilibrati» (Ilya
Prigogine) e una teoria dei sistemi
transdisciplinare (Bertalanffy).
Herbert Alexander Simon (1916-2001)
Pensatore inventivo ed
eclettico, Simon viene
incluso tra i padri
fondatori di molti indirizzi
scientifici: sistemi
complessi, problem
solving, elaborazione
dell’informazione, teoria
dell’organizzazione,
intelligenza artificiale,
vincendo infine il premio
Nobel per l’economia.
Ancora oggi l’uso del termine complessità risulta un
po’ instabile, gravato dagli usi colloquiali, confuso
con i concetti di sistema o di cibernetica, e spesso si
riduce a un generico appello all’interdisciplinarità. I
concetti di «complessità» e di «sistema» faticano
pertanto ad affermare il loro autentico valore per
l’analisi dei fenomeni contemporanei, vittime del
retaggio etimologico e del riferimento continuo agli
esempi “concreti”, come gli organismi viventi,
importantissimi ma pur sempre specifici.
Sistema
Collegato al concetto di
complessità è quello di
«sistema»: un’entità nuova
che si ottiene mettendo
insieme (concettualmente)
dei componenti in una
interrelazione stabile nel
tempo. Ogni interrelazione
stabile o regolare assume
un carattere «organizzato»
e produce un sistema.
Sistema
Una molecola si ottiene mettendo insieme dei
componenti (atomi), ma non è un aggregato
qualsiasi di atomi, bensì un’entità nuova identificata
con un suo nome e definita da proprietà molecolari
non riducibili a quelle atomiche. Il nuovo soggetto
dovrà essere spiegato mediante le caratteristiche
del mondo microscopico, che la compone, ma
anche di quello macroscopico, con cui intrattiene
relazioni significative.
Sistema
Allo stesso modo, anche la società è formata da
individui, ciascuno dei quali può ben dirsi un
microcosmo, ma li “trascende” in vari modi, non tutti
chiaramente percepibili, intervenendo sulle strutture
relazionali con forme organizzative (istituzioni) che,
pur essendo fatte dagli uomini e per gli uomini,
riescono ad imporre dinamiche cogenti e peculiari.
Ludwig von Bertalanffy (1901-1972)
Biologo viennese emigrato in Canada
nel 1949, critico verso il vitalismo e il
meccanicismo (che reputava analitico-
sommatorio, macchinistico e
reazionistico), propose (1968) una
«teoria generale dei sistemi» come
prospettiva unificante per tutte le
scienze.
Ilja Prigogine (1917-2003)
Chimico belga di origine
russa (Premio Nobel nel
1977), studiò le strutture
dissipative, rilevando che nei
sistemi amorfi piccole
fluttuazioni casuali tendono a
creare forme d’ordine assenti
nel sistema originario. Nel
1979 pubblicò La nuova
alleanza.
Ilja Prigogine (1917-2003)
Il mondo deve essere pensato
non come un cosmo vivente o
come un orologio ben regolato o
come una macchina in via di
esaurimento, ma come un caos
generatore d’ordine paragonabile
al disordine creativo dal quale
emergono le opere d’arte. La
nuova alleanza è tra il mondo
della vita e quello della natura.
Ilja Prigogine (1917-2003)
La complessità sistemica
dei sistemi organici o della
vita umana è l’esito di una
tendenza fondamentale
nella storia dell’universo e
non il risultato casuale di
una serie improbabile di
eventi naturali.
Gregory Bateson (1904-1980)
Psichiatra e antropologo
americano, allargò lo studio
della malattia mentale alla
cultura, ai valori, al ruolo
sociale. I suoi vasti interessi (ha
ispirato anche un indirizzo di
studi denominato «pragmatica
della comunicazione umana») e
la vocazione interdisciplinare
sono testimoniati da Verso
un’ecologia della mente (1972).
Evoluzione emergente
I sistemi complessi presentano caratteristiche non
possedute dai loro elementi costitutivi. I fenomeni di
organizzazione sono disposti in una gerarchia di
complessità crescente i cui gradi superiori non sono
«riducibili» a quelli inferiori. Eventi rari e
imprevedibili determinano nella storia dell’universo
l’emergere di livelli di organizzazione della materia
sempre nuovi e più complessi.
Comportamento emergente
Il comportamento emergente è una proprietà esibita da
un sistema, inspiegabile sulla base delle leggi che governano le singole
componenti, che scaturisce da interazioni non-lineari tra queste ultime. Può
anche essere definito come il processo di formazione di schemi complessi a
partire da regole più semplici.
La nuova proprietà è imprevedibile poiché non ha precedenti e rappresenta
un livello inedito di evoluzione del sistema. Non è una proprietà delle singole
entità, non si riconosce facilmente e non può essere dedotta dal
comportamento di entità del livello più basso. Buoni esempi possono essere
la forma e il comportamento di uno stormo di uccelli o di un branco di pesci.
Altro esempio è il gioco del poker, guidato in larga misura dal comportamento
emergente. Giocare a un tavolo o a un altro può generare differenze anche
radicali, nonostante l’invarianza delle regole di base. Le variazioni che si
sviluppano sono esempi di «metagioco emergente».
Comportamento emergente
Il comportamento emergente è più facilmente
riscontrabile in sistemi di organismi viventi o sociali
o economici, «complicati» dai molteplici «gradi di
libertà», ma appare anche nei contesti elementari
offerti dalla fisica atomica e delle particelle,
confermando il proprio valore epistemologico anti-
riduzionista: la conoscenza scientifica non deve
risalire obbligatoriamente alle leggi che governano
le particelle elementari, anzi, al salire della scala
geometrica degli aggregati emergono leggi nuove
che, senza violarle, integrano e superano quelle dei
livelli precedenti.
Non-linearità «Il comportamento emergente di
un sistema è dovuto alla non-
linearità. Le proprietà di un
sistema lineare sono infatti
additive: l’effetto di un insieme di
elementi è la somma degli effetti
considerati separatamente, e
nell’insieme non appaiono nuove
proprietà che non siano già
presenti nei singoli elementi. Ma
se vi sono termini/elementi
combinati, che dipendono gli uni
dagli altri, allora il complesso è
diverso dalla somma delle parti e
compaiono effetti nuovi». Percy Williams Bridgman
(1882-1961)
Non-linearità
«Agli inizi del secolo, con gli esperimenti di
Ronald Fischer sui suoli coltivati, si è visto
chiaramente che esistono sistemi complessi
che non permettono in alcun modo di variare
un fattore alla volta, perché sono così ricchi di
interconnessioni dinamiche che la variazione di
un singolo fattore provoca la variazione
immediata di altri fattori, e probabilmente di
molti altri fattori.
«Problema analogo si pone nello studio degli
organismi viventi, e soprattutto dell’uomo e
delle ‘sfere’ ad esso inerenti: psicologica,
socioculturale, politica, religiosa etc.».
William Ross Ashby (1971)
Non-linearità
L’emergenza non scaturisce quindi dalla numerosità
delle interazioni in un sistema, ma proprio dalla non-
linearità. Per questo motivo, nel sistema vivente umano,
la coscienza, il linguaggio o la capacità auto-riflessiva
sono ritenute proprietà emergenti, dal momento che
non risultano spiegabili in base alla «semplice»
interazione tra neuroni.
Nuovi paradigmi
Quando di fronte alla inafferrabilità dei problemi cade il velo della
«finzione di linearità» del metodo analitico - che considera la complessità
una nube di apparenze che va solo diradata - la non-linearità di
interazione tra le componenti di un sistema risalta con chiarezza. Per
avere una descrizione più equilibrata della realtà, il paradigma della
complessità proclama le insufficienze dell’approccio analitico e invoca
almeno la sua integrazione con una visione sistemica, di tipo «olistico»,
che evidenzi i caratteri globali di ogni realtà.
Da alcuni decenni pertanto le perplessità verso il meccanicismo
riduzionista hanno condotto numerosi scienziati ad auspicare un nuovo
paradigma che si faccia carico della ricomposizione di ciò che è stato
scomposto e analizzato, in modo da ottenere processi conoscitivi più
completi e soddisfacenti, nonché un ampliamento dell’orizzonte scientifico
che produca non soltanto una miriade di immagini settoriali ma anche una
visione d’assieme delle realtà studiate.
Nuovi paradigmi
La visione dell’essere
umano come sistema
interdipendente è uno
dei punti di forza del
nuovo paradigma: il
corpo non è svincolato
dalla mente, un organo
non è isolato dagli altri e
dal tutto, la coscienza e
lo spirito si riflettono
sulla realtà materiale,
emozionale, mentale.
Paradigma olistico
Le medicine alternative, l’attenzione per l’ecologia, le
nuove forme di spiritualità e di ricerca del sacro (yoga,
sciamanesimo, channeling) la globalizzazione della
cultura e la filosofia new age in genere hanno illustrato
negli ultimi decenni la diffusione di una sensibilità
profondamente intrisa di opzioni olistiche.
Paradigma olistico
Il termine olismo risale a Jan
Smuts (Holism and
Evolution , 1926) ma solo
negli ultimi decenni ha
registrato un enorme sviluppo,
influenzando profondamente,
in ogni parte del globo,
movimenti, gruppi e filosofie
che rifiutano la «cultura della
frammentazione» e tendono
ad una visione unitaria del
mondo e dell’essere umano.
Paradigma olistico
Il paradigma olistico emergente non ricusa i
contributi della scienza riduzionista, ma si propone
di collegarli tra loro, evidenziando l’interdipendenza
e riproponendosi di riconciliare la visione razionale,
matematica e materialista con la visione intuitiva,
artistica e spiritualista. Come infatti ha dimostrato la
fisica quantistica, è inevitabile che coesistano
modelli diversi della realtà (oggettuale e
processuale, corpuscolare e ondulatorio): si tratta di
dar loro pari dignità, impegnandosi a trovare i
collegamenti per pervenire ad un modello integrato
di livello superiore, insomma ad un metamodello.
Interdisciplinarità
L’interdisciplinarità è oggi una
parola d’ordine che attraversa
tutti gli ambiti scientifici, un
nuovo galateo che impone lo
scambio di concetti e metodi,
idee e pratiche, fra le varie
discipline; ma lo scambio
diventa veramente strategico
nel campo delle scienze
umane, allorché ci si confronta
con fenomeni basati sulle
interazioni degli individui. Abel Grimmer, Torre di Babele
Interdisciplinarità
Questa indicazione che mette in discussione la funzionalità
dell’articolazione del sapere in singole discipline proviene da due
tendenze: l’aspirazione ad adottare visioni più unitarie sui diversi
momenti dell’esperienza pratica e conoscitiva («unificazione del
sapere») e l’uso di postulare, in alcuni settori, l’apporto
convergente di più metodi di analisi intorno a un medesimo
oggetto di studio, a seconda delle necessità pratiche della ricerca
scientifica.
Inizialmente quindi l’interdisciplinarità è declinabile come la
collaborazione di diverse discipline per raggiungere degli scopi
comuni: «Rete dei rapporti di complementarità, integrazione e
interazione per cui discipline diverse convergono in principi
comuni sia nel metodo della ricerca sia nell’ambito della
costruzione teorica».
Interdisciplinarità
Sono interdisciplinari quindi le aggregazioni intrinseche
a un determinato problema, intorno al quale convergono
conoscenze di origini diverse ma organizzate in modo
funzionale alla sua risoluzione. La localizzazione di una
centrale elettrica, ad esempio, integra nozioni sul suolo,
sull’ambiente, sulle fonti energetiche, sui costi di
distribuzione, i livelli della domanda etc.
Interdisciplinarità
Ma lo stesso dizionario
sottolinea come alcuni autori
abbiano introdotto una
distinzione tra forma più deboli
e forme più forti di
interdisciplinarità. In particolare
è stato Jean Piaget, teorico
dell’«epistemologia genetica»,
a insistere sulla distinzione tra i
vari modi in cui si le diverse
competenze disciplinari si
aggregano.
Multidisciplinarità
Sono allora multidisciplinari (o
pluridisciplinari) le aggregazioni
di sulla base di un criterio
estrinseco (chi si occupa del
Novecento, per esempio, ne
considera la storia politica e
sociale, la letteratura, l’arte, la
scienza etc.) ovvero le semplici
convergenze di più discipline
verso un comune termine di
riferimento.
Multidisciplinarità
Ma se l’interdisciplinarità nasce dalla necessità
pratica, dalla constatazione che i problemi reali
spesso non sono separabili secondo le linee di
confine stabilite dalle diverse discipline, le nuove
relazioni possono restare occasionale, ma anche
produrre forme di connessione più o meno stabili.
Giorgio Gallo, Dipartimento di Informatica, Università di Pisa
Transdisciplinarità
Parliamo in questo caso di «transdisciplinarità», con
ciò intendendo «l’integrazione epistemologica o la
progressiva unificazione di più ambiti disciplinari,
che può a volte significare l’individuazione di un
nuovo settore di ricerca».
Transdisciplinarità La transdisciplinarità è insomma una forma di
collaborazione tra le diverse discipline
piuttosto avanzata, che porta alla
realizzazione non tanto di un semplice
scambio quanto di un’integrazione a livello
concettuale, metodologico ed epistemologico,
producendo relazioni strutturate di tipo nuovo.
Le nuove strutture possono condurre in alcuni
casi all’individuazione di nuove aree
disciplinari e in altri al consolidamento di un
approccio multidisciplinare di tipo sistemico.
Per esempio, la docimologia è un settore
della conoscenza a comporre il quale hanno
concorso elementi originariamente compresi
nella didattica, nella psicologia, nella
statistica, nella legislazione scolastica
eccetera. Lo stesso vale per l’ecologia,
l’informatica etc.
Sociobiologia
«Ci sono numerosi
approcci darwiniani
che cercano di
spiegare i fenomeni
culturali usando come
modello la teoria della
selezione naturale. I
sociobiologi ritengono
che la cultura sia
un’estensione
dell’ambito biologico».
Sociobiologia
«Ci sarebbe una selezione sia dei tratti fisici dell’organismo sia dei tratti
comportamentali. La variabilità ambientale farebbe parte di un programma
biologico. Si tratta di un approccio che è stato molto criticato.
Sfortunatamente non c’è modo di spiegare la diversità del comportamento
umano partendo dalle opzioni determinate dai geni e dalla loro attivazione
nei diversi contesti locali. Questa idea si è rivelata sbagliata.
Presa in sé l’idea di una genetica comportamentale non è sbagliata. È
possibile studiare alcuni aspetti del comportamento riconducendoli alle
basi biologiche: il fatto che si suda quando fa caldo è un comportamento
che ha una precisa base biologica. [Ma] più i comportamenti sono diversi
e complessi, più dipendono dalla storia e dalla società».
Ecologia umana «L’ecologia, che tradizionalmente si basava
sull’osservazione degli ecosistemi in modo
svincolato dai sistemi sociali umani, evade
dalla sua tradizionale orbita di competenza per
un viaggio nelle scienze sociali e
nell’economia, trasformandosi nell’unica
ecologia oggi possibile: l’ecologia umana.
Certo, il “gioco” della conoscenza si fa più
laborioso. Il primo nodo da chiarire, dunque, è
proprio questo: l’uomo può ancora restare
affacciato alla finestra a osservare e misurare
il suo ambiente di vita? O deve piuttosto
imparare a riconoscere il ruolo che, più di
qualsiasi altro essere sul pianeta, riveste nelle
dinamiche impazzite degli ecosistemi?»
«Non sono interrogativi di poco conto. Sopra questi
interrogativi si sta giocando una partita dai toni non
sempre pacati in seno alla comunità scientifica,
alla politica e alla società civile. I dibattiti più accesi
riguardano il significato e le potenzialità da
attribuire all’ecologia e all’economia: due discipline
unite da una comune radice etimologica, ma che
finora si sono divise sbattendo la porta circa le
risposte da dare all’atavico dualismo uomo-natura.
I sistemi ecologici e i sistemi sociali non sono altro
che due facce della stessa medaglia. E il loro
funzionamento, spesso governato da meccanismi
di controllo molto simili, finisce sempre per
condizionare anche l’ultimo anello della “catena del
pianeta”. Solo un approccio davvero sostenibile
allo sviluppo, basato su una pianificazione
multidisciplinare nell’uso delle risorse, saprà darci
gli strumenti utili a modificare l’impatto umano
sull’ambiente».
Prefazione di Maurice Strong, Presidente Earth Council.
Trans-disciplinarità
Ma la transdisciplinarità difficilmente può essere rinchiusa
negli schemi che definiscono le singole discipline, con un
oggetto e un metodo definiti, e possiede la tendenza naturale
a trasformarsi in ideologia, in una complessità
epistemologica praticamente senza limiti, in un
«nomadismo» radicale.
Essa quindi attraversa e supera tutte le discipline con
l’obiettivo di afferrare la complessità, assumendo le vesti di
un atteggiamento intellettuale e scientifico volto a
comprendere meglio la complessità del mondo moderno con
un approccio enciclopedico funzionale al paradigma olistico.
Scienze cognitive
Oltre alla comunicazione,
che vedremo in dettaglio, un
esempio di fervore
interdisciplinare sono le
«scienze cognitive», che
trovano una forte spinta
centripeta nel concetto di
«mente», un punto di snodo
complesso che costituisce
la chiave di volta per
spiegare le evoluzioni dei
contenuti culturali.
Antropologia cognitiva Un protagonista di questo percorso è Dan
Sperber, che alla fine degli anni Ottanta,
con altri antropologi e psicologi dello
sviluppo, ha iniziato una marcia verso
un’«antropologia cognitiva» in grado di
accomunare le diverse prospettive con cui
si studia la mente per poter sussumere in
un solo campo linguaggi, criteri e
problematiche divergenti.
«La frammentazione tra discipline di studio
– afferma Sperber - non è il riflesso della
divisione naturale di livelli di realtà, ma è
una semplice costruzione storico-sociale
espressa ai tempi in cui sono sorte le
moderne università».
Angela Simone, 29 Agosto 2011
Epidemiologia
L’epidemiologia mi interessa per diverse ragioni.
Una di queste riguarda il rapporto tra le scienze
cognitive e le scienze sociali. Il rapporto tra
l’epidemiologia e le patologie individuali è un
rapporto di differenza di scala. Quegli stessi
fenomeni che vengono esaminati a livello delle
patologie individuali sono presi in
considerazione anche a livello di popolazione.
Il rapporto tra i fatti psicologici e i fatti sociali è
analogo. «Non si tratta di due realtà diverse, ma
della stessa realtà considerata in due scale
differenti. Sarebbe un errore pensare che i
processi psicologici individuali possano essere
isolati dal mondo sociale. Gli stati mentali
possono avere delle cause e degli effetti sociali
perché è la stessa vita mentale che è immersa
nella vita sociale».
Epidemiologia «Se invece andiamo nella direzione opposta e
facciamo una sorta di zoom out, allora non si
guarda più nella mente dell’individuo, ma si finisce
per concentrarsi sulla rete sociale e sulle catene
causali [tra] la mente individuale e l’ambiente. (…)
Se si pensa alla vita sociale in termini di catene
causali che legano gli individui al loro ambiente, i
modelli epidemiologici forniscono un punto di
partenza costruttivo».
Credo che ci sia un rapporto di pertinenza
reciproca tra lo studio della mente e lo studio della
vita sociale. (…) Non si capisce cosa è un
fenomeno sociale se non si tiene conto che tanti
episodi della vita sociale accadono nel cervello
degli individui e, d’altra parte, non si comprende la
vita mentale degli individui se non si rende conto
del fatto che la vita mentale individuale ha luogo
in una rete sociale.
È Edgar Morin a fornire le riflessioni più importanti sugli
aspetti che interessano le scienze umane, sviluppando
a partire dai primi anni ’70, una proposta epistemologica
che sostiene la pervasività della complessità,
muovendo dalla critica al riduzionismo e dall’importanza
del comportamento emergente.
Una testa ben piena è
una testa in cui il sapere
è accumulato,
ammucchiato; una testa
ben fatta invece è in
grado di selezionare e
organizzare i saperi, in
modo da collegarli e dare
loro senso.
«Meglio una testa ben fatta che
una testa ben piena».
I saperi non vanno divisi, frammentati, disgiunti, ma
collegati. La frammentazione dei saperi è avvenuta per
la prevalenza del metodo scientifico, che suddivide per
analizzare e riprodurre. I saperi vengono così, anche
alla luce dell’iperspecialismo, divisi in discipline proprio
mentre i problemi sono complessi, multidimensionali,
globali. Ci hanno così insegnato a disgiungere gli
oggetti, a separare le discipline, piuttosto che a
collegare e a integrare i problemi.
Le conoscenze frammentate
servono a un utilizzo tecnico. Non
possiamo cadere nella sindrome di
Pico della Mirandola: siccome non
si può conoscere tutto, per
accumulazione, si rinuncia alla
conoscenza. È invece necessario
riorganizzare le conoscenze. La
sfida delle sfide è proprio questa:
rivoluzionare l’insegnamento per
rivoluzionare il pensiero, le menti;
rivoluzionare il pensiero per
rivoluzionare l’insegnamento.
Non sono ottimista, però vedo che qualcosa si sta
muovendo. In alcuni settori del sapere, nelle scienze
umane, nella biologia. Vedo segnali che tendono a
ricongiungere, a restituire un legame tra cultura
umanistica e cultura scientifica. Certo, ci sono delle
resistenze da parte delle istituzioni. C’è il potere dei
mandarini. Però vedo segnali forti in molti Paesi che si
basano sull’idea dell’integrazione dei saperi.
Che cosa è l’intelligenza? È un’attitudine generale alla
curiosità, che spesso la scuola tende a spegnere: più
potente è l’intelligenza generale, maggiore è la capacità
di trattare problemi speciali. È un insieme di ars
cogitandi (uso della logica), metis (insieme di sagacia,
intuizione, elasticità mentale), serendipity (ricostruire
una storia da indizi e dettagli). Quindi l’obiettivo resta
quello della connessione delle due culture.
I due «partiti», quello scientifico e
quello umanistico, sono sbagliati. È
necessario connettere, integrare,
contestualizzare, globalizzare. È
necessario unire gli antagonisti
nella molteplicità. Per capire la
qualità di un buon vino non bastano
le caratteristiche organolettiche, la
gradazione. In un bicchiere di vino
c’è la storia, la cultura, simboli, oltre
alla fisica e alla chimica.
«Materie» come la cosmologia, la scienza della terra,
l’ecologia, la nuova storia, permettono di articolare e
unire discipline sinora disgiunte. Il nuovo spirito
scientifico ci aiuta. E anche la cultura umanistica
favorisce l’attitudine ad aprirsi ai grandi problemi, a
riflettere, a cogliere la complessità umana. È questa
l’essenza di ciò che io chiamo la comprensione.
Ma lei avverte davvero
che sia in atto una
ricomposizione delle
culture?
L’Università dovrà svolgere una funzione paradossale:
conservare il patrimonio culturale, adattarsi alla
modernità scientifica e integrarla, fornire insegnanti per
le nuove professioni, e fornire un insegnamento meta-
professionale, cioè una cultura. Bisognerà passare dal
piacere del sapere legato al potere al piacere del
sapere legato al dono, a ciò che può suscitare amore
per il sapere nei giovani. Dove non c’è amore ci sono
solo problemi di retribuzione, di carriera e di noia per
l’insegnamento. Corriere Lavoro, Pagina 15 (19 maggio 2000)